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Ritorno alla realtà: biblioteche digitali e spazi di coworking
nell'epoca dell'economia della condivisione
di Tommaso Paiano, Warehouse Coworking Factory, Marotta (PU)
Relazione presentata al convegno
rilasciata sotto licenza Creative Commons by-sa 4.0
Pubblicata in : Digital library, la biblioteca partecipata : collezioni, connessioni, comunità : convegno
Milano, 12-13 marzo 2015 : relazioni / a cura dell'Associazione Biblioteche oggi - Milano : Editrice
Bibliografica, 2015 - 196 p. : ill. ; 29 cm (( Sulla coperta: Convegno Biblioteche Stelline, 20. edizione
SLIDE: <http://www.slideshare.net/tommasopaiano1/ritorno-alla-realt>
***************************************************************************************
Queste riflessioni1
tentano di fare un controcanto rispetto alle analisi e alla passione che ci spinge
ad approfondire il tema caldissimo della digital library. Senza alcuna presunzione, cercherò di
dimostrare che la digital library favorisce un ritorno alla realtà, nella quale riacquistano centralità
le biblioteche intese come spazi fisici e riottengono importanza anche i bibliotecari come
professionisti della conoscenza e dell'informazione che possono operare anche fuori dalla
biblioteca. Sto sperimentando in prima persona la possibilità di lavorare oltre le mura delle
biblioteche frequentando lo spazio di lavoro collaborativo Warehouse Coworking Factory2
in
provincia di Pesaro nel quale sono anche parte del team di gestione.
Il mondo del lavoro. Secondo la rivista Deskmag, cioè il principale periodico mondiale che si
occupa del fenomeno del coworking, le parole chiave che identificano questo nuovo stile di lavoro
sono: collaborazione, amichevolezza, creatività, produttività, ispirazione, flessibilità, social,
innovazione, motivazione, efficienza, comunità, divertimento.3
Un'altra parola usata di frequente
(e decisamente abusata nello scenario attuale) è “rivoluzione”, in genere associata ai cambiamenti
indotti dall'innovazione tecnologica e che comporta un altrettanto profonda trasformazione
sociale ed economica.
1
All’interno della presente relazione farò spesso riferimento al mio articolo Appunti di un bibliotecario aspirante
coworker pubblicato su “Vedi Anche” il notiziario online e Open access della Sezione Liguria dell'Associazione Italiana
Biblioteche, <http://leo.cineca.it/index.php/vedianche/article/view/11022>.
2
<http://www.warehouse.marche.it>.
3
<http://www.deskmag.com>.
Che il cambiamento in atto sia desiderabile o meno, per aiutarmi nella focalizzazione del tema uso
l'analisi di Aldo Bonomi4
, il quale individua alcuni flussi che sostanziano il cosiddetto "capitalismo
delle reti" e cioè i flussi del sistema finanziario, del sistema delle imprese transnazionali, del
sistema dei trasporti, della governance europea e internazionale e il sistema delle informazioni
(nel quale anche i bibliotecari operano). E' evidente, secondo l'economista, che si sta imponendo
definitivamente un nuovo modello produttivo in cui aumenta l’importanza delle componenti
immateriali, delle tecnologie informatiche, di un capitale umano fatto di saperi formali e informali
che sta modificando anche la composizione del mercato del lavoro.
Ad esempio5
"nel 2013 quasi ¼ dell’occupazione totale italiana è costituita da autonomi: su
22.420.000 occupati 5.542.000 sono autonomi. E quasi ¼ dell’occupazione autonoma è lavoro
professionale (1.286.000)". Le statistiche ci dicono che il lavoro professionale si diffonde sempre di
più. "*...+ Poco meno del 6% dell’occupazione è costituita da professionisti autonomi ed è una
percentuale in crescita, nonostante la crisi che ha compresso l’occupazione complessiva (che nel
2013 ritorna ai livelli del 2004) e in controtendenza con il restante lavoro autonomo (artigiani,
commercianti, imprenditori), in deciso calo. La crisi del mercato del lavoro, la scarsità di
opportunità di occupazione dipendente, spinge lavoratori che possono contare su competenze
specializzate ad inventarsi un lavoro".6
A rinforzare questa analisi contribuisce la previsione che negli USA entro il 2020 il 40% della forza
lavoro sarà costituita da freelance7
.
In italia, come all'estero, chi trova o riesce ad inventarsi un'attività può imbattersi in alcune
specifiche modalità di lavoro come:
● Telecommuting: un modo di lavorare indipendente dalla localizzazione geografica
dell'ufficio o dell'azienda, facilitato dall'uso di strumenti informatici e telematici e
caratterizzato da una flessibilità sia nell’organizzazione, sia nelle modalità di svolgimento;
● Results-Only Work Environment (ROWE). I risultati sono l'unico scopo del lavoro. Il
lavoratore stesso può definire il proprio piano di lavoro e decidere quando e per quanto
tempo fermarsi;
● Hot Desking: sistema di organizzazione dell'ufficio che coinvolge più lavoratori che si
alternano su una singola postazione di lavoro;
● Offsite meetings: riunioni lontano dal posto di lavoro;
● Intrapreneurship: cioè il comportarsi come un imprenditore anche se si è dipendenti
dell'organizzazione;
● Sharing economy: cioè un modello lavorativo basato su di un insieme di pratiche di
scambio e condivisione siano questi beni materiali, servizi o conoscenze.8
4
Aldo Bonomi, Il capitalismo in-finito, Torino: Einaudi, 2013.
5
ACTA, Lavoro autonomo professionale. Diamo i numeri, 14 novembre 2014,
<http://www.actainrete.it/2014/11/lavoro-autonomo-professionale-diamo-i-numeri/>.
6
Un’altra indagine sul mondo dei freelance è consultabile su Quanti sono i freelance?, Addlance, 25 maggio 2014,
<http://www.addlance.com/blog/quanti-sono-i-freelance/?lang=it>.
7
Freelance: ecco perché saranno la forza lavoro del futuro, Panorama, 12 novembre 2014,
<http://www.panorama.it/economia/lavoro/freelance-forza-lavoro-futuro/>.
8
Ringrazio Meg Knodl, bibliotecaria americana vicina al mondo dei coworking già dal 2011, per avermi
involontariamente fornito lo spunto con le sue slide consultabili all’indirizzo
<http://www.alaeditions.org/blog/192/continuing-conversation-making-space-entrepreneurs-and-independent-
workers>.
La sharing economy. Proprio quest'ultimo modello, cioè l'economia della condivisione,
rappresenterebbe per Jeremy Rifkin l'evidenza che si sta generando quello che lui definisce
"Commons collaborativo"9
, cioè un nuovo paradigma economico dall'avvento del capitalismo e del
socialismo nel XIX secolo. Cuore pulsante di questa grande trasformazione nel nostro modo di
produrre e di consumare è l'"Internet delle cose", cioè un'infrastruttura intelligente formata dal
virtuoso intreccio di Internet delle comunicazioni, Internet dell'energia e Internet della logistica,
che ha l'effetto di spingere la produttività fino al punto in cui il costo marginale di numerosi beni e
servizi viene in pratica quasi azzerato, rendendoli praticamente gratuiti, abbondanti e non più
soggetti alle forze del mercato. Secondo Rifkin protagonisti di questa tendenza sono i prosumers,
cioè dei consumatori diventati produttori in proprio, che generano e condividono su scala laterale
e paritaria informazioni (e quindi anche documenti), intrattenimento, energia verde e prodotti
realizzati con la stampa 3D.
I pilastri della sharing economy secondo Nesta10
, un’organizzazione inglese che si occupa del
fenomeno, sono:
● consumo collaborativo: cioè l'accesso a beni o servizi attraverso il baratto, il noleggio, il
prestito, il commercio, il leasing, la rivendita (gruppi di acquisto solidale, cohousing,
carsharing, couchsurfing, ecc)
● produzione collaborativa: gruppi o reti di progettazione condivisa che producono e
distribuiscono beni e servizi (coworking, codesign, fablab, ecc)
● apprendimento collaborativo: imparare insieme a partire da esperienze, competenze e
conoscenze condivise (corsi, network online);
● finanziamento collaborativo: prestiti e investimenti effettuati da individui o gruppi al di
fuori delle istituzioni finanziarie tradizionali (crowdfunding, social lending).
La sharing economy si fonda quindi su tre fattori chiave: condivisione di beni e competenze,
relazioni orizzontali tra individui e organizzazioni, nuove piattaforme e tecnologie informatiche. “E
se i principi che abbiamo menzionato sono antichi, e pertanto solidi, nuovi e dirompenti sono gli
strumenti con cui vengono erogati beni e servizi. Applicazioni, mobile e social ne hanno
improvvisamente moltiplicato la portata, mettendo in contatto facilmente, a distanza, offerenti ed
utilizzatori.”11
Il coworking. Un ruolo di rilievo nell'affermazione della sharing economy lo sta avendo il
coworking cioè un nuovo stile lavorativo che combina la condivisione di un ambiente fisico e di
risorse tra professionisti12
che fanno lavori diversi con approccio collaborativo. Coworking infatti
significa letteralmente lavoro in comune. Il coworking è in sostanza un luogo in cui i lavoratori
freelance, piccole aziende, gruppi di lavoro aziendali possono riunirsi per condividere idee e
progetti. Il coworking è anche un'alternativa a lavorare da casa o nei bar, in solitudine.
Gli spazi di coworking e i lavoratori che li frequentano in Italia sono migliaia ormai13
. Se ne trovano
nelle grandi come nelle piccole città. Caratteristiche importanti di questo modo di lavorare sono:
9
Jeremy Rifkin, La società a costo marginale zero. L'internet delle cose, l'ascesa del «commons» collaborativo e l'eclissi
del capitalismo, Milano: Mondadori, 2014
10
<http://www.nesta.org.uk/sites/default/files/making_sense_of_the_uk_collaborative_economy_14.pdf>
11
Sharing economy: la vera sfida dell’innovazione è non proibire, Ninja marketing, 10 giugno 2014,
<http://www.ninjamarketing.it/2014/06/10/sharing-economy-non-proibire/>.
12
Architetti, designer, informatici, editori, traduttori, ricercatori, consulenti di viaggio, grafici, esperti di marketing,
ecc.
13
Vedi la rete Cowo <http://www.coworkingproject.com/> oppure Coworking Italia <http://coworkingitalia.org/>.
● parità tra uomini e donne;
● alti livelli di istruzione;
● vecchie e nuove professionalità coinvolte;
● spazi comuni e individuali;
● postazioni di lavoro e aree relax;
● condivisione e serendipity;
● incremento del capitale sociale;
● esternalità positive per le aziende del territorio;
● riqualificazione urbana;
● collaborazione pubblico-privato;
● mutualismo;
● formazione e competenze.
Le biblioteche e i bibliotecari nell’economia della condivisione. Ma cosa c'entrano le biblioteche
con la sharing economy? Tutto! Senza voler approfondire il caso dell'antica biblioteca di
Alessandria, che deve essere stato il primo coworking della storia, è chiaro che la biblioteca
rappresenta una delle più antiche istituzioni di economia condivisa14
. La biblioteca condivide da
sempre gli spazi, le infrastrutture digitali, le collezioni, le competenze15
. Le biblioteche sono il
risultato di una messa in comune delle risorse (raccolte con le tasse) per il finanziamento e
l'acquisto di materiali che vengono posti a disposizione di tutti i membri di quella comunità.
Secondo Ivan Illich, in tempi non sospetti, ben prima quindi che si diffondesse il tema “sharing
economy”, la biblioteca rappresenta non solo uno strumento condiviso che garantisce l’accesso al
sapere alla propria comunità ma è anche il prototipo di qualsiasi strumento conviviale: “At its best
the library is the prototype of a convivial tool. Repositories for other learning tools can be
organized on its model, expanding access to tapes, pictures, records, and very simple labs filled
with the same scientific instruments with which most of the major breakthroughs of the last
century were made.”16
Gli spazi di coworking in biblioteca. Non è strano quindi osservare che si vanno diffondendo
all'interno delle biblioteche spazi e servizi dedicati a makers, fablab e, in particolare all'estero,
spazi di coworking. Le parole chiave più ricorrenti nelle esperienze e negli studi di settore all'estero
individuano la biblioteca come supporto e servizio all’autoimpiego e ai nuovi imprenditori; piccole
e grandi incubatrici di startup; spazio per la community collaboration, coworking, digital media
labs, hackerspaces17
. Le biblioteche, gratis o in cambio di qualche ora di prestazione professionale
a favore dei propri utenti, mettono a disposizione dei lavoratori e delle piccole imprese:
14
Di questo fenomeno si comincia a parlarne anche nell’associazione dei bibliotecari americani, ALA (American Library
Association) <http://www.ala.org/transforminglibraries/future/trends/sharingeconomy>.
15
<https://librarianshipwreck.wordpress.com/2014/07/10/if-you-want-to-see-the-sharing-economy-go-to-the-
library/>
16
Ivan Illich, Tools for conviviality, 1973. Il passaggio citato si trova nella versione spagnola del testo
<http://www.altraofficina.it/ivanillich/Allegati/La%20convivencialidad.rtf> e in quella inglese
<http://clevercycles.com/blog/tools_for_conviviality/> nel capitolo intitolato “Overprogramming”. Non è disponibile
invece nel corrispettivo capitolo intotolato “Superprogrammazione” della traduzione italiana, curata da Maurizio
Cucchi, apparsa la prima volta nel 1974 per i tipi di Mondadori e basata sulla versione francese del 1973, nella quale
scompaiono purtroppo tutte le riflessioni di Ivan Illich intorno al ruolo delle biblioteche sul tema della convivialità.
Vedi: Ivan Illich, La convivialità, Milano: Mondadori, 1974 ; Ivan Illich, La convivialité, Paris: Edition du Seuil, 1973.
17
Alcuni esempi sono a: Helsinki
<http://www.helmet.fi/enUS/Libraries_and_services/Work_and_have_fun/Toolkit_for_the_modern_worker_on_the_
● postazioni singole e sale riunioni
● aree per parlare al telefonino
● aree per fare videoconferenze
● collezioni cartacee e digitali
● reference e fornitura di informazione personalizzata
● utenti come risorse per altri utenti
● personale bibliotecario competente
Le biblioteche diventano così dei grandi incubatori di idee, di start-up e di piccole imprese, e grazie
alla loro grande tradizione cooperativa fungono anche da rete affidabile nella quale lavoratori e
aziende posso ritrovare sostegno e accesso alle risorse.
Sappiamo tutti come in questo periodo la pubblica amministrazione è costretta a inseguire
imprese e società civile sul tema dell'innovazione e del welfare. Conosciamo bene anche la scarsa
qualità dei servizi che troppo spesso la PA offre. Ma se il coworking viene incorporato nel tessuto
amministrativo, può diventare uno strumento per far recuperare centralità all'offerta di servizi di
pubblica utilità sempre più necessari per agire in futuro, sia per i cittadini che per le imprese?
Crediamo di si, e l’attenzione rivolta al fenomeno da alcune amministrazioni pubbliche sembrano
dimostrarlo18
.
I bibliotecari ambulanti. Innanzitutto, non è obbligatorio che il bibliotecario sia dipendente
pubblico per lavorare in coworking. Può essere anche un freelance, un libero professionista, uno
startupper… Quello che definisco mobile reference lo tradurrei semplicemente in italiano con
"bibliotecario ambulante" e dal momento che oggi una grandissima parte di risorse è disponibile
attraverso un portatile e una connessione wi-fi appare scontato quanto è importante l'esistenza di
una digital library pubblica per lavorare dentro e fuori le mura di un edificio e garantire l’accesso
all’informazione a tutti, senza discriminazioni.
“Il bibliotecario coworker deve essere competente nell’analisi del contesto; nella scelta degli spazi,
nell’arredamento, nell’allestimento delle postazioni; nell’acquisizione e il trattamento delle
collezioni; nell’erogazione di servizi di reference e formazione; nella gestione delle community e
delle competenze professionali; nella classificazione di idee, conversazioni, vocabolari, progetti;
nelle politiche di accesso e possesso della proprietà intellettuale; nella scrittura, l’editing, la
creazione, la traduzione di documenti, report personalizzati, rassegne stampa e profili aziendali19
.”
Per limitarci al mondo dei documenti, che i bibliotecari conoscono meglio, e parafrasando
Riccardo Ridi, non sarà mai possibile per un bibliotecario precostituire in biblioteca tutti i possibili
percorsi di ricerca informativa degli utenti, men che meno oggi che c'è una vera e propria
esplosione di attività, per questo "sarà sempre necessario offrire loro anche una vasta gamma di
servizi di assistenza informativa personalizzata cui essi potranno rivolgersi in assenza di indici
appropriati o nel caso in cui non sappiano e o non vogliano o non possano utilizzarli."20
Anche al di
mov(1587)>; Brooklyn <http://www.bklynlibrary.org/locations/central/infocommons>; Richland
<http://www.richlandlibrary.com/coworking>; Mesa <http://mesathinkspot.tumblr.com/>; Scottdale
<http://www.scottsdalelibrary.org/eurekaloft>; Phoenix <http://www.phoenixpubliclibrary.org/hive/Pages/About-
hive.aspx>; Queensland <http://edgeqld.org.au/>.
18
Si vedano gli spazi: <http://www.millepiani.eu/>, <http://www.vegliocoworking.it/>,
<http://foligno.multiverso.biz/>. L’unica struttura pubblica ad aver integrato uno spazio di coworking in biblioteca in
Italia al momento è la biblioteca di Settimo Torinese tramite il progetto Melting Pot
<http://www.meltingpot.settimotorinese.it/files/Settimo_Torinese24092013_001.pdf>.
19
Appunti di un bibliotecario aspirante coworker, op. cit.
20
Riccardo Ridi, Il mondo dei documenti: cosa sono, come valutarli e organizzarli , Roma, Bari: Laterza, 2010.
fuori delle biblioteche quindi. Sempre riprendendo Riccardo Ridi "Tali «servizi di reference»
possono rivolgersi a utenti singoli o a piccoli gruppi omogenei, possono essere gratuiti o a
pagamento, possono essere erogati su richiesta o risultare disponibili in continuazione."
Aggiungiamo noi che questi servizi possono essere finanziati da enti pubblici o anche da privati e
spingersi ad estendere la consulenza e la collaborazione dentro gli spazi privati.
Conclusioni. Chiudo il discorso con un appello a ritornare alla realtà e ad uscire dalla clandestinità,
in cui anche a causa nostra, siamo rinchiusi. Cito le considerazioni di Fernando Venturini apparse
su un suo recente articolo pubblicato su Biblioteche Oggi nel quale, riprendendo l'analisi di Elena
Boretti constata che "l’informazione di comunità è un’attività quasi clandestina nelle nostre
biblioteche pubbliche: se esiste, esiste come attività svolta al di fuori della nomenclatura delle
funzioni, non programmata, non misurata, non dibattuta all’interno della letteratura
professionale. È esistita ed esiste, in quanto certamente vi sono stati (e vi sono) utenti che ne
hanno bisogno, ma è come se le biblioteche svolgessero tale funzione come supplenti poco
convinte e poco gradite."21
Si può immaginare allora quanto sia grande, indefinito e inesplorato dai bibliotecari il mercato,
chiamiamolo così, delle imprese e del lavoro professionale, dell’innovazione, della creatività e
dello sviluppo che sono valori portanti del tessuto produttivo italiano fatto di una grande
tradizione manifatturiera e artigianale. Le opportunità che la sharing economy in generale e il
coworking in particolare ci stanno offrendo, trascendono le differenze tipologiche delle
biblioteche, suscitano interesse sia nelle biblioteche pubbliche che in quelle universitarie e ci
consentono di:
● partecipare ai processi lavorativi, creativi e innovativi;
● supportare freelance, lavoratori dipendenti, imprese e precari in un ottica di welfare;
● contestualizzare le informazioni, trasformarle in conoscenza, e collegare le diverse
conoscenze tra loro;
● fare un uso efficace della digital library.
Tutto è in cambiamento. Saperi formali, informali, territoriali, organizzativi. E non è solo
inondando la realtà di cavi, dispositivi, chiavi di accesso e risorse digitali gratuite o a pagamento
che si cavalca l’onda del cambiamento o che i lavoratori e le imprese si sollevano dal livello di
degrado culturale in cui troppo spesso il tessuto produttivo e professionale è precipitato22
. Come
avrebbe detto lo stesso Ivan Illich “Now we only ask what people have to learn and then invest in a
means to teach them. We should learn to ask first what people need if they want to learn and
provide these tools for them.”
Dobbiamo chiedere a imprenditori e professionisti cosa hanno bisogno di sapere e dotarci di mezzi
per soddisfarli. Potremo scoprire così facendo che i coworkers, le aziende e i professionisti non
considerano affatto l’accesso all’informazione o alle biblioteche una priorità per il loro successo
professionale e ciò forse per due motivi:
1. i lavoratori ignorano l’esistenza stessa di un certo tipo di informazione e documentazione
che potrebbe tornargli utile;
21
Fernando Venturini, L'informazione di comunità tra e-government e democrazia elettronica, Biblioteche oggi.
Novembre 2014.
22
Giovanni Solimine, S enza sapere: il costo dell'ignoranza in Italia , Roma, Bari: Laterza, 2014.
2. i bibliotecari non sono in grado di disseminare le risorse informative facendole arrivare
dove se ne ha bisogno23
.
Lo strumento principale quindi per cambiare questa situazione a mio avviso non sembra essere un
artificio tecnico come la digital library oppure una campagna “educativa” all’uso dei nostri canali
di ricerca informativa, ma è piuttosto la convivialità, il che vale a dire trasformarci in bibliotecari
ambulanti, incorporati, mischiati nella comunità operosa. In una parola: coworking. Lavorare in
comune, dentro e fuori le biblioteche, per reinventare il mondo che abitiamo.
23
Ho approfondito questi temi in un articolo di imminente pubblicazione sulla rivista online Bibliotime dal titolo
“Coworking e accesso all’informazione: report di un sondaggio online”.

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Relazione - Ritorno alla realtà_paiano_coworking

  • 1. Ritorno alla realtà: biblioteche digitali e spazi di coworking nell'epoca dell'economia della condivisione di Tommaso Paiano, Warehouse Coworking Factory, Marotta (PU) Relazione presentata al convegno rilasciata sotto licenza Creative Commons by-sa 4.0 Pubblicata in : Digital library, la biblioteca partecipata : collezioni, connessioni, comunità : convegno Milano, 12-13 marzo 2015 : relazioni / a cura dell'Associazione Biblioteche oggi - Milano : Editrice Bibliografica, 2015 - 196 p. : ill. ; 29 cm (( Sulla coperta: Convegno Biblioteche Stelline, 20. edizione SLIDE: <http://www.slideshare.net/tommasopaiano1/ritorno-alla-realt> *************************************************************************************** Queste riflessioni1 tentano di fare un controcanto rispetto alle analisi e alla passione che ci spinge ad approfondire il tema caldissimo della digital library. Senza alcuna presunzione, cercherò di dimostrare che la digital library favorisce un ritorno alla realtà, nella quale riacquistano centralità le biblioteche intese come spazi fisici e riottengono importanza anche i bibliotecari come professionisti della conoscenza e dell'informazione che possono operare anche fuori dalla biblioteca. Sto sperimentando in prima persona la possibilità di lavorare oltre le mura delle biblioteche frequentando lo spazio di lavoro collaborativo Warehouse Coworking Factory2 in provincia di Pesaro nel quale sono anche parte del team di gestione. Il mondo del lavoro. Secondo la rivista Deskmag, cioè il principale periodico mondiale che si occupa del fenomeno del coworking, le parole chiave che identificano questo nuovo stile di lavoro sono: collaborazione, amichevolezza, creatività, produttività, ispirazione, flessibilità, social, innovazione, motivazione, efficienza, comunità, divertimento.3 Un'altra parola usata di frequente (e decisamente abusata nello scenario attuale) è “rivoluzione”, in genere associata ai cambiamenti indotti dall'innovazione tecnologica e che comporta un altrettanto profonda trasformazione sociale ed economica. 1 All’interno della presente relazione farò spesso riferimento al mio articolo Appunti di un bibliotecario aspirante coworker pubblicato su “Vedi Anche” il notiziario online e Open access della Sezione Liguria dell'Associazione Italiana Biblioteche, <http://leo.cineca.it/index.php/vedianche/article/view/11022>. 2 <http://www.warehouse.marche.it>. 3 <http://www.deskmag.com>.
  • 2. Che il cambiamento in atto sia desiderabile o meno, per aiutarmi nella focalizzazione del tema uso l'analisi di Aldo Bonomi4 , il quale individua alcuni flussi che sostanziano il cosiddetto "capitalismo delle reti" e cioè i flussi del sistema finanziario, del sistema delle imprese transnazionali, del sistema dei trasporti, della governance europea e internazionale e il sistema delle informazioni (nel quale anche i bibliotecari operano). E' evidente, secondo l'economista, che si sta imponendo definitivamente un nuovo modello produttivo in cui aumenta l’importanza delle componenti immateriali, delle tecnologie informatiche, di un capitale umano fatto di saperi formali e informali che sta modificando anche la composizione del mercato del lavoro. Ad esempio5 "nel 2013 quasi ¼ dell’occupazione totale italiana è costituita da autonomi: su 22.420.000 occupati 5.542.000 sono autonomi. E quasi ¼ dell’occupazione autonoma è lavoro professionale (1.286.000)". Le statistiche ci dicono che il lavoro professionale si diffonde sempre di più. "*...+ Poco meno del 6% dell’occupazione è costituita da professionisti autonomi ed è una percentuale in crescita, nonostante la crisi che ha compresso l’occupazione complessiva (che nel 2013 ritorna ai livelli del 2004) e in controtendenza con il restante lavoro autonomo (artigiani, commercianti, imprenditori), in deciso calo. La crisi del mercato del lavoro, la scarsità di opportunità di occupazione dipendente, spinge lavoratori che possono contare su competenze specializzate ad inventarsi un lavoro".6 A rinforzare questa analisi contribuisce la previsione che negli USA entro il 2020 il 40% della forza lavoro sarà costituita da freelance7 . In italia, come all'estero, chi trova o riesce ad inventarsi un'attività può imbattersi in alcune specifiche modalità di lavoro come: ● Telecommuting: un modo di lavorare indipendente dalla localizzazione geografica dell'ufficio o dell'azienda, facilitato dall'uso di strumenti informatici e telematici e caratterizzato da una flessibilità sia nell’organizzazione, sia nelle modalità di svolgimento; ● Results-Only Work Environment (ROWE). I risultati sono l'unico scopo del lavoro. Il lavoratore stesso può definire il proprio piano di lavoro e decidere quando e per quanto tempo fermarsi; ● Hot Desking: sistema di organizzazione dell'ufficio che coinvolge più lavoratori che si alternano su una singola postazione di lavoro; ● Offsite meetings: riunioni lontano dal posto di lavoro; ● Intrapreneurship: cioè il comportarsi come un imprenditore anche se si è dipendenti dell'organizzazione; ● Sharing economy: cioè un modello lavorativo basato su di un insieme di pratiche di scambio e condivisione siano questi beni materiali, servizi o conoscenze.8 4 Aldo Bonomi, Il capitalismo in-finito, Torino: Einaudi, 2013. 5 ACTA, Lavoro autonomo professionale. Diamo i numeri, 14 novembre 2014, <http://www.actainrete.it/2014/11/lavoro-autonomo-professionale-diamo-i-numeri/>. 6 Un’altra indagine sul mondo dei freelance è consultabile su Quanti sono i freelance?, Addlance, 25 maggio 2014, <http://www.addlance.com/blog/quanti-sono-i-freelance/?lang=it>. 7 Freelance: ecco perché saranno la forza lavoro del futuro, Panorama, 12 novembre 2014, <http://www.panorama.it/economia/lavoro/freelance-forza-lavoro-futuro/>. 8 Ringrazio Meg Knodl, bibliotecaria americana vicina al mondo dei coworking già dal 2011, per avermi involontariamente fornito lo spunto con le sue slide consultabili all’indirizzo <http://www.alaeditions.org/blog/192/continuing-conversation-making-space-entrepreneurs-and-independent- workers>.
  • 3. La sharing economy. Proprio quest'ultimo modello, cioè l'economia della condivisione, rappresenterebbe per Jeremy Rifkin l'evidenza che si sta generando quello che lui definisce "Commons collaborativo"9 , cioè un nuovo paradigma economico dall'avvento del capitalismo e del socialismo nel XIX secolo. Cuore pulsante di questa grande trasformazione nel nostro modo di produrre e di consumare è l'"Internet delle cose", cioè un'infrastruttura intelligente formata dal virtuoso intreccio di Internet delle comunicazioni, Internet dell'energia e Internet della logistica, che ha l'effetto di spingere la produttività fino al punto in cui il costo marginale di numerosi beni e servizi viene in pratica quasi azzerato, rendendoli praticamente gratuiti, abbondanti e non più soggetti alle forze del mercato. Secondo Rifkin protagonisti di questa tendenza sono i prosumers, cioè dei consumatori diventati produttori in proprio, che generano e condividono su scala laterale e paritaria informazioni (e quindi anche documenti), intrattenimento, energia verde e prodotti realizzati con la stampa 3D. I pilastri della sharing economy secondo Nesta10 , un’organizzazione inglese che si occupa del fenomeno, sono: ● consumo collaborativo: cioè l'accesso a beni o servizi attraverso il baratto, il noleggio, il prestito, il commercio, il leasing, la rivendita (gruppi di acquisto solidale, cohousing, carsharing, couchsurfing, ecc) ● produzione collaborativa: gruppi o reti di progettazione condivisa che producono e distribuiscono beni e servizi (coworking, codesign, fablab, ecc) ● apprendimento collaborativo: imparare insieme a partire da esperienze, competenze e conoscenze condivise (corsi, network online); ● finanziamento collaborativo: prestiti e investimenti effettuati da individui o gruppi al di fuori delle istituzioni finanziarie tradizionali (crowdfunding, social lending). La sharing economy si fonda quindi su tre fattori chiave: condivisione di beni e competenze, relazioni orizzontali tra individui e organizzazioni, nuove piattaforme e tecnologie informatiche. “E se i principi che abbiamo menzionato sono antichi, e pertanto solidi, nuovi e dirompenti sono gli strumenti con cui vengono erogati beni e servizi. Applicazioni, mobile e social ne hanno improvvisamente moltiplicato la portata, mettendo in contatto facilmente, a distanza, offerenti ed utilizzatori.”11 Il coworking. Un ruolo di rilievo nell'affermazione della sharing economy lo sta avendo il coworking cioè un nuovo stile lavorativo che combina la condivisione di un ambiente fisico e di risorse tra professionisti12 che fanno lavori diversi con approccio collaborativo. Coworking infatti significa letteralmente lavoro in comune. Il coworking è in sostanza un luogo in cui i lavoratori freelance, piccole aziende, gruppi di lavoro aziendali possono riunirsi per condividere idee e progetti. Il coworking è anche un'alternativa a lavorare da casa o nei bar, in solitudine. Gli spazi di coworking e i lavoratori che li frequentano in Italia sono migliaia ormai13 . Se ne trovano nelle grandi come nelle piccole città. Caratteristiche importanti di questo modo di lavorare sono: 9 Jeremy Rifkin, La società a costo marginale zero. L'internet delle cose, l'ascesa del «commons» collaborativo e l'eclissi del capitalismo, Milano: Mondadori, 2014 10 <http://www.nesta.org.uk/sites/default/files/making_sense_of_the_uk_collaborative_economy_14.pdf> 11 Sharing economy: la vera sfida dell’innovazione è non proibire, Ninja marketing, 10 giugno 2014, <http://www.ninjamarketing.it/2014/06/10/sharing-economy-non-proibire/>. 12 Architetti, designer, informatici, editori, traduttori, ricercatori, consulenti di viaggio, grafici, esperti di marketing, ecc. 13 Vedi la rete Cowo <http://www.coworkingproject.com/> oppure Coworking Italia <http://coworkingitalia.org/>.
  • 4. ● parità tra uomini e donne; ● alti livelli di istruzione; ● vecchie e nuove professionalità coinvolte; ● spazi comuni e individuali; ● postazioni di lavoro e aree relax; ● condivisione e serendipity; ● incremento del capitale sociale; ● esternalità positive per le aziende del territorio; ● riqualificazione urbana; ● collaborazione pubblico-privato; ● mutualismo; ● formazione e competenze. Le biblioteche e i bibliotecari nell’economia della condivisione. Ma cosa c'entrano le biblioteche con la sharing economy? Tutto! Senza voler approfondire il caso dell'antica biblioteca di Alessandria, che deve essere stato il primo coworking della storia, è chiaro che la biblioteca rappresenta una delle più antiche istituzioni di economia condivisa14 . La biblioteca condivide da sempre gli spazi, le infrastrutture digitali, le collezioni, le competenze15 . Le biblioteche sono il risultato di una messa in comune delle risorse (raccolte con le tasse) per il finanziamento e l'acquisto di materiali che vengono posti a disposizione di tutti i membri di quella comunità. Secondo Ivan Illich, in tempi non sospetti, ben prima quindi che si diffondesse il tema “sharing economy”, la biblioteca rappresenta non solo uno strumento condiviso che garantisce l’accesso al sapere alla propria comunità ma è anche il prototipo di qualsiasi strumento conviviale: “At its best the library is the prototype of a convivial tool. Repositories for other learning tools can be organized on its model, expanding access to tapes, pictures, records, and very simple labs filled with the same scientific instruments with which most of the major breakthroughs of the last century were made.”16 Gli spazi di coworking in biblioteca. Non è strano quindi osservare che si vanno diffondendo all'interno delle biblioteche spazi e servizi dedicati a makers, fablab e, in particolare all'estero, spazi di coworking. Le parole chiave più ricorrenti nelle esperienze e negli studi di settore all'estero individuano la biblioteca come supporto e servizio all’autoimpiego e ai nuovi imprenditori; piccole e grandi incubatrici di startup; spazio per la community collaboration, coworking, digital media labs, hackerspaces17 . Le biblioteche, gratis o in cambio di qualche ora di prestazione professionale a favore dei propri utenti, mettono a disposizione dei lavoratori e delle piccole imprese: 14 Di questo fenomeno si comincia a parlarne anche nell’associazione dei bibliotecari americani, ALA (American Library Association) <http://www.ala.org/transforminglibraries/future/trends/sharingeconomy>. 15 <https://librarianshipwreck.wordpress.com/2014/07/10/if-you-want-to-see-the-sharing-economy-go-to-the- library/> 16 Ivan Illich, Tools for conviviality, 1973. Il passaggio citato si trova nella versione spagnola del testo <http://www.altraofficina.it/ivanillich/Allegati/La%20convivencialidad.rtf> e in quella inglese <http://clevercycles.com/blog/tools_for_conviviality/> nel capitolo intitolato “Overprogramming”. Non è disponibile invece nel corrispettivo capitolo intotolato “Superprogrammazione” della traduzione italiana, curata da Maurizio Cucchi, apparsa la prima volta nel 1974 per i tipi di Mondadori e basata sulla versione francese del 1973, nella quale scompaiono purtroppo tutte le riflessioni di Ivan Illich intorno al ruolo delle biblioteche sul tema della convivialità. Vedi: Ivan Illich, La convivialità, Milano: Mondadori, 1974 ; Ivan Illich, La convivialité, Paris: Edition du Seuil, 1973. 17 Alcuni esempi sono a: Helsinki <http://www.helmet.fi/enUS/Libraries_and_services/Work_and_have_fun/Toolkit_for_the_modern_worker_on_the_
  • 5. ● postazioni singole e sale riunioni ● aree per parlare al telefonino ● aree per fare videoconferenze ● collezioni cartacee e digitali ● reference e fornitura di informazione personalizzata ● utenti come risorse per altri utenti ● personale bibliotecario competente Le biblioteche diventano così dei grandi incubatori di idee, di start-up e di piccole imprese, e grazie alla loro grande tradizione cooperativa fungono anche da rete affidabile nella quale lavoratori e aziende posso ritrovare sostegno e accesso alle risorse. Sappiamo tutti come in questo periodo la pubblica amministrazione è costretta a inseguire imprese e società civile sul tema dell'innovazione e del welfare. Conosciamo bene anche la scarsa qualità dei servizi che troppo spesso la PA offre. Ma se il coworking viene incorporato nel tessuto amministrativo, può diventare uno strumento per far recuperare centralità all'offerta di servizi di pubblica utilità sempre più necessari per agire in futuro, sia per i cittadini che per le imprese? Crediamo di si, e l’attenzione rivolta al fenomeno da alcune amministrazioni pubbliche sembrano dimostrarlo18 . I bibliotecari ambulanti. Innanzitutto, non è obbligatorio che il bibliotecario sia dipendente pubblico per lavorare in coworking. Può essere anche un freelance, un libero professionista, uno startupper… Quello che definisco mobile reference lo tradurrei semplicemente in italiano con "bibliotecario ambulante" e dal momento che oggi una grandissima parte di risorse è disponibile attraverso un portatile e una connessione wi-fi appare scontato quanto è importante l'esistenza di una digital library pubblica per lavorare dentro e fuori le mura di un edificio e garantire l’accesso all’informazione a tutti, senza discriminazioni. “Il bibliotecario coworker deve essere competente nell’analisi del contesto; nella scelta degli spazi, nell’arredamento, nell’allestimento delle postazioni; nell’acquisizione e il trattamento delle collezioni; nell’erogazione di servizi di reference e formazione; nella gestione delle community e delle competenze professionali; nella classificazione di idee, conversazioni, vocabolari, progetti; nelle politiche di accesso e possesso della proprietà intellettuale; nella scrittura, l’editing, la creazione, la traduzione di documenti, report personalizzati, rassegne stampa e profili aziendali19 .” Per limitarci al mondo dei documenti, che i bibliotecari conoscono meglio, e parafrasando Riccardo Ridi, non sarà mai possibile per un bibliotecario precostituire in biblioteca tutti i possibili percorsi di ricerca informativa degli utenti, men che meno oggi che c'è una vera e propria esplosione di attività, per questo "sarà sempre necessario offrire loro anche una vasta gamma di servizi di assistenza informativa personalizzata cui essi potranno rivolgersi in assenza di indici appropriati o nel caso in cui non sappiano e o non vogliano o non possano utilizzarli."20 Anche al di mov(1587)>; Brooklyn <http://www.bklynlibrary.org/locations/central/infocommons>; Richland <http://www.richlandlibrary.com/coworking>; Mesa <http://mesathinkspot.tumblr.com/>; Scottdale <http://www.scottsdalelibrary.org/eurekaloft>; Phoenix <http://www.phoenixpubliclibrary.org/hive/Pages/About- hive.aspx>; Queensland <http://edgeqld.org.au/>. 18 Si vedano gli spazi: <http://www.millepiani.eu/>, <http://www.vegliocoworking.it/>, <http://foligno.multiverso.biz/>. L’unica struttura pubblica ad aver integrato uno spazio di coworking in biblioteca in Italia al momento è la biblioteca di Settimo Torinese tramite il progetto Melting Pot <http://www.meltingpot.settimotorinese.it/files/Settimo_Torinese24092013_001.pdf>. 19 Appunti di un bibliotecario aspirante coworker, op. cit. 20 Riccardo Ridi, Il mondo dei documenti: cosa sono, come valutarli e organizzarli , Roma, Bari: Laterza, 2010.
  • 6. fuori delle biblioteche quindi. Sempre riprendendo Riccardo Ridi "Tali «servizi di reference» possono rivolgersi a utenti singoli o a piccoli gruppi omogenei, possono essere gratuiti o a pagamento, possono essere erogati su richiesta o risultare disponibili in continuazione." Aggiungiamo noi che questi servizi possono essere finanziati da enti pubblici o anche da privati e spingersi ad estendere la consulenza e la collaborazione dentro gli spazi privati. Conclusioni. Chiudo il discorso con un appello a ritornare alla realtà e ad uscire dalla clandestinità, in cui anche a causa nostra, siamo rinchiusi. Cito le considerazioni di Fernando Venturini apparse su un suo recente articolo pubblicato su Biblioteche Oggi nel quale, riprendendo l'analisi di Elena Boretti constata che "l’informazione di comunità è un’attività quasi clandestina nelle nostre biblioteche pubbliche: se esiste, esiste come attività svolta al di fuori della nomenclatura delle funzioni, non programmata, non misurata, non dibattuta all’interno della letteratura professionale. È esistita ed esiste, in quanto certamente vi sono stati (e vi sono) utenti che ne hanno bisogno, ma è come se le biblioteche svolgessero tale funzione come supplenti poco convinte e poco gradite."21 Si può immaginare allora quanto sia grande, indefinito e inesplorato dai bibliotecari il mercato, chiamiamolo così, delle imprese e del lavoro professionale, dell’innovazione, della creatività e dello sviluppo che sono valori portanti del tessuto produttivo italiano fatto di una grande tradizione manifatturiera e artigianale. Le opportunità che la sharing economy in generale e il coworking in particolare ci stanno offrendo, trascendono le differenze tipologiche delle biblioteche, suscitano interesse sia nelle biblioteche pubbliche che in quelle universitarie e ci consentono di: ● partecipare ai processi lavorativi, creativi e innovativi; ● supportare freelance, lavoratori dipendenti, imprese e precari in un ottica di welfare; ● contestualizzare le informazioni, trasformarle in conoscenza, e collegare le diverse conoscenze tra loro; ● fare un uso efficace della digital library. Tutto è in cambiamento. Saperi formali, informali, territoriali, organizzativi. E non è solo inondando la realtà di cavi, dispositivi, chiavi di accesso e risorse digitali gratuite o a pagamento che si cavalca l’onda del cambiamento o che i lavoratori e le imprese si sollevano dal livello di degrado culturale in cui troppo spesso il tessuto produttivo e professionale è precipitato22 . Come avrebbe detto lo stesso Ivan Illich “Now we only ask what people have to learn and then invest in a means to teach them. We should learn to ask first what people need if they want to learn and provide these tools for them.” Dobbiamo chiedere a imprenditori e professionisti cosa hanno bisogno di sapere e dotarci di mezzi per soddisfarli. Potremo scoprire così facendo che i coworkers, le aziende e i professionisti non considerano affatto l’accesso all’informazione o alle biblioteche una priorità per il loro successo professionale e ciò forse per due motivi: 1. i lavoratori ignorano l’esistenza stessa di un certo tipo di informazione e documentazione che potrebbe tornargli utile; 21 Fernando Venturini, L'informazione di comunità tra e-government e democrazia elettronica, Biblioteche oggi. Novembre 2014. 22 Giovanni Solimine, S enza sapere: il costo dell'ignoranza in Italia , Roma, Bari: Laterza, 2014.
  • 7. 2. i bibliotecari non sono in grado di disseminare le risorse informative facendole arrivare dove se ne ha bisogno23 . Lo strumento principale quindi per cambiare questa situazione a mio avviso non sembra essere un artificio tecnico come la digital library oppure una campagna “educativa” all’uso dei nostri canali di ricerca informativa, ma è piuttosto la convivialità, il che vale a dire trasformarci in bibliotecari ambulanti, incorporati, mischiati nella comunità operosa. In una parola: coworking. Lavorare in comune, dentro e fuori le biblioteche, per reinventare il mondo che abitiamo. 23 Ho approfondito questi temi in un articolo di imminente pubblicazione sulla rivista online Bibliotime dal titolo “Coworking e accesso all’informazione: report di un sondaggio online”.