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Quando il lavoro è usurante 
Matteo Richiardi 
Roberto Leombruni 
La virtù principale del sistema contributivo per il calcolo delle pensioni dovrebbe essere la sua 
cosiddetta "equità attuariale": tanto si versa in contributi durante la vita lavorativa, tanto si 
prende, tenendo conto del tasso di interesse, come pensione negli anni che rimangono. "Se" 
rimangono. A ben guardare, infatti, si scopre che al danno si aggiunge la beffa: chi svolge lavori 
meno qualificati in media vive di meno, e quindi oltre a guadagnare meno e ai tanti altri 
svantaggi collegati alla sua condizione, gode della pensione per minor tempo, ovvero viene 
costretto a lasciare in eredità allo Stato un pezzetto della sua "ricchezza pensionistica". E lo 
Stato utilizza questo regalo per pagare pensioni più elevate a dottori, avvocati, ingegneri, oltre 
che a professori universitari e politici. 
I coefficienti di conversione 
Non sapendo quanto ciascuno di noi vivrà, i sistemi contributivi si basano per il calcolo delle 
pensioni sulle tavole di mortalità, che permettono di prevedere per ogni età, in media, quanti 
anni di vita rimangono. È da queste tavole che nascono i "coefficienti di conversione", che 
trasformano il montante contributivo (quanto è stato versato nel corso della vita lavorativa) 
nell’ammontare della pensione mensile. 
Le tavole di mortalità non rimangono però immutate nel tempo: fortunatamente si vive sempre 
più a lungo, e questo introduce un errore nel calcolo che favorisce i pensionati a scapito 
dell’Inps. Da qui la necessità di rivedere di tanto in tanto i coefficienti, sancita per legge dalla 
riforma Dini nel 1995. Sandro Gronchi e Raimondo Manca su lavoce.info (LINK) stimano che a 
oggi i coefficienti siano sbagliati per eccesso di oltre il 12 per cento. 
È ingiusto, e va corretto. Ma esistono altri elementi di iniquità del sistema. 
La disuguaglianza nelle aspettative di vita 
Le aspettative di vita sono significativamente diverse a seconda della classe socio-economica e 
del tipo di lavoro prevalentemente svolto nel corso della vita lavorativa. Quanto diverse? In 
Inghilterra, un operaio non specializzato che arriva a 65 anni vive in media ancora 13 anni 
(tabelle 1 e 2). Un avvocato ne vive ben cinque di più. Per le donne il differenziale è più ridotto, 
un po’ meno di quattro anni. 
I dati riportati da studi relativi ad altri paesi europei sono sostanzialmente simili. (1) In 
Finlandia la differenza di vita attesa tra lavoratori manuali e non manuali (a 35 anni) è stimata 
in 4,4 anni per gli uomini e in 2,2 per le donne. (2) In Germania, guardando al reddito invece 
che all’occupazione, si trova una differenza massima di circa 6 anni per gli uomini (a 65 anni). 
(3) 
Tabella 1: Aspettativa di vita a 65 anni, Inghilterra e Galles, 1997-2001 
Classe sociale Uomini Donne 
I 18,3 ± 0,8 20,6 ± 0,9 
II 17,1 ± 0,4 20,1 ± 0,4 
III N 16,7 ± 0,5 19,7 ± 0,4
III M 15,2 ± 0,3 18,2 ± 0,4 
IV 14,2 ± 0,4 17,8 ± 0,4 
V 13,3 ± 0,7 16,9 ± 0,6 
Tutte 15,7 ± 0,2 18,8 ± 0,2 
Fonte: UK National Statistics (2006) 
Tabella 2: Classi sociali in base all’occupazione 
Classe sociale Descrizione 
Lavori non manuali 
I Professionisti 
II Manager, Quadri 
III N Impiegati 
Lavori manuali 
III M Operai qualificati 
IV Operai semi-qualificati 
V Operai non qualificati 
Fonte: UK National Statistics (2006) 
E in Italia? In Italia, come al solito, mancano i dati. Uno studio-pilota su Torino calcola gli anni 
perduti rispetto al raggiungimento della soglia dei 75 anni, per settore di occupazione. (4) A 55 
anni, avvocati, magistrati, medici e commercialisti hanno un vantaggio in termini di vita attesa, 
senza considerare quello che succede oltre i 75 anni, di quasi 2 anni rispetto agli addetti alle 
pulizie. Tenendo conto che i primi hanno anche una maggiore probabilità di vivere a lungo dopo 
i 75 anni, questo dato deve essere interpretato come un differenziale minimo. 
Tabella 3: Speranza di vita a 65 anni per professioni.
Professione Anni perduti 
Le migliori 
Forze armate 1,2 
Medici, dentisti, psicologi, farmacisti 1,6 
Avvocati, magistrati, notai, commercialisti 1,6 
Insegnanti 1,8 
Vigili, agenti PS, finanza e penitenziari 1,8 
Dirigenti, imprenditori, legislatori, amministratori 1,9 
Professioni tecniche 2,0 
Impiegati di concetto 2,0 
Lavoratori del legno 2,0 
Le peggiori 
Spedizionieri, imballatori 3,1 
Lavoratori dell’alimentare 3,1 
Gasisti, idraulici, termoidraulici 3,3 
Addetti a pulizie e raccolta-trattamento rifiuti 3,3 
Portalettere, fattorini postali 3,9 
Il campione è costituito dai residenti a Torino di 18-64 anni 
nel 1991, grazie allo Studio longitudinale torinese, che 
associa informazioni anagrafiche, censuarie e sanitarie della 
popolazione residente, seguiti dal 1991 al 1999. Sono 
presenti solo le professioni con numerosità pari ad almeno 
lo 0,5 per cento della popolazione attiva. 
Fonte: nostra elaborazione su Spadea et al. (2005).
Da dove nascono queste differenze? I fattori possono essere tanti: reddito, educazione, 
provenienza famigliare, esposizione a fattori di rischio connessi con la professione, diverse 
abitudini e stili di vita. (5) Ma il risultato rimane: chi fa certi lavori guadagna meno, vive di 
meno, e paga di più. 
Ovviamente, le differenze possono nascere anche da diversi comportamenti imputabili ai 
lavoratori. Per esempio, è noto che in alcune classi sociali l’attitudine al fumo è più diffusa. Ma 
chiedere al sistema pensionistico pubblico di discriminare, per dire, tra fumatori e non fumatori, 
tra chi segue una dieta equilibrata e chi no, tra chi svolge esercizio fisico e chi è sovrappeso, è 
troppo. Sarebbe voler trasformare le pensioni pubbliche in assicurazioni private. 
Una proposta 
Le differenze in termini di vita attesa possono però essere utilizzate per definire in maniera non 
arbitraria i lavori usuranti. Ovviamente, senza entrare in distinzioni troppo fini, per cui tra l’altro 
mancano i dati. Ma è possibile arrivare a una divisione delle professioni in tre classi sulla base 
di studi epidemiologici in parte esistenti e in parte da promuovere, insieme alla definizione di un 
meccanismo di attribuzione delle carriere a una di queste. Per tenerne poi conto non solo 
quando si discute di requisiti di ammissibilità (che non dovrebbero modificare, secondo la logica 
contributiva, l’equità attuariale del sistema), ma anche quando si discute di coefficienti di 
trasformazione, che invece hanno un impatto diretto sull’equità. 
(1) Huisman M., A.E. Kunst, O. Andersen, M. Bopp, J.-K. Borgan, C. Borrell, G. Costa, T. 
Spadea, P. Deboosere, G. Desplanques, A. Donkin, S. Gadeyne, C. Minder, E. Regidor, T. 
Valkonen, J.P. Mackenbach (2004), "Socioeconomic inequalities in mortality among elderly 
people in 11 European populations", Journal of Epidemiology and Community Health, 58: 468- 
475 
(2) Martikainen P., T. Valkonen, T. Martelin (2001), "Change in male and female life expectancy 
by social class: decomposition by age and cause of death in Finland 1971-95", J. Epidemiol. 
Community Health, 55: 494-499 
(3) von Gaudecker H.-M., R.D. Scholz (2006), "Lifetime Earnings and Life Expectancy", Mpidr 
Working Paper WP 2006-008 
(4) Spadea et al., 2005 
(5) Per esempio propensione al fumo, a svolgere attività fisica, a seguire una dieta sana, 
eccetera. Per le differenze tra uomini e donne, vedi Conti S., G. Farchi, M. Masocco, G. Minelli, 
V. Toccaceli, M. Vichi (2003), "Gender differentials in life expectancy in Italy", European Journal 
of Epidemiology, 18: 107–112

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Quando il lavoro è usurante

  • 1. Quando il lavoro è usurante Matteo Richiardi Roberto Leombruni La virtù principale del sistema contributivo per il calcolo delle pensioni dovrebbe essere la sua cosiddetta "equità attuariale": tanto si versa in contributi durante la vita lavorativa, tanto si prende, tenendo conto del tasso di interesse, come pensione negli anni che rimangono. "Se" rimangono. A ben guardare, infatti, si scopre che al danno si aggiunge la beffa: chi svolge lavori meno qualificati in media vive di meno, e quindi oltre a guadagnare meno e ai tanti altri svantaggi collegati alla sua condizione, gode della pensione per minor tempo, ovvero viene costretto a lasciare in eredità allo Stato un pezzetto della sua "ricchezza pensionistica". E lo Stato utilizza questo regalo per pagare pensioni più elevate a dottori, avvocati, ingegneri, oltre che a professori universitari e politici. I coefficienti di conversione Non sapendo quanto ciascuno di noi vivrà, i sistemi contributivi si basano per il calcolo delle pensioni sulle tavole di mortalità, che permettono di prevedere per ogni età, in media, quanti anni di vita rimangono. È da queste tavole che nascono i "coefficienti di conversione", che trasformano il montante contributivo (quanto è stato versato nel corso della vita lavorativa) nell’ammontare della pensione mensile. Le tavole di mortalità non rimangono però immutate nel tempo: fortunatamente si vive sempre più a lungo, e questo introduce un errore nel calcolo che favorisce i pensionati a scapito dell’Inps. Da qui la necessità di rivedere di tanto in tanto i coefficienti, sancita per legge dalla riforma Dini nel 1995. Sandro Gronchi e Raimondo Manca su lavoce.info (LINK) stimano che a oggi i coefficienti siano sbagliati per eccesso di oltre il 12 per cento. È ingiusto, e va corretto. Ma esistono altri elementi di iniquità del sistema. La disuguaglianza nelle aspettative di vita Le aspettative di vita sono significativamente diverse a seconda della classe socio-economica e del tipo di lavoro prevalentemente svolto nel corso della vita lavorativa. Quanto diverse? In Inghilterra, un operaio non specializzato che arriva a 65 anni vive in media ancora 13 anni (tabelle 1 e 2). Un avvocato ne vive ben cinque di più. Per le donne il differenziale è più ridotto, un po’ meno di quattro anni. I dati riportati da studi relativi ad altri paesi europei sono sostanzialmente simili. (1) In Finlandia la differenza di vita attesa tra lavoratori manuali e non manuali (a 35 anni) è stimata in 4,4 anni per gli uomini e in 2,2 per le donne. (2) In Germania, guardando al reddito invece che all’occupazione, si trova una differenza massima di circa 6 anni per gli uomini (a 65 anni). (3) Tabella 1: Aspettativa di vita a 65 anni, Inghilterra e Galles, 1997-2001 Classe sociale Uomini Donne I 18,3 ± 0,8 20,6 ± 0,9 II 17,1 ± 0,4 20,1 ± 0,4 III N 16,7 ± 0,5 19,7 ± 0,4
  • 2. III M 15,2 ± 0,3 18,2 ± 0,4 IV 14,2 ± 0,4 17,8 ± 0,4 V 13,3 ± 0,7 16,9 ± 0,6 Tutte 15,7 ± 0,2 18,8 ± 0,2 Fonte: UK National Statistics (2006) Tabella 2: Classi sociali in base all’occupazione Classe sociale Descrizione Lavori non manuali I Professionisti II Manager, Quadri III N Impiegati Lavori manuali III M Operai qualificati IV Operai semi-qualificati V Operai non qualificati Fonte: UK National Statistics (2006) E in Italia? In Italia, come al solito, mancano i dati. Uno studio-pilota su Torino calcola gli anni perduti rispetto al raggiungimento della soglia dei 75 anni, per settore di occupazione. (4) A 55 anni, avvocati, magistrati, medici e commercialisti hanno un vantaggio in termini di vita attesa, senza considerare quello che succede oltre i 75 anni, di quasi 2 anni rispetto agli addetti alle pulizie. Tenendo conto che i primi hanno anche una maggiore probabilità di vivere a lungo dopo i 75 anni, questo dato deve essere interpretato come un differenziale minimo. Tabella 3: Speranza di vita a 65 anni per professioni.
  • 3. Professione Anni perduti Le migliori Forze armate 1,2 Medici, dentisti, psicologi, farmacisti 1,6 Avvocati, magistrati, notai, commercialisti 1,6 Insegnanti 1,8 Vigili, agenti PS, finanza e penitenziari 1,8 Dirigenti, imprenditori, legislatori, amministratori 1,9 Professioni tecniche 2,0 Impiegati di concetto 2,0 Lavoratori del legno 2,0 Le peggiori Spedizionieri, imballatori 3,1 Lavoratori dell’alimentare 3,1 Gasisti, idraulici, termoidraulici 3,3 Addetti a pulizie e raccolta-trattamento rifiuti 3,3 Portalettere, fattorini postali 3,9 Il campione è costituito dai residenti a Torino di 18-64 anni nel 1991, grazie allo Studio longitudinale torinese, che associa informazioni anagrafiche, censuarie e sanitarie della popolazione residente, seguiti dal 1991 al 1999. Sono presenti solo le professioni con numerosità pari ad almeno lo 0,5 per cento della popolazione attiva. Fonte: nostra elaborazione su Spadea et al. (2005).
  • 4. Da dove nascono queste differenze? I fattori possono essere tanti: reddito, educazione, provenienza famigliare, esposizione a fattori di rischio connessi con la professione, diverse abitudini e stili di vita. (5) Ma il risultato rimane: chi fa certi lavori guadagna meno, vive di meno, e paga di più. Ovviamente, le differenze possono nascere anche da diversi comportamenti imputabili ai lavoratori. Per esempio, è noto che in alcune classi sociali l’attitudine al fumo è più diffusa. Ma chiedere al sistema pensionistico pubblico di discriminare, per dire, tra fumatori e non fumatori, tra chi segue una dieta equilibrata e chi no, tra chi svolge esercizio fisico e chi è sovrappeso, è troppo. Sarebbe voler trasformare le pensioni pubbliche in assicurazioni private. Una proposta Le differenze in termini di vita attesa possono però essere utilizzate per definire in maniera non arbitraria i lavori usuranti. Ovviamente, senza entrare in distinzioni troppo fini, per cui tra l’altro mancano i dati. Ma è possibile arrivare a una divisione delle professioni in tre classi sulla base di studi epidemiologici in parte esistenti e in parte da promuovere, insieme alla definizione di un meccanismo di attribuzione delle carriere a una di queste. Per tenerne poi conto non solo quando si discute di requisiti di ammissibilità (che non dovrebbero modificare, secondo la logica contributiva, l’equità attuariale del sistema), ma anche quando si discute di coefficienti di trasformazione, che invece hanno un impatto diretto sull’equità. (1) Huisman M., A.E. Kunst, O. Andersen, M. Bopp, J.-K. Borgan, C. Borrell, G. Costa, T. Spadea, P. Deboosere, G. Desplanques, A. Donkin, S. Gadeyne, C. Minder, E. Regidor, T. Valkonen, J.P. Mackenbach (2004), "Socioeconomic inequalities in mortality among elderly people in 11 European populations", Journal of Epidemiology and Community Health, 58: 468- 475 (2) Martikainen P., T. Valkonen, T. Martelin (2001), "Change in male and female life expectancy by social class: decomposition by age and cause of death in Finland 1971-95", J. Epidemiol. Community Health, 55: 494-499 (3) von Gaudecker H.-M., R.D. Scholz (2006), "Lifetime Earnings and Life Expectancy", Mpidr Working Paper WP 2006-008 (4) Spadea et al., 2005 (5) Per esempio propensione al fumo, a svolgere attività fisica, a seguire una dieta sana, eccetera. Per le differenze tra uomini e donne, vedi Conti S., G. Farchi, M. Masocco, G. Minelli, V. Toccaceli, M. Vichi (2003), "Gender differentials in life expectancy in Italy", European Journal of Epidemiology, 18: 107–112