Possiamo salvare il mondo, prima di cena - Al Complexity Literacy Meeting le ...Complexity Institute
I temi angoscianti della crisi in cui siamo immersi e che sta cominciando a manifestarsi con sempre maggiore evidenza non sono solo ambientali ma, soprattutto, umani. Foer si interroga, e ci interroga, sulla nostra inerzia, sulla nostra cecità, sul nostro non voler affrontare problemi che paiono più grandi di noi e che, proprio per questo, non siamo disposti a credere fino in fondo che siano veri. Ci incita, ed incita sé stesso, a cominciare ad agire su ogni fronte possibile per ridurre gli impatti di ciò che attende noi e le generazioni che ci seguiranno.
FRASI E BRANI SCELTI DA "FUTURO SOSTENIBILE" (2011)morosini1952
FRASI E BRANI SCELTI DA "FUTURO SOSTENIBILE" (2011)
- Lungi dal servire solo la protezione dei panda e delle balene, l'ecologia è l'unica opzione per garantire
sulla Terra il diritto di ospitalità a un numero crescente di esseri umani.
- In questo momento storico il conflitto tra ecologia e giustizia palesa la sostenibilità come vero e proprio
programma di sopravvivenza, perché la drammatica alternativa è: sostenibilità o autodistruzione.
- Oggi, un ordine internazionale non deve limitarsi a garantire la pace tra gli uomini e un ordine socialmente giusto,
ma – qui sta la nuova sfida fondamentale – deve definire anche il rapporto tra gli uomini e il loro ambiente e le
altre creature su questo pianeta.
- In confronto con la reale globalizzazione praticata dai paesi ricchi, sono lacrime di coccodrillo quelle che vengono
versate sui crescenti carichi ambientali causati dalla Cina.
INTRODUZIONE 12 pagine FUTURO SOSTENIBILE 2011
La marea si è invertita. Ai vertici della politica e dell’economia hanno cominciato
a vacillare certezze di lunga data. Sono finiti i giorni d’euforia
neoliberista e di trionfante globalizzazione. Una rimozione durata anni
sembra terminare. L’uragano Katrina, gli iceberg che si sciolgono, le ondate
di caldo ricorrenti e gli uccelli migratori disorientati sembrano suggerire
ai popoli e ai loro leader: la natura restituisce i colpi che subisce.
Fino a quando sembrava che l’economia mondiale minacciasse soltanto
la stabilità del clima, si poteva lasciare questa preoccupazione agli ambientalisti.
Quando però nel 2006 il “Rapporto Stern”,1 commissionato
dal governo britannico, spiegò che i cambiamenti climatici minacciano
anche la stabilità dell’economia mondiale, i primi campanelli di allarme
hanno iniziato a squillare.
Eppure, finito il tempo della rimozione collettiva, sembra però propagarsi
ora una schizofrenia collettiva. Molti segnali indicano che siamo
davanti a un periodo di ambiguità: siamo provvisti di conoscenze, ma
incapaci di agire. Da un lato la società si è risvegliata alla consapevolezza
che la minaccia del caos climatico richiede un’inversione di marcia.
D’altro canto, molto va avanti come al solito. Gli aeroporti prevedono
un aumento di traffico e si espandono, alcune imprese ferroviarie mirano
a diventare imprese di logistica globale, le grandi compagnie elettriche
vogliono costruire decine di nuove centrali a carbone o atomiche, le
compagnie aeree a basso costo si rafforzano fondendosi con altre e si attrezzano
per il traffico intercontinentale, davanti ai ristoranti proliferano
le stufe a gas all’aperto, sulle strade di uscita dalle città fioriscono discount
Futuro.
e outlet. Di fronte alla decrescita causata dalla crisi finanziaria si moltiplicano
le sollecitazioni ai cittadini perché consumino di più e la logica
intrinseca di ogni singolo settore vanifica quello che dovrebbe essere l’obiettivo
comune. Ciò che tutt’al più finora procede bene, è una diversificazione
dell’offerta per corrispondere all’emergente sensibilità ecologica:
in qualche aeroporto circolano i primi autobus a idrogeno, le compagnie
elettriche vendono in segmenti di nicchia anche elettricità “verde”, alcune
compagnie ferroviarie noleggiano biciclette, le compagnie aeree a basso
costo fanno pubblicità di vacanze ecologiche, d’inverno, sotto le stufe
a fungo sui marciapiedi, vengono serviti alimenti dell’agricoltura biologica.
Ma nel complesso domina la schizofrenia: nel dibattito pubblico e
nei media quasi tutti sembrano favorevoli a una politica per il clima; nel
mondo della produzione materiale, però, l’uso di energia e combustibili
fossili continua ad aumentare.
Eppure non solo la natura, ma anche la globalizzazione si ritorce contro
di noi. La crescita delle economie emergenti, specialmente di Cina
e India, è un
Lezione sociologica redatta dal dr. Giuliano Pardini, disaster manager, per la soc. Athena reseach di Roma 2007 prendendo spunto dagli scritti di Ulrich Beck
Possiamo salvare il mondo, prima di cena - Al Complexity Literacy Meeting le ...Complexity Institute
I temi angoscianti della crisi in cui siamo immersi e che sta cominciando a manifestarsi con sempre maggiore evidenza non sono solo ambientali ma, soprattutto, umani. Foer si interroga, e ci interroga, sulla nostra inerzia, sulla nostra cecità, sul nostro non voler affrontare problemi che paiono più grandi di noi e che, proprio per questo, non siamo disposti a credere fino in fondo che siano veri. Ci incita, ed incita sé stesso, a cominciare ad agire su ogni fronte possibile per ridurre gli impatti di ciò che attende noi e le generazioni che ci seguiranno.
FRASI E BRANI SCELTI DA "FUTURO SOSTENIBILE" (2011)morosini1952
FRASI E BRANI SCELTI DA "FUTURO SOSTENIBILE" (2011)
- Lungi dal servire solo la protezione dei panda e delle balene, l'ecologia è l'unica opzione per garantire
sulla Terra il diritto di ospitalità a un numero crescente di esseri umani.
- In questo momento storico il conflitto tra ecologia e giustizia palesa la sostenibilità come vero e proprio
programma di sopravvivenza, perché la drammatica alternativa è: sostenibilità o autodistruzione.
- Oggi, un ordine internazionale non deve limitarsi a garantire la pace tra gli uomini e un ordine socialmente giusto,
ma – qui sta la nuova sfida fondamentale – deve definire anche il rapporto tra gli uomini e il loro ambiente e le
altre creature su questo pianeta.
- In confronto con la reale globalizzazione praticata dai paesi ricchi, sono lacrime di coccodrillo quelle che vengono
versate sui crescenti carichi ambientali causati dalla Cina.
INTRODUZIONE 12 pagine FUTURO SOSTENIBILE 2011
La marea si è invertita. Ai vertici della politica e dell’economia hanno cominciato
a vacillare certezze di lunga data. Sono finiti i giorni d’euforia
neoliberista e di trionfante globalizzazione. Una rimozione durata anni
sembra terminare. L’uragano Katrina, gli iceberg che si sciolgono, le ondate
di caldo ricorrenti e gli uccelli migratori disorientati sembrano suggerire
ai popoli e ai loro leader: la natura restituisce i colpi che subisce.
Fino a quando sembrava che l’economia mondiale minacciasse soltanto
la stabilità del clima, si poteva lasciare questa preoccupazione agli ambientalisti.
Quando però nel 2006 il “Rapporto Stern”,1 commissionato
dal governo britannico, spiegò che i cambiamenti climatici minacciano
anche la stabilità dell’economia mondiale, i primi campanelli di allarme
hanno iniziato a squillare.
Eppure, finito il tempo della rimozione collettiva, sembra però propagarsi
ora una schizofrenia collettiva. Molti segnali indicano che siamo
davanti a un periodo di ambiguità: siamo provvisti di conoscenze, ma
incapaci di agire. Da un lato la società si è risvegliata alla consapevolezza
che la minaccia del caos climatico richiede un’inversione di marcia.
D’altro canto, molto va avanti come al solito. Gli aeroporti prevedono
un aumento di traffico e si espandono, alcune imprese ferroviarie mirano
a diventare imprese di logistica globale, le grandi compagnie elettriche
vogliono costruire decine di nuove centrali a carbone o atomiche, le
compagnie aeree a basso costo si rafforzano fondendosi con altre e si attrezzano
per il traffico intercontinentale, davanti ai ristoranti proliferano
le stufe a gas all’aperto, sulle strade di uscita dalle città fioriscono discount
Futuro.
e outlet. Di fronte alla decrescita causata dalla crisi finanziaria si moltiplicano
le sollecitazioni ai cittadini perché consumino di più e la logica
intrinseca di ogni singolo settore vanifica quello che dovrebbe essere l’obiettivo
comune. Ciò che tutt’al più finora procede bene, è una diversificazione
dell’offerta per corrispondere all’emergente sensibilità ecologica:
in qualche aeroporto circolano i primi autobus a idrogeno, le compagnie
elettriche vendono in segmenti di nicchia anche elettricità “verde”, alcune
compagnie ferroviarie noleggiano biciclette, le compagnie aeree a basso
costo fanno pubblicità di vacanze ecologiche, d’inverno, sotto le stufe
a fungo sui marciapiedi, vengono serviti alimenti dell’agricoltura biologica.
Ma nel complesso domina la schizofrenia: nel dibattito pubblico e
nei media quasi tutti sembrano favorevoli a una politica per il clima; nel
mondo della produzione materiale, però, l’uso di energia e combustibili
fossili continua ad aumentare.
Eppure non solo la natura, ma anche la globalizzazione si ritorce contro
di noi. La crescita delle economie emergenti, specialmente di Cina
e India, è un
Lezione sociologica redatta dal dr. Giuliano Pardini, disaster manager, per la soc. Athena reseach di Roma 2007 prendendo spunto dagli scritti di Ulrich Beck
Il 2012 sarà l\'anno in cui le conseguenze delle scelte operate da parte delle nazioni, del cosiddetto mondo sviluppato, cominceranno a manifestarsi veramente nel regno economico. Siamo giunti al capitolo finale dell\'attuale Superciclo del debito, con diversi paesi sparsi lungo la strada, alcuni dei quali hanno raggiunto fasi più avanzate rispetto ad altri, ma tutti si stanno dirigendo verso una destinazione che li costringerà a prendere delle decisioni importanti, se le azioni politicamente dolorose non verranno prese. Più lungo sarà il processo, minori saranno il numero di opzioni disponibili e più dolorose le conseguenze. Alcuni paesi (si pensi alla Grecia) possono scegliere tra terribili situazioni economiche e il disastro. L\'opzione per delle scelte meno difficili ci sono state molto tempo fa, ora invece le regole sono tali che non si può tornare indietro al punto di partenza senza un diverso, ma ugualmente doloroso, risultato.
Sedici Pagine è un Magazine di cultura, informazione e attualità, nato dall’intuizione di Antonio Molinari e Domenico Stea assieme all’Associazione “Free Space”. La rivista fa la sua prima apparizione in pubblico il 16 Settembre 2016, con la pubblicazione del ‘numero 0’. Il successo dell’esordio proietta il magazine nel mondo delle novità e lo conferma come un progetto ambizioso e di larghe vedute. Particolarità di Sedici Pagine Magazine è la sua “Redazione Instabile”, composta interamente da giovani studenti e neolaureati (come, del resto, tutto il suo nucleo organizzativo), che mese per mese aumentano e si alternano nell’affrontare tematiche d’ogni genere (politiche, sociali, sportive, artistiche ecc…).
Gaza, palestina israele e il mondo dossier operazione margine protettivoAssopace Palestina
Raccolta di testi ha lo scopo di informare e far riflettere lettrici e lettori interessati, su quanto avvenuto in 51 giorni (8 luglio-25 Agosto 2014) nella striscia di Gaza, in Palestina e in Israele. di Alessandra Mecozzi
Interazioni tra uomo, gruppo e beni comuniMara Passuello
Variabili di contesto politico, di processi psico-sociali, di fattori antropologici e
di risonanza incarnata sembrano regolare il rapporto tra individui, gruppi e
patrimoni ambientali, producendo un continuo processo di traduzione.
Il 2012 sarà l\'anno in cui le conseguenze delle scelte operate da parte delle nazioni, del cosiddetto mondo sviluppato, cominceranno a manifestarsi veramente nel regno economico. Siamo giunti al capitolo finale dell\'attuale Superciclo del debito, con diversi paesi sparsi lungo la strada, alcuni dei quali hanno raggiunto fasi più avanzate rispetto ad altri, ma tutti si stanno dirigendo verso una destinazione che li costringerà a prendere delle decisioni importanti, se le azioni politicamente dolorose non verranno prese. Più lungo sarà il processo, minori saranno il numero di opzioni disponibili e più dolorose le conseguenze. Alcuni paesi (si pensi alla Grecia) possono scegliere tra terribili situazioni economiche e il disastro. L\'opzione per delle scelte meno difficili ci sono state molto tempo fa, ora invece le regole sono tali che non si può tornare indietro al punto di partenza senza un diverso, ma ugualmente doloroso, risultato.
Sedici Pagine è un Magazine di cultura, informazione e attualità, nato dall’intuizione di Antonio Molinari e Domenico Stea assieme all’Associazione “Free Space”. La rivista fa la sua prima apparizione in pubblico il 16 Settembre 2016, con la pubblicazione del ‘numero 0’. Il successo dell’esordio proietta il magazine nel mondo delle novità e lo conferma come un progetto ambizioso e di larghe vedute. Particolarità di Sedici Pagine Magazine è la sua “Redazione Instabile”, composta interamente da giovani studenti e neolaureati (come, del resto, tutto il suo nucleo organizzativo), che mese per mese aumentano e si alternano nell’affrontare tematiche d’ogni genere (politiche, sociali, sportive, artistiche ecc…).
Gaza, palestina israele e il mondo dossier operazione margine protettivoAssopace Palestina
Raccolta di testi ha lo scopo di informare e far riflettere lettrici e lettori interessati, su quanto avvenuto in 51 giorni (8 luglio-25 Agosto 2014) nella striscia di Gaza, in Palestina e in Israele. di Alessandra Mecozzi
Interazioni tra uomo, gruppo e beni comuniMara Passuello
Variabili di contesto politico, di processi psico-sociali, di fattori antropologici e
di risonanza incarnata sembrano regolare il rapporto tra individui, gruppi e
patrimoni ambientali, producendo un continuo processo di traduzione.
1. 16
Una rivoluzione ci salverà
Tuttavia, i nostri leader non hanno mai concesso al cam-
biamento climatico lo stesso trattamento riservato a queste
crisi, benché il rischio da esso comportato – in termini di
perdite di vite umane – superi di gran lunga quello legato al
crollo di qualche banca o di qualche grattacielo. I tagli alle
emissioni di gas serra invocati dagli scienziati come necessari
per ridurre grandemente il pericolo di catastrofi vengono
considerati semplici suggerimenti indicativi, azioni da poter
rimandare più o meno all’infinito. Certo, ciò che è definito
una crisi non è solo realtà dei fatti, bensì un’espressione di
potere e di priorità. Nonostante tutto, non siamo obbligati
a fare da semplici spettatori. I politici non sono i soli ad
avere il potere di dichiarare una crisi: possono farlo anche i
movimenti di massa di gente comune.
Per le élite britanniche e americane, la schiavitù non fu
una crisi finché l’abolizionismo non la rese tale. La discrimi-
nazione razziale non fu una crisi finché non fu resa tale dal
movimento per i diritti civili. La discriminazione sessuale
non fu una crisi fino all’arrivo del femminismo. L’apartheid
non fu una crisi finché non venne resa tale dal movimento
anti-apartheid.
Analogamente, se un numero sufficiente di persone smet-
tesse di voltarsi dall’altra parte e decidesse che il cambia-
mento climatico è una crisi degna di una risposta al livello
di un piano Marshall, esso diverrebbe davvero una crisi e la
classe politica dovrebbe rispondere in modo adeguato, sia
rendendo disponibili le risorse per affrontarla, sia piegando
quelle regole del libero mercato che si sono dimostrate così
flessibili quand’erano in gioco gli interessi delle caste. Di
tanto in tanto, quando una particolare crisi ci costringe a una
riflessione sul cambiamento climatico, cogliamo un barlume
di questa potenzialità. «I soldi non sono un problema in que-
sta missione di soccorso. Spenderemo tutto il denaro che si
mostrerà necessario» ha dichiarato il primo ministro britan-
nico David Cameron – mister Austerity in persona – quando
vaste aree del suo Paese si sono ritrovate sommerse dopo la
storica alluvione del febbraio 2014 e l’opinione pubblica era
16 18/11/14 16:20
2. In un modo o nell’altro, tutto cambia
17
infuriata perché il suo governo non stava facendo abbastanza
per aiutare la gente.7
Ascoltando l’ambasciatrice Navarro Llanos presentarmi
la prospettiva boliviana, ho iniziato a comprendere come
il cambiamento climatico – se trattato al pari di una vera
emergenza planetaria, come le inondazioni conseguenti alla
crescita del livello delle acque – potrebbe diventare una forza
galvanizzante per l’umanità: non solo ci lascerebbe tutti più
protetti dagli eventi meteorologici estremi, ma renderebbe
le nostre società più sicure e più giuste sotto un’altra serie
di profili. Le risorse necessarie per abbandonare in fretta i
combustibili fossili e prepararci ai turbamenti meteorologici
che ci attendono potrebbero infatti sollevare dalla miseria
larghissimi strati dell’umanità, offrendo alle popolazioni quei
servizi di cui ora sono prive, dall’acqua pulita all’elettricità.
Questa visione del futuro non si limita alla mera questione
di sopravvivenza o resistenza al cambiamento climatico, e
va oltre le strategie di «mitigazione» o «adattamento» (nel
cupo linguaggio delle Nazioni Unite). È una visione in cui
ci serviamo collettivamente della crisi per saltare da qualche
altra parte, per raggiungere una situazione che, in tutta fran-
chezza, mi sembra migliore di quella in cui ci troviamo oggi.
Dopo quella conversazione, ho scoperto di non avere più
paura a immergermi nella realtà scientifica del cambiamento
climatico. Ho smesso di evitare gli articoli e gli studi scientifici,
e ho iniziato a leggere tutto quello che riuscivo a trovare. E
ho anche smesso di scaricare il problema agli ambientalisti, di
dirmi che doveva pensarci qualcun altro. Parlando con altre
persone del movimento per la giustizia climatica, le cui file
si ingrossano via via, ho iniziato a vedere gli svariati modi in
cui il cambiamento del clima potrebbe diventare una forza
catalizzatrice per una trasformazione generale positiva. Ho
capito come potrebbe essere il miglior argomento mai avuto
dai progressisti per chiedere la ricostruzione e il rilancio
delle economie locali; per bonificare le nostre democrazie
dall’influenza corrosiva delle corporation; per bloccare sul
nascere i nuovi accordi di libero scambio che risultino dannosi
17 18/11/14 16:20
3. 18
Una rivoluzione ci salverà
e riscrivere quelli vecchi; per investire nelle infrastrutture
pubbliche che oggi languono nell’assenza di fondi, come
i trasporti di massa e l’edilizia popolare; per riprenderci la
proprietà di servizi essenziali come l’energia e l’acqua; per
trasformare il nostro sistema agricolo malato in qualcosa di
molto più sano; per aprire i confini ai migranti in fuga a causa
degli impatti climatici; per far rispettare infine i diritti degli
indigeni sulle loro terre. Tutto questo ci aiuterebbe a porre
fine ai grotteschi livelli di ineguaglianza che si riscontrano
fra le nostre nazioni e all’interno di ciascuna di esse.
E ho iniziato a cogliere segni – nuove coalizioni e argomenti
innovativi – di come, se tali connessioni venissero maggior-
mente comprese, l’urgenza della crisi climatica potrebbe
formare la base di un potente movimento di massa, in grado
di tessere quelle questioni in apparenza disparate in un unico
discorso coerente su come proteggere l’umanità dalle deva-
stazioni generate tanto da un sistema economico ferocemente
ingiusto quanto da un sistema climatico destabilizzato. Ho
scritto questo libro perché sono giunta alla conclusione che
l’azione sul piano del problema climatico potrebbe costituire
questo rarissimo catalizzatore.
Uno shock del popolo
Ma l’ho scritto anche perché c’è la possibilità che il cam-
biamento climatico inneschi invece una serie di forme di
trasformazione sociale, politica ed economica molto diverse
e di gran lunga meno desiderabili.
Ho trascorso gli ultimi quindici anni immersa nelle ricerche
sulle società che affrontano shock estremi (causati da tracolli
economici, disastri naturali, attacchi terroristici e guerre),
esaminando in profondità i mutamenti che esse subiscono in
questi periodi di tremendo stress e i modi in cui questi eventi
cambiano – talora in meglio, ma perlopiù in peggio – il senso
collettivo di ciò che è possibile. Come ho argomentato nel
mio ultimo libro, Shock economy. L’ascesa del capitalismo dei
18 18/11/14 16:20