Brown as sugar, sweet as the feeling of addiction, in your vein as in your brain. An illness that shreds the past as abscess on the skin, leaving scars as deep as the stigma of HIV and lack of self-respect. Deletes any return on the right patch. A world aside.
“Brown As Sugar” (Brown Sugar is a common drug in India) freezes few frames from the journey towards achieving self-respect and control over the addiction to drugs. At the Yamuna Bazar Drop-In as weel as at the Detox Centre and the Farmhouse Rehabilitation, all organized by Sharan NGO in Delhi, the social workers are strongly committed, furthermore are former drug users themselves. As they have been addicted, they understand the struggles of clients and works as an example for them.
2. Scuro come lo zucchero mascobado, dolce come la sensazione di dipendenza. Brown sugar, è la droga
attualmente più comune in india. Un oppiaceo che puoi essere fumato. Ma non è l’unica sostanza
reperibile sul mercato.
L’eroina è costosa e, a detta dei tossici, quella che si trova è di pessima qualità. “La roba buona la prendete
tutta voi” mi dice uno, intendendo che le sostanze stupefacenti di buona qualità vengono vendute nei
mercati occidentali, dove c’è un maggiore margine di guadagno. I drogati qui si arrangiano con medicine
contenenti oppiacei, che vengono sparate in vena, qualunque cosa esse siano.
Mi sono trovato più volte a parlare con persone impegnate nel sociale in India e davanti alla mia
domanda, il più delle volte la risposta è stata sempre la medesima. Il problema delle droghe è considerato
marginale, come non esistesse. L’argomento sembra quasi un tabù, sottovalutato, se non ignorato, dalla
società, dai media e dal governo.
Eppure, guardando sotto l’apparenza, la piaga è presente ed in crescita, neppure tanto nascosta.
Camminando per il centro si vedono gruppi di derelitti che si bucano in mezzo alla strada, in una specie di
isolamento in una città dove non esiostono luoghi isolati. A pochi passi da Red Fort, una delle attrazioni
principali della città pattugliata da polizia e militari, si trova un’area chiamata Jamuna Bazar, dove i tossici
vivono, dormono si fanno, anch’essi ghettizzati come gli altri abitanti di Delhi.
3. Sharan è una ONG specializzata nella riabilitazione ed il riavviamento al lavoro dei tossicodipendenti, che da diversi anni opera un centro di accoglienza
proprio al centro di Yamuna Bazar. Presso il centro i tossici possono ricevere primo soccorso nella cura degli ascessi dovuti alle continue iniezioni, vengono
distribuite siringhe pulite e pasti caldi. All’inizio il centro di accoglienza era stato progettato come luogo di disintossicazione, grazie ad un progetto di
distribuzione di buprenorfina, una droga sostitutiva composta da oppiacei semisintetici che lavora similmente al metadone. Al tempo della mia visita
c’erano circa 150 persone ancora iscritte al programma di distribuzione delle droghe sostitutive. Purtroppo i fondi disponibili non permettevano di
allargare il servizio ad un numero maggiore di tossicodipendenti.
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8. Sharan si compone di tre progetti: il centro di accoglienza Drop-in, quello di riabilitazione Rehab,
e la Farm, una specie di comunità dove i ragazzi usciti dal Rehab possono continuare il processo di
disintossicazione, ristabilendo contatto con la società e con il lavoro.
Generalmente un paziente entra al rehab dopo che sono stati per circa dai tre ai cinque anni in cura
con droghe alternative, quali la buprenorfina.
Tutti gli operatori che lavorano presso sharan non possiedono una preparazione medica o psicologica
specifica. Sono tutti ex tossici. Secondo Luke Samson, direttore della organizzazione, solo qualcuno
che è stato un utilizzatore di droghe può capire pienamente un drogato. Ne conosce gli istinti, le
sensazioni, e la psiche. Inoltre un ex tossico funziona come esempio positivo per il paziente.
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10. Kumar ha 19 anni. Ha perso i suoi genitori, vive con la sorella e racimola qualche soldo borseggiando
sui mezzi pubblici. Lui dichiara di iniettarsi eroina da più di 5 anni e fumare abitualmente Brown
Sugar. Non parla molto Kumar. Ha sempre lo sguardo pronto alla sfida. Ogni tanto ride, ma sarebbe
un errore pensare che quel sorriso nasconda un minimo di confidenzialità. Non è la sua prima
volta all’interno del Detox. Quando non riesce a barcamenarsela, entra nel progetto per un paio di
settimane usufruendo di cibo e medicinali gratis. Non ha mai considerato realmente di impegnarsi
nel programma di riabilitazione, dice lui per il semplice fatto che non opotrebbe sopportare di
rimanere rinchiuso.
11. La distrubuzione della Bruprenorfina (oppiaceo che svolge la stessa funzione del Metadone in Europa) e antidolorifici segue un rigido regolamento, volto
ad evitare che gli assistiti nascondano medicinali per iniettarseli di nascosto invece di assumerli oralmente. Tutti seduti a terra con un bicchiere di acqua
in mano, vengono chiamati a turno al tavolo, dove l’assistente polverizza le pastiglie e le versa direttamente sotto la lingua dell’assistito, controllando poi
che siano stati deglutiti.
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13. La Farm è una vera fattoria con campi coltivati dai ragazzi in cura. Nella farm i pazienti, pur rimanendo
protetti dal mondo esterno con le sue insidie e difficoltà, si trovano in un ambiente aperto e senza
costrizioni. L’unico obbligo quello di portare avanti con rispetto i propri compiti, tra cui: il lavoro
nei campi, la preparazione dei pasti e le pulizie delle camerate. Rajif, responsabile della Farm, la
definisce la terapia del lavoro. Lo sforzo fisico tiene la mente impegnata, facendo sentire la persona
produttiva ed orgogliosa di se. Questo allontana la depressione e la possibilità di ricadute.
A dire il vero la Farm non è un posto idilliaco, vi si respira spesso tensione, come è normale che sia
se si mettono assieme un gruppo di persone con un passato da tossicodipendente. Rimane un luogo
di passaggio, una frontiera tra un prima, un dopo o una ricaduta. Molti dei ragazzi lo dicono e lo
sanno, una volta fuori di li rimanere puliti sarà difficile. Questa paura/attesa si vede nei loro visi, mai
completamente felici.
Nel loro animo regna la solitudine. Quasi tutti hanno storie di famiglie spezzate alle quali non
possono tornare. Il solo fatto che io passassi tanto tempo con loro era motivo di felicità. Non sono
più abituati a qualcuno che s’interessa di come stanno.
14. Stephan è l’unico dei pazienti nella Farm a parlare Inglese. Mi da subito una specie di confidenza distaccata, poi entriamo in sintonia. Probabilmente
per la mia nazionalità: è stato un certo Lorenzo, un ragazzo Italiano che lavorava come volontario presso il centro di Maria Teresa a Calcutta, ad aiutare
Sthephan a fare il primo passo nella sua lotta contro l’eroina. I due s’incontrano a Goa, dove Lorenzo decide di passare qualche giorno di vacanza e
dove Stephan si è rifugiato non potendo più rimanere a Calcutta a causa di problemi con la giustizia. Al tempo Stephan lavorava in qualche struttura
alberghiera e continua ad assumere ingenti quantità di brown sugar ed eroina.
Lorenzo propone a Stephan di fargli da guida. Durante i giorni che seguono Lorenzo si accorge della dipendenza dagli stupefacenti di quel giovane e,
avendo Lorenzo perso il fratello a causa dell’alcol, si sente in dovere di fare qualcosa. Lo convince ad entrare in un centro di disintossicazione e gli paga
i primi mesi di cura. I due si separano ma Stephan non ha mai dimenticato quell’Italiano.
Stephan è nato in una famiglia agiata. Quando ho chiesto come abbia iniziato assumere stupefacenti mi parla della sua scuola, un istituto privato di
religiosi. Mi racconta di molestie sessuali subite da ragazzo, alle quali è seguito un periodo di depressione e silenzio che i dottori hanno curato con
psicofarmaci. Accidentalmente Stephan ha colto il lato piacevole delle sostanze e, da adolescente, ha perso il controllo.