Slide presentate al convegno "P.A. digitale e smart city" tenuto a Pesaro il 28 giugno 2012 (organizzato da Provincia di Pesaro e Università di Urbino)
La mia prima abitazione sul web, ovvero il primo sito personale che parlava dei miei interessi e delle mie specializzazioni si trovava su Geocities. Stiamo parlando della metà degli anni 90. Geocities era uno dei primi servizi che consentivano di creare pagine personali in una rete in cui lo spazio web era ancora poco, costoso, complicato e sostanzialmente riservato a iniziative commerciali. Geocities utilizzava una metafora geografica: era suddiviso in quartieri, i quartieri in vicinati e nei vicinati le casette degli iscritti erano poste lungo una strada ed erano identificati da un numero civico. L’indirizzo della pagina web…
… era la mia residenza digitale
Per lungo tempo il web è stato vissuto e percepito come una città metaforica, un luogo altro dentro cui gli abitanti di città reali si ritrovavano inseguendo interessi e specializzazioni (da qui viene in fondo quel fardello divulgativo che vuole la rete come un fatto virtuale).
In quegli anni le persone che utilizzavano internet erano ancora relativamente poche e distribuite in tutto il mondo, il fattore aggregante – in un’epoca ancora largamente pre-social media – erano le specializzazioni professionali, gli interessi personali.
E in questo modo abbiamo dato vita a una geografia molto particolare, che prescinde dai confini geografici tradizionali. Persone di nazionalità diverse si sono ritrovate come nodi contigui all’interno di ambienti e comunità condivisi. Quest’immagine è molto più recente, si riferisce a un’epoca immediatamente precedente all’esplosione di Facebook (non l’hanno più disegnata, ma se ci provassero oggi avremmo un continente con qualche arcipelago intorno). Oggi i nodi si sono moltiplicati in modo esponenziale in buona parte del mondo, al punto…
… che gli stessi processi che fino a oggi abbiamo conosciuto in dimensione macro avvengono anche in una dimensione micro. La nostra città, il nostro quartiere, la nostra via. Iperlocale e non solo locale: *iper* sottolinea la profondità dello sguardo. Non abbiamo più bisogno della città metaforica di Geocities, Internet è diventato parte della nostra città.
I nostri vicini sono arrivati in rete e oggi possiamo cominciare a far interagire e mettere a sistema le reti di relazioni del vicinato. Il punto non è affatto sostituire i rapporti personali con quelli mediati dai computer, tantomeno avrebbe senso su scala locale, ma portare i processi virtuosi di internet anche nella nostra via, anche nel nostro condominio
E quando dico condominio non dico tanto per dire.
Nicchie. La rete è un mezzo di comunicazione che non ha centri, solo periferie. Esalta le peculiarità delle nicchie di interesse, estranee ai mass media perché economicamente insostenibili. Nicchie costruite su idee, eventi, specializzazioni. E ora anche
… il territorio. L’appartenenza a un territorio era l’ultima nicchia che restava da conquistare. Non parliamo più di *entrare nel web*: è il web che è sempre più intorno a noi, anche dove viviamo.
Abbiamo parlato di persone, la cui densità oggi consente di raggiungere la massa critica sufficiente per attivare i processi virtuosi di internet, ma oggi dobbiamo considerare anche…
… perché sono sempre più numerosi gli oggetti smart, intelligenti, illuminati dalla connessione alla rete e in grado di scambiare informazioni con l’ecosistema in cui sono inseriti.
Insomma, per farla breve, stiamo passando da un sistema gerarchico mediato da sistemi centralizzati di controllo, sintesi e smistamento a una mappatura della complessità che è sempre più…
… aderente alla realtà. Stiamo disegnando una nuova mappa della realtà, o quanto meno stiamo introducendo un livello logico di interpretazione della realtà che ha due vantaggi importanti 1) abbassa sensibilmente il costo di rappresentazione della realtà e 2) consente interrogazioni personali, aderisce completamente alle necessità dell’individuo
Complessità rappresentata integralmente
E internet non è più un mezzo di comunicazione, a questo punto: è il sistema operativo. Non dei contenuti, come viene da pensare e come è stato per decenni con i mass media, ma…
… delle relazioni
L’obiezione, a questo punto, in genere è: generiamo troppa informazione, troppa informazione equivale a nessuna informazione. In realtà proprio qui abbiamo il valore aggiunto dei processi generati dal web, per lo meno nella sua interpretazione più matura e contemporanea. Ognuno di noi compie scelte individuali che hanno effetti a livello di sistema. Le scelte individuali messe a sistema (e metterle a sistema è nella natura dei social media) formano un filtro distribuito ed enorme che distilla segnali intelligibili.
Noi siamo bombardati da messaggi, molti dei quali non rilevanti ai nostri occhi. Un social network ben configurato non annulla il rumore, ma ci dà una mano strepitosa a filtrarli, se siamo capaci di disegnare consapevolmente e in modo efficace la nostra rete sociale. Lo schema circolare racconta il funzionamento di qualunque social network: ognuno vede il mondo dalla sua finestra, e con gli occhi del proprio gruppo sociale. Va da sé che il modo in cui formiamo quel gruppo è fondamentale. Raccontava uno studio americano, l’anno scorso, che gli adolescenti dichiarano di non leggere più giornali, perché confidano nel fatto che una notizia rilevante per loro li raggiungerà attraverso i filtri sociali delle loro comunità di riferimento.
Che fine fanno in questo scenario le mediazioni tradizionali? Che ruolo hanno i giornali (intesi come organizzazioni giornalistiche professionali, a prescindere dal mezzo utilizzato) e le istituzioni (pa ed enti amministrativi vari)?
devono scegliere dove stare: o sposano le logiche sociali della rete e ne diventano parte o ne restano fuori e recepiscono soltanto a livello di effetti quello che succede in rete. Oggi è un’opzione: i giornali usano la rete per pescare notizie (gossip e cronaca nera) e per disseminare i loro articoli, ma raramente sono parte integrante della rete. Le amministrazioni pure. Il punto non è se entrare dentro Facebook o meno. È sposare il processo, farsi contaminare da quello che sta succedendo, aprirsi alla società che rappresentano. Possono continuare a non farlo, ma presto o tardi (presto, dice l’esperienza) la nostra società procederà per la sua strada e troverà modi più efficienti per organizzarsi e raccontarsi. Il modo in cui ci raccontiamo cambia la forma della società.
Un nodo, primo tra pari, che per la sua capacità di visione d’insieme e di alimentare rete emerge e vede riconosciuto il proprio ruolo vitale per la società. I mediatori professionali e consolidati hanno un notevole vantaggio competitivo, se volessero giocarlo.
Un hub, insomma. Da qui si ricomincia a ripensare ruolo, funzione, input, output.
Scavare nei blog e nei social network
Il giornalismo sta cominciando a fare il suo percorso,
Vanno superati anche i criteri di notiziabilità Il mondo ha bisogno di narrazioni. Oggi abbiamo il Grande Contenitore Universale delle narrazioni, ma non sappiamo ancora narrare bene. Servono narrazioni della quotidianità, dobbiamo mappare la banalità. Il giornalismo è narrazione dello straordinario, delle variazioni sulla banalità che diventano notizia. Ma il vero scarto del nostro tempo sta nel far parlare gli oggetti e le azioni che non fanno notizia oppure la fanno in luoghi e circostanze imprevedibili, distanti dai circuiti organizzati.