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NEOFASCISMO
PATRIA INDIPENDENTE/SETTEMBRE 201414
Rilanciare la cultura antifascista del Paese
ConlaCostituzione
combatteresempre
l’apologiadelfascismo
L’organizzazione democratica dei partiti ● La vergogna di tante manifestazioni
nostalgiche ● Fasci o svastiche sui muri ● Indecisione e tentennamenti
nell’applicare la legge
di Pierluigi Onorato
1- Non è solo per un proprio dovere
istituzionale, ma per una più pro-
fonda sensibilità storica, che I’ANPI
richiama l’esigenza di rilanciare la cul-
tura antifascista nel nostro Paese. In
un momento in cui questa cultura si
indebolisce, o semplicemente si ritua-
lizza, o addirittura lascia il posto alla
indifferenza delle giovani generazioni
o alla rinascita di agguerrite sottocul-
ture fasciste, spesso ambigue e perciò
più pericolose. Se questo è vero, oc-
corre rivalutare oggi il senso del dirit-
to antifascista emanato in Italia dopo
la Costituzione repubblicana. Infatti,
quando una cultura è forte può fare
a meno del diritto che la sancisca;
quando la cultura è debole non può
rinunciare al ruolo promozionale che
il diritto gioca a suo favore. Anche se
capovolto, si ripropone in sostanza lo
stesso problema sollevato da Renzo
De Felice in una intervista che fece
scandalo, pubblicata dal Corriere della
Sera nel dicembre 1987, il cui senso
era ben riassunto nel titolo: “Le nor-
me contro il fascismo sono grottesche.
Aboliamole!”.
Solo che, oggi più mai, la tesi dello
storico revisionista del fascismo va ri-
baltata: “Le norme contro il fascismo
hanno un profondo senso culturale e
democratico. Applichiamole!”.
2- Per capire meglio, è utile tener
presente la genesi dell’art. 49 Cost.,
che configura la concezione demo-
cratica dei partiti politici, e della XII
disposizione transitoria e finale della
nostra Carta repubblicana, con cui il
Costituente ha inteso attuare le san-
zioni contro il fascismo, imposte dagli
S
i è svolta l’anno scorso a Firenze, nella sede della Provincia, una tavola rotonda sul tema: “Resistenza costituzionale.
È ancora reato l’apologia di fascismo? Come utilizzare il dettato costituzionale e le leggi in vigore per combattere
l’apologia di fascismo”.
Al dibattito – di grande interesse e importanza in un momento come questo – hanno preso parte Paolo Caretti (costituziona-
lista), G. Carlo Pajetta (storico) e il magistrato Pierluigi Onorato del quale pubblichiamo un articolo che scaturisce e porta
a sintesi i contenuti della tavola rotonda.
NEOFASCISMO
PATRIA INDIPENDENTE/SETTEMBRE 2014 15
Alleati come condizione del trattato
di pace. In esito alla discussione nella
Prima Sottocommissione, competen-
te sulla materia, sulla base delle solle-
citazioni e delle argomentazioni svolte
daTogliatti, si decise di non richiedere
il requisito dell’organizzazione demo-
cratica nella disciplina costituzionale
dei partiti politici (la cosiddetta de-
mocrazia interna). Secondo Togliat-
ti, quel requisito offriva il pretesto a
ingerenze antidemocratiche nella vita
dei partiti. Si doveva invece soltanto
impedire la riorganizzazione del Parti-
to Fascista storicamente determinato;
mentre eventuali altri partiti contrari
al sistema democratico dovevano esse-
re combattuti esclusivamente sul ter-
reno politico (è la cosiddetta garanzia
politica, ma non giuridica, a difesa
della democrazia, che ha storicamente
caratterizzato la teoria e la pratica del
PCI). Risultato di questa discussione
fu la formulazione definitiva dell’art.
49 e del primo comma della XII di-
sposizione, che venne poi approvata
in Assemblea. Secondo l’art. 49 “tutti
i cittadini hanno diritto di associarsi
liberamente in partiti per concorrere
con metodo democratico a determi-
nare la politica nazionale”. In sostan-
za, questa norma consacra il plurali-
smo partitico con la sola condizione
che venga rispettato il metodo della
competizione elettorale e parlamenta-
re (cioè la democrazia esterna). Non
richiede invece alcun esplicito requisi-
to di democrazia interna; con la con-
seguenza che: a) sinora il legislatore
ordinario non è mai intervenuto per
imporre un “minimo democratico”
nell’organizzazione e nel funziona-
mento interno dei partiti politici; b)
i giudici chiamati a intervenire nella
materia hanno potuto applicare sol-
tanto le regole dettate dal codice civile
per le associazioni private non rico-
nosciute. A norma del primo comma
della XII disp., invece, “è vietata la ri-
organizzazione, sotto qualsiasi forma,
del disciolto partito fascista”. Questa
formulazione finale confermava chia-
ramente l’impostazione togliattiana,
che mirava a delegittimare soltanto
quella particolare esperienza storica
di partito politico che era stata il Par-
tito Fascista Italiano. A scongiurare il
pericolo che una siffatta disposizione
restasse senza portata normativa per
il futuro, in quanto rivolta solo a un
passato ormai storicamente risolto, re-
stò però la iniziale “clausola di apertu-
ra” della fattispecie, ovverosia l’inciso
“sotto qualsiasi forma”, che vieta non
solo la riorganizzazione di quella for-
ma di PF esistita in Italia sino all’av-
vento della Repubblica democratica,
ma anche la organizzazione di ogni
altra forma di partito che ne ripropo-
nesse le caratteristiche essenziali.
Importante notare la differenza che
corre tra la nostra Costituzione e quel-
la della Repubblica Federale Tedesca,
nata anch’essa dopo la sconfitta del
regime totalitario che aveva governato
il Paese sino alla seconda guerra mon-
diale. La Legge Fondamentale della
R.F.T. stabilisce infatti che “l’ordina-
mento interno” dei partiti “deve cor-
rispondere ai principi fondamentali
della democrazia” (art. 21/1); aggiun-
gendo che “i partiti che, per le loro
finalità o per il comportamento dei
loro aderenti, si prefiggono di dan-
neggiare od eliminare l’ordinamento
fondamentale democratico e liberale
o di minacciare l’esistenza della RFT,
sono incostituzionali” (art. 21/2).
Con tutta evidenza sono ammessi
soltanto quei partiti che proclamino
e pratichino il metodo democratico
sia nell’organizzazione e nel funziona-
mento interni (democrazia interna),
sia nelle finalità e nei comportamenti
esterni (democrazia esterna). Queste
differenze si spiegano verosimilmente
col fatto che il Costituente italiano,
diversamente da quello tedesco, ha
considerato il fascismo definitivamen-
te superato in quanto battuto non
solo dalle armi straniere ma anche
dalla Resistenza del popolo italiano.
Orbene, l’impostazione adottata dai
padri costituenti aveva un senso allo-
ra, quando la cultura antifascista era
ancora forte e solida. Ha meno senso
quando quella cultura si indebo-
lisce e si confonde. Tanto ciò è
vero che lo stesso partito che ha
raccolto l’eredità storica di quello
comunista togliattiano, ha presen-
tato una proposta di legge per di-
sciplinare i requisiti di democrazia
interna dei partiti politici.
3- Altrettanto istruttivo della
evoluzione storica dell’anti-
fascismo è l’esame approfondi-
to delle norme che hanno dato
attuazione alla XII disposizione
finale. Com’è noto, (dopo la leg-
ge 1546/1947) è intervenuta la
legge Scelba n. 645/1952, che ha
sanzionato penalmente sia la rior-
ganizzazione del PF (artt. 1 e 2),
sia l’apologia del fascismo (art. 4) e le
manifestazioni fasciste (art. 5).
Il problema più delicato, dal punto
di vista sia giuridico sia storico-poli-
tico, riguarda non tanto l’attuazione
degli articoli 1 e 2, quanto la opera-
tività dell’art. 4 e dell’art. 5, infatti,
la definizione del partito neofascista,
cioè della organizzazione sotto qual-
siasi forma del PF, è sufficientemente
precisata dall’art. 1 così come modi-
ficato dalla successiva legge Reale n.
152/1975. Secondo questo articolo
si ha un partito neofascista “quan-
do un’associazione, un movimento
o comunque un gruppo di persone
non inferiore a cinque persegue fina-
NEOFASCISMO
PATRIA INDIPENDENTE/SETTEMBRE 201416
lità antidemocratiche proprie del
partito fascista, esaltando, minac-
ciando o usando la violenza quale
metodo di lotta politica o propu-
gnando la soppressione delle li-
bertà garantite dalla Costituzione
o denigrando la democrazia, le
sue istituzioni e i valori della Re-
sistenza, o svolgendo propaganda
razzista, ovvero rivolge la sua atti-
vità alla esaltazione di esponenti,
principi, fatti e metodi propri del
predetto partito o compie ma-
nifestazioni esteriori di carattere
fascista.
A questo proposito, non si può
assolutamente sostenere che il di-
vieto di organizzazione di partiti
neofascisti contrasti con la libertà
di associarsi in partiti politici ri-
conosciuta dall’art. 49 Cost.. Ciò
sia perché questa libertà è espres-
samente limitata ai partiti che
accettino e pratichino la demo-
crazia esterna; sia perché è chiara-
mente derogata dalla XII disposi-
zione finale che ha esplicitamente
vietato ogni partito neofascista.
4- Più problematica è invece ri-
sultata l’applicazione dell’art.
4 sull’apologia del fascismo e
dell’art. 5 sulle manifestazioni
fasciste.
La norma sull’apologia punisce
chiunque fa propaganda per la
costituzione di un’associazione, di un
movimento o di un gruppo di carat-
tere fascista (come definito dall’art.
1), oppure chi pubblicamente esalta
esponenti, principi, fatti o metodi del
fascismo. La norma successiva puni-
sce chiunque, partecipando a pubbli-
che riunioni, compie manifestazioni
usuali del partito fascista ovvero di
organizzazioni naziste (per esempio
il saluto romano). In questi casi si è
potuto sostenere con apparente fon-
datezza che le norme incriminatrici
fossero in contrasto, rispettivamen-
te, con la libertà di manifestazione
del pensiero (art. 21 Cost.) e con la
libertà di riunione pubblica (art. 17
Cost.). Ciò perché rispetto a queste li-
bertà la XII disposizione non apporta
alcuna deroga.
In questa materia è quindi intervenu-
ta ripetutamente la Corte Costituzio-
nale, la quale ha “salvato” la legittimi-
tà costituzionale delle suddette norme
incriminatrici solo in quanto siano
interpretate restrittivamente come
dirette (anch’esse) a scongiurare il pe-
ricolo di riorganizzazione del partito
fascista vietata dalla XII disp.. Ma in
questo modo ne ha inevitabilmente
limitato e resa incerta la portata nor-
mativa.
Secondo una prima sentenza, la n. 1
del 1957, la Consulta ha stabilito che
la incriminazione dell’apologia del fa-
scismo è costituzionalmente legittima
(non viola l’art. 21 Cost.) in quanto
consiste non in una qualsiasi “difesa
elogiativa, ma in una esaltazione tale
da poter condurre alla riorganizzazio-
ne del partito fascista”, vietata dal XII
disp. finale (in sostanza l’apologia è
legittimamente punita solo in quanto
sia una istigazione indiretta alla rico-
stituzione del partito fascista).
Sulla stessa linea si colloca Corte Cost.
n. 74/1958, la quale ha dichiarato le-
gittima la incriminazione delle mani-
festazioni fasciste, in quanto vengono
proibite solo le manifestazioni pubbli-
che (anche se commesse da una sola
persona) “idonee a provocare adesioni
e consensi e a concorrere alla diffusio-
ne di concezioni favorevoli alla rico-
stituzione di organizzazioni fasciste”.
In sostanza, secondo la giurispruden-
za costituzionale, apologia di fascismo
e manifestazioni fasciste sono reati
solo in quanto “strumentali” alla rior-
ganizzazione del PF.
In applicazione di questi principi, la
giurisprudenza ordinaria ha quindi
applicato l’art. 4 e l’art. 5 della legge
Scelba solo se e quando configurasse-
ro reati di “pericolo concreto” rispet-
to alla riorganizzazione del PF. Che il
pericolo debba essere concreto e non
astratto significa che non tutte le apo-
logie e le manifestazioni neofasciste
sono per se stesse idonee a produrre
una riorganizzazione del partito neo-
fascista. È stata quindi inevitabile una
oscillazione dei giudici di merito nella
valutazione della pericolosità concreta
4 agosto 1944, i partigiani entrano a Firenze da Porta Romana. è necessario, ancora oggi,
tenere alti i valori della lotta partigiana e della Resistenza
NEOFASCISMO
PATRIA INDIPENDENTE/SETTEMBRE 2014 17
delle varie fattispecie sottoposte a giu-
dizio. Per esempio, in ordine all’apo-
logia si è ravvisato il reato nel disegno
sui muri di svastiche o di fasci littori.
Invece si è escluso nel caso di lanci di
manifestini inneggianti al fascismo e
alla Repubblica di Salò.
In ordine alle manifestazioni fasci-
ste, è stata affermata la responsabilità
penale per chi intona l’inno “allarmi
siam fascisti”; per chi fa il saluto ro-
mano durante un comizio del MSI.
Mentre è stato escluso il reato per i
fatto di impiegare la parola “camera-
ta” all’inizio e alla fine di un comizio;
per il fatto d’intonare pubblicamente
l’inno “Giovinezza”; o per il fatto di
sfilare pubblicamente con gagliardetti
d’ispirazione fascista.
È di per sé evidente la incoerenza di
simili soluzioni. Il limite di questa im-
postazione è quello di considerare la
legittimità dell’apologia di fascismo e
delle manifestazioni fasciste solo alla
luce della XII disp. finale. Con la con-
seguenza inevitabile di rendere incerta
o addirittura impossibile la configura-
zione del reato.
5- In seguito però s’è registrata una
evoluzione della giurisprudenza
costituzionale nella considerazione
dei limiti costituzionali della libertà
di manifestazione del pensiero e del-
le altre libertà fondamentali ricono-
sciute nella Carta repubblicana. In
particolare, rispetto alla libertà
di pensiero sono stati ravvisati
limiti non solo nella tutela di
beni privati implicitamente rin-
venibili nella Carta, come il di-
ritto all’onore e alla reputazione
personale (per cui resta reato
ingiuriare o diffamare una per-
sona), ma anche nella tutela di
beni pubblici pure iscritti nella
Carta. Così, per limitarsi agli
esempi più significativi: nella
sentenza n. 19/1962, la Corte,
investita della questione di le-
gittimità costituzionale dell’art.
656 c.p. (che punisce la pubbli-
cazione o diffusione di notizie
false o tendenziose atte a tur-
bare l’ordine pubblico), ha af-
fermato che “anche la libertà di
manifestazione del pensiero (...)
incontra un limite nella esigen-
za di prevenire o far cessare turba-
menti dell’ordine pubblico, il cui
mantenimento è finalità immanente
nel sistema costituzionale”; nella sen-
tenza n. 87/1966 ha riconosciuto la
legittimità costituzionale del delitto
di propaganda e apologia sovversiva
(art. 272 c.p., poi abrogato con la leg-
ge del 2006), affermando: a) che que-
sto delitto puniva la propaganda della
violenza come mezzo per conseguire
un mutamento dell’ordine vigente;
b) che “la libertà di manifestazione
del pensiero non può ritenersi lesa
da una limitazione posta a tutela del
metodo democratico”; nella sentenza
168/1971 (valutando la legittimità
costituzionale dell’art. 650 c.p.) ha
affermato che “la garanzia dei diritti
inviolabili dell’uomo diverrebbe illu-
soria ove fosse consentito esercitarli
in modo da compromettere altri beni
e diritti, pubblici o individuali, non
ricordati in modo espresso dalla Co-
stituzione”.
Fra questi va incluso l’ordine pubbli-
co inteso come “ordine pubblico co-
stituzionale”; in genere in tutte quelle
sentenze che hanno generalmente sal-
vato la legittimità della c.d. legislazio-
ne di emergenza contro il terrorismo,
la Corte ha affermalo che la tutela
dell’ordine costituzionale giustifica la
incriminazione di ideologie e di com-
portamenti eversivi.
Questa evoluzione giurisprudenzia-
le della Consulta, configura quella
che si chiama “costituzionalizzazione
dell’ordine pubblico”, come limite
all’esercizio dei diritti fondamentali.
6- Orbene, questa seconda impo-
stazione costituzionale del nostro
problema – a mio avviso – deve far
riflettere la dottrina giuridica e la giu-
risprudenza; e deve indurre a supera-
re acritiche accettazioni di opinioni
stancamente ripetitive e minimaliste
in materia di reati neofascisti, che
gettano nella frustrazione o nella in-
dignazione i settori più sensibili della
cultura antifascista. In conclusione,
sembra ormai evidente, ed è comun-
que incontestabile, che l’ordine pub-
blico costituzionale costituisce un
limite alla libertà di manifestazione
del pensiero, nonché alla libertà di ri-
unione. In tal modo va riconosciuta
la legittimità costituzionale del reato
di apologia del fascismo e di quello
di manifestazioni neofasciste, anche se
non configurano un pericolo concreto di
riorganizzazione del partito neofascista,
e quindi indipendentemente dalla XII
disposizione finale (1).
Si costituisce così una forma di tutela
(penale) anticipata della democrazia
antifascista che è imposta o almeno si
giustifica non solo in base alla XII di-
sposizione finale, ma anche in ragione
della genesi resistenziale e del conte-
nuto democratico dalla nostra Costi-
tuzione repubblicana. È una forma di
garanzia giuridica del nostro sistema
costituzionale che si rivela sempre
più imprescindibile in un momento
storico come quello presente, in cui
la garanzia politica e quella culturale
si stanno rivelando insufficienti da-
vanti al risorgere d’impulsi neofasci-
sti e neonazisti, con il risultato di un
progressivo degrado della democrazia
italiana.
Uno dei manifesti di CasaPound
Note
(1)	 Non deve però sfuggire la differenza
tra l’apologia e la manifestazione neofa-
scista, da una parte, e il cosiddetto nega-
zionismo della Shoah, che anche in Italia
si vuoi punire come reato, dall’altra. Nei
primi casi si manifesta un pensiero o si
compiono manifestazioni pubbliche che
sono dirette all’esaltazione del fascismo.
Nell’ultimo caso, si esprime solo una tesi
storiografica, più o meno fondata, sui
comportamenti storici del nazifascismo:
se però si superano i confini della criti-
ca storiografica con lo scopo di esaltare la
Shoah, si ricade nel reato di apologia.

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  • 1. NEOFASCISMO PATRIA INDIPENDENTE/SETTEMBRE 201414 Rilanciare la cultura antifascista del Paese ConlaCostituzione combatteresempre l’apologiadelfascismo L’organizzazione democratica dei partiti ● La vergogna di tante manifestazioni nostalgiche ● Fasci o svastiche sui muri ● Indecisione e tentennamenti nell’applicare la legge di Pierluigi Onorato 1- Non è solo per un proprio dovere istituzionale, ma per una più pro- fonda sensibilità storica, che I’ANPI richiama l’esigenza di rilanciare la cul- tura antifascista nel nostro Paese. In un momento in cui questa cultura si indebolisce, o semplicemente si ritua- lizza, o addirittura lascia il posto alla indifferenza delle giovani generazioni o alla rinascita di agguerrite sottocul- ture fasciste, spesso ambigue e perciò più pericolose. Se questo è vero, oc- corre rivalutare oggi il senso del dirit- to antifascista emanato in Italia dopo la Costituzione repubblicana. Infatti, quando una cultura è forte può fare a meno del diritto che la sancisca; quando la cultura è debole non può rinunciare al ruolo promozionale che il diritto gioca a suo favore. Anche se capovolto, si ripropone in sostanza lo stesso problema sollevato da Renzo De Felice in una intervista che fece scandalo, pubblicata dal Corriere della Sera nel dicembre 1987, il cui senso era ben riassunto nel titolo: “Le nor- me contro il fascismo sono grottesche. Aboliamole!”. Solo che, oggi più mai, la tesi dello storico revisionista del fascismo va ri- baltata: “Le norme contro il fascismo hanno un profondo senso culturale e democratico. Applichiamole!”. 2- Per capire meglio, è utile tener presente la genesi dell’art. 49 Cost., che configura la concezione demo- cratica dei partiti politici, e della XII disposizione transitoria e finale della nostra Carta repubblicana, con cui il Costituente ha inteso attuare le san- zioni contro il fascismo, imposte dagli S i è svolta l’anno scorso a Firenze, nella sede della Provincia, una tavola rotonda sul tema: “Resistenza costituzionale. È ancora reato l’apologia di fascismo? Come utilizzare il dettato costituzionale e le leggi in vigore per combattere l’apologia di fascismo”. Al dibattito – di grande interesse e importanza in un momento come questo – hanno preso parte Paolo Caretti (costituziona- lista), G. Carlo Pajetta (storico) e il magistrato Pierluigi Onorato del quale pubblichiamo un articolo che scaturisce e porta a sintesi i contenuti della tavola rotonda.
  • 2. NEOFASCISMO PATRIA INDIPENDENTE/SETTEMBRE 2014 15 Alleati come condizione del trattato di pace. In esito alla discussione nella Prima Sottocommissione, competen- te sulla materia, sulla base delle solle- citazioni e delle argomentazioni svolte daTogliatti, si decise di non richiedere il requisito dell’organizzazione demo- cratica nella disciplina costituzionale dei partiti politici (la cosiddetta de- mocrazia interna). Secondo Togliat- ti, quel requisito offriva il pretesto a ingerenze antidemocratiche nella vita dei partiti. Si doveva invece soltanto impedire la riorganizzazione del Parti- to Fascista storicamente determinato; mentre eventuali altri partiti contrari al sistema democratico dovevano esse- re combattuti esclusivamente sul ter- reno politico (è la cosiddetta garanzia politica, ma non giuridica, a difesa della democrazia, che ha storicamente caratterizzato la teoria e la pratica del PCI). Risultato di questa discussione fu la formulazione definitiva dell’art. 49 e del primo comma della XII di- sposizione, che venne poi approvata in Assemblea. Secondo l’art. 49 “tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determi- nare la politica nazionale”. In sostan- za, questa norma consacra il plurali- smo partitico con la sola condizione che venga rispettato il metodo della competizione elettorale e parlamenta- re (cioè la democrazia esterna). Non richiede invece alcun esplicito requisi- to di democrazia interna; con la con- seguenza che: a) sinora il legislatore ordinario non è mai intervenuto per imporre un “minimo democratico” nell’organizzazione e nel funziona- mento interno dei partiti politici; b) i giudici chiamati a intervenire nella materia hanno potuto applicare sol- tanto le regole dettate dal codice civile per le associazioni private non rico- nosciute. A norma del primo comma della XII disp., invece, “è vietata la ri- organizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista”. Questa formulazione finale confermava chia- ramente l’impostazione togliattiana, che mirava a delegittimare soltanto quella particolare esperienza storica di partito politico che era stata il Par- tito Fascista Italiano. A scongiurare il pericolo che una siffatta disposizione restasse senza portata normativa per il futuro, in quanto rivolta solo a un passato ormai storicamente risolto, re- stò però la iniziale “clausola di apertu- ra” della fattispecie, ovverosia l’inciso “sotto qualsiasi forma”, che vieta non solo la riorganizzazione di quella for- ma di PF esistita in Italia sino all’av- vento della Repubblica democratica, ma anche la organizzazione di ogni altra forma di partito che ne ripropo- nesse le caratteristiche essenziali. Importante notare la differenza che corre tra la nostra Costituzione e quel- la della Repubblica Federale Tedesca, nata anch’essa dopo la sconfitta del regime totalitario che aveva governato il Paese sino alla seconda guerra mon- diale. La Legge Fondamentale della R.F.T. stabilisce infatti che “l’ordina- mento interno” dei partiti “deve cor- rispondere ai principi fondamentali della democrazia” (art. 21/1); aggiun- gendo che “i partiti che, per le loro finalità o per il comportamento dei loro aderenti, si prefiggono di dan- neggiare od eliminare l’ordinamento fondamentale democratico e liberale o di minacciare l’esistenza della RFT, sono incostituzionali” (art. 21/2). Con tutta evidenza sono ammessi soltanto quei partiti che proclamino e pratichino il metodo democratico sia nell’organizzazione e nel funziona- mento interni (democrazia interna), sia nelle finalità e nei comportamenti esterni (democrazia esterna). Queste differenze si spiegano verosimilmente col fatto che il Costituente italiano, diversamente da quello tedesco, ha considerato il fascismo definitivamen- te superato in quanto battuto non solo dalle armi straniere ma anche dalla Resistenza del popolo italiano. Orbene, l’impostazione adottata dai padri costituenti aveva un senso allo- ra, quando la cultura antifascista era ancora forte e solida. Ha meno senso quando quella cultura si indebo- lisce e si confonde. Tanto ciò è vero che lo stesso partito che ha raccolto l’eredità storica di quello comunista togliattiano, ha presen- tato una proposta di legge per di- sciplinare i requisiti di democrazia interna dei partiti politici. 3- Altrettanto istruttivo della evoluzione storica dell’anti- fascismo è l’esame approfondi- to delle norme che hanno dato attuazione alla XII disposizione finale. Com’è noto, (dopo la leg- ge 1546/1947) è intervenuta la legge Scelba n. 645/1952, che ha sanzionato penalmente sia la rior- ganizzazione del PF (artt. 1 e 2), sia l’apologia del fascismo (art. 4) e le manifestazioni fasciste (art. 5). Il problema più delicato, dal punto di vista sia giuridico sia storico-poli- tico, riguarda non tanto l’attuazione degli articoli 1 e 2, quanto la opera- tività dell’art. 4 e dell’art. 5, infatti, la definizione del partito neofascista, cioè della organizzazione sotto qual- siasi forma del PF, è sufficientemente precisata dall’art. 1 così come modi- ficato dalla successiva legge Reale n. 152/1975. Secondo questo articolo si ha un partito neofascista “quan- do un’associazione, un movimento o comunque un gruppo di persone non inferiore a cinque persegue fina-
  • 3. NEOFASCISMO PATRIA INDIPENDENTE/SETTEMBRE 201416 lità antidemocratiche proprie del partito fascista, esaltando, minac- ciando o usando la violenza quale metodo di lotta politica o propu- gnando la soppressione delle li- bertà garantite dalla Costituzione o denigrando la democrazia, le sue istituzioni e i valori della Re- sistenza, o svolgendo propaganda razzista, ovvero rivolge la sua atti- vità alla esaltazione di esponenti, principi, fatti e metodi propri del predetto partito o compie ma- nifestazioni esteriori di carattere fascista. A questo proposito, non si può assolutamente sostenere che il di- vieto di organizzazione di partiti neofascisti contrasti con la libertà di associarsi in partiti politici ri- conosciuta dall’art. 49 Cost.. Ciò sia perché questa libertà è espres- samente limitata ai partiti che accettino e pratichino la demo- crazia esterna; sia perché è chiara- mente derogata dalla XII disposi- zione finale che ha esplicitamente vietato ogni partito neofascista. 4- Più problematica è invece ri- sultata l’applicazione dell’art. 4 sull’apologia del fascismo e dell’art. 5 sulle manifestazioni fasciste. La norma sull’apologia punisce chiunque fa propaganda per la costituzione di un’associazione, di un movimento o di un gruppo di carat- tere fascista (come definito dall’art. 1), oppure chi pubblicamente esalta esponenti, principi, fatti o metodi del fascismo. La norma successiva puni- sce chiunque, partecipando a pubbli- che riunioni, compie manifestazioni usuali del partito fascista ovvero di organizzazioni naziste (per esempio il saluto romano). In questi casi si è potuto sostenere con apparente fon- datezza che le norme incriminatrici fossero in contrasto, rispettivamen- te, con la libertà di manifestazione del pensiero (art. 21 Cost.) e con la libertà di riunione pubblica (art. 17 Cost.). Ciò perché rispetto a queste li- bertà la XII disposizione non apporta alcuna deroga. In questa materia è quindi intervenu- ta ripetutamente la Corte Costituzio- nale, la quale ha “salvato” la legittimi- tà costituzionale delle suddette norme incriminatrici solo in quanto siano interpretate restrittivamente come dirette (anch’esse) a scongiurare il pe- ricolo di riorganizzazione del partito fascista vietata dalla XII disp.. Ma in questo modo ne ha inevitabilmente limitato e resa incerta la portata nor- mativa. Secondo una prima sentenza, la n. 1 del 1957, la Consulta ha stabilito che la incriminazione dell’apologia del fa- scismo è costituzionalmente legittima (non viola l’art. 21 Cost.) in quanto consiste non in una qualsiasi “difesa elogiativa, ma in una esaltazione tale da poter condurre alla riorganizzazio- ne del partito fascista”, vietata dal XII disp. finale (in sostanza l’apologia è legittimamente punita solo in quanto sia una istigazione indiretta alla rico- stituzione del partito fascista). Sulla stessa linea si colloca Corte Cost. n. 74/1958, la quale ha dichiarato le- gittima la incriminazione delle mani- festazioni fasciste, in quanto vengono proibite solo le manifestazioni pubbli- che (anche se commesse da una sola persona) “idonee a provocare adesioni e consensi e a concorrere alla diffusio- ne di concezioni favorevoli alla rico- stituzione di organizzazioni fasciste”. In sostanza, secondo la giurispruden- za costituzionale, apologia di fascismo e manifestazioni fasciste sono reati solo in quanto “strumentali” alla rior- ganizzazione del PF. In applicazione di questi principi, la giurisprudenza ordinaria ha quindi applicato l’art. 4 e l’art. 5 della legge Scelba solo se e quando configurasse- ro reati di “pericolo concreto” rispet- to alla riorganizzazione del PF. Che il pericolo debba essere concreto e non astratto significa che non tutte le apo- logie e le manifestazioni neofasciste sono per se stesse idonee a produrre una riorganizzazione del partito neo- fascista. È stata quindi inevitabile una oscillazione dei giudici di merito nella valutazione della pericolosità concreta 4 agosto 1944, i partigiani entrano a Firenze da Porta Romana. è necessario, ancora oggi, tenere alti i valori della lotta partigiana e della Resistenza
  • 4. NEOFASCISMO PATRIA INDIPENDENTE/SETTEMBRE 2014 17 delle varie fattispecie sottoposte a giu- dizio. Per esempio, in ordine all’apo- logia si è ravvisato il reato nel disegno sui muri di svastiche o di fasci littori. Invece si è escluso nel caso di lanci di manifestini inneggianti al fascismo e alla Repubblica di Salò. In ordine alle manifestazioni fasci- ste, è stata affermata la responsabilità penale per chi intona l’inno “allarmi siam fascisti”; per chi fa il saluto ro- mano durante un comizio del MSI. Mentre è stato escluso il reato per i fatto di impiegare la parola “camera- ta” all’inizio e alla fine di un comizio; per il fatto d’intonare pubblicamente l’inno “Giovinezza”; o per il fatto di sfilare pubblicamente con gagliardetti d’ispirazione fascista. È di per sé evidente la incoerenza di simili soluzioni. Il limite di questa im- postazione è quello di considerare la legittimità dell’apologia di fascismo e delle manifestazioni fasciste solo alla luce della XII disp. finale. Con la con- seguenza inevitabile di rendere incerta o addirittura impossibile la configura- zione del reato. 5- In seguito però s’è registrata una evoluzione della giurisprudenza costituzionale nella considerazione dei limiti costituzionali della libertà di manifestazione del pensiero e del- le altre libertà fondamentali ricono- sciute nella Carta repubblicana. In particolare, rispetto alla libertà di pensiero sono stati ravvisati limiti non solo nella tutela di beni privati implicitamente rin- venibili nella Carta, come il di- ritto all’onore e alla reputazione personale (per cui resta reato ingiuriare o diffamare una per- sona), ma anche nella tutela di beni pubblici pure iscritti nella Carta. Così, per limitarsi agli esempi più significativi: nella sentenza n. 19/1962, la Corte, investita della questione di le- gittimità costituzionale dell’art. 656 c.p. (che punisce la pubbli- cazione o diffusione di notizie false o tendenziose atte a tur- bare l’ordine pubblico), ha af- fermato che “anche la libertà di manifestazione del pensiero (...) incontra un limite nella esigen- za di prevenire o far cessare turba- menti dell’ordine pubblico, il cui mantenimento è finalità immanente nel sistema costituzionale”; nella sen- tenza n. 87/1966 ha riconosciuto la legittimità costituzionale del delitto di propaganda e apologia sovversiva (art. 272 c.p., poi abrogato con la leg- ge del 2006), affermando: a) che que- sto delitto puniva la propaganda della violenza come mezzo per conseguire un mutamento dell’ordine vigente; b) che “la libertà di manifestazione del pensiero non può ritenersi lesa da una limitazione posta a tutela del metodo democratico”; nella sentenza 168/1971 (valutando la legittimità costituzionale dell’art. 650 c.p.) ha affermato che “la garanzia dei diritti inviolabili dell’uomo diverrebbe illu- soria ove fosse consentito esercitarli in modo da compromettere altri beni e diritti, pubblici o individuali, non ricordati in modo espresso dalla Co- stituzione”. Fra questi va incluso l’ordine pubbli- co inteso come “ordine pubblico co- stituzionale”; in genere in tutte quelle sentenze che hanno generalmente sal- vato la legittimità della c.d. legislazio- ne di emergenza contro il terrorismo, la Corte ha affermalo che la tutela dell’ordine costituzionale giustifica la incriminazione di ideologie e di com- portamenti eversivi. Questa evoluzione giurisprudenzia- le della Consulta, configura quella che si chiama “costituzionalizzazione dell’ordine pubblico”, come limite all’esercizio dei diritti fondamentali. 6- Orbene, questa seconda impo- stazione costituzionale del nostro problema – a mio avviso – deve far riflettere la dottrina giuridica e la giu- risprudenza; e deve indurre a supera- re acritiche accettazioni di opinioni stancamente ripetitive e minimaliste in materia di reati neofascisti, che gettano nella frustrazione o nella in- dignazione i settori più sensibili della cultura antifascista. In conclusione, sembra ormai evidente, ed è comun- que incontestabile, che l’ordine pub- blico costituzionale costituisce un limite alla libertà di manifestazione del pensiero, nonché alla libertà di ri- unione. In tal modo va riconosciuta la legittimità costituzionale del reato di apologia del fascismo e di quello di manifestazioni neofasciste, anche se non configurano un pericolo concreto di riorganizzazione del partito neofascista, e quindi indipendentemente dalla XII disposizione finale (1). Si costituisce così una forma di tutela (penale) anticipata della democrazia antifascista che è imposta o almeno si giustifica non solo in base alla XII di- sposizione finale, ma anche in ragione della genesi resistenziale e del conte- nuto democratico dalla nostra Costi- tuzione repubblicana. È una forma di garanzia giuridica del nostro sistema costituzionale che si rivela sempre più imprescindibile in un momento storico come quello presente, in cui la garanzia politica e quella culturale si stanno rivelando insufficienti da- vanti al risorgere d’impulsi neofasci- sti e neonazisti, con il risultato di un progressivo degrado della democrazia italiana. Uno dei manifesti di CasaPound Note (1) Non deve però sfuggire la differenza tra l’apologia e la manifestazione neofa- scista, da una parte, e il cosiddetto nega- zionismo della Shoah, che anche in Italia si vuoi punire come reato, dall’altra. Nei primi casi si manifesta un pensiero o si compiono manifestazioni pubbliche che sono dirette all’esaltazione del fascismo. Nell’ultimo caso, si esprime solo una tesi storiografica, più o meno fondata, sui comportamenti storici del nazifascismo: se però si superano i confini della criti- ca storiografica con lo scopo di esaltare la Shoah, si ricade nel reato di apologia.