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MY/A
ARCHITETTURA E POLITICA
Il rapporto tra l9architetto e il potere attraverso la politica,
le amministrazioni, gli enti
teoria è prassi
GEN/2023 - No. 6
rivista semestrale
ISSN 2974-7074 10.00 ¬
MYA è contro l9egemonia delle mode, la strumentalizzazione
culturale e il capitalismo incontrollato. MYA non proporrà temi come: la luce,
la forma, la materia, i maestri, la casa, i luoghi di lavoro, la città, la rigenerazione,
la resilienza, il bosco verticale, la partecipazione o la smart city. MYA si concentrerà
su questioni meno convenzionali ma con le quali l9architetto è chiamato a confrontarsi
quotidianamente al pari della dimensione teorica.
Sei numeri in tre anni.
I COMMITTENTI
DELL9ARCHITETTURA
ARCHITETTURA E
POLITICA
GIU/2023 - No. 7
Folon
B. Munari
M. Lai
G. Capogrossi
A. Boetti
L. Fontana
GEN/2023 - No. 6
GIU/2024 - No. 9 GEN/2025 - No. 10 GIU/2025 - No. 11
GEN/2024 - No. 8
L9importanza del dialogo tra l9architetto
e la committenza
Il rapporto tra l9architetto e il potere
attraverso la politica
La gestione del progetto e del cantiere
nel confronto con le imprese, i fornitori
e gli altri progettisti coinvolti
Importanza della trasmissione del
progetto attraverso i social, le riviste,
il web, etc...
Sguardo immersivo all9interno del
luogo dove il progetto di architettura
viene coltivato
L9esperienza della professione di
architetta al femminile
ARCHITETTURA
E COMUNICAZIONE
IL MESTIERE
DELL9ARCHITETTO
L9ARCHITETTURA
È DONNA
LO STUDIO
DI ARCHITETTURA
ISBN: 979-12-5486-186-8
9 7 9 1 2 5 4 8 6 1 8 6 8
MYA
6
ARCHITETTURA
E POLITICA
GEN/2023 - No. 6
Direttore scientifico e cura redazionale
Marcello Marchesini
Direttore responsabile
Francesca Petrucci
Comitato di redazione
Luca Barni
Giada Buti (coordinatrice editoriale)
David Darelli
Silvia Gamba
Luca Gambacorti (coordinatore di redazione)
Lorenzo Perri
Lucia Petrà (capo redattrice)
Comitato scientifico
Niccolò De Robertis
Pietro Gaglianò
Camilla Perrone
Pietro Savorelli
Stefania Vasta
Pamela Villoresi
Progetto grafico
Lemonot
MDU
Impaginazione
Claudia Artese
Eduardo Diglio
Francesca Macchioni
Serena Nenciarini
Responsabile social-web
Irene Battiston
Pubblicazione semestrale a cura di
Ordine degli Architetti PPC della provincia di Prato
Via Pugliesi 26, Palazzo Vaj - 59100 Prato
tel 0574.597450
e-mail architettiprato@archiworld.it
www.architettiprato.it/rivista-mya
https://issuu.com/architettiprato
MYA ha scelto di stampare la rivista utilizzando un
font helvetica corpo 12 ad alta leggibilità per dislessici e impaginare
evitando l9effetto di <affollamento=
ISBN 979-12-5486-186-8
ISSN 2974-7074
colophon
CONSIGLIO DELL9ORDINE
Presidente
Lulghennet Teklè
Vice Presidente
Federica Fiaschi
Segretario
Irene Battiston
Tesoriere
Tommaso Caparrotti
Consiglieri
Roberto Astancolli, Giada Buti, Luca Erbaggio, Massimo Fabbri,
Eliseba Guarducci, Marcello Marchesini, Paola Tiradritti
SEGRETERIA
Addetta alla segreteria
Miriam Comelli
Realizzazione editoriale e stampa
Pacini Editore
Via Alessandro Gherardesca
56121 Ospedaletto (PI)
Foto in copertina tratta da
Mappa, 1978, Alighiero Boetti
Finito di stampare nel mese di gennaio 2023
Prezzo di copertina 10.00 ¬
indice
EDITORIALE
EDITORIALE
Opera tratta da
I sei sensi, 1975, Alighiero Boetti
EDITORIALE
LE CRONACHE DI MYA
RUBRICHE
POST-IT
BACI E ABBRACCI
RAMMENDARE LE PERIFERIE, TRASFORMARE LE CITTÀ / Francesco Cacciatore
MYA, TEORIA É PRASSI / Marcello Marchesini
OLTRE LA PROPAGANDA / Giuseppina Clausi
LA FORMA DEL POTERE / Pietro Gaglianò
PALAZZO SENZA TEMPO A PECCIOLI / Fabrizia Berlingieri
LUIGI SNOZZI E MONTE CARASSO / Eleonora Burlando
LO STRANO CASO DI MEDELLIN / Luigi Zola
10
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96
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80
ALTRE ARCHITETTURE / a cura di Marcello Marchesini
ABITARE CONTEMPORANEO
DESIGN / a cura di David Darelli
L9OGGETTO DIVENTA PROTAGONISTA
ESTERNI / a cura di Luca Barontini, Ugo Dattilo
GRATTACIELI, EROI, MOSTRI MARINI
INTERNI / a cura di Silvia Gamba
LO SPAZIO CHE ABITIAMO
VEDERLA PER RACCONTARLA / a cura di Luca Gambacorti
LE CASE DEL POTERE
L9EFFIMERO / a cura di Lorenzo Perri
CORPO A CORPO
CONCORSI IN CORSO / a cura di Giada Buti
EVENTI, MOSTRE, ARTICOLI / a cura della redazione
TESTI E CONTESTI IMMERSIVI / a cura della redazione
CARTOLINA 01 / a cura di MM
CORRISPONDENZA CON LA SIG. RA COMELLI
MYA 06 / gennaio 2023
editoriale
MYA1
Teoria è prassi
1 MYA: è doveroso chiarire perché! Perché chiamare una rivista MYA? Perché è la Mia Architettura. Perché l9Architettura è
Mia e quindi di ognuno di noi. Perché My Architect è un film-documentario del 2003 su Luis Kahn girato dal figlio quarantenne
Nathaniel che racconta la vita eccentrica e originale del maestro americano morto di infarto alla Penn Station di New York
di ritorno da un suo viaggio dal Bangladesh. MYA perché la rivista è, prima di tutto, un omaggio all9architettura e ai suoi
protagonisti. MYA perché l9architettura, come diceva Gio Ponti, deve essere amata.
2 <L9architettura come merce di scambio= come prodotto di consumo dove l9architetto soddisfa le necessità e non i bisogni della
società dove è chiamato solo ad interpretare e non a trasformare. Cfr. M. Biraghi, L9architetto come intellettule, Einaudi, Torino,
2019, pg. 17-35.
Marcello Marchesini
{ Architetto. Professore a contratto presso il Dipartimento di Architettura di Ferrara,
libero professionista socio fondatore studio MDU }
Casabella Continuità, copertina del numero 199, il primo diretto da E.N. Rogers
Copertina del libro scritto da Marco Biraghi, L9architetto come intellettuale
realizzazione, all9utilizzo finale.
Non si tratta di mere astrazioni ma di precise
relazioni che si sviluppano all9interno della
catena produttiva del processo progettuale
attraverso la quale l9architettura transita:
relazioni con i committenti, con le imprese,
le maestranze (muratori e artigiani), con
gli ingegneri, con le amministrazioni, con i
fornitori, con il mondo della comunicazione
(riviste, social, internet, giornali), con la lotteria
dei concorsi, con l9università, con il quadro
legislativo esistente.
Con tutto questo l9architetto e l9architettura
si devono confrontare e scontrare, senza
rinunciare alla complessità anzi, assumendola
come elemento creativo di progetto.
MYA si propone di riflettere sul ruolo culturale
e politico dell9architettura all9interno della
società come strumento di dialogo partendo
non dal corpus teorico disciplinare ma dalle
criticità della professione. Parlare dei problemi
apparentemente codificati solo come concreti
consapevole della responsabilità di essere una
rivista ordinistica certamente, ma soprattutto
per comprendere a fondo i contenuti ideologici
dell9architettura.
MYA propone pertanto un rovesciamento:
partire dalla prassi per comprendere la teoria e
non più viceversa. Un ribaltamento concettuale
che vuole dare un segnale nuovo, siglare una
differenza critica di ragionamento per riportare
al centro l9architettura cambiando il punto di
vista. Per questo MYA sceglie di non seguire il
layout convenzionale proposto dalle altre riviste
italiane, ordinistiche e non, che promuovono
l9architettura attraverso i soliti temi disciplinari.
Un distacco concettuale necessario affinché
l9architetto possa proporre sé stesso prima di
La riflessione
La condizione attuale della figura dell9architetto
suggerisce una necessità impellente di
ribellione o, quanto meno, di messa in crisi
delle modalità del sistema all9interno delle
quali ci troviamo. Modalità che comportano un
continuo screditamento del ruolo dell9architetto
all9interno della società.
Attraverso le riviste di architettura in Italia e
non solo, è possibile misurare la distanza
sempre maggiore che esiste tra la professione
e la ricerca, tra la teoria e la prassi. È questo
il motivo per cui la rivista, assumendo il ruolo
di agitatore, si pone come obbiettivo quello di
dare un contributo serio ed originale al dibattito
architettonico contemporaneo in termini
culturali e quindi teorici e pratici.
La mossa è quella del cavallo: avanzare per
conquistare campo scavalcando tutto ciò che
potrebbe essere di ostacolo e distrazione al
raggiungimento del traguardo finale. Da qui
la volontà di introdurre il sottotitolo teoria
è prassi, come già aveva fatto E.N. Rogers
quando, nella sua Casabella, aggiunse la
parola continuità.
L9architettura come progetto non più di risulta,
non più come ciò che rimane dopo aver
soddisfatto tutte le altre richieste dovute e
legate alle esigenze strutturali, impiantistiche,
politiche, sociali, economiche e di potere in
generale. Architettura non più sottomessa alla
moda e alle logiche di omologazione culturale
che regnano sovrane. Logiche dove prevale lo
slogan al progetto e gli orpelli alla sostanza.
MYA si assume la responsabilità di voler
riportare l9architettura al centro, di sottolineare
il ruolo cardine dell9architetto nel processo che
parte dal progetto fino alla sua realizzazione:
architetto come produttore e non solo come
rifornitore2. Perché il rischio è quello che
l9architettura non sia più la protagonista ma
una semplice comparsa e che l9architetto non
sia più il regista ma un addetto al montaggio
del film intitolato La Terra Promessa.
Ma la posizione occupata dall9architetto nel
processo produttivo è sempre frutto di una
scelta. Ciò che influenza tale scelta può avere
numerose motivazioni: può essere fatta per
motivi culturali, speculativi o economici. In
ogni caso si tratta sempre di prendere una
decisione. E l9architetto prende decisioni tutti
i giorni, tutte le volte che accetta o meno un
incarico discutendo con tutti gli attori che
partecipano al progetto, dalla sua ideazione e
4 5
MYA 06 / gennaio 2023
editoriale
3 Marco Biraghi, con il suo libro dal titolo <L9architetto come intellettuale=, sottolinea l9importanza del ruolo dell9architetto come
colui il quale <produce= architettura e non rinuncia alla dimensione teorico-pratica del progetto. Sulla scia degli insegnamenti di
M. Tafuri, il libro tratteggia il solco di un disagio che la professione è costretta a registrare tutte le volte che deve mettere in atto
la scena di una costruzione.
A sinistra
Locandina del film su Luis Kahn,
My Architect, 2003 di Nathaniel Kahn
figlio dell9architetto americano morto
all9età di 73 anni (1901-74)
4 Dal dicembre del 1953 (numero 199) al gennaio del 1965 (numeri 294-295) Rogers poté diffondere la propria concezione ar-
chitettonica attraverso la rivista già diretta da Pagano e riaperta con il titolo Casabella-Continuità, per sottolineare il legame con
le battaglie morali combattute sotto il regime, nonché l9accettazione di una precisa eredità culturale in continuità con la storia e
non in contrasto perché l9architettura contemporanea non può certo fare a meno di ciò che è stato.
Pagina precedente
Scena tratta dal film di Francesco Rosi, Le mani sulla città, diretto
dal regista napoletano nel 1963 che racconta la spregiudicatezza di
Edoardo Nottola, imprenditore-costruttore e consigliere comunale che,
pur di realizzare i propri progetti di speculazione edilizia, corrompe
funzionari, Sindaco, Assessori e giudici pur di <ingrassare= i propri
profitti
adesso deve essere prima di tutto smontato,
rotto, trasgredito. Recuperare e voler
riaffermare la centralità dell9architettura nel
processo di costruzione non significa caricare
tutto sulle spalle dell9architetto, ma cominciare
a distribuire equamente le responsabilità
intellettuali ed economiche della costruzione
su tutti gli attori coinvolti e le cui conseguenze
incidono direttamente sulla qualità del progetto.
Una scelta culturale che può non essere
fatta pena un9architettura del pronto moda
abbandonata a sè stessa e sempre più preda
delle gerarchie di potere e della politica.
Il progetto
La distanza tra l9architetto e la rivista di
architettura è segnata da una carenza di
contenuti dove chi la legge non riesce ad
identificarsi con i temi trattati e chi la scrive
non riesce a comprendere le dinamiche
dell9esistente.
Le riviste strizzano sempre di più l9occhio
alle mode e agli slogan rinunciando alla
lettura critica dell9esistente mentre il lettore
è disorientato dalla superficialità e l9eccesso.
Il disorientamento deriva da una tensione
sempre crescente tra la realtà ordinaria e quella
straordinaria: la prima legata al fare di tutti i
giorni e alla professione quotidiana; la seconda
per lo più letta sulle riviste e intercettata dalle
cronache o sentita raccontare da colleghi,
addetti ai lavori, clienti o amici.
Da tutto ciò prende avvio la volontà di MYA:
indagare temi i cui contenuti siano di stimolo al
rinnovamento sul modo di percepire l9architetto.
Partire non più dalla teoria, ma dalla prassi per
capire meglio la teoria.
Teoria e prassi come strumenti che, insieme,
servono a colmare quel vuoto culturale che
fissa e stigmatizza, la teoria al pensare e la
prassi al fare: come se la prima fosse la mente
e la seconda il braccio.
Per questo MYA diventa MYA teoria è prassi:
sottotitolo che vuole segnare, proprio come
fece Rogers con CASABELLA Continuità 4, la
linea ideologica della rivista.
tutto come intellettuale3 e non come semplice
tecnico, sé stesso come figura centrale del
processo di messa in crisi dell9esistente e
non come semplice figurante o peggio ancora
come capro espiatorio, o come coordinatore
senza potere decisionale alcuno: di fatto come
se fosse un burattino i cui fili vengono mossi
da altri, come se fosse un piccione che si
accontenta delle sole briciole.
È luogo comune pensare all9architetto come
al <regista= di tutto il processo del progetto
architettonico, e non solo, di un9opera.
Ruolo che noi stessi, vanitosi e narcisisti, ci
attribuiamo perché ci piace: ma in realtà è
una grossa fregatura perché così facendo ci
assumiamo la piena responsabilità sulla buona
o cattiva riuscita di un progetto. Questo è
sicuramente appagante ma controproducente
perché deresponsabilizza le altre figure che
partecipano al processo di costruzione di
un9architettura preoccupati solo di verificare la
corretta esecuzione della loro parte di progetto
senza preoccuparsi del resto.
A questa difficoltà e responsabilità inevitabile
(e giusta) sul controllo del progetto da parte
dell9architetto, due sono le constatazioni di
fatto più importanti da evidenziare: la prima è
che alla grande responsabilità e professionalità
(creativa e tecnica) messe in campo
dall9architetto non corrisponde un adeguato
riconoscimento economico; la seconda è che
il progetto architettonico si riduce spesso ad
essere, non la sintesi di un9idea, ma il prodotto
residuale di un processo dove di architettura
rimane ben poco.
Purtroppo molte delle colpe, per cui l9architetto
oggi si trova nella condizione di essere poco
credibile difronte alla società e agli altri
attori coinvolti nel processo di costruzione
dell9architettura, sono anche dello stesso
architetto. Un tempo non era così. Ma in
questo momento storico specifico, visto la
disomogeneità dei ruoli e le responsabilità
ricoperte dai vari protagonisti dell9attuale
processo di costruzione, per realizzare
qualcosa di nuovo e ripartire, ciò che abbiamo
6 7
Opera tratta da
Alternandosi e dividendosi, 1989, Alighiero Boetti
LE CRONACHE DI MYA
LE CRONACHE DI MYA
saggio 01
RAMMENDARE LE PERIFERIE,
TRASFORMARE LE CITTÀ
L9esperienza del G124 di Renzo Piano e il contributo delle Università italiane
In una lontana mattinata piovosa del 2013, mentre percorre in taxi le strade di un9affollata New
York, Renzo Piano riceve una telefonata dall9allora Presidente della Repubblica Italiana Giorgio
Napolitano che gli propone la carica di Senatore a vita1. In un recente articolo pubblicato dal
quotidiano La Repubblica2, il noto architetto genovese racconta come abbia accettato di buon
grado l9incarico, ma solo a patto di poter utilizzare il ruolo politico di questa particolare figura
prevista dalla Costituzione italiana con l9obiettivo di incidere concretamente su una questione che
da sempre gli sta a cuore come progettista: le periferie delle città italiane.
Nasce, così, il progetto G1243, il cui nome è mutuato mettendo insieme il numero del piano (1) e il
numero della stanza (24) di Palazzo Giustiniani, luogo in cui ha sede lo studio del Senatore Piano.
Il progetto, che si appresta a compiere ormai dieci anni, si occupa proprio della rivitalizzazione di
aree più o meno degradate delle periferie urbane secondo un approccio definito dallo stesso Piano
come pratica del rammendo. Questa strategia viene qui intesa nel suo significato più genuino di
riparare, correggere o ripristinare un tessuto, in questo caso un tessuto urbano, in modo che il
guasto non si veda o si noti il meno possibile.
Una svolta importante al programma Piano la imprime, quando, dopo i primi cinque anni di questo
percorso decennale, coinvolge Edoardo Narne, Professore di Composizione architettonica e
urbana presso l9Università degli Studi di Padova, a fare da tramite tra le istituzioni universitarie
italiane e il G124 stesso, con l9obiettivo di utilizzare l9apporto progettuale dei giovani neolaureati
e portare il progetto all9interno di una istituzione forte come quella universitaria4. Grazie a questa
proficua collaborazione si sono moltiplicate, negli ultimi anni, le idee e gli interventi all9interno
delle città di riferimento delle università coinvolte.
Francesco Cacciatore
1 È l9articolo 59 della Costituzione italiana che chiarisce il funzionamento della carica di Senatore a vita:
<È senatore di diritto e a vita, salvo rinunzia, chi è stato Presidente della Repubblica. Il Presidente della Repubblica può
nominare senatori a vita cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e
letterario. Il numero complessivo dei senatori in carica nominati dal Presidente della Repubblica non può in alcun caso essere
superiore a cinque=.
2 Francesco Merlo, Renzo Piano, <Vi racconto il mio Senato on the road=, La Repubblica, 11 dicembre 2022, pp. 30-31.
3 Il progetto G124 prevede il coinvolgimento di giovani progettisti e neolaureati under 35 che vengono retribuiti, per un anno,
utilizzando l9intero stipendio da Senatore messo a disposizione da Piano.
4 A spiegare le ragioni della decisione di coinvolgere l9università all9interno del progetto G124 è lo stesso Piano: «Perché è un
modo per fare la scelta più intelligente, più oculata, per connetterci con le istituzioni, un9istituzione importante che è l9università.
Ogni tanto qualcuno mi domanda se ho fiducia nella scuola, nell9università, giacché le esperienze che sviluppo io sono più
di bottega, più di sperimentazione diretta, e la mia risposta è sempre la stessa: è fondamentale l9università. Finita l9università
bisogna non cadere nelle trappole, bisogna mantenere un9etica, bisogna fare esperienze intelligenti, interessanti, ma la scuola
è fondamentale=. In Silvia Pellizzari (a cura di), Diario delle Periferie 2019. G124 Renzo Piano al Senato, LetteraVentidue
Edizioni, Siracusa, 2020, p.10.
{ Architetto. Professore associato di Composizione architettonica e urbana
presso il Dipartimento di Culture del Progetto dell9Università Iuav di Venezia }
Progetto per il parco XII Aprile, Quartiere Crocetta, Modena
10
MYA 06 / gennaio 2023
saggio 01
Progetto per il parco dei Salici, Quartiere Guizza, Padova Diario delle Periferie, atto primo
Un primo lotto di interventi viene concluso nel 2019. Si tratta di progetti realizzati nelle città di
Milano, Padova, Roma e Siracusa5.
Grazie al partenariato con il Politecnico di Milano6, nel capoluogo lombardo è stata realizzata
<Ciriè 9, la Casa di quartiere=. Si tratta della riqualificazione di alcuni spazi significativi di un
edificio esistente, una ex scuola adibita oggi a centro di quartiere utilizzato da associazioni varie
e posizionato all9interno del quartiere Niguarda, periferia nord della città, area su cui insiste il noto
ospedale milanese. Il progetto si è soffermato sugli spazi dal carattere e dall9uso più collettivo
dell9edificio quali l9ingresso, l9atrio, la sala teatrale e il giardino. All9interno di questi ambiti è stata
compiuta la scelta, dettata anche da motivi di budget, di intervenire senza modifiche radicali ma
solo con piccole trasformazioni di riassetto degli spazi già utilizzati, mediante l9utilizzo di nuovi
colori e la realizzazione di arredi su misura. Attraverso la collaborazione con l9Università degli
Studi di Padova7, si è portata a termine l9esperienza di <autocostruzione e progetti urbani per
l9Arcella=, quartiere multietnico della periferia nord della città veneta. In questo caso, la scelta è
ricaduta sulla riqualificazione di alcuni spazi della parrocchia di San Carlo, realizzata negli anni
990. All9interno di questo contesto, negli ultimi anni, si è assistito all9apertura di due aule studio
dedicate a giovani studenti universitari. La presenza dei giovani ha suggerito la riqualificazione di
alcuni spazi collettivi al fine di offrire agli utenti i necessari servizi di supporto all9attività di studio
come l9ingresso, uno spazio di distribuzione più funzionale, una sala polivalente e il nuovo bar-
emeroteca.
Frutto della cooperazione con la Sapienza Università di Roma8 è stata la costruzione di M.A.MA.,
Modulo per l9Affettività e la Maternità, realizzato all9interno della struttura carceraria di Rebibbia,
situatanell9omonimoquartieredellaperiferianord-estdellacapitale. All9internodiquestocomplesso
carcerario è ospitato uno dei pochi istituti di detenzione femminili presenti sul territorio nazionale.
Il progetto consiste nella realizzazione di un piccolo edificio ex-novo che contiene uno spazio a
dimensione domestica dove le detenute possano sperimentare una esperienza di ricostituzione
del proprio nucleo familiare differente da quella più anonima e vigilata del colloquio tradizionale. Il
progetto prevede di estendere il programma alle altre strutture carcerarie italiane, anche maschili.
Le <micro-architetture diffuse= realizzate per il quartiere Mazzarrona, disordinata periferia a nord-
est della città di Siracusa, sono il risultato della collaborazione con Università degli Studi di
Catania9. Le criticità urbane, sociali ed economiche di questo brano di città sono compensate
da qualità paesaggistiche di rara bellezza e dalla presenza di testimonianze archeologiche di
grande rilevanza. La carente dotazione di attrezzature pubbliche unita all9attitudine degli abitanti
alla costruzione di piccoli manufatti informali per l9utilizzo dello spazio pubblico ha suggerito la
realizzazione di semplici ma efficaci dispositivi in legno posizionati in punti strategici di utilizzo
5 Queste prime quattro esperienze sono raccontate all9interno del volume Silvia Pellizzari (a cura di), Diario delle Periferie 2019.
G124 Renzo Piano al Senato, op. cit.
6 Il gruppo del Politecnico di Milano è stato coordinato dalla Prof.ssa Raffaella Neri, ordinario di Composizione architettonica e
urbana presso l9ateneo lombardo.
7 Il gruppo dell9Università degli Studi di Padova è stato coordinato dal Prof. Edoardo Narne, associato di Composizione
architettonica e urbana presso l9ateneo veneto.
8 Il gruppo della Sapienza Università di Roma è stato coordinato dalla Prof.ssa Pisana Posocco, associato di Composizione
architettonica e urbana presso l9ateneo della capitale.
9 Il gruppo dell9Università degli Studi di Catania è stato coordinato dal Prof. Bruno Messina, ordinario di Composizione
architettonica e urbana presso l9ateneo siciliano.
13
12
MYA 06 / gennaio 2023
Progetto Trenta alberi per lo Zen 2, Quartiere Zen 2, Palermo collettivo come una scala di collegamento tra quote differenti, una seduta per l9osservazione del
paesaggio archeologico e costiero esistente e una piccola tribuna a servizio del locale campo di
calcetto.
Diario delle Periferie, atto secondo
Un secondo lotto di interventi viene concluso tra il 2020 e il 2021. Si tratta di progetti realizzati
nelle città di Modena, Padova e Palermo10 in collaborazione con il noto scienziato e neurobiologo
vegetale Stefano Mancuso, dell9Università di Firenze, che ha lanciato un invito alla forestazione
delle città e delle periferie urbane e alla loro riqualificazione, pertanto, attraverso la piantumazione
di nuovi alberi. Dalla collaborazione con l9Università di Bologna11 nasce il progetto per la
riqualificazione del Parco XXII Aprile, situato all9interno del quartiere multietnico della Crocetta, a
nord-est della città di Modena. L9intervento presuppone l9individuazione di una nuova centralità
all9interno del parco esistente, uno dei più frequentati e vitali della città, e si compone di quattro
elementi: il <bosco e la radura= determinati dalla piantumazione secondo un disegno predefinito
di 100 alberi a configurare una corte centrale; un nuovo padiglione in legno che costituisce un
<riparo=; un lungo tavolo in legno posizionato tra gli alberi e definito <convivio=; l9installazione
dell9artista Edoardo Tressoldi denominata <Hora=, simbolo di interazione e di equilibrio tra natura e
artificio. Attraverso una seconda iniziativa di cooperazione con l9Università degli studi di Padova12
scaturisce l9idea di realizzazione del nuovo Parco dei Salici, questa volta all9interno del quartiere
Guizza, periferia sud della città. La strategia progettuale qui utilizzata appare simile a quella
del gruppo di lavoro modenese con la piantumazione di 167 nuovi alberi all9interno del vuoto
urbano esistente a formare una radura ellittica centrale che richiama il disegno del famoso spazio
cittadino di Prato della Valle. Completano l9intervento gli elementi in legno in forma di seduta che
fungono da tutori per la crescita verticale delle piante e il piccolo padiglione denominato <Bertani
Pavillon=, uno spazio coperto di una trentina di metri quadrati opportunamente posizionato su uno
dei fuochi dell9ellisse. Infine, grazie alla partecipazione dell9Università degli Studi di Palermo13 il
progetto G124 approda nel capoluogo siciliano con l9iniziativa <trenta alberi per lo Zen 2=, all9interno
dell9omonimo quartiere della periferia nord della città. Il complesso nasce dal concorso vinto nel
1969 dal gruppo Amoroso, Bisogni, Gregotti, Matsui e Purini e mai completato. Il progetto ha
recuperato una piccola area rettangolare della dimensione di 9,40x77 metri in forma di piazza
piantumata a disegno geometrico contenente trenta alberi e una serie di dispositivi per la sosta
come panchine e sedute in cemento dall9elegante colore grigio chiaro.
Ad oggi, sono addirittura sedici i cantieri nelle periferie delle città italiane di cui il progetto G124 si
è occupato o si sta occupando. A quelli citati e a quelli di cui Piano si era dedicato in precedenza
si sono aggiunti, di recente, un nuovo intervento a Roma e le operazioni all9interno delle periferie
di città come Sora, Bari e Napoli. Sedici piccoli progetti, sedici scintille, sedici gocce calme nel
burrascoso mare delle periferie italiane nella convinzione che, come sostiene Renzo Piano, <non
puoi cambiare il mondo, ma puoi fare piccole cose che possono cambiare la vita di qualcuno=.
10 Queste tre esperienze sono raccontate all9interno del volume Silvia Pellizzari (a cura di), Diario delle Periferie 2020-2021.
G124 Renzo Piano al Senato, LetteraVentidue Edizioni, Siracusa, in corso di pubblicazione.
11 Il gruppo dell9Università degli Studi di Bologna è stato coordinato dal Prof. Matteo Agnoletto, associato di Composizione
architettonica e urbana presso l9ateneo emiliano.
12 Anche in questa seconda occasione il gruppo dell9Università degli Studi di Padova è stato coordinato dal Prof. Edoardo Narne.
13 Il gruppo dell9Università degli Studi di Palermo è stato coordinato dal Prof. Andrea Sciascia, ordinario di Composizione
architettonica e urbana presso l9ateneo del capoluogo siciliano.
15
14
saggio 02
OLTRE LA PROPAGANDA
L9architettura utilizzata da Cosimo I per modificare la percezione dei luoghi e del potere
2 L. Berti, 1980, p. 21
1. G. Vasari, Ingresso di Leone X, 1555-1562, Firenze, Palazzo Vecchio, Sala di Leone X
notare la <viaccia=, ovvero lo sbocco verso l'Arno nel luogo dove poi sorgeranno gli Uff
Giuseppina Clausi
Cosimo I prese il potere all9età di soli diciassette anni e contrariamente a quanto pensavano i suoi
sostenitori, il suo carattere assolutista e la sua visione strategica lo portarono ad essere il primo
Granduca di Toscana e a cambiare per sempre il volto e le sorti della città di Firenze. La costruzione
più iconica da lui voluta, la fabbrica degli Uffizi, si pone al centro del vasto programma di una
mente volitiva che aveva intuito come l9architettura abbia la capacità di influenzare le masse, sia
attraverso la funzione propagandistica, come tutte le altre manifestazioni d9arte, ma soprattutto
attraverso la possibilità di modificare il senso stesso, e il modo, dell9abitare la città e, dunque, la
vita e le menti di chi la abita. Come ben spiega Benjamin nell9analizzare il rapporto fra le masse
e le opere d9arte, l9architettura assume un posto di rilievo poiché <delle costruzioni si fruisce in un
duplice modo: attraverso l9uso e attraverso la percezione. O, in termini più precisi, in modo tattico
e in modo ottico= e ancora <la fruizione tattica non avviene tanto sul piano dell9attenzione quanto
su quello dell9abitudine=1. Dunque modificare le abitudini degli abitanti di una città inevitabilmente
li spinge a percepire la realtà in modo differente.
Cosimo coglie programmaticamente questo concetto e tutte le sue mosse politiche, fin dagli
esordi, contemplano intrecci strettissimi con l9achitettura e l9urbanistica. Intanto trasferisce la
propria dimora dal Palazzo di via Larga a quello che era sempre stato il luogo di rappresentazione
del potere, quel Palazzo dei Priori ove lui trasferisce la propria dimora, rinnovandone, non a caso,
gli ambienti interni ma non l9aspetto esterno, e che da quel momento si chiamerà prima Palazzo
Ducale e poi Palazzo Vecchio quando sarà terminata la Reggia di Pitti. In pratica il nome con cui
oggi è universalmente conosciuto, cioè Palazzo Vecchio, indica non la funzione che ha avuto
per secoli, e che ha ancora, bensì il fatto che sia stato per un breve periodo la dimora di Cosimo
I, abbandonata per una nuova e più prestigiosa. Ovvero secoli di storia cancellati dall9abitudine
condensata nell9uso di un nome, Palazzo Vecchio, che perpetua in eterno la gloria di un9unica
persona.
Non pago di aver identificato il luogo del potere con il luogo della sua residenza 3 e dunque
il potere con la sua persona 3 grazie ad un vero e proprio sodalizio ideologico che si instaura
da quel momento con colui che diventa l9architetto di corte, Giorgio Vasari, la sua mente allo
stesso tempo lucida e visionaria progetta una pluralità di interventi architettonici e urbanistici volti
all9affermazione del potere e al cambiamento del volto della città, che con la trasformazione a
capitale del Granducato doveva necessariamente assumere caratteristiche differenti rispetto al
passato. Visioni puntualmente interpretate da Vasari, il suo braccio esecutivo, traducendole in
interventi che hanno difatti lasciato un segno indelebile.
1 W. Benjamin, 2000, p. 45
{ Architetta. Funzionaria SABAP responsabile per i comuni di Prato,
Poggio a Caiano, Carmignano e San Casciano Val Di Pesa }
Prima del 1560 l9area su cui ora sorgono gli Uffizi era occupata da edifici residenziali medievali,
edilizia povera e non di pregio, quindi non adatta all9aspetto rappresentativo che necessariamente
Piazza della Signoria avrebbe dovuto avere. Inoltre la vita della città medievale e rinascimentale
era sempre stata incentrata sull9asse Piazza della Signoria3Duomo/Battistero, intorno al cui
cantiere si era dipanata per secoli la vita sociale e artistica di Firenze. Il rapporto col fiume era
ambivalente, anche a causa delle frequenti piene disastrose, e l9Oltrarno, difeso stabilmente
con fortificazioni murate probabilmente solo alla metà del XIII secolo, continuava ad essere
considerato un quartiere periferico.
Cosimo decide di ribaltare completamente questa impostazione cercando un legame con l9altra
sponda, dove egli andava costruendo la sua nuova Reggia, Palazzo Pitti, a partire dalla 8chasa
nuova9 di Luca Pitti, acquistata con la dote della facoltosa moglie Eleonora di Toledo.
Come primo intervento fa infatti abbattere alcune case <per aprire la via da Palazzo insino
ad Arno= altrimenti definita la <viaccia=2, ovvero una via di sbocco della piazza verso il fiume.
G. Vasari, Ingresso di Leone X, 1555-1562, Firenze, Palazzo Vecchio, Sala di Leone X.
Da notare la <viaccia=, ovvero lo sbocco verso l9Arno nel luogo dove poi sorgeranno gli Uffizi
2 L. Berti, 1980, p. 21
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saggio 02
G. Stradano, La festa degli omaggi in piazza della Signoria, 1561-1562, Firenze, Palazzo
Vecchio, Quartiere di Eleonora, Sala di Gualdrada. Da notare, sullo sfondo, gli Uffizi in
costruzione 3. Anonimo, Pianta e topografia
dell'Ufficio della Decima e
Vendite, marzo 1560, Firenze
Gabinetto Disegni e Stampe degli
Uffizi, inv. n. 236Av
Si possono notare i rilievi catastali
per determinare l'entità degli
espropri
Dopodiché incarica Vasari di progettare un edificio che non occupi interamente l9area ma lasci, e
anzi sottolinei, la prospettiva verso il fiume e verso le colline, e che al contempo possa ospitare le
Magistrature fiorentine, ovvero le sedi delle Corporazioni delle Arti che erano fino a quel momento
sparse all9interno del tessuto cittadino.
Questo ovviamente rispondeva a un disegno strategico di livellazione dell9importanza delle varie
Magistrature, cuore del potere politico di Firenze, e all9intenzione di riportare tale potere sotto il suo
diretto controllo. Il controllo amministrativo, dunque, che si materializza in controllo fisico. Vasari
interpreta magistralmente le intenzioni di Cosimo con un progetto di una modernità sconcertante.
Si tratta infatti di un edificio seriale, al pari di un moderno palazzo per uffici come concetto di base,
in cui non esiste apparentemente gerarchia fra le varie Magistrature, almeno dal punto di vista
architettonico per quanto riguarda l9esterno, e che quindi risponde perfettamente alla necessità
di livellazione dell9immagine.
Contemporaneamente viene mantenuta, ed esaltata, la necessità di legame con l9altra sponda
perché l9edificio finale si configura come un cono prospettico che, partendo dalla piazza, incornicia
con una serliana il fiume e le colline. Il vuoto centrale viene ovviamente mantenuto e al posto della
8viaccia9 viene creato un piazzale, luogo allo stesso tempo esterno perché all9aperto, ma anche
interno perché contornato su tre lati da un porticato, ulteriore filtro all9accesso vero e proprio alle
A sinistra
G. Stradano, La festa degli omaggi in piazza
della Signoria, 1561-1562, Firenze, Palazzo
Vecchio, Quartiere di Eleonora, Sala di Gualdrada.
Da notare, sullo sfondo, gli Uffizi in costruzione v
A lato
Anonimo, Pianta e topografia dell9Ufficio
della Decima e Vendite,
marzo 1560, Firenze Gabinetto Disegni e
Stampe degli Uffizi, inv. n. 236Av.
Si possono notare i rilievi catastali per deter-
minare l9entità degli espropri
stanze delle Magistrature. L9edificio viene concepito non come un9entità architettonica a se stante,
interamente progettato in ogni sua componente e con una pianta bloccata, ma come una sorta di
struttura modulare, modificabile nel tempo ed aperta a future trasformazioni. Di fatto, l9unica parte
che viene meticolosamente progettata e costruita ex novo è quella frontale (sui tre lati) relativa
al porticato e alle porzioni ad esso direttamente superiori, mentre per il resto della struttura viene
deciso di utilizzare quanto più possibile (ed è proprio Cosimo ad insistere su questo punto, anche
per un discorso di contenimento dei costi) le strutture preesistenti, che non vengono demolite se
non in parte.
Al piano terra vengono realizzati i saloni per le udienze, con scrittoi e cancellerie, al piano interrato
vengono create cantine, <pozzi da bere= e pozzi neri, mentre nei mezzanini vengono sistemati
gli archivi3. Già in partenza i locali vengono comunque strutturati con differenze di superficie a
seconda dell9importanza della Magistratura che vi sarebbe stata ospitata, introducendo quindi una
discrepanza fra la leggibilità dell9esterno e l9articolazione degli spazi interni. Nell9ala di levante, a
doppia altezza, comprendendo cioè sia il primo che il secondo piano, viene realizzato, fra il 1569
e il 1570, il solenne Salone delle Magistrature4. Nel resto del primo piano, invece, non accessibile
dalle Magistrature ma solo da Palazzo Vecchio tramite il passetto di via della Ninna, si realizzano
una serie di vani comunicanti di cui non è nota quale dovesse essere la destinazione originaria,
3 F. Funis, 2011, p. 236
4 G. Morolli, 2002, p. 47
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rso si allunga fino a raggiungere Palazzo Pitti con la costruzione del Corridoio Vasariano,
oio sopraelevato che partendo da Palazzo Vecchio, attraversa gli Uffizi e si insinua nel
ella città, scavalca Ponte Vecchio e crea un nartece davanti alla facciata di Santa Felicita,
rivare alla nuova Reggia. Un'architettura che modifica definitivamente l'aspetto di alcuni
nici, un segno urbanistico che permette quindi di realizzare definitivamente quella liaison
a fin dall'inizio con la sponda opposta.
no potrà dirsi concluso, senza soluzione di continutà, dal successore di Cosimo, su figlio
I, che farà costruire dal Buontalenti il Forte Belvedere che, ben visibile dal Verone degli
sacrerà definitivamente il superamento della precedente natura della città di Firenze,
a e chiusa in se stessa, trasfromata ormai capitale del Granducato di Toscana e dunque
so il contado e verso sud, ovvero verso le ormai sottomesse terre di Siena.
ma sappiamo solo che Francesco I vi collocherà i laboratori delle manifatture granducali.5 Dunque
la destinazione 8pubblica9 del piano terra viene sovrastata da una destinazione eminentemente
privata, al servizio del Granduca.
Al secondo piano l9unico spazio inizialmente progettato è quello della Galleria, ovvero una loggia
che si dispiega lungo i tre lati, come una grande altana, che appena 20 anni dopo la costruzione
viene subito chiusa a vetri, in modo da creare un 8percorso del Principe9 utilizzato come galleria
espositiva. Infatti qui vengono allocate le numerose sculture, la maggior parte di epoca romana,
appartenenti alle collezioni medicee, soprattutto quei busti di imperatori che, intervallati ai ritratti
della famiglia Medici, serviranno a Cosimo a costruire un9analogia fra la dinastia medicea e l9impero
romano, nel tentativo, riuscito, di legittimazione di una nobiltà invero inesistente e dell9importanza
del casato. Dunque, in questo caso, è l9arte ad essere utilizzata come strumento di propaganda,
attraverso però l9inserimento in un percorso architettonico, una dimensione fisica che amplifica
G. Ruggieri, Pianta del Giardino Reale detto Boboli, in G. Ruggieri, Piante de9 Palazzi giardini et ville,
1742, Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale
5 C. Conforti, 2011, p. 65
BIBLIOGRAFIA
W. Benjamin, L9opera d9arte nell9epoca della sua
riproducibilità tecnica. Arte e società di massa,
Torino, Giulio Einaudi editore, 2000
L. Berti, Profilo di storia degli Uffizi in Gli Uffizi.
Catalogo generale (a cura di) L. Berti, Firenze,
Centro Di, 1980
C. Conforti, Ordine et disegno, disegno et ordine:
la Fabbrica degli Uffizi in Vasari gli Uffizi e il Duca,
(a cura di) C. Conforti, Firenze, Giunti, 2011
A. Godoli, Gli Uffizi, edilizia e urbanistica in Vasari
gli Uffizi e il Duca, (a cura di) C. Conforti, Firenze,
Giunti, 2011
F. Funis, Modello di un ufficio tipo in Vasari gli Uffizi
e il Duca, (a cura di) C. Conforti, Firenze, Giunti,
2011
G. Morolli, Arduus transitus. Il 8gran corridore9
vasariano come strada regia albertiana sopraelevata
all9antica in Il Corridoio vasariano agli Uffizi, (a cura
di) C. Caneva, Milano, Silvana Editoriale, 2002
V. Conticelli, Una storia di storie. La Fonderia del
Granduca: laboratorio, Wunderkammer e museo
farmaceutico in L9alchimia e le arti. La Fonderia
degli Uffizi da laboratorio a stanza delle meraviglie,
(a cura di) V. Conticelli, Firenze, Sillabe, 2012
G. Fanelli, Firenze architettura e città, Firenze,
Mandragora, 2002
la mera percezione dell9opera artistica e la proietta su scala urbana nel momento in cui tale
percorso si allunga fino a raggiungere Palazzo Pitti con la costruzione del Corridoio Vasariano,
un corridoio sopraelevato che partendo da Palazzo Vecchio, attraversa gli Uffizi e si insinua
nel tessuto della città, scavalca Ponte Vecchio e crea un nartece davanti alla facciata di Santa
Felicita, fino ad arrivare alla nuova Reggia. Un9architettura che modifica definitivamente l9aspetto
di alcuni edifici iconici, un segno urbanistico che permette quindi di realizzare definitivamente
quella liaison desiderata fin dall9inizio con la sponda opposta.
Tale disegno potrà dirsi concluso, senza soluzione di continutà, dal successore di Cosimo, il figlio
Francesco I, che farà costruire dal Buontalenti il Forte Belvedere che, ben visibile dal Verone degli
Uffizi, consacrerà definitivamente il superamento della precedente natura della città di Firenze,
autarchica e chiusa in se stessa, trasformata oramai in capitale del Granducato di Toscana e
dunque aperta verso il contado e verso sud, ovvero verso le ormai sottomesse terre di Siena.
Sopra, Bronzino, Autoritratto di Cosimo I de9 Medici in armatura, 1545
Sotto, Giorgio Vasari, Autoritratto, 1574 ca
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L9estetica dei monumenti nello spazio pubblico
saggio 03
LA FORMA DEL POTERE
1 I monumenti e i mezzi di comunicazione di massa assolvono la stessa funzione, assicurando al potere il mantenimento di
quello squilibrio interno alla società dello spettacolo che garantisce il controllo sui cittadini e la diffusione degli imperativi. Il tutto
nel segno di una riconoscibilità elementare, sia esso un monito alla sottomissione o una spinta all9assimilazione dei modelli
dominanti: tutto fondato nella supremazia del visibile; sull9argomento rimando al mio Memento. L9ossessione del visibile,
Postmedia Books, Milano 2016.
2 G. Cimadomo, R. Lecardane, Il potere dell9architettura. L9ideologia di regime all9Esposizione Internazionale di Parigi 1937,
in <Diacronie= [Online], n. 18, 2 | 2014, documento 14; journals.openedition.org/diacronie/1508
Parigi 1937. L9arte secondo il potere
Nel maggio del 1937 il pubblico dell9Esposizione Internazionale di Parigi, giunto ai piedi della
collina di Chaillot, si trovò al cospetto di un confronto ideologico e politico figurato con un9efficacia
senza precedenti: sui due lati del Pont d9Iéna, che scavalcando la Senna segue l9asse dello
Champ de Mars, si elevavano i padiglioni della Germania nazista e dell9 U.R.S.S..
È l9apice dell9ultima stagione della storia europea, la più macabra, in cui le arti e il dispiegarsi
della loro forma nello spazio pubblico sono state completamente asservite al discorso delle forze
egemoni. Anche i regimi totalitari, infatti, avvertivano con chiarezza l9ampiezza persuasiva e
capillare di una propaganda che poteva muoversi lungo i canali della comunicazione di massa1.
Così, mentre i film di Leni Riefenstahl e quelli distribuiti dall9Istituto Luce anticipano le dinamiche
della televisione, e la radio entra negli spazi privati dei cittadini, con tre dittature sul suolo europeo
nel pieno del loro vigore, la mostra parigina porta in scena uno scontro simbolico degno della
migliore tradizione autoritaria, dal mondo antico agli imperi dell9età moderna. L9esibizione del
potere si dispiega a Parigi secondo una logica che, proprio nel suo riferirsi al passato, è antistorica
e pretende di edificare il futuro attraverso la falsificazione della Storia e la sofisticazione del
presente. L9architettura dei due padiglioni temporanei <prende le sue distanze dalle influenze
del Movimento Moderno, per consolidare l9ideologia e l9architettura di Stato=2 e, con l9apparato
visivo che la completa, assume una precisa volontà eloquente: consegna all9universo riunito a
Parigi un9immagine di forza. Invece, il progresso scientifico, tecnologico e il genio degli autori
che nell9aspirazione delle esposizioni universali dovrebbero essere esaltati, si fanno piatti,
opachi esecutori della retorica dei due regimi (all9apparenza) tra loro antitetici. I due padiglioni
sono, in definitiva, due monumenti secondo il più stringente significato del termine: dispositivi
che esercitano nel dominio del visibile la supremazia di una narrazione unilaterale, attraverso
la produzione, la ripetizione e il controllo di immagini e la deformazione dei concetti che vi sono
connessi.
Il padiglione della Germania reca la firma di Albert Speer, architetto di regime e interprete
dell9esaltazione del popolo tedesco, della sua predestinazione, della sua pretesa continuità con i
valori dell9universo classico. Per l9Esposizione internazionale progetta un volume sproporzionato3,
Pietro Gaglianò
{ Architetto. Critico d9arte e studioso dei linguaggi della contemporaneità }
3 La cui altezza venne aumentata da Speer per superare quella del padiglione sovietico, e opporsi metaforicamente
all9avanzata del comunismo; cfr. A. Speer, Erinnerungen, 1970 3 ed. cons. Memorie del Terzo Reich, Mondadori, Milano 1976.
4 I. Golomstock, Totalitarian Art in the Soviet Union, the Third Reich, Fascist Italy and the People9s Republic of China,
HarperCollins Publishers, New York 1990 [tr. it. Arte totalitarian nell9URSS di Stalin, nella Germania di Hitler, nell9Italia di
Mussolini e nella Cina di Mao, Leonardo Editore, Milano 1990, p. 156].
5 Gaglianò, Memento& cit., p. 32.
rozzamente articolato da un unico ordine gigante di pilastri dorici su tre delle facciate. Il
coronamento dell9edificio principale, una cornice ridotta all9essenziale, è sovrastato da un9aquila
imperiale tedesca tra i cui artigli appare una svastica circondata da una ghirlanda.
Esattamente di fronte il padiglione dell9U.R.S.S. avrebbe dovuto essere, nelle intenzioni,
morfologicamente e ideologicamente antitetico. L9architettura di Boris MichajlovicIofan, tenta
di combinare la sperimentazione di quanto restava del Costruttivismo in Unione Sovietica con
la sempre più pressante richiesta di esprimere la solidità, la forza e l9inarrestabile progresso
dello stalinismo, dove le istanze del Movimento Moderno non avevano più cittadinanza (com9è
evidente nel progetto del Palazzo dei Soviet, dove Iofan indulge apertamente a un pomposo
neoclassicismo che in alcuni aspetti echeggia nel padiglione parigino). L9esito, pur dotato uno
slancio aerodinamico e di una volumetria ben organizzata, si riflette nella più goffa opera di Speer
e entrambe si infrangono nella solidificazione di una narrazione egemone, dove anche gli alfabeti
formali di riferimento perdono specificità; i critici dell9epoca, infatti, richiamando <l9attenzione sulle
caratteristiche comuni di brutalità, pretenziosità e pomposità, definivano neoclassico lo stile dei
due padiglioni=4.
Analoga riflessione si può fare per i cicli scultorei che completano i due padiglioni: alla base di
quello tedesco si trova Cameratismo di Josef Thorak, opaco simulacro di fratellanza impersonata
da due accigliati e nerboruti titani; i colossali L9operaio e la Kolkhoziana di Vera Mukhina,
dall9alto del padiglione sovietico, marciano, verso il futuro investiti dal vento del progresso mentre
impugnano la falce e il martello, arcisimboli del loro lavoro e della loro fede politica. Gli uni e gli
altri sono effigi di corpi ideali, sani, superbamente atletici, perfettamente proporzionati, corpi che
non sono mai esistiti, né nella Germania di Hitler né nella famelica Unione Sovietica di Stalin.
Parigi 1937. I Padiglioni della Germania nazista e dell9 URSS
22 23
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saggio 03
6 Nonostante la celebrità dell9opera e la rilevanza del suo autore la letteratura critica è molto scarsa, fatta eccezione per il
volume di A. Contursi, Il monumento alla Rivoluzione di Novembre di Mies van der Rohe a Berlino-Lichtenberg, Ilios, Bari 2018,
l9unico studio veramente accurato sull9aspetto, la struttura e la vicenda storica del monumento.
7 Alcune bare vennero ritrovate dopo la fine della guerra, altre, come quella di Luxemburg furono immediatamente disperse (cfr.
Contursi, Cit., p. 59).
La prossimità tra i due edifici, in una postazione privilegiata, nelle intenzioni dell9organizzazione
avrebbe dovuto metter in risalto le differenze tra i regimi; ne emerge invece <una cupa continuità,
un9angosciante sopraffazione che nasce dall9idea totalitaria, visibile negli esiti conservatori
nonostante entrambi i padiglioni si proclamassero baluardi del futuro=5. Entrambi i padiglioni
vinsero la medaglia d9oro, una sinistra mimesi di quanto andava producendosi nello scacchiere
politico.
Berlino 1926. Il potere contro l9arte
Di segno opposto, e ugualmente esemplare, è il caso di un9altra opera anch9essa scomparsa
ma non altrettanto ben documentata: il Monumento della Rivoluzione di Novembre, più noto
come monumento per Karl Liebhnecht e Rosa Luxemburg, che Mies van der Rohe realizza negli
anni Venti a Berlino, su commissione del KPD (Partito Comunista Tedesco) nell9allora periferico
cimitero di Friedrichsfelde6. La sua storia è legata alla tumultuosa vicenda storica della Germania
tra la capitolazione del primo conflitto mondiale e l9attuarsi della mostruosa macchina nazista. Nel
mezzo si situa la controversa Repubblica di Weimar i cui natali sono bagnati del sangue di 31
spartachisti (militanti della sinistra rivoluzionaria), assassinati assieme ai due leader Liebhnecht
Berlino 1926. Monumento della Rivoluzione di Novembre,
dedicato a Karl Liebhnecht e Rosa Luxemburg, Mies van der Rohe
8 Così secondo F. Schulze, Mies van der Rohe. Life and work, Ernst & Sohn, Londra 1986, riportato da Contursi, Cit., p. 45.
9 Ivi, p. 55.
10 In un9altra area del cimitero, dopo la guerra, è stato eretto un sacrario per gli eroi del socialismo, invocando una memoria più
ampia ma, inevitabilmente, più vaga
e Luxembourg dalle milizie dei Freikorps il 15 gennaio 1919, al termine di una fallita insurrezione
contro le repressioni agite dal neonato governo repubblicano. Il desiderio del PKD di commemorare
degnamente i martiri della Rivoluzione di gennaio si concretizza solo nel 1926, per un periodo
molto breve. Già nel 1935 il regime nazista, nel corso di una capillare delegittimazione di ogni
pensiero divergente, con la rimozione dei simboli e la distruzione della memoria, fa demolire il
monumento e nel 1941 vengono rimosse anche le sepolture7. Dell9opera di Mies restano poche
fotografie e nessuno schema progettuale. Sembra infatti che progettazione e costruzione siano
state molto rapide, prendendo il posto una prima proposta (anonima) dall9aspetto tradizionale,
pomposo e, si può immaginare, di gusto borghese. I biografi riferiscono che Mies, osservandola,
abbia commentato che <sarebbe stato un monumento appropriato per un banchiere= e che, <poiché
la maggior parte di quelle persone erano state fucilate davanti a un muro=, lui avrebbe <voluto
costruire un muro di mattoni=8 e costruì, infatti, uno spesso muro in mattoni, quasi a protezione
dell9area delle sepolture, scomposto in blocchi aggettanti (secondo un9attendibile ricostruzione i
blocchi, lungo i due fronti principali, erano 38, come i rivoluzionari seppelliti nell9area antistante ai
quali erano stati aggiunti 5 altri caduti nelle settimane seguenti l9eccidio del gennaio 1919). Alla
retorica di partito era concessa una grande stella in metallo con falce e martello e un9asta per
la bandiera, da utilizzare durante le manifestazioni; le iscrizioni non vennero mai installate per
esaurimento dei fondi. La superficie irrequieta del monumento, ben piantato nel terreno, greve
dei suoi materiali e della storia, ispirava la visione di un paesaggio di rovine (della rivoluzione),
ma anche un movimento ancora in corso, in costruzione, generativo. Una forma mai sopita
nella finitezza del costruito, in piena continuità con la ricerca formale di Mies van der Rohe e
con la visione che in quegli anni animava il mondo dell9arte e dell9architettura, coniugandosi al
presente, esprimendo continuità sia con il sistema della produzione industriale sia con la classe
operaia. Quello che oggi possiamo riconoscere come autenticamente democratico nella pluralità
di declinazioni del Movimento Moderno non è tanto (o non soltanto) il tentativo di emancipare la
forma dalla decorazione e dal plusvalore semantico ereditato dal passato; è radicale invece il
desiderio di rifondare il linguaggio, che si rivela in un esercizio di prossimità, attraverso la scelta
dei materiali e l9attenzione alla forma. Sappiamo che il <monumento venne poco capito da una
parte dei sostenitori del KPD=9, che ne erano anche i finanziatori, ma sappiamo anche quanta
affezione si fosse sviluppata, testimoniata dai tentativi di ricostruzione. Questo non è dipeso da
una familiarità con le forme riconoscibili, con l9automatismo generato dai sistemi di potere negli
immaginari colonizzati, ma con il percorso indipendente che su quei volumi, su quei mattoni,
ogni militante aveva costruito con la propria fede politica, con la forza della memoria, sfruttando
gli strumenti intellettuali di cui era dotato, non condizionati dalla convenienza, dalla dipendenza,
dalla coercizione del potere. Oggi quello spazio vuoto è malinconicamente contrassegnato da un
monumento alla sua scomparsa: Günter Stahn, architetto, e Gerhard Thieme, artista, entrambi
attivi nella DDR, nel 1983 hanno costruito una stele, non autorizzata dal governo della DDR,
che ricorda il paramento murario originario, con una lastra in bronzo che ne riproduce la facciata
principale e riposta la dedica al monumento distrutto10.
24 25
Au Revoir is a short film documenting an artistic intervention consisting of removing the statue of Joseph Gallieni
from Place Vauban in Paris. This former military officer and colonial administrator took an active part in consolidating
and expanding the French colonial empire in Africa. His statue was vandalized several times in recent years and was
notably covered with fake blood by activists in 2021 to denounce the glorification of colonialism. This film by Iván
Argote was conceived in collaboration with the activist Françoise Vergès and the journalist Pablo Pillaud-Vivien. It
was imagined as an 'anticipation' of a future where sculptures glorifying colonialism would be legally removed from
the public sphere.
The film is a continuation of the artist's critique of the Western view of colonization as salvific for colonized
populations. The heroization of colonists is materialized through numerous monuments and sites of remembrance in
European and American cities, which have inspired numerous interventions by Iván Argote. He has appropriated
N
GOTE
R JOSEPH GALLIENI,
2021
4K video, color, sound
Duration : 00:13:30 | 00:13:30
Edition of 5
C
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MYA 06 / gennaio 2023
11 Sul tema J. Young, The Stages of Memory: Reflections on Memorial Art, Loss, and the Spaces Between, University of
Massachusetts Press, Amherst (Ma) 2016; A. Zevi, Monumenti per difetto. Dalle Fosse Ardeatine alle pietre d9inciampo, Donzelli
Editore, Roma 2014.
Parigi 2021. L9arte senza il potere
Il secondo dopoguerra, la fine dei totalitarismi e la sfiducia verso i costrutti politici responsabili
della Seconda guerra mondiale, o incapaci di impedirla, hanno generato in Europa una convinta
revisione dell9estetica celebrativa. Ne sono testimoni la stagione dell9informale e il rigetto del pathos
eroicamente figurativo nei nuovi monumenti ai caduti. Verso la fine del secolo scorso, alla crisi della
figurazione è seguita poi la crisi della tangibilità mettendo in discussione la permanenza stessa
dei monumenti e della loro assertiva, monologante imponenza. È la feconda sperimentazione dei
monumenti a scomparsa, o per difetto (specialmente intenso nella Germania riunificata dalla fine
degli anni Novanta11), che ha anticipato, e forse nutrito, la vivida contestazione alle memorie di
bronzo e di pietra attiva da alcuni anni in Europa e nelle Americhe, specialmente contro il retaggio
coloniale e il razzismo sistemico. Quest9ultima fase, imputando responsabilità storiche individuali
e nazionali, impone una riflessione sulla parzialità delle narrazioni, sulla memoria artificiosa che
i gruppi di potere hanno tramandato: una sola versione della Storia, inevitabilmente lacunosa,
spesso colpevolmente mendace.
L9artista colombiano Iván Argote ha dedicato a una di queste effigi nelle città europee il video
Aurevoir Joseph Gallieni (2021). Gallieni è stato un generale i cui meriti militari non pareggiano la
ferocia dei suoi mandati coloniali in Niger e in Madagascar. Nominato Maresciallo di Francia gli è
stato dedicato un sontuoso monumento in bronzo ancora in Place Vauban, a Parigi, dove è ritratto
a figura intera su un piedistallo decorato da quattro cariatidi femminili, fortemente etnicizzate,
che rappresentano le regioni del mondo in cui ha agito. Il video di Argote mostra le operazioni
per la rimozione della scultura, con una finta squadra di operai e tecnici comunali, l9imbracatura
della statua e l9arrivo di una gru. Il sollevamento vero e proprio è invece solo simulato con
un9animazione digitale, in modo del tutto credibile. Al punto che la pubblicazione del filmato sul
web ha scatenato un dibattito pubblico tra indignati protezionisti (che in maggioranza ignoravano
meriti militari e crimini umanitari di Gallieni) e sostenitori della rimozione, sensibili all9iniquità di
Parigi 2021. Frammento del video Au revoir Joseph Gallieni di Ivàn Argoteha
saggio 03
una narrazione coloniale e discriminatoria della storia nazionale. Il monumento, che già dagli anni
Trenta è oggetto di azioni dimostrative e interventi più o meno invasivi, si trova ancora lì, simbolo
di una storia che nessuno sembra voler ascoltare.
Berlino 2015. L9arte come potere costituente
Oltre la critica degli emblemi visibili della storia, con la loro risemantizzazione o con la loro
ricollocazione, esiste ancora un ruolo sociale, culturale e politico per i monumenti nello spazio
pubblico? È possibile una posizione non strumentale né subalterna al potere, che sia propositiva
oltre la sfera della rappresentazione simbolica. È ancora possibile, infine, smantellando millenni
di figurazione egemonica, pensare il monumento come luogo di una narrazione collettiva, agìta
dal basso, partecipe, senza retorica né populismo? Sì, se intendiamo l9arte come spazio di un
potere costituente, come catalizzatore di coscienza e di pensiero autonomo.
Anything to say?, dell9artista romano Davide Dormino, è un monumento dall9aspetto e dai materiali
tradizionali: tre figure stanti, in bronzo ritraggono Julian Assange, Chelsea Manning e Edward
Snowden. Il monumento è dedicato a tre persone e alla libertà di espressione: tutti e tre hanno
utilizzato la tecnologia per rendere pubbliche informazioni sulle responsabilità governative nella
violazione di diritti umani e di traffici illeciti e, per questo motivo, hanno subito e continuano a
subire persecuzioni e limitazioni della libertà.
La logica del monumento è messa in crisi da una forma che si manifesta contro il potere e
Assange, Manning e Snowden sono rappresentati in scala uno a uno, non su un piedistallo ma su
tre sedie. Una quarta sedia, sempre in bronzo, è libera, a disposizione di chiunque voglia salire e
porsi di fianco al terzetto per prendere posizione.
Il monumento, inoltre, non è fisso e dopo la presentazione a Berlino nel 2015 abita diverse piazze
europee per costruire una narrazione dinamica, non in ossequio al potere ma come tentativo di
una storia divergente, scritta in comune.
Berlino 2015. Opera Anything to say? dell9artista romano Davide Dormino
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Testimone di continuità e presente
progetto 01
PALAZZO SENZA TEMPO A PECCIOLI
Negli ultimi anni il dibattito sui temi del riequilibrio territoriale in Italia ha assunto sempre più forza
nel promuovere politiche e progetti per ripensare i rapporti insediativi tra aree metropolitane e
piccoli comuni, tra centro e periferie1. Il contesto programmatico in cui queste proposizioni si
collocano opera per la ricostruzione di reti territoriali e di sinergie socioeconomiche virtuose,
stimolando pratiche che guardano alle fragilità territoriali ed ai contesti marginali come sfide
complesse ed importanti per il futuro2. A ciò si affianca una rinnovata attenzione, anche nel
panorama internazionale, sul ruolo dell9architettura come agente di cambiamento sociale e foriero
di trasformazioni capaci di coniugare <bellezza e giustizia sociale=3. Andrew Clancy le descrive
come critical practices il cui lavoro progettuale si mostra nella sua dimensione più <generosa ed
ottimista, cercando di offrire un contributo alla società come azione diffusa di più individui=4.
In contesti di margine, fuori dai riflettori mediatici e dalle attenzioni del mercato, si offrono nuovi
spazi per approcci progettuali alternativi che rimettono al centro delle trasformazioni spaziali il
<promuovere altre forme di valore=5. In condizioni più incerte, meno favorevoli e più spinose,
l9architettura si riconcilia con la realtà presentando modalità e risultati meno scontati e prevedibili.
Il progetto di Mario Cucinella Architects per il recupero di un importante brano del tessuto storico di
Peccioli potrebbe rientrare in questo ragionamento: sviluppare immaginari progettuali alternativi,
ed appetibili,al modello predominante dell9urbano globale. E nel farlo, stringe un9importante
alleanza con la comunità e le politiche di sviluppo locali. Il piccolo centro dell9alta Val d9Era ha
trasformato negli ultimi venti anni un problema ambientale in opportunità. La creazione di una
discarica intercomunale e la gestione virtuosa dei rifiuti ha aperto la strada ad un più ampio
programma di rigenerazione del territorio non solo nelle sue componenti fisiche, attraverso l9arte
e l9architettura, ma anche in quelle immateriali con la promozione di servizi innovativi e progetti
sociali per attrarre nuova vita nella comunità. Un processo lungo, che ha portato il comune alla
ribalta delle luci della Biennale di Architettura di Venezia, dove nel 2021 con Laboratorio Peccioli
Fabrizia Berlingieri
1 Si veda il lavoro di <Riabitare l9Italia= e del gruppo promotore, in particolare i Domenico Cersosimo, Carmine Donzelli e Antonio
De Rossi, nonché il recente contributo di Coppola A., Del Fabbro M., Lanzani A., Pessina G. (a cura di), Ricomporre i divari.
Politiche e progetti territoriali contro le disuguaglianze e per la transizione ecologica, Il Mulino, Bologna 2021. Quest9ultimo si
inserisce nel più ampio progetto Fragilità territoriali DAStU Dipartimento di Eccellenza 2018-2022, finanziato dal MUR.
2 Un esempio è la Strategia Nazionale per le Aree Interne (SNAI), prima politica nazionale place-based di sviluppo e coesione
finalizzata al contrasto della marginalizzazione territoriale e dei fenomeni di declino demografico e migrazione interna al Paese.
Questo indirizzo, seppure con minor forza, è presente anche nell9attuale Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).
3 SmithM., DalzielM., Sachs OlsenC., HarperP., Curator statementdellaOslo Architecture Triennale Enough: The Architecture of
Degrowth, 2019 (http://oslotriennale.no/en/archive/2019, accesso 4.1.2023).
4 ClancyA., Critical practice: can architecture be critical?, The Architectural Review (online), 2020 (https://www.architectural-
review.com/essays/in-practice/critical-practice-can-architecture-be-critical, accesso 4.1.2023).
5 TillJ., The Economies of Architecture, Ardeth, 3, 2020, 16-18.
{ Architetto. Professore associato DAStU, Politecnico di Milano }
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progetto 01
è stato fulcro del Padiglione Italia quale esempio di comunità resiliente.
L9architettura partecipa a questo processo di cambiamento attraverso il Palazzo senza tempo.
L9intervento, che ottiene nel 2022 il Golden Award nella competizione internazionale Novum
Design Award, consiste nel recupero di alcuni corpi edilizi su via Carraia e nella realizzazione ex
novo di un corpo di fabbrica sul sedime di un edificio diroccato in via dei Bastioni. Il complesso
quattrocentesco del Palazzo è adibito a nuove funzioni pubbliche con spazi di residenza, gallerie
per mostre temporanee e permanenti, aree studio e coworking, infine una biblioteca multimediale.
L9innesto contemporaneo, che riscrive il limite dell9edificato e si affaccia sull9eccezionale quadro
paesaggistico della valle, ospita un auditorium ed una terrazza soprastante che si sporge con un
eclatante prolungamento a sbalzo verso le colline. L9intervento, per una superficie totale di 2.500
mq, riverbera nella città come una cerniera di risalita. Dalla quota inferiore del borgo 3 attraverso
l9auditorium, la scalinata esterna e la terrazza, il nucleo scale della corte coperta 3 è possibile
risalire alla quota superiore riconnettendo l9intervento alle vie principali del borgo. Palazzo senza
tempo è un testimone di continuità e di presente: un complesso architettonico che, senza soluzione
di continuità, mette assieme un recupero misurato e una riscrittura insediativa coraggiosa, del
rapporto di limite del borgo verso il paesaggio collinare. È testimone di un presente esibito senza
timidezza o sensi di colpa, una presenza culturale dell9oggi e di una continuità insediativa capace
di reinterpretare il ruolo delle comunità e dei centri minori in futuri alternativi ed auspicati.
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progetto 01
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MYA 06 / gennaio 2023
progetto 02
LUIGI SNOZZI E MONTE CARASSO
Eleonora Burlando
{ Architetto. Professore a contratto presso il Dipartimento di Architettura di Genova,
libero professionista socia fondatrice di Neostudio }
In questo piccolo villaggio parte della città di Bellinzona in Canton Ticino, l9architetto Luigi Snozzi
è chiamato nel 1968 a progettare la sede della nuova scuola elementare che, secondo il piano
regolatore allora vigente, doveva essere collocata in un9area periferica. Snozzi accetta l9incarico a
condizione però di porre la funzione scolastica in posizione centrale, occupando in parte l9edificio
di un ex-convento in stato di abbandono. A partire da questo primo tassello, Snozzi è stato poi
successivamente incaricato di sviluppare numerosi altri progetti, tra i quali la casa del Sindaco,
una banca, alcuni edifici residenziali e alcune strutture sportive. Ma, ancora più importante, ha
proposto un nuovo Regolamento Edilizio fondato solo su sette regole (più una non scritta) in
sostituzione delle duecentoquaranta precedenti:
1. Ogni intervento deve tener conto e confrontarsi con la struttura del luogo;
2. Una commissione di tre esperti della struttura del luogo è nominata per esaminare i
progetti;
3. Nessun vincolo viene posto sul linguaggio architettonico. Forme del manufatto, tipologie
di copertura e materiali non devono sottostare a nessun obbligo;
4. Per favorire la densificazione sono state eliminate tutte le distanze di rispetto dai confini
di vicinato e dalle strade;
5. L9indice di sfruttamento è stato aumentato rispetto al regolamento precedente dallo 0,3 all91;
6. L9altezza massima degli edifici è di tre piani. Per permettere la realizzazione di un tetto
piano si concede un supplemento d9altezza di 2 mt;
7. Lungo le strade si devono erigere muri alti 2,5 mt (quota poi ridotta dal comune a 1,20 mt).
Regola aggiunta e non scritta: un progetto in deroga alle norme prestabilite può essere
approvato se la Commissione di controllo ne riconosce la corretta lettura del sito.
Sviluppo del centro
di Monte Carasso e
saturazione del vuoto:
XI-XIII°
XV°
XVII°
XIX°
XX° secolo
Anno 1977
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progetto 02
Da sinistra:
I principi del RE: definire l9area del centro, concentrare le funzioni pubbliche, densificare il tessuto edilizio.
Prima del RE: edifici pubblici, viabilità (blu), percorsi pedonali (nero), verde pubblico.
Dopo il RE: edifici pubblici e nuovi edifici privati, viabilità (blu), percorsi pedonali (nero), verde pubblico.
Queste poche e semplici indicazioni hanno uno straordinario valore. Innanzitutto, dimostrano
come architettura ed urbanistica siano solo visioni a differente scala di una stessa questione: la
qualità delle trasformazioni del territorio costruito. Forse più che parlare di 8urbanistica8 si dovrebbe
dire 8architettura della città8, si sta inequivocabilmente parlando di 8architettura8 e lo si sta facendo
guardando ad un piccolo paese di circa 2.400 abitanti. Definire qualcosa 8architettura9, insomma,
presuppone l9identificazione per lo più inconscia di qualcos9altro che architettura non è, che non si
dà come tale. Una relazione dialettica tra ciò che è 8ordinario9 (normale, banale, o anche, ma non
necessariamente, scadente) e ciò che è invece a vario titolo culturalmente sofisticato (eccellente,
singolare, originale) ha accompagnato l9architettura fin dalle sue origini, una relazione in cui il
rapporto proporzionale tra i due termini è rimasto tendenzialmente inalterato, dove al variare di
un termine corrisponde un adeguamento dell9altro.
La componente che più di altre consente di rilevarne la particolarità - e quindi in un certo senso la
<straordinarietà=rispettoalla<ordinaria= prassiproceduralequantomenoitaliana-staprobabilmente
nel fatto che a Monte Carasso un architetto ha proposto uno schema semplice quanto 8utopico8 per
riuscire a porre la qualità degli interventi al centro dell9azione pianificatoria dell9Amministrazione.
Per raggiungere il suo scopo Snozzi ha apparentemente relegato la questione della qualità dei
progetti alla discrezionalità di una 8commissione di esperti8 ma, consapevole del pericolo di una
simile impostazione, ha reso pubbliche le sedute della commissione e istituito la revocabilità
immediata della carica di <esperto= da parte degli stessi cittadini. Ponendo democraticamente la
qualità al centro della scena, ha potuto semplificare la normativa urbanistica.
Snozzi ha un9idea precisa del concetto di città: questa non è fatta di <lontananze=, quanto piuttosto
di 8prossimità8, non è conformata in modalità <estensiva=, ma <intensiva=, è concentrata, è densa, e
per questo è necessario abolire le distanze minime dai confini e dalle strade. Snozzi ha il coraggio
di dire che c9è bisogno di 8densificare8 e non di rarefare o polverizzare il costruito sul territorio.
La questione degli indici e dei parametri urbanistici ci ha abituato a parlare in termini astratti del
costruito, quando invece una città è fatta di elementi concreti e molto materiali. In fondo nessuno,
guardando un edificio, lo misura in metri cubi. Altro tema di grande rilevanza è il rilancio dello
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MYA 06 / gennaio 2023
progetto 02
spazio pubblico. Gli schemi tradizionali di strada e piazza hanno via via perso il loro significato
classico, espropriati in pratica dal dominio dell9automobile: la strada è un canale di traffico; la
piazza spesso è solo uno svincolo, un9intersezione di strade; il giardino pubblico sovente si
identifica con una piccola area marginale, di risulta, che i privati hanno ceduto gratuitamente come
contributo alle opere di urbanizzazione. Quali sono allora i luoghi di incontro e di socializzazione
nelle aree abitate? A che cosa si può fare riferimento per ripensare gli spazi pubblici della città?
Per prima cosa non si deve dimenticare che lo spazio aperto vive in stretta relazione con gli edifici
che lo delimitano e quindi sempre più il gioco tridimensionale di relazione tra i volumi deve essere
controllato anche in funzione delle spazialità esterne che si vengono a creare. Ma l9altro aspetto
indispensabile è prevedere una commistione di funzioni, la coagulazione di strutture di servizio,
culturali, ricreative, in grado di attirare le persone.
Nel caso specifico di Monte Carasso si possono trovare alcune risposte. Innanzitutto, alla base
della pianificazione c9è la volontà di concentrare il maggior numero possibile di funzioni pubbliche
nella parte centrale dove oggi trovano posto il municipio, la banca, una palestra, la scuola
elementare, l9edificio della chiesa con il cimitero ampliato. Inoltre, il nuovo assetto è tutto basato
sulla contrapposizione tra <pieno=, ottenuto mediante il principio della 8densificazione8 edilizia, e
<vuoto=. La zona monumentale non era leggibile e mancava fondamentalmente di spazi pubblici.
Snozzi propose di valorizzarla rimettendo in luce le antiche arcate, demolendo alcune case,
ripulendo l9intero impianto e soprattutto facendo una grande operazione di <svuotamento= del
centro dalle superfetazioni per ottenere un grande <vuoto= centrale, corrispondente alla piazza
e alle aree verdi circostanti. Chiesa, scuola, cimitero, casa del Comune, palestra si trovarono
così ad esser parte di un nuovo progetto che tendeva a costruire il centro pubblico della città,
una nuova agorà fatta di spazi aperti e di luoghi in cui stare, giocare e trascorrere il tempo libero.
Uno spazio pensato per la comunità e nel quale la stessa potesse riconoscersi. Infine, la scelta
di pedonalizzare il centro definendo, attraverso un anello viabilistico perimetrale, il passaggio
dalla condizione più urbana a quella extra-urbana ha permesso di ridefinire il rapporto tra spazi
pedonali e ambiti veicolari, di dare continuità ai tracciati esistenti mettendoli a sistema con i nuovi
spazi pubblici oltre a rafforzare la valenza percettiva del centro che appare come un grande
tessuto connettivo composto da una serie di riferimenti puntuali dati dagli edifici pubblici, ma
anche da alcune architetture private oltre che dalla presenza di elementi naturali sapientemente
disposti.
Non si tratta di risposte assolute, né tanto meno di soluzioni adatte a risolvere tutti i problemi dei
centri urbani. Sicuramente Monte Carasso è un paradigma unico nell9ambito della progettazione
urbana, ma è altrettanto certamente l9esemplificazione di un buon progetto d9architettura (di città
o di paesaggio) incentrato sull9ascolto e sulla lettura dei luoghi, unito all9idea di una responsabilità
etica e politica dell9architetto vista in termini nuovi e diversi rispetto ad una consolidata nozione di
8impegno9 . Un progetto che si prende cura dei luoghi, costruendo un tessuto omogeneo e isotropo
di qualità diffusa, con attenzione alle ragioni dei contesti, capace di realizzare una condizione
ordinaria soddisfacente, su cui poter innestare, eventualmente, le accelerazioni e gli accumuli
dell9evento straordinario.
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MYA 06 / gennaio 2023
Intervista a Francisco Sanin 1
progetto 03
LO STRANO CASO DI MEDELLIN
Architettura vs Urbanistica 1-0.
La straordinaria esperienza maturata a Medellin in Colombia, ci consente di capire come
l9architetturaelapolitica,seunitiinunprogettocomune,possanoprodurreuncambiamentoradicale
della città e delle persone che la abitano. L9intervista ad uno dei protagonisti del cambiamento
vuole sottolineare, a più di 10 anni di distanza, come tutto questo sia potuto accadere e come
tutto questo faccia parte di un processo ancora in atto. Sanin ci racconta aneddoti, retroscena,
fuoricampo e un vissuto dietro le quinte dove emergono passione, intelligenza, lungimiranza e
capacità di vedere lontano.
Quanto di seguito riportato è un estratto rielaborato dell9intervista realizzata da Luigi Zola nel
2010 e straordinariamente ancora attuale nella forma e nella sostanza.
LZ A qualche anno di distanza dalle prime attività amministrative del Sindaco Sergio
Fajardo e della sua giunta, qual è il bilancio?
FS Nel 2003 Sergio Fajardo è stato eletto sindaco della città di Medellin, in Colombia. Il giorno
prima delle elezioni i sondaggi lo davano al 20% ma nonostante questo, una volta terminato il
conteggio, Fajardo ha vinto con una travolgente maggioranza di voti. Fajardo, un matematico
passato alla politica, ha lasciato la carriera accademica per formare un movimento civico, un
movimento che mirava a far parte del mondo politico. Come ha detto Fajardo stesso i politici
prendono le decisioni più importanti nella società.
Per lui la responsabilità del governo di Medellin era all9inizio creare le necessarie condizioni di
sicurezza ma non solo, subito dopo si doveva investire in progetti che aprissero nuove opportunità
agli abitanti, e primariamente nei quartieri più poveri. Si trattava come diceva lui di un <debito
storico= con queste comunità che erano state da decenni marginalizzati e quasi abbandonati.
L9idea sottesa è che l9architettura ha la capacità di attuare trasformazioni concrete. Questo progetto
ha avuto un chiaro contenuto socio politico, contenuti attuati con la creazione di spazi pubblici
e di infrastrutture di servizio per la comunità. La prima azione concreta è stata la creazione di
spazi per la conoscenza, i parchi biblioteca (il termine stesso contiene già le condizioni ricercate:
conoscenza e spazio pubblico).
LastrategiadiFajardoperlacittàèstataapparentementesemplice,valeadireristabilireilruolodella
legge e riprendere il controllo delle aree più problematiche della città usando le forze dell9ordine.
Luigi Zola
1 Estratto dell9intervista realizzata da Luigi Zola a Francisco Sanin nel 2010 pubblicata sulla rivista ordinistica OPERE, n. 17
e revisionata in occasione di questa nuova pubblicazione nel gennaio del 2023. Francisco Sanin, professore alla Syracuse
University di Firenze è stato uno dei protagonisti, insieme ad altri, della trasformazione urbana di Medellin
{ Architetto. Libero professionista }
Fajardo ha comunque capito che queste azioni erano soltanto un primo passo e certamente non
erano sufficienti perché non garantivano alcune soluzioni a lungo termine e non prendevano in
considerazione le cause strutturali del problema. Per fare un9 esempio le parti marginali della città
e le favelas erano soffocate dalla violenza e dall9emarginazione. E quindi l9investimento mirava
alla costruzione di punti di incontro e di nuove opportunità per queste comunità. Una volta mutata
la situazione, l9amministrazione ha avviato un processo di dialogo con la comunità per individuare
le loro necessità e i luoghi da loro ritenuti i posti strategici dove attuare le trasformazioni. Altro
elemento strategico è stato quello di creare letteralmente, concretamente, dei ponti. Infrastrutture
queste che agivano a diverse scale d9uso: da quella di prossimità a percorrenza pedonale, alla
facilitazione dei collegamenti a scala metropolitana, etc... Questi ponti agiscono come punti di
contatto tra le sponde di colline occupate dalla parte più disagiata della città spesso in conflitto
con i vicini, un tempo ritenuti rivali. Con il tempo questi ponti sono diventati assi urbani e hanno
generato attorno a loro elementi di attrazione come i parchi-giochi e altre attrezzature di uso
pubblico. La sua strategia è stata quella di occupare questi spazi in primo luogo con la creazione
di un nuovo sistema di programmi sociali che uniti alle azioni sulle infrastrutture hanno modificato
non solo le relazioni fisiche, spaziali ma soprattutto il senso d9identità, il senso si appartenenza
ad una comunità da cui prima si sentivano esclusi. In questo senso il <Metrocable= è il sistema
che ha permesso di congiungere le parti collinari della città, dove si erano sviluppate le favelas,
con il centro e con le infrastrutture di collegamento metropolitano. Questo ha fatto si che chi sino
ad allora era stato costretto ad una condizione di segregazione e marginalizzazione riuscisse
finalmente a sentirsi un cittadino, di sentirsi parte di una comunità più vasta, di essere una parte
viva della città.
La storia di Medellin è complessa: è ancora in fieri e forse è troppo presto per dare un giudizio sugli
effetti a lungo termine, ma ciò che risulta chiaro fin da subito è che un progetto politico e un progetto
architettonico-urbano, insieme, hanno prodotto un cambiamento senza precedenti sulla città.
Biblioteca Espana, vista sulla città di Medellin
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MYA 06 / gennaio 2023
L9architettura e l9urbanistica hanno dimostrato la loro capacità di essere attori importanti nei
processi politici e culturali.
A Medellin il Sindaco non può accedere ad un secondo mandato. Dopo Fajardo, che è stato
candidato alle elezioni presidenziali in Colombia del maggio 2010, la nuova amministrazione
municipale ha mantenuto in vita la maggior parte delle idee e dei progetti dei loro predecessori.
LZ Un bilancio così positivo ha del miracoloso, cosa ha determinato un evento così
straordinario? Ci puoi raccontare più in dettaglio cosa è avvenuto?
FS Tra le iniziative infrastrutturali più importanti e meglio conosciute sono i cosiddetti <Library
parks=, non biblioteche nel senso tradizionale del termine ma spazi pubblici complessi contenenti
risorseperl9interacomunità,cheincludonoauditorium,programmidoposcuola,spazipolifunzionali,
etc& Diversi <Library park= sono stati costruiti intorno alla città, e tutti nelle aree più povere.
La loro localizzazione è stata un9operazione attentamente studiata, ed è risultata da complessi
processi di partecipazione urbana, trattative e analisi urbane che prendevano in considerazione
non solo l9impatto locale ma anche il rapporto con le infrastrutture urbane di scala più ampia come
il trasporto pubblico e le infrastrutture sociali.
Dopo la conclusione di questi processi e una volta decisa la localizzazione e la distribuzione di
questi elementi, ha preso il via, per ciascuna, un concorso internazionale di architettura. Questi
concorsi hanno dato la possibilità a giovani e innovativi studi di partecipare alle stesse condizioni
di coloro che avevano più esperienza e un sapere più consolidato. I risultati, benché a volte
controversi, hanno dato un messaggio positivo a quelle parti della città che tradizionalmente,
e per decenni, erano state ignorate: anch9esse avevano diritto a essere città, e i loro abitanti
avevano il diritto di essere considerati cittadini con gli stessi diritti e le stesse necessità di tutti gli
altri. Ancora una volta Fajardo trovò uno slogan semplice per far passare questo messaggio: gli
edifici più belli per le aree più povere. Era una questione sia di dignità, sia di giustizia storica.
I <Library parks= erano, per così dire, la punta dell9iceberg, perché dietro la loro realizzazione c9era
un lungo processo di impegno sociale con la comunità, la creazione di spazi pubblici, centri di
assistenza per piccole imprese, centri medici, impianti sportivi sono stati importanti, per non dire
cruciali, dell9intero processo. Inoltre le caratteristiche topografiche della città e la localizzazione di
alcune delle aree più povere, dove già l9amministrazione precedente aveva avviato il sistema di
trasporti <metrocable=, un sistema di funicolari che connetteva queste aree con l9asse principale
della metropolitana che corre in direzione nord-sud lungo il fiume. Il <metrocable=, ha costituito
la base primaria per una trasformazione che da semplice infrastruttura si è trasformata in un
sistema di centralità di nodi urbani interconnessi. Le stazioni della <metrocable= divennero, nel
piano di Fajardo, spazi pubblici nodali per la comunità perché collegavano direttamente ai library
parks ad altri spazi pubblici di quartiere.
LZ Oltre al sindaco Fajardo, quali sono le altre menti, oltre la tua, che hanno lavorato e
lavorano fattivamente alla realizzazione degli obbiettivi?
FS Un gruppo di intellettuali ed amici che hanno condiviso per anni speranze e delusioni legate
alla cultura e la trasformazione della città. Accanto alle azioni dell9amministrazione comunale, -
ritengo questo un elemento molto importante- c9è stato il coinvolgimento e i processi virtuosi da
questi innescati per il reperimento di risorse, avvenuto attraverso la cooperazione di diversi enti
nazionali ed internazionali che si sono dimostrati utilissimi non solo sul piano del reperimento
progetto 03
A sinistra, una delle scale mobili realizzate nelle favelas
A destra, playground: uno spazio per lo sport
e gestione delle risorse ma anche per aver consentito la realizzazione di spazi di dialogo e
collaborazione comuni tra diverse istituzioni.
LZ Quale è stato il ruolo degli architetti?
FS Vale la pena notare come una serie di piccoli ma altamente coordinati interventi realizzati
dagli architetti siano stati capaci di trasformare in maniera radicale non solo la struttura fisica di
questi quartieri, ma anche il loro tessuto sociale e culturale. Come risultato di questi interventi
la criminalità è drasticamente diminuita, nuove imprese hanno preso vita, nuove organizzazioni
sono nate, così come è nato un nuovo sentimento di orgoglio per il proprio quartiere e la propria
città. Ad esempio un9intera area, che fino a quel momento era stata ignorata e percepita come
offlimits era stata trasformata in una comunità urbana culturalmente ricca con la sua dignità ed
anche le proprie dinamiche in termini di affari e condizioni economiche e sociali. Tra i vari progetti
e i vari interventi, uno in particolare è diventato un9icona per la stampa internazionale, essendo
stato pubblicato su riviste di tutto il mondo, la biblioteca Espana. Questo edificio ha avuto infatti
un percorso paradossale. La forma dell9oggetto architettonico, una serie di volumi articolati
fortemente definiti, ha avuto come primo effetto quello di diventare una icona per il resto della
città; l9architettura diceva che qualcosa stava avvenendo lassù e serviva come un annuncio di
quello che stava succedendo per l9altra metà della città, che ancora guardava l9area con sospetto,
se non con paura. Questo mette in evidenza il ruolo dell9architettura non solo come capacità di
produrre il disegno di un bel edificio, ma anche la sua capacità di saper leggere attentamente il
territorio e comprendere la sua struttura sociale, per trovare i luoghi e i mezzi più adatti per avere
un effetto positivo sulla città, attraverso l9innesco di elementi strategici che, sviluppandosi nel
tempo attraverso la partecipazione dei cittadini, producono le trasformazioni ricercate ed attese.
LZ Quindi l9architettura non è quell9evento sovrastrutturale come comunemente viene
classificato; non è subordinata a scelte e considerazioni che devono avvenire prima in
ambiti diversi quali quelli dell9economia e della politica?
FS Si è detto molto, da allora, riguardo ai meriti architettonici della biblioteca Espana, ma
quello che è mancato al dibattito è stato questo: indipendentemente dalle opinioni individuali
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MYA 06 / gennaio 2023
il ruolo che questa e altre biblioteche hanno avuto non era solo direttamente collegato alla loro
<qualità= architettonica, quanto alla loro posizione e alla loro presenza stessa. Questi temi, pur
rappresentando istanze basilari, si sono rivelati i più efficaci.
LZ Come è stato possibile superare le classiche modalità legate a strumenti come i piani
regolatori generali cari a politici, urbanisti, avvocati, economisti, istituendo il diverso
approccio realizzato a Medellin?
FS Nel caso di Medellin non si trattava di un Piano Regolatore nel senso classico, cioè che
investiva l9intera città, ma più precisamente si trattava di molteplici piani: questi erano una serie
di strategie parziali che però, messe insieme tessevano una fitta e efficace rete di interventi a
diverse scale sulla città.
Mentre i Library Parks erano parte di un sistema puntuale in specifiche parti della città, c9erano
anche una quantità di interventi strategici su vasta scala che li collegavano tra loro e li integravano.
Tali interventi erano parte di una strategia più ampia a livello dell9intera città, che includeva una
nuova rete di trasporto pubblico come il <metro plus= (un sistema di autobus ispirato a quelli
presenti a Curitiba e a Bogotà), parchi lineari, nuove istituzioni urbane come l=Explora science
park=, il rinnovamento di quelli esistenti come il Giardino Botanico o la creazione di nuovi assi
metropolitane, come la riqualificazione di Carabobo Street. Un esempio efficace di strategia
basata sulla semplice idea di <condizioni iniziali= (cioè che una parte significativa del progetto sia
la capacità di riconoscere fin dall9inizio il potenziale di un gruppo di istituzioni esistenti) riguarda
l9area attorno al Giardino Botanico.Questo gruppo era caratterizzato dalla vicinanza di istituzioni
importanti ma completamente scollegate tra di loro come lo State University Campus (Universidad
de Antioquia), il Giardino Botanico e il solo parco pubblico della città (Parque Norte).
Il piano mirava a consolidare questi istituti e a farne un importante nodo urbano, creando un nuovo
spazio pubblico che li collegasse tra loro e rendendoli raggiungibili dal resto della città attraverso
autobus e metropolitana. Il Giardino Botanico era stato, negli anni 50 e 60, il più importante
spazio pubblico della città. In seguito era stato praticamente dimenticato, rimasto tagliato fuori
dal centro urbano, e veniva apprezzato solo dai pochi che avevano il coraggio di avventurarsi
<nell9altra parte della città=. Il progetto relativo a questa zona non solo prevedeva di rendere i
confini permeabili, ma rendeva possibile la costruzione di alcune strutture assai significative la
più nota delle quali è il Padiglione delle Orchidee. Gli altri interventi prevedevano ristoranti, caffè,
centri di accoglienza per i visitatori etc...
Oggi il Giardino Botanico e uno spazio pubblico assai vivace e molte delle sue strutture sono usate
per scopi alternativi come fiere del libro e concerti. Per quanto la riqualificazione del Giardino
Botanico sia stato di per sé un evento importante, il vero effetto di questa trasformazione dovrebbe
essere individuato nel fatto che aver reso questa istituzione permeabile dall9esterno, accessibile
in ogni sua parte e vitale dal punto di vista delle attività ad essa collegate, l9ha fisicamente unita
alla rete più ampia di programmi pubblici. Parallelamente ad uno dei lati del Giardino Botanico è
stato creato uno spazio lineare teso a incanalare i flussi di traffico degli autobus e una stazione
della metropolitana.
Dalla parte opposta è stato creato un altro spazio lineare, ad uso dell9Explora Science Park.
progetto 03
LZ Su un piano più strettamente politico e culturale quali sono gli elementi strategici sui
quali si è puntato?
FS Il parco scientifico rappresenta fisicamente uno degli slogan più popolari di Fajardo: =Medellin
la città più istruita=; il suo programma aveva posto l9istruzione al centro di ogni intervento: Library
parks, scuole, centri di assistenza economica, spazi dedicati alla scienza e alla tecnologia etc&,
l9amministrazione non soltanto ha ristrutturato un gran numero di scuole esistenti ma ne ha
costruite anche molte nuove.
Il nuovo spazio pubblico tra l9Explora Science park e il giardino Botanico segna la fine dell9asse
metropolitano che collega questa nuova centralità urbana con il centro tradizionale e l9emergente
centro amministrativo dietro di essa.
LZ L9esperienza di Medellin quanta diffusione ha avuto sui media internazionali e in
particolare sulle riviste di settore?
FS L9esperienza di Medellin in Europa e non solo, ha avuto una vasta eco, molto è stato pubblicato
sui diversi media. La Syracuse University nel 2008 ha invitato il Sindaco Fajardo a Firenze, per un
simposio svoltosi presso la Fondazione Targetti.
L9organizzazione dell9evento, ha consentito, a chi ha avuto la fortuna di partecipare, di ascoltare
dalla viva voce di uno dei maggiori protagonisti, la ricchezza dei contenuti elaborati e dei concreti
risultati ottenuti, con una maggiore quantità di dettagli, soprattutto perché chi parlava ha proposto
ad una platea, fatta soprattutto di architetti, l9importanza di una corretta azione politica e la
necessità di guardare la città non solo sotto l9aspetto fisico e prestazionale, ma soprattutto la sua
dimensione sociale e politica che la conforma e che ne determina gli esiti e in misura rilevante la
sua qualità e vivibilità.
LZ Sul piano strettamente economico, con quali risorse è stato possibile portare avanti
queste trasformazioni?
FS Medellin è una città con buone risorse economiche, conta anche sul contributo de <La
Empresas Publicas de Medellin= che gestisce l9energia, ed altri settori.
Questa società a capitale misto privato e pubblico, ha dato un contributo importante.
Anche altre risorse non locali hanno comunque aiutato ad avviare un processo che richiedeva
notevoli risorse.
Ma, in conclusione, è importante sottolineare che quello che distingue l9operato di questa
amministrazione è il fatto di aver mirato strategicamente a investire su progetti puntuali.
Tra gli episodi emblematici che raccontano di un diverso modo di affrontare la gestione
amministrativa è quello di quando il Sindaco ha convocato i suoi Assessori e dopo essersi fatto
esporre le risorse economiche che ciascuno aveva a disposizione, ha proposto di non distribuire
su miriadi di piccole iniziative i soldi, così come spesso avviene (finanziando ad esempio, nel
campo culturale, piccole associazioni o altro).
Ha chiesto in sostanza di concentrare le risorse economiche su obbiettivi strategici più ampi.
E9 stato così possibile realizzare, grazie alla non dispersione delle risorse, le trasformazioni
urbane descritte e fare di Medellin una città migliore e sicuramente più coesa e sicura.
44 45
Opera tratta da
Estate, 1970, Alighiero Boetti
RUBRICHE
RUBRICHE
altre architetture
ABITARE CONTEMPORANEO1
Teatro Niccolini, Firenze
Oggi, giovedì 8 Settembre anno del signore 2022, ore 16,00, in occasione della giornata conclusiva
della mostra <Lonely Living. L9architettura dello spazio primario= promossa da Rifugio Digitale
nell9incontro-discussione dal titolo <L9Abitare Contemporaneo: riflessioni e indicazioni sullo stato
delle cose=, davanti alla Corte di Appello qui riunitasi presso il Teatro Niccolini di via Ricasoli n. 3 in
Firenze in nome e per conto del popolo della Repubblica Italiana, è stato chiamato a testimoniare
lo studio MDU ARCHITETTI che ha giurato di dire la verità, tutta la verità, nient9altro che la verità.
Preso atto della causa culturale per il primato intellettuale dell9architetto sul progetto dell9abitare e
contro tutti gli attori coinvolti nel processo dell9abitare contemporaneo, lo studio MDU ARCHITETTI,
chiamato ad esprimersi sullo stato delle cose,
HA DICHIARATO CHE
lo stato delle cose è tale da non consentire all9architetto di svolgere le sue funzioni ordinarie
per il raggiungimento della qualità architettonica necessaria affinché l9abitare possa essere
riconosciuto, più di ogni altra cosa, un diritto per tutti.
PERTANTO MDU ARCHITETTI CONDANNA
1. tutti gli investitori immobiliari che seguono le mode del mercato
2. CONDANNA tutti i costruttori che promuovono soluzioni per assicurarsi solo profitti
3. CONDANNA tutti i politici, i sindaci, gli assessori e i dirigenti tutti che usano l9architettura come
merce di scambio per ottenere voti e consensi
4. CONDANNA tutti i professori universitari che non insegnano ai loro studenti la tettonica
dell9architettura
5. CONDANNA tutti i committenti che si accontentano dell9edilizia
6. CONDANNA tutti gli ingegneri e i geometri che vogliono fare gli architetti
7. E INFINE CONDANNA tutti gli architetti che rinunciano al progetto
Marcello Marchesini 2
1 Come in una sorta di rappresentazione teatrale ai 50 studi di architettura protagonisti invitati, è stato affidato il compito
di raccontare da un palco del teatro Niccolini, il proprio personale punto di vista sul tema della serata di fronte a un vasto
pubblico posizionato in platea e nel loggione. Nel contempo sul palco centrale la regia scandiva i tempi dell9evento attraverso la
proiezione dei contenuti, video e immagini evocative sul tema dell9abitare selezionate da ciascun architetto secondo la propria
visione e il proprio sentire.
2 A nome del proprio studio si è fatto interprete dell9intervento di MDU proponendo una performance pseudo-teatrale attraverso
la lettura di un testo. Affacciandosi dal palco del teatro assegnato, sulla platea sottostante, MDU ha dato voce al proprio
pensiero sfruttando i 2 minuti e 30 secondi concessi. Unita alla voce narrante scorrevano, su uno schermo gigante, le immagini
a tema di alcuni dei progetti realizzati dallo studio.
{ Architetto. Professore a contratto presso il Dipartimento di Architettura di Ferrara,
libero professionista socio fondatore studio MDU }
48
altre architetture
E PER CONTRO MDU ARCHITETTI ASSOLVE
1. tutti gli architetti capaci di non cedere alle lusinghe delle mode, di non cedere alle richieste
vessatorie dei committenti, di non cedere alle dinamiche della politica e ai lacci del capitalismo
2. ASSOLVE tutti gli architetti creativi capaci di spingere il progetto al di là delle tradizionali
competenze disciplinari
3. ASSOLVE tutti gli architetti che, all9originalità della forma, preferiscono la poesia dell9architettura
4. ASSOLVE tutti gli architetti capaci di progettare la crisi e trasformare i processi produttivi
5. E INFINE ASSOLVE tutti coloro che sono capaci di migliorare la qualità dell9architettura
IN CONCLUSIONE
visto e riletto tutti gli atti depositati lo studio MDU ARCHITETTI, chiamato a testimoniare da
codesta Corte di Appello, si interroga se il problema dell9Abitare Contemporaneo sia veramente
una responsabilità dell9architetto dal momento in cui ben il 90% delle residenze in Italia le hanno
progettate altri. Tolto il restante 10%, che rappresenta l9eccellenza dell9abitare, tutto il resto è da
ripensare. Per lo studio MDU ARCHITETTI, il problema non è né etico, né estetico: il problema è
culturale. E se i veri colpevoli sono i costruttori, i politici, gli ingegneri e i geometri, i grandi assenti
di questo simposio sono proprio loro: e allora la colpa, cari signori promotori, è anche vostra
perché non li avete invitati.
Noi architetti dobbiamo pensare al progetto ma senza esserne ossessionati.
Dostoevskij aveva torto a dire <La bellezza salverà il mondo= perché la verità è che prima, deve
essere salvata la bellezza e a farlo, dobbiamo essere noi. E allora non ci rimane che urlare a
squarcia gola, come già aveva fatto Le Corbusier sulla sua rivista L9Esprit Nouveau nel lontano
1921: ARCHITETTURA O RIVOLUZIONE!3
Così è stato detto, così è stato deciso, l9udienza è sciolta.
Firenze, 8 settembre 2022
3 <Architettura o rivoluzione= è anche il titolo dell9ultimo capitolo del saggio Vers une Architecture del 1923. Lo stesso Le
Corbusier nel 1935 scriveva: <[&] costruire la città radiosa significa una completa riorganizzazione della politica= (Cfr. Boyer, M.
Christine, Le Corbusier Homme de Lettres, New york, Princeton Architectural Press, 2011, pg. 323)
50
MY/A n.6 – Architettura e Politica
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MY/A n.6 – Architettura e Politica

  • 1. MY/A ARCHITETTURA E POLITICA Il rapporto tra l9architetto e il potere attraverso la politica, le amministrazioni, gli enti teoria è prassi GEN/2023 - No. 6 rivista semestrale ISSN 2974-7074 10.00 ¬ MYA è contro l9egemonia delle mode, la strumentalizzazione culturale e il capitalismo incontrollato. MYA non proporrà temi come: la luce, la forma, la materia, i maestri, la casa, i luoghi di lavoro, la città, la rigenerazione, la resilienza, il bosco verticale, la partecipazione o la smart city. MYA si concentrerà su questioni meno convenzionali ma con le quali l9architetto è chiamato a confrontarsi quotidianamente al pari della dimensione teorica. Sei numeri in tre anni. I COMMITTENTI DELL9ARCHITETTURA ARCHITETTURA E POLITICA GIU/2023 - No. 7 Folon B. Munari M. Lai G. Capogrossi A. Boetti L. Fontana GEN/2023 - No. 6 GIU/2024 - No. 9 GEN/2025 - No. 10 GIU/2025 - No. 11 GEN/2024 - No. 8 L9importanza del dialogo tra l9architetto e la committenza Il rapporto tra l9architetto e il potere attraverso la politica La gestione del progetto e del cantiere nel confronto con le imprese, i fornitori e gli altri progettisti coinvolti Importanza della trasmissione del progetto attraverso i social, le riviste, il web, etc... Sguardo immersivo all9interno del luogo dove il progetto di architettura viene coltivato L9esperienza della professione di architetta al femminile ARCHITETTURA E COMUNICAZIONE IL MESTIERE DELL9ARCHITETTO L9ARCHITETTURA È DONNA LO STUDIO DI ARCHITETTURA ISBN: 979-12-5486-186-8 9 7 9 1 2 5 4 8 6 1 8 6 8 MYA 6
  • 2. ARCHITETTURA E POLITICA GEN/2023 - No. 6 Direttore scientifico e cura redazionale Marcello Marchesini Direttore responsabile Francesca Petrucci Comitato di redazione Luca Barni Giada Buti (coordinatrice editoriale) David Darelli Silvia Gamba Luca Gambacorti (coordinatore di redazione) Lorenzo Perri Lucia Petrà (capo redattrice) Comitato scientifico Niccolò De Robertis Pietro Gaglianò Camilla Perrone Pietro Savorelli Stefania Vasta Pamela Villoresi Progetto grafico Lemonot MDU Impaginazione Claudia Artese Eduardo Diglio Francesca Macchioni Serena Nenciarini Responsabile social-web Irene Battiston Pubblicazione semestrale a cura di Ordine degli Architetti PPC della provincia di Prato Via Pugliesi 26, Palazzo Vaj - 59100 Prato tel 0574.597450 e-mail architettiprato@archiworld.it www.architettiprato.it/rivista-mya https://issuu.com/architettiprato MYA ha scelto di stampare la rivista utilizzando un font helvetica corpo 12 ad alta leggibilità per dislessici e impaginare evitando l9effetto di <affollamento= ISBN 979-12-5486-186-8 ISSN 2974-7074 colophon CONSIGLIO DELL9ORDINE Presidente Lulghennet Teklè Vice Presidente Federica Fiaschi Segretario Irene Battiston Tesoriere Tommaso Caparrotti Consiglieri Roberto Astancolli, Giada Buti, Luca Erbaggio, Massimo Fabbri, Eliseba Guarducci, Marcello Marchesini, Paola Tiradritti SEGRETERIA Addetta alla segreteria Miriam Comelli Realizzazione editoriale e stampa Pacini Editore Via Alessandro Gherardesca 56121 Ospedaletto (PI) Foto in copertina tratta da Mappa, 1978, Alighiero Boetti Finito di stampare nel mese di gennaio 2023 Prezzo di copertina 10.00 ¬
  • 3. indice EDITORIALE EDITORIALE Opera tratta da I sei sensi, 1975, Alighiero Boetti EDITORIALE LE CRONACHE DI MYA RUBRICHE POST-IT BACI E ABBRACCI RAMMENDARE LE PERIFERIE, TRASFORMARE LE CITTÀ / Francesco Cacciatore MYA, TEORIA É PRASSI / Marcello Marchesini OLTRE LA PROPAGANDA / Giuseppina Clausi LA FORMA DEL POTERE / Pietro Gaglianò PALAZZO SENZA TEMPO A PECCIOLI / Fabrizia Berlingieri LUIGI SNOZZI E MONTE CARASSO / Eleonora Burlando LO STRANO CASO DI MEDELLIN / Luigi Zola 10 4 86 96 48 16 90 52 22 92 56 28 60 34 64 40 80 ALTRE ARCHITETTURE / a cura di Marcello Marchesini ABITARE CONTEMPORANEO DESIGN / a cura di David Darelli L9OGGETTO DIVENTA PROTAGONISTA ESTERNI / a cura di Luca Barontini, Ugo Dattilo GRATTACIELI, EROI, MOSTRI MARINI INTERNI / a cura di Silvia Gamba LO SPAZIO CHE ABITIAMO VEDERLA PER RACCONTARLA / a cura di Luca Gambacorti LE CASE DEL POTERE L9EFFIMERO / a cura di Lorenzo Perri CORPO A CORPO CONCORSI IN CORSO / a cura di Giada Buti EVENTI, MOSTRE, ARTICOLI / a cura della redazione TESTI E CONTESTI IMMERSIVI / a cura della redazione CARTOLINA 01 / a cura di MM CORRISPONDENZA CON LA SIG. RA COMELLI
  • 4. MYA 06 / gennaio 2023 editoriale MYA1 Teoria è prassi 1 MYA: è doveroso chiarire perché! Perché chiamare una rivista MYA? Perché è la Mia Architettura. Perché l9Architettura è Mia e quindi di ognuno di noi. Perché My Architect è un film-documentario del 2003 su Luis Kahn girato dal figlio quarantenne Nathaniel che racconta la vita eccentrica e originale del maestro americano morto di infarto alla Penn Station di New York di ritorno da un suo viaggio dal Bangladesh. MYA perché la rivista è, prima di tutto, un omaggio all9architettura e ai suoi protagonisti. MYA perché l9architettura, come diceva Gio Ponti, deve essere amata. 2 <L9architettura come merce di scambio= come prodotto di consumo dove l9architetto soddisfa le necessità e non i bisogni della società dove è chiamato solo ad interpretare e non a trasformare. Cfr. M. Biraghi, L9architetto come intellettule, Einaudi, Torino, 2019, pg. 17-35. Marcello Marchesini { Architetto. Professore a contratto presso il Dipartimento di Architettura di Ferrara, libero professionista socio fondatore studio MDU } Casabella Continuità, copertina del numero 199, il primo diretto da E.N. Rogers Copertina del libro scritto da Marco Biraghi, L9architetto come intellettuale realizzazione, all9utilizzo finale. Non si tratta di mere astrazioni ma di precise relazioni che si sviluppano all9interno della catena produttiva del processo progettuale attraverso la quale l9architettura transita: relazioni con i committenti, con le imprese, le maestranze (muratori e artigiani), con gli ingegneri, con le amministrazioni, con i fornitori, con il mondo della comunicazione (riviste, social, internet, giornali), con la lotteria dei concorsi, con l9università, con il quadro legislativo esistente. Con tutto questo l9architetto e l9architettura si devono confrontare e scontrare, senza rinunciare alla complessità anzi, assumendola come elemento creativo di progetto. MYA si propone di riflettere sul ruolo culturale e politico dell9architettura all9interno della società come strumento di dialogo partendo non dal corpus teorico disciplinare ma dalle criticità della professione. Parlare dei problemi apparentemente codificati solo come concreti consapevole della responsabilità di essere una rivista ordinistica certamente, ma soprattutto per comprendere a fondo i contenuti ideologici dell9architettura. MYA propone pertanto un rovesciamento: partire dalla prassi per comprendere la teoria e non più viceversa. Un ribaltamento concettuale che vuole dare un segnale nuovo, siglare una differenza critica di ragionamento per riportare al centro l9architettura cambiando il punto di vista. Per questo MYA sceglie di non seguire il layout convenzionale proposto dalle altre riviste italiane, ordinistiche e non, che promuovono l9architettura attraverso i soliti temi disciplinari. Un distacco concettuale necessario affinché l9architetto possa proporre sé stesso prima di La riflessione La condizione attuale della figura dell9architetto suggerisce una necessità impellente di ribellione o, quanto meno, di messa in crisi delle modalità del sistema all9interno delle quali ci troviamo. Modalità che comportano un continuo screditamento del ruolo dell9architetto all9interno della società. Attraverso le riviste di architettura in Italia e non solo, è possibile misurare la distanza sempre maggiore che esiste tra la professione e la ricerca, tra la teoria e la prassi. È questo il motivo per cui la rivista, assumendo il ruolo di agitatore, si pone come obbiettivo quello di dare un contributo serio ed originale al dibattito architettonico contemporaneo in termini culturali e quindi teorici e pratici. La mossa è quella del cavallo: avanzare per conquistare campo scavalcando tutto ciò che potrebbe essere di ostacolo e distrazione al raggiungimento del traguardo finale. Da qui la volontà di introdurre il sottotitolo teoria è prassi, come già aveva fatto E.N. Rogers quando, nella sua Casabella, aggiunse la parola continuità. L9architettura come progetto non più di risulta, non più come ciò che rimane dopo aver soddisfatto tutte le altre richieste dovute e legate alle esigenze strutturali, impiantistiche, politiche, sociali, economiche e di potere in generale. Architettura non più sottomessa alla moda e alle logiche di omologazione culturale che regnano sovrane. Logiche dove prevale lo slogan al progetto e gli orpelli alla sostanza. MYA si assume la responsabilità di voler riportare l9architettura al centro, di sottolineare il ruolo cardine dell9architetto nel processo che parte dal progetto fino alla sua realizzazione: architetto come produttore e non solo come rifornitore2. Perché il rischio è quello che l9architettura non sia più la protagonista ma una semplice comparsa e che l9architetto non sia più il regista ma un addetto al montaggio del film intitolato La Terra Promessa. Ma la posizione occupata dall9architetto nel processo produttivo è sempre frutto di una scelta. Ciò che influenza tale scelta può avere numerose motivazioni: può essere fatta per motivi culturali, speculativi o economici. In ogni caso si tratta sempre di prendere una decisione. E l9architetto prende decisioni tutti i giorni, tutte le volte che accetta o meno un incarico discutendo con tutti gli attori che partecipano al progetto, dalla sua ideazione e 4 5
  • 5. MYA 06 / gennaio 2023 editoriale 3 Marco Biraghi, con il suo libro dal titolo <L9architetto come intellettuale=, sottolinea l9importanza del ruolo dell9architetto come colui il quale <produce= architettura e non rinuncia alla dimensione teorico-pratica del progetto. Sulla scia degli insegnamenti di M. Tafuri, il libro tratteggia il solco di un disagio che la professione è costretta a registrare tutte le volte che deve mettere in atto la scena di una costruzione. A sinistra Locandina del film su Luis Kahn, My Architect, 2003 di Nathaniel Kahn figlio dell9architetto americano morto all9età di 73 anni (1901-74) 4 Dal dicembre del 1953 (numero 199) al gennaio del 1965 (numeri 294-295) Rogers poté diffondere la propria concezione ar- chitettonica attraverso la rivista già diretta da Pagano e riaperta con il titolo Casabella-Continuità, per sottolineare il legame con le battaglie morali combattute sotto il regime, nonché l9accettazione di una precisa eredità culturale in continuità con la storia e non in contrasto perché l9architettura contemporanea non può certo fare a meno di ciò che è stato. Pagina precedente Scena tratta dal film di Francesco Rosi, Le mani sulla città, diretto dal regista napoletano nel 1963 che racconta la spregiudicatezza di Edoardo Nottola, imprenditore-costruttore e consigliere comunale che, pur di realizzare i propri progetti di speculazione edilizia, corrompe funzionari, Sindaco, Assessori e giudici pur di <ingrassare= i propri profitti adesso deve essere prima di tutto smontato, rotto, trasgredito. Recuperare e voler riaffermare la centralità dell9architettura nel processo di costruzione non significa caricare tutto sulle spalle dell9architetto, ma cominciare a distribuire equamente le responsabilità intellettuali ed economiche della costruzione su tutti gli attori coinvolti e le cui conseguenze incidono direttamente sulla qualità del progetto. Una scelta culturale che può non essere fatta pena un9architettura del pronto moda abbandonata a sè stessa e sempre più preda delle gerarchie di potere e della politica. Il progetto La distanza tra l9architetto e la rivista di architettura è segnata da una carenza di contenuti dove chi la legge non riesce ad identificarsi con i temi trattati e chi la scrive non riesce a comprendere le dinamiche dell9esistente. Le riviste strizzano sempre di più l9occhio alle mode e agli slogan rinunciando alla lettura critica dell9esistente mentre il lettore è disorientato dalla superficialità e l9eccesso. Il disorientamento deriva da una tensione sempre crescente tra la realtà ordinaria e quella straordinaria: la prima legata al fare di tutti i giorni e alla professione quotidiana; la seconda per lo più letta sulle riviste e intercettata dalle cronache o sentita raccontare da colleghi, addetti ai lavori, clienti o amici. Da tutto ciò prende avvio la volontà di MYA: indagare temi i cui contenuti siano di stimolo al rinnovamento sul modo di percepire l9architetto. Partire non più dalla teoria, ma dalla prassi per capire meglio la teoria. Teoria e prassi come strumenti che, insieme, servono a colmare quel vuoto culturale che fissa e stigmatizza, la teoria al pensare e la prassi al fare: come se la prima fosse la mente e la seconda il braccio. Per questo MYA diventa MYA teoria è prassi: sottotitolo che vuole segnare, proprio come fece Rogers con CASABELLA Continuità 4, la linea ideologica della rivista. tutto come intellettuale3 e non come semplice tecnico, sé stesso come figura centrale del processo di messa in crisi dell9esistente e non come semplice figurante o peggio ancora come capro espiatorio, o come coordinatore senza potere decisionale alcuno: di fatto come se fosse un burattino i cui fili vengono mossi da altri, come se fosse un piccione che si accontenta delle sole briciole. È luogo comune pensare all9architetto come al <regista= di tutto il processo del progetto architettonico, e non solo, di un9opera. Ruolo che noi stessi, vanitosi e narcisisti, ci attribuiamo perché ci piace: ma in realtà è una grossa fregatura perché così facendo ci assumiamo la piena responsabilità sulla buona o cattiva riuscita di un progetto. Questo è sicuramente appagante ma controproducente perché deresponsabilizza le altre figure che partecipano al processo di costruzione di un9architettura preoccupati solo di verificare la corretta esecuzione della loro parte di progetto senza preoccuparsi del resto. A questa difficoltà e responsabilità inevitabile (e giusta) sul controllo del progetto da parte dell9architetto, due sono le constatazioni di fatto più importanti da evidenziare: la prima è che alla grande responsabilità e professionalità (creativa e tecnica) messe in campo dall9architetto non corrisponde un adeguato riconoscimento economico; la seconda è che il progetto architettonico si riduce spesso ad essere, non la sintesi di un9idea, ma il prodotto residuale di un processo dove di architettura rimane ben poco. Purtroppo molte delle colpe, per cui l9architetto oggi si trova nella condizione di essere poco credibile difronte alla società e agli altri attori coinvolti nel processo di costruzione dell9architettura, sono anche dello stesso architetto. Un tempo non era così. Ma in questo momento storico specifico, visto la disomogeneità dei ruoli e le responsabilità ricoperte dai vari protagonisti dell9attuale processo di costruzione, per realizzare qualcosa di nuovo e ripartire, ciò che abbiamo 6 7
  • 6. Opera tratta da Alternandosi e dividendosi, 1989, Alighiero Boetti LE CRONACHE DI MYA LE CRONACHE DI MYA
  • 7. saggio 01 RAMMENDARE LE PERIFERIE, TRASFORMARE LE CITTÀ L9esperienza del G124 di Renzo Piano e il contributo delle Università italiane In una lontana mattinata piovosa del 2013, mentre percorre in taxi le strade di un9affollata New York, Renzo Piano riceve una telefonata dall9allora Presidente della Repubblica Italiana Giorgio Napolitano che gli propone la carica di Senatore a vita1. In un recente articolo pubblicato dal quotidiano La Repubblica2, il noto architetto genovese racconta come abbia accettato di buon grado l9incarico, ma solo a patto di poter utilizzare il ruolo politico di questa particolare figura prevista dalla Costituzione italiana con l9obiettivo di incidere concretamente su una questione che da sempre gli sta a cuore come progettista: le periferie delle città italiane. Nasce, così, il progetto G1243, il cui nome è mutuato mettendo insieme il numero del piano (1) e il numero della stanza (24) di Palazzo Giustiniani, luogo in cui ha sede lo studio del Senatore Piano. Il progetto, che si appresta a compiere ormai dieci anni, si occupa proprio della rivitalizzazione di aree più o meno degradate delle periferie urbane secondo un approccio definito dallo stesso Piano come pratica del rammendo. Questa strategia viene qui intesa nel suo significato più genuino di riparare, correggere o ripristinare un tessuto, in questo caso un tessuto urbano, in modo che il guasto non si veda o si noti il meno possibile. Una svolta importante al programma Piano la imprime, quando, dopo i primi cinque anni di questo percorso decennale, coinvolge Edoardo Narne, Professore di Composizione architettonica e urbana presso l9Università degli Studi di Padova, a fare da tramite tra le istituzioni universitarie italiane e il G124 stesso, con l9obiettivo di utilizzare l9apporto progettuale dei giovani neolaureati e portare il progetto all9interno di una istituzione forte come quella universitaria4. Grazie a questa proficua collaborazione si sono moltiplicate, negli ultimi anni, le idee e gli interventi all9interno delle città di riferimento delle università coinvolte. Francesco Cacciatore 1 È l9articolo 59 della Costituzione italiana che chiarisce il funzionamento della carica di Senatore a vita: <È senatore di diritto e a vita, salvo rinunzia, chi è stato Presidente della Repubblica. Il Presidente della Repubblica può nominare senatori a vita cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario. Il numero complessivo dei senatori in carica nominati dal Presidente della Repubblica non può in alcun caso essere superiore a cinque=. 2 Francesco Merlo, Renzo Piano, <Vi racconto il mio Senato on the road=, La Repubblica, 11 dicembre 2022, pp. 30-31. 3 Il progetto G124 prevede il coinvolgimento di giovani progettisti e neolaureati under 35 che vengono retribuiti, per un anno, utilizzando l9intero stipendio da Senatore messo a disposizione da Piano. 4 A spiegare le ragioni della decisione di coinvolgere l9università all9interno del progetto G124 è lo stesso Piano: «Perché è un modo per fare la scelta più intelligente, più oculata, per connetterci con le istituzioni, un9istituzione importante che è l9università. Ogni tanto qualcuno mi domanda se ho fiducia nella scuola, nell9università, giacché le esperienze che sviluppo io sono più di bottega, più di sperimentazione diretta, e la mia risposta è sempre la stessa: è fondamentale l9università. Finita l9università bisogna non cadere nelle trappole, bisogna mantenere un9etica, bisogna fare esperienze intelligenti, interessanti, ma la scuola è fondamentale=. In Silvia Pellizzari (a cura di), Diario delle Periferie 2019. G124 Renzo Piano al Senato, LetteraVentidue Edizioni, Siracusa, 2020, p.10. { Architetto. Professore associato di Composizione architettonica e urbana presso il Dipartimento di Culture del Progetto dell9Università Iuav di Venezia } Progetto per il parco XII Aprile, Quartiere Crocetta, Modena 10
  • 8. MYA 06 / gennaio 2023 saggio 01 Progetto per il parco dei Salici, Quartiere Guizza, Padova Diario delle Periferie, atto primo Un primo lotto di interventi viene concluso nel 2019. Si tratta di progetti realizzati nelle città di Milano, Padova, Roma e Siracusa5. Grazie al partenariato con il Politecnico di Milano6, nel capoluogo lombardo è stata realizzata <Ciriè 9, la Casa di quartiere=. Si tratta della riqualificazione di alcuni spazi significativi di un edificio esistente, una ex scuola adibita oggi a centro di quartiere utilizzato da associazioni varie e posizionato all9interno del quartiere Niguarda, periferia nord della città, area su cui insiste il noto ospedale milanese. Il progetto si è soffermato sugli spazi dal carattere e dall9uso più collettivo dell9edificio quali l9ingresso, l9atrio, la sala teatrale e il giardino. All9interno di questi ambiti è stata compiuta la scelta, dettata anche da motivi di budget, di intervenire senza modifiche radicali ma solo con piccole trasformazioni di riassetto degli spazi già utilizzati, mediante l9utilizzo di nuovi colori e la realizzazione di arredi su misura. Attraverso la collaborazione con l9Università degli Studi di Padova7, si è portata a termine l9esperienza di <autocostruzione e progetti urbani per l9Arcella=, quartiere multietnico della periferia nord della città veneta. In questo caso, la scelta è ricaduta sulla riqualificazione di alcuni spazi della parrocchia di San Carlo, realizzata negli anni 990. All9interno di questo contesto, negli ultimi anni, si è assistito all9apertura di due aule studio dedicate a giovani studenti universitari. La presenza dei giovani ha suggerito la riqualificazione di alcuni spazi collettivi al fine di offrire agli utenti i necessari servizi di supporto all9attività di studio come l9ingresso, uno spazio di distribuzione più funzionale, una sala polivalente e il nuovo bar- emeroteca. Frutto della cooperazione con la Sapienza Università di Roma8 è stata la costruzione di M.A.MA., Modulo per l9Affettività e la Maternità, realizzato all9interno della struttura carceraria di Rebibbia, situatanell9omonimoquartieredellaperiferianord-estdellacapitale. All9internodiquestocomplesso carcerario è ospitato uno dei pochi istituti di detenzione femminili presenti sul territorio nazionale. Il progetto consiste nella realizzazione di un piccolo edificio ex-novo che contiene uno spazio a dimensione domestica dove le detenute possano sperimentare una esperienza di ricostituzione del proprio nucleo familiare differente da quella più anonima e vigilata del colloquio tradizionale. Il progetto prevede di estendere il programma alle altre strutture carcerarie italiane, anche maschili. Le <micro-architetture diffuse= realizzate per il quartiere Mazzarrona, disordinata periferia a nord- est della città di Siracusa, sono il risultato della collaborazione con Università degli Studi di Catania9. Le criticità urbane, sociali ed economiche di questo brano di città sono compensate da qualità paesaggistiche di rara bellezza e dalla presenza di testimonianze archeologiche di grande rilevanza. La carente dotazione di attrezzature pubbliche unita all9attitudine degli abitanti alla costruzione di piccoli manufatti informali per l9utilizzo dello spazio pubblico ha suggerito la realizzazione di semplici ma efficaci dispositivi in legno posizionati in punti strategici di utilizzo 5 Queste prime quattro esperienze sono raccontate all9interno del volume Silvia Pellizzari (a cura di), Diario delle Periferie 2019. G124 Renzo Piano al Senato, op. cit. 6 Il gruppo del Politecnico di Milano è stato coordinato dalla Prof.ssa Raffaella Neri, ordinario di Composizione architettonica e urbana presso l9ateneo lombardo. 7 Il gruppo dell9Università degli Studi di Padova è stato coordinato dal Prof. Edoardo Narne, associato di Composizione architettonica e urbana presso l9ateneo veneto. 8 Il gruppo della Sapienza Università di Roma è stato coordinato dalla Prof.ssa Pisana Posocco, associato di Composizione architettonica e urbana presso l9ateneo della capitale. 9 Il gruppo dell9Università degli Studi di Catania è stato coordinato dal Prof. Bruno Messina, ordinario di Composizione architettonica e urbana presso l9ateneo siciliano. 13 12
  • 9. MYA 06 / gennaio 2023 Progetto Trenta alberi per lo Zen 2, Quartiere Zen 2, Palermo collettivo come una scala di collegamento tra quote differenti, una seduta per l9osservazione del paesaggio archeologico e costiero esistente e una piccola tribuna a servizio del locale campo di calcetto. Diario delle Periferie, atto secondo Un secondo lotto di interventi viene concluso tra il 2020 e il 2021. Si tratta di progetti realizzati nelle città di Modena, Padova e Palermo10 in collaborazione con il noto scienziato e neurobiologo vegetale Stefano Mancuso, dell9Università di Firenze, che ha lanciato un invito alla forestazione delle città e delle periferie urbane e alla loro riqualificazione, pertanto, attraverso la piantumazione di nuovi alberi. Dalla collaborazione con l9Università di Bologna11 nasce il progetto per la riqualificazione del Parco XXII Aprile, situato all9interno del quartiere multietnico della Crocetta, a nord-est della città di Modena. L9intervento presuppone l9individuazione di una nuova centralità all9interno del parco esistente, uno dei più frequentati e vitali della città, e si compone di quattro elementi: il <bosco e la radura= determinati dalla piantumazione secondo un disegno predefinito di 100 alberi a configurare una corte centrale; un nuovo padiglione in legno che costituisce un <riparo=; un lungo tavolo in legno posizionato tra gli alberi e definito <convivio=; l9installazione dell9artista Edoardo Tressoldi denominata <Hora=, simbolo di interazione e di equilibrio tra natura e artificio. Attraverso una seconda iniziativa di cooperazione con l9Università degli studi di Padova12 scaturisce l9idea di realizzazione del nuovo Parco dei Salici, questa volta all9interno del quartiere Guizza, periferia sud della città. La strategia progettuale qui utilizzata appare simile a quella del gruppo di lavoro modenese con la piantumazione di 167 nuovi alberi all9interno del vuoto urbano esistente a formare una radura ellittica centrale che richiama il disegno del famoso spazio cittadino di Prato della Valle. Completano l9intervento gli elementi in legno in forma di seduta che fungono da tutori per la crescita verticale delle piante e il piccolo padiglione denominato <Bertani Pavillon=, uno spazio coperto di una trentina di metri quadrati opportunamente posizionato su uno dei fuochi dell9ellisse. Infine, grazie alla partecipazione dell9Università degli Studi di Palermo13 il progetto G124 approda nel capoluogo siciliano con l9iniziativa <trenta alberi per lo Zen 2=, all9interno dell9omonimo quartiere della periferia nord della città. Il complesso nasce dal concorso vinto nel 1969 dal gruppo Amoroso, Bisogni, Gregotti, Matsui e Purini e mai completato. Il progetto ha recuperato una piccola area rettangolare della dimensione di 9,40x77 metri in forma di piazza piantumata a disegno geometrico contenente trenta alberi e una serie di dispositivi per la sosta come panchine e sedute in cemento dall9elegante colore grigio chiaro. Ad oggi, sono addirittura sedici i cantieri nelle periferie delle città italiane di cui il progetto G124 si è occupato o si sta occupando. A quelli citati e a quelli di cui Piano si era dedicato in precedenza si sono aggiunti, di recente, un nuovo intervento a Roma e le operazioni all9interno delle periferie di città come Sora, Bari e Napoli. Sedici piccoli progetti, sedici scintille, sedici gocce calme nel burrascoso mare delle periferie italiane nella convinzione che, come sostiene Renzo Piano, <non puoi cambiare il mondo, ma puoi fare piccole cose che possono cambiare la vita di qualcuno=. 10 Queste tre esperienze sono raccontate all9interno del volume Silvia Pellizzari (a cura di), Diario delle Periferie 2020-2021. G124 Renzo Piano al Senato, LetteraVentidue Edizioni, Siracusa, in corso di pubblicazione. 11 Il gruppo dell9Università degli Studi di Bologna è stato coordinato dal Prof. Matteo Agnoletto, associato di Composizione architettonica e urbana presso l9ateneo emiliano. 12 Anche in questa seconda occasione il gruppo dell9Università degli Studi di Padova è stato coordinato dal Prof. Edoardo Narne. 13 Il gruppo dell9Università degli Studi di Palermo è stato coordinato dal Prof. Andrea Sciascia, ordinario di Composizione architettonica e urbana presso l9ateneo del capoluogo siciliano. 15 14
  • 10. saggio 02 OLTRE LA PROPAGANDA L9architettura utilizzata da Cosimo I per modificare la percezione dei luoghi e del potere 2 L. Berti, 1980, p. 21 1. G. Vasari, Ingresso di Leone X, 1555-1562, Firenze, Palazzo Vecchio, Sala di Leone X notare la <viaccia=, ovvero lo sbocco verso l'Arno nel luogo dove poi sorgeranno gli Uff Giuseppina Clausi Cosimo I prese il potere all9età di soli diciassette anni e contrariamente a quanto pensavano i suoi sostenitori, il suo carattere assolutista e la sua visione strategica lo portarono ad essere il primo Granduca di Toscana e a cambiare per sempre il volto e le sorti della città di Firenze. La costruzione più iconica da lui voluta, la fabbrica degli Uffizi, si pone al centro del vasto programma di una mente volitiva che aveva intuito come l9architettura abbia la capacità di influenzare le masse, sia attraverso la funzione propagandistica, come tutte le altre manifestazioni d9arte, ma soprattutto attraverso la possibilità di modificare il senso stesso, e il modo, dell9abitare la città e, dunque, la vita e le menti di chi la abita. Come ben spiega Benjamin nell9analizzare il rapporto fra le masse e le opere d9arte, l9architettura assume un posto di rilievo poiché <delle costruzioni si fruisce in un duplice modo: attraverso l9uso e attraverso la percezione. O, in termini più precisi, in modo tattico e in modo ottico= e ancora <la fruizione tattica non avviene tanto sul piano dell9attenzione quanto su quello dell9abitudine=1. Dunque modificare le abitudini degli abitanti di una città inevitabilmente li spinge a percepire la realtà in modo differente. Cosimo coglie programmaticamente questo concetto e tutte le sue mosse politiche, fin dagli esordi, contemplano intrecci strettissimi con l9achitettura e l9urbanistica. Intanto trasferisce la propria dimora dal Palazzo di via Larga a quello che era sempre stato il luogo di rappresentazione del potere, quel Palazzo dei Priori ove lui trasferisce la propria dimora, rinnovandone, non a caso, gli ambienti interni ma non l9aspetto esterno, e che da quel momento si chiamerà prima Palazzo Ducale e poi Palazzo Vecchio quando sarà terminata la Reggia di Pitti. In pratica il nome con cui oggi è universalmente conosciuto, cioè Palazzo Vecchio, indica non la funzione che ha avuto per secoli, e che ha ancora, bensì il fatto che sia stato per un breve periodo la dimora di Cosimo I, abbandonata per una nuova e più prestigiosa. Ovvero secoli di storia cancellati dall9abitudine condensata nell9uso di un nome, Palazzo Vecchio, che perpetua in eterno la gloria di un9unica persona. Non pago di aver identificato il luogo del potere con il luogo della sua residenza 3 e dunque il potere con la sua persona 3 grazie ad un vero e proprio sodalizio ideologico che si instaura da quel momento con colui che diventa l9architetto di corte, Giorgio Vasari, la sua mente allo stesso tempo lucida e visionaria progetta una pluralità di interventi architettonici e urbanistici volti all9affermazione del potere e al cambiamento del volto della città, che con la trasformazione a capitale del Granducato doveva necessariamente assumere caratteristiche differenti rispetto al passato. Visioni puntualmente interpretate da Vasari, il suo braccio esecutivo, traducendole in interventi che hanno difatti lasciato un segno indelebile. 1 W. Benjamin, 2000, p. 45 { Architetta. Funzionaria SABAP responsabile per i comuni di Prato, Poggio a Caiano, Carmignano e San Casciano Val Di Pesa } Prima del 1560 l9area su cui ora sorgono gli Uffizi era occupata da edifici residenziali medievali, edilizia povera e non di pregio, quindi non adatta all9aspetto rappresentativo che necessariamente Piazza della Signoria avrebbe dovuto avere. Inoltre la vita della città medievale e rinascimentale era sempre stata incentrata sull9asse Piazza della Signoria3Duomo/Battistero, intorno al cui cantiere si era dipanata per secoli la vita sociale e artistica di Firenze. Il rapporto col fiume era ambivalente, anche a causa delle frequenti piene disastrose, e l9Oltrarno, difeso stabilmente con fortificazioni murate probabilmente solo alla metà del XIII secolo, continuava ad essere considerato un quartiere periferico. Cosimo decide di ribaltare completamente questa impostazione cercando un legame con l9altra sponda, dove egli andava costruendo la sua nuova Reggia, Palazzo Pitti, a partire dalla 8chasa nuova9 di Luca Pitti, acquistata con la dote della facoltosa moglie Eleonora di Toledo. Come primo intervento fa infatti abbattere alcune case <per aprire la via da Palazzo insino ad Arno= altrimenti definita la <viaccia=2, ovvero una via di sbocco della piazza verso il fiume. G. Vasari, Ingresso di Leone X, 1555-1562, Firenze, Palazzo Vecchio, Sala di Leone X. Da notare la <viaccia=, ovvero lo sbocco verso l9Arno nel luogo dove poi sorgeranno gli Uffizi 2 L. Berti, 1980, p. 21 16 17
  • 11. MYA 06 / gennaio 2023 saggio 02 G. Stradano, La festa degli omaggi in piazza della Signoria, 1561-1562, Firenze, Palazzo Vecchio, Quartiere di Eleonora, Sala di Gualdrada. Da notare, sullo sfondo, gli Uffizi in costruzione 3. Anonimo, Pianta e topografia dell'Ufficio della Decima e Vendite, marzo 1560, Firenze Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi, inv. n. 236Av Si possono notare i rilievi catastali per determinare l'entità degli espropri Dopodiché incarica Vasari di progettare un edificio che non occupi interamente l9area ma lasci, e anzi sottolinei, la prospettiva verso il fiume e verso le colline, e che al contempo possa ospitare le Magistrature fiorentine, ovvero le sedi delle Corporazioni delle Arti che erano fino a quel momento sparse all9interno del tessuto cittadino. Questo ovviamente rispondeva a un disegno strategico di livellazione dell9importanza delle varie Magistrature, cuore del potere politico di Firenze, e all9intenzione di riportare tale potere sotto il suo diretto controllo. Il controllo amministrativo, dunque, che si materializza in controllo fisico. Vasari interpreta magistralmente le intenzioni di Cosimo con un progetto di una modernità sconcertante. Si tratta infatti di un edificio seriale, al pari di un moderno palazzo per uffici come concetto di base, in cui non esiste apparentemente gerarchia fra le varie Magistrature, almeno dal punto di vista architettonico per quanto riguarda l9esterno, e che quindi risponde perfettamente alla necessità di livellazione dell9immagine. Contemporaneamente viene mantenuta, ed esaltata, la necessità di legame con l9altra sponda perché l9edificio finale si configura come un cono prospettico che, partendo dalla piazza, incornicia con una serliana il fiume e le colline. Il vuoto centrale viene ovviamente mantenuto e al posto della 8viaccia9 viene creato un piazzale, luogo allo stesso tempo esterno perché all9aperto, ma anche interno perché contornato su tre lati da un porticato, ulteriore filtro all9accesso vero e proprio alle A sinistra G. Stradano, La festa degli omaggi in piazza della Signoria, 1561-1562, Firenze, Palazzo Vecchio, Quartiere di Eleonora, Sala di Gualdrada. Da notare, sullo sfondo, gli Uffizi in costruzione v A lato Anonimo, Pianta e topografia dell9Ufficio della Decima e Vendite, marzo 1560, Firenze Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi, inv. n. 236Av. Si possono notare i rilievi catastali per deter- minare l9entità degli espropri stanze delle Magistrature. L9edificio viene concepito non come un9entità architettonica a se stante, interamente progettato in ogni sua componente e con una pianta bloccata, ma come una sorta di struttura modulare, modificabile nel tempo ed aperta a future trasformazioni. Di fatto, l9unica parte che viene meticolosamente progettata e costruita ex novo è quella frontale (sui tre lati) relativa al porticato e alle porzioni ad esso direttamente superiori, mentre per il resto della struttura viene deciso di utilizzare quanto più possibile (ed è proprio Cosimo ad insistere su questo punto, anche per un discorso di contenimento dei costi) le strutture preesistenti, che non vengono demolite se non in parte. Al piano terra vengono realizzati i saloni per le udienze, con scrittoi e cancellerie, al piano interrato vengono create cantine, <pozzi da bere= e pozzi neri, mentre nei mezzanini vengono sistemati gli archivi3. Già in partenza i locali vengono comunque strutturati con differenze di superficie a seconda dell9importanza della Magistratura che vi sarebbe stata ospitata, introducendo quindi una discrepanza fra la leggibilità dell9esterno e l9articolazione degli spazi interni. Nell9ala di levante, a doppia altezza, comprendendo cioè sia il primo che il secondo piano, viene realizzato, fra il 1569 e il 1570, il solenne Salone delle Magistrature4. Nel resto del primo piano, invece, non accessibile dalle Magistrature ma solo da Palazzo Vecchio tramite il passetto di via della Ninna, si realizzano una serie di vani comunicanti di cui non è nota quale dovesse essere la destinazione originaria, 3 F. Funis, 2011, p. 236 4 G. Morolli, 2002, p. 47
  • 12. MYA 06 / gennaio 2023 saggio 02 rso si allunga fino a raggiungere Palazzo Pitti con la costruzione del Corridoio Vasariano, oio sopraelevato che partendo da Palazzo Vecchio, attraversa gli Uffizi e si insinua nel ella città, scavalca Ponte Vecchio e crea un nartece davanti alla facciata di Santa Felicita, rivare alla nuova Reggia. Un'architettura che modifica definitivamente l'aspetto di alcuni nici, un segno urbanistico che permette quindi di realizzare definitivamente quella liaison a fin dall'inizio con la sponda opposta. no potrà dirsi concluso, senza soluzione di continutà, dal successore di Cosimo, su figlio I, che farà costruire dal Buontalenti il Forte Belvedere che, ben visibile dal Verone degli sacrerà definitivamente il superamento della precedente natura della città di Firenze, a e chiusa in se stessa, trasfromata ormai capitale del Granducato di Toscana e dunque so il contado e verso sud, ovvero verso le ormai sottomesse terre di Siena. ma sappiamo solo che Francesco I vi collocherà i laboratori delle manifatture granducali.5 Dunque la destinazione 8pubblica9 del piano terra viene sovrastata da una destinazione eminentemente privata, al servizio del Granduca. Al secondo piano l9unico spazio inizialmente progettato è quello della Galleria, ovvero una loggia che si dispiega lungo i tre lati, come una grande altana, che appena 20 anni dopo la costruzione viene subito chiusa a vetri, in modo da creare un 8percorso del Principe9 utilizzato come galleria espositiva. Infatti qui vengono allocate le numerose sculture, la maggior parte di epoca romana, appartenenti alle collezioni medicee, soprattutto quei busti di imperatori che, intervallati ai ritratti della famiglia Medici, serviranno a Cosimo a costruire un9analogia fra la dinastia medicea e l9impero romano, nel tentativo, riuscito, di legittimazione di una nobiltà invero inesistente e dell9importanza del casato. Dunque, in questo caso, è l9arte ad essere utilizzata come strumento di propaganda, attraverso però l9inserimento in un percorso architettonico, una dimensione fisica che amplifica G. Ruggieri, Pianta del Giardino Reale detto Boboli, in G. Ruggieri, Piante de9 Palazzi giardini et ville, 1742, Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale 5 C. Conforti, 2011, p. 65 BIBLIOGRAFIA W. Benjamin, L9opera d9arte nell9epoca della sua riproducibilità tecnica. Arte e società di massa, Torino, Giulio Einaudi editore, 2000 L. Berti, Profilo di storia degli Uffizi in Gli Uffizi. Catalogo generale (a cura di) L. Berti, Firenze, Centro Di, 1980 C. Conforti, Ordine et disegno, disegno et ordine: la Fabbrica degli Uffizi in Vasari gli Uffizi e il Duca, (a cura di) C. Conforti, Firenze, Giunti, 2011 A. Godoli, Gli Uffizi, edilizia e urbanistica in Vasari gli Uffizi e il Duca, (a cura di) C. Conforti, Firenze, Giunti, 2011 F. Funis, Modello di un ufficio tipo in Vasari gli Uffizi e il Duca, (a cura di) C. Conforti, Firenze, Giunti, 2011 G. Morolli, Arduus transitus. Il 8gran corridore9 vasariano come strada regia albertiana sopraelevata all9antica in Il Corridoio vasariano agli Uffizi, (a cura di) C. Caneva, Milano, Silvana Editoriale, 2002 V. Conticelli, Una storia di storie. La Fonderia del Granduca: laboratorio, Wunderkammer e museo farmaceutico in L9alchimia e le arti. La Fonderia degli Uffizi da laboratorio a stanza delle meraviglie, (a cura di) V. Conticelli, Firenze, Sillabe, 2012 G. Fanelli, Firenze architettura e città, Firenze, Mandragora, 2002 la mera percezione dell9opera artistica e la proietta su scala urbana nel momento in cui tale percorso si allunga fino a raggiungere Palazzo Pitti con la costruzione del Corridoio Vasariano, un corridoio sopraelevato che partendo da Palazzo Vecchio, attraversa gli Uffizi e si insinua nel tessuto della città, scavalca Ponte Vecchio e crea un nartece davanti alla facciata di Santa Felicita, fino ad arrivare alla nuova Reggia. Un9architettura che modifica definitivamente l9aspetto di alcuni edifici iconici, un segno urbanistico che permette quindi di realizzare definitivamente quella liaison desiderata fin dall9inizio con la sponda opposta. Tale disegno potrà dirsi concluso, senza soluzione di continutà, dal successore di Cosimo, il figlio Francesco I, che farà costruire dal Buontalenti il Forte Belvedere che, ben visibile dal Verone degli Uffizi, consacrerà definitivamente il superamento della precedente natura della città di Firenze, autarchica e chiusa in se stessa, trasformata oramai in capitale del Granducato di Toscana e dunque aperta verso il contado e verso sud, ovvero verso le ormai sottomesse terre di Siena. Sopra, Bronzino, Autoritratto di Cosimo I de9 Medici in armatura, 1545 Sotto, Giorgio Vasari, Autoritratto, 1574 ca 20 21
  • 13. MYA 06 / gennaio 2023 L9estetica dei monumenti nello spazio pubblico saggio 03 LA FORMA DEL POTERE 1 I monumenti e i mezzi di comunicazione di massa assolvono la stessa funzione, assicurando al potere il mantenimento di quello squilibrio interno alla società dello spettacolo che garantisce il controllo sui cittadini e la diffusione degli imperativi. Il tutto nel segno di una riconoscibilità elementare, sia esso un monito alla sottomissione o una spinta all9assimilazione dei modelli dominanti: tutto fondato nella supremazia del visibile; sull9argomento rimando al mio Memento. L9ossessione del visibile, Postmedia Books, Milano 2016. 2 G. Cimadomo, R. Lecardane, Il potere dell9architettura. L9ideologia di regime all9Esposizione Internazionale di Parigi 1937, in <Diacronie= [Online], n. 18, 2 | 2014, documento 14; journals.openedition.org/diacronie/1508 Parigi 1937. L9arte secondo il potere Nel maggio del 1937 il pubblico dell9Esposizione Internazionale di Parigi, giunto ai piedi della collina di Chaillot, si trovò al cospetto di un confronto ideologico e politico figurato con un9efficacia senza precedenti: sui due lati del Pont d9Iéna, che scavalcando la Senna segue l9asse dello Champ de Mars, si elevavano i padiglioni della Germania nazista e dell9 U.R.S.S.. È l9apice dell9ultima stagione della storia europea, la più macabra, in cui le arti e il dispiegarsi della loro forma nello spazio pubblico sono state completamente asservite al discorso delle forze egemoni. Anche i regimi totalitari, infatti, avvertivano con chiarezza l9ampiezza persuasiva e capillare di una propaganda che poteva muoversi lungo i canali della comunicazione di massa1. Così, mentre i film di Leni Riefenstahl e quelli distribuiti dall9Istituto Luce anticipano le dinamiche della televisione, e la radio entra negli spazi privati dei cittadini, con tre dittature sul suolo europeo nel pieno del loro vigore, la mostra parigina porta in scena uno scontro simbolico degno della migliore tradizione autoritaria, dal mondo antico agli imperi dell9età moderna. L9esibizione del potere si dispiega a Parigi secondo una logica che, proprio nel suo riferirsi al passato, è antistorica e pretende di edificare il futuro attraverso la falsificazione della Storia e la sofisticazione del presente. L9architettura dei due padiglioni temporanei <prende le sue distanze dalle influenze del Movimento Moderno, per consolidare l9ideologia e l9architettura di Stato=2 e, con l9apparato visivo che la completa, assume una precisa volontà eloquente: consegna all9universo riunito a Parigi un9immagine di forza. Invece, il progresso scientifico, tecnologico e il genio degli autori che nell9aspirazione delle esposizioni universali dovrebbero essere esaltati, si fanno piatti, opachi esecutori della retorica dei due regimi (all9apparenza) tra loro antitetici. I due padiglioni sono, in definitiva, due monumenti secondo il più stringente significato del termine: dispositivi che esercitano nel dominio del visibile la supremazia di una narrazione unilaterale, attraverso la produzione, la ripetizione e il controllo di immagini e la deformazione dei concetti che vi sono connessi. Il padiglione della Germania reca la firma di Albert Speer, architetto di regime e interprete dell9esaltazione del popolo tedesco, della sua predestinazione, della sua pretesa continuità con i valori dell9universo classico. Per l9Esposizione internazionale progetta un volume sproporzionato3, Pietro Gaglianò { Architetto. Critico d9arte e studioso dei linguaggi della contemporaneità } 3 La cui altezza venne aumentata da Speer per superare quella del padiglione sovietico, e opporsi metaforicamente all9avanzata del comunismo; cfr. A. Speer, Erinnerungen, 1970 3 ed. cons. Memorie del Terzo Reich, Mondadori, Milano 1976. 4 I. Golomstock, Totalitarian Art in the Soviet Union, the Third Reich, Fascist Italy and the People9s Republic of China, HarperCollins Publishers, New York 1990 [tr. it. Arte totalitarian nell9URSS di Stalin, nella Germania di Hitler, nell9Italia di Mussolini e nella Cina di Mao, Leonardo Editore, Milano 1990, p. 156]. 5 Gaglianò, Memento& cit., p. 32. rozzamente articolato da un unico ordine gigante di pilastri dorici su tre delle facciate. Il coronamento dell9edificio principale, una cornice ridotta all9essenziale, è sovrastato da un9aquila imperiale tedesca tra i cui artigli appare una svastica circondata da una ghirlanda. Esattamente di fronte il padiglione dell9U.R.S.S. avrebbe dovuto essere, nelle intenzioni, morfologicamente e ideologicamente antitetico. L9architettura di Boris MichajlovicIofan, tenta di combinare la sperimentazione di quanto restava del Costruttivismo in Unione Sovietica con la sempre più pressante richiesta di esprimere la solidità, la forza e l9inarrestabile progresso dello stalinismo, dove le istanze del Movimento Moderno non avevano più cittadinanza (com9è evidente nel progetto del Palazzo dei Soviet, dove Iofan indulge apertamente a un pomposo neoclassicismo che in alcuni aspetti echeggia nel padiglione parigino). L9esito, pur dotato uno slancio aerodinamico e di una volumetria ben organizzata, si riflette nella più goffa opera di Speer e entrambe si infrangono nella solidificazione di una narrazione egemone, dove anche gli alfabeti formali di riferimento perdono specificità; i critici dell9epoca, infatti, richiamando <l9attenzione sulle caratteristiche comuni di brutalità, pretenziosità e pomposità, definivano neoclassico lo stile dei due padiglioni=4. Analoga riflessione si può fare per i cicli scultorei che completano i due padiglioni: alla base di quello tedesco si trova Cameratismo di Josef Thorak, opaco simulacro di fratellanza impersonata da due accigliati e nerboruti titani; i colossali L9operaio e la Kolkhoziana di Vera Mukhina, dall9alto del padiglione sovietico, marciano, verso il futuro investiti dal vento del progresso mentre impugnano la falce e il martello, arcisimboli del loro lavoro e della loro fede politica. Gli uni e gli altri sono effigi di corpi ideali, sani, superbamente atletici, perfettamente proporzionati, corpi che non sono mai esistiti, né nella Germania di Hitler né nella famelica Unione Sovietica di Stalin. Parigi 1937. I Padiglioni della Germania nazista e dell9 URSS 22 23
  • 14. MYA 06 / gennaio 2023 saggio 03 6 Nonostante la celebrità dell9opera e la rilevanza del suo autore la letteratura critica è molto scarsa, fatta eccezione per il volume di A. Contursi, Il monumento alla Rivoluzione di Novembre di Mies van der Rohe a Berlino-Lichtenberg, Ilios, Bari 2018, l9unico studio veramente accurato sull9aspetto, la struttura e la vicenda storica del monumento. 7 Alcune bare vennero ritrovate dopo la fine della guerra, altre, come quella di Luxemburg furono immediatamente disperse (cfr. Contursi, Cit., p. 59). La prossimità tra i due edifici, in una postazione privilegiata, nelle intenzioni dell9organizzazione avrebbe dovuto metter in risalto le differenze tra i regimi; ne emerge invece <una cupa continuità, un9angosciante sopraffazione che nasce dall9idea totalitaria, visibile negli esiti conservatori nonostante entrambi i padiglioni si proclamassero baluardi del futuro=5. Entrambi i padiglioni vinsero la medaglia d9oro, una sinistra mimesi di quanto andava producendosi nello scacchiere politico. Berlino 1926. Il potere contro l9arte Di segno opposto, e ugualmente esemplare, è il caso di un9altra opera anch9essa scomparsa ma non altrettanto ben documentata: il Monumento della Rivoluzione di Novembre, più noto come monumento per Karl Liebhnecht e Rosa Luxemburg, che Mies van der Rohe realizza negli anni Venti a Berlino, su commissione del KPD (Partito Comunista Tedesco) nell9allora periferico cimitero di Friedrichsfelde6. La sua storia è legata alla tumultuosa vicenda storica della Germania tra la capitolazione del primo conflitto mondiale e l9attuarsi della mostruosa macchina nazista. Nel mezzo si situa la controversa Repubblica di Weimar i cui natali sono bagnati del sangue di 31 spartachisti (militanti della sinistra rivoluzionaria), assassinati assieme ai due leader Liebhnecht Berlino 1926. Monumento della Rivoluzione di Novembre, dedicato a Karl Liebhnecht e Rosa Luxemburg, Mies van der Rohe 8 Così secondo F. Schulze, Mies van der Rohe. Life and work, Ernst & Sohn, Londra 1986, riportato da Contursi, Cit., p. 45. 9 Ivi, p. 55. 10 In un9altra area del cimitero, dopo la guerra, è stato eretto un sacrario per gli eroi del socialismo, invocando una memoria più ampia ma, inevitabilmente, più vaga e Luxembourg dalle milizie dei Freikorps il 15 gennaio 1919, al termine di una fallita insurrezione contro le repressioni agite dal neonato governo repubblicano. Il desiderio del PKD di commemorare degnamente i martiri della Rivoluzione di gennaio si concretizza solo nel 1926, per un periodo molto breve. Già nel 1935 il regime nazista, nel corso di una capillare delegittimazione di ogni pensiero divergente, con la rimozione dei simboli e la distruzione della memoria, fa demolire il monumento e nel 1941 vengono rimosse anche le sepolture7. Dell9opera di Mies restano poche fotografie e nessuno schema progettuale. Sembra infatti che progettazione e costruzione siano state molto rapide, prendendo il posto una prima proposta (anonima) dall9aspetto tradizionale, pomposo e, si può immaginare, di gusto borghese. I biografi riferiscono che Mies, osservandola, abbia commentato che <sarebbe stato un monumento appropriato per un banchiere= e che, <poiché la maggior parte di quelle persone erano state fucilate davanti a un muro=, lui avrebbe <voluto costruire un muro di mattoni=8 e costruì, infatti, uno spesso muro in mattoni, quasi a protezione dell9area delle sepolture, scomposto in blocchi aggettanti (secondo un9attendibile ricostruzione i blocchi, lungo i due fronti principali, erano 38, come i rivoluzionari seppelliti nell9area antistante ai quali erano stati aggiunti 5 altri caduti nelle settimane seguenti l9eccidio del gennaio 1919). Alla retorica di partito era concessa una grande stella in metallo con falce e martello e un9asta per la bandiera, da utilizzare durante le manifestazioni; le iscrizioni non vennero mai installate per esaurimento dei fondi. La superficie irrequieta del monumento, ben piantato nel terreno, greve dei suoi materiali e della storia, ispirava la visione di un paesaggio di rovine (della rivoluzione), ma anche un movimento ancora in corso, in costruzione, generativo. Una forma mai sopita nella finitezza del costruito, in piena continuità con la ricerca formale di Mies van der Rohe e con la visione che in quegli anni animava il mondo dell9arte e dell9architettura, coniugandosi al presente, esprimendo continuità sia con il sistema della produzione industriale sia con la classe operaia. Quello che oggi possiamo riconoscere come autenticamente democratico nella pluralità di declinazioni del Movimento Moderno non è tanto (o non soltanto) il tentativo di emancipare la forma dalla decorazione e dal plusvalore semantico ereditato dal passato; è radicale invece il desiderio di rifondare il linguaggio, che si rivela in un esercizio di prossimità, attraverso la scelta dei materiali e l9attenzione alla forma. Sappiamo che il <monumento venne poco capito da una parte dei sostenitori del KPD=9, che ne erano anche i finanziatori, ma sappiamo anche quanta affezione si fosse sviluppata, testimoniata dai tentativi di ricostruzione. Questo non è dipeso da una familiarità con le forme riconoscibili, con l9automatismo generato dai sistemi di potere negli immaginari colonizzati, ma con il percorso indipendente che su quei volumi, su quei mattoni, ogni militante aveva costruito con la propria fede politica, con la forza della memoria, sfruttando gli strumenti intellettuali di cui era dotato, non condizionati dalla convenienza, dalla dipendenza, dalla coercizione del potere. Oggi quello spazio vuoto è malinconicamente contrassegnato da un monumento alla sua scomparsa: Günter Stahn, architetto, e Gerhard Thieme, artista, entrambi attivi nella DDR, nel 1983 hanno costruito una stele, non autorizzata dal governo della DDR, che ricorda il paramento murario originario, con una lastra in bronzo che ne riproduce la facciata principale e riposta la dedica al monumento distrutto10. 24 25
  • 15. Au Revoir is a short film documenting an artistic intervention consisting of removing the statue of Joseph Gallieni from Place Vauban in Paris. This former military officer and colonial administrator took an active part in consolidating and expanding the French colonial empire in Africa. His statue was vandalized several times in recent years and was notably covered with fake blood by activists in 2021 to denounce the glorification of colonialism. This film by Iván Argote was conceived in collaboration with the activist Françoise Vergès and the journalist Pablo Pillaud-Vivien. It was imagined as an 'anticipation' of a future where sculptures glorifying colonialism would be legally removed from the public sphere. The film is a continuation of the artist's critique of the Western view of colonization as salvific for colonized populations. The heroization of colonists is materialized through numerous monuments and sites of remembrance in European and American cities, which have inspired numerous interventions by Iván Argote. He has appropriated N GOTE R JOSEPH GALLIENI, 2021 4K video, color, sound Duration : 00:13:30 | 00:13:30 Edition of 5 C Co ou urrtte es sy y P Pe errrro ottiin n ARTIST INFO SUBSCRIBE FR EN - - + + MYA 06 / gennaio 2023 11 Sul tema J. Young, The Stages of Memory: Reflections on Memorial Art, Loss, and the Spaces Between, University of Massachusetts Press, Amherst (Ma) 2016; A. Zevi, Monumenti per difetto. Dalle Fosse Ardeatine alle pietre d9inciampo, Donzelli Editore, Roma 2014. Parigi 2021. L9arte senza il potere Il secondo dopoguerra, la fine dei totalitarismi e la sfiducia verso i costrutti politici responsabili della Seconda guerra mondiale, o incapaci di impedirla, hanno generato in Europa una convinta revisione dell9estetica celebrativa. Ne sono testimoni la stagione dell9informale e il rigetto del pathos eroicamente figurativo nei nuovi monumenti ai caduti. Verso la fine del secolo scorso, alla crisi della figurazione è seguita poi la crisi della tangibilità mettendo in discussione la permanenza stessa dei monumenti e della loro assertiva, monologante imponenza. È la feconda sperimentazione dei monumenti a scomparsa, o per difetto (specialmente intenso nella Germania riunificata dalla fine degli anni Novanta11), che ha anticipato, e forse nutrito, la vivida contestazione alle memorie di bronzo e di pietra attiva da alcuni anni in Europa e nelle Americhe, specialmente contro il retaggio coloniale e il razzismo sistemico. Quest9ultima fase, imputando responsabilità storiche individuali e nazionali, impone una riflessione sulla parzialità delle narrazioni, sulla memoria artificiosa che i gruppi di potere hanno tramandato: una sola versione della Storia, inevitabilmente lacunosa, spesso colpevolmente mendace. L9artista colombiano Iván Argote ha dedicato a una di queste effigi nelle città europee il video Aurevoir Joseph Gallieni (2021). Gallieni è stato un generale i cui meriti militari non pareggiano la ferocia dei suoi mandati coloniali in Niger e in Madagascar. Nominato Maresciallo di Francia gli è stato dedicato un sontuoso monumento in bronzo ancora in Place Vauban, a Parigi, dove è ritratto a figura intera su un piedistallo decorato da quattro cariatidi femminili, fortemente etnicizzate, che rappresentano le regioni del mondo in cui ha agito. Il video di Argote mostra le operazioni per la rimozione della scultura, con una finta squadra di operai e tecnici comunali, l9imbracatura della statua e l9arrivo di una gru. Il sollevamento vero e proprio è invece solo simulato con un9animazione digitale, in modo del tutto credibile. Al punto che la pubblicazione del filmato sul web ha scatenato un dibattito pubblico tra indignati protezionisti (che in maggioranza ignoravano meriti militari e crimini umanitari di Gallieni) e sostenitori della rimozione, sensibili all9iniquità di Parigi 2021. Frammento del video Au revoir Joseph Gallieni di Ivàn Argoteha saggio 03 una narrazione coloniale e discriminatoria della storia nazionale. Il monumento, che già dagli anni Trenta è oggetto di azioni dimostrative e interventi più o meno invasivi, si trova ancora lì, simbolo di una storia che nessuno sembra voler ascoltare. Berlino 2015. L9arte come potere costituente Oltre la critica degli emblemi visibili della storia, con la loro risemantizzazione o con la loro ricollocazione, esiste ancora un ruolo sociale, culturale e politico per i monumenti nello spazio pubblico? È possibile una posizione non strumentale né subalterna al potere, che sia propositiva oltre la sfera della rappresentazione simbolica. È ancora possibile, infine, smantellando millenni di figurazione egemonica, pensare il monumento come luogo di una narrazione collettiva, agìta dal basso, partecipe, senza retorica né populismo? Sì, se intendiamo l9arte come spazio di un potere costituente, come catalizzatore di coscienza e di pensiero autonomo. Anything to say?, dell9artista romano Davide Dormino, è un monumento dall9aspetto e dai materiali tradizionali: tre figure stanti, in bronzo ritraggono Julian Assange, Chelsea Manning e Edward Snowden. Il monumento è dedicato a tre persone e alla libertà di espressione: tutti e tre hanno utilizzato la tecnologia per rendere pubbliche informazioni sulle responsabilità governative nella violazione di diritti umani e di traffici illeciti e, per questo motivo, hanno subito e continuano a subire persecuzioni e limitazioni della libertà. La logica del monumento è messa in crisi da una forma che si manifesta contro il potere e Assange, Manning e Snowden sono rappresentati in scala uno a uno, non su un piedistallo ma su tre sedie. Una quarta sedia, sempre in bronzo, è libera, a disposizione di chiunque voglia salire e porsi di fianco al terzetto per prendere posizione. Il monumento, inoltre, non è fisso e dopo la presentazione a Berlino nel 2015 abita diverse piazze europee per costruire una narrazione dinamica, non in ossequio al potere ma come tentativo di una storia divergente, scritta in comune. Berlino 2015. Opera Anything to say? dell9artista romano Davide Dormino 26
  • 16. Testimone di continuità e presente progetto 01 PALAZZO SENZA TEMPO A PECCIOLI Negli ultimi anni il dibattito sui temi del riequilibrio territoriale in Italia ha assunto sempre più forza nel promuovere politiche e progetti per ripensare i rapporti insediativi tra aree metropolitane e piccoli comuni, tra centro e periferie1. Il contesto programmatico in cui queste proposizioni si collocano opera per la ricostruzione di reti territoriali e di sinergie socioeconomiche virtuose, stimolando pratiche che guardano alle fragilità territoriali ed ai contesti marginali come sfide complesse ed importanti per il futuro2. A ciò si affianca una rinnovata attenzione, anche nel panorama internazionale, sul ruolo dell9architettura come agente di cambiamento sociale e foriero di trasformazioni capaci di coniugare <bellezza e giustizia sociale=3. Andrew Clancy le descrive come critical practices il cui lavoro progettuale si mostra nella sua dimensione più <generosa ed ottimista, cercando di offrire un contributo alla società come azione diffusa di più individui=4. In contesti di margine, fuori dai riflettori mediatici e dalle attenzioni del mercato, si offrono nuovi spazi per approcci progettuali alternativi che rimettono al centro delle trasformazioni spaziali il <promuovere altre forme di valore=5. In condizioni più incerte, meno favorevoli e più spinose, l9architettura si riconcilia con la realtà presentando modalità e risultati meno scontati e prevedibili. Il progetto di Mario Cucinella Architects per il recupero di un importante brano del tessuto storico di Peccioli potrebbe rientrare in questo ragionamento: sviluppare immaginari progettuali alternativi, ed appetibili,al modello predominante dell9urbano globale. E nel farlo, stringe un9importante alleanza con la comunità e le politiche di sviluppo locali. Il piccolo centro dell9alta Val d9Era ha trasformato negli ultimi venti anni un problema ambientale in opportunità. La creazione di una discarica intercomunale e la gestione virtuosa dei rifiuti ha aperto la strada ad un più ampio programma di rigenerazione del territorio non solo nelle sue componenti fisiche, attraverso l9arte e l9architettura, ma anche in quelle immateriali con la promozione di servizi innovativi e progetti sociali per attrarre nuova vita nella comunità. Un processo lungo, che ha portato il comune alla ribalta delle luci della Biennale di Architettura di Venezia, dove nel 2021 con Laboratorio Peccioli Fabrizia Berlingieri 1 Si veda il lavoro di <Riabitare l9Italia= e del gruppo promotore, in particolare i Domenico Cersosimo, Carmine Donzelli e Antonio De Rossi, nonché il recente contributo di Coppola A., Del Fabbro M., Lanzani A., Pessina G. (a cura di), Ricomporre i divari. Politiche e progetti territoriali contro le disuguaglianze e per la transizione ecologica, Il Mulino, Bologna 2021. Quest9ultimo si inserisce nel più ampio progetto Fragilità territoriali DAStU Dipartimento di Eccellenza 2018-2022, finanziato dal MUR. 2 Un esempio è la Strategia Nazionale per le Aree Interne (SNAI), prima politica nazionale place-based di sviluppo e coesione finalizzata al contrasto della marginalizzazione territoriale e dei fenomeni di declino demografico e migrazione interna al Paese. Questo indirizzo, seppure con minor forza, è presente anche nell9attuale Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). 3 SmithM., DalzielM., Sachs OlsenC., HarperP., Curator statementdellaOslo Architecture Triennale Enough: The Architecture of Degrowth, 2019 (http://oslotriennale.no/en/archive/2019, accesso 4.1.2023). 4 ClancyA., Critical practice: can architecture be critical?, The Architectural Review (online), 2020 (https://www.architectural- review.com/essays/in-practice/critical-practice-can-architecture-be-critical, accesso 4.1.2023). 5 TillJ., The Economies of Architecture, Ardeth, 3, 2020, 16-18. { Architetto. Professore associato DAStU, Politecnico di Milano } 28
  • 17. progetto 01 è stato fulcro del Padiglione Italia quale esempio di comunità resiliente. L9architettura partecipa a questo processo di cambiamento attraverso il Palazzo senza tempo. L9intervento, che ottiene nel 2022 il Golden Award nella competizione internazionale Novum Design Award, consiste nel recupero di alcuni corpi edilizi su via Carraia e nella realizzazione ex novo di un corpo di fabbrica sul sedime di un edificio diroccato in via dei Bastioni. Il complesso quattrocentesco del Palazzo è adibito a nuove funzioni pubbliche con spazi di residenza, gallerie per mostre temporanee e permanenti, aree studio e coworking, infine una biblioteca multimediale. L9innesto contemporaneo, che riscrive il limite dell9edificato e si affaccia sull9eccezionale quadro paesaggistico della valle, ospita un auditorium ed una terrazza soprastante che si sporge con un eclatante prolungamento a sbalzo verso le colline. L9intervento, per una superficie totale di 2.500 mq, riverbera nella città come una cerniera di risalita. Dalla quota inferiore del borgo 3 attraverso l9auditorium, la scalinata esterna e la terrazza, il nucleo scale della corte coperta 3 è possibile risalire alla quota superiore riconnettendo l9intervento alle vie principali del borgo. Palazzo senza tempo è un testimone di continuità e di presente: un complesso architettonico che, senza soluzione di continuità, mette assieme un recupero misurato e una riscrittura insediativa coraggiosa, del rapporto di limite del borgo verso il paesaggio collinare. È testimone di un presente esibito senza timidezza o sensi di colpa, una presenza culturale dell9oggi e di una continuità insediativa capace di reinterpretare il ruolo delle comunità e dei centri minori in futuri alternativi ed auspicati. 30
  • 19. MYA 06 / gennaio 2023 progetto 02 LUIGI SNOZZI E MONTE CARASSO Eleonora Burlando { Architetto. Professore a contratto presso il Dipartimento di Architettura di Genova, libero professionista socia fondatrice di Neostudio } In questo piccolo villaggio parte della città di Bellinzona in Canton Ticino, l9architetto Luigi Snozzi è chiamato nel 1968 a progettare la sede della nuova scuola elementare che, secondo il piano regolatore allora vigente, doveva essere collocata in un9area periferica. Snozzi accetta l9incarico a condizione però di porre la funzione scolastica in posizione centrale, occupando in parte l9edificio di un ex-convento in stato di abbandono. A partire da questo primo tassello, Snozzi è stato poi successivamente incaricato di sviluppare numerosi altri progetti, tra i quali la casa del Sindaco, una banca, alcuni edifici residenziali e alcune strutture sportive. Ma, ancora più importante, ha proposto un nuovo Regolamento Edilizio fondato solo su sette regole (più una non scritta) in sostituzione delle duecentoquaranta precedenti: 1. Ogni intervento deve tener conto e confrontarsi con la struttura del luogo; 2. Una commissione di tre esperti della struttura del luogo è nominata per esaminare i progetti; 3. Nessun vincolo viene posto sul linguaggio architettonico. Forme del manufatto, tipologie di copertura e materiali non devono sottostare a nessun obbligo; 4. Per favorire la densificazione sono state eliminate tutte le distanze di rispetto dai confini di vicinato e dalle strade; 5. L9indice di sfruttamento è stato aumentato rispetto al regolamento precedente dallo 0,3 all91; 6. L9altezza massima degli edifici è di tre piani. Per permettere la realizzazione di un tetto piano si concede un supplemento d9altezza di 2 mt; 7. Lungo le strade si devono erigere muri alti 2,5 mt (quota poi ridotta dal comune a 1,20 mt). Regola aggiunta e non scritta: un progetto in deroga alle norme prestabilite può essere approvato se la Commissione di controllo ne riconosce la corretta lettura del sito. Sviluppo del centro di Monte Carasso e saturazione del vuoto: XI-XIII° XV° XVII° XIX° XX° secolo Anno 1977 34 35
  • 20. progetto 02 Da sinistra: I principi del RE: definire l9area del centro, concentrare le funzioni pubbliche, densificare il tessuto edilizio. Prima del RE: edifici pubblici, viabilità (blu), percorsi pedonali (nero), verde pubblico. Dopo il RE: edifici pubblici e nuovi edifici privati, viabilità (blu), percorsi pedonali (nero), verde pubblico. Queste poche e semplici indicazioni hanno uno straordinario valore. Innanzitutto, dimostrano come architettura ed urbanistica siano solo visioni a differente scala di una stessa questione: la qualità delle trasformazioni del territorio costruito. Forse più che parlare di 8urbanistica8 si dovrebbe dire 8architettura della città8, si sta inequivocabilmente parlando di 8architettura8 e lo si sta facendo guardando ad un piccolo paese di circa 2.400 abitanti. Definire qualcosa 8architettura9, insomma, presuppone l9identificazione per lo più inconscia di qualcos9altro che architettura non è, che non si dà come tale. Una relazione dialettica tra ciò che è 8ordinario9 (normale, banale, o anche, ma non necessariamente, scadente) e ciò che è invece a vario titolo culturalmente sofisticato (eccellente, singolare, originale) ha accompagnato l9architettura fin dalle sue origini, una relazione in cui il rapporto proporzionale tra i due termini è rimasto tendenzialmente inalterato, dove al variare di un termine corrisponde un adeguamento dell9altro. La componente che più di altre consente di rilevarne la particolarità - e quindi in un certo senso la <straordinarietà=rispettoalla<ordinaria= prassiproceduralequantomenoitaliana-staprobabilmente nel fatto che a Monte Carasso un architetto ha proposto uno schema semplice quanto 8utopico8 per riuscire a porre la qualità degli interventi al centro dell9azione pianificatoria dell9Amministrazione. Per raggiungere il suo scopo Snozzi ha apparentemente relegato la questione della qualità dei progetti alla discrezionalità di una 8commissione di esperti8 ma, consapevole del pericolo di una simile impostazione, ha reso pubbliche le sedute della commissione e istituito la revocabilità immediata della carica di <esperto= da parte degli stessi cittadini. Ponendo democraticamente la qualità al centro della scena, ha potuto semplificare la normativa urbanistica. Snozzi ha un9idea precisa del concetto di città: questa non è fatta di <lontananze=, quanto piuttosto di 8prossimità8, non è conformata in modalità <estensiva=, ma <intensiva=, è concentrata, è densa, e per questo è necessario abolire le distanze minime dai confini e dalle strade. Snozzi ha il coraggio di dire che c9è bisogno di 8densificare8 e non di rarefare o polverizzare il costruito sul territorio. La questione degli indici e dei parametri urbanistici ci ha abituato a parlare in termini astratti del costruito, quando invece una città è fatta di elementi concreti e molto materiali. In fondo nessuno, guardando un edificio, lo misura in metri cubi. Altro tema di grande rilevanza è il rilancio dello 36 37
  • 21. MYA 06 / gennaio 2023 progetto 02 spazio pubblico. Gli schemi tradizionali di strada e piazza hanno via via perso il loro significato classico, espropriati in pratica dal dominio dell9automobile: la strada è un canale di traffico; la piazza spesso è solo uno svincolo, un9intersezione di strade; il giardino pubblico sovente si identifica con una piccola area marginale, di risulta, che i privati hanno ceduto gratuitamente come contributo alle opere di urbanizzazione. Quali sono allora i luoghi di incontro e di socializzazione nelle aree abitate? A che cosa si può fare riferimento per ripensare gli spazi pubblici della città? Per prima cosa non si deve dimenticare che lo spazio aperto vive in stretta relazione con gli edifici che lo delimitano e quindi sempre più il gioco tridimensionale di relazione tra i volumi deve essere controllato anche in funzione delle spazialità esterne che si vengono a creare. Ma l9altro aspetto indispensabile è prevedere una commistione di funzioni, la coagulazione di strutture di servizio, culturali, ricreative, in grado di attirare le persone. Nel caso specifico di Monte Carasso si possono trovare alcune risposte. Innanzitutto, alla base della pianificazione c9è la volontà di concentrare il maggior numero possibile di funzioni pubbliche nella parte centrale dove oggi trovano posto il municipio, la banca, una palestra, la scuola elementare, l9edificio della chiesa con il cimitero ampliato. Inoltre, il nuovo assetto è tutto basato sulla contrapposizione tra <pieno=, ottenuto mediante il principio della 8densificazione8 edilizia, e <vuoto=. La zona monumentale non era leggibile e mancava fondamentalmente di spazi pubblici. Snozzi propose di valorizzarla rimettendo in luce le antiche arcate, demolendo alcune case, ripulendo l9intero impianto e soprattutto facendo una grande operazione di <svuotamento= del centro dalle superfetazioni per ottenere un grande <vuoto= centrale, corrispondente alla piazza e alle aree verdi circostanti. Chiesa, scuola, cimitero, casa del Comune, palestra si trovarono così ad esser parte di un nuovo progetto che tendeva a costruire il centro pubblico della città, una nuova agorà fatta di spazi aperti e di luoghi in cui stare, giocare e trascorrere il tempo libero. Uno spazio pensato per la comunità e nel quale la stessa potesse riconoscersi. Infine, la scelta di pedonalizzare il centro definendo, attraverso un anello viabilistico perimetrale, il passaggio dalla condizione più urbana a quella extra-urbana ha permesso di ridefinire il rapporto tra spazi pedonali e ambiti veicolari, di dare continuità ai tracciati esistenti mettendoli a sistema con i nuovi spazi pubblici oltre a rafforzare la valenza percettiva del centro che appare come un grande tessuto connettivo composto da una serie di riferimenti puntuali dati dagli edifici pubblici, ma anche da alcune architetture private oltre che dalla presenza di elementi naturali sapientemente disposti. Non si tratta di risposte assolute, né tanto meno di soluzioni adatte a risolvere tutti i problemi dei centri urbani. Sicuramente Monte Carasso è un paradigma unico nell9ambito della progettazione urbana, ma è altrettanto certamente l9esemplificazione di un buon progetto d9architettura (di città o di paesaggio) incentrato sull9ascolto e sulla lettura dei luoghi, unito all9idea di una responsabilità etica e politica dell9architetto vista in termini nuovi e diversi rispetto ad una consolidata nozione di 8impegno9 . Un progetto che si prende cura dei luoghi, costruendo un tessuto omogeneo e isotropo di qualità diffusa, con attenzione alle ragioni dei contesti, capace di realizzare una condizione ordinaria soddisfacente, su cui poter innestare, eventualmente, le accelerazioni e gli accumuli dell9evento straordinario. 38
  • 22. MYA 06 / gennaio 2023 Intervista a Francisco Sanin 1 progetto 03 LO STRANO CASO DI MEDELLIN Architettura vs Urbanistica 1-0. La straordinaria esperienza maturata a Medellin in Colombia, ci consente di capire come l9architetturaelapolitica,seunitiinunprogettocomune,possanoprodurreuncambiamentoradicale della città e delle persone che la abitano. L9intervista ad uno dei protagonisti del cambiamento vuole sottolineare, a più di 10 anni di distanza, come tutto questo sia potuto accadere e come tutto questo faccia parte di un processo ancora in atto. Sanin ci racconta aneddoti, retroscena, fuoricampo e un vissuto dietro le quinte dove emergono passione, intelligenza, lungimiranza e capacità di vedere lontano. Quanto di seguito riportato è un estratto rielaborato dell9intervista realizzata da Luigi Zola nel 2010 e straordinariamente ancora attuale nella forma e nella sostanza. LZ A qualche anno di distanza dalle prime attività amministrative del Sindaco Sergio Fajardo e della sua giunta, qual è il bilancio? FS Nel 2003 Sergio Fajardo è stato eletto sindaco della città di Medellin, in Colombia. Il giorno prima delle elezioni i sondaggi lo davano al 20% ma nonostante questo, una volta terminato il conteggio, Fajardo ha vinto con una travolgente maggioranza di voti. Fajardo, un matematico passato alla politica, ha lasciato la carriera accademica per formare un movimento civico, un movimento che mirava a far parte del mondo politico. Come ha detto Fajardo stesso i politici prendono le decisioni più importanti nella società. Per lui la responsabilità del governo di Medellin era all9inizio creare le necessarie condizioni di sicurezza ma non solo, subito dopo si doveva investire in progetti che aprissero nuove opportunità agli abitanti, e primariamente nei quartieri più poveri. Si trattava come diceva lui di un <debito storico= con queste comunità che erano state da decenni marginalizzati e quasi abbandonati. L9idea sottesa è che l9architettura ha la capacità di attuare trasformazioni concrete. Questo progetto ha avuto un chiaro contenuto socio politico, contenuti attuati con la creazione di spazi pubblici e di infrastrutture di servizio per la comunità. La prima azione concreta è stata la creazione di spazi per la conoscenza, i parchi biblioteca (il termine stesso contiene già le condizioni ricercate: conoscenza e spazio pubblico). LastrategiadiFajardoperlacittàèstataapparentementesemplice,valeadireristabilireilruolodella legge e riprendere il controllo delle aree più problematiche della città usando le forze dell9ordine. Luigi Zola 1 Estratto dell9intervista realizzata da Luigi Zola a Francisco Sanin nel 2010 pubblicata sulla rivista ordinistica OPERE, n. 17 e revisionata in occasione di questa nuova pubblicazione nel gennaio del 2023. Francisco Sanin, professore alla Syracuse University di Firenze è stato uno dei protagonisti, insieme ad altri, della trasformazione urbana di Medellin { Architetto. Libero professionista } Fajardo ha comunque capito che queste azioni erano soltanto un primo passo e certamente non erano sufficienti perché non garantivano alcune soluzioni a lungo termine e non prendevano in considerazione le cause strutturali del problema. Per fare un9 esempio le parti marginali della città e le favelas erano soffocate dalla violenza e dall9emarginazione. E quindi l9investimento mirava alla costruzione di punti di incontro e di nuove opportunità per queste comunità. Una volta mutata la situazione, l9amministrazione ha avviato un processo di dialogo con la comunità per individuare le loro necessità e i luoghi da loro ritenuti i posti strategici dove attuare le trasformazioni. Altro elemento strategico è stato quello di creare letteralmente, concretamente, dei ponti. Infrastrutture queste che agivano a diverse scale d9uso: da quella di prossimità a percorrenza pedonale, alla facilitazione dei collegamenti a scala metropolitana, etc... Questi ponti agiscono come punti di contatto tra le sponde di colline occupate dalla parte più disagiata della città spesso in conflitto con i vicini, un tempo ritenuti rivali. Con il tempo questi ponti sono diventati assi urbani e hanno generato attorno a loro elementi di attrazione come i parchi-giochi e altre attrezzature di uso pubblico. La sua strategia è stata quella di occupare questi spazi in primo luogo con la creazione di un nuovo sistema di programmi sociali che uniti alle azioni sulle infrastrutture hanno modificato non solo le relazioni fisiche, spaziali ma soprattutto il senso d9identità, il senso si appartenenza ad una comunità da cui prima si sentivano esclusi. In questo senso il <Metrocable= è il sistema che ha permesso di congiungere le parti collinari della città, dove si erano sviluppate le favelas, con il centro e con le infrastrutture di collegamento metropolitano. Questo ha fatto si che chi sino ad allora era stato costretto ad una condizione di segregazione e marginalizzazione riuscisse finalmente a sentirsi un cittadino, di sentirsi parte di una comunità più vasta, di essere una parte viva della città. La storia di Medellin è complessa: è ancora in fieri e forse è troppo presto per dare un giudizio sugli effetti a lungo termine, ma ciò che risulta chiaro fin da subito è che un progetto politico e un progetto architettonico-urbano, insieme, hanno prodotto un cambiamento senza precedenti sulla città. Biblioteca Espana, vista sulla città di Medellin 40 41
  • 23. MYA 06 / gennaio 2023 L9architettura e l9urbanistica hanno dimostrato la loro capacità di essere attori importanti nei processi politici e culturali. A Medellin il Sindaco non può accedere ad un secondo mandato. Dopo Fajardo, che è stato candidato alle elezioni presidenziali in Colombia del maggio 2010, la nuova amministrazione municipale ha mantenuto in vita la maggior parte delle idee e dei progetti dei loro predecessori. LZ Un bilancio così positivo ha del miracoloso, cosa ha determinato un evento così straordinario? Ci puoi raccontare più in dettaglio cosa è avvenuto? FS Tra le iniziative infrastrutturali più importanti e meglio conosciute sono i cosiddetti <Library parks=, non biblioteche nel senso tradizionale del termine ma spazi pubblici complessi contenenti risorseperl9interacomunità,cheincludonoauditorium,programmidoposcuola,spazipolifunzionali, etc& Diversi <Library park= sono stati costruiti intorno alla città, e tutti nelle aree più povere. La loro localizzazione è stata un9operazione attentamente studiata, ed è risultata da complessi processi di partecipazione urbana, trattative e analisi urbane che prendevano in considerazione non solo l9impatto locale ma anche il rapporto con le infrastrutture urbane di scala più ampia come il trasporto pubblico e le infrastrutture sociali. Dopo la conclusione di questi processi e una volta decisa la localizzazione e la distribuzione di questi elementi, ha preso il via, per ciascuna, un concorso internazionale di architettura. Questi concorsi hanno dato la possibilità a giovani e innovativi studi di partecipare alle stesse condizioni di coloro che avevano più esperienza e un sapere più consolidato. I risultati, benché a volte controversi, hanno dato un messaggio positivo a quelle parti della città che tradizionalmente, e per decenni, erano state ignorate: anch9esse avevano diritto a essere città, e i loro abitanti avevano il diritto di essere considerati cittadini con gli stessi diritti e le stesse necessità di tutti gli altri. Ancora una volta Fajardo trovò uno slogan semplice per far passare questo messaggio: gli edifici più belli per le aree più povere. Era una questione sia di dignità, sia di giustizia storica. I <Library parks= erano, per così dire, la punta dell9iceberg, perché dietro la loro realizzazione c9era un lungo processo di impegno sociale con la comunità, la creazione di spazi pubblici, centri di assistenza per piccole imprese, centri medici, impianti sportivi sono stati importanti, per non dire cruciali, dell9intero processo. Inoltre le caratteristiche topografiche della città e la localizzazione di alcune delle aree più povere, dove già l9amministrazione precedente aveva avviato il sistema di trasporti <metrocable=, un sistema di funicolari che connetteva queste aree con l9asse principale della metropolitana che corre in direzione nord-sud lungo il fiume. Il <metrocable=, ha costituito la base primaria per una trasformazione che da semplice infrastruttura si è trasformata in un sistema di centralità di nodi urbani interconnessi. Le stazioni della <metrocable= divennero, nel piano di Fajardo, spazi pubblici nodali per la comunità perché collegavano direttamente ai library parks ad altri spazi pubblici di quartiere. LZ Oltre al sindaco Fajardo, quali sono le altre menti, oltre la tua, che hanno lavorato e lavorano fattivamente alla realizzazione degli obbiettivi? FS Un gruppo di intellettuali ed amici che hanno condiviso per anni speranze e delusioni legate alla cultura e la trasformazione della città. Accanto alle azioni dell9amministrazione comunale, - ritengo questo un elemento molto importante- c9è stato il coinvolgimento e i processi virtuosi da questi innescati per il reperimento di risorse, avvenuto attraverso la cooperazione di diversi enti nazionali ed internazionali che si sono dimostrati utilissimi non solo sul piano del reperimento progetto 03 A sinistra, una delle scale mobili realizzate nelle favelas A destra, playground: uno spazio per lo sport e gestione delle risorse ma anche per aver consentito la realizzazione di spazi di dialogo e collaborazione comuni tra diverse istituzioni. LZ Quale è stato il ruolo degli architetti? FS Vale la pena notare come una serie di piccoli ma altamente coordinati interventi realizzati dagli architetti siano stati capaci di trasformare in maniera radicale non solo la struttura fisica di questi quartieri, ma anche il loro tessuto sociale e culturale. Come risultato di questi interventi la criminalità è drasticamente diminuita, nuove imprese hanno preso vita, nuove organizzazioni sono nate, così come è nato un nuovo sentimento di orgoglio per il proprio quartiere e la propria città. Ad esempio un9intera area, che fino a quel momento era stata ignorata e percepita come offlimits era stata trasformata in una comunità urbana culturalmente ricca con la sua dignità ed anche le proprie dinamiche in termini di affari e condizioni economiche e sociali. Tra i vari progetti e i vari interventi, uno in particolare è diventato un9icona per la stampa internazionale, essendo stato pubblicato su riviste di tutto il mondo, la biblioteca Espana. Questo edificio ha avuto infatti un percorso paradossale. La forma dell9oggetto architettonico, una serie di volumi articolati fortemente definiti, ha avuto come primo effetto quello di diventare una icona per il resto della città; l9architettura diceva che qualcosa stava avvenendo lassù e serviva come un annuncio di quello che stava succedendo per l9altra metà della città, che ancora guardava l9area con sospetto, se non con paura. Questo mette in evidenza il ruolo dell9architettura non solo come capacità di produrre il disegno di un bel edificio, ma anche la sua capacità di saper leggere attentamente il territorio e comprendere la sua struttura sociale, per trovare i luoghi e i mezzi più adatti per avere un effetto positivo sulla città, attraverso l9innesco di elementi strategici che, sviluppandosi nel tempo attraverso la partecipazione dei cittadini, producono le trasformazioni ricercate ed attese. LZ Quindi l9architettura non è quell9evento sovrastrutturale come comunemente viene classificato; non è subordinata a scelte e considerazioni che devono avvenire prima in ambiti diversi quali quelli dell9economia e della politica? FS Si è detto molto, da allora, riguardo ai meriti architettonici della biblioteca Espana, ma quello che è mancato al dibattito è stato questo: indipendentemente dalle opinioni individuali 42 43
  • 24. MYA 06 / gennaio 2023 il ruolo che questa e altre biblioteche hanno avuto non era solo direttamente collegato alla loro <qualità= architettonica, quanto alla loro posizione e alla loro presenza stessa. Questi temi, pur rappresentando istanze basilari, si sono rivelati i più efficaci. LZ Come è stato possibile superare le classiche modalità legate a strumenti come i piani regolatori generali cari a politici, urbanisti, avvocati, economisti, istituendo il diverso approccio realizzato a Medellin? FS Nel caso di Medellin non si trattava di un Piano Regolatore nel senso classico, cioè che investiva l9intera città, ma più precisamente si trattava di molteplici piani: questi erano una serie di strategie parziali che però, messe insieme tessevano una fitta e efficace rete di interventi a diverse scale sulla città. Mentre i Library Parks erano parte di un sistema puntuale in specifiche parti della città, c9erano anche una quantità di interventi strategici su vasta scala che li collegavano tra loro e li integravano. Tali interventi erano parte di una strategia più ampia a livello dell9intera città, che includeva una nuova rete di trasporto pubblico come il <metro plus= (un sistema di autobus ispirato a quelli presenti a Curitiba e a Bogotà), parchi lineari, nuove istituzioni urbane come l=Explora science park=, il rinnovamento di quelli esistenti come il Giardino Botanico o la creazione di nuovi assi metropolitane, come la riqualificazione di Carabobo Street. Un esempio efficace di strategia basata sulla semplice idea di <condizioni iniziali= (cioè che una parte significativa del progetto sia la capacità di riconoscere fin dall9inizio il potenziale di un gruppo di istituzioni esistenti) riguarda l9area attorno al Giardino Botanico.Questo gruppo era caratterizzato dalla vicinanza di istituzioni importanti ma completamente scollegate tra di loro come lo State University Campus (Universidad de Antioquia), il Giardino Botanico e il solo parco pubblico della città (Parque Norte). Il piano mirava a consolidare questi istituti e a farne un importante nodo urbano, creando un nuovo spazio pubblico che li collegasse tra loro e rendendoli raggiungibili dal resto della città attraverso autobus e metropolitana. Il Giardino Botanico era stato, negli anni 50 e 60, il più importante spazio pubblico della città. In seguito era stato praticamente dimenticato, rimasto tagliato fuori dal centro urbano, e veniva apprezzato solo dai pochi che avevano il coraggio di avventurarsi <nell9altra parte della città=. Il progetto relativo a questa zona non solo prevedeva di rendere i confini permeabili, ma rendeva possibile la costruzione di alcune strutture assai significative la più nota delle quali è il Padiglione delle Orchidee. Gli altri interventi prevedevano ristoranti, caffè, centri di accoglienza per i visitatori etc... Oggi il Giardino Botanico e uno spazio pubblico assai vivace e molte delle sue strutture sono usate per scopi alternativi come fiere del libro e concerti. Per quanto la riqualificazione del Giardino Botanico sia stato di per sé un evento importante, il vero effetto di questa trasformazione dovrebbe essere individuato nel fatto che aver reso questa istituzione permeabile dall9esterno, accessibile in ogni sua parte e vitale dal punto di vista delle attività ad essa collegate, l9ha fisicamente unita alla rete più ampia di programmi pubblici. Parallelamente ad uno dei lati del Giardino Botanico è stato creato uno spazio lineare teso a incanalare i flussi di traffico degli autobus e una stazione della metropolitana. Dalla parte opposta è stato creato un altro spazio lineare, ad uso dell9Explora Science Park. progetto 03 LZ Su un piano più strettamente politico e culturale quali sono gli elementi strategici sui quali si è puntato? FS Il parco scientifico rappresenta fisicamente uno degli slogan più popolari di Fajardo: =Medellin la città più istruita=; il suo programma aveva posto l9istruzione al centro di ogni intervento: Library parks, scuole, centri di assistenza economica, spazi dedicati alla scienza e alla tecnologia etc&, l9amministrazione non soltanto ha ristrutturato un gran numero di scuole esistenti ma ne ha costruite anche molte nuove. Il nuovo spazio pubblico tra l9Explora Science park e il giardino Botanico segna la fine dell9asse metropolitano che collega questa nuova centralità urbana con il centro tradizionale e l9emergente centro amministrativo dietro di essa. LZ L9esperienza di Medellin quanta diffusione ha avuto sui media internazionali e in particolare sulle riviste di settore? FS L9esperienza di Medellin in Europa e non solo, ha avuto una vasta eco, molto è stato pubblicato sui diversi media. La Syracuse University nel 2008 ha invitato il Sindaco Fajardo a Firenze, per un simposio svoltosi presso la Fondazione Targetti. L9organizzazione dell9evento, ha consentito, a chi ha avuto la fortuna di partecipare, di ascoltare dalla viva voce di uno dei maggiori protagonisti, la ricchezza dei contenuti elaborati e dei concreti risultati ottenuti, con una maggiore quantità di dettagli, soprattutto perché chi parlava ha proposto ad una platea, fatta soprattutto di architetti, l9importanza di una corretta azione politica e la necessità di guardare la città non solo sotto l9aspetto fisico e prestazionale, ma soprattutto la sua dimensione sociale e politica che la conforma e che ne determina gli esiti e in misura rilevante la sua qualità e vivibilità. LZ Sul piano strettamente economico, con quali risorse è stato possibile portare avanti queste trasformazioni? FS Medellin è una città con buone risorse economiche, conta anche sul contributo de <La Empresas Publicas de Medellin= che gestisce l9energia, ed altri settori. Questa società a capitale misto privato e pubblico, ha dato un contributo importante. Anche altre risorse non locali hanno comunque aiutato ad avviare un processo che richiedeva notevoli risorse. Ma, in conclusione, è importante sottolineare che quello che distingue l9operato di questa amministrazione è il fatto di aver mirato strategicamente a investire su progetti puntuali. Tra gli episodi emblematici che raccontano di un diverso modo di affrontare la gestione amministrativa è quello di quando il Sindaco ha convocato i suoi Assessori e dopo essersi fatto esporre le risorse economiche che ciascuno aveva a disposizione, ha proposto di non distribuire su miriadi di piccole iniziative i soldi, così come spesso avviene (finanziando ad esempio, nel campo culturale, piccole associazioni o altro). Ha chiesto in sostanza di concentrare le risorse economiche su obbiettivi strategici più ampi. E9 stato così possibile realizzare, grazie alla non dispersione delle risorse, le trasformazioni urbane descritte e fare di Medellin una città migliore e sicuramente più coesa e sicura. 44 45
  • 25. Opera tratta da Estate, 1970, Alighiero Boetti RUBRICHE RUBRICHE
  • 26. altre architetture ABITARE CONTEMPORANEO1 Teatro Niccolini, Firenze Oggi, giovedì 8 Settembre anno del signore 2022, ore 16,00, in occasione della giornata conclusiva della mostra <Lonely Living. L9architettura dello spazio primario= promossa da Rifugio Digitale nell9incontro-discussione dal titolo <L9Abitare Contemporaneo: riflessioni e indicazioni sullo stato delle cose=, davanti alla Corte di Appello qui riunitasi presso il Teatro Niccolini di via Ricasoli n. 3 in Firenze in nome e per conto del popolo della Repubblica Italiana, è stato chiamato a testimoniare lo studio MDU ARCHITETTI che ha giurato di dire la verità, tutta la verità, nient9altro che la verità. Preso atto della causa culturale per il primato intellettuale dell9architetto sul progetto dell9abitare e contro tutti gli attori coinvolti nel processo dell9abitare contemporaneo, lo studio MDU ARCHITETTI, chiamato ad esprimersi sullo stato delle cose, HA DICHIARATO CHE lo stato delle cose è tale da non consentire all9architetto di svolgere le sue funzioni ordinarie per il raggiungimento della qualità architettonica necessaria affinché l9abitare possa essere riconosciuto, più di ogni altra cosa, un diritto per tutti. PERTANTO MDU ARCHITETTI CONDANNA 1. tutti gli investitori immobiliari che seguono le mode del mercato 2. CONDANNA tutti i costruttori che promuovono soluzioni per assicurarsi solo profitti 3. CONDANNA tutti i politici, i sindaci, gli assessori e i dirigenti tutti che usano l9architettura come merce di scambio per ottenere voti e consensi 4. CONDANNA tutti i professori universitari che non insegnano ai loro studenti la tettonica dell9architettura 5. CONDANNA tutti i committenti che si accontentano dell9edilizia 6. CONDANNA tutti gli ingegneri e i geometri che vogliono fare gli architetti 7. E INFINE CONDANNA tutti gli architetti che rinunciano al progetto Marcello Marchesini 2 1 Come in una sorta di rappresentazione teatrale ai 50 studi di architettura protagonisti invitati, è stato affidato il compito di raccontare da un palco del teatro Niccolini, il proprio personale punto di vista sul tema della serata di fronte a un vasto pubblico posizionato in platea e nel loggione. Nel contempo sul palco centrale la regia scandiva i tempi dell9evento attraverso la proiezione dei contenuti, video e immagini evocative sul tema dell9abitare selezionate da ciascun architetto secondo la propria visione e il proprio sentire. 2 A nome del proprio studio si è fatto interprete dell9intervento di MDU proponendo una performance pseudo-teatrale attraverso la lettura di un testo. Affacciandosi dal palco del teatro assegnato, sulla platea sottostante, MDU ha dato voce al proprio pensiero sfruttando i 2 minuti e 30 secondi concessi. Unita alla voce narrante scorrevano, su uno schermo gigante, le immagini a tema di alcuni dei progetti realizzati dallo studio. { Architetto. Professore a contratto presso il Dipartimento di Architettura di Ferrara, libero professionista socio fondatore studio MDU } 48
  • 27. altre architetture E PER CONTRO MDU ARCHITETTI ASSOLVE 1. tutti gli architetti capaci di non cedere alle lusinghe delle mode, di non cedere alle richieste vessatorie dei committenti, di non cedere alle dinamiche della politica e ai lacci del capitalismo 2. ASSOLVE tutti gli architetti creativi capaci di spingere il progetto al di là delle tradizionali competenze disciplinari 3. ASSOLVE tutti gli architetti che, all9originalità della forma, preferiscono la poesia dell9architettura 4. ASSOLVE tutti gli architetti capaci di progettare la crisi e trasformare i processi produttivi 5. E INFINE ASSOLVE tutti coloro che sono capaci di migliorare la qualità dell9architettura IN CONCLUSIONE visto e riletto tutti gli atti depositati lo studio MDU ARCHITETTI, chiamato a testimoniare da codesta Corte di Appello, si interroga se il problema dell9Abitare Contemporaneo sia veramente una responsabilità dell9architetto dal momento in cui ben il 90% delle residenze in Italia le hanno progettate altri. Tolto il restante 10%, che rappresenta l9eccellenza dell9abitare, tutto il resto è da ripensare. Per lo studio MDU ARCHITETTI, il problema non è né etico, né estetico: il problema è culturale. E se i veri colpevoli sono i costruttori, i politici, gli ingegneri e i geometri, i grandi assenti di questo simposio sono proprio loro: e allora la colpa, cari signori promotori, è anche vostra perché non li avete invitati. Noi architetti dobbiamo pensare al progetto ma senza esserne ossessionati. Dostoevskij aveva torto a dire <La bellezza salverà il mondo= perché la verità è che prima, deve essere salvata la bellezza e a farlo, dobbiamo essere noi. E allora non ci rimane che urlare a squarcia gola, come già aveva fatto Le Corbusier sulla sua rivista L9Esprit Nouveau nel lontano 1921: ARCHITETTURA O RIVOLUZIONE!3 Così è stato detto, così è stato deciso, l9udienza è sciolta. Firenze, 8 settembre 2022 3 <Architettura o rivoluzione= è anche il titolo dell9ultimo capitolo del saggio Vers une Architecture del 1923. Lo stesso Le Corbusier nel 1935 scriveva: <[&] costruire la città radiosa significa una completa riorganizzazione della politica= (Cfr. Boyer, M. Christine, Le Corbusier Homme de Lettres, New york, Princeton Architectural Press, 2011, pg. 323) 50