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L’INTERVISTA DI ESPLICITAZIONE DI VERMERSCH: UNO STRUMENTO UTILE NELLA BOITE D’OUTILS DEL
REFERENTE DI VALIDAZIONE E CERTIFICAZIONE DELLE COMPETENZE PER L’INDIVIDUAZIONE E LA
VALORIZZAZIONE DELLE COMPETENZE
Mariachiara Pacquola- Consulente di Bilancio di Competenze, Referente dei processi di Validazione e
Certificazione di Competenze
Premessa metodologica
L’intervista d’esplicitazione di Vermersch 1
è uno strumento che ha lo scopo di favorire, aiutare, sollecitare
la narrazione descrittiva, la verbalizzazione del modo in cui un’attività è stata realizzata, dell’azione così
com’è stata effettivamente attuata nell’esecuzione di un compito definito, preciso, contestualizzato.
Il termine “azione” non fa riferimento soltanto alle azioni materiali, ma comprende anche le azioni mentali:
si presenta cioè la necessità di un lavoro d’esplicitazione semplicemente perché quando svolgiamo
un’azione alcuni dei saperi cruciali utilizzati sono taciti, impliciti, non consapevoli.
Questo carattere implicito è inevitabile, poiché inerente al funzionamento intellettuale delle persone. Nella
realizzazione di un compito, nelle rappresentazioni derivanti dall’interazione con la realtà si costruiscono
continuamente tali tipi di conoscenze implicite per il solo fatto di agire: esse attengono al fatto che si
sviluppano partendo dall’esperienza e, conseguentemente, sono fondamentali per la comprensione di ciò
che rende efficace un’azione.
Prendere coscienza di queste conoscenze e azioni implicite permette di esplicitarle, di valorizzarle
facendone occasione di sviluppo professionale, di sfruttarle meglio nelle situazioni di formazione, di
migliorare l’efficacia degli apprendimenti.
La presa di coscienza passa per la verbalizzazione del vissuto che diventa oggetto di conoscenza e quindi di
esperienza.
La verbalizzazione del vissuto dell’azione
L’intervista di esplicitazione mira a guidare l’intervistato delle competenze nella descrizione a posteriori
delle proprie azioni, di esperienze anche remote: in questo quadro ha lo scopo specifico di sostenere
l’evocazione dei vissuti passati concernenti la dimensione procedurale delle azioni vissute.
L’uso di questa tecnica permette di far emergere, nella descrizione di un compito o di un’attività, non la sua
dimensione di prescrizione (come dovrebbe essere svolta) ma quella relativa all’activité2
, l’attività reale (e
al reale dell’attività3
): devono affiorare informazioni sulle azioni effettivamente eseguite in una situazione
specifica, individuando in particolare il modo, personale, con cui tali azioni sono state realizzate.
La verbalizzazione del vissuto d’azione riguarda solo uno degli aspetti dell’estrema complessità costitutiva
del vissuto. La trasposizione in parole dell’azione non va confusa con la verbalizzazione dell’emozione che
può essere stata presente nell’azione e ricomparire con il suo ricordo. Non si identifica con il vissuto
sensoriale, né con quello dell’appercezione, anche se è in relazione con entrambi: riguarda specificamente
la successione logico-cronologica degli atti elementari che il soggetto pone in essere per raggiungere uno
1
Vermersch P. 2002
2
Leplat J., 1997
3
Clot Y., 2006
2
scopo. Le azioni possono essere descritte a livello di finezza (granularità) più o meno approfondita e a
seconda delle funzioni che occupano nell’esecuzione: azioni di raccolta di informazioni, azioni di
realizzazione o di esecuzione. Vi sono poi gli atti che servono da criteri di arresto o di proseguimento
dell’azione.
In un’intervista di esplicitazione devono essere seguite delle fasi precise (inizializzazione, focalizzazione,
elucidazione) e le domande da porre devono assumere particolari requisiti, in particolare devono favorire
la descrizione cronologica (come si è cominciata un’azione), favorire la descrizione del «come » piuttosto
che del « perchè », essere vuote di contenuto, essere brevi e incitare al proseguimento della rievocazione
(«e in seguito… ?», «e in quel momento, a quel punto... »).
Il contributo dell’Intervista di Vermersch nei dispositivi di Riconoscimento – Validazione - Certificazione
delle competenze
Per validare le proprie competenze il candidato deve innanzitutto realizzare un Dossier in cui evidenziare le
esperienze (lavorative, formative, di volontariato..) svolte nel passato in cui ritiene di aver messo in atto e
appreso conoscenze e abilità congruenti con il Profilo professionale prescelto.
Tale Dossier, una volta redatto e supportato da prove/evidenze, viene presentato ad una Giuria di
Validazione che può scegliere la modalità valutativa più adeguata (colloquio, prova simulata, osservazione
prova pratica…) per validare le competenze dichiarate 4
.
Per poter realizzare il Dossier, il candidato deve scegliere e ricostruire con precisione quali sono state
effettivamente le acquisizioni dell’esperienza, deve calarsi nuovamente nelle esperienze vissute e
ricostruire con precisione il contesto, le problematiche, le proprie azioni, e ad identificare episodi concreti,
situazioni lavorative specifiche in cui le proprie valutazioni, scelte, ragionamenti hanno portato un
risultato positivo ed atteso.
Per raggiungere tale obiettivo il candidato deve far appello alla memoria concreta, viva, contestualizzata in
modo preciso in una situazione precisa: la persona deve riuscire a “rientrare” nel suo ricordo e raccontarlo,
rivivendo il proprio vissuto in azione.
Nei percorsi di accompagnamento previsti per supportare il candidato durante il percorso di Validazione, si
tratta quindi di favorirlo nell’appropriarsi, nel prendere coscienza delle proprie competenze in relazione ad
un’attività svolta, andando a ricostruire con la memoria il processo di realizzazione di un’azione, di
successo o di insuccesso, ossia le procedure messe realmente in opera (ragionamenti, pensieri), gli obiettivi
realmente ricercati, i saperi utilizzati e, non ultimi, i pre-concetti (valori, assunti di base, convinzioni) che
sono stati all’origine del successo o delle difficoltà incontrate.
Solamente entrando efficacemente nella rievocazione gli sarà possibile garantire che quanto comunicato
all’intervistatore è realmente il suo saper fare procedurale.
Il contributo dell’Intervista di Vermersch nel percorso di accompagnamento alla Validazione nel
Progetto CEEIS: presentazione del caso
4
European Guidelines for validating non formal and informal learning, Cedefop 2009.
3
Il modello di Validazione delle Competenze adottato dal progetto CEEIS “Conoscere ed essere attraverso
l’esperienza” è centrato sulla costruzione di un Dossier di argomentazione, in cui il candidato è chiamato a
raccontare e descrivere, attraverso delle opportune schede di argomentazione, la propria esperienza con
l’obiettivo di far emergere, dalla descrizione, il contributo della propria azione.
La capacità del candidato di saper descrivere le proprie azioni in esperienze del passato, e di essere in
grado di far emergere nel racconto le proprie risorse, conoscenze, abilità e atteggiamenti, mobilizzati nella
realizzazione di attività, è quindi cruciale per il buon esito della validazione.
L’intervista di Vermersch è stato un utile strumento per favorire questa importante e delicata attività: di
seguito vengono riportati, a titolo esemplificativo, alcuni estratti di un percorso di accompagnamento alla
Validazione delle competenze, in cui l’intervista, condotta con un candidato, è stata utilizzata nell’azione di
supporto all’individuazione e denominazione delle risorse mobilizzate all’interno di un’esperienza
lavorativa, scelta per dimostrare il possesso di una competenza.
M. è attualmente Responsabile di magazzino ricambi all’interno della sede centrale di produzione italiana di
una multinazionale; ha quarant’anni, un diploma di Disegnatore meccanico e una storia di 26 anni di lavoro
nella stessa azienda: ha iniziato dalla gavetta “in linea” e, lavorando nelle sostituzioni ferie, ha avuto
l’opportunità di fare esperienza e conoscenza di tutti i processi aziendali. Assegnato infine al magazzino
ricambi, ne ha vissuto nell’arco degli anni ben 10 trasferimenti .
E’ stato scelto dall’azienda per prendere parte al Progetto, con lo scopo di offrire un’occasione per
valorizzare e far emergere le proprie competenze in una strategia aziendale di formazione e sviluppo del
gruppo dei Responsabili ed ha partecipato al percorso di accompagnamento, composto da tre incontri di
gruppo di tre ore, intervallati da due incontri individuali di un’ora.
M. è una persona con un livello medio di istruzione, caratterialmente una persona molto precisa, un
grande osservatore e ascoltatore, come ho potuto notare dalla mia posizione di Referente di Validazione e
Certificazione: durante il percorso di accompagnamento interveniva sempre per ultimo, dopo aver
ascoltato gli altri e prendere appunti.
Non era però abituato a parlare del proprio lavoro, ne parlava spesso in termini generali, tendendo a
sottovalutare il proprio contributo e a non valorizzare in modo sufficiente la rilevanza di alcuni suoi
atteggiamenti e valori nell’orientare la scelta di esperienze e decisioni del passato: ad esempio, nel
raccontare le sue modalità nel gestire il personale intercalava questa espressione: “…come si fa di solito,
come fanno tutti”. Solamente al termine del percorso di accompagnamento e attraverso il confronto con i
colleghi e con me, si è reso conto che il valorizzare la condivisione partecipata delle problematiche e delle
soluzioni con i suoi dipendenti (che chiama “colleghi”), unita e sostenuta da una sua piena assunzione della
responsabilità delle decisioni prese in gruppo, pur senza far pesare il proprio ruolo di potere, costituiva
effettivamente una peculiare modalità di gestione del personale, acquisita dai suoi precedenti superiori
(”la vecchia guardia”), ben contraddistinta rispetto ad altre modalità più gerarchiche e normative.
Nella costruzione del Dossier di Argomentazione, M. aveva scelto di portare a validazione la competenza
del Profilo del capo: “Introdurre/proporre miglioramenti o modifiche nel processo di lavoro (o proporli ai
propri diretti superiori)”, e di argomentare le due attività previste “Riconoscere i problemi nel processo di
lavoro di cui si ha la responsabilità” e “Elabora possibili soluzioni e migliorie a i problemi riscontrati”.
4
Nell’autovalutazione si era attribuito in una scala likert di valori tra 1 e 4, un livello 3 indicando in questo
modo un livello di padronanza medio-alto (di saper quindi svolgere tali attività in modo autonomo in
diversi contesti e situazioni lavorative) e affermando di svolgerle frequentemente.
Durante il secondo incontro di gruppo, centrato sullo sviluppo della capacità di esplicitazione e di
argomentazione attraverso esercitazioni con la conduttrice su episodi di vita lavorativa, aveva espresso il
desiderio di raccontare i miglioramenti introdotti in qualità di responsabile a seguito dell’ultimo
trasferimento del magazzino, reso necessario in conseguenza di un grave incidente che aveva reso inagibile
il precedente.
Raccontò che nel nuovo magazzino si era trovato di fronte a un contesto con caratteristiche molto diverse:
Nel nuovo magazzino la prima differenza fu la capienza, a…. (sede precedente) avevamo 2500 mq, i prelevatori si spostavano con
carrelli spinti a mano, dotati di due ripiani e di una piccola scala con 4 gradini per poter arrivare a prelevare a diverse altezza,
c’erano 12 operatori che mediamente prelevavano 100/120 righe d’ordine al giorno.
Nel nuovo sito c’erano invece più di 4000 mq e i ripiani della scaffalatura arrivavano fino a 7 metri prelevabili.
Notai subito che non potevamo mantenere gli stessi numeri sia nelle righe (d’ordine ) da prelevare sia nelle spedizioni, muoversi
all’interno del magazzino con quei carrelli spinti a mano per quasi 8 ore aumentava la stanchezza, di conseguenza l’indice d'errore
umano senza contare lo stress a cui erano sottoposti i prelevatori, gli articoli erano tanti e i piani più bassi furono occupati
immediatamente, furono occupati anche i piani più alti e le scale a disposizione per raggiungere tali altezze erano solo 7…”
M. aveva dunque Individuato la problematica che in qualità di neo-responsabile avrebbe dovuto affrontare:
“Dovevamo dotare i prelevatori di mezzi adatti al loro lavoro: dovevano spostarsi velocemente e poter raggiungere altezze di
almeno 5 metri; in collaborazione con uno dei nostri fornitori, leader nel campo della movimentazione, ci vennero proposti dei
carrelli commissionatori che rispondevano a tutte le nostre esigenze; il problema però adesso era un altro, i prelevatori nel
frattempo erano aumentati a 15 unità, mentre i nuovi carrelli erano solo 5…” .
Decise così di tirare fuori “dal cassetto” una vecchia soluzione che aveva ipotizzato anni prima per
velocizzare le procedure di PICKING e PACKING.
“ Mi è tornata in mente una mia idea di formare delle coppie di prelievo….”
Ascoltando le sue parole mi sembrò di intravedere in quel “mi è tornata in mente un’idea”, un interessante
spazio di approfondimento; pensai “Qui c’è qualcosa che M. dà per scontato, c’è una risorsa da far
emergere: bisogna entrare di più nel ricordo e aprirlo.”.
Mi sembrava l’occasione giusta per utilizzare la tecnica di esplicitazione: il primo passo era inizializzare,
orientare la mia attività di intervista individuando la situazione lavorativa in cui si era trovato.
Inizialmente M. si mantenne sul vago, restando sul contenuto dell’idea.
“ E’ stato anni fa, dopo un corso di formazione, avevo pensato di mettere una persona fissa a fare solo PACKING, e
mantenere il prelevatore a fare solo PICKING per 8 ore, in questo modo non vi erano buchi nella fase di prelievo: il
prelievo era continuo così come la preparazione del materiale da spedire; ero convinto che il materiale prelevato da
due operatori (PICKING) potesse essere gestito da un solo preparatore (PACKING), in questo modo si potevano
aumentare le righe evase durante le 8 ore e quindi di conseguenza anche i colli da spedire sarebbero aumentati. ma
poi la cosa non andò a buon fine: il mio responsabile non considerò la mia proposta…”
5
Eravamo già a buon punto: M. mi stava raccontando come si era sviluppata la sua soluzione, l’idea di
introdurre un’innovazione per migliorare una situazione lavorativa nel passato: pur non avendo trovato
inizialmente una risposta positiva da parte del suo superiore, non aveva “mollato” e, convinto della bontà
della sua riflessione, l’aveva tenuta nel cassetto in attesa di un’occasione più favorevole, magari con
l’assunzione di maggiore autonomia decisionale. Emergevano già alcune risorse importanti: una buona
capacità immaginativa, una capacità di guardare al risultato, un’approfondita conoscenza dei metodi di
gestione del magazzino, una buona capacità di valutazione costi-benefici dell’operazione in funzione degli
obiettivi aziendali, una “tenuta” anche in situazioni di frustrazione.
Avrei potuto soffermarmi sul perché il suo responsabile non aveva ritenuto utile la sua soluzione, ma,
poiché, per i miei obiettivi, mi interessava approfondire meglio il modo in cui si era sviluppata l’idea e in
quali circostanze M. aveva ipotizzato quella soluzione lo invitai a focalizzare l’attenzione sul periodo
“dopo il corso di formazione”.
“ All’epoca il mio compito all’interno del magazzino ricambi era la pianificazione, mi occupavo però anche dell’evasione degli ordini
dell’estero e in assenza del responsabile di magazzino ne facevo le veci…” .
Ci trovavamo di fronte proprio ad una situazione professionale non formalizzata: M. all’epoca non rivestiva
ancora il ruolo di Responsabile di magazzino, ma come spesso accade, in ragione dei bisogni aziendali, ai
lavoratori vengono assegnati “per necessità”, anche incarichi non formalmente certificati.
Decisi di riassumere, riformulando, quello che aveva detto fino a quel momento e di focalizzare
ulteriormente con M. alla ricerca dell’elemento informativo di interesse: in che modo le acquisizioni di un
corso di formazione avevano contribuito all’elaborazione della soluzione.
“ Nel marzo del 2003 il direttore del post vendita mi propose di partecipare ad un corso sulle strategie di gestione e pianificazione
delle scorte di magazzino a Milano. Era stato indetto dal…. (un importante istituto di ricerca Internazionale) denominandolo “LA
GESTIONE EFFICACE DEI MANCANTI DI MAGAZZINO”.
Ancora non eravamo arrivati al dunque, M. era ancora troppo concentrato sugli elementi esterni del
contesto: si trattava di riportare la sua attenzione sull’evocazione della propria azione.
“ Era la mia prima “uscita” e se da un lato mi spaventava, dall’altro mi rendeva orgoglioso per aver avuto questa
opportunità..” .
Lo stage durò 2 giorni, vi erano altri 10 partecipanti di altrettante ditte più o meno conosciute, ricordo che ebbi modo
di scambiare molte impressioni con il responsabile della manutenzione e gestione dei tram di Milano……. (racconta i
dettagli del corso)”
L’evento preciso da evocare era stato individuato, ma ancora non si era arrivati al punto focale: bisognava
ora elucidare5
, entrare nelle micro-azioni compiute.
“ Nel viaggio di ritorno in treno, mi venne quasi spontaneo ripensare a come veniva svolto il lavoro all’interno del magazzino
ricambi..” .
5
cioè evidenziare lo svolgimento dell’azione a un determinato grado di finezza di descrizione a un preciso livello di completezza. Elucidare è il fine
prioritario della tecnica dell’intervista di esplicitazione. Si tratta in pratica, per usare le parole di Vermesch ,“di stabilire nella maniera più
particolareggiata possibile la successione delle azioni elementari che la costituiscono in modo da ottenere una descrizione completa rendendo così
intellegibile lo svolgimento di una certa azione al fine di comprenderne gli eventuali errori ed evidenziarne gli elementi di efficacia5
”.
6
M. stava veramente raggiungendo il cuore dell’azione, in cui era nascosta la sua risorsa, che trapelava
dall’espressione “…mi venne quasi spontaneo”.
Continuai ad esplorare la situazione e il percorso d’azione di M, momento per momento.
“ Ripercorsi tutte le varie fasi, dal ricevimento degli ordini (all’epoca arrivavano via posta, via fax o per telefono), all’inserimento
degli stessi in un programma nel pc (ogni ordine veniva inserito manualmente, scrivendo il codice e la q.tà), poi l’elaborazione delle
richieste e la stampa delle consegne d’ordine (una volta inseriti e confermati, l’operatore raccoglieva tutti i residui dello stesso
cliente e generava con l’ultimo ordine registrato una consegna d’ordine; la consegna d’ordine impegnava il materiale giacente a
magazzino e riportava le ubicazioni in cui il prelevatore doveva recarsi per ritirare la merce), la distribuzione ad ogni prelevatore di
un numero preciso di righe d’ordine da evadere (il lavoro di ogni prelevatore viene verificato sul numero di consegne d’ordine che
prepara, o meglio sulla sua capacità di evasione giornaliera di un numero preciso di righe d’ordine), la riconsegna delle stampe con
in evidenza le conferme dei prelievi e i dati sui colli pronti, pesi e misure (quando tutti gli articoli presenti in una singola consegna
d’ordine vengono prelevati si procede al confezionamento ed alla preparazione del pacco per la spedizione, in questa fase il collo
ottenuto viene pesato e misurato e i dati sono riportati sul foglio stampato della consegna d’ordine al fine di calcolarne il peso
volumetrico tassabile per poter effettuare la spedizione), infine la stampa con l’emissione dei DDT e la consegna ai corrieri dei colli
per le diverse destinazioni.
Presi qualche appunto…
Eravamo entrati nella descrizione delle micro-azioni, ora bisognava regolare le condizioni idonee alla
verbalizzazione dell’azione: “Ah bene, hai preso qualche appunto, e cosa hai fatto esattamente?”
“ Non avevo un quaderno nè un blocco notes, l’unica cosa a portata di mano era una rivista di enigmistica e così utilizzai gli spazi
bianchi disponibili, inserii alcune osservazioni su come si perdeva tempo durante le operazioni di prelievo e di spostamento dalla
postazione di lavoro di ogni operatore verso le ubicazioni di prelievo del materiale” .
Il cuore della competenza era che M., per poter elaborare la soluzione doveva, avendo innanzitutto
presente il risultato del cambiamento che voleva ottenere nel magazzino dove lavorava, identificare tutte le
variabili e ricostruire tutti i passaggi della procedura, argomentando per passaggi logici, ragionamenti e per
schemi, che aveva bisogno di visualizzare concretamente. Doveva creare una rappresentazione visiva della
situazione, come gli avevano insegnato a fare i suoi superiori, ma questa volta organizzata logicamente
secondo i nuovi strumenti teorici e di diagnosi appresi durante il corso di formazione che gli permettevano,
riorganizzando le informazioni in suo possesso in un modo nuovo e guidato dalla metodologia appena
appresa, di vedere “le cose con occhi nuovi” e di individuare soluzioni maggiormente efficaci. L’”urgenza” di
“mettere a posto i pezzi per giungere al risultato finale era più importante dell’attesa di disporre dei mezzi
adeguati e per questo si era industriato con i mezzi che possedeva in quel momento.
A questa capacità, a questa modalità di mobilizzare le proprie risorse per ottenere un risultato ricercato,
emersa durante l’intervista di esplicitazione, si erano associati altri atteggiamenti e capacità, altrettanto
ricchi, emersi attraverso una riflessione accompagnata durante il successivo incontro individuale, non solo
sulle risorse affiorate dal lavoro di verbalizzazione fatto, ma anche da un bilancio, da una valutazione del
valore e del senso che tali apprendimenti avevano assunto per sé.
“L’esperienza che ho scritto l’ho sentita veramente mia, sono stato proprio io il protagonista, dall’inizio alla fine. Ho assunto la mia
decisione, alla fine, e all’inizio ero l’unico a crederci, ma vedevo più avanti, oltre quello che il mio responsabile riusciva a vedere”.
“Posso dire che la mia vita lavorativa è nata con il corso del 2003…, fino a quel momento avevo sempre imparato sul campo,
facendo diagnosi sul campo, sperimentando per prove ed errori, verificando, implementando, con quel corso ho veramente messo
“a sistema” un sacco di conoscenze, come un puzzle che prendeva forma all’improvviso, tutto mi era diventato chiaro”.
7
Inoltre, il bisogno di M. di visualizzare i suoi ragionamenti su un formato cartaceo, si inserisce, nel suo
sistema di valori, insieme a quello di “dare trasparenza alle soluzioni”, ossia di conservare la storia delle
soluzioni e delle decisioni adottate che, unite ad una capacità personale di saper conservare e archiviare i
materiali di lavoro, anch’esse tramandate dai suoi superiori, hanno permesso sempre, da parte del suo
gruppo di lavoro, una rintracciabilità delle informazioni per poter proseguire il lavoro anche in sua assenza.
Un caso fortunato, forse, accompagnare un candidato con una particolare predisposizione a lasciare tracce
ed evidenze del proprio lavoro: predisposizione che si è rivelata utile anche nella situazione di dover
allegare, a sostegno della compilazione della scheda di argomentazione del dossier relativa alla competenza
scelta, delle evidenze che ne dimostrassero realmente il possesso; una sorpresa anche per me che, in
qualità di accompagnatrice, potevo vedere e apprezzare il suo lavoro di “schizzi a getto” in un momento
per M. sicuramente di “furore creativo”.
FIG. 1- Evidenza della competenza “la pagina enigmistica come pagina di appunti”
Conclusioni e riflessioni sull’uso della tecnica
L’utilizzo della tecnica dell’intervista di Vermersch si è rivelato molto utile per accompagnare la persona
durante la rievocazione e permettere:
1. alla sottoscritta, in qualità di Referente della Validazione, di far emergere una gran quantità di
informazioni sull’attività svolta dal lavoratore e di impostare successivamente un adeguato intervento di
supporto all’individuazione, emersione, e riconoscimento delle competenze mobilizzate durante
l’esperienza portata.
2. al candidato di informarsi sul proprio lavoro, di mettere a fuoco un aspetto del proprio vissuto,
prendendo coscienza della dimensione procedurale delle proprie azioni, del funzionamento nella
mobilizzazione delle proprie risorse cognitive, di “mettere in atto un procedimento” condivisibile mediante
la parola: un procedimento non uguale per tutti, che può essere fonte di errori e suscettibile di
miglioramento, ma che aiuta ad esperire il funzionamento del proprio pensiero.
8
L’intervista di Vermersch si può dimostrare molto utile anche nella sua funzione formativa, perché
attraverso questo strumento la persona può realmente imparare, nel caso non lo sappia fare
autonomamente o incontri difficoltà a causa di una scarsa propensione alla riflessione, un modo per
acquisire consapevolezza e conoscenza di attività e azioni svolte nel passato, che apparentemente ha
dimenticato ma che rientrano a tutti gli effetti, tra i suoi saperi impliciti.
Per questo motivo tale approccio è da ritenersi particolarmente adatto a soggetti con difficoltà di
apprendimento o con un livello di scolarizzazione non elevato, anche se non è utilizzabile solo in questi
ambiti.
L’uso dell’intervista comunque può presentare però alcune difficoltà:
- accedere all’informazione implicita, descrivere analiticamente la propria azione non è cosa abituale,
poiché risulta necessario assumere un nuovo atteggiamento, che presuppone l’aiuto esterno da parte di un
mediatore;
- accedere all’informazione implicita si scontra con il fatto che essa non è immediatamente disponibile; si
tratta infatti di una conoscenza in atto, di una conoscenza posseduta da un soggetto e testimoniata dalle
sue stesse azioni, ma non concettualizzata, mai verbalizzata e perciò non conosciuta dal soggetto stesso.
Una prova indiretta dell’esistenza di queste conoscenze è costituita dal fatto che colui che le applica
sovente è convinto di non possederle;
- gli aiuti proposti tramite i formatori, animatori, tutors sono sovente inefficaci: le loro intenzioni sono
giuste (comprendere) ma i mezzi (domande di spiegazione) sono inappropriati, poiché per mirare
all’implicito gli strumenti efficaci hanno un carattere indiretto.
Se tali difficoltà sono superabili attraverso un uso corretto della tecnica, mi pare comunque opportuno
sottolineare il possibile rischio di una perdita di senso dell’innovazione nell’assumere semplicemente la sola
strumentazione avulsa dal frame teorico-metodologico che la sostiene, la cui padronanza richiede una
formazione adeguata e pertinente, e dalle finalità del dispositivo di Validazione e Certificazione in cui viene
utilizzata.
Bibliografia
Clot Y., La funzione psicologica del lavoro, Carocci, 2006.
Leplat J., Regards sur l’activité en situation de travail, Paris, Ed. PUF, 1997.
Pacquola C., I contributi del gruppo di lavoro italiano, in La valorizzazione dei saperi taciti. Una sfida tra presente e futuro,
Rapporto finale Progetto Leonardo TOI “Au delà de la salle” Ed. Grafiche Editoriali La Press, 2010.
Pacquola C., Cattaruzza E., Il riconoscimento e la certificazione degli apprendimenti non formali ed informali, la validation des
acquis de l’experience, Quaderni per l’orientamento, Regione FVG, n°35, Dicembre 2009
Cattaruzza E., Pacquola C., Selvatici A., Dall’esperienza alla competenza, l’esempio del sistema francese di validazione delle
acquisizioni dell’esperienza: i risultati della visita di studio CEDEFOP a Lille, 2008
Pacquola C., Selvatici A., PROGRAMMA LEONARDO 2007-2013- TRASFERIMENTO DI INNOVAZIONE: Progetto “Au delà de la
salle”, Comunicazioni presentate alle sessioni parallele della Biennale della Formazione, Università degli Studi di Padova,
Dicembre 2008
Vermersch P., Descrivere il lavoro, Ed. Carocci, 2011

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art. EDE e la validazione di competenze in Ceeis

  • 1. 1 L’INTERVISTA DI ESPLICITAZIONE DI VERMERSCH: UNO STRUMENTO UTILE NELLA BOITE D’OUTILS DEL REFERENTE DI VALIDAZIONE E CERTIFICAZIONE DELLE COMPETENZE PER L’INDIVIDUAZIONE E LA VALORIZZAZIONE DELLE COMPETENZE Mariachiara Pacquola- Consulente di Bilancio di Competenze, Referente dei processi di Validazione e Certificazione di Competenze Premessa metodologica L’intervista d’esplicitazione di Vermersch 1 è uno strumento che ha lo scopo di favorire, aiutare, sollecitare la narrazione descrittiva, la verbalizzazione del modo in cui un’attività è stata realizzata, dell’azione così com’è stata effettivamente attuata nell’esecuzione di un compito definito, preciso, contestualizzato. Il termine “azione” non fa riferimento soltanto alle azioni materiali, ma comprende anche le azioni mentali: si presenta cioè la necessità di un lavoro d’esplicitazione semplicemente perché quando svolgiamo un’azione alcuni dei saperi cruciali utilizzati sono taciti, impliciti, non consapevoli. Questo carattere implicito è inevitabile, poiché inerente al funzionamento intellettuale delle persone. Nella realizzazione di un compito, nelle rappresentazioni derivanti dall’interazione con la realtà si costruiscono continuamente tali tipi di conoscenze implicite per il solo fatto di agire: esse attengono al fatto che si sviluppano partendo dall’esperienza e, conseguentemente, sono fondamentali per la comprensione di ciò che rende efficace un’azione. Prendere coscienza di queste conoscenze e azioni implicite permette di esplicitarle, di valorizzarle facendone occasione di sviluppo professionale, di sfruttarle meglio nelle situazioni di formazione, di migliorare l’efficacia degli apprendimenti. La presa di coscienza passa per la verbalizzazione del vissuto che diventa oggetto di conoscenza e quindi di esperienza. La verbalizzazione del vissuto dell’azione L’intervista di esplicitazione mira a guidare l’intervistato delle competenze nella descrizione a posteriori delle proprie azioni, di esperienze anche remote: in questo quadro ha lo scopo specifico di sostenere l’evocazione dei vissuti passati concernenti la dimensione procedurale delle azioni vissute. L’uso di questa tecnica permette di far emergere, nella descrizione di un compito o di un’attività, non la sua dimensione di prescrizione (come dovrebbe essere svolta) ma quella relativa all’activité2 , l’attività reale (e al reale dell’attività3 ): devono affiorare informazioni sulle azioni effettivamente eseguite in una situazione specifica, individuando in particolare il modo, personale, con cui tali azioni sono state realizzate. La verbalizzazione del vissuto d’azione riguarda solo uno degli aspetti dell’estrema complessità costitutiva del vissuto. La trasposizione in parole dell’azione non va confusa con la verbalizzazione dell’emozione che può essere stata presente nell’azione e ricomparire con il suo ricordo. Non si identifica con il vissuto sensoriale, né con quello dell’appercezione, anche se è in relazione con entrambi: riguarda specificamente la successione logico-cronologica degli atti elementari che il soggetto pone in essere per raggiungere uno 1 Vermersch P. 2002 2 Leplat J., 1997 3 Clot Y., 2006
  • 2. 2 scopo. Le azioni possono essere descritte a livello di finezza (granularità) più o meno approfondita e a seconda delle funzioni che occupano nell’esecuzione: azioni di raccolta di informazioni, azioni di realizzazione o di esecuzione. Vi sono poi gli atti che servono da criteri di arresto o di proseguimento dell’azione. In un’intervista di esplicitazione devono essere seguite delle fasi precise (inizializzazione, focalizzazione, elucidazione) e le domande da porre devono assumere particolari requisiti, in particolare devono favorire la descrizione cronologica (come si è cominciata un’azione), favorire la descrizione del «come » piuttosto che del « perchè », essere vuote di contenuto, essere brevi e incitare al proseguimento della rievocazione («e in seguito… ?», «e in quel momento, a quel punto... »). Il contributo dell’Intervista di Vermersch nei dispositivi di Riconoscimento – Validazione - Certificazione delle competenze Per validare le proprie competenze il candidato deve innanzitutto realizzare un Dossier in cui evidenziare le esperienze (lavorative, formative, di volontariato..) svolte nel passato in cui ritiene di aver messo in atto e appreso conoscenze e abilità congruenti con il Profilo professionale prescelto. Tale Dossier, una volta redatto e supportato da prove/evidenze, viene presentato ad una Giuria di Validazione che può scegliere la modalità valutativa più adeguata (colloquio, prova simulata, osservazione prova pratica…) per validare le competenze dichiarate 4 . Per poter realizzare il Dossier, il candidato deve scegliere e ricostruire con precisione quali sono state effettivamente le acquisizioni dell’esperienza, deve calarsi nuovamente nelle esperienze vissute e ricostruire con precisione il contesto, le problematiche, le proprie azioni, e ad identificare episodi concreti, situazioni lavorative specifiche in cui le proprie valutazioni, scelte, ragionamenti hanno portato un risultato positivo ed atteso. Per raggiungere tale obiettivo il candidato deve far appello alla memoria concreta, viva, contestualizzata in modo preciso in una situazione precisa: la persona deve riuscire a “rientrare” nel suo ricordo e raccontarlo, rivivendo il proprio vissuto in azione. Nei percorsi di accompagnamento previsti per supportare il candidato durante il percorso di Validazione, si tratta quindi di favorirlo nell’appropriarsi, nel prendere coscienza delle proprie competenze in relazione ad un’attività svolta, andando a ricostruire con la memoria il processo di realizzazione di un’azione, di successo o di insuccesso, ossia le procedure messe realmente in opera (ragionamenti, pensieri), gli obiettivi realmente ricercati, i saperi utilizzati e, non ultimi, i pre-concetti (valori, assunti di base, convinzioni) che sono stati all’origine del successo o delle difficoltà incontrate. Solamente entrando efficacemente nella rievocazione gli sarà possibile garantire che quanto comunicato all’intervistatore è realmente il suo saper fare procedurale. Il contributo dell’Intervista di Vermersch nel percorso di accompagnamento alla Validazione nel Progetto CEEIS: presentazione del caso 4 European Guidelines for validating non formal and informal learning, Cedefop 2009.
  • 3. 3 Il modello di Validazione delle Competenze adottato dal progetto CEEIS “Conoscere ed essere attraverso l’esperienza” è centrato sulla costruzione di un Dossier di argomentazione, in cui il candidato è chiamato a raccontare e descrivere, attraverso delle opportune schede di argomentazione, la propria esperienza con l’obiettivo di far emergere, dalla descrizione, il contributo della propria azione. La capacità del candidato di saper descrivere le proprie azioni in esperienze del passato, e di essere in grado di far emergere nel racconto le proprie risorse, conoscenze, abilità e atteggiamenti, mobilizzati nella realizzazione di attività, è quindi cruciale per il buon esito della validazione. L’intervista di Vermersch è stato un utile strumento per favorire questa importante e delicata attività: di seguito vengono riportati, a titolo esemplificativo, alcuni estratti di un percorso di accompagnamento alla Validazione delle competenze, in cui l’intervista, condotta con un candidato, è stata utilizzata nell’azione di supporto all’individuazione e denominazione delle risorse mobilizzate all’interno di un’esperienza lavorativa, scelta per dimostrare il possesso di una competenza. M. è attualmente Responsabile di magazzino ricambi all’interno della sede centrale di produzione italiana di una multinazionale; ha quarant’anni, un diploma di Disegnatore meccanico e una storia di 26 anni di lavoro nella stessa azienda: ha iniziato dalla gavetta “in linea” e, lavorando nelle sostituzioni ferie, ha avuto l’opportunità di fare esperienza e conoscenza di tutti i processi aziendali. Assegnato infine al magazzino ricambi, ne ha vissuto nell’arco degli anni ben 10 trasferimenti . E’ stato scelto dall’azienda per prendere parte al Progetto, con lo scopo di offrire un’occasione per valorizzare e far emergere le proprie competenze in una strategia aziendale di formazione e sviluppo del gruppo dei Responsabili ed ha partecipato al percorso di accompagnamento, composto da tre incontri di gruppo di tre ore, intervallati da due incontri individuali di un’ora. M. è una persona con un livello medio di istruzione, caratterialmente una persona molto precisa, un grande osservatore e ascoltatore, come ho potuto notare dalla mia posizione di Referente di Validazione e Certificazione: durante il percorso di accompagnamento interveniva sempre per ultimo, dopo aver ascoltato gli altri e prendere appunti. Non era però abituato a parlare del proprio lavoro, ne parlava spesso in termini generali, tendendo a sottovalutare il proprio contributo e a non valorizzare in modo sufficiente la rilevanza di alcuni suoi atteggiamenti e valori nell’orientare la scelta di esperienze e decisioni del passato: ad esempio, nel raccontare le sue modalità nel gestire il personale intercalava questa espressione: “…come si fa di solito, come fanno tutti”. Solamente al termine del percorso di accompagnamento e attraverso il confronto con i colleghi e con me, si è reso conto che il valorizzare la condivisione partecipata delle problematiche e delle soluzioni con i suoi dipendenti (che chiama “colleghi”), unita e sostenuta da una sua piena assunzione della responsabilità delle decisioni prese in gruppo, pur senza far pesare il proprio ruolo di potere, costituiva effettivamente una peculiare modalità di gestione del personale, acquisita dai suoi precedenti superiori (”la vecchia guardia”), ben contraddistinta rispetto ad altre modalità più gerarchiche e normative. Nella costruzione del Dossier di Argomentazione, M. aveva scelto di portare a validazione la competenza del Profilo del capo: “Introdurre/proporre miglioramenti o modifiche nel processo di lavoro (o proporli ai propri diretti superiori)”, e di argomentare le due attività previste “Riconoscere i problemi nel processo di lavoro di cui si ha la responsabilità” e “Elabora possibili soluzioni e migliorie a i problemi riscontrati”.
  • 4. 4 Nell’autovalutazione si era attribuito in una scala likert di valori tra 1 e 4, un livello 3 indicando in questo modo un livello di padronanza medio-alto (di saper quindi svolgere tali attività in modo autonomo in diversi contesti e situazioni lavorative) e affermando di svolgerle frequentemente. Durante il secondo incontro di gruppo, centrato sullo sviluppo della capacità di esplicitazione e di argomentazione attraverso esercitazioni con la conduttrice su episodi di vita lavorativa, aveva espresso il desiderio di raccontare i miglioramenti introdotti in qualità di responsabile a seguito dell’ultimo trasferimento del magazzino, reso necessario in conseguenza di un grave incidente che aveva reso inagibile il precedente. Raccontò che nel nuovo magazzino si era trovato di fronte a un contesto con caratteristiche molto diverse: Nel nuovo magazzino la prima differenza fu la capienza, a…. (sede precedente) avevamo 2500 mq, i prelevatori si spostavano con carrelli spinti a mano, dotati di due ripiani e di una piccola scala con 4 gradini per poter arrivare a prelevare a diverse altezza, c’erano 12 operatori che mediamente prelevavano 100/120 righe d’ordine al giorno. Nel nuovo sito c’erano invece più di 4000 mq e i ripiani della scaffalatura arrivavano fino a 7 metri prelevabili. Notai subito che non potevamo mantenere gli stessi numeri sia nelle righe (d’ordine ) da prelevare sia nelle spedizioni, muoversi all’interno del magazzino con quei carrelli spinti a mano per quasi 8 ore aumentava la stanchezza, di conseguenza l’indice d'errore umano senza contare lo stress a cui erano sottoposti i prelevatori, gli articoli erano tanti e i piani più bassi furono occupati immediatamente, furono occupati anche i piani più alti e le scale a disposizione per raggiungere tali altezze erano solo 7…” M. aveva dunque Individuato la problematica che in qualità di neo-responsabile avrebbe dovuto affrontare: “Dovevamo dotare i prelevatori di mezzi adatti al loro lavoro: dovevano spostarsi velocemente e poter raggiungere altezze di almeno 5 metri; in collaborazione con uno dei nostri fornitori, leader nel campo della movimentazione, ci vennero proposti dei carrelli commissionatori che rispondevano a tutte le nostre esigenze; il problema però adesso era un altro, i prelevatori nel frattempo erano aumentati a 15 unità, mentre i nuovi carrelli erano solo 5…” . Decise così di tirare fuori “dal cassetto” una vecchia soluzione che aveva ipotizzato anni prima per velocizzare le procedure di PICKING e PACKING. “ Mi è tornata in mente una mia idea di formare delle coppie di prelievo….” Ascoltando le sue parole mi sembrò di intravedere in quel “mi è tornata in mente un’idea”, un interessante spazio di approfondimento; pensai “Qui c’è qualcosa che M. dà per scontato, c’è una risorsa da far emergere: bisogna entrare di più nel ricordo e aprirlo.”. Mi sembrava l’occasione giusta per utilizzare la tecnica di esplicitazione: il primo passo era inizializzare, orientare la mia attività di intervista individuando la situazione lavorativa in cui si era trovato. Inizialmente M. si mantenne sul vago, restando sul contenuto dell’idea. “ E’ stato anni fa, dopo un corso di formazione, avevo pensato di mettere una persona fissa a fare solo PACKING, e mantenere il prelevatore a fare solo PICKING per 8 ore, in questo modo non vi erano buchi nella fase di prelievo: il prelievo era continuo così come la preparazione del materiale da spedire; ero convinto che il materiale prelevato da due operatori (PICKING) potesse essere gestito da un solo preparatore (PACKING), in questo modo si potevano aumentare le righe evase durante le 8 ore e quindi di conseguenza anche i colli da spedire sarebbero aumentati. ma poi la cosa non andò a buon fine: il mio responsabile non considerò la mia proposta…”
  • 5. 5 Eravamo già a buon punto: M. mi stava raccontando come si era sviluppata la sua soluzione, l’idea di introdurre un’innovazione per migliorare una situazione lavorativa nel passato: pur non avendo trovato inizialmente una risposta positiva da parte del suo superiore, non aveva “mollato” e, convinto della bontà della sua riflessione, l’aveva tenuta nel cassetto in attesa di un’occasione più favorevole, magari con l’assunzione di maggiore autonomia decisionale. Emergevano già alcune risorse importanti: una buona capacità immaginativa, una capacità di guardare al risultato, un’approfondita conoscenza dei metodi di gestione del magazzino, una buona capacità di valutazione costi-benefici dell’operazione in funzione degli obiettivi aziendali, una “tenuta” anche in situazioni di frustrazione. Avrei potuto soffermarmi sul perché il suo responsabile non aveva ritenuto utile la sua soluzione, ma, poiché, per i miei obiettivi, mi interessava approfondire meglio il modo in cui si era sviluppata l’idea e in quali circostanze M. aveva ipotizzato quella soluzione lo invitai a focalizzare l’attenzione sul periodo “dopo il corso di formazione”. “ All’epoca il mio compito all’interno del magazzino ricambi era la pianificazione, mi occupavo però anche dell’evasione degli ordini dell’estero e in assenza del responsabile di magazzino ne facevo le veci…” . Ci trovavamo di fronte proprio ad una situazione professionale non formalizzata: M. all’epoca non rivestiva ancora il ruolo di Responsabile di magazzino, ma come spesso accade, in ragione dei bisogni aziendali, ai lavoratori vengono assegnati “per necessità”, anche incarichi non formalmente certificati. Decisi di riassumere, riformulando, quello che aveva detto fino a quel momento e di focalizzare ulteriormente con M. alla ricerca dell’elemento informativo di interesse: in che modo le acquisizioni di un corso di formazione avevano contribuito all’elaborazione della soluzione. “ Nel marzo del 2003 il direttore del post vendita mi propose di partecipare ad un corso sulle strategie di gestione e pianificazione delle scorte di magazzino a Milano. Era stato indetto dal…. (un importante istituto di ricerca Internazionale) denominandolo “LA GESTIONE EFFICACE DEI MANCANTI DI MAGAZZINO”. Ancora non eravamo arrivati al dunque, M. era ancora troppo concentrato sugli elementi esterni del contesto: si trattava di riportare la sua attenzione sull’evocazione della propria azione. “ Era la mia prima “uscita” e se da un lato mi spaventava, dall’altro mi rendeva orgoglioso per aver avuto questa opportunità..” . Lo stage durò 2 giorni, vi erano altri 10 partecipanti di altrettante ditte più o meno conosciute, ricordo che ebbi modo di scambiare molte impressioni con il responsabile della manutenzione e gestione dei tram di Milano……. (racconta i dettagli del corso)” L’evento preciso da evocare era stato individuato, ma ancora non si era arrivati al punto focale: bisognava ora elucidare5 , entrare nelle micro-azioni compiute. “ Nel viaggio di ritorno in treno, mi venne quasi spontaneo ripensare a come veniva svolto il lavoro all’interno del magazzino ricambi..” . 5 cioè evidenziare lo svolgimento dell’azione a un determinato grado di finezza di descrizione a un preciso livello di completezza. Elucidare è il fine prioritario della tecnica dell’intervista di esplicitazione. Si tratta in pratica, per usare le parole di Vermesch ,“di stabilire nella maniera più particolareggiata possibile la successione delle azioni elementari che la costituiscono in modo da ottenere una descrizione completa rendendo così intellegibile lo svolgimento di una certa azione al fine di comprenderne gli eventuali errori ed evidenziarne gli elementi di efficacia5 ”.
  • 6. 6 M. stava veramente raggiungendo il cuore dell’azione, in cui era nascosta la sua risorsa, che trapelava dall’espressione “…mi venne quasi spontaneo”. Continuai ad esplorare la situazione e il percorso d’azione di M, momento per momento. “ Ripercorsi tutte le varie fasi, dal ricevimento degli ordini (all’epoca arrivavano via posta, via fax o per telefono), all’inserimento degli stessi in un programma nel pc (ogni ordine veniva inserito manualmente, scrivendo il codice e la q.tà), poi l’elaborazione delle richieste e la stampa delle consegne d’ordine (una volta inseriti e confermati, l’operatore raccoglieva tutti i residui dello stesso cliente e generava con l’ultimo ordine registrato una consegna d’ordine; la consegna d’ordine impegnava il materiale giacente a magazzino e riportava le ubicazioni in cui il prelevatore doveva recarsi per ritirare la merce), la distribuzione ad ogni prelevatore di un numero preciso di righe d’ordine da evadere (il lavoro di ogni prelevatore viene verificato sul numero di consegne d’ordine che prepara, o meglio sulla sua capacità di evasione giornaliera di un numero preciso di righe d’ordine), la riconsegna delle stampe con in evidenza le conferme dei prelievi e i dati sui colli pronti, pesi e misure (quando tutti gli articoli presenti in una singola consegna d’ordine vengono prelevati si procede al confezionamento ed alla preparazione del pacco per la spedizione, in questa fase il collo ottenuto viene pesato e misurato e i dati sono riportati sul foglio stampato della consegna d’ordine al fine di calcolarne il peso volumetrico tassabile per poter effettuare la spedizione), infine la stampa con l’emissione dei DDT e la consegna ai corrieri dei colli per le diverse destinazioni. Presi qualche appunto… Eravamo entrati nella descrizione delle micro-azioni, ora bisognava regolare le condizioni idonee alla verbalizzazione dell’azione: “Ah bene, hai preso qualche appunto, e cosa hai fatto esattamente?” “ Non avevo un quaderno nè un blocco notes, l’unica cosa a portata di mano era una rivista di enigmistica e così utilizzai gli spazi bianchi disponibili, inserii alcune osservazioni su come si perdeva tempo durante le operazioni di prelievo e di spostamento dalla postazione di lavoro di ogni operatore verso le ubicazioni di prelievo del materiale” . Il cuore della competenza era che M., per poter elaborare la soluzione doveva, avendo innanzitutto presente il risultato del cambiamento che voleva ottenere nel magazzino dove lavorava, identificare tutte le variabili e ricostruire tutti i passaggi della procedura, argomentando per passaggi logici, ragionamenti e per schemi, che aveva bisogno di visualizzare concretamente. Doveva creare una rappresentazione visiva della situazione, come gli avevano insegnato a fare i suoi superiori, ma questa volta organizzata logicamente secondo i nuovi strumenti teorici e di diagnosi appresi durante il corso di formazione che gli permettevano, riorganizzando le informazioni in suo possesso in un modo nuovo e guidato dalla metodologia appena appresa, di vedere “le cose con occhi nuovi” e di individuare soluzioni maggiormente efficaci. L’”urgenza” di “mettere a posto i pezzi per giungere al risultato finale era più importante dell’attesa di disporre dei mezzi adeguati e per questo si era industriato con i mezzi che possedeva in quel momento. A questa capacità, a questa modalità di mobilizzare le proprie risorse per ottenere un risultato ricercato, emersa durante l’intervista di esplicitazione, si erano associati altri atteggiamenti e capacità, altrettanto ricchi, emersi attraverso una riflessione accompagnata durante il successivo incontro individuale, non solo sulle risorse affiorate dal lavoro di verbalizzazione fatto, ma anche da un bilancio, da una valutazione del valore e del senso che tali apprendimenti avevano assunto per sé. “L’esperienza che ho scritto l’ho sentita veramente mia, sono stato proprio io il protagonista, dall’inizio alla fine. Ho assunto la mia decisione, alla fine, e all’inizio ero l’unico a crederci, ma vedevo più avanti, oltre quello che il mio responsabile riusciva a vedere”. “Posso dire che la mia vita lavorativa è nata con il corso del 2003…, fino a quel momento avevo sempre imparato sul campo, facendo diagnosi sul campo, sperimentando per prove ed errori, verificando, implementando, con quel corso ho veramente messo “a sistema” un sacco di conoscenze, come un puzzle che prendeva forma all’improvviso, tutto mi era diventato chiaro”.
  • 7. 7 Inoltre, il bisogno di M. di visualizzare i suoi ragionamenti su un formato cartaceo, si inserisce, nel suo sistema di valori, insieme a quello di “dare trasparenza alle soluzioni”, ossia di conservare la storia delle soluzioni e delle decisioni adottate che, unite ad una capacità personale di saper conservare e archiviare i materiali di lavoro, anch’esse tramandate dai suoi superiori, hanno permesso sempre, da parte del suo gruppo di lavoro, una rintracciabilità delle informazioni per poter proseguire il lavoro anche in sua assenza. Un caso fortunato, forse, accompagnare un candidato con una particolare predisposizione a lasciare tracce ed evidenze del proprio lavoro: predisposizione che si è rivelata utile anche nella situazione di dover allegare, a sostegno della compilazione della scheda di argomentazione del dossier relativa alla competenza scelta, delle evidenze che ne dimostrassero realmente il possesso; una sorpresa anche per me che, in qualità di accompagnatrice, potevo vedere e apprezzare il suo lavoro di “schizzi a getto” in un momento per M. sicuramente di “furore creativo”. FIG. 1- Evidenza della competenza “la pagina enigmistica come pagina di appunti” Conclusioni e riflessioni sull’uso della tecnica L’utilizzo della tecnica dell’intervista di Vermersch si è rivelato molto utile per accompagnare la persona durante la rievocazione e permettere: 1. alla sottoscritta, in qualità di Referente della Validazione, di far emergere una gran quantità di informazioni sull’attività svolta dal lavoratore e di impostare successivamente un adeguato intervento di supporto all’individuazione, emersione, e riconoscimento delle competenze mobilizzate durante l’esperienza portata. 2. al candidato di informarsi sul proprio lavoro, di mettere a fuoco un aspetto del proprio vissuto, prendendo coscienza della dimensione procedurale delle proprie azioni, del funzionamento nella mobilizzazione delle proprie risorse cognitive, di “mettere in atto un procedimento” condivisibile mediante la parola: un procedimento non uguale per tutti, che può essere fonte di errori e suscettibile di miglioramento, ma che aiuta ad esperire il funzionamento del proprio pensiero.
  • 8. 8 L’intervista di Vermersch si può dimostrare molto utile anche nella sua funzione formativa, perché attraverso questo strumento la persona può realmente imparare, nel caso non lo sappia fare autonomamente o incontri difficoltà a causa di una scarsa propensione alla riflessione, un modo per acquisire consapevolezza e conoscenza di attività e azioni svolte nel passato, che apparentemente ha dimenticato ma che rientrano a tutti gli effetti, tra i suoi saperi impliciti. Per questo motivo tale approccio è da ritenersi particolarmente adatto a soggetti con difficoltà di apprendimento o con un livello di scolarizzazione non elevato, anche se non è utilizzabile solo in questi ambiti. L’uso dell’intervista comunque può presentare però alcune difficoltà: - accedere all’informazione implicita, descrivere analiticamente la propria azione non è cosa abituale, poiché risulta necessario assumere un nuovo atteggiamento, che presuppone l’aiuto esterno da parte di un mediatore; - accedere all’informazione implicita si scontra con il fatto che essa non è immediatamente disponibile; si tratta infatti di una conoscenza in atto, di una conoscenza posseduta da un soggetto e testimoniata dalle sue stesse azioni, ma non concettualizzata, mai verbalizzata e perciò non conosciuta dal soggetto stesso. Una prova indiretta dell’esistenza di queste conoscenze è costituita dal fatto che colui che le applica sovente è convinto di non possederle; - gli aiuti proposti tramite i formatori, animatori, tutors sono sovente inefficaci: le loro intenzioni sono giuste (comprendere) ma i mezzi (domande di spiegazione) sono inappropriati, poiché per mirare all’implicito gli strumenti efficaci hanno un carattere indiretto. Se tali difficoltà sono superabili attraverso un uso corretto della tecnica, mi pare comunque opportuno sottolineare il possibile rischio di una perdita di senso dell’innovazione nell’assumere semplicemente la sola strumentazione avulsa dal frame teorico-metodologico che la sostiene, la cui padronanza richiede una formazione adeguata e pertinente, e dalle finalità del dispositivo di Validazione e Certificazione in cui viene utilizzata. Bibliografia Clot Y., La funzione psicologica del lavoro, Carocci, 2006. Leplat J., Regards sur l’activité en situation de travail, Paris, Ed. PUF, 1997. Pacquola C., I contributi del gruppo di lavoro italiano, in La valorizzazione dei saperi taciti. Una sfida tra presente e futuro, Rapporto finale Progetto Leonardo TOI “Au delà de la salle” Ed. Grafiche Editoriali La Press, 2010. Pacquola C., Cattaruzza E., Il riconoscimento e la certificazione degli apprendimenti non formali ed informali, la validation des acquis de l’experience, Quaderni per l’orientamento, Regione FVG, n°35, Dicembre 2009 Cattaruzza E., Pacquola C., Selvatici A., Dall’esperienza alla competenza, l’esempio del sistema francese di validazione delle acquisizioni dell’esperienza: i risultati della visita di studio CEDEFOP a Lille, 2008 Pacquola C., Selvatici A., PROGRAMMA LEONARDO 2007-2013- TRASFERIMENTO DI INNOVAZIONE: Progetto “Au delà de la salle”, Comunicazioni presentate alle sessioni parallele della Biennale della Formazione, Università degli Studi di Padova, Dicembre 2008 Vermersch P., Descrivere il lavoro, Ed. Carocci, 2011