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MYA
7
MY/A
I COMMITTENTI DELL9ARCHITETTURA
L9importanza del dialogo tra l9architetto e la committenza
teoria è prassi
GIU/2023 - No. 7
rivista semestrale
ISSN 2974-7074 10.00 ¬
MYA è contro l9egemonia delle mode, la strumentalizzazione
culturale e il capitalismo incontrollato. MYA non proporrà temi come: la luce,
la forma, la materia, i maestri, la casa, i luoghi di lavoro, la città, la rigenerazione,
la resilienza, il bosco verticale, la partecipazione o la smart city. MYA si concentrerà
su questioni meno convenzionali ma con le quali l9architetto è chiamato a confrontarsi
quotidianamente al pari della dimensione teorica.
Sei numeri in tre anni.
I COMMITTENTI
DELL9ARCHITETTURA
ARCHITETTURA E
POLITICA
GIU/2023 - No. 7
Folon
B. Munari
M. Lai
G. Capogrossi
A. Boetti
L. Fontana
GEN/2023 - No. 6
GIU/2024 - No. 9 GEN/2025 - No. 10 GIU/2025 - No. 11
GEN/2024 - No. 8
L9importanza del dialogo tra l9architetto
e la committenza
Il rapporto tra l9architetto e il potere
attraverso la politica
La gestione del progetto e del cantiere
nel confronto con le imprese, i fornitori
e gli altri progettisti coinvolti
Importanza della trasmissione del
progetto attraverso i social, le riviste,
il web, etc...
Sguardo immersivo all9interno del
luogo dove il progetto di architettura
viene coltivato
L9esperienza della professione di
architetta al femminile
ARCHITETTURA
E COMUNICAZIONE
IL MESTIERE
DELL9ARCHITETTO
L9ARCHITETTURA
È DONNA
LO STUDIO
DI ARCHITETTURA
ISBN: 979-12-5486-237-7
9 7 9 1 2 5 4 8 6 2 3 7 7
I COMMITTENTI
DELL9ARCHITETTURA
GIU/2023 - No. 7
CONSIGLIO DELL9ORDINE
Presidente
Lulghennet Teklè
Vice Presidente
Federica Fiaschi
Segretario
Irene Battiston
Tesoriere
Tommaso Caparrotti
Consiglieri
Roberto Astancolli, Giada Buti, Luca Erbaggio, Massimo Fabbri, Eliseba
Guarducci, Marcello Marchesini, Paola Tiradritti
SEGRETERIA
Addetta alla segreteria
Miriam Comelli
Realizzazione editoriale e stampa
Pacini Editore
Via Alessandro Gherardesca
56121 Ospedaletto (PI)
Foto in copertina tratta da
Copertina di un blocco per appunti della Olivetti, 1969, J. M. Folon
Finito di stampare nel mese di giugno 2023
Prezzo di copertina 10.00 ¬
Direttore scientifico e cura redazionale
Marcello Marchesini
Direttore responsabile
Francesca Petrucci
Comitato di redazione
Luca Barni
Giada Buti (coordinatrice editoriale)
David Darelli
Silvia Gamba
Luca Gambacorti (coordinatore di redazione)
Lorenzo Perri
Lucia Petrà (capo redattrice)
Comitato scientifico
Niccolò De Robertis
Pietro Gaglianò
Camilla Perrone
Pietro Savorelli
Stefania Vasta
Pamela Villoresi
Progetto grafico
Lorenzo Perri
Marcello Marchesini
Impaginazione
Eduardo Diglio
Francesca Macchioni
Responsabile social-web
Irene Battiston
Pubblicazione semestrale a cura di
Ordine degli Architetti PPC della provincia di Prato
Via Pugliesi 26, Palazzo Vaj - 59100 Prato
tel 0574.597450
e-mail architettiprato@archiworld.it
www.architettiprato.it/rivista-mya
https://issuu.com/architettiprato
MYA ha scelto di stampare la rivista utilizzando un
font helvetica corpo 10 ad alta leggibilità per dislessici e impaginare
evitando l9effetto di <affollamento=
ISBN 979-12-5486-237-7
ISSN 2974-7074
colophon
EDITORIALE
LE CRONACHE DI MYA
RUBRICHE
POST-IT
BACI E ABBRACCI
COSTRUIRE LA COMMITTENZA, ISTRUIRE L9ARCHITETTURA / Giovanni Bartolozzi
L9ARCHITETTURA NON SI COMPRA / Marcello Marchesini
AUTOARCHITETTURA. IL RUOLO DELL9AUTO-COMMITTENZA
NELL9OPERA DELLO STUDIO PEZO VON ELLRICHSHAUSEN / Marco Ferrari
IL NOSTRO LAGO. ALDO ROSSI E GLI ALESSI: UN9ARCHITETTURA DOMESTICA / Vincenzo Moschetti
CITY. MIRAGGIO URBANO NEL DESERTO DEL NEVADA / Gianmarco Dolfi
L9EDIFICIO SACRO / Marco Lamber, Don Paolo Dall9Olio
FENDI FACTORY E PIUARCH A CONFRONTO / Gino Garbellini
10
4
86
96
48
16
90
52
22
92
56
28
60
34
64
40
80
ALTRE ARCHITETTURE / a cura di Manuela Menici
LA COMMITTENZA NELL9ARTE CONTEMPORANEA
DESIGN / a cura di David Darelli
C9ERA UNA VOLTA LA COMMITTENZA
ESTERNI / a cura di Lucia Petrà, Vera Busutti
IL VERDE SI ASPETTA!
INTERNI / a cura di Silvia Gamba
KEEP CALM AND TRUST THE ARCHITECT
VEDERLA PER RACCONTARLA / a cura di Luca Gambacorti
LA CASA DEI SUOI SOGNI
L9EFFIMERO / a cura di Lorenzo Perri
TRANS-AZIONI. BREVE GLOSSARIO DI SCAMBI E MOVIMENTI
CONCORSI IN CORSO / a cura di Giada Buti
EVENTI, MOSTRE, ARTICOLI / a cura della redazione
TESTI E CONTESTI IMMERSIVI / a cura della redazione
CARTOLINA 02 / a cura di MM
CORRISPONDENZA CON LA SIG. RA COMELLI
indice
EDITORIALE
EDITORIALE
Manifesto per Olivetti, 1966-67, J. M. Folon
MYA 07 / giugno 2023
editoriale
L9ARCHITETTURA NON SI COMPRA
Il gallo leopardiano però racconta l9inesorabile
progredire costante e implacabile della vita, verso la
morte. Un pessimismo che fortunatamente non pervade
quasi mai in modo totalizzante e definitivo la creatività
dell9architetto che invece si ribella e lotta davanti alle
continue richieste e decisioni del committente.
<La costruzione di casa Müller è ancora in fase iniziale.
Il dott. Müller ha condotto Loos sul sito di costruzione
per una riunione. Loos è in piedi in mezzo a delle travi
e sta indicando un punto. 8Qui9, dice, 8è dove sarà
l9acquario illuminato con i pesci9. Nessuno lo capisce.
Il cliente vorrebbe proseguire: ci sono molte cose
importanti ancora da discutere. Ma Loos resta immobile,
impassibile, e continua: 8questo sarà il luogo prediletto
dal padrone di casa; quando rientra alla sera stanco dal
lavoro, guarderà i pesci muoversi silenziosi. Sotto la luce
delle lampade, scintilleranno in mille colori9. Il cliente è
già infastidito, ma Loos sembra non curarsene. Lui 3 il
solo che invece di assi e impalcature, vede una casa
finita 3 oggi parla unicamente di pesci luccicanti= [2].
Ma lo stesso Adolf Loos ci insegna anche che l9architetto
non può disegnare sempre tutto e imporre ogni sua
scelta, altrimenti il rischio è quello di rendere la casa
ingessata e, come nel racconto breve <A proposito
Nei grandi magazzini Marshall Field & Company
di Chicago nell9Illinois, a partire dai primi anni del
novecento, si poteva leggere lo slogan <il cliente ha
sempre ragione=. Questo luogo comune non ci ha
ancora oggi abbandonato. Ma noi, ne siamo proprio
sicuri? Ma soprattutto, nel complicato rapporto tra
cliente e architetto, chi ha il primato sul progetto?
Il quesito non è di facile soluzione e si presta alla
disamina del paradosso. Ecco allora qual9è la prima
domanda che nasce spontanea: è nato prima l9uovo
o la gallina?
Aristotele per primo, ci ha aperto un mondo sul
dibattuto tema: un uovo è una gallina in potenza e una
gallina è un uovo già sviluppato, un atto. Dato che
secondo Aristotele l9atto (la gallina) è superiore a
qualcosa che è soltanto in potenza (l9uovo), allora è
nata prima la gallina.
La scienza smentisce il pensiero filosofico con rigore
documentale affermando invece che è nato prima
l9uovo: i fossili degli antenati della gallina, figlia di rettili
preistorici, risalgono a più di 350 milioni di anni fa
mentre le prime uova di uccello sono molto più giovani
e hanno solo 200 milioni di anni. Per avere qualcosa di
simile alla nostra gallina bisogna arrivare a 50 milioni
di anni fa, quando da un embrione contenuto in un
uovo, e frutto di una nuova ricombinazione di geni,
nasce il primo animale simile a quello attuale.
I testi sacri cristiano-ebraici parlano altrettanto chiaro:
Dio ha creato prima di tutto uomini e animali e quindi
la gallina è nata prima dell9uovo!
Gallina vs Uovo 2-1. Ma nell9analogia che vede
committente e architetto a confronto, chi è l9uovo e chi
la gallina? Il paradosso, in quanto tale, suggerisce una
riflessione più profonda e assoluta e allora la seconda
domanda che nasce spontanea non può che essere la
seguente: e il gallo?
Al solito la figura dell9architetto si pone in una zona
d9ombra chiamata a fare non si sa bene cosa ma il
cui intervento risulta essere sempre determinante,
nel bene e nel male, naturalmente...ma pur sempre
decisivo, grazie o nonostante la committenza: <non
capisco perché le persone chiamano un architetto e
poi gli dicono cosa fare=. Questo il pensiero di Frank
Gehry.
Come un gallo nel pollaio l9architetto vive il suo
momento d9oro ma anche le sue frustrazioni dovute
all9ansia perenne da prestazione. Passa l9esistenza
vivendo sulle sue penne la paura dell9abbandono,
dell9oblio, del silenzio. Un gallo gigante, come quello
silvestre cantato da Leopardi nelle sue Operette
morali, che sta con i piedi per terra e tocca con la
cresta e il becco, il cielo [1].
[1] Ricorda molto la famosa citazione di Mies van der Rohe: <noi vogliamo appoggiare saldamente i piedi per terra, ma vogliamo
raggiungere con la testa le nuvole=.
[2] Cfr. Claire Beck, Adolf Loos. Un ritratto privato, Castelvecchi Editore, Roma, 2014.
Claire Beck, fotografa, nel luglio del 1929 sposa Loos, terza e sua ultima moglie. Lei, ebrea, ha venticinque anni e lui, cattoli-
co, sta per compierne sessanta. Il matrimonio dura tre anni e si conclude poco prima della morte di Loos. Il libro, che racconta
aneddoti e manie di Loos, venne pubblicato subito dopo la morte dell9architetto per finanziare la realizzazione della sua tomba,
dalla stessa famiglia Beck. Il libro è il diario conciso e toccante di quell9unione.
Marcello Marchesini
{ Architetto. Professore a contratto presso il Dipartimento di Architettura di Ferrara,
libero professionista socio fondatore studio MDU }
Il museo Guggenheim di Bilbao opera dell9architetto canadese-americano Frank O. Gehry
4 5
editoriale
A sinistra
Copertina del libro
scritto da Claire Beck,
Adolf Loos. Un ritratto
privato.
Gli Uffizi, particolare.
Progetto di Vasari e
Cosimo I dè Medici.
A destra
Particolare della
Tomba Brion: progetto
voluto da Ennio Brion
e progettato da Carlo
Scarpa.
di un povero ricco= in Parole nel vuoto, di rendere
tutto esatto, finito, completo, irrimediabilmente
immodificabile e quindi fermo.
La verità è che entrambe le due figure sono
fondamentali per iniziare e portare al termine il
miracolo dell9architettura.
Committente e architetto hanno storicamente
dimostrato come sia possibile accendere quella
scintilla particolare capace di rendere virtuoso il
progetto di architettura. Anche se potenzialmente
conflittuale, numerosi i ricorsi e gli esempi storici che
raccontano il dualismo architetto-committente: Vasari-
Medici, Giulio Romano-Gonzaga, Scarpa-Brion,
Libera-Malaparte, Mies-Farnsworth, Rossi-Alessi,
Gellner-Mattei, Zanuso-Olivetti, e molti altri esempi
ancora.
Una cosa è certa: l9architettura senza committente non
può esistere, ma senza architetto non può nascere.
Nonostante questo l9architetto ha dovuto, negli anni,
guadagnarsi la propria autonomia professionale.
QuestoèstatopossibileattraversolanascitadegliOrdini
provinciali le cui radici affondano negli anni postunitari,
quando i tecnici, sebbene non tutti d9accordo, iniziano
a discutere di tutela del titolo, concorsi, tariffe ed
esercizio della professione. Gli Ordini professionali
degli architetti nascono ufficialmente nella prima metà
degli anni venti del Novecento: nel 1923 e nel 1925
vengono infatti emanate la Legge 1395 (<Tutela del
titolo e dell9esercizio professionale degli Ingegneri e
degli Architetti=) e il Regio Decreto 2537 che, ancora
oggi sostanzialmente in vigore, istituiscono gli Ordini
fissando il loro funzionamento e l9oggetto e i limiti
delle competenze delle due professioni. Proprio in
quegli anni la componente degli architetti, sebbene
rappresentata da nomi illustri come quello di Camillo
Boito, è poco numerosa e minoritaria. È indebolita
da un percorso formativo imprigionato nel dualismo
Accademie di Belle Arti 3 Scuole di Applicazione
degli Ingegneri, che scomparirà solo nella seconda
metà degli anni venti del Novecento con la nascita
delle prime Facoltà di Architettura, la cui istituzione è
richiesta a gran voce da più di cinquant9anni.
Il 24 giugno del 1923 nasce la legge per la tutela del
titolo e dell9esercizio professionale degli ingegneri e
degli architetti. E quest9anno è, pertanto, il centenario
della nascita dell9organo costituito a difesa dei diritti
degli architetti.
L9ordine degli Architetti PPC di Prato festeggia questo
traguardo attraverso una serie di iniziative per ricordare
i 100 anni di professione dell9architetto. Il centenario
diventa l9occasione per riscoprire un secolo in cui la
storia dell9Ordine e dell9esercizio della professione si
incrociano con i progettisti, i committenti e le istituzioni
locali, con le trasformazioni della città e del paesaggio,
con le evoluzioni e i dibattiti sull9avanzamento della
cultura architettonica contemporanea.
Disegno tratto da
Olivetti 1968, J. M. Folon
LE CRONACHE DI MYA
LE CRONACHE DI MYA
saggio 01
COSTRUIRE LA COMMITTENZA,
ISTRUIRE L9ARCHITETTURA
Il rapporto tra committenza e architettura è un argomento difficile da generalizzare perchè unico e strettamente
riferito ad un contesto specifico. Si tratta di un9intesa complessa che chiama in causa una molteplicità di
fattori, umani, psicologici, economici, sociali e chiaramente politici. Nel suo trattato, il Filarete sosteneva
che un9architettura per nascere ha bisogno di un padre e di una madre: il padre è il committente e la madre
è l9architetto. Dentro questa relazione genetica, oggi resa più complessa dalle evidenti difficoltà di costruire
l9architettura, i contributi del committente e quello dell9architetto possono essere complementari e sinergici, oppure
divergenti e controproducenti, a tal punto che in alcuni casi il successo di un9opera può essere determinato quasi
esclusivamente dalla professionalità dell9architetto e talvolta dalla intransigenza del suo committente. Una serie
di casi studio più e meno noti sono utili per mettere a fuoco il rapporto tra committenza e architettura.
La casa di Curzio Malaparte a Capri (1938-40), progettata da Adalberto Libera, è sicuramente il più immediato e
discusso esempio che possiamo utilizzare: un capolavoro dell9architettura moderna, malgrado la progettazione
sia stata integralmente modificata in corso d9opera dal suo committente con scelte sostanziali non attribuibili
all9architetto. Una tra tutte l9acuminata gradonata in mattoni che conduce allo spettacolare solarium sul mare,
sfondo di numerosi set cinematografici. Ispirata al sagrato della chiesa dell9Annunziata a Lipari, la gradonata
raccorda la casa al pendio e conferisce al volume razionalista ideato da Libera un9inedita soluzione di dialogo con
il paesaggio. Malaparte seguì personalmente i lavori e personalizzò ogni dettaglio a sua immagine e somiglianza
tanto da descriverne le vicende progettuali nel saggio <Casa come me=: <I problemi da risolvere non erano pochi,
e non erano facili. A cominciare dall9orientamento poiché c9era da scegliere fra due venti, il greco e lo scirocco,
che vi battono spesso. E io preferii affrontarli col gomito, per così dire, orientando la casa con gli angoli volti a
tagliare i quattro punti cardinali. In quanto alla sua forma, essa mi era dettatav dall9andamento della roccia, dalla
sua struttura, dalla sua pendenza, dal rapporto dei suoi sessanta metri di lunghezza con i suoi dodici metri di
larghezza. La feci lunga, stretta dieci metri, lunga 54. E poiché, a un certo punto, dove la roccia si innesta al
monte, la rupe si incurva, si abbandona, formando come una specie di collo esile, io qui gettai una scalinata, che
dall9orlo superiore della terrazza scende a triangolo.=
Un altro caso che denota una vivace complicità tra committente e architetto è quello di casa Mann Borgese (1957),
una sperimentale abitazione anti-borghese progettata da Leonardo Ricci per Elisabeth Mann (1918-2002), figlia
del noto scrittore tedesco Thomas Mann. Ricci avvita tutti gli ambienti della casa intorno al doppio volume del
soggiorno proiettando i volumi all9esterno in dialettica con le asperità delle Alpi Apuane. In un articolo pubblicato
su <L9architettura Cronache e Storia=, la committente scrive: <La casa di via Raffaelli è posta nel retroterra di
Forte dei Marmi, a cinque minuti dal mare. Ci abbiamo vissuto per due stagioni. Talvolta si era in molti, ma non
sentivamo la folla. E altre volte in due o tre, e non ci sentivamo soli. Ai più giovani piacque subito. Gli anziani in
Giovanni Bartolozzi
{ Architetto. PhD e designer. Docente a contratto presso il DIDA di Firenze,
libero professionista cofondatore dello studio Fabbricanove }
principio scossero il capo, poi anch9essi le aprirono il cuore. [...] Vista da vicino, somiglia a un transatlantico pronto
a salpare per le montagne. E il suo impianto ha un tale dinamismo, che non saremmo sorpresi, infine, di scoprire un
mattino che è veramente salpata.=
Un esempio estremo è la vicenda della casa Farnsworth (1945-50), progettata da Mies van de Roche in una foresta
vicino a Plano, in Illinois, come residenza per i weekend della nefrologa Edith Farnsworth (1903-1977). Si tratta della
testimonianza di un rapporto incompiuto e conflittuale tra committente e architetto che porterà a delle conseguenze
legali, malgrado il risultato rappresenti un traguardo sotto l9aspetto tipologico. Sembra che la casa venga progettata
da Mies quasi esclusivamente come un9occasione per portare avanti la sua ricerca progettuale: una teca di vetro
immersa nel parco e sollevata su un podio. La struttura in acciaio bianca rimane all9esterno senza intralciare la purezza
dell9impianto planimetrico costituito da un rettangolo pulito, che compatta tutti i servizi in posizione baricentrica e
definisce una distribuzione perimetrale ad anello, scandita dalla sequenza aperta dei vari ambienti che si susseguono
senza alcuna separazione netta. In un9intervista la committente afferma: <La verità è che in questa casa, con le sue
quattro pareti di vetro, mi sento come un animale in agguato, sempre all9erta. Sono sempre inquieta. Anche la sera.
Mi sento come una sentinella di guardia giorno e notte.= E continua: <Non tengo un cestino della spazzatura sotto il
lavandino. Sapete perché? Perché dall9esterno si può vedere tutta la 8cucina9 arrivando dalla strada che porta qui, e
rovinerebbe l9aspetto generale di tutta la casa. [...] Mies parla del suo 8spazio libero9: ma il suo spazio è molto fisso.
[...] Ogni disposizione dei mobili diventa un grosso problema, perché la casa è trasparente, come una radiografia=.
Un ulteriore elemento d9indagine per aggredire il rapporto tra committente e architetto con un taglio più trasversale
è il documentario <Koolhaas Housewife= (2007) realizzato da Ila Beka e Louise Lemoine, che hanno letteralmente
seguito per due settimane consecutive Guadalupe Acedo, la domestica della casa progettata da Rem Koolhaas
a Bordeaux del 1998. Caratterizzato dalla piattaforma mobile, posizionata nel ventre della casa per consentire al
suo cliente, costretto su una sedia a rotelle dopo un incidente, di spostarsi da un livello all9altro della casa, questo
progetto offre lo spunto per comprendere quanto sia strategica la risposta dell9architetto rispetto ad una esigenza
specifica del committente. E9 questa una caratteristica specifica del metodo progettuale di Koolhaas incentrata nel
saper fare di necessità virtù, che fin dalle sue prime opere si manifesta attraverso un9innovativa organizzazione
del programma funzionale. Questo approccio teso ad esaltare le esigenze della committenza è stato enfatizzato
nell9ultimo ventennio dallo star system e ha prodotto numerosi progetti e architetture, a volte capolavori isolati, a volte
A sinistra: Casa Malaparte a Capri 1938-40, progetatta da Curzio Malaparte e Adalberto Libera.
Sopra: Casa Mann-Borgese a Forte dei Marmi 1857-58, progettata da Leonardo Ricci.
10 11
MYA 07 / giugno 2023
archivio
minimetro
spa
strettamente connessi al rinnovamento dei tessuti urbani.
Dentro questa cornice è interessante comprendere come si è evoluto il rapporto tra committenza e architettura al
di fuori delle esperienze straordinarie della committenza privata, muovendosi dunque tra gli ostacoli e le tortuosità
della committenza pubblica del nostro Paese. I casi studio sono numerosi e spesso riguardano piccole e medie
amministrazioni di provincia, attente al rinnovamento degli uffici tecnici, sensibili ai temi dell9architettura, intraprendenti
nella gestione amministrativa, finalizzata soprattutto all9attivazione dei giusti canali di finanziamento e al rispetto delle
loro stringenti tempistiche. Per semplicità ripercorriamo sinteticamente le vicende che hanno portato il Comune di
Perugia e il Comune di Colle Val D9Elsa ad una intensa collaborazione con Atelier Jean Nouvel, due progetti concreti,
in larga parte realizzati, che hanno avuto differenti destini.
Il progetto per il minimetrò di Perugia ha origini lontane ed è la testimonianza di una committenza pubblica virtuosa
che è rimasta unita nell9intento comune di risolvere alcuni nodi urbani con una visione strategica, al fianco di una
equipe di tecnici e architetti qualificati, con l9unico obiettivo di migliorare la qualità della vita pubblica. Sulla scia di
alcuni progetti degli anni 880 dedicati alla realizzazione dei parcheggi a corona intorno a centro storico, facendo leva
sui finanziamenti della legge 221/92 sulle infrastrutture, nel 1997, il Comune di Perugia redige uno studio di fattibilità
per un sistema di trasporto pubblico alternativo, individuando un possibile tracciato per collegare il sofferente centro
storico con la nuova area d9espansione con l9obiettivo di costruire un sistema trasversale capace di rivitalizzare il
centro e trasformare l9area di Pian di Massiano in una nuova porta d9accesso alla città. La densità dell9edificato
storico rendeva impossibile l9inserimento di un qualsiasi sistema di trasporto pubblico e la mobilità degli autobus
rendeva critico il sistema della circolazione. La soluzione tecnica si è subito indirizzata su un sistema funicolare, una
sorta di cabinovia inversa, con i cavi di trazione in basso, tecnologia resa possibile dal ridotto tracciato di circa 3 km.
Approvata la fattibilità, la pubblica amministrazione mette a punto un sistema per costruire una solida committenza
attraverso un bando che prevede l9individuazione di un socio privato che avesse la facoltà economica di contribuire
per il 30% dei costi di costruzione e di gestione. Il privato vincitore della gara è una società consortile che ha al suo
interno oltre alla capacità finanziaria anche il general contractor e lo staff tecnico, come previsto dal bando. E9 così
che si formalizza Minimetro Spa, committente dell9infrastruttura, una società partecipata che ha successivamente
mutato le percentuali in 60% pubblica e 40 % privata. Quando l9amministrazione ha la certezza di soddisfare tutti
i requisiti per accedere al finanziamento avvia un processo di coinvolgimento e dialogo con tutti gli enti coinvolti,
con l9obiettivo di perseguire la qualità su tutti gli aspetti, dal punto di vista tecnologico, ambientale, ecologico,
urbanistico e architettonico. E9 in questa fase che, a seguito di una selezione di importati nomi dell9architettura italiani
e internazionali, viene selezionato e poi incaricato Jean Nouvel, che negli stessi anni seguiva gli incarichi italiani del
Chilometro Rosso di Bergamo e della riqualificazione urbana di Colle Val D9Elsa. L9incarico prevede una revisione
generale del progetto già redatto (prima dal Comune e poi da Minimetro Spa) unitamente ad una direzione artistica
capillare da parte di Atelier Jean Nouvel che segue i progetti italiani dalla sede romana dello studio. Si tratta di un
espediente strategico che ha consentito di ottimizzare al massimo la progettazione poichè AJN interviene soltanto
in fase finale. Nouvel rivede l9intero progetto e con scelte strategiche conferisce riconoscibilità, carattere e unitarietà
a tutto l9intervento. Con il rosso bordeaux, che contraddistingue buona parte dei suoi interventi, accende il tracciato
sopraelevato del minimetrò che diviene un fil rouge urbano sempre leggibile: dentro le gallerie, all9interno delle
stazioni, tra lo skyline, la struttura sopraelevata su piloni diviene la traduzione concettuale di una linea grafica rossa
sempre in dialogo con la città. I piloni vengono trattati con una finitura grezza dai pigmenti rossastri che stabilisce
una forte appartenenza con la natura e le numerose aree a verde che il tracciato attraversa. Le stazioni vengono
concepite come elementi aperti sulla città, padiglioni sopraelevati interamente metallici, segnati da grandi coperture
13
12
MYA 07 / giugno 2023
Pagina precedente
Casa Farnsworth, Plano, Illinois 1945-50,
Mies van de Rohe.
Guadalupe Acedo, domestica della casa progettata da
Rem Koolhaas a Bordeaux nel 1998, sul set di Koolhaas
houswife, 2007.
Minimetrò di Perugia, Atelier Jean Nouvel 2002-08.
Minimetrò di Perugia, Stazione Cupa,
Atelier Jean Nouvel 2002-08.
Pagina corrente
Minimetrò di Perugia, Stazione Fontivegge,
Atelier Jean Nouvel 2002-08.
Minimetrò di Perugia, Stazione Pian di Massiano,
Atelier Jean Nouvel 2002-08.
Minimetrò di Perugia, Viadotto Parco C. Mendez,
Atelier Jean Nouvel 2002-08.
Piazza Arnolfo, Colle Val D9Elsa, 2011,
Daniel Buren con Atelier Jean Nouvel
il cui intradosso metallico riflette e propaga i colori e le atmosfere della città.
Il 7 novembre 2002 iniziano i lavori punteggiati da numerose modifiche tecniche alle parti infrastrutturali passive e
da un rapporto intenso di comunicazione con lo studio Nouvel di Roma. La committenza, consapevole dell9entità
e dell9originalità del progetto, si impegna con ogni mezzo nel perseguire le indicazioni del progetto di Nouvel con
l9unico obiettivo di perseguire la qualità con una grande attenzione al budget. Il Minimetrò di Perugia non ha soltanto
migliorato la qualità della vita, come tutti gli interventi ben riusciti, ha fatto molto di più. Ha donato la possibilità
di attraversare e vedere la città da nuovi punti di vista, da angolazioni inedite e sorprendenti, di enfatizzare la
dimensione urbana. E soprattutto di aver costruito una committenza decisa a dare un contributo alla collettività, in cui
decine e decine di persone hanno lavorato con un obiettivo comune e al fianco di un grande studio di architettura.
Colle Val D9Elsa è il fiore all9occhiello per la produzione del cristallo. La pubblica amministrazione all9inizio degli anni
890 è una delle prime a sperimentare, attraverso gli studi di fattibilità del 1990/91 e le convenzioni con la Facoltà di
Architettura di Firenze, il concetto dello sviluppo sostenibile nella pianificazione urbanistica imposta dalla legislazione
regionale.
La scelta strategica dell9amministrazione e dell9ufficio tecnico fu quella di elaborare internamente un nuovo Piano
Strutturale che recepiva le indicazioni degli studi di fattibilità, per attivare una procedura più snella su un9area di
progetto mediante Piano Attuativo e relativa progettazione architettonica. Da qui l9idea di rivolgersi ad un progettista
di fama internazionale mediante una selezione interna alla pubblica amministrazione. Furono consultati cinque studi,
Koolhass, Piano, Portzamparc, Viaplana + Pinon e Nouvel. Quest9ultimo fu entusiasta di accettare l9incarico per la
ragione che aveva scoraggiato gli altri: far precedere il progetto architettonico da un approccio urbanistico. L9area
prescelta è quella che fa da testa a piazza Arnolfo che prevedeva la dismissione del tracciato ferroviario con una
serie di interventi puntali e la riqualificazione della ex stazione attestata sulla piazza unitamente ad un intervento
che richiudesse il fronte della piazza (a destra e sinistra della stazione). Nel 1996 l9incarico viene affidato a Jean
Nouvel mediante un percorso progettuale che prevede tre fasi: la redazione dello studio di fattibilità, il successivo
Piano Attuativo e la progettazione di massima dei vari interventi puntuali (ex stazione, parcheggio, mediateca, centro
del cristallo). Non si costituisce per l9intervento una società ex-novo, fa da committente una società partecipata che
si era costituita anni prima, Colle Promozione Spa, composta per poco più del 50% dal pubblico e per la rimanente
parte da privati, tra cui la Monte dei Paschi di Siena e altri imprenditori locali. Lo studio Nouvel è presente sul luogo
e collabora attraverso uno scambio continuo con l9ufficio tecnico, Jean Nouvel in persona partecipa a due incontri
con la Soprintendenza di Siena, che alla fine non approva il progetto della ex stazione ferroviaria sulla piazza
Arnolfo, caratterizzato da un sistema continuo di pelle modificabile di colore arancione fuoco (ispirato al colore della
vicina sede del Monte dei Paschi realizzata da Giovanni Michelucci), colore del cristallo fuso. I progetti di massima
sviluppati dallo studio Nouvel per Colle Val D9Elsa hanno una gestazione complessa e non sempre sono andati a
buon fine, principalmente per motivi politici, legati ai cambi di amministrazione. Gli interventi più significativi realizzati
riguardano il parcheggio, il percorso ipogeo di accesso al centro storico ricavato all9interno di un rifugio antiaereo
con l9ascensore di risalita e la riqualificazione di via Mazzini e piazza Arnolfo. Per quest9ultima Jean Nouvel propone
all9amministrazione di attivare un9inedita collaborazione con 4 artisti, con l9obiettivo di riportare l9arte al centro della
piazza pubblica, una modalità per reinterpretare il contributo degli artisti in una forma più integrata all9architettura, per
evitare l9opera d9arte isolata o sovrapposta. Così Daniel Buren progetta la pavimentazione della piazza, Alessandra
Tesi l9illuminazione e la pavimentazione dei portici voltati sulla piazza, Lewis Baltz l9inquadramento della Gora su
via Mazzini e infine Bertrand Lavier studia il sistema delle tende per i portici della piazza utilizzando dei gradienti
di arancione, attraverso un processo partecipato di coinvolgimento degli artigiani locali per ciascuna tenda. Tutto il
lavoro viene coordinato da Jean Nouvel che esegue anche la direzione artistica.
Il cambio di giunta nel 2014 impedisce il completamento di un importante progetto per la città che aveva trovato
continuità nelle precedenti amministrazioni. Alcuni lavori avviati restano incompleti, fallisce la società Colle
Promozione Spa, insomma viene meno la committenza e rimane orfana l9architettura.
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saggio 02
AUTOARCHITETTURA
Il ruolo dell9auto-committenza nell9opera dello studio Pezo von Ellrichshausen
Marco Ferrari
L9architettura nasce dall9incontro tra componenti distinte, rappresenta un punto di contatto: più che un incrocio
tra domanda e offerta, la relazione tra committente e architetto rappresenta quel punto di equilibrio capace di
traghettare nella realtà l9impulso di un9idea. Così come la relazione tra arte/architettura, anche l9equilibrio fra le
figure protagoniste di questo rapporto (autore, committente, destinatario) si è trasformato nel tempo, assestandosi
sull9idea di una relazione biunivoca in cui il committente acquisisce il proprio status proprio in ragione del rapporto
con il progettista, il cui ruolo a sua volta risulta legittimato dalla presenza di questo interlocutore. Pertanto la
committenza non si risolve mai nella figura del cliente in sé, non è mai auto-conclusa, ma presenta invece tutte
le caratteristiche di una relazione, in cui una parte diventa elemento costitutivo dell9altra e che può arrivare ad
includere una terza figura, il destinatario finale dell9opera inteso spesso nei termini di un committente implicito.
L9auto-committenza è un9operazione che può pertanto risultare spiazzante e quasi provocatoria da un punto
di vista concettuale perché - ancora più che i self-solicited projects - annulla la distanza tra progettista e
interlocutore, mandando in cortocircuito rapporti e figure consolidate del processo architettonico. Per questo ci è
sembrato interessante approfondire come nella pratica dello studio cileno Pezo von Ellrichshausen si sia ricorsi
periodicamente all9auto-committenza all9interno del loro sviluppo professionale, costituendo sorprendentemente
una strategia ricorrente in momenti diversi della loro carriera.
POLI, il loro primo progetto e quello con cui sono riusciti contemporaneamente ad affermare e promuovere
quella poetica e quel linguaggio che andrà poi a caratterizzare la loro opera successiva, è stato direttamente
promosso dal duo di architetti, così come uno degli ultimi, LUNA. Questi due casi studio interpretano in maniera
estremamente originale il tema dell9auto-committenza, mentre CIEN costituisce un9esperienza intermedia ma per
{ Architetto. Professore a contratto presso il
Dipartimento di Architettura di Ferrara, libero professionista }
certi aspetti meno radicale, essendo stato il loro spazio di lavoro e vita per diversi anni, uno spazio inteso soprattutto
come privato.
POLI
POLI è una casa sperimentale che il duo di architetti ha realizzato sul litorale cileno vicino a Concepciòn, finanziando
direttamente la costruzione con l9idea di fornire un manifesto concreto alla loro visione. La cosa più sorprendente
è che in questo caso non hanno solo riassunto su di sé il ruolo di committente e di progettisti, ma hanno anche
sganciato quello di destinatario finale che a questo punto avrebbe potuto facilmente esservi associato (loro stessi): pur
avendola concepita e costruita, la casa è stata infatti pensata fin da subito non come loro abitazione ma come spazio
adatto a ospitare artisti o studiosi in residenza, ribaltando completamente le coordinate dei ruoli della committenza in
architettura. L9articolazione spaziale della casa risente di questa concezione:
<El edificio debía responder a un doble uso - vivienda y centro cultural -; para ello se diseña un grueso
muro perimetral que alberga el programa de servicio, dejando en medio una serie de espacios sin una
función específica.= [1]
POLI si situa quindi a metà strada tra uno spazio abitativo e una galleria espositiva: gli spazi di servizio si ritraggono
nelle cavità perimetrali e scompaiono protetti da pannelli scorrevoli in continuità con il rivestimento interno,
permettendo una grande varietà di configurazioni. Gli spazi a doppia altezza, basati su un raumplan aperto e libero di
operare con frequenti cambi di quota, sono sospesi tra l9essere stanze o sale e foyer, e le grandi aperture distribuite
Pagina precedente
Pezo von Ellrichshausen, Olio su tela di Casa Luna.
Pagina corrente
Pezo von Ellrichshausen, Assonometria di Casa Poli.
Pezo von Ellrichshausen, Olio su tela di Casa Luna.
Pagine successive
Pezo von Ellrichshausen, Interno di Casa Poli.
Jesus Granada, Interno di Casa Luna.
saggio 02 MYA 07 / giugno 2023
in maniera indifferenziata sulle murature perimetrali contribuiscono a trasformare l9edificio in un meccanismo
scenico che risuona con l9ambiente circostante e va a costituire un diaframma permeabile e sensibile ai
cambiamenti di illuminazione. Operato questo primo scatto, lanciata la loro proposta architettonica con questo
progetto, la committenza è divenuta una possibilità: da POLI sono nate una serie di altre commissioni questa
volta tradizionali nella logica, ma i cui esiti sono rimasti estremamente coerenti nel portare avanti una ricerca che
si era già materializzata. Avendo visto il loro linguaggio infatti, i clienti interessati al loro tipo di proposta hanno
iniziato a rivolgersi allo studio, favorendo di fatto la prosecuzione della loro poetica. Un rapporto come quello di
committenza, che viene spesso visto come un qualcosa basato sulla restrizione, il compromesso o al massimo
l9equilibrio, ha finito quindi per trasformarsi in uno strumento di auto-realizzazione e in termini di coerenza e libertà
espressiva è un po9 come se tutti gli altri progetti portassero infatti il segno di un9auto-commissione. Ogni opera
successiva ha mantenuto la traccia della ricerca intrapresa con POLI, permettendo di sviluppare l9autorialità dello
studio senza condizionamenti o limitazioni significative. La negazione della committenza esterna nel caso di POLI
è stata quindi lo spunto che ha portato 3 paradossalmente - a una successiva esaltazione della stessa e a una
sua piena efficacia/coerenza.
LUNA
LUNA, realizzata nel 2021, è invece <un edificio grande e piccolo= [2] situato ai piedi delle Ande. Il complesso
evoca l9immagine di un convento: un quadrato diviso da una croce asimmetrica formato da dodici differenti volumi
in calcestruzzo - abitazioni, spazi di lavoro, spazi di esposizione - disposti lungo il perimetro e al suo interno,
che definiscono quattro corti diverse fra loro. Si tratta della terza e ultima auto-committenza dello studio cileno e
viene definita dagli autori stessi come ciò che completa <un progetto triangolare, sia romantico che intimo, iniziato
venti anni fa con POLI e poi proseguito con CIEN= [3]. LUNA unisce infatti il concetto di casa/centro culturale di
POLI e quello di casa/studio di CIEN: contiene gli spazi più intimi della vita privata, ma anche quelli di lavoro,
di esposizione, e proietta quelli futuri di centro culturale. Nonostante costituisca anche la residenza attuale dei
progettisti, alla base del progetto risiede infatti l9intenzione di trasformare il sito in un luogo aperto al pubblico, un
luogo che sia punto di incontro fra cultura e natura con il fine di esaltare e tutelare la foresta nativa attraverso
l9edificio e i due padiglioni aggiuntivi:
<We are developing a cultural institution, named Artificial Foundation, to allow the three places to be open
to the public, and to leave the native forest as a protected natural reserve.= [4]
Di nuovo un9auto-committenza 8estroversa9, che non si chiude su sé stessa ma che viene invece presentata come
un9occasione di apertura all9esterno, per realizzare uno spazio di incontro e relazione tanto con il paesaggio
circostante quanto con una comunità di abitanti/frequentatori possibili. La realizzazione del progetto è un dono
a sé stessi e alle proprie idee, ma una volta completato l9edificio il suo utilizzo non viene vincolato o ristretto ma
anzi costituisce un9occasione ulteriore per l9architettura di offrirsi ad altri. La coesistenza e la sovrapposizione
[1] AA.VV., Pezo von Ellrichshausen. Abstracción geométrica, AV Monografias, n.199, 2017.
[2] AA.VV., Pezo Von Ellrichshausen, 2005 2022, El Croquis, n.214, 2022.
[3] Luna somehow completes a triangular project, both romantic and intimate, that we initiated 20 years ago with POLI and
then continued with CIEN., tratto da https://www.dezeen.com/2023/05/06/luna-house-pezo-von-ellrichshausen/.
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saggio 02
di queste dimensioni di pubblico e privato si ritrovano nell9architettura stessa: non c9è quasi distinzione fra le
abitazioni private e gli atelier di lavoro, certi angoli appaiono intimi e segreti mentre altri monumentali. Pubblico e
domestico si affiancano e si ibridano in una coabitazione segreta, in una convivenza spiazzante che si vivacizza
e vive di questa dinamica.
LUNA conferma così la possibilità di una architettura che evolve e si potenzia coerentemente con le proprie prime
intuizioni, e anzi le rafforza trovando di nuovo vita, dopo POLI e CIEN, in un progetto promosso e sostenuto
autonomamente dal duo di architetti. L9auto-committenza è divenuto uno strumento di ricerca oltre che una forma
di espressione, capace di promuovere una originale miscela e coesione di spazi pubblici e privati all9interno di
un9opera che al tempo stesso mostra la sempre più inconfondibile caratterizzazione a cui è giunta la proposta
architettonica dello studio. Contrariamente ai concorsi, l9auto-committenza è vista infatti come parte di una forma
più riflessiva e ragionata di fare architettura, per uno studio che intende ogni opera come parte di un unico e
costante processo, insieme di <variazioni dello stesso approccio=:
<Pensamos que la arquitectura es una carrera de larga distancia, casi una maratón, al contrario de lo que
dejaría traslucir una práctica centrada en los concursos, esa suerte de esprint continuo. Así que preferimos
entender los proyectos como parte de unico y constante 8experimento mental9, como variaciones de una
misma manera de hacer, de una misma actitud.= [5]
<La arquitectura es un servicio para otros pero también lo es para uno mismo.= [6]
L9architetto pensa di dovere sempre aspettare qualcuno o qualche occasione, ma lo studio cileno ha dimostrato
che in qualche caso è possibile invertire lo sguardo e farsi promotori della propria opera, senza per questo
escludere una possibilità di fruizione o di utilizzo più ampia:
È infatti in questa frase estrapolata da un9intervista a Mauricio Pezo e Sofia Von Ellrichshausen che si racchiude
la tesi fondante di questo testo, ovvero che ogni forma di committenza per 8riuscire9 davvero debba trovare
il giusto equilibrio di forze fra le figure che fanno parte dell9architettura, inserendo sempre una parte di sé e
l9espressione dei propri valori architettonici ma garantendo anche uno spazio per la partecipazione/fruizione
degli altri. Non sempre chiaramente un progetto si può risolvere in un9auto-committenza, ma all9opposto
neanche la committenza dovrebbe rappresentare un processo finito, chiuso e passivo, trovando invece la
possibilità di includere e di essere parte, stimolare e promuovere un processo continuo di crescita e ricerca.
[4] ibid.
[5] AA.VV., Pezo Von Ellrichshausen 2005 2022, El Croquis, n.214, 2022.
[6] https://www.archdaily.cl/cl/913590/sofia-von-ellrichshausen-la-representacion-tiene-que-ver-con-como-les-atribuimos-un-sig-
nificado-a-las-cosas-que-nos-rodean
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Aldo Rossi e gli Alessi: un9architettura domestica
saggio 03
IL NOSTRO LAGO
Una lettera datata 27 luglio 1994, conservata presso il Centro Archivi del Museo nazionale delle arti del XXI
secolo di Roma, ricorda il rapporto intenso tra Aldo Rossi e Alberto Alessi. Le parole sono sostenute da uno
sfondo, quello del lago, per saldare i termini di una relazione che nell9architettura e nel design trova la sua forma
tangibile. Questo testo non ripercorrerà i sentieri di un9attività progettuale e intellettuale che diede corpo a oggetti
come la caffettiera La Conica, l9orologio Momento e altri [2], quanto la coesione tra due figure che intorno al lago,
il loro lago, progettarono architetture.
Intorno al lago
Del resto, è proprio accanto al lago che le vite dei due protagonisti si sono incrociate, più precisamente tra il
principale lago Maggiore e quelli d9Orta 3 ancora sede dell9Alessi Factory Store 3 e di Mergozzo protagonista della
nota immagine Palm tree by the lake [3] più volte citata da Rossi. È lo stesso Alberto Alessi a sostenere le ragioni
di un rapporto intenso che con l9ambiente del lago ha costruito nel tempo spazi, fissando immagini:
«Anche io ho molta voglia di vederti e di combinare la nostra (da lungo prevista) cena al lago.
Certamente non è il momento (anche il <nostro lago= sembra cambiato) ma penso che sarà possibile
incontrarci a fine agosto e settembre.
Ciao. Buone vacanze
Aldo» [1]
Vincenzo Moschetti
{ Architetto. Dipartimento di Architettura e Progetto - Sapienza Università di Roma }
«Aldo Rossi era un laghista come me, amava ritirarsi a meditare e scrivere in una vecchia casa di famiglia
sul Lago di Mergozzo, e questo ha facilitato i nostri primi rapporti nella primavera del 1980. Ha disegnato
alcuni degli oggetti più rappresentativi degli anni Ottanta [...] e questo facendo design come un hobby,
attratto sempre dalla sua amata architettura costruita...» [4]
[1] Lettera di Aldo Rossi ad Alberto Alessi, Milano 27 luglio 1994.
Fondo Aldo Rossi, Centro Archivi del Museo nazionale delle arti del XXI secolo di Roma.
[2] Si rimanda al libro C. Spangaro (a cura di), Aldo Rossi. Design 1960-1997, catalogo ragionato,
Silvana editoriale, Cinisello Balsamo 2022.
[3] La foto scattata da Gianni Braghieri compare già all9interno dell9Autobiografia scientifica (edizione americana, 1981),
per poi divenire l9immagine principale della copertina dell9edizione italiana (1990).
[4] A. Alessi, La fabbrica dei sogni. Alessi dal 1921, Electa, Milano 1998, p. 52.
All9interno della biografia dell9architetto è manifesta la sua attitudine laghista, ovvero questo essere cresciuto sulle rive
di uno specchio, come era quello di Como, grazie alla frequenza degli studi superiori presso il Collegio arcivescovile
<Alessandro Volta= di Lecco.
Quel mondo che in Autobiografia scientifica viene descritto come «il mondo borghese delle ville sul lago, i corridoi del
collegio, le grandi cucine della campagna [&] ricordi di un paesaggio manzoniano che si disfava nella città. Ma questo
insistere sulle cose mi svelava un mestiere. Lo ricercavo nella storia, lo traducevo nella mia storia [&]. Mi sembra
oramai sufficiente fermare gli oggetti, capirli, riproporli; il razionalismo è necessario come l9ordine, ma qualsiasi
ordine può essere sconvolto da fatti esterni, di origine storica, geologica, psicologica. Il tempo dell9architettura non
era più nella sua duplice natura di luce e ombra o di invecchiamento delle cose, ma si proponeva come un tempo
disastroso che riprende le cose.» [5]
È in questo tempo disastroso, quello che riprende le cose, che il testo intende indagare il rapporto tra committenza
e autore nella verifica progettuale della Villa Alessi a Suna di Verbania (1989-1995).
Dentro un progetto domestico
Nel 1989 viene affidato ad Aldo Rossi l9incarico per la villa della famiglia Alessi da costruirsi lungo le rive del lago
Maggiore all9interno di un9area occupa da un9altra villa di poco valore architettonico. Molti degli appunti inerenti al
processo di indagine progettuale 3 conservati per la maggior parte presso il Canadian Centre for Architecture (CCA)
di Montréal [6] 3 evidenziano gli interrogativi di partenza. L9edificio esistente, infatti, occupando l9ipotetico centro
geometrico dell9area trapezoidale delimitata a nord da via Paolo Troubetzkoy e a sud dalla line di costa del lago,
sottolineava la necessità di intervenire nello stesso punto. Due furono gli interrogativi di partenza documentati proprio
nell9Aldo Rossi fonds del CCA: procedere alla demolizione e quindi sostituire l9edificio esistente con uno ex-novo,
oppure procedere a una massiccia <ristrutturazione= che potesse riutilizzare le parti già costruite inserendole in una
nuova dimensione spaziale?
Foto di Aldo Rossi con al polso l9orologio Momento firmato Alessi. [10]
[5] A. Rossi, Autobiografia scientifica, Pratiche, Parma 1990, p. 22;
ed. or. A Scientific Autobiography, The MIT Press, Cambridge MA 3 London 1981.
[6] Si fa riferimento all9Aldo Rossi fonds, Reference Number AP142, Canadian Centre for Architecture, Montréal.
In particolare si veda il progetto archiviato con la dicitura <Ristrutturazione Casa Alessi, Verbania, Italy=, R.N. AP142.S1.D151.
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saggio 03 MYA 07 / giugno 2023
L9autore, di concerto con la committenza, scelse di procedere secondo quest9ultima opportunità utilizzando lo
scheletro esistente, quelle <ossa= care a Rossi, e di lavorare su nuovi sistemi narrativi a partire dalla facciata. La
relazione di progetto indica come la villa ricostruisca figure narrative, riproponga elementi dell9architettura, ritorni
nel luogo del lago attraverso ricordi e citazioni per aggiornare storie.
«La villa sorge sui resti di una casa del dopoguerra quasi totalmente distrutta. Rimane il vecchio muro
del giardino che sarà in parte restaurato e consolidato. L9architettura della villa ha per me un interesse
particolare perché, per la prima volta, mi è stato possibile ispirarmi, e in qualche modo imitare, lo stile
romantico. Di questo stile, che unisce i caratteri locali con elementi classici o storici, il lago Maggiore
e il lago di Como (come altre località lombarde) presentano esempi molto belli. [&] Se l9impianto di
questa casa è assolutamente libero e personale, l9uso di queste citazioni stilistiche lega intimamente la
costruzione all9ambiente.
Vi è in questo una personale autobiografica citazione per la mia educazione lacustre, ma anche la
ricerca delle diverse vie che l9architettura può percorrere oggi nelle differenti situazioni o luoghi in cui si
realizza.»[7]
Sotto e pagina successiva
Villa della famiglia Alessi sul Lago Maggiore. [10]
In un lago che sembra cambiato, si ricorda nella lettera indirizzata ad Alberto Alessi nel 1994, Rossi procede nella
direzione di aggiornare il palinsesto proponendo immagini del quotidiano, similmente a quelle che nell9officina di
Omegna vengono ancor oggi prodotte in piccola scala.
La descrizione di Scheurer evidenzia la complessità di un sistema che ragiona sulle diverse dimensioni del progetto:
quella dell9oggetto, quella umana, quella urbana e quella territoriale dettata dal lago.
«L9organizzazione della casa su quattro livelli origina di per sé la creazione di mondi a sé stanti, uniti e
separati. Paradossalmente si vive in una grande casa formata da quattro case indipendenti, la sensazione
è molto particolare poiché in ogni luogo si controllano gli spazi ad esso limitrofi dimenticando il resto della
casa, ma allo stesso tempo, si è sempre in rapporto con il lago. Dietro la facciata tripartita in cotto, la cui
monumentalità si relaziona con l9intorno, si aprono ad ogni livello le vetrate dei locali principali. Troviamo
in questo caso un connubio tra scala urbana e scala umana inatteso ma molto efficace. Troviamo al livello
strada il mondo della vita quotidiana che con ingresso, pranzo, soggiorno si rapporta direttamente con gli
ospiti. Il livello lago crea invece un rapporto più intimo tra casa e lago, tra soggiorno e lago e giardino. La
folta vegetazione e gli alti muri di recinzione ci rapportano direttamente e intimamente con il lago posto
di fronte. La zona notte si sviluppa su due livelli superiori; al primo si colloca la grande camera, all9ultimo,
caratterizzato dalla volta della copertura si dispongono tre camere minori.» [8]
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saggio 03
Contornata da un grande giardino, la villa si appropria del terreno generando un terrazzamento come accesso
principale allo spazio domestico. All9interno quattro distinti livelli sottolineano la diversità della vita per ricordarci i
tempi e i momenti di ogni fase della giornata.
Una variazione che è tuttavia tenuta insieme da un grande corpo scenico, quello della facciata verso il lago che,
come a Venezia, si rivolge verso l9acqua invece che verso la strada di accesso.
Una loggia tripartita segnala l9esistenza dei livelli interni.
È un9ossatura definita da un sistema di pilastri poligonali in calcestruzzo rivestiti in cotto e completati da una
<trabeazione= continua a decorazione dei solai in aggetto rispetto all9interno. È questo il punto di massima tensione
dell9intera composizione dove, grazie al posizionamento di un sistema di balaustre, si ritrova metaforicamente il
legame tra le due figure: quella dell9architetto e quella del committente. Secondo tale operazione l9autore utilizza
«elementi, parti finite, vere e proprie architetture 3 come 3 grammatica scelta di architettura ben precisa» [9] in
grado di supportare la complessità della costruzione insistendo in un processo di addizione secondo un9azione
prevista.
La loggia sostiene l9apparato di forature insistendo sui singoli elementi e la loro essenza, un aspetto che
Rossi importa nel verbano alla desiderata mistificazione di una costruzione lontana, di un teatro vuoto dove è
prevista la sola azione dello sguardo borghese e dove la struttura rappresenta il simbolo maggiore dello spazio
dell9architettura.
Quelle balaustre, infatti, indicano il ritorno a un sistema di <piccole cose=, a quella tradizione artigiana che Aldo
Rossi rimpianta nell9ambiente lacustre, come il suo committente Alessi, per ricordare a noi osservatori e agli
abitanti quanto la vita, a volte, sorpassi il mero significato della costruzione stessa foraggiando l9architettura di
questioni non verificabili con il solo dato tecnico o con il cantiere.
[7] Relazione di progetto, in M. Petranzan (a cura di) con la collaborazione di M. Scheurer e
L. Tadde, Aldo Rossi. Villa sul lago Maggiore. Progetto di villa con intero, il Cardo, Venezia 1996, p. 17.
[8] M. Scheurer, Le vie parallele, in Ivi, p. 64.
[9] A. Rossi, I quaderni azzurri: 1968-1992, a cura di F. Dal Co, Electa-The Getty Research Institute,
Milano-Los Angeles 1999, Q/A 4, 26 gennaio-30 dicembre 1970.
[10] Tutte le immagini scelte sono state selezionate dalla redazione della rivista MYA.
A destra
Villa della famiglia Alessi sul Lago Maggiore, interni. [10]
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Miraggio urbano nel deserto del Nevada
progetto 01
CITY
Secondo un pensiero comune, si è soliti paragonare: <il committente al padre di un progetto mentre l9architetto
alla madre=. Dato per vero tale assunto, saremmo costretti a considerare l9ultima opera di Michael Heizer come
un atto di ermafroditismo sufficiente (autofecondazione) o, meglio ancora, un esempio di partenogenesi (dal
greco nascita-verginale). Infatti proprio come nel caso del fuco all9interno dell9 alveare, che ha una madre ma
non un padre, nel mezzo del deserto del Nevada ha visto la luce, dopo 50 anni di lavori, una delle opere di land
art più ambiziose mai costruite al mondo, sognata, immaginata, progettata, realizzata e in parte finanziata dalla
solita persona. Si chiama <City=, e già dal nome si intuisce che l9intervento ha molti più punti in comune con la
fondazione di un antico insediamento urbano che con un9opera d9arte contemporanea.
Gianmarco Dolfi
{ Architetto. Libero Professionista }
Visitabile già a partire dal 2 settembre dello scorso anno, solo in caso di bel tempo, su prenotazione per un massimo
di sei fortunati visitatori, tassativamente senza alcun accompagnamento guidato.
Con i suoi 2.5km di lunghezza per meno di 1km di larghezza, occupa un9ampissima parte di territorio desertico,
ambiente che condivide con la limitrofa base aeronautica e un sito dismesso per i test nucleari.
La scultura appare come un paesaggio antropico, modellato da dolci pendii, depressioni fluide e linee sinuose che
ne delineano i contorni, alternati a ripidi e massicci terrapieni.
L9intervento è caratterizzato da uso programmatico di materiali elementari, primitivi, come: terra battuta, sabbia,
pietra e cemento che Heizer ha estratto e mescolato sul posto.
L9uso di materie povere è una precauzione strategica in vista di una futura e, secondo l9autore inevitabile, agitazione
sociale: <Quando verranno qui per distruggere la mia scultura 8City9, si renderanno conto che ci vuole più energia per
rovinarla di quanto non valga=. In questo senso appare chiaro come l9opera sia già una rovina di se stessa, con la
prospettiva di sopravvivere all9umanità e al tempo.
Dal profilo di questo scenario lunare emergono massicci volumi geometrici, simili a monumenti ancestrali, con chiari
richiami alle antiche culture pre-colombiane e ai loro templi mesoamericani, ma possono essere avvicinati a tutte le
grandi civiltà antiche data l9estrema essenzialità formale e la potenza simbolica.
Si oscilla costantemente tra la sensazione di trovarsi di fronte ai resti di un9antica civiltà perfettamente conservata e
una città aliena disabitata, sospesi nel tempo. Sicuramente l9alone di mistero che ha ammantato l9intera area durante
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progetto 01 MYA 07 / giugno 2023
tutto il periodo di costruzione ha giocato un ruolo chiave nella mitizzazione dell9opera, tanto da essere paragonata
alla leggendaria Area51. Si racconta di alcuni curiosi scacciati in modi poco ortodossi e di pellicole strappate dalle
macchine fotografiche.
Sono stati necessari cinque decenni di lavori, a partire dal 1972, periodo in cui Michael Heizer ha iniziato ad acquistare
ampie porzioni di terreno desertico con l9idea di poterlo trasformare, un giorno, in un9opera i cui unici termini di
paragone appropriati possono essere le stupefacenti linee di Nazca o i misteriosi geoglifi di Turgai.
Mastodontico anche per quanto riguarda le risorse messe in gioco, i 5 decenni di lavori sono costati secondo le stime
40 milioni di dollari.
Il coinvolgimento da parte del carismatico autore è stato assoluto, Heizer ha vissuto infatti gran parte degli ultimi 50
anni in un ranch remoto del Nevada, praticamente isolato dalla civiltà.
Oggi Heizer vive a New York e si lamenta di come la città lo stia trasformando in <Un cowboy decaffeinato, esaurito,
un ex pistola veloce che pranza a Balthazar=.
<City= lo ha segnato in ogni aspetto della propria vita, ne ha compromesso la salute fisica e mentale: problemi respiratori
e circolatori, dipendenza da morfina, polineuropatia forse causata da un9eccessiva esposizione a sostanze tossiche,
ustioni dovute a incendi; minato la vita privata (due le relazioni naufragate durante la costruzione) e prosciugato le
finanze. <Il mio lavoro, se è buono, deve comportare un rischio, se non lo fa, non ha sapore. Non ha sale.=
Sebbene Heizer sia stato il primo a credere nel progetto, sono molte le persone e gli enti che durante il corso dei lavori
si sono impegnate economicamente per far sì che l9opera potesse essere completata. La Triple Aught Foundation è
l9organizzazione no profit, oggi proprietaria del sito, fondata appositamente per gestire gli investimenti di donatori e
istituzioni tra cui: Crystal Bridges Museum of American Art (Bentonville, Arkansas); Dia Art Foundation (New York);
Museo Glenstone (Potomac, Maryland); Lannan Foundation (New Mexico); il Los Angeles County Museum of Art; il
Museum of Modern Art di New York.
Tutto questo rende <City= un fenomeno anomalo, un esempio prezioso di come un progetto possa nascere in
condizioni eccezionali. Ovviamente l9intera vicenda rappresenta un caso limite, un unicum, lontano dalla professione
che l9architetto è chiamato a svolgere abitualmente, ma forse, proprio per questo, illuminante riguardo al rapporto
con la committenza.
Heizer è l9unico autore, primo e ultimo generatore della propria visione, si appropria del ruolo del committente e
relega tutti gli enti partecipanti alla funzione di meri investitori.
<City=, come detto inizialmente, è un9opera nata senza alcun padre, uno scenario spesso auspicato, forse invidiato, da
ciascun progettista che si sia trovato a fare i conti con clienti poco illuminati, non sempre in grado di rappresentare un
valore aggiunto per il progetto. Forse una condizione non così insolita per gli artisti, la cui idea può permettersi il lusso
di dover rispondere solo a se stessa, di non snaturarsi, come invece spesso accade in architettura, dove lo sviluppo
dell9idea è innescato dall9evoluzione dialettica fra le due parti. Alla luce di casi come questo, senza addentrarci nella
dibattuta distinzione fra arte e architettura, la figura del committente rischia di uscirne ridimensionata.
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progetto 02 MYA 07 / giugno 2023
L9EDIFICIO SACRO
Marco Lamber, Don Paolo Dall9Olio
{ Architetto. Titolare dello studio LAMBER + LAMBER
Parroco della Nuova Chiesa del Buon Ladrone, San Lazzaro di Savena, Bologna }
Il Vaticano è, da sempre, uno dei più importanti committenti che la storia dell9architettura ricordi. Partendo da
un esempio realizzato recentemente a Bologna si apre la possibilità per fare una riflessione allargata legata al
rapporto tra la committenza e l9architetto chiamato a realizzare una chiesa.
La Chiesa del Buon Ladrone
A San Lazzaro di Savena, in provincia di Bologna, il team di giovani architetti composto da INOUTarchitettura,
LADO architetti e LAMBER + LAMBER, hanno progettato la nuova Chiesa del Buon Ladrone. Il progetto del nuovo
spazio sacro nasce da un processo, fortemente partecipato e condiviso con l9intera comunità, iniziato nel 2010.
Partendo dall9immagine archetipa di chiesa, il progetto ricerca un9architettura priva di virtuosismi, essenziale nei
tratti e d9immediata comprensibilità: sobria, solenne, ma non monumentale, immagine di una mistica quotidianità.
Il messaggio di liberazione e riscatto, legato alla figura del Buon Ladrone, è rafforzato dalla scelta di coinvolgere
il carcere La Dozza di Bologna per l9inserimento di alcuni detenuti (a fine pena e a seguito di un periodo di
formazione) nella fase costruttiva e realizzativa del complesso stesso. Un progetto dunque di architettura e
sociale in grado di generare un nuovo polo di aggregazione per i fedeli e non solo.
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progetto 02
Committenza e architetti dialogano
Il rapporto tra committenza e progettisti nel caso della costruzione di una chiesa va oltre a quello che dovrebbe
accadere in ogni altro caso: rispetto nel riconoscimento dei rispettivi ruoli, chiarezza e dialettica costruttiva anche
quando c9è qualcosa che in qualche modo non risponde alle aspettative reciproche.
E questo per un primo motivo: la committenza non è una persona o una società, ma una comunità che in
quell9edificio sacro vivrà snodi esistenziali decisivi: battesimi, e funerali, passaggi di crescita dei figli, matrimoni,
e, soprattutto, il sentirsi comunità.
Ed i progettisti stessi vivono l9ideazione e la realizzazione di quell9edificio in modo forse differente da qualsiasi altro
progetto: per un architetto o un ingegnere costruire una chiesa è un9opportunità umanamente e professionalmente
sfidante, arricchente e, onestamente, anche piuttosto rara.
Continuo ad usare il plurale perché si è trattato di quattro architetti giovani compagni di studi, tre uomini ed una
donna, di una donna ingegnere con qualche anno in più di esperienza, di un architetto senior. Anche questa
pluralità di soggetti, di età, di genere, è fondamentale per creare un dialogo costruttivo con la committenza.
In questa prima direzione abbiamo pensato una prassi partecipativa che ha permesso da una parte alla comunità
parrocchiale di maturare consapevolmente le sue scelte, dall9altra ai progettisti di mostrare con competenza e
fantasia come rendere effettive tali scelte.
Ciò è avvenuto a più riprese: nella scelta stessa dei progettisti, nella scelta del layout dell9aula liturgica (attraverso
tre successive domeniche in cui tutta la comunità parrocchiale ha sperimentato e votato disposizioni differenti
dei fuochi liturgici e dell9assemblea), nel modo con cui il nuovo complesso parrocchiale si sarebbe inserito nel
contesto urbanistico, nell9indicazione analitica del tipo di uso futuro e delle conseguenti aspettative funzionali che
ha permesso ai progettisti degli impianti elettrico e meccanico di avere ben chiare le esigenze concrete, e, ultimo
ma non ultimo, nella scelta degli artisti che avrebbero realizzato il crocifisso e il grande affresco.
Di aiuto è stato anche l9inserimento, per richiesta dell9Ufficio CEI per l9Edilizia di Culto, di un RUP esterno al gruppo
dei progettisti: ciò ha permesso di superare alcune difficoltà che inevitabilmente emergono nella realizzazione di
un9opera di tale importanza.
Ma c9è un secondo motivo per cui il rapporto tra progettisti e committenza nella realizzazione di una chiesa va
oltre a ciò che accade in tanti altri casi. Questi due soggetti infatti non sono preoccupati soltanto delle esigenze
di funzionalità, economicità ed una generale piacevolezza estetica dell9edificio costruito: sono anche custodi
di due linguaggi simbolici, rispettivamente quello dell9architettura e quello della vita di fede. Quella chiesa non
dovrà solo conquistarsi il consenso di chi passerà davanti ad essa o entrerà quando è vuota (e già questo non
è semplice: quante volte abbiamo sentito l9uomo o la donna comune affermare <a me le chiese moderne non
piacciono, non si capisce neanche che è una chiesa=), ma soprattutto sarà lo scenario attivo in cui la comunità
celebrerà il rito liturgico, che è un grande complesso di azioni simboliche. Non dovrà soltanto essere <bella= ma
anche far sì che la celebrazione liturgica in essa vissuta <funzioni= nel rendere presente il Signore Gesù crocifisso
e risorto, nella memoria della pasqua e nella partecipazione attiva del popolo di Dio. Le parole con cui i progettisti
hanno descritto l9edificio - soglia alta e soglia bassa, senso del mistero e accoglienza familiare, uso attento dei
due soli elementi materici del legno e della selenite e tutto il resto scandito dalla luce e dalle ombre - non sono
un saccente esercizio di stile ma sono il frutto della ricerca per la quale con il linguaggio simbolico architettonico
hanno saputo interpretare ed esaltare il linguaggio simbolico della fede. E quando si parla di linguaggi simbolici
si tratta sempre di mantenersi in equilibrio per non essere né didascalici né criptici: cioè da una parte non finire
per descrivere tutto annientando la forza evocativa del simbolo, che fa vivere un9esperienza senza dire tutto, e,
dall9altra, non cadere nella tentazione di adottare riferimenti a tutti i costi originali, che forse solleticano lo stupore di
chi pensa alla chiesa come un monumento ma che non <arrivano= a chi la chiesa la vive, perché troppo nascosti e
complicati, annientando anche in questo caso la capacità evocativa di comunicare. Se, così mi sembra, nella chiesa
di San Disma siamo riusciti a mantenere questo equilibrio è perché ciascuno di noi, committenza e progettisti, è stato
custode della simbolicità del proprio linguaggio e si è fidato della capacità dell9altro di far fiorire la capacità espressiva
del suo linguaggio.
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MYA 07 / giugno 2023
progetto 02
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Maison Fendi e PIUARCH a confronto
progetto 03
FENDI FACTORY
Gino Garbellini
{ Architetto. Socio fondatore dello studio di architettura milanese PIUARCH }
Lo studio milanese ha collaborato con la Maison Fendi ideando un9architettura che scompare all9interno del
paesaggio ponendosi in dialogo aperto con la natura circostante.
Un giardino sospeso che risana un9antica frattura del territorio e ricompone l9andamento collinare del sito in cui è
inserito. Così si presenta il nuovo edificio produttivo Fendi a Bagno a Ripoli (FI), il cui concept di progetto è stato
ideato e sviluppato dallo studio milanese Piuarch e successivamente proseguito e coordinato dall9Architecture
Department di Fendi.
Un complesso di circa 14.000 mq che sorge nella campagna toscana, concepito sulla base di elevati criteri
paesaggistici e alta efficienza energetica, nato dalla volontà della Maison di coniugare l9eccellenza del proprio
prodotto con la realizzazione di un segno architettonico di grande valore estetico ed ambientale.
Una richiesta interpretata da Piuarch attraverso un progetto che diventa parte integrante del paesaggio anzichè
un innesto.
A partire da un approccio innovativo, lo studio ha progettato un edificio che si sviluppa orizzontalmente su un unico
livello componendo una forma libera in quanto determinata dalle necessità del processo produttivo. La funzionalità
degli spazi diventa quindi il principio compositivo della pianta che combina diverse funzioni, fondendole in percorsi
fluidi che lo attraversano orizzontalmente.
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MYA 07 / giugno 2023
progetto 03
Una <spina dorsale= di collegamento fra gli spazi, dalle pareti trasparenti, mette anche visivamente in connessione
le diverse funzioni e promuove la circolazione e la socializzazione delle persone.
Il complesso ospita uffici direzionali e amministrativi, un ristorante, un magazzino di produzione, laboratori e una
scuola di alta pelletteria, con l9obiettivo di esprimere appieno l9eccezionale qualità e gli alti standard del luxury
brand.
Il concept di progetto, definito in fase preliminare insieme al paesaggista Antonio Perazzi, ha come obiettivo di
definire le condizioni per una rinnovata collaborazione tra architettura e ambiente. Le caratteristiche del luogo,
segnato dalle logiche di sfruttamento dell9industria laterizia e della cava precedentemente attiva sul lotto, hanno
infatti richiesto un intervento di risanamento e suggerito l9opportunità di interpretare la realizzazione del complesso
produttivo come occasione per instaurare virtuose dinamiche di gestione del territorio.
L9architettura si pone così in un dialogo aperto con la natura circostante: l9edificio, apparentemente ipogeo grazie
alla scelta paesaggistica di realizzare una copertura a verde continuo ed intensivo, diventa un sistema ecologico
integrato che ricostruisce la morfologia del terreno e restituisce forma alla collina originaria.
Un vasto giardino pensile che riveste una funzione non solo ambientale ma anche sociale e collettiva, diventando
spazio fruibile e luogo di socializzazione per i dipendenti.
<L9idea è stata quella di ricostruire un paesaggio naturale attraverso un9architettura che scompare all9interno del
paesaggio stesso. Quando un progetto di architettura è anche un progetto di paesaggio, la simbiosi con l9ambiente
si sviluppa in modo naturale=, afferma Gino Garbellini, socio dello studio Piuarch.
La copertura verde, scavata da patii che ne interrompono la continuità e illuminano gli spazi interni, emerge così
come landmark del progetto.
Un segno che estende l9identità e la funzione della nuova sede produttiva al territorio circostante, con il quale
stabilisce un inedito sistema di equilibri: areazione e luce naturale, utilizzo di materiali che richiamano i colori del
luogo, pareti esterne e interne trasparenti, garantiscono uno scambio visivo e fisico, quasi osmotico, tra ambiente
artificiale e naturale, tra interno ed esterno.
Dal tetto verde, ai cortili, al parco industriale che lo circonda, l9idea è stata quella di trasformare l9intero lotto in un
giardino nuovo ed esteso, ponendosi inoltre come obiettivo il miglioramento della qualità degli spazi di lavoro, per
sottolineare quella che il committente indica come priorità del proprio operare: l9impegno per una sempre maggiore
responsabilità verso ambiente e società.
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MYA 07 / giugno 2023
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Manifesto istituzionale per Olivetti, 1969, J. M. Folon
RUBRICHE
RUBRICHE
altre architetture
LA COMMITTENZA NELL9ARTE
CONTEMPORANEA
Manuela Menici
{ Artista. }
C9è ancora qualcuno che pensa all9artista come a qualcuno che opera in totale autonomia e senza nessun tipo di
vincolo o compromesso? Se è così vediamo insieme perché è tutto molto più complesso.
Se da un lato è innegabile che ogni artista persegua una sua ricerca fatta di studio, prove, fallimenti, la sua
crescita avviene anche e soprattutto attraverso le esperienze, gli incontri; molto spesso è attraverso il confronto
con altri artisti, siano essi amici e persone vicine o artisti del passato e contemporanei con i quali si confronta
attraverso la conoscenza e l9approfondimento delle loro opere.
Altre figure che interagiscono e in qualche modo influenzano il percorso di un artista sono curatori, critici, galleristi,
collezionisti, committenti. Non è inusuale che, ad esempio, da un9idea di mostra di un curatore, l9artista venga
invitato a produrre un9opera. Ormai è tutto molto <fluido=, i vari protagonisti dell9arte contemporanea sono tutti
partecipi a quel processo creativo che da9 vita all9opera, insieme ci si interroga, si riflette su un tema e chi scrive
54° Biennale d9Arte di Venezia, Padiglione Italia-Accademie, 2011.
il testo critico quanto chi realizza l9opera è parte della genesi dell9evento, della mostra.
All9inizio del mio percorso, nella Prato di fine anni 890, è stato un mercante il mio primo committente, il famoso e
famigerato Carlo Palli. Fu Massimo Barzagli, artista che all9epoca aveva già una carriera importante alle spalle, a
presentarmelo. Insieme a Costanza Turchi (oggi Clotilde), Gerardo Paoletti, Federico Gori, Piergiorgio De Pinto,
Marino Ceccarelli avevamo affittato il nostro primo studio in un capannone in centro, in via Puccetti, di fronte alla
Fabbrica Campolmi, oggi sededel Museo del Tessuto e della Biblioteca Lazzerini.
Frequentavamo ancora l9Accademia di Belle Arti ed eravamo all9inizio della nostra ricerca artistica; personalmente mi
dedicavo alla pittura, i miei primi lavori si rifacevano all9espressionismo astratto alla De Kooning e in parte alla Pattern
and Decoration nonché ad un quadro di Lari Pittman, che avevo visto all9interno della mostra <Sunshine & Noir= al
Castello di Rivoli a Torino, e che mi aveva profondamente influenzato.
Carlo Palli, sempre recettivo e curioso nei confronti degli artisti del territorio, iniziò a frequentare il nostro studio e a
seguirci nelle nostre prime mostre ed esposizioni; dopo breve tempo ci offrì uno <stipendio= mensile in cambio delle
opere che creavamo.
Credo si possa a pieno titolo parlare di committenza perché, questo suo credere in noi e supportarci, ci ha permesso
per i primi anni di vivere del nostro lavoro. Se invece rifletto sulla mia ultima esposizione personale, posso dire
che, a partire dalla <committenza=, in questo caso l9architetto Luca Gambacorti, si sono innescate tutta una serie di
possibilità e ipotesi che certo non avrei potuto sviluppare da sola nel mio studio.
Nel mese di novembre 2022 Luca mi chiama per propormi una mostra da inaugurare il mese successivo nello spazio
MOO Mud Object Oriented in via San Giorgio 9 a Prato.
Aitanti Cantieri Culturali, Ex Macelli, Prato, 1999.
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altre architetture
Il tempo era davvero poco ma il desiderio di far rivivere lo spazio, rimasto chiuso per un periodo a causa
dell9emergenza Covid, nonché la possibilità di lavorare di nuovo insieme sono stati motivi sufficienti per farmi
mettere al lavoro.
Luca Sposato ha scritto il testo per la mostra ed è uno di quei casi in cui si vanno a moltiplicare i livelli di lettura del
lavoro. Insieme ci siamo incontrati nello spazio vuoto della galleria e attraverso il dialogo è nata l9idea di ricreare
all9interno dello spazio non una vera e propria mostra, ma una cosa più intima, una sorta di studio-casa dell9artista,
fatto non solo di opere ma anche di mobili, oggetti, fotografie, ricordi. Il titolo della mostra <Casa nomade= rimanda
sia al mio errare per case (ne ho cambiate una decina in vent9anni) sia al luogo di creazione per l9artista che è sì
lo studio ma anche il luogo dove l9opera prende vita: sia esso il museo, la galleria ma anche la casa.
La mostra è stata un lavoro corale, non la sento solo mia, la sento nostra, non avrei potuto progettarla a tavolino
dallo studio, è nata dal confronto, dal dialogo, dai dubbi, dalle divergenze. Non so se è corretto parlare di
committenza in casi come questo, ma sono certa che per quanto mi riguarda vorrei sempre lavorare così, l9opera
non è qualcosa di univoco, cambia a seconda di come viene esposta, raccontata, fruita.
Pagina precedente
Constellation, La democrazia del corpo, Cango, Fi, 2004.
Back to black, Spazio Moretti, Carmignano, 2011.
Sopra
MOO - Casa Nomade, Prato, 2022
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{ Architetto. Libero professionista }
MYA 07 / giugno 2023
design
C9ERA UNA VOLTA LA COMMITTENZA
Il processo costruttivo sia esso edilizio, attraverso un linguaggio di elementi architettonici, o di realizzazione di
un oggetto o un arredo, attraverso il design del prodotto, è sempre stato complesso poiché coinvolge persone,
tecniche e risorse economiche, aspetti che devono necessariamente interagire fra di loro per far si che un9idea
iniziale si trasformi in qualcosa di concreto. Tra le tante figure in gioco quella del committente e quella dell9architetto
progettista rappresentano i due capisaldi del processo; il primo è il <promotore= di un9idea , di un9ambizione e
spesso ne è anche il finanziatore; l9altro invece è < l9interprete= di quella volontà iniziale che con il suo estro cerca
di trasformare un concetto in qualcosa di reale , meglio se allo stesso tempo bello e funzionale.
Il rapporto tra queste due figure non è stato sempre idilliaco , talvolta conflittuale, in quanto devono coesistere
esigenze tecniche, estetiche ed economiche provenienti da visioni a volte concordanti altre volte discordanti. Tale
rapporto è risultato essere in vari casi <simbiotico= in quanto il connubio di esperienze provenienti da mondi diversi
ha prevalso sulle singole individualità per creare una unità di intenti volta alla concretizzazione dell9opera. Negli
anni la committenza è cambiata in funzione dell9epoca e delle necessità.
Si può notare che fin dall9antichità, passando poi dal medioevo al rinascimento e fino al 1900, la cosiddetta
<committenza illuminata= con le proprie ambizioni, desideri e risorse economiche ha prodotto attraverso il <sapiente
intervento= dei progettisti ed architetti del tempo, quali interpreti delle loro ambizioni, opere d9arte, monumenti ed
oggetti di notevole splendore che sono rimasti fino ai giorni nostri.
David Darelli
A sinistra
Ritratto di Carlo
Andrea Ignazio
Ginori.
Ritratto di Carlo
Alessi.
A destra
Ritratto di
Adriano Olivetti.
Gli architetti e designer d9altro canto hanno avuto la possibilità di esprimersi e mette in luce il proprio talento diventando
talvolta celebri per le proprie opere.
Possiamo dire senz9altro che in passato, dall9unione e dall9interazione reciproca tra queste due figure, unita al gusto
estetico del < bello e ben fatto < nell9armonia delle parti, hanno prodotto risultati eccellenti.
Tale concetto si è perso via via con l9avvento della tecnica e dell9industria, creando così un contrasto tra <costruzione=
e <architettura=; la prima basata sull9organizzazione razionale e funzionale degli elementi, esaltando la sobrietà con
attenzione ai costi, la seconda invece basata sull9equilibrio armonico delle parti , che mette in risalto invece il valore
estetico ed artistico.
Questa tendenza si è vista in particolar modo nel design con una conseguente perdita del saper fare artigianale a
favore della standardizzazione industriale che tendeva ad uniformare gli oggetti fra di loro a scapito delle peculiarità
che li contraddistinguevano.
Pertanto già nei primi decenni del 9009 è nata l9esigenza di alcuni grandi produttori di oggetti di arredo e design, di
affidare la progettazione all9estro di grandi figure di spicco ed architetti famosi che con la loro <conoscenza= hanno
saputo creare un9armonia tra la parte funzionale e quella estetica.
Tra i tanti committenti illustri, dei quali potremmo fare un lunghissimo elenco, possiamo citarne alcuni esempi: lo <stile
Olivetti= nato dal suo fondatore che diffuse questa cultura in ogni fase della vita aziendale affidando al progetto e al
suo design un ruolo centrale quando ancora in Italia non si erano formate vere e proprie scuole di design. Questo
stile non si limitava a creare solo un bel vestito estetico ai suoi oggetti ma a lavorare in stretto contatto con i progettisti
per dare un senso ad ogni forma, sia da un punto di vista comunicativo che funzionale ed economico, in modo da
mettere l9utilizzatore a proprio agio.
Già nel 1912 il fondatore Camillo Olivetti scriveva < la macchina da scrivere non deve essere un gingillo da salotto
con ornamenti di gusto discutibile, ma deve avere un aspetto serio ed elegante al tempo stesso=.
Con Adriano si concretizzò maggiormente lo stile Olivetti e la collaborazione con scrittori, architetti e grafici in una
ricerca continua nel design; egli diceva <dobbiamo fare bene le cose e farle sapere= ovvero le scelte estetiche hanno
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lo stesso valore di quelle tecnologiche, la bellezza della forma con il suo design comunica la realtà dell9azienda.
Questo personaggio non ha rappresentato solo < il committente= ma un ideatore che ha influito decisamente
sull9architettura italiana e sul design, sintesi di una visione imprenditoriale , sociale ,politica e culturale.
Il concetto di bellezza non era fine a se stesso, non aveva senso produrre oggetti perfetti esteriormente
trascurando i bisogni concreti ed il sacrificio della qualità della vita ma doveva diventare un benessere per tutti. Il
ciclo della bellezza dello stile Olivetti passava quindi dall9 attenzione agli aspetti sociali, allo spazio di lavoro e alle
progettazione delle= belle fabbriche= fino al dettaglio dell9oggetto visto come opera d9arte.
Tra i personaggi che hanno lavorato per Olivetti vi sono stati , per citarne alcuni, nel design Marcello Nizzoli (con
la famosa lettera 22), Ettore Sottsass, Mario Bellini, nella progettazione delle grandi fabbriche Figini, Gardella,
Zanuso fino a Carlo Scarpa con lo showroom di Piazza San Marco a Venezia.
Un altro illustre committente è Alessi, azienda artigiana fondata nel 1921 da Giovanni e Carlo Alessi, nata come
laboratorio metallurgico con fonderia e9 diventata un9importantissima manifattura, una delle cosiddette <fabbriche
del design italiano=.
A partire dagli anni 70 con Alberto Alessi è iniziata una fitta collaborazione con i più grandi architetti e designer
come Castiglioni, Sottsass, Mendini, Sapper, Aldo Rossi fino al più recente Philippe Starck.
La filosofia di Alessi è stata quella di rendere i prodotti dell9azienda , il risultato di una ricerca poetica ed espressiva
tipica dell9attività di un laboratorio artigianale di arti applicate, con l9obiettivo, come lo era stato le <Arts and Craft=
nell9800 , di riqualificare artisticamente la produzione seriale e di affidare così alla progettazione un ruolo vitale
che avrebbe affermato l9eccellenza dei prodotti; possiamo citare ad esempio ilconcetto di opera d9arte applicata
ad un pezzo di produzione industriale con la Caffettiera <La conica= del 1983 e <La cupola= del 1988 di Aldo Rossi.
Altro esempio di successo del connubio tra committenza e architetto progettista, in quello scambio di esperienze
pratiche e relazionali è quello tra Giò Ponti, allora giovane architetto milanese di ottime prospettive ma non
ancora consacrato nel panorama artistico italiano, e la Richard-Ginori, manifattura già blasonata che aveva
bisogno di una nuova linfa creativa.Nel 1923, dall9incontro tra <l9uomo= e <l9azienda= nasce una sinergia che ha
anticipato lo sviluppo del design in Italia. Per Giò Ponti la manifattura diviene prima del successo, un luogo di
formazione attraverso il quale matura esperienza nell9industria e nelle arti decorative, in particolare negli oggetti di
arredo domestico, un9avventura che lo ha portato poi e trovare la sua vocazione nella creazioni di uno stile identitario
inconfondibile.
Egli ridisegnava in chiave moderna motivi della tradizione e dell9archeologia dell9architettura e rappresentando al
meglio quell9assonanza armonica tra la progettazione artistica e produzione industriale.
Tuttavia, se da un lato abbiamo avuto in passato grandi esempi dell9ottimo funzionamento del rapporto tra committente
<promotore <e l9architetto < interprete ed ideatore,= da cui entrambi hanno tratto giovamento e successo, oggi questo
rapporto è diventato sempre meno diretto e personale, perdendo quelle molteplici prospettive che però arricchivano di
esperienza le visioni di entrambi; è venuto sempre meno quel rapporto fiduciario e di rispetto professionale, un tempo
basato su certi valori, e quanto più scendiamo di scala dalle grandi aziende alle piccole realtà, la figura dell9architetto
< sognatore e realizzatore di grandi idee= si è sempre di più persa fino a diventare uno dei tanti <esecutori= di richieste
e necessità, dove pretese, costi contenuti e tempi serrati fanno da padroni.
Negli ultimi anni infatti questa tendenza sembra sbilanciarsi sempre di più verso la necessità da parte dei committenti
e produttori di rispettare logiche di mercato e marketing aziendali, estremizzando il concetto di <product design=,
spostandosi dalla progettazione di prodotti belli e funzionali verso esigenze economiche e tecniche che soddisfano
sempre di più gli innumerevoli bisogni degli utenti finali.
La produzione di oggetti si è pertanto moltiplicata a dismisura, basata su innumerevoli richieste, su parametri
economici, su trend di moda e sullo spiccato accento verso l9aspetto esteriore delle cose.
La progettazione pertanto si è adeguata a questi sistemi e si sta spostando addirittura sempre di più verso processi
<parametrici= e l9utilizzo di software garantiscono effetti immediati e mutevoli facilmente, a scapito di un processo
<pensato e studiato a misura=, portando il progettista lontano dall9aspetto poetico e talvolta visionario dell9architetto
del passato, che aveva sempre avuto un occhio attendo verso l9equilibrio armonico tra forma e funzione.
Si determina quindi anche una spersonalizzazione del rapporto con il committente che in molti casi non è più diretto
con una singola persona ma è rappresentato da grandi società o compagnie di investimenti; l9interazione
del professionista non avviene più con il <soggetto promotore= originario artefice di grandi visioni, con la sua spiccata
personalità, ma con un moltiplicarsi di figure intermedie gestionali che si occupano di garantire l9ottemperamento dei
requisiti prefissati, divenuti di gran lunga più importanti dei valori personali e culturali del singolo individuo.
Si amplifica così il divario tra i pochi architetti di successo che <impreziosiscono= i brand delle importanti aziende ed
un pluralità di <tecnici= che quotidianamente devono sfornare soluzioni economiche e redditizie per questo mercato
globale, a scapito delle proprie peculiarità e della professionalità delle singole figure.
design
Ritratto di Ennio Brion con Ettore Sottsass. Ritratto di Papa Giulio II, Tiziano Vecellio, 1545 ca.
Ritratto di Enrico Mattei con Edoardo Gellner.
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{ Architetto. Libero professionista }
KEEP CALM AND TRUST THE ARCHITECT
interni
Quella del progettista è una professione molto complessa, con problematiche da affrontare a 360°: L9architetto
deve saperne di statica, di composizione, di storia dell9arte, deve gestire i rapporti con le amministrazioni pubbliche,
con l9impresa costruttrice etc ... ma innanzitutto deve saperne di ...committenza.
La figura dell9 Interior designer (o progettista di interni) è quella di un tecnico con una preparazione orientata alla
progettazione accurata degli interni, residenziali e non. Da un equilibrato rapporto tra le necessità del committente
e le idee del progettista può nascere un ambiente unico che rappresenterà lo stile di vita di chi lo occuperà ed al
contempo rispecchiare il periodo storico che lo accompagnerà. In questa difficile lettura della contemporaneità si
intersecano più discipline: psicologia, architettura, filosofia, sociologia; per osservare ed interpretare da diversi
punti di vista ciò che accade.
Fondamentale è l9esigenza di applicare la psicologia. Le problematiche insorgono già nello stadio preliminare
del processo perché i clienti, spesso impreparati, arrivano con aspettative irrealistiche in merito all9intervento di
ristrutturazione, inoltre la routine di chi sta ristrutturando non è la normale routine.
Il soggiorno potrebbe essersi momentaneamente trasformato in una camera da letto. C9è polvere ovunque. Le
cose sono fuori posto. La ristrutturazione è di per sé un evento stressante e i proprietari di casa reagiscono con
più o meno irritabilità, ansia, nervosismo; e quando qualcosa va storto 3 un ritardo, una modifica imprevista 3 gli
animi possono talvolta scaldarsi eccessivamente.
Come comportarsi per evitare tensioni, litigi, stress? Chiarezza ed empatia sono le parole chiave per instaurare
fin da subito un rapporto di fiducia e fare luce sull9iter da seguire. L9 ascolto della persona, dei suoi bisogni e dei
suoi sogni, stanno alla base di un progetto di interior design.
Nel processo di ristrutturazione domestica la figura che risulta spesso più difficile da coinvolgere è quella maschile.
Il rapporto con il Committente,
si basa sulla fiducia, si
connota in senso personale e
sociale, ed è aspettativa di un
comportamento corretto
e cooperativo basato
su standard e regole
comunemente condivise.
Tale aspettativa si fonda
sulla conoscenza diretta del
professionista, ma anche e
soprattutto sull9affidabilità della
categoria alla quale appartiene.
Silvia Gamba
Il rapporto con il Commitente,
si basa sulla oducia, si
connota in senso personale e
sociale, ed è aspeta}va
di un comportamento correto
e coopera}vo basato su
standard e regole
comunemente condivise. Tale
aspeta}va
si fonda sulla conoscenza
direta del professionista,
ma anche e sopratuto
sull9aodabilità della categoria
alla quale appar}ene.
Quella del progettista è una professione molto complessa, con problematiche da
affrontare a 360°: L'architetto deve saperne di statica, di composizione, di storia
dell'arte, deve gestire i rapporti con le amministrazioni pubbliche, con l9impresa
costruttrice etc ... ma innanzitutto deve saperne di ...committenza.
La figura dell9 Interior designer (o progettista di interni) è quella di un tecnico con una
preparazione orientata alla progettazione accurata degli interni, residenziali e non. Da
un equilibrato rapporto tra le necessità del committente e le idee del progettista può
nascere un ambiente unico che rappresenterà lo stile di vita di chi lo occuperà ed al
contempo rispecchiare il periodo storico che lo accompagnerà.
In questa difficile lettura della contemporaneità si intersecano più discipline: psicologia,
architettura, filosofia, sociologia; per osservare ed interpretare da diversi punti di vista
ciò che accade.
Fondamentale è l9esigenza di applicare la psicologia. Le problematiche insorgono già
nello stadio preliminare del processo perché i clienti, spesso impreparati, arrivano con
aspettative irrealistiche in merito all9intervento di ristrutturazione, inoltre la routine di chi
sta ristrutturando non è la normale routine. Il soggiorno potrebbe essersi
momentaneamente trasformato in una camera da letto. C9è polvere ovunque. Le cose
sono fuori posto. La ristrutturazione è di per sé un evento stressante e i proprietari di
casa reagiscono con più o meno irritabilità, ansia, nervosismo; e quando qualcosa va
storto 3 un ritardo, una modifica imprevista 3 gli animi possono talvolta scaldarsi
eccessivamente. Come comportarsi per evitare tensioni, litigi, stress?
Chiarezza ed empatia sono le parole chiave per instaurare fin da subito un rapporto di
fiducia e fare luce sull9iter da seguire. L9 ascolto della persona, dei suoi bisogni e dei suoi
Solitamente davanti all9architetto arriva una donna, con le idee ben chiare in testa, magari con le foto ispiratrici
quanto irrealistiche di Instagram o Pinterest da mostrare, mentre il partner si eclissa, asseconda e non si pronuncia.
Probabilmente questo si verifica per i preconcetti socio-culturale del genere maschile e femminile e per l9associazione
stereotipata che lo spazio domestico è donna.
E9 importante che la coppia sia coinvolta pienamente nel processo decisionale. Il problema si può risolvere con un
ascolto più attento del progettista che coinvolga gli uomini in modo attivo, che sentendosi liberi di esprimere desideri
e bisogni contribuiscono a costruire una progettazione condivisa che davvero si avvicina alla soluzione ideale per
tutta la famiglia. Arredare è un9arte complessa, bisogna capire il carattere delle persone, le loro esigenze, passioni
e paure. Oggi è fondamentale progettare e guardare in modo nuovo agli spazi perché contemporaneamente anche
le famiglie stanno subendo delle trasformazioniimportanti, non ci sono più solo famiglie tradizionali, ma anche le
cosidette <nuove famiglie= che comprendono tutte le forme di convivenza possibile.
Si tratta di determinare quanto un architetto sia in grado di intendere le richieste del cliente (e tradurle in spazio
abitabile) e soprattutto quanto questo architetto sia in grado di educare il cliente nel breve tempo a disposizione- per
metterlo in condizione di comprendere di cosa abbia bisogno e quali servizi riceverà dal professionista.
È una questione di equilibrio e di sinergia con i committenti. Quando c9è sinergia vuol dire che c9è ascolto reciproco
e con l9ascolto reciproco c9è la fiducia.
La sinergia che si crea con il committente, rappresenta la differenza tra la prestazione professionale che si tramuta in
un bel progetto e il semplice acquisto di beni materiali o di servizi commerciali. Gli ostacoli più complicati nel rapporto
tra committente e progettista sono tre: il committente non capisce cosa fa il progettista; l9architetto è avvertito come
un costo; il lavoro dell9architetto è sottovalutato.
Errori che dipendono da una mancanza di comprensione dei propri ruoli e compiti. Un altro errore da parte del
Cliente, è quello di considerare l9architetto capace di comprenderne i suoi desiderata, come se questo avesse la
sfera di cristallo, oppure di considerarlo né più ne meno che uno stilista al quale affidare, senza riserve, l9immagine
della propria casa. Ecco allora che il progetto può diventare uno spazio stereotipato o troppo di tendenza o da rivista;
la casa diventa così un prodotto e non un progetto, il prodotto del tutto bianco, del tutto vintage o del tutto industrial
, o la casa dove, sull9altare dell9open space e del loft, vengono mortificati spazi e funzioni che, invece, derivano da
usanze e comportamenti secolari. Ed allora come impostare correttamente un rapporto che è professionale, ma che
al suointerno deve essere fatto di sincerità, di dialogo, confidenza e, anche, di complicità?
Innanzitutto instaurando un rapporto di reciproca fiducia iniziando a conoscere i clienti vistando la casa in cui vivono
per capire a cosa sono abituati e quali sono le nuove esigenze da sviluppare, informando il cliente sui suoi diritti e sui
suoi doveri, rendergli consapevoli che sono i veri protagonisti della trasformazione, far comprendere al cliente che
l9architetto si occupa del progetto come processo e non del progetto come prodotto.
Non ultimo e da non sottovalutare consapevolizzarli sul rapporto economico tra Committente e professionista. Il
rapporto più delicato per il progettista è probabilmente proprio quest9ultimo.
<L9architetto è l9unico professionista che accetta ancora di lavorare <navigando a vista=. Non c9è nessun9altra
professione che io conosca in cui un professionista lavora senza prima firmare un contratto di qualche genere. In
architettura le cose sono diverse: il cliente prima vuole un9«idea», e chiede all9architetto un progetto di massima; egli
non vuole impegnarsi da subito e l9architetto da parte sua non vuole metterlo sotto pressione. Il gioco può andare
avanti anche per molto tempo: il cliente ritiene, in assenza di contratto, di poter annullare il rapporto quando vuole,
mentre l9architetto spera di avere una buona chance di ottenere la commissione dopo tutto il lavoro che ha già fatto
per il committente.= (Hannes Pflaum dello studio legale Pflaum Karlberger Wiener Opetnik di Vienna).
56 57
interni
Ma con l9accanita concorrenza tra professionisti, nessun architetto può permettersi di lasciarsi scappare clienti.
Tuttavia vi sono almeno 2 categorie di clienti che possono compromettere gravemente il benessere fisico e
mentale dell9architetto e a cui sottrarsi!
1. L9ansioso: Il cliente ansioso è uno dei più insidiosi perché può trascinare l9architetto verso la dissociazione della
personalità. L9ansioso telefona ad ogni ora del giorno ed ad ogni giorno della settimana per modificare le decisioni
prese fino a quel momento, (non ci sono giorno di riposo per l9architetto!). L9ansioso non delega, è insicuro, la
bassa autostima lo rende incapace di compiere scelte ed assumersi dei rischi.
L9ansioso con i suoi innumerevoli dubbi mina le certezze dell9architetto che iniziano a vacillare in attesa delle
scelte che non arrivano mai, perché l9ansioso è anche pavido. L9 ansioso non da mai una conferma per paura
di commettere degli errori per cui, ad esempio, l9ordine di un pavimento può protrarsi per mesi, con opzioni
preoccupanti verso il parquet, la resina o il marmo.
Provocano indicibile sgomento le oscillazioni su questioni che incidono anche sulle tempistiche di cantiere ad
esempio tra la tazza di gabinetto con scarico a parete o a terra, le rubinetterie a placcatura dorata o cromata,
le spine elettriche nel soggiorno, la carta da parati o la tinteggiatura, la cucina con l9isola o la penisola, ecc. Il
quadro peggiora se l9ansioso è accompagnato da una compagna ansiosa (o viceversa), con questa congiuntura
la realizzazione del progetto può trasformarsi in un incubo.
2. L9avaro: Il cliente avaro ha difficoltà con gli stati di avanzamento, ma non perché indigente, solo per avarizia o
per sottostima del lavoro dell9architetto, che di solito derubrica a <...quei due disegnini!=.
La caratteristica principale dell9avaro è l9ostentazione del lusso personale, di solito, durante la ristrutturazione,
sfoggia sempre un nuovo smartphone o una nuova macchina o il viaggio alle Maldive. Ma l9onorario dell9architetto
è sempre esagerato, e non di poco, è sempre almeno il triplo di quello che lui <si aspettava=. Fa salti mortali e
adopera insidie e lusinghe
per farsi concedere uno sconto. Poi promette all9architetto che salderà al più presto. Di solito le promesse si
accumulano così come gli acconti in arretrato. Il saldo della notula comporterà un lavoro gravoso ben più più
faticoso della realizzazione del progetto!
Casa ispirata all9Art Decò. Casa per vacanze.
Sopra
Casa minimalista.
A sinistra
Design organico.
IL VERDE SI ASPETTA!
esterni
Intervista a Vera Busutti [1]
MYA 07 / giugno 2023
LP Architetto paesaggista e committenza. Un rapporto semplice? Quali sono le criticità peculiari quando
si devono progettare e realizzare < spazi verdi=?
VB I committenti sono necessari e il progetto è desiderio. La storia dell9architettura e dell9arte sono da sempre
segnate dalla presenza di committenti importanti, personaggi capaci di scegliere il loro architetto, di offrirgli una
visione, di seguirlo nell9evoluzione del progetto, contrastandolo quando necessario ma comunque rispettandolo,
come si fa con un compagno di viaggio. Lo ammetto, ho sognato in diverse occasioni di poter a meno, di poter
progettare senza compromessi senza piegare l9estetica delle proprie idee alla dura realtà del: <si, ma dove metto
il tappeto elastico con diametro 5 metri?=. Ricordo con tenerezza i tempi dei progetti che non lasciavano mai la
carta, esaltanti esercizi di stile dove nessuno avrebbe mai cercato di infilare un barbecue in stile vernacolare o
un olivo secolare meglio se pacciamato con chips di vetro blu cangiante. La realtà è che committente e architetto
sono necessari l9uno all9altro e legati, per il tempo che li vede dividere un obiettivo, in un matrimonio necessario
e spesso conflittuale. Il cliente ideale trasmette le proprie esigenze, ingaggia chi meglio può interpretare la
propria personalità e si aspetta una sapiente e coerente interpretazione stilistica e funzionale tramite le capacità
e l9estro del progettista. Il risultato dovrebbe essere un paesaggio che sia espressione della personalità di chi lo
Lucia Petrà
{ Architetta. Libero Professionista }
[1] L9architetta Lucia Petrà in ascolto dell9architetta paesaggista Vera Busutti (B SCAPE studio di architettura del paesaggio).
ha commissionato ma anche un tassello in un quadro più ampio, di un9aspirazione collettiva di percezione del bello,
di piacevolezza che si traduce in qualità di vita e armonia. In questo il paesaggista dovrebbe essere messo nelle
condizioni di offrire la sua cultura, la sua visione e le proprie competenze.
LP E i committenti riescono, una volta deciso di affidarsi ad un professionista, quindi si presuppone un
esperto, ad affidarsi e farsi condurre in questo non scontato viaggio dall9idea alla sua realizzazione?
VB Devo ammettere che gli incontri fortunati sono sempre più rari e credo che la responsabilità sia, oltre a molteplici
fattori storici ed economici, della velocità che i tempi moderni ci impongono, della mancanza di pazienza e del
mancato riconoscimento dei rispettivi ruoli che portano a una progressiva mancanza di fiducia e di interesse reciproco.
Indossando per un attimo i panni della paesaggista cinica, mi concedo di pensare ai miei clienti, salvo meritevoli
e indimenticabili eccezioni, come a esseri mitologici sfuggenti e mutevoli. Misteriosi abitanti di un 8bestiario9 che
genera mille combinazioni di un essere che cambia forma al progredire delle fasi progettuali e del cantiere. Il primo
è Il sognatore, quello che che mi racconta di paradisi terrestri pieni di sorprese, con boschi e radure e che vede
infrangersi le proprie ambizioni di fronte ad un disegno in scala dove entra solo un tavolino. Il sognatore di solito si
dissolve definitivamente di fronte alle dure e spesso incomprensibili, norme dei regolamenti comunali. Allo svanire
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MY/A n.7 –  I Committenti dell’Architettura
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MY/A n.7 – I Committenti dell’Architettura

  • 1. MYA 7 MY/A I COMMITTENTI DELL9ARCHITETTURA L9importanza del dialogo tra l9architetto e la committenza teoria è prassi GIU/2023 - No. 7 rivista semestrale ISSN 2974-7074 10.00 ¬ MYA è contro l9egemonia delle mode, la strumentalizzazione culturale e il capitalismo incontrollato. MYA non proporrà temi come: la luce, la forma, la materia, i maestri, la casa, i luoghi di lavoro, la città, la rigenerazione, la resilienza, il bosco verticale, la partecipazione o la smart city. MYA si concentrerà su questioni meno convenzionali ma con le quali l9architetto è chiamato a confrontarsi quotidianamente al pari della dimensione teorica. Sei numeri in tre anni. I COMMITTENTI DELL9ARCHITETTURA ARCHITETTURA E POLITICA GIU/2023 - No. 7 Folon B. Munari M. Lai G. Capogrossi A. Boetti L. Fontana GEN/2023 - No. 6 GIU/2024 - No. 9 GEN/2025 - No. 10 GIU/2025 - No. 11 GEN/2024 - No. 8 L9importanza del dialogo tra l9architetto e la committenza Il rapporto tra l9architetto e il potere attraverso la politica La gestione del progetto e del cantiere nel confronto con le imprese, i fornitori e gli altri progettisti coinvolti Importanza della trasmissione del progetto attraverso i social, le riviste, il web, etc... Sguardo immersivo all9interno del luogo dove il progetto di architettura viene coltivato L9esperienza della professione di architetta al femminile ARCHITETTURA E COMUNICAZIONE IL MESTIERE DELL9ARCHITETTO L9ARCHITETTURA È DONNA LO STUDIO DI ARCHITETTURA ISBN: 979-12-5486-237-7 9 7 9 1 2 5 4 8 6 2 3 7 7
  • 2. I COMMITTENTI DELL9ARCHITETTURA GIU/2023 - No. 7 CONSIGLIO DELL9ORDINE Presidente Lulghennet Teklè Vice Presidente Federica Fiaschi Segretario Irene Battiston Tesoriere Tommaso Caparrotti Consiglieri Roberto Astancolli, Giada Buti, Luca Erbaggio, Massimo Fabbri, Eliseba Guarducci, Marcello Marchesini, Paola Tiradritti SEGRETERIA Addetta alla segreteria Miriam Comelli Realizzazione editoriale e stampa Pacini Editore Via Alessandro Gherardesca 56121 Ospedaletto (PI) Foto in copertina tratta da Copertina di un blocco per appunti della Olivetti, 1969, J. M. Folon Finito di stampare nel mese di giugno 2023 Prezzo di copertina 10.00 ¬ Direttore scientifico e cura redazionale Marcello Marchesini Direttore responsabile Francesca Petrucci Comitato di redazione Luca Barni Giada Buti (coordinatrice editoriale) David Darelli Silvia Gamba Luca Gambacorti (coordinatore di redazione) Lorenzo Perri Lucia Petrà (capo redattrice) Comitato scientifico Niccolò De Robertis Pietro Gaglianò Camilla Perrone Pietro Savorelli Stefania Vasta Pamela Villoresi Progetto grafico Lorenzo Perri Marcello Marchesini Impaginazione Eduardo Diglio Francesca Macchioni Responsabile social-web Irene Battiston Pubblicazione semestrale a cura di Ordine degli Architetti PPC della provincia di Prato Via Pugliesi 26, Palazzo Vaj - 59100 Prato tel 0574.597450 e-mail architettiprato@archiworld.it www.architettiprato.it/rivista-mya https://issuu.com/architettiprato MYA ha scelto di stampare la rivista utilizzando un font helvetica corpo 10 ad alta leggibilità per dislessici e impaginare evitando l9effetto di <affollamento= ISBN 979-12-5486-237-7 ISSN 2974-7074 colophon
  • 3. EDITORIALE LE CRONACHE DI MYA RUBRICHE POST-IT BACI E ABBRACCI COSTRUIRE LA COMMITTENZA, ISTRUIRE L9ARCHITETTURA / Giovanni Bartolozzi L9ARCHITETTURA NON SI COMPRA / Marcello Marchesini AUTOARCHITETTURA. IL RUOLO DELL9AUTO-COMMITTENZA NELL9OPERA DELLO STUDIO PEZO VON ELLRICHSHAUSEN / Marco Ferrari IL NOSTRO LAGO. ALDO ROSSI E GLI ALESSI: UN9ARCHITETTURA DOMESTICA / Vincenzo Moschetti CITY. MIRAGGIO URBANO NEL DESERTO DEL NEVADA / Gianmarco Dolfi L9EDIFICIO SACRO / Marco Lamber, Don Paolo Dall9Olio FENDI FACTORY E PIUARCH A CONFRONTO / Gino Garbellini 10 4 86 96 48 16 90 52 22 92 56 28 60 34 64 40 80 ALTRE ARCHITETTURE / a cura di Manuela Menici LA COMMITTENZA NELL9ARTE CONTEMPORANEA DESIGN / a cura di David Darelli C9ERA UNA VOLTA LA COMMITTENZA ESTERNI / a cura di Lucia Petrà, Vera Busutti IL VERDE SI ASPETTA! INTERNI / a cura di Silvia Gamba KEEP CALM AND TRUST THE ARCHITECT VEDERLA PER RACCONTARLA / a cura di Luca Gambacorti LA CASA DEI SUOI SOGNI L9EFFIMERO / a cura di Lorenzo Perri TRANS-AZIONI. BREVE GLOSSARIO DI SCAMBI E MOVIMENTI CONCORSI IN CORSO / a cura di Giada Buti EVENTI, MOSTRE, ARTICOLI / a cura della redazione TESTI E CONTESTI IMMERSIVI / a cura della redazione CARTOLINA 02 / a cura di MM CORRISPONDENZA CON LA SIG. RA COMELLI indice EDITORIALE EDITORIALE Manifesto per Olivetti, 1966-67, J. M. Folon
  • 4. MYA 07 / giugno 2023 editoriale L9ARCHITETTURA NON SI COMPRA Il gallo leopardiano però racconta l9inesorabile progredire costante e implacabile della vita, verso la morte. Un pessimismo che fortunatamente non pervade quasi mai in modo totalizzante e definitivo la creatività dell9architetto che invece si ribella e lotta davanti alle continue richieste e decisioni del committente. <La costruzione di casa Müller è ancora in fase iniziale. Il dott. Müller ha condotto Loos sul sito di costruzione per una riunione. Loos è in piedi in mezzo a delle travi e sta indicando un punto. 8Qui9, dice, 8è dove sarà l9acquario illuminato con i pesci9. Nessuno lo capisce. Il cliente vorrebbe proseguire: ci sono molte cose importanti ancora da discutere. Ma Loos resta immobile, impassibile, e continua: 8questo sarà il luogo prediletto dal padrone di casa; quando rientra alla sera stanco dal lavoro, guarderà i pesci muoversi silenziosi. Sotto la luce delle lampade, scintilleranno in mille colori9. Il cliente è già infastidito, ma Loos sembra non curarsene. Lui 3 il solo che invece di assi e impalcature, vede una casa finita 3 oggi parla unicamente di pesci luccicanti= [2]. Ma lo stesso Adolf Loos ci insegna anche che l9architetto non può disegnare sempre tutto e imporre ogni sua scelta, altrimenti il rischio è quello di rendere la casa ingessata e, come nel racconto breve <A proposito Nei grandi magazzini Marshall Field & Company di Chicago nell9Illinois, a partire dai primi anni del novecento, si poteva leggere lo slogan <il cliente ha sempre ragione=. Questo luogo comune non ci ha ancora oggi abbandonato. Ma noi, ne siamo proprio sicuri? Ma soprattutto, nel complicato rapporto tra cliente e architetto, chi ha il primato sul progetto? Il quesito non è di facile soluzione e si presta alla disamina del paradosso. Ecco allora qual9è la prima domanda che nasce spontanea: è nato prima l9uovo o la gallina? Aristotele per primo, ci ha aperto un mondo sul dibattuto tema: un uovo è una gallina in potenza e una gallina è un uovo già sviluppato, un atto. Dato che secondo Aristotele l9atto (la gallina) è superiore a qualcosa che è soltanto in potenza (l9uovo), allora è nata prima la gallina. La scienza smentisce il pensiero filosofico con rigore documentale affermando invece che è nato prima l9uovo: i fossili degli antenati della gallina, figlia di rettili preistorici, risalgono a più di 350 milioni di anni fa mentre le prime uova di uccello sono molto più giovani e hanno solo 200 milioni di anni. Per avere qualcosa di simile alla nostra gallina bisogna arrivare a 50 milioni di anni fa, quando da un embrione contenuto in un uovo, e frutto di una nuova ricombinazione di geni, nasce il primo animale simile a quello attuale. I testi sacri cristiano-ebraici parlano altrettanto chiaro: Dio ha creato prima di tutto uomini e animali e quindi la gallina è nata prima dell9uovo! Gallina vs Uovo 2-1. Ma nell9analogia che vede committente e architetto a confronto, chi è l9uovo e chi la gallina? Il paradosso, in quanto tale, suggerisce una riflessione più profonda e assoluta e allora la seconda domanda che nasce spontanea non può che essere la seguente: e il gallo? Al solito la figura dell9architetto si pone in una zona d9ombra chiamata a fare non si sa bene cosa ma il cui intervento risulta essere sempre determinante, nel bene e nel male, naturalmente...ma pur sempre decisivo, grazie o nonostante la committenza: <non capisco perché le persone chiamano un architetto e poi gli dicono cosa fare=. Questo il pensiero di Frank Gehry. Come un gallo nel pollaio l9architetto vive il suo momento d9oro ma anche le sue frustrazioni dovute all9ansia perenne da prestazione. Passa l9esistenza vivendo sulle sue penne la paura dell9abbandono, dell9oblio, del silenzio. Un gallo gigante, come quello silvestre cantato da Leopardi nelle sue Operette morali, che sta con i piedi per terra e tocca con la cresta e il becco, il cielo [1]. [1] Ricorda molto la famosa citazione di Mies van der Rohe: <noi vogliamo appoggiare saldamente i piedi per terra, ma vogliamo raggiungere con la testa le nuvole=. [2] Cfr. Claire Beck, Adolf Loos. Un ritratto privato, Castelvecchi Editore, Roma, 2014. Claire Beck, fotografa, nel luglio del 1929 sposa Loos, terza e sua ultima moglie. Lei, ebrea, ha venticinque anni e lui, cattoli- co, sta per compierne sessanta. Il matrimonio dura tre anni e si conclude poco prima della morte di Loos. Il libro, che racconta aneddoti e manie di Loos, venne pubblicato subito dopo la morte dell9architetto per finanziare la realizzazione della sua tomba, dalla stessa famiglia Beck. Il libro è il diario conciso e toccante di quell9unione. Marcello Marchesini { Architetto. Professore a contratto presso il Dipartimento di Architettura di Ferrara, libero professionista socio fondatore studio MDU } Il museo Guggenheim di Bilbao opera dell9architetto canadese-americano Frank O. Gehry 4 5
  • 5. editoriale A sinistra Copertina del libro scritto da Claire Beck, Adolf Loos. Un ritratto privato. Gli Uffizi, particolare. Progetto di Vasari e Cosimo I dè Medici. A destra Particolare della Tomba Brion: progetto voluto da Ennio Brion e progettato da Carlo Scarpa. di un povero ricco= in Parole nel vuoto, di rendere tutto esatto, finito, completo, irrimediabilmente immodificabile e quindi fermo. La verità è che entrambe le due figure sono fondamentali per iniziare e portare al termine il miracolo dell9architettura. Committente e architetto hanno storicamente dimostrato come sia possibile accendere quella scintilla particolare capace di rendere virtuoso il progetto di architettura. Anche se potenzialmente conflittuale, numerosi i ricorsi e gli esempi storici che raccontano il dualismo architetto-committente: Vasari- Medici, Giulio Romano-Gonzaga, Scarpa-Brion, Libera-Malaparte, Mies-Farnsworth, Rossi-Alessi, Gellner-Mattei, Zanuso-Olivetti, e molti altri esempi ancora. Una cosa è certa: l9architettura senza committente non può esistere, ma senza architetto non può nascere. Nonostante questo l9architetto ha dovuto, negli anni, guadagnarsi la propria autonomia professionale. QuestoèstatopossibileattraversolanascitadegliOrdini provinciali le cui radici affondano negli anni postunitari, quando i tecnici, sebbene non tutti d9accordo, iniziano a discutere di tutela del titolo, concorsi, tariffe ed esercizio della professione. Gli Ordini professionali degli architetti nascono ufficialmente nella prima metà degli anni venti del Novecento: nel 1923 e nel 1925 vengono infatti emanate la Legge 1395 (<Tutela del titolo e dell9esercizio professionale degli Ingegneri e degli Architetti=) e il Regio Decreto 2537 che, ancora oggi sostanzialmente in vigore, istituiscono gli Ordini fissando il loro funzionamento e l9oggetto e i limiti delle competenze delle due professioni. Proprio in quegli anni la componente degli architetti, sebbene rappresentata da nomi illustri come quello di Camillo Boito, è poco numerosa e minoritaria. È indebolita da un percorso formativo imprigionato nel dualismo Accademie di Belle Arti 3 Scuole di Applicazione degli Ingegneri, che scomparirà solo nella seconda metà degli anni venti del Novecento con la nascita delle prime Facoltà di Architettura, la cui istituzione è richiesta a gran voce da più di cinquant9anni. Il 24 giugno del 1923 nasce la legge per la tutela del titolo e dell9esercizio professionale degli ingegneri e degli architetti. E quest9anno è, pertanto, il centenario della nascita dell9organo costituito a difesa dei diritti degli architetti. L9ordine degli Architetti PPC di Prato festeggia questo traguardo attraverso una serie di iniziative per ricordare i 100 anni di professione dell9architetto. Il centenario diventa l9occasione per riscoprire un secolo in cui la storia dell9Ordine e dell9esercizio della professione si incrociano con i progettisti, i committenti e le istituzioni locali, con le trasformazioni della città e del paesaggio, con le evoluzioni e i dibattiti sull9avanzamento della cultura architettonica contemporanea.
  • 6. Disegno tratto da Olivetti 1968, J. M. Folon LE CRONACHE DI MYA LE CRONACHE DI MYA
  • 7. saggio 01 COSTRUIRE LA COMMITTENZA, ISTRUIRE L9ARCHITETTURA Il rapporto tra committenza e architettura è un argomento difficile da generalizzare perchè unico e strettamente riferito ad un contesto specifico. Si tratta di un9intesa complessa che chiama in causa una molteplicità di fattori, umani, psicologici, economici, sociali e chiaramente politici. Nel suo trattato, il Filarete sosteneva che un9architettura per nascere ha bisogno di un padre e di una madre: il padre è il committente e la madre è l9architetto. Dentro questa relazione genetica, oggi resa più complessa dalle evidenti difficoltà di costruire l9architettura, i contributi del committente e quello dell9architetto possono essere complementari e sinergici, oppure divergenti e controproducenti, a tal punto che in alcuni casi il successo di un9opera può essere determinato quasi esclusivamente dalla professionalità dell9architetto e talvolta dalla intransigenza del suo committente. Una serie di casi studio più e meno noti sono utili per mettere a fuoco il rapporto tra committenza e architettura. La casa di Curzio Malaparte a Capri (1938-40), progettata da Adalberto Libera, è sicuramente il più immediato e discusso esempio che possiamo utilizzare: un capolavoro dell9architettura moderna, malgrado la progettazione sia stata integralmente modificata in corso d9opera dal suo committente con scelte sostanziali non attribuibili all9architetto. Una tra tutte l9acuminata gradonata in mattoni che conduce allo spettacolare solarium sul mare, sfondo di numerosi set cinematografici. Ispirata al sagrato della chiesa dell9Annunziata a Lipari, la gradonata raccorda la casa al pendio e conferisce al volume razionalista ideato da Libera un9inedita soluzione di dialogo con il paesaggio. Malaparte seguì personalmente i lavori e personalizzò ogni dettaglio a sua immagine e somiglianza tanto da descriverne le vicende progettuali nel saggio <Casa come me=: <I problemi da risolvere non erano pochi, e non erano facili. A cominciare dall9orientamento poiché c9era da scegliere fra due venti, il greco e lo scirocco, che vi battono spesso. E io preferii affrontarli col gomito, per così dire, orientando la casa con gli angoli volti a tagliare i quattro punti cardinali. In quanto alla sua forma, essa mi era dettatav dall9andamento della roccia, dalla sua struttura, dalla sua pendenza, dal rapporto dei suoi sessanta metri di lunghezza con i suoi dodici metri di larghezza. La feci lunga, stretta dieci metri, lunga 54. E poiché, a un certo punto, dove la roccia si innesta al monte, la rupe si incurva, si abbandona, formando come una specie di collo esile, io qui gettai una scalinata, che dall9orlo superiore della terrazza scende a triangolo.= Un altro caso che denota una vivace complicità tra committente e architetto è quello di casa Mann Borgese (1957), una sperimentale abitazione anti-borghese progettata da Leonardo Ricci per Elisabeth Mann (1918-2002), figlia del noto scrittore tedesco Thomas Mann. Ricci avvita tutti gli ambienti della casa intorno al doppio volume del soggiorno proiettando i volumi all9esterno in dialettica con le asperità delle Alpi Apuane. In un articolo pubblicato su <L9architettura Cronache e Storia=, la committente scrive: <La casa di via Raffaelli è posta nel retroterra di Forte dei Marmi, a cinque minuti dal mare. Ci abbiamo vissuto per due stagioni. Talvolta si era in molti, ma non sentivamo la folla. E altre volte in due o tre, e non ci sentivamo soli. Ai più giovani piacque subito. Gli anziani in Giovanni Bartolozzi { Architetto. PhD e designer. Docente a contratto presso il DIDA di Firenze, libero professionista cofondatore dello studio Fabbricanove } principio scossero il capo, poi anch9essi le aprirono il cuore. [...] Vista da vicino, somiglia a un transatlantico pronto a salpare per le montagne. E il suo impianto ha un tale dinamismo, che non saremmo sorpresi, infine, di scoprire un mattino che è veramente salpata.= Un esempio estremo è la vicenda della casa Farnsworth (1945-50), progettata da Mies van de Roche in una foresta vicino a Plano, in Illinois, come residenza per i weekend della nefrologa Edith Farnsworth (1903-1977). Si tratta della testimonianza di un rapporto incompiuto e conflittuale tra committente e architetto che porterà a delle conseguenze legali, malgrado il risultato rappresenti un traguardo sotto l9aspetto tipologico. Sembra che la casa venga progettata da Mies quasi esclusivamente come un9occasione per portare avanti la sua ricerca progettuale: una teca di vetro immersa nel parco e sollevata su un podio. La struttura in acciaio bianca rimane all9esterno senza intralciare la purezza dell9impianto planimetrico costituito da un rettangolo pulito, che compatta tutti i servizi in posizione baricentrica e definisce una distribuzione perimetrale ad anello, scandita dalla sequenza aperta dei vari ambienti che si susseguono senza alcuna separazione netta. In un9intervista la committente afferma: <La verità è che in questa casa, con le sue quattro pareti di vetro, mi sento come un animale in agguato, sempre all9erta. Sono sempre inquieta. Anche la sera. Mi sento come una sentinella di guardia giorno e notte.= E continua: <Non tengo un cestino della spazzatura sotto il lavandino. Sapete perché? Perché dall9esterno si può vedere tutta la 8cucina9 arrivando dalla strada che porta qui, e rovinerebbe l9aspetto generale di tutta la casa. [...] Mies parla del suo 8spazio libero9: ma il suo spazio è molto fisso. [...] Ogni disposizione dei mobili diventa un grosso problema, perché la casa è trasparente, come una radiografia=. Un ulteriore elemento d9indagine per aggredire il rapporto tra committente e architetto con un taglio più trasversale è il documentario <Koolhaas Housewife= (2007) realizzato da Ila Beka e Louise Lemoine, che hanno letteralmente seguito per due settimane consecutive Guadalupe Acedo, la domestica della casa progettata da Rem Koolhaas a Bordeaux del 1998. Caratterizzato dalla piattaforma mobile, posizionata nel ventre della casa per consentire al suo cliente, costretto su una sedia a rotelle dopo un incidente, di spostarsi da un livello all9altro della casa, questo progetto offre lo spunto per comprendere quanto sia strategica la risposta dell9architetto rispetto ad una esigenza specifica del committente. E9 questa una caratteristica specifica del metodo progettuale di Koolhaas incentrata nel saper fare di necessità virtù, che fin dalle sue prime opere si manifesta attraverso un9innovativa organizzazione del programma funzionale. Questo approccio teso ad esaltare le esigenze della committenza è stato enfatizzato nell9ultimo ventennio dallo star system e ha prodotto numerosi progetti e architetture, a volte capolavori isolati, a volte A sinistra: Casa Malaparte a Capri 1938-40, progetatta da Curzio Malaparte e Adalberto Libera. Sopra: Casa Mann-Borgese a Forte dei Marmi 1857-58, progettata da Leonardo Ricci. 10 11
  • 8. MYA 07 / giugno 2023 archivio minimetro spa strettamente connessi al rinnovamento dei tessuti urbani. Dentro questa cornice è interessante comprendere come si è evoluto il rapporto tra committenza e architettura al di fuori delle esperienze straordinarie della committenza privata, muovendosi dunque tra gli ostacoli e le tortuosità della committenza pubblica del nostro Paese. I casi studio sono numerosi e spesso riguardano piccole e medie amministrazioni di provincia, attente al rinnovamento degli uffici tecnici, sensibili ai temi dell9architettura, intraprendenti nella gestione amministrativa, finalizzata soprattutto all9attivazione dei giusti canali di finanziamento e al rispetto delle loro stringenti tempistiche. Per semplicità ripercorriamo sinteticamente le vicende che hanno portato il Comune di Perugia e il Comune di Colle Val D9Elsa ad una intensa collaborazione con Atelier Jean Nouvel, due progetti concreti, in larga parte realizzati, che hanno avuto differenti destini. Il progetto per il minimetrò di Perugia ha origini lontane ed è la testimonianza di una committenza pubblica virtuosa che è rimasta unita nell9intento comune di risolvere alcuni nodi urbani con una visione strategica, al fianco di una equipe di tecnici e architetti qualificati, con l9unico obiettivo di migliorare la qualità della vita pubblica. Sulla scia di alcuni progetti degli anni 880 dedicati alla realizzazione dei parcheggi a corona intorno a centro storico, facendo leva sui finanziamenti della legge 221/92 sulle infrastrutture, nel 1997, il Comune di Perugia redige uno studio di fattibilità per un sistema di trasporto pubblico alternativo, individuando un possibile tracciato per collegare il sofferente centro storico con la nuova area d9espansione con l9obiettivo di costruire un sistema trasversale capace di rivitalizzare il centro e trasformare l9area di Pian di Massiano in una nuova porta d9accesso alla città. La densità dell9edificato storico rendeva impossibile l9inserimento di un qualsiasi sistema di trasporto pubblico e la mobilità degli autobus rendeva critico il sistema della circolazione. La soluzione tecnica si è subito indirizzata su un sistema funicolare, una sorta di cabinovia inversa, con i cavi di trazione in basso, tecnologia resa possibile dal ridotto tracciato di circa 3 km. Approvata la fattibilità, la pubblica amministrazione mette a punto un sistema per costruire una solida committenza attraverso un bando che prevede l9individuazione di un socio privato che avesse la facoltà economica di contribuire per il 30% dei costi di costruzione e di gestione. Il privato vincitore della gara è una società consortile che ha al suo interno oltre alla capacità finanziaria anche il general contractor e lo staff tecnico, come previsto dal bando. E9 così che si formalizza Minimetro Spa, committente dell9infrastruttura, una società partecipata che ha successivamente mutato le percentuali in 60% pubblica e 40 % privata. Quando l9amministrazione ha la certezza di soddisfare tutti i requisiti per accedere al finanziamento avvia un processo di coinvolgimento e dialogo con tutti gli enti coinvolti, con l9obiettivo di perseguire la qualità su tutti gli aspetti, dal punto di vista tecnologico, ambientale, ecologico, urbanistico e architettonico. E9 in questa fase che, a seguito di una selezione di importati nomi dell9architettura italiani e internazionali, viene selezionato e poi incaricato Jean Nouvel, che negli stessi anni seguiva gli incarichi italiani del Chilometro Rosso di Bergamo e della riqualificazione urbana di Colle Val D9Elsa. L9incarico prevede una revisione generale del progetto già redatto (prima dal Comune e poi da Minimetro Spa) unitamente ad una direzione artistica capillare da parte di Atelier Jean Nouvel che segue i progetti italiani dalla sede romana dello studio. Si tratta di un espediente strategico che ha consentito di ottimizzare al massimo la progettazione poichè AJN interviene soltanto in fase finale. Nouvel rivede l9intero progetto e con scelte strategiche conferisce riconoscibilità, carattere e unitarietà a tutto l9intervento. Con il rosso bordeaux, che contraddistingue buona parte dei suoi interventi, accende il tracciato sopraelevato del minimetrò che diviene un fil rouge urbano sempre leggibile: dentro le gallerie, all9interno delle stazioni, tra lo skyline, la struttura sopraelevata su piloni diviene la traduzione concettuale di una linea grafica rossa sempre in dialogo con la città. I piloni vengono trattati con una finitura grezza dai pigmenti rossastri che stabilisce una forte appartenenza con la natura e le numerose aree a verde che il tracciato attraversa. Le stazioni vengono concepite come elementi aperti sulla città, padiglioni sopraelevati interamente metallici, segnati da grandi coperture 13 12
  • 9. MYA 07 / giugno 2023 Pagina precedente Casa Farnsworth, Plano, Illinois 1945-50, Mies van de Rohe. Guadalupe Acedo, domestica della casa progettata da Rem Koolhaas a Bordeaux nel 1998, sul set di Koolhaas houswife, 2007. Minimetrò di Perugia, Atelier Jean Nouvel 2002-08. Minimetrò di Perugia, Stazione Cupa, Atelier Jean Nouvel 2002-08. Pagina corrente Minimetrò di Perugia, Stazione Fontivegge, Atelier Jean Nouvel 2002-08. Minimetrò di Perugia, Stazione Pian di Massiano, Atelier Jean Nouvel 2002-08. Minimetrò di Perugia, Viadotto Parco C. Mendez, Atelier Jean Nouvel 2002-08. Piazza Arnolfo, Colle Val D9Elsa, 2011, Daniel Buren con Atelier Jean Nouvel il cui intradosso metallico riflette e propaga i colori e le atmosfere della città. Il 7 novembre 2002 iniziano i lavori punteggiati da numerose modifiche tecniche alle parti infrastrutturali passive e da un rapporto intenso di comunicazione con lo studio Nouvel di Roma. La committenza, consapevole dell9entità e dell9originalità del progetto, si impegna con ogni mezzo nel perseguire le indicazioni del progetto di Nouvel con l9unico obiettivo di perseguire la qualità con una grande attenzione al budget. Il Minimetrò di Perugia non ha soltanto migliorato la qualità della vita, come tutti gli interventi ben riusciti, ha fatto molto di più. Ha donato la possibilità di attraversare e vedere la città da nuovi punti di vista, da angolazioni inedite e sorprendenti, di enfatizzare la dimensione urbana. E soprattutto di aver costruito una committenza decisa a dare un contributo alla collettività, in cui decine e decine di persone hanno lavorato con un obiettivo comune e al fianco di un grande studio di architettura. Colle Val D9Elsa è il fiore all9occhiello per la produzione del cristallo. La pubblica amministrazione all9inizio degli anni 890 è una delle prime a sperimentare, attraverso gli studi di fattibilità del 1990/91 e le convenzioni con la Facoltà di Architettura di Firenze, il concetto dello sviluppo sostenibile nella pianificazione urbanistica imposta dalla legislazione regionale. La scelta strategica dell9amministrazione e dell9ufficio tecnico fu quella di elaborare internamente un nuovo Piano Strutturale che recepiva le indicazioni degli studi di fattibilità, per attivare una procedura più snella su un9area di progetto mediante Piano Attuativo e relativa progettazione architettonica. Da qui l9idea di rivolgersi ad un progettista di fama internazionale mediante una selezione interna alla pubblica amministrazione. Furono consultati cinque studi, Koolhass, Piano, Portzamparc, Viaplana + Pinon e Nouvel. Quest9ultimo fu entusiasta di accettare l9incarico per la ragione che aveva scoraggiato gli altri: far precedere il progetto architettonico da un approccio urbanistico. L9area prescelta è quella che fa da testa a piazza Arnolfo che prevedeva la dismissione del tracciato ferroviario con una serie di interventi puntali e la riqualificazione della ex stazione attestata sulla piazza unitamente ad un intervento che richiudesse il fronte della piazza (a destra e sinistra della stazione). Nel 1996 l9incarico viene affidato a Jean Nouvel mediante un percorso progettuale che prevede tre fasi: la redazione dello studio di fattibilità, il successivo Piano Attuativo e la progettazione di massima dei vari interventi puntuali (ex stazione, parcheggio, mediateca, centro del cristallo). Non si costituisce per l9intervento una società ex-novo, fa da committente una società partecipata che si era costituita anni prima, Colle Promozione Spa, composta per poco più del 50% dal pubblico e per la rimanente parte da privati, tra cui la Monte dei Paschi di Siena e altri imprenditori locali. Lo studio Nouvel è presente sul luogo e collabora attraverso uno scambio continuo con l9ufficio tecnico, Jean Nouvel in persona partecipa a due incontri con la Soprintendenza di Siena, che alla fine non approva il progetto della ex stazione ferroviaria sulla piazza Arnolfo, caratterizzato da un sistema continuo di pelle modificabile di colore arancione fuoco (ispirato al colore della vicina sede del Monte dei Paschi realizzata da Giovanni Michelucci), colore del cristallo fuso. I progetti di massima sviluppati dallo studio Nouvel per Colle Val D9Elsa hanno una gestazione complessa e non sempre sono andati a buon fine, principalmente per motivi politici, legati ai cambi di amministrazione. Gli interventi più significativi realizzati riguardano il parcheggio, il percorso ipogeo di accesso al centro storico ricavato all9interno di un rifugio antiaereo con l9ascensore di risalita e la riqualificazione di via Mazzini e piazza Arnolfo. Per quest9ultima Jean Nouvel propone all9amministrazione di attivare un9inedita collaborazione con 4 artisti, con l9obiettivo di riportare l9arte al centro della piazza pubblica, una modalità per reinterpretare il contributo degli artisti in una forma più integrata all9architettura, per evitare l9opera d9arte isolata o sovrapposta. Così Daniel Buren progetta la pavimentazione della piazza, Alessandra Tesi l9illuminazione e la pavimentazione dei portici voltati sulla piazza, Lewis Baltz l9inquadramento della Gora su via Mazzini e infine Bertrand Lavier studia il sistema delle tende per i portici della piazza utilizzando dei gradienti di arancione, attraverso un processo partecipato di coinvolgimento degli artigiani locali per ciascuna tenda. Tutto il lavoro viene coordinato da Jean Nouvel che esegue anche la direzione artistica. Il cambio di giunta nel 2014 impedisce il completamento di un importante progetto per la città che aveva trovato continuità nelle precedenti amministrazioni. Alcuni lavori avviati restano incompleti, fallisce la società Colle Promozione Spa, insomma viene meno la committenza e rimane orfana l9architettura. 15 14 archivio minimetro spa archivio minimetro spa archivio minimetro spa
  • 10. saggio 02 AUTOARCHITETTURA Il ruolo dell9auto-committenza nell9opera dello studio Pezo von Ellrichshausen Marco Ferrari L9architettura nasce dall9incontro tra componenti distinte, rappresenta un punto di contatto: più che un incrocio tra domanda e offerta, la relazione tra committente e architetto rappresenta quel punto di equilibrio capace di traghettare nella realtà l9impulso di un9idea. Così come la relazione tra arte/architettura, anche l9equilibrio fra le figure protagoniste di questo rapporto (autore, committente, destinatario) si è trasformato nel tempo, assestandosi sull9idea di una relazione biunivoca in cui il committente acquisisce il proprio status proprio in ragione del rapporto con il progettista, il cui ruolo a sua volta risulta legittimato dalla presenza di questo interlocutore. Pertanto la committenza non si risolve mai nella figura del cliente in sé, non è mai auto-conclusa, ma presenta invece tutte le caratteristiche di una relazione, in cui una parte diventa elemento costitutivo dell9altra e che può arrivare ad includere una terza figura, il destinatario finale dell9opera inteso spesso nei termini di un committente implicito. L9auto-committenza è un9operazione che può pertanto risultare spiazzante e quasi provocatoria da un punto di vista concettuale perché - ancora più che i self-solicited projects - annulla la distanza tra progettista e interlocutore, mandando in cortocircuito rapporti e figure consolidate del processo architettonico. Per questo ci è sembrato interessante approfondire come nella pratica dello studio cileno Pezo von Ellrichshausen si sia ricorsi periodicamente all9auto-committenza all9interno del loro sviluppo professionale, costituendo sorprendentemente una strategia ricorrente in momenti diversi della loro carriera. POLI, il loro primo progetto e quello con cui sono riusciti contemporaneamente ad affermare e promuovere quella poetica e quel linguaggio che andrà poi a caratterizzare la loro opera successiva, è stato direttamente promosso dal duo di architetti, così come uno degli ultimi, LUNA. Questi due casi studio interpretano in maniera estremamente originale il tema dell9auto-committenza, mentre CIEN costituisce un9esperienza intermedia ma per { Architetto. Professore a contratto presso il Dipartimento di Architettura di Ferrara, libero professionista } certi aspetti meno radicale, essendo stato il loro spazio di lavoro e vita per diversi anni, uno spazio inteso soprattutto come privato. POLI POLI è una casa sperimentale che il duo di architetti ha realizzato sul litorale cileno vicino a Concepciòn, finanziando direttamente la costruzione con l9idea di fornire un manifesto concreto alla loro visione. La cosa più sorprendente è che in questo caso non hanno solo riassunto su di sé il ruolo di committente e di progettisti, ma hanno anche sganciato quello di destinatario finale che a questo punto avrebbe potuto facilmente esservi associato (loro stessi): pur avendola concepita e costruita, la casa è stata infatti pensata fin da subito non come loro abitazione ma come spazio adatto a ospitare artisti o studiosi in residenza, ribaltando completamente le coordinate dei ruoli della committenza in architettura. L9articolazione spaziale della casa risente di questa concezione: <El edificio debía responder a un doble uso - vivienda y centro cultural -; para ello se diseña un grueso muro perimetral que alberga el programa de servicio, dejando en medio una serie de espacios sin una función específica.= [1] POLI si situa quindi a metà strada tra uno spazio abitativo e una galleria espositiva: gli spazi di servizio si ritraggono nelle cavità perimetrali e scompaiono protetti da pannelli scorrevoli in continuità con il rivestimento interno, permettendo una grande varietà di configurazioni. Gli spazi a doppia altezza, basati su un raumplan aperto e libero di operare con frequenti cambi di quota, sono sospesi tra l9essere stanze o sale e foyer, e le grandi aperture distribuite Pagina precedente Pezo von Ellrichshausen, Olio su tela di Casa Luna. Pagina corrente Pezo von Ellrichshausen, Assonometria di Casa Poli. Pezo von Ellrichshausen, Olio su tela di Casa Luna. Pagine successive Pezo von Ellrichshausen, Interno di Casa Poli. Jesus Granada, Interno di Casa Luna.
  • 11. saggio 02 MYA 07 / giugno 2023 in maniera indifferenziata sulle murature perimetrali contribuiscono a trasformare l9edificio in un meccanismo scenico che risuona con l9ambiente circostante e va a costituire un diaframma permeabile e sensibile ai cambiamenti di illuminazione. Operato questo primo scatto, lanciata la loro proposta architettonica con questo progetto, la committenza è divenuta una possibilità: da POLI sono nate una serie di altre commissioni questa volta tradizionali nella logica, ma i cui esiti sono rimasti estremamente coerenti nel portare avanti una ricerca che si era già materializzata. Avendo visto il loro linguaggio infatti, i clienti interessati al loro tipo di proposta hanno iniziato a rivolgersi allo studio, favorendo di fatto la prosecuzione della loro poetica. Un rapporto come quello di committenza, che viene spesso visto come un qualcosa basato sulla restrizione, il compromesso o al massimo l9equilibrio, ha finito quindi per trasformarsi in uno strumento di auto-realizzazione e in termini di coerenza e libertà espressiva è un po9 come se tutti gli altri progetti portassero infatti il segno di un9auto-commissione. Ogni opera successiva ha mantenuto la traccia della ricerca intrapresa con POLI, permettendo di sviluppare l9autorialità dello studio senza condizionamenti o limitazioni significative. La negazione della committenza esterna nel caso di POLI è stata quindi lo spunto che ha portato 3 paradossalmente - a una successiva esaltazione della stessa e a una sua piena efficacia/coerenza. LUNA LUNA, realizzata nel 2021, è invece <un edificio grande e piccolo= [2] situato ai piedi delle Ande. Il complesso evoca l9immagine di un convento: un quadrato diviso da una croce asimmetrica formato da dodici differenti volumi in calcestruzzo - abitazioni, spazi di lavoro, spazi di esposizione - disposti lungo il perimetro e al suo interno, che definiscono quattro corti diverse fra loro. Si tratta della terza e ultima auto-committenza dello studio cileno e viene definita dagli autori stessi come ciò che completa <un progetto triangolare, sia romantico che intimo, iniziato venti anni fa con POLI e poi proseguito con CIEN= [3]. LUNA unisce infatti il concetto di casa/centro culturale di POLI e quello di casa/studio di CIEN: contiene gli spazi più intimi della vita privata, ma anche quelli di lavoro, di esposizione, e proietta quelli futuri di centro culturale. Nonostante costituisca anche la residenza attuale dei progettisti, alla base del progetto risiede infatti l9intenzione di trasformare il sito in un luogo aperto al pubblico, un luogo che sia punto di incontro fra cultura e natura con il fine di esaltare e tutelare la foresta nativa attraverso l9edificio e i due padiglioni aggiuntivi: <We are developing a cultural institution, named Artificial Foundation, to allow the three places to be open to the public, and to leave the native forest as a protected natural reserve.= [4] Di nuovo un9auto-committenza 8estroversa9, che non si chiude su sé stessa ma che viene invece presentata come un9occasione di apertura all9esterno, per realizzare uno spazio di incontro e relazione tanto con il paesaggio circostante quanto con una comunità di abitanti/frequentatori possibili. La realizzazione del progetto è un dono a sé stessi e alle proprie idee, ma una volta completato l9edificio il suo utilizzo non viene vincolato o ristretto ma anzi costituisce un9occasione ulteriore per l9architettura di offrirsi ad altri. La coesistenza e la sovrapposizione [1] AA.VV., Pezo von Ellrichshausen. Abstracción geométrica, AV Monografias, n.199, 2017. [2] AA.VV., Pezo Von Ellrichshausen, 2005 2022, El Croquis, n.214, 2022. [3] Luna somehow completes a triangular project, both romantic and intimate, that we initiated 20 years ago with POLI and then continued with CIEN., tratto da https://www.dezeen.com/2023/05/06/luna-house-pezo-von-ellrichshausen/. 18 19
  • 12. saggio 02 di queste dimensioni di pubblico e privato si ritrovano nell9architettura stessa: non c9è quasi distinzione fra le abitazioni private e gli atelier di lavoro, certi angoli appaiono intimi e segreti mentre altri monumentali. Pubblico e domestico si affiancano e si ibridano in una coabitazione segreta, in una convivenza spiazzante che si vivacizza e vive di questa dinamica. LUNA conferma così la possibilità di una architettura che evolve e si potenzia coerentemente con le proprie prime intuizioni, e anzi le rafforza trovando di nuovo vita, dopo POLI e CIEN, in un progetto promosso e sostenuto autonomamente dal duo di architetti. L9auto-committenza è divenuto uno strumento di ricerca oltre che una forma di espressione, capace di promuovere una originale miscela e coesione di spazi pubblici e privati all9interno di un9opera che al tempo stesso mostra la sempre più inconfondibile caratterizzazione a cui è giunta la proposta architettonica dello studio. Contrariamente ai concorsi, l9auto-committenza è vista infatti come parte di una forma più riflessiva e ragionata di fare architettura, per uno studio che intende ogni opera come parte di un unico e costante processo, insieme di <variazioni dello stesso approccio=: <Pensamos que la arquitectura es una carrera de larga distancia, casi una maratón, al contrario de lo que dejaría traslucir una práctica centrada en los concursos, esa suerte de esprint continuo. Así que preferimos entender los proyectos como parte de unico y constante 8experimento mental9, como variaciones de una misma manera de hacer, de una misma actitud.= [5] <La arquitectura es un servicio para otros pero también lo es para uno mismo.= [6] L9architetto pensa di dovere sempre aspettare qualcuno o qualche occasione, ma lo studio cileno ha dimostrato che in qualche caso è possibile invertire lo sguardo e farsi promotori della propria opera, senza per questo escludere una possibilità di fruizione o di utilizzo più ampia: È infatti in questa frase estrapolata da un9intervista a Mauricio Pezo e Sofia Von Ellrichshausen che si racchiude la tesi fondante di questo testo, ovvero che ogni forma di committenza per 8riuscire9 davvero debba trovare il giusto equilibrio di forze fra le figure che fanno parte dell9architettura, inserendo sempre una parte di sé e l9espressione dei propri valori architettonici ma garantendo anche uno spazio per la partecipazione/fruizione degli altri. Non sempre chiaramente un progetto si può risolvere in un9auto-committenza, ma all9opposto neanche la committenza dovrebbe rappresentare un processo finito, chiuso e passivo, trovando invece la possibilità di includere e di essere parte, stimolare e promuovere un processo continuo di crescita e ricerca. [4] ibid. [5] AA.VV., Pezo Von Ellrichshausen 2005 2022, El Croquis, n.214, 2022. [6] https://www.archdaily.cl/cl/913590/sofia-von-ellrichshausen-la-representacion-tiene-que-ver-con-como-les-atribuimos-un-sig- nificado-a-las-cosas-que-nos-rodean 20
  • 13. Aldo Rossi e gli Alessi: un9architettura domestica saggio 03 IL NOSTRO LAGO Una lettera datata 27 luglio 1994, conservata presso il Centro Archivi del Museo nazionale delle arti del XXI secolo di Roma, ricorda il rapporto intenso tra Aldo Rossi e Alberto Alessi. Le parole sono sostenute da uno sfondo, quello del lago, per saldare i termini di una relazione che nell9architettura e nel design trova la sua forma tangibile. Questo testo non ripercorrerà i sentieri di un9attività progettuale e intellettuale che diede corpo a oggetti come la caffettiera La Conica, l9orologio Momento e altri [2], quanto la coesione tra due figure che intorno al lago, il loro lago, progettarono architetture. Intorno al lago Del resto, è proprio accanto al lago che le vite dei due protagonisti si sono incrociate, più precisamente tra il principale lago Maggiore e quelli d9Orta 3 ancora sede dell9Alessi Factory Store 3 e di Mergozzo protagonista della nota immagine Palm tree by the lake [3] più volte citata da Rossi. È lo stesso Alberto Alessi a sostenere le ragioni di un rapporto intenso che con l9ambiente del lago ha costruito nel tempo spazi, fissando immagini: «Anche io ho molta voglia di vederti e di combinare la nostra (da lungo prevista) cena al lago. Certamente non è il momento (anche il <nostro lago= sembra cambiato) ma penso che sarà possibile incontrarci a fine agosto e settembre. Ciao. Buone vacanze Aldo» [1] Vincenzo Moschetti { Architetto. Dipartimento di Architettura e Progetto - Sapienza Università di Roma } «Aldo Rossi era un laghista come me, amava ritirarsi a meditare e scrivere in una vecchia casa di famiglia sul Lago di Mergozzo, e questo ha facilitato i nostri primi rapporti nella primavera del 1980. Ha disegnato alcuni degli oggetti più rappresentativi degli anni Ottanta [...] e questo facendo design come un hobby, attratto sempre dalla sua amata architettura costruita...» [4] [1] Lettera di Aldo Rossi ad Alberto Alessi, Milano 27 luglio 1994. Fondo Aldo Rossi, Centro Archivi del Museo nazionale delle arti del XXI secolo di Roma. [2] Si rimanda al libro C. Spangaro (a cura di), Aldo Rossi. Design 1960-1997, catalogo ragionato, Silvana editoriale, Cinisello Balsamo 2022. [3] La foto scattata da Gianni Braghieri compare già all9interno dell9Autobiografia scientifica (edizione americana, 1981), per poi divenire l9immagine principale della copertina dell9edizione italiana (1990). [4] A. Alessi, La fabbrica dei sogni. Alessi dal 1921, Electa, Milano 1998, p. 52. All9interno della biografia dell9architetto è manifesta la sua attitudine laghista, ovvero questo essere cresciuto sulle rive di uno specchio, come era quello di Como, grazie alla frequenza degli studi superiori presso il Collegio arcivescovile <Alessandro Volta= di Lecco. Quel mondo che in Autobiografia scientifica viene descritto come «il mondo borghese delle ville sul lago, i corridoi del collegio, le grandi cucine della campagna [&] ricordi di un paesaggio manzoniano che si disfava nella città. Ma questo insistere sulle cose mi svelava un mestiere. Lo ricercavo nella storia, lo traducevo nella mia storia [&]. Mi sembra oramai sufficiente fermare gli oggetti, capirli, riproporli; il razionalismo è necessario come l9ordine, ma qualsiasi ordine può essere sconvolto da fatti esterni, di origine storica, geologica, psicologica. Il tempo dell9architettura non era più nella sua duplice natura di luce e ombra o di invecchiamento delle cose, ma si proponeva come un tempo disastroso che riprende le cose.» [5] È in questo tempo disastroso, quello che riprende le cose, che il testo intende indagare il rapporto tra committenza e autore nella verifica progettuale della Villa Alessi a Suna di Verbania (1989-1995). Dentro un progetto domestico Nel 1989 viene affidato ad Aldo Rossi l9incarico per la villa della famiglia Alessi da costruirsi lungo le rive del lago Maggiore all9interno di un9area occupa da un9altra villa di poco valore architettonico. Molti degli appunti inerenti al processo di indagine progettuale 3 conservati per la maggior parte presso il Canadian Centre for Architecture (CCA) di Montréal [6] 3 evidenziano gli interrogativi di partenza. L9edificio esistente, infatti, occupando l9ipotetico centro geometrico dell9area trapezoidale delimitata a nord da via Paolo Troubetzkoy e a sud dalla line di costa del lago, sottolineava la necessità di intervenire nello stesso punto. Due furono gli interrogativi di partenza documentati proprio nell9Aldo Rossi fonds del CCA: procedere alla demolizione e quindi sostituire l9edificio esistente con uno ex-novo, oppure procedere a una massiccia <ristrutturazione= che potesse riutilizzare le parti già costruite inserendole in una nuova dimensione spaziale? Foto di Aldo Rossi con al polso l9orologio Momento firmato Alessi. [10] [5] A. Rossi, Autobiografia scientifica, Pratiche, Parma 1990, p. 22; ed. or. A Scientific Autobiography, The MIT Press, Cambridge MA 3 London 1981. [6] Si fa riferimento all9Aldo Rossi fonds, Reference Number AP142, Canadian Centre for Architecture, Montréal. In particolare si veda il progetto archiviato con la dicitura <Ristrutturazione Casa Alessi, Verbania, Italy=, R.N. AP142.S1.D151. 22 23
  • 14. saggio 03 MYA 07 / giugno 2023 L9autore, di concerto con la committenza, scelse di procedere secondo quest9ultima opportunità utilizzando lo scheletro esistente, quelle <ossa= care a Rossi, e di lavorare su nuovi sistemi narrativi a partire dalla facciata. La relazione di progetto indica come la villa ricostruisca figure narrative, riproponga elementi dell9architettura, ritorni nel luogo del lago attraverso ricordi e citazioni per aggiornare storie. «La villa sorge sui resti di una casa del dopoguerra quasi totalmente distrutta. Rimane il vecchio muro del giardino che sarà in parte restaurato e consolidato. L9architettura della villa ha per me un interesse particolare perché, per la prima volta, mi è stato possibile ispirarmi, e in qualche modo imitare, lo stile romantico. Di questo stile, che unisce i caratteri locali con elementi classici o storici, il lago Maggiore e il lago di Como (come altre località lombarde) presentano esempi molto belli. [&] Se l9impianto di questa casa è assolutamente libero e personale, l9uso di queste citazioni stilistiche lega intimamente la costruzione all9ambiente. Vi è in questo una personale autobiografica citazione per la mia educazione lacustre, ma anche la ricerca delle diverse vie che l9architettura può percorrere oggi nelle differenti situazioni o luoghi in cui si realizza.»[7] Sotto e pagina successiva Villa della famiglia Alessi sul Lago Maggiore. [10] In un lago che sembra cambiato, si ricorda nella lettera indirizzata ad Alberto Alessi nel 1994, Rossi procede nella direzione di aggiornare il palinsesto proponendo immagini del quotidiano, similmente a quelle che nell9officina di Omegna vengono ancor oggi prodotte in piccola scala. La descrizione di Scheurer evidenzia la complessità di un sistema che ragiona sulle diverse dimensioni del progetto: quella dell9oggetto, quella umana, quella urbana e quella territoriale dettata dal lago. «L9organizzazione della casa su quattro livelli origina di per sé la creazione di mondi a sé stanti, uniti e separati. Paradossalmente si vive in una grande casa formata da quattro case indipendenti, la sensazione è molto particolare poiché in ogni luogo si controllano gli spazi ad esso limitrofi dimenticando il resto della casa, ma allo stesso tempo, si è sempre in rapporto con il lago. Dietro la facciata tripartita in cotto, la cui monumentalità si relaziona con l9intorno, si aprono ad ogni livello le vetrate dei locali principali. Troviamo in questo caso un connubio tra scala urbana e scala umana inatteso ma molto efficace. Troviamo al livello strada il mondo della vita quotidiana che con ingresso, pranzo, soggiorno si rapporta direttamente con gli ospiti. Il livello lago crea invece un rapporto più intimo tra casa e lago, tra soggiorno e lago e giardino. La folta vegetazione e gli alti muri di recinzione ci rapportano direttamente e intimamente con il lago posto di fronte. La zona notte si sviluppa su due livelli superiori; al primo si colloca la grande camera, all9ultimo, caratterizzato dalla volta della copertura si dispongono tre camere minori.» [8] 25 24
  • 15. saggio 03 Contornata da un grande giardino, la villa si appropria del terreno generando un terrazzamento come accesso principale allo spazio domestico. All9interno quattro distinti livelli sottolineano la diversità della vita per ricordarci i tempi e i momenti di ogni fase della giornata. Una variazione che è tuttavia tenuta insieme da un grande corpo scenico, quello della facciata verso il lago che, come a Venezia, si rivolge verso l9acqua invece che verso la strada di accesso. Una loggia tripartita segnala l9esistenza dei livelli interni. È un9ossatura definita da un sistema di pilastri poligonali in calcestruzzo rivestiti in cotto e completati da una <trabeazione= continua a decorazione dei solai in aggetto rispetto all9interno. È questo il punto di massima tensione dell9intera composizione dove, grazie al posizionamento di un sistema di balaustre, si ritrova metaforicamente il legame tra le due figure: quella dell9architetto e quella del committente. Secondo tale operazione l9autore utilizza «elementi, parti finite, vere e proprie architetture 3 come 3 grammatica scelta di architettura ben precisa» [9] in grado di supportare la complessità della costruzione insistendo in un processo di addizione secondo un9azione prevista. La loggia sostiene l9apparato di forature insistendo sui singoli elementi e la loro essenza, un aspetto che Rossi importa nel verbano alla desiderata mistificazione di una costruzione lontana, di un teatro vuoto dove è prevista la sola azione dello sguardo borghese e dove la struttura rappresenta il simbolo maggiore dello spazio dell9architettura. Quelle balaustre, infatti, indicano il ritorno a un sistema di <piccole cose=, a quella tradizione artigiana che Aldo Rossi rimpianta nell9ambiente lacustre, come il suo committente Alessi, per ricordare a noi osservatori e agli abitanti quanto la vita, a volte, sorpassi il mero significato della costruzione stessa foraggiando l9architettura di questioni non verificabili con il solo dato tecnico o con il cantiere. [7] Relazione di progetto, in M. Petranzan (a cura di) con la collaborazione di M. Scheurer e L. Tadde, Aldo Rossi. Villa sul lago Maggiore. Progetto di villa con intero, il Cardo, Venezia 1996, p. 17. [8] M. Scheurer, Le vie parallele, in Ivi, p. 64. [9] A. Rossi, I quaderni azzurri: 1968-1992, a cura di F. Dal Co, Electa-The Getty Research Institute, Milano-Los Angeles 1999, Q/A 4, 26 gennaio-30 dicembre 1970. [10] Tutte le immagini scelte sono state selezionate dalla redazione della rivista MYA. A destra Villa della famiglia Alessi sul Lago Maggiore, interni. [10] 26
  • 16. Miraggio urbano nel deserto del Nevada progetto 01 CITY Secondo un pensiero comune, si è soliti paragonare: <il committente al padre di un progetto mentre l9architetto alla madre=. Dato per vero tale assunto, saremmo costretti a considerare l9ultima opera di Michael Heizer come un atto di ermafroditismo sufficiente (autofecondazione) o, meglio ancora, un esempio di partenogenesi (dal greco nascita-verginale). Infatti proprio come nel caso del fuco all9interno dell9 alveare, che ha una madre ma non un padre, nel mezzo del deserto del Nevada ha visto la luce, dopo 50 anni di lavori, una delle opere di land art più ambiziose mai costruite al mondo, sognata, immaginata, progettata, realizzata e in parte finanziata dalla solita persona. Si chiama <City=, e già dal nome si intuisce che l9intervento ha molti più punti in comune con la fondazione di un antico insediamento urbano che con un9opera d9arte contemporanea. Gianmarco Dolfi { Architetto. Libero Professionista } Visitabile già a partire dal 2 settembre dello scorso anno, solo in caso di bel tempo, su prenotazione per un massimo di sei fortunati visitatori, tassativamente senza alcun accompagnamento guidato. Con i suoi 2.5km di lunghezza per meno di 1km di larghezza, occupa un9ampissima parte di territorio desertico, ambiente che condivide con la limitrofa base aeronautica e un sito dismesso per i test nucleari. La scultura appare come un paesaggio antropico, modellato da dolci pendii, depressioni fluide e linee sinuose che ne delineano i contorni, alternati a ripidi e massicci terrapieni. L9intervento è caratterizzato da uso programmatico di materiali elementari, primitivi, come: terra battuta, sabbia, pietra e cemento che Heizer ha estratto e mescolato sul posto. L9uso di materie povere è una precauzione strategica in vista di una futura e, secondo l9autore inevitabile, agitazione sociale: <Quando verranno qui per distruggere la mia scultura 8City9, si renderanno conto che ci vuole più energia per rovinarla di quanto non valga=. In questo senso appare chiaro come l9opera sia già una rovina di se stessa, con la prospettiva di sopravvivere all9umanità e al tempo. Dal profilo di questo scenario lunare emergono massicci volumi geometrici, simili a monumenti ancestrali, con chiari richiami alle antiche culture pre-colombiane e ai loro templi mesoamericani, ma possono essere avvicinati a tutte le grandi civiltà antiche data l9estrema essenzialità formale e la potenza simbolica. Si oscilla costantemente tra la sensazione di trovarsi di fronte ai resti di un9antica civiltà perfettamente conservata e una città aliena disabitata, sospesi nel tempo. Sicuramente l9alone di mistero che ha ammantato l9intera area durante 29
  • 17. progetto 01 MYA 07 / giugno 2023 tutto il periodo di costruzione ha giocato un ruolo chiave nella mitizzazione dell9opera, tanto da essere paragonata alla leggendaria Area51. Si racconta di alcuni curiosi scacciati in modi poco ortodossi e di pellicole strappate dalle macchine fotografiche. Sono stati necessari cinque decenni di lavori, a partire dal 1972, periodo in cui Michael Heizer ha iniziato ad acquistare ampie porzioni di terreno desertico con l9idea di poterlo trasformare, un giorno, in un9opera i cui unici termini di paragone appropriati possono essere le stupefacenti linee di Nazca o i misteriosi geoglifi di Turgai. Mastodontico anche per quanto riguarda le risorse messe in gioco, i 5 decenni di lavori sono costati secondo le stime 40 milioni di dollari. Il coinvolgimento da parte del carismatico autore è stato assoluto, Heizer ha vissuto infatti gran parte degli ultimi 50 anni in un ranch remoto del Nevada, praticamente isolato dalla civiltà. Oggi Heizer vive a New York e si lamenta di come la città lo stia trasformando in <Un cowboy decaffeinato, esaurito, un ex pistola veloce che pranza a Balthazar=. <City= lo ha segnato in ogni aspetto della propria vita, ne ha compromesso la salute fisica e mentale: problemi respiratori e circolatori, dipendenza da morfina, polineuropatia forse causata da un9eccessiva esposizione a sostanze tossiche, ustioni dovute a incendi; minato la vita privata (due le relazioni naufragate durante la costruzione) e prosciugato le finanze. <Il mio lavoro, se è buono, deve comportare un rischio, se non lo fa, non ha sapore. Non ha sale.= Sebbene Heizer sia stato il primo a credere nel progetto, sono molte le persone e gli enti che durante il corso dei lavori si sono impegnate economicamente per far sì che l9opera potesse essere completata. La Triple Aught Foundation è l9organizzazione no profit, oggi proprietaria del sito, fondata appositamente per gestire gli investimenti di donatori e istituzioni tra cui: Crystal Bridges Museum of American Art (Bentonville, Arkansas); Dia Art Foundation (New York); Museo Glenstone (Potomac, Maryland); Lannan Foundation (New Mexico); il Los Angeles County Museum of Art; il Museum of Modern Art di New York. Tutto questo rende <City= un fenomeno anomalo, un esempio prezioso di come un progetto possa nascere in condizioni eccezionali. Ovviamente l9intera vicenda rappresenta un caso limite, un unicum, lontano dalla professione che l9architetto è chiamato a svolgere abitualmente, ma forse, proprio per questo, illuminante riguardo al rapporto con la committenza. Heizer è l9unico autore, primo e ultimo generatore della propria visione, si appropria del ruolo del committente e relega tutti gli enti partecipanti alla funzione di meri investitori. <City=, come detto inizialmente, è un9opera nata senza alcun padre, uno scenario spesso auspicato, forse invidiato, da ciascun progettista che si sia trovato a fare i conti con clienti poco illuminati, non sempre in grado di rappresentare un valore aggiunto per il progetto. Forse una condizione non così insolita per gli artisti, la cui idea può permettersi il lusso di dover rispondere solo a se stessa, di non snaturarsi, come invece spesso accade in architettura, dove lo sviluppo dell9idea è innescato dall9evoluzione dialettica fra le due parti. Alla luce di casi come questo, senza addentrarci nella dibattuta distinzione fra arte e architettura, la figura del committente rischia di uscirne ridimensionata. 31
  • 18. 33
  • 19. progetto 02 MYA 07 / giugno 2023 L9EDIFICIO SACRO Marco Lamber, Don Paolo Dall9Olio { Architetto. Titolare dello studio LAMBER + LAMBER Parroco della Nuova Chiesa del Buon Ladrone, San Lazzaro di Savena, Bologna } Il Vaticano è, da sempre, uno dei più importanti committenti che la storia dell9architettura ricordi. Partendo da un esempio realizzato recentemente a Bologna si apre la possibilità per fare una riflessione allargata legata al rapporto tra la committenza e l9architetto chiamato a realizzare una chiesa. La Chiesa del Buon Ladrone A San Lazzaro di Savena, in provincia di Bologna, il team di giovani architetti composto da INOUTarchitettura, LADO architetti e LAMBER + LAMBER, hanno progettato la nuova Chiesa del Buon Ladrone. Il progetto del nuovo spazio sacro nasce da un processo, fortemente partecipato e condiviso con l9intera comunità, iniziato nel 2010. Partendo dall9immagine archetipa di chiesa, il progetto ricerca un9architettura priva di virtuosismi, essenziale nei tratti e d9immediata comprensibilità: sobria, solenne, ma non monumentale, immagine di una mistica quotidianità. Il messaggio di liberazione e riscatto, legato alla figura del Buon Ladrone, è rafforzato dalla scelta di coinvolgere il carcere La Dozza di Bologna per l9inserimento di alcuni detenuti (a fine pena e a seguito di un periodo di formazione) nella fase costruttiva e realizzativa del complesso stesso. Un progetto dunque di architettura e sociale in grado di generare un nuovo polo di aggregazione per i fedeli e non solo. 35
  • 20. progetto 02 Committenza e architetti dialogano Il rapporto tra committenza e progettisti nel caso della costruzione di una chiesa va oltre a quello che dovrebbe accadere in ogni altro caso: rispetto nel riconoscimento dei rispettivi ruoli, chiarezza e dialettica costruttiva anche quando c9è qualcosa che in qualche modo non risponde alle aspettative reciproche. E questo per un primo motivo: la committenza non è una persona o una società, ma una comunità che in quell9edificio sacro vivrà snodi esistenziali decisivi: battesimi, e funerali, passaggi di crescita dei figli, matrimoni, e, soprattutto, il sentirsi comunità. Ed i progettisti stessi vivono l9ideazione e la realizzazione di quell9edificio in modo forse differente da qualsiasi altro progetto: per un architetto o un ingegnere costruire una chiesa è un9opportunità umanamente e professionalmente sfidante, arricchente e, onestamente, anche piuttosto rara. Continuo ad usare il plurale perché si è trattato di quattro architetti giovani compagni di studi, tre uomini ed una donna, di una donna ingegnere con qualche anno in più di esperienza, di un architetto senior. Anche questa pluralità di soggetti, di età, di genere, è fondamentale per creare un dialogo costruttivo con la committenza. In questa prima direzione abbiamo pensato una prassi partecipativa che ha permesso da una parte alla comunità parrocchiale di maturare consapevolmente le sue scelte, dall9altra ai progettisti di mostrare con competenza e fantasia come rendere effettive tali scelte. Ciò è avvenuto a più riprese: nella scelta stessa dei progettisti, nella scelta del layout dell9aula liturgica (attraverso tre successive domeniche in cui tutta la comunità parrocchiale ha sperimentato e votato disposizioni differenti dei fuochi liturgici e dell9assemblea), nel modo con cui il nuovo complesso parrocchiale si sarebbe inserito nel contesto urbanistico, nell9indicazione analitica del tipo di uso futuro e delle conseguenti aspettative funzionali che ha permesso ai progettisti degli impianti elettrico e meccanico di avere ben chiare le esigenze concrete, e, ultimo ma non ultimo, nella scelta degli artisti che avrebbero realizzato il crocifisso e il grande affresco. Di aiuto è stato anche l9inserimento, per richiesta dell9Ufficio CEI per l9Edilizia di Culto, di un RUP esterno al gruppo dei progettisti: ciò ha permesso di superare alcune difficoltà che inevitabilmente emergono nella realizzazione di un9opera di tale importanza. Ma c9è un secondo motivo per cui il rapporto tra progettisti e committenza nella realizzazione di una chiesa va oltre a ciò che accade in tanti altri casi. Questi due soggetti infatti non sono preoccupati soltanto delle esigenze di funzionalità, economicità ed una generale piacevolezza estetica dell9edificio costruito: sono anche custodi di due linguaggi simbolici, rispettivamente quello dell9architettura e quello della vita di fede. Quella chiesa non dovrà solo conquistarsi il consenso di chi passerà davanti ad essa o entrerà quando è vuota (e già questo non è semplice: quante volte abbiamo sentito l9uomo o la donna comune affermare <a me le chiese moderne non piacciono, non si capisce neanche che è una chiesa=), ma soprattutto sarà lo scenario attivo in cui la comunità celebrerà il rito liturgico, che è un grande complesso di azioni simboliche. Non dovrà soltanto essere <bella= ma anche far sì che la celebrazione liturgica in essa vissuta <funzioni= nel rendere presente il Signore Gesù crocifisso e risorto, nella memoria della pasqua e nella partecipazione attiva del popolo di Dio. Le parole con cui i progettisti hanno descritto l9edificio - soglia alta e soglia bassa, senso del mistero e accoglienza familiare, uso attento dei due soli elementi materici del legno e della selenite e tutto il resto scandito dalla luce e dalle ombre - non sono un saccente esercizio di stile ma sono il frutto della ricerca per la quale con il linguaggio simbolico architettonico hanno saputo interpretare ed esaltare il linguaggio simbolico della fede. E quando si parla di linguaggi simbolici si tratta sempre di mantenersi in equilibrio per non essere né didascalici né criptici: cioè da una parte non finire per descrivere tutto annientando la forza evocativa del simbolo, che fa vivere un9esperienza senza dire tutto, e, dall9altra, non cadere nella tentazione di adottare riferimenti a tutti i costi originali, che forse solleticano lo stupore di chi pensa alla chiesa come un monumento ma che non <arrivano= a chi la chiesa la vive, perché troppo nascosti e complicati, annientando anche in questo caso la capacità evocativa di comunicare. Se, così mi sembra, nella chiesa di San Disma siamo riusciti a mantenere questo equilibrio è perché ciascuno di noi, committenza e progettisti, è stato custode della simbolicità del proprio linguaggio e si è fidato della capacità dell9altro di far fiorire la capacità espressiva del suo linguaggio. 36 37
  • 21. MYA 07 / giugno 2023 progetto 02 38
  • 22. Maison Fendi e PIUARCH a confronto progetto 03 FENDI FACTORY Gino Garbellini { Architetto. Socio fondatore dello studio di architettura milanese PIUARCH } Lo studio milanese ha collaborato con la Maison Fendi ideando un9architettura che scompare all9interno del paesaggio ponendosi in dialogo aperto con la natura circostante. Un giardino sospeso che risana un9antica frattura del territorio e ricompone l9andamento collinare del sito in cui è inserito. Così si presenta il nuovo edificio produttivo Fendi a Bagno a Ripoli (FI), il cui concept di progetto è stato ideato e sviluppato dallo studio milanese Piuarch e successivamente proseguito e coordinato dall9Architecture Department di Fendi. Un complesso di circa 14.000 mq che sorge nella campagna toscana, concepito sulla base di elevati criteri paesaggistici e alta efficienza energetica, nato dalla volontà della Maison di coniugare l9eccellenza del proprio prodotto con la realizzazione di un segno architettonico di grande valore estetico ed ambientale. Una richiesta interpretata da Piuarch attraverso un progetto che diventa parte integrante del paesaggio anzichè un innesto. A partire da un approccio innovativo, lo studio ha progettato un edificio che si sviluppa orizzontalmente su un unico livello componendo una forma libera in quanto determinata dalle necessità del processo produttivo. La funzionalità degli spazi diventa quindi il principio compositivo della pianta che combina diverse funzioni, fondendole in percorsi fluidi che lo attraversano orizzontalmente. 40
  • 23. MYA 07 / giugno 2023 progetto 03 Una <spina dorsale= di collegamento fra gli spazi, dalle pareti trasparenti, mette anche visivamente in connessione le diverse funzioni e promuove la circolazione e la socializzazione delle persone. Il complesso ospita uffici direzionali e amministrativi, un ristorante, un magazzino di produzione, laboratori e una scuola di alta pelletteria, con l9obiettivo di esprimere appieno l9eccezionale qualità e gli alti standard del luxury brand. Il concept di progetto, definito in fase preliminare insieme al paesaggista Antonio Perazzi, ha come obiettivo di definire le condizioni per una rinnovata collaborazione tra architettura e ambiente. Le caratteristiche del luogo, segnato dalle logiche di sfruttamento dell9industria laterizia e della cava precedentemente attiva sul lotto, hanno infatti richiesto un intervento di risanamento e suggerito l9opportunità di interpretare la realizzazione del complesso produttivo come occasione per instaurare virtuose dinamiche di gestione del territorio. L9architettura si pone così in un dialogo aperto con la natura circostante: l9edificio, apparentemente ipogeo grazie alla scelta paesaggistica di realizzare una copertura a verde continuo ed intensivo, diventa un sistema ecologico integrato che ricostruisce la morfologia del terreno e restituisce forma alla collina originaria. Un vasto giardino pensile che riveste una funzione non solo ambientale ma anche sociale e collettiva, diventando spazio fruibile e luogo di socializzazione per i dipendenti. <L9idea è stata quella di ricostruire un paesaggio naturale attraverso un9architettura che scompare all9interno del paesaggio stesso. Quando un progetto di architettura è anche un progetto di paesaggio, la simbiosi con l9ambiente si sviluppa in modo naturale=, afferma Gino Garbellini, socio dello studio Piuarch. La copertura verde, scavata da patii che ne interrompono la continuità e illuminano gli spazi interni, emerge così come landmark del progetto. Un segno che estende l9identità e la funzione della nuova sede produttiva al territorio circostante, con il quale stabilisce un inedito sistema di equilibri: areazione e luce naturale, utilizzo di materiali che richiamano i colori del luogo, pareti esterne e interne trasparenti, garantiscono uno scambio visivo e fisico, quasi osmotico, tra ambiente artificiale e naturale, tra interno ed esterno. Dal tetto verde, ai cortili, al parco industriale che lo circonda, l9idea è stata quella di trasformare l9intero lotto in un giardino nuovo ed esteso, ponendosi inoltre come obiettivo il miglioramento della qualità degli spazi di lavoro, per sottolineare quella che il committente indica come priorità del proprio operare: l9impegno per una sempre maggiore responsabilità verso ambiente e società. 42
  • 24. MYA 07 / giugno 2023 45
  • 25. Manifesto istituzionale per Olivetti, 1969, J. M. Folon RUBRICHE RUBRICHE
  • 26. altre architetture LA COMMITTENZA NELL9ARTE CONTEMPORANEA Manuela Menici { Artista. } C9è ancora qualcuno che pensa all9artista come a qualcuno che opera in totale autonomia e senza nessun tipo di vincolo o compromesso? Se è così vediamo insieme perché è tutto molto più complesso. Se da un lato è innegabile che ogni artista persegua una sua ricerca fatta di studio, prove, fallimenti, la sua crescita avviene anche e soprattutto attraverso le esperienze, gli incontri; molto spesso è attraverso il confronto con altri artisti, siano essi amici e persone vicine o artisti del passato e contemporanei con i quali si confronta attraverso la conoscenza e l9approfondimento delle loro opere. Altre figure che interagiscono e in qualche modo influenzano il percorso di un artista sono curatori, critici, galleristi, collezionisti, committenti. Non è inusuale che, ad esempio, da un9idea di mostra di un curatore, l9artista venga invitato a produrre un9opera. Ormai è tutto molto <fluido=, i vari protagonisti dell9arte contemporanea sono tutti partecipi a quel processo creativo che da9 vita all9opera, insieme ci si interroga, si riflette su un tema e chi scrive 54° Biennale d9Arte di Venezia, Padiglione Italia-Accademie, 2011. il testo critico quanto chi realizza l9opera è parte della genesi dell9evento, della mostra. All9inizio del mio percorso, nella Prato di fine anni 890, è stato un mercante il mio primo committente, il famoso e famigerato Carlo Palli. Fu Massimo Barzagli, artista che all9epoca aveva già una carriera importante alle spalle, a presentarmelo. Insieme a Costanza Turchi (oggi Clotilde), Gerardo Paoletti, Federico Gori, Piergiorgio De Pinto, Marino Ceccarelli avevamo affittato il nostro primo studio in un capannone in centro, in via Puccetti, di fronte alla Fabbrica Campolmi, oggi sededel Museo del Tessuto e della Biblioteca Lazzerini. Frequentavamo ancora l9Accademia di Belle Arti ed eravamo all9inizio della nostra ricerca artistica; personalmente mi dedicavo alla pittura, i miei primi lavori si rifacevano all9espressionismo astratto alla De Kooning e in parte alla Pattern and Decoration nonché ad un quadro di Lari Pittman, che avevo visto all9interno della mostra <Sunshine & Noir= al Castello di Rivoli a Torino, e che mi aveva profondamente influenzato. Carlo Palli, sempre recettivo e curioso nei confronti degli artisti del territorio, iniziò a frequentare il nostro studio e a seguirci nelle nostre prime mostre ed esposizioni; dopo breve tempo ci offrì uno <stipendio= mensile in cambio delle opere che creavamo. Credo si possa a pieno titolo parlare di committenza perché, questo suo credere in noi e supportarci, ci ha permesso per i primi anni di vivere del nostro lavoro. Se invece rifletto sulla mia ultima esposizione personale, posso dire che, a partire dalla <committenza=, in questo caso l9architetto Luca Gambacorti, si sono innescate tutta una serie di possibilità e ipotesi che certo non avrei potuto sviluppare da sola nel mio studio. Nel mese di novembre 2022 Luca mi chiama per propormi una mostra da inaugurare il mese successivo nello spazio MOO Mud Object Oriented in via San Giorgio 9 a Prato. Aitanti Cantieri Culturali, Ex Macelli, Prato, 1999. 48
  • 27. altre architetture Il tempo era davvero poco ma il desiderio di far rivivere lo spazio, rimasto chiuso per un periodo a causa dell9emergenza Covid, nonché la possibilità di lavorare di nuovo insieme sono stati motivi sufficienti per farmi mettere al lavoro. Luca Sposato ha scritto il testo per la mostra ed è uno di quei casi in cui si vanno a moltiplicare i livelli di lettura del lavoro. Insieme ci siamo incontrati nello spazio vuoto della galleria e attraverso il dialogo è nata l9idea di ricreare all9interno dello spazio non una vera e propria mostra, ma una cosa più intima, una sorta di studio-casa dell9artista, fatto non solo di opere ma anche di mobili, oggetti, fotografie, ricordi. Il titolo della mostra <Casa nomade= rimanda sia al mio errare per case (ne ho cambiate una decina in vent9anni) sia al luogo di creazione per l9artista che è sì lo studio ma anche il luogo dove l9opera prende vita: sia esso il museo, la galleria ma anche la casa. La mostra è stata un lavoro corale, non la sento solo mia, la sento nostra, non avrei potuto progettarla a tavolino dallo studio, è nata dal confronto, dal dialogo, dai dubbi, dalle divergenze. Non so se è corretto parlare di committenza in casi come questo, ma sono certa che per quanto mi riguarda vorrei sempre lavorare così, l9opera non è qualcosa di univoco, cambia a seconda di come viene esposta, raccontata, fruita. Pagina precedente Constellation, La democrazia del corpo, Cango, Fi, 2004. Back to black, Spazio Moretti, Carmignano, 2011. Sopra MOO - Casa Nomade, Prato, 2022 51
  • 28. { Architetto. Libero professionista } MYA 07 / giugno 2023 design C9ERA UNA VOLTA LA COMMITTENZA Il processo costruttivo sia esso edilizio, attraverso un linguaggio di elementi architettonici, o di realizzazione di un oggetto o un arredo, attraverso il design del prodotto, è sempre stato complesso poiché coinvolge persone, tecniche e risorse economiche, aspetti che devono necessariamente interagire fra di loro per far si che un9idea iniziale si trasformi in qualcosa di concreto. Tra le tante figure in gioco quella del committente e quella dell9architetto progettista rappresentano i due capisaldi del processo; il primo è il <promotore= di un9idea , di un9ambizione e spesso ne è anche il finanziatore; l9altro invece è < l9interprete= di quella volontà iniziale che con il suo estro cerca di trasformare un concetto in qualcosa di reale , meglio se allo stesso tempo bello e funzionale. Il rapporto tra queste due figure non è stato sempre idilliaco , talvolta conflittuale, in quanto devono coesistere esigenze tecniche, estetiche ed economiche provenienti da visioni a volte concordanti altre volte discordanti. Tale rapporto è risultato essere in vari casi <simbiotico= in quanto il connubio di esperienze provenienti da mondi diversi ha prevalso sulle singole individualità per creare una unità di intenti volta alla concretizzazione dell9opera. Negli anni la committenza è cambiata in funzione dell9epoca e delle necessità. Si può notare che fin dall9antichità, passando poi dal medioevo al rinascimento e fino al 1900, la cosiddetta <committenza illuminata= con le proprie ambizioni, desideri e risorse economiche ha prodotto attraverso il <sapiente intervento= dei progettisti ed architetti del tempo, quali interpreti delle loro ambizioni, opere d9arte, monumenti ed oggetti di notevole splendore che sono rimasti fino ai giorni nostri. David Darelli A sinistra Ritratto di Carlo Andrea Ignazio Ginori. Ritratto di Carlo Alessi. A destra Ritratto di Adriano Olivetti. Gli architetti e designer d9altro canto hanno avuto la possibilità di esprimersi e mette in luce il proprio talento diventando talvolta celebri per le proprie opere. Possiamo dire senz9altro che in passato, dall9unione e dall9interazione reciproca tra queste due figure, unita al gusto estetico del < bello e ben fatto < nell9armonia delle parti, hanno prodotto risultati eccellenti. Tale concetto si è perso via via con l9avvento della tecnica e dell9industria, creando così un contrasto tra <costruzione= e <architettura=; la prima basata sull9organizzazione razionale e funzionale degli elementi, esaltando la sobrietà con attenzione ai costi, la seconda invece basata sull9equilibrio armonico delle parti , che mette in risalto invece il valore estetico ed artistico. Questa tendenza si è vista in particolar modo nel design con una conseguente perdita del saper fare artigianale a favore della standardizzazione industriale che tendeva ad uniformare gli oggetti fra di loro a scapito delle peculiarità che li contraddistinguevano. Pertanto già nei primi decenni del 9009 è nata l9esigenza di alcuni grandi produttori di oggetti di arredo e design, di affidare la progettazione all9estro di grandi figure di spicco ed architetti famosi che con la loro <conoscenza= hanno saputo creare un9armonia tra la parte funzionale e quella estetica. Tra i tanti committenti illustri, dei quali potremmo fare un lunghissimo elenco, possiamo citarne alcuni esempi: lo <stile Olivetti= nato dal suo fondatore che diffuse questa cultura in ogni fase della vita aziendale affidando al progetto e al suo design un ruolo centrale quando ancora in Italia non si erano formate vere e proprie scuole di design. Questo stile non si limitava a creare solo un bel vestito estetico ai suoi oggetti ma a lavorare in stretto contatto con i progettisti per dare un senso ad ogni forma, sia da un punto di vista comunicativo che funzionale ed economico, in modo da mettere l9utilizzatore a proprio agio. Già nel 1912 il fondatore Camillo Olivetti scriveva < la macchina da scrivere non deve essere un gingillo da salotto con ornamenti di gusto discutibile, ma deve avere un aspetto serio ed elegante al tempo stesso=. Con Adriano si concretizzò maggiormente lo stile Olivetti e la collaborazione con scrittori, architetti e grafici in una ricerca continua nel design; egli diceva <dobbiamo fare bene le cose e farle sapere= ovvero le scelte estetiche hanno 52 53
  • 29. lo stesso valore di quelle tecnologiche, la bellezza della forma con il suo design comunica la realtà dell9azienda. Questo personaggio non ha rappresentato solo < il committente= ma un ideatore che ha influito decisamente sull9architettura italiana e sul design, sintesi di una visione imprenditoriale , sociale ,politica e culturale. Il concetto di bellezza non era fine a se stesso, non aveva senso produrre oggetti perfetti esteriormente trascurando i bisogni concreti ed il sacrificio della qualità della vita ma doveva diventare un benessere per tutti. Il ciclo della bellezza dello stile Olivetti passava quindi dall9 attenzione agli aspetti sociali, allo spazio di lavoro e alle progettazione delle= belle fabbriche= fino al dettaglio dell9oggetto visto come opera d9arte. Tra i personaggi che hanno lavorato per Olivetti vi sono stati , per citarne alcuni, nel design Marcello Nizzoli (con la famosa lettera 22), Ettore Sottsass, Mario Bellini, nella progettazione delle grandi fabbriche Figini, Gardella, Zanuso fino a Carlo Scarpa con lo showroom di Piazza San Marco a Venezia. Un altro illustre committente è Alessi, azienda artigiana fondata nel 1921 da Giovanni e Carlo Alessi, nata come laboratorio metallurgico con fonderia e9 diventata un9importantissima manifattura, una delle cosiddette <fabbriche del design italiano=. A partire dagli anni 70 con Alberto Alessi è iniziata una fitta collaborazione con i più grandi architetti e designer come Castiglioni, Sottsass, Mendini, Sapper, Aldo Rossi fino al più recente Philippe Starck. La filosofia di Alessi è stata quella di rendere i prodotti dell9azienda , il risultato di una ricerca poetica ed espressiva tipica dell9attività di un laboratorio artigianale di arti applicate, con l9obiettivo, come lo era stato le <Arts and Craft= nell9800 , di riqualificare artisticamente la produzione seriale e di affidare così alla progettazione un ruolo vitale che avrebbe affermato l9eccellenza dei prodotti; possiamo citare ad esempio ilconcetto di opera d9arte applicata ad un pezzo di produzione industriale con la Caffettiera <La conica= del 1983 e <La cupola= del 1988 di Aldo Rossi. Altro esempio di successo del connubio tra committenza e architetto progettista, in quello scambio di esperienze pratiche e relazionali è quello tra Giò Ponti, allora giovane architetto milanese di ottime prospettive ma non ancora consacrato nel panorama artistico italiano, e la Richard-Ginori, manifattura già blasonata che aveva bisogno di una nuova linfa creativa.Nel 1923, dall9incontro tra <l9uomo= e <l9azienda= nasce una sinergia che ha anticipato lo sviluppo del design in Italia. Per Giò Ponti la manifattura diviene prima del successo, un luogo di formazione attraverso il quale matura esperienza nell9industria e nelle arti decorative, in particolare negli oggetti di arredo domestico, un9avventura che lo ha portato poi e trovare la sua vocazione nella creazioni di uno stile identitario inconfondibile. Egli ridisegnava in chiave moderna motivi della tradizione e dell9archeologia dell9architettura e rappresentando al meglio quell9assonanza armonica tra la progettazione artistica e produzione industriale. Tuttavia, se da un lato abbiamo avuto in passato grandi esempi dell9ottimo funzionamento del rapporto tra committente <promotore <e l9architetto < interprete ed ideatore,= da cui entrambi hanno tratto giovamento e successo, oggi questo rapporto è diventato sempre meno diretto e personale, perdendo quelle molteplici prospettive che però arricchivano di esperienza le visioni di entrambi; è venuto sempre meno quel rapporto fiduciario e di rispetto professionale, un tempo basato su certi valori, e quanto più scendiamo di scala dalle grandi aziende alle piccole realtà, la figura dell9architetto < sognatore e realizzatore di grandi idee= si è sempre di più persa fino a diventare uno dei tanti <esecutori= di richieste e necessità, dove pretese, costi contenuti e tempi serrati fanno da padroni. Negli ultimi anni infatti questa tendenza sembra sbilanciarsi sempre di più verso la necessità da parte dei committenti e produttori di rispettare logiche di mercato e marketing aziendali, estremizzando il concetto di <product design=, spostandosi dalla progettazione di prodotti belli e funzionali verso esigenze economiche e tecniche che soddisfano sempre di più gli innumerevoli bisogni degli utenti finali. La produzione di oggetti si è pertanto moltiplicata a dismisura, basata su innumerevoli richieste, su parametri economici, su trend di moda e sullo spiccato accento verso l9aspetto esteriore delle cose. La progettazione pertanto si è adeguata a questi sistemi e si sta spostando addirittura sempre di più verso processi <parametrici= e l9utilizzo di software garantiscono effetti immediati e mutevoli facilmente, a scapito di un processo <pensato e studiato a misura=, portando il progettista lontano dall9aspetto poetico e talvolta visionario dell9architetto del passato, che aveva sempre avuto un occhio attendo verso l9equilibrio armonico tra forma e funzione. Si determina quindi anche una spersonalizzazione del rapporto con il committente che in molti casi non è più diretto con una singola persona ma è rappresentato da grandi società o compagnie di investimenti; l9interazione del professionista non avviene più con il <soggetto promotore= originario artefice di grandi visioni, con la sua spiccata personalità, ma con un moltiplicarsi di figure intermedie gestionali che si occupano di garantire l9ottemperamento dei requisiti prefissati, divenuti di gran lunga più importanti dei valori personali e culturali del singolo individuo. Si amplifica così il divario tra i pochi architetti di successo che <impreziosiscono= i brand delle importanti aziende ed un pluralità di <tecnici= che quotidianamente devono sfornare soluzioni economiche e redditizie per questo mercato globale, a scapito delle proprie peculiarità e della professionalità delle singole figure. design Ritratto di Ennio Brion con Ettore Sottsass. Ritratto di Papa Giulio II, Tiziano Vecellio, 1545 ca. Ritratto di Enrico Mattei con Edoardo Gellner. 54 55
  • 30. { Architetto. Libero professionista } KEEP CALM AND TRUST THE ARCHITECT interni Quella del progettista è una professione molto complessa, con problematiche da affrontare a 360°: L9architetto deve saperne di statica, di composizione, di storia dell9arte, deve gestire i rapporti con le amministrazioni pubbliche, con l9impresa costruttrice etc ... ma innanzitutto deve saperne di ...committenza. La figura dell9 Interior designer (o progettista di interni) è quella di un tecnico con una preparazione orientata alla progettazione accurata degli interni, residenziali e non. Da un equilibrato rapporto tra le necessità del committente e le idee del progettista può nascere un ambiente unico che rappresenterà lo stile di vita di chi lo occuperà ed al contempo rispecchiare il periodo storico che lo accompagnerà. In questa difficile lettura della contemporaneità si intersecano più discipline: psicologia, architettura, filosofia, sociologia; per osservare ed interpretare da diversi punti di vista ciò che accade. Fondamentale è l9esigenza di applicare la psicologia. Le problematiche insorgono già nello stadio preliminare del processo perché i clienti, spesso impreparati, arrivano con aspettative irrealistiche in merito all9intervento di ristrutturazione, inoltre la routine di chi sta ristrutturando non è la normale routine. Il soggiorno potrebbe essersi momentaneamente trasformato in una camera da letto. C9è polvere ovunque. Le cose sono fuori posto. La ristrutturazione è di per sé un evento stressante e i proprietari di casa reagiscono con più o meno irritabilità, ansia, nervosismo; e quando qualcosa va storto 3 un ritardo, una modifica imprevista 3 gli animi possono talvolta scaldarsi eccessivamente. Come comportarsi per evitare tensioni, litigi, stress? Chiarezza ed empatia sono le parole chiave per instaurare fin da subito un rapporto di fiducia e fare luce sull9iter da seguire. L9 ascolto della persona, dei suoi bisogni e dei suoi sogni, stanno alla base di un progetto di interior design. Nel processo di ristrutturazione domestica la figura che risulta spesso più difficile da coinvolgere è quella maschile. Il rapporto con il Committente, si basa sulla fiducia, si connota in senso personale e sociale, ed è aspettativa di un comportamento corretto e cooperativo basato su standard e regole comunemente condivise. Tale aspettativa si fonda sulla conoscenza diretta del professionista, ma anche e soprattutto sull9affidabilità della categoria alla quale appartiene. Silvia Gamba Il rapporto con il Commitente, si basa sulla oducia, si connota in senso personale e sociale, ed è aspeta}va di un comportamento correto e coopera}vo basato su standard e regole comunemente condivise. Tale aspeta}va si fonda sulla conoscenza direta del professionista, ma anche e sopratuto sull9aodabilità della categoria alla quale appar}ene. Quella del progettista è una professione molto complessa, con problematiche da affrontare a 360°: L'architetto deve saperne di statica, di composizione, di storia dell'arte, deve gestire i rapporti con le amministrazioni pubbliche, con l9impresa costruttrice etc ... ma innanzitutto deve saperne di ...committenza. La figura dell9 Interior designer (o progettista di interni) è quella di un tecnico con una preparazione orientata alla progettazione accurata degli interni, residenziali e non. Da un equilibrato rapporto tra le necessità del committente e le idee del progettista può nascere un ambiente unico che rappresenterà lo stile di vita di chi lo occuperà ed al contempo rispecchiare il periodo storico che lo accompagnerà. In questa difficile lettura della contemporaneità si intersecano più discipline: psicologia, architettura, filosofia, sociologia; per osservare ed interpretare da diversi punti di vista ciò che accade. Fondamentale è l9esigenza di applicare la psicologia. Le problematiche insorgono già nello stadio preliminare del processo perché i clienti, spesso impreparati, arrivano con aspettative irrealistiche in merito all9intervento di ristrutturazione, inoltre la routine di chi sta ristrutturando non è la normale routine. Il soggiorno potrebbe essersi momentaneamente trasformato in una camera da letto. C9è polvere ovunque. Le cose sono fuori posto. La ristrutturazione è di per sé un evento stressante e i proprietari di casa reagiscono con più o meno irritabilità, ansia, nervosismo; e quando qualcosa va storto 3 un ritardo, una modifica imprevista 3 gli animi possono talvolta scaldarsi eccessivamente. Come comportarsi per evitare tensioni, litigi, stress? Chiarezza ed empatia sono le parole chiave per instaurare fin da subito un rapporto di fiducia e fare luce sull9iter da seguire. L9 ascolto della persona, dei suoi bisogni e dei suoi Solitamente davanti all9architetto arriva una donna, con le idee ben chiare in testa, magari con le foto ispiratrici quanto irrealistiche di Instagram o Pinterest da mostrare, mentre il partner si eclissa, asseconda e non si pronuncia. Probabilmente questo si verifica per i preconcetti socio-culturale del genere maschile e femminile e per l9associazione stereotipata che lo spazio domestico è donna. E9 importante che la coppia sia coinvolta pienamente nel processo decisionale. Il problema si può risolvere con un ascolto più attento del progettista che coinvolga gli uomini in modo attivo, che sentendosi liberi di esprimere desideri e bisogni contribuiscono a costruire una progettazione condivisa che davvero si avvicina alla soluzione ideale per tutta la famiglia. Arredare è un9arte complessa, bisogna capire il carattere delle persone, le loro esigenze, passioni e paure. Oggi è fondamentale progettare e guardare in modo nuovo agli spazi perché contemporaneamente anche le famiglie stanno subendo delle trasformazioniimportanti, non ci sono più solo famiglie tradizionali, ma anche le cosidette <nuove famiglie= che comprendono tutte le forme di convivenza possibile. Si tratta di determinare quanto un architetto sia in grado di intendere le richieste del cliente (e tradurle in spazio abitabile) e soprattutto quanto questo architetto sia in grado di educare il cliente nel breve tempo a disposizione- per metterlo in condizione di comprendere di cosa abbia bisogno e quali servizi riceverà dal professionista. È una questione di equilibrio e di sinergia con i committenti. Quando c9è sinergia vuol dire che c9è ascolto reciproco e con l9ascolto reciproco c9è la fiducia. La sinergia che si crea con il committente, rappresenta la differenza tra la prestazione professionale che si tramuta in un bel progetto e il semplice acquisto di beni materiali o di servizi commerciali. Gli ostacoli più complicati nel rapporto tra committente e progettista sono tre: il committente non capisce cosa fa il progettista; l9architetto è avvertito come un costo; il lavoro dell9architetto è sottovalutato. Errori che dipendono da una mancanza di comprensione dei propri ruoli e compiti. Un altro errore da parte del Cliente, è quello di considerare l9architetto capace di comprenderne i suoi desiderata, come se questo avesse la sfera di cristallo, oppure di considerarlo né più ne meno che uno stilista al quale affidare, senza riserve, l9immagine della propria casa. Ecco allora che il progetto può diventare uno spazio stereotipato o troppo di tendenza o da rivista; la casa diventa così un prodotto e non un progetto, il prodotto del tutto bianco, del tutto vintage o del tutto industrial , o la casa dove, sull9altare dell9open space e del loft, vengono mortificati spazi e funzioni che, invece, derivano da usanze e comportamenti secolari. Ed allora come impostare correttamente un rapporto che è professionale, ma che al suointerno deve essere fatto di sincerità, di dialogo, confidenza e, anche, di complicità? Innanzitutto instaurando un rapporto di reciproca fiducia iniziando a conoscere i clienti vistando la casa in cui vivono per capire a cosa sono abituati e quali sono le nuove esigenze da sviluppare, informando il cliente sui suoi diritti e sui suoi doveri, rendergli consapevoli che sono i veri protagonisti della trasformazione, far comprendere al cliente che l9architetto si occupa del progetto come processo e non del progetto come prodotto. Non ultimo e da non sottovalutare consapevolizzarli sul rapporto economico tra Committente e professionista. Il rapporto più delicato per il progettista è probabilmente proprio quest9ultimo. <L9architetto è l9unico professionista che accetta ancora di lavorare <navigando a vista=. Non c9è nessun9altra professione che io conosca in cui un professionista lavora senza prima firmare un contratto di qualche genere. In architettura le cose sono diverse: il cliente prima vuole un9«idea», e chiede all9architetto un progetto di massima; egli non vuole impegnarsi da subito e l9architetto da parte sua non vuole metterlo sotto pressione. Il gioco può andare avanti anche per molto tempo: il cliente ritiene, in assenza di contratto, di poter annullare il rapporto quando vuole, mentre l9architetto spera di avere una buona chance di ottenere la commissione dopo tutto il lavoro che ha già fatto per il committente.= (Hannes Pflaum dello studio legale Pflaum Karlberger Wiener Opetnik di Vienna). 56 57
  • 31. interni Ma con l9accanita concorrenza tra professionisti, nessun architetto può permettersi di lasciarsi scappare clienti. Tuttavia vi sono almeno 2 categorie di clienti che possono compromettere gravemente il benessere fisico e mentale dell9architetto e a cui sottrarsi! 1. L9ansioso: Il cliente ansioso è uno dei più insidiosi perché può trascinare l9architetto verso la dissociazione della personalità. L9ansioso telefona ad ogni ora del giorno ed ad ogni giorno della settimana per modificare le decisioni prese fino a quel momento, (non ci sono giorno di riposo per l9architetto!). L9ansioso non delega, è insicuro, la bassa autostima lo rende incapace di compiere scelte ed assumersi dei rischi. L9ansioso con i suoi innumerevoli dubbi mina le certezze dell9architetto che iniziano a vacillare in attesa delle scelte che non arrivano mai, perché l9ansioso è anche pavido. L9 ansioso non da mai una conferma per paura di commettere degli errori per cui, ad esempio, l9ordine di un pavimento può protrarsi per mesi, con opzioni preoccupanti verso il parquet, la resina o il marmo. Provocano indicibile sgomento le oscillazioni su questioni che incidono anche sulle tempistiche di cantiere ad esempio tra la tazza di gabinetto con scarico a parete o a terra, le rubinetterie a placcatura dorata o cromata, le spine elettriche nel soggiorno, la carta da parati o la tinteggiatura, la cucina con l9isola o la penisola, ecc. Il quadro peggiora se l9ansioso è accompagnato da una compagna ansiosa (o viceversa), con questa congiuntura la realizzazione del progetto può trasformarsi in un incubo. 2. L9avaro: Il cliente avaro ha difficoltà con gli stati di avanzamento, ma non perché indigente, solo per avarizia o per sottostima del lavoro dell9architetto, che di solito derubrica a <...quei due disegnini!=. La caratteristica principale dell9avaro è l9ostentazione del lusso personale, di solito, durante la ristrutturazione, sfoggia sempre un nuovo smartphone o una nuova macchina o il viaggio alle Maldive. Ma l9onorario dell9architetto è sempre esagerato, e non di poco, è sempre almeno il triplo di quello che lui <si aspettava=. Fa salti mortali e adopera insidie e lusinghe per farsi concedere uno sconto. Poi promette all9architetto che salderà al più presto. Di solito le promesse si accumulano così come gli acconti in arretrato. Il saldo della notula comporterà un lavoro gravoso ben più più faticoso della realizzazione del progetto! Casa ispirata all9Art Decò. Casa per vacanze. Sopra Casa minimalista. A sinistra Design organico.
  • 32. IL VERDE SI ASPETTA! esterni Intervista a Vera Busutti [1] MYA 07 / giugno 2023 LP Architetto paesaggista e committenza. Un rapporto semplice? Quali sono le criticità peculiari quando si devono progettare e realizzare < spazi verdi=? VB I committenti sono necessari e il progetto è desiderio. La storia dell9architettura e dell9arte sono da sempre segnate dalla presenza di committenti importanti, personaggi capaci di scegliere il loro architetto, di offrirgli una visione, di seguirlo nell9evoluzione del progetto, contrastandolo quando necessario ma comunque rispettandolo, come si fa con un compagno di viaggio. Lo ammetto, ho sognato in diverse occasioni di poter a meno, di poter progettare senza compromessi senza piegare l9estetica delle proprie idee alla dura realtà del: <si, ma dove metto il tappeto elastico con diametro 5 metri?=. Ricordo con tenerezza i tempi dei progetti che non lasciavano mai la carta, esaltanti esercizi di stile dove nessuno avrebbe mai cercato di infilare un barbecue in stile vernacolare o un olivo secolare meglio se pacciamato con chips di vetro blu cangiante. La realtà è che committente e architetto sono necessari l9uno all9altro e legati, per il tempo che li vede dividere un obiettivo, in un matrimonio necessario e spesso conflittuale. Il cliente ideale trasmette le proprie esigenze, ingaggia chi meglio può interpretare la propria personalità e si aspetta una sapiente e coerente interpretazione stilistica e funzionale tramite le capacità e l9estro del progettista. Il risultato dovrebbe essere un paesaggio che sia espressione della personalità di chi lo Lucia Petrà { Architetta. Libero Professionista } [1] L9architetta Lucia Petrà in ascolto dell9architetta paesaggista Vera Busutti (B SCAPE studio di architettura del paesaggio). ha commissionato ma anche un tassello in un quadro più ampio, di un9aspirazione collettiva di percezione del bello, di piacevolezza che si traduce in qualità di vita e armonia. In questo il paesaggista dovrebbe essere messo nelle condizioni di offrire la sua cultura, la sua visione e le proprie competenze. LP E i committenti riescono, una volta deciso di affidarsi ad un professionista, quindi si presuppone un esperto, ad affidarsi e farsi condurre in questo non scontato viaggio dall9idea alla sua realizzazione? VB Devo ammettere che gli incontri fortunati sono sempre più rari e credo che la responsabilità sia, oltre a molteplici fattori storici ed economici, della velocità che i tempi moderni ci impongono, della mancanza di pazienza e del mancato riconoscimento dei rispettivi ruoli che portano a una progressiva mancanza di fiducia e di interesse reciproco. Indossando per un attimo i panni della paesaggista cinica, mi concedo di pensare ai miei clienti, salvo meritevoli e indimenticabili eccezioni, come a esseri mitologici sfuggenti e mutevoli. Misteriosi abitanti di un 8bestiario9 che genera mille combinazioni di un essere che cambia forma al progredire delle fasi progettuali e del cantiere. Il primo è Il sognatore, quello che che mi racconta di paradisi terrestri pieni di sorprese, con boschi e radure e che vede infrangersi le proprie ambizioni di fronte ad un disegno in scala dove entra solo un tavolino. Il sognatore di solito si dissolve definitivamente di fronte alle dure e spesso incomprensibili, norme dei regolamenti comunali. Allo svanire 61 60