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LiberoReporter n.04 - Giugno 201006
InEvidence nome: Nino Lorusso
reti: LiberoReporter
mail: n.lorusso@liberoreporter.it
è su Facebook
LaverastoriadiMarioScaramella(1ªpuntata)
N
ella rubrica WatchDog ci siamo posti
l’obiettivo di monitorare il mondo dell’in-
formazione evidenziando, laddove ne veri-
fichiamo l’esistenza, distorsioni, manipola-
zioni e falsificazioni. Fedeli a questa linea
abbiamo deciso di rivisitare una vicenda
avvenuta ormai diversi anni fa ma che ci pare un esempio
emblematico di come i professionisti della carta stampata
non dovrebbero operare.
Protagonista, suo malgrado, il dottor Mario Scaramella,
che dal dicembre 2003 fino all’aprile 2006, è stato colla-
boratore a tempo parziale della Commissione bicamerale
d’inchiesta concernente il “dossier Mitrokhin” e l’attività
d’intelligence italiana.
Scaramella, come molti ricorderanno, balzò agli “onori”
della cronaca nel novembre 2006, ben sette mesi dopo la
chiusura della Commissione, in concomitanza con l’av-
velenamento e la morte a Londra del defezionista russo,
ex agente del Kgb, Alexander Litvinenko. Costui era
stato uno dei principali collaboratori e fonte di Scaramella
durante i lavori della Commissione ed il primo novembre
2006, giorno del suo tragico avvelenamento con polonio
210 avvenuto nella mattinata presso l’hotel Millenium,
aveva consumato nel primo pomeriggio un’ultima colazio-
ne proprio con il consulente napoletano al sushi bar Itsu di
Piccadilly Circus.
Dopo la morte di Litvinenko la stampa italiana si scatenò
contro Scaramella, colpendo e delegittimando con lui tutto
l’operato della Commissione Mitrokhin che era stata pre-
sieduta dall’allora senatore Paolo Guzzanti. Una campagna
inusitata per virulenza e accanimento. Da allora il nome di
Mario Scaramella, come abbiamo ricordato sempre su «Li-
beroReporter» nel numero di aprile-maggio 2010, è oggetto
di scherno e ironie.
Tutto cominciò in quei giorni cupi di tre anni fa...
«
Arrivò a sequestrare edifici
abusivi, alberghi, ristoranti, bar,
un caseificio e persino [!?] un
ippodromo clandestino al boss
Nuvoletta». Con queste parole, in
un articolo dal tono sprezzante e con punte
di ironia goffa, Claudio Gatti su «Il Sole
24 Ore» del 10 e 11 gennaio 2007 descri-
veva, riprendendo un testo della giornalista
Rosaria Capacchione de «Il Mattino»,
un passaggio della carriera “farlocca”, per
lui e per tantissimi altri, di Mario Scara-
mella.
Se questo è l’approdo dell’inchiesta del
giornalista del Sole allora qualcosa non
torna. Segnalare con disprezzo un’ope-
razione riuscita contro la criminalità
organizzata, per dire ai lettori guardate a
che punto è arrivato questo millantatore
incallito di Scaramella, è mortificante per
tutti coloro i quali sono ancora dotati di
qualche grammo di materia grigia e ci ten-
gono a tenerselo ben stretto. E soprattutto
lascia intravedere una sorta di partigianeria
investigativa che riduce a zero il lavoro di
un professionista della penna.
Per questo «LiberoReporter» si è impegna-
to a fondo per cercare di capire quale fosse
la verità dietro queste vicende senza con-
dizionamenti e pregiudizi, chiedendosi il
perché contro quest’uomo, si sia scatenato
un vero e proprio inferno mediatico.
Scaramella è stato vittima di un sistema
più grande di lui o di un sistema che lo ha
abbandonato in nome di chissà cosa?
La nostra inchiesta sull’ex consulente
della Commissione Mitrokhin parte da qui,
dall’origine del suo discredito mediatico.
Noi cercheremo per quanto possibile di
ristabilire la verità dei fatti.
Biografia non autorizzata
Come detto, nel gennaio 2007 sul quoti-
diano economico di Confindustria uscì una
“biografia non autorizzata” in due puntate
a cura di Claudio Gatti (Incredibile ascesa
del commissario Scaramella, «Il Sole
24 Ore», 10 gennaio 2007; Il gioco di
Scaramella tra il Kgb e la Cia, «Il Sole 24
Ore», 11 gennaio 2007). Va ricordato che
proprio la mattina del 10 gennaio presso il
Tribunale di Roma era prevista l’udienza
del riesame relativa a Mario Scaramella, in
carcere dal 24 dicembre 2006 accusato di
calunnia nei confronti di Aleksandr Talik,
ex ufficiale ucraino del Kgb, che viveva
da clandestino in Italia. Il reato contestato
risaliva all’ottobre 2005 e quindi era sog-
getto, anche in caso di eventuale condanna,
a indulto. Ma Mario Scaramella resterà in
carcere fino a giugno 2007, quindi trascor-
rerà altri otto mesi agli arresti domiciliari
fino a febbraio 2008.
Quei due articoli del Sole, di oltre venti-
settemila battute, ancora oggi sono fonte
inesauribile di ispirazione per tutti coloro
i quali si avvicinano alle vicende della
Mitrokhin. Un vero e proprio testo di rife-
rimento che ha finito per moltiplicare e dif-
fondere ovunque un’immagine deformata e
non certo lusinghiera di Mario Scaramella.
Ecco alcuni esempi emblematici, fra i tanti
che si possono fare, che prendono spunto
proprio dal lavoro di Gatti:
«Ma a smascherare Scaramella non
sarà il Parlamento italiano. Saranno tre
giornalisti (Bonini e D’Avanzo di «Repub-
blica», Claudio Gatti del «Il Sole 24ore»),
Scotland Yard e i giudici di Roma» (Marco
Travaglio, La commissione più pazza del
mondo, «l’Unità», 17 novembre 2007);
«[Scaramella] Il peracottaro napoletano,
che da anni truffava enti pubblici e uni-
versità con curriculum farlocchi» (Marco
Travaglio, «l’Unità», 24 maggio 2007).
Vediamo quindi ora di analizzare da vicino
ciò che Gatti scrisse in quegli articoli.
All’inizio del suo primo pezzo il giornali-
sta affermava:
«“Il Sole 24 Ore” ha trascorso un mese
alla ricerca dei fatti e (possibilmente)
della verità su Mario Scaramella. Conclu-
sione: Paolo Guzzanti [già presidente della
Commissione Mitrokhin] è solo l’ultima di
una lunga serie di persone che per 18 anni
gli hanno permesso di girare il mondo
spacciandosi per quello che non è mai sta-
to, cioè commissario, magistrato antima-
fia, professore universitario, responsabile
di un’organizzazione intergovernativa ed
esperto di intelligence sovietica.»
Gatti e il Sole dunque, impiegarono un
mese di ricerche per ricostruire la vicenda
professionale ed umana di Mario Scara-
mella, con l’intento di giungere “(pos-
sibilmente)” alla verità. Da allora sono
trascorsi più di tre anni. Noi di «LiberoRe-
porter» abbiamo dunque avuto sicuramente
più tempo a disposizione. Abbiamo potuto
cercare documenti e prove, reperti sui quali
siamo stati in grado di operare meticolose
verifiche e riscontri.
Fatti, non parole
Nell’incipit dell’articolo del 10 gennaio
2007, già citato, è elencata una lunga serie
di “titoli” di cui, a detta del giornalista,
Scaramella si sarebbe appropriato indebita-
mente e grazie a queste millanterie sarebbe
riuscito ad accreditarsi negli ambienti più
disparati.
Secondo Gatti la tecnica di Scaramella
consisteva nell’«utilizzare ogni singolo
contatto o evento [si presume falso o
di scarsa rilevanza] per accreditarsi e
legittimarsi con quello successivo in una
straordinaria catena autoreferenziale
senza limiti geografici.» Un risultato anche
minimo, quindi, ottenuto con l’astuzia,
usato da Scaramella come trampolino per il
passo successivo. Gatti nel suo incalzante
racconto delle straordinarie e mirabolanti
avventure di Scaramella, non può esimersi
dall’ammettere alcuni risultati conseguiti
da quest’ultimo in qualcuno dei ruoli, a
detta del giornalista del Sole, usurpati. Ma
Gatti lo fa con incredibile sprezzo del pe-
ricolo, alimentando la campagna mediatica
senza precedenti a cui era da settimane
sottoposto Scaramella. Una vera e propria
character assassination.
Gatti ad un certo punto del suo racconto,
definisce letteralmente “bravate” le azioni
compiute da Scaramella, azioni che, ad
esempio, avevano oggettivamente colpi-
to nel 1990 interessi e beni della mafia
operante sul litorale domizio-flegreo, area
compresa tra Gaeta e Pozzuoli.
Il giornalista del Sole, che sembra non
fermarsi di fronte a nulla, disegnando
situazioni degne di Ionesco, finisce, a
ben guardare, per attribuire a Scaramella
capacità addirittura sovrumane. La scarsa
plausibilità di una parte delle argomen-
tazioni di Gatti sono già evidenti a chi
abbia occhi e mente aperta per vederle.
Basterebbe infatti, a titolo di puro esercizio
di stile, provare a rileggere gli articoli del
Sole con una chiave di lettura leggermente
diversa e magari più attenta ai contenuti e
ci si troverebbe immediatamente di fronte
ad uno scenario completamente ribaltato.
A suscitare ilarità non sarebbe Scaramella
ma sarebbe proprio il giornalista e la sua
incredibile interpretazione dei fatti.
Gabriele Paradisi
LiberoReporter
g.paradisi@liberoreporter.it
è su Facebook
in alto: Paolo Guzzanti.
in basso: Alexander Valtérovich
Litvinenko detto Sasha, assassinato
nel novembre 2006 dal Polonio
210, proveniente dalla Russia,
appositamente confezionato per lui.
a sx: Mario Scaramella.
Itsu, il Sushi bar dove Scaramella incontro’ il primo novembre 2006
Alexander Litvinenko; il defezionista russo arrivo’ all’appuntamento, subito
dopo essere stato avvelenato all’Hotel Millenium con un tè «corretto» al
Polonio 210
di Nino Loruzzo e Gabriele Paradisi
continua a pag. 08
LR
LiberoReporter n.04 - Giugno 201008
InEvidence
WatchDogsegue da pag. 07
Come si può credere possibile, tanto per
fare qualche esempio, che semplicemente
“puntando su sigle in inglese e contatti al
di là dell’Atlantico” una “entità virtuale”
possa ottenere “con stupefacente sfronta-
tezza” accrediti, incarichi e finanziamenti
dalla NASA?
Come si può immaginare possibile che
qualcuno che ha il “terreno bruciato vicino
a casa” possa ricevere incarichi e consu-
lenze peritali da procure di mezza Italia,
dal Veneto alla Calabria?
E ancora, come si può onestamente credere
che “sulla base di un infinitesimale gra-
nello di verità” l’Assemblea plenaria del
Consiglio superiore della Magistratura
possa investire qualcuno della carica di
giudice onorario?
Per dirla con le parole della sentenza di
assoluzione per il reato di usurpazione di
funzioni pubbliche del 31 dicembre 1994
è “improbabile, illogico, ed in fondo irri-
guardoso, ritenere che basti qualificarsi
come Commissario per ottenere da una
Procura della Repubblica la disponibilità
ed il comando degli uomini della sezioni
di P.G”, concetto che riassume tutta la
delegittimazione logica dello sfinimento
mediatico, e purtroppo non solo, che ha
seppellito l’immagine e la rispettabilità
di una persona messa alla gogna con una
superficialità estrema e miserabile e forse
non a caso.
Ma al di là di queste considerazioni preli-
minari e introduttive, il nostro lavoro si è
sviluppato analizzando in dettaglio molti
degli argomenti trattati da Gatti. Eccone il
resoconto puntuale.
Scaramella “non è mai stato” commis-
sario?
La prima “bravata” che viene addebitata a
Scaramella è quella di essersi fatto passare
per falso commissario ed aver quindi coor-
dinato, nei primi anni novanta, operazioni
delicate contro la criminalità organizzata
campana.
Ma, in termini concreti, Mario Scaramella
è mai stato un commissario?
Vediamo di capirlo. Nel 1991, in seguito
alla cosiddetta operazione S. Antonio che
aveva colpito pesantemente con arresti e
sequestri la criminalità organizzata che
operava nel litorale domizio-flegreo, il
futuro collaboratore della commissione
Mitrokhin, che di quella operazione era
stato “guida e direzione”, venne rinviato
a giudizio per due capi di imputazione:
usurpazione di funzioni pubbliche, avendo
dichiarato di agire su mandato dell’Alto
Commissariato per la lotta alla Mafia e del-
la Commissione parlamentare antimafia e
usurpazione di titolo essendosi qualificato
come “Commissario”.
Gatti riporta l’episodio in questi termini
trancianti: “La sentenza di condanna fu
depositata il 31 dicembre 1994”.
Dunque stando a queste parole sembrereb-
be che Mario Scaramella sia stato rico-
nosciuto colpevole dei reati ascritti. Ma è
questa la verità?
Leggendo la sentenza citata da Gatti emes-
sa della Pretura Circondariale di S. Maria
Capua Vetere (da cui sono tratti i virgolet-
tati che riportiamo di seguito), sentenza dal
giornalista utilizzata per demolire Scara-
mella, in realtà si apre il sipario su scenari
molto diversi.
Secondo il capo A dell’accusa, Mario
Scaramella si era appropriato di funzioni
pubbliche che non rientravano in quelle
di coordinatore di un gruppo di Polizia
Ambientale chiamato Nasc (Nuclei Agenti
Sicurezza Civile), creato nel 1988 nell’am-
bito della Legge-quadro n. 65/86 sull’ordi-
namento della polizia municipale.
Già in primo grado però Scaramella venne
completamente assolto per questo reato
perché “il fatto non sussiste”. Gatti però
incredibilmente sembra dimenticare del
tutto questa conclusione.
Leggendo poi le motivazioni della sen-
tenza di assoluzione si rilevano dettagli
particolarmente interessanti.
Il pretore Roberto de Falco scrive infatti:
“risulta accertato che l’imputato propose
delle operazioni da compiersi sul litora-
le domizio secondo le intenzioni (se non
addirittura su mandato) dell’Alto Commis-
sariato e della Commissione Parlamentare
Antimafia”, quindi è appurato che Mario
Scaramella “ha organizzato, coordinato e
diretto operazioni” contro la criminalità
“collaborando ampiamente con le più
diverse autorità ed organi dello Stato”.
Emblematiche, in questo senso, anche le
deposizioni di tre militari che partecipa-
rono all’Operazione S. Antonio: fu loro
ordinato di mettersi “a disposizione” di
Scaramella e quindi eseguire gli “ordini
del signor Scaramella”.
Emerge inoltre che Scaramella aveva
stretti contatti con l’Alto Commissario Do-
menico Sica e con l’allora presidente della
Commissione Antimafia senatore Gerardo
Chiaromonte (1924 - 1993) al quale “rife-
riva sugli esiti delle proprie operazioni” e
con ogni probabilità “agiva con il consen-
so se non addirittura su iniziativa” dello
stesso presidente.
Va ricordato che, sia Chiaromonte, sia
Sica, vennero ascoltati come testi nel pro-
cedimento in oggetto.
Il giudice, nelle sue conclusioni si spinge
ad affermare che “la condotta posta in es-
sere dall’imputato ha goduto non soltanto
dell’acquiescenza e della tolleranza della
P.A. [Pubblica Amministrazione], ma,
probabilmente, di un vero e proprio con-
senso”. E ancora “dall’istruttoria dibatti-
mentale è emerso anche che, nell’ambito
dell’operazione condotta dallo Scaramella,
un altro gruppo specializzato ebbe l’ordine
di assistere l’imputato [una pattuglia del
G.I.C.O. di Milano – Gruppo Investigazio-
ni Criminalità Organizzata], ed è emerso
che tale partecipazione è derivata da ordi-
ni che provenivano dalla G.d.F. [Guardia
di Finanza] […] ulteriore conferma della
acquiescenza della G.d.F. e probabilmente
di alti comandi della stessa”.
Infine apprendiamo che per ordini ricevuti
“dal comando superiore” una pattuglia spe-
cializzata dei Baschi Verdi (GdF), seppur
in assenza di ordini dell’A.G. di S. Maria
Capua Vetere, ha “partecipato all’opera-
zione”, dimostrando, se ancora ce ne fosse
bisogno, l’approvazione di cui Scaramella
godeva da parte di importanti autorità
statali in lotta contro il crimine.
Pertanto il ritratto che emerge da questi
passaggi è, senza dubbio, di un uomo di
fiducia delle autorità anticrimine al quale
venivano assegnati, attraverso il Nasc,
compiti delicati nella lotta alla criminalità,
compiti che venivano peraltro adempiuti
con successo. A ben vedere dunque tutt’al-
tra figura rispetto a quella delineata da
strani biografi non autorizzati che si spin-
gono ad affermare con una certa dose di
coraggio: “Dopodiché, agitando a distanza
il tesserino di guardia itticovenatoria
provinciale [!?], il ‘commissario Scaramel-
la’si presentò a due sostituti [poco oltre
Gatti li definirà “sostituti ingannati”] della
procura di Santa Maria Capua Vetere per
ottenere l’assistenza della polizia giudizia-
ria nelle sue attività di sequestro”.
Nello stesso processo di primo grado,
relativamente al secondo capo di imputa-
zione (usurpazione di titolo), Scaramella
fu effettivamente condannato ad una lieve
multa. È dunque su questa condanna, sola
e unica, che Gatti sembra incentrare il suo
ragionamento. Ma per far ciò occorre
necessariamente minimizzare l’esito
finale raggiunto dalla Corte d’Appello
di Napoli, il 16 ottobre 1995, che assolse
Scaramella anche per questo secondo
capo d’imputazione, e sempre perché “il
fatto non sussiste”.
Questa formula doveva apparire partico-
larmente indigesta al giornalista del Sole
poiché, dopo aver parlato apertamente di
“sentenza di condanna” (senza specificare
che si trattava di una condanna di primo
grado, per un solo capo d’imputazione
e nemmeno il più grave), è costretto ad
ammettere, ‘in punta di penna’, che “la
condanna venne poi annullata in appello”,
aggiungendo che ciò avvenne in “punto
di diritto”. Tutt’altro. L’assoluzione fu
con formula piena in primo e secondo
grado per l’usurpazione di funzioni e
fu con formula piena in appello e poi
definitiva per l’uso del titolo di Commis-
sario. Quindi non “in punta di diritto” ma
“perché il fatto non sussiste”.
Comprendiamo benissimo che dare in
pasto all’opinione pubblica la storia di
un imbroglione che beffa le istituzioni è
senz’altro più utile alla demolizione del
personaggio, però non possiamo esimerci
dal far notare come il metodo utilizzato da
giornalisti pronti a sparare a zero su una
persona come Scaramella, somigli molto
alla classica martellata sulle dita. Ridico-
lizzare un uomo citando solo parti di una
sentenza di primo grado senza riporta-
re compiutamente le conclusioni a cui
giunsero i magistrati (sentenze passate in
giudicato) ci pare non molto onorevole per
dei professionisti dell’informazione.
in alto a sx: la prima pagina della sentenza della pretura di
Santa Maria Capua Vetere con evidenziati in rosso i capi di impu-
tazione per Mario Scaremella
sotto a sx: la pagina con la sentenza di assoluzione per Mario
Scaramella riguardante il capo A [evidenziato in giallo] (perchè
il fatto non sussiste) e la condanna ad una multa per il capo B
(assoluzione poi con sentenza d’appello sempre perchè il fatto
non sussiste)
in alto a destra: Sequestri sul litorale flegreo. Segnala-
zione al Questore di Napoli (evidenziato in verde)
Nel maggio 1990 Mario Scaramella e il Nasc da lui coor-
dinato portarono a compimento un’importante operazione sul
litorale flegreo in collaborazione con la Criminalpol. Furono
posti sotto sequestro, per un valore di circa 15 milioni di euro
attuali, aree ed esercizi pubblici che “risultavano di fatto nella
disponibilità di pregiudicati appartenenti al “clan dei Nuvoletta
e dei Maisto”. La massiccia operazione si rese possibile grazie ad
“una voluminosa informativa della Criminalpol” e ad “ampie
relazioni redatte dalla Polizia Ambientale” (il cosiddetto Nasc
guidato da Mario Scaramella).
in basso a destra: la lettera di ringraziamento dell’Alto
Commissario per il Coordinamento della lotta contro la
delinquenza mafiosa, per l’operato del “Commissario” Mario
Scaramella e del nucleo dei N.A.S.C. per le operazioni svolte
per la tutela dell’ambiente e per le informazioni fornite che
legavano i reati ambientali alla criminalità organizzata (eviden-
ziato in azzurro).
Seguirà nel prossimo numero - luglio 2010

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La Vera Storia di Mario Scaramella parte 1

  • 1. WatchDogLR LiberoReporter n.04 - Giugno 201006 InEvidence nome: Nino Lorusso reti: LiberoReporter mail: n.lorusso@liberoreporter.it è su Facebook LaverastoriadiMarioScaramella(1ªpuntata) N ella rubrica WatchDog ci siamo posti l’obiettivo di monitorare il mondo dell’in- formazione evidenziando, laddove ne veri- fichiamo l’esistenza, distorsioni, manipola- zioni e falsificazioni. Fedeli a questa linea abbiamo deciso di rivisitare una vicenda avvenuta ormai diversi anni fa ma che ci pare un esempio emblematico di come i professionisti della carta stampata non dovrebbero operare. Protagonista, suo malgrado, il dottor Mario Scaramella, che dal dicembre 2003 fino all’aprile 2006, è stato colla- boratore a tempo parziale della Commissione bicamerale d’inchiesta concernente il “dossier Mitrokhin” e l’attività d’intelligence italiana. Scaramella, come molti ricorderanno, balzò agli “onori” della cronaca nel novembre 2006, ben sette mesi dopo la chiusura della Commissione, in concomitanza con l’av- velenamento e la morte a Londra del defezionista russo, ex agente del Kgb, Alexander Litvinenko. Costui era stato uno dei principali collaboratori e fonte di Scaramella durante i lavori della Commissione ed il primo novembre 2006, giorno del suo tragico avvelenamento con polonio 210 avvenuto nella mattinata presso l’hotel Millenium, aveva consumato nel primo pomeriggio un’ultima colazio- ne proprio con il consulente napoletano al sushi bar Itsu di Piccadilly Circus. Dopo la morte di Litvinenko la stampa italiana si scatenò contro Scaramella, colpendo e delegittimando con lui tutto l’operato della Commissione Mitrokhin che era stata pre- sieduta dall’allora senatore Paolo Guzzanti. Una campagna inusitata per virulenza e accanimento. Da allora il nome di Mario Scaramella, come abbiamo ricordato sempre su «Li- beroReporter» nel numero di aprile-maggio 2010, è oggetto di scherno e ironie. Tutto cominciò in quei giorni cupi di tre anni fa... « Arrivò a sequestrare edifici abusivi, alberghi, ristoranti, bar, un caseificio e persino [!?] un ippodromo clandestino al boss Nuvoletta». Con queste parole, in un articolo dal tono sprezzante e con punte di ironia goffa, Claudio Gatti su «Il Sole 24 Ore» del 10 e 11 gennaio 2007 descri- veva, riprendendo un testo della giornalista Rosaria Capacchione de «Il Mattino», un passaggio della carriera “farlocca”, per lui e per tantissimi altri, di Mario Scara- mella. Se questo è l’approdo dell’inchiesta del giornalista del Sole allora qualcosa non torna. Segnalare con disprezzo un’ope- razione riuscita contro la criminalità organizzata, per dire ai lettori guardate a che punto è arrivato questo millantatore incallito di Scaramella, è mortificante per tutti coloro i quali sono ancora dotati di qualche grammo di materia grigia e ci ten- gono a tenerselo ben stretto. E soprattutto lascia intravedere una sorta di partigianeria investigativa che riduce a zero il lavoro di un professionista della penna. Per questo «LiberoReporter» si è impegna- to a fondo per cercare di capire quale fosse la verità dietro queste vicende senza con- dizionamenti e pregiudizi, chiedendosi il perché contro quest’uomo, si sia scatenato un vero e proprio inferno mediatico. Scaramella è stato vittima di un sistema più grande di lui o di un sistema che lo ha abbandonato in nome di chissà cosa? La nostra inchiesta sull’ex consulente della Commissione Mitrokhin parte da qui, dall’origine del suo discredito mediatico. Noi cercheremo per quanto possibile di ristabilire la verità dei fatti. Biografia non autorizzata Come detto, nel gennaio 2007 sul quoti- diano economico di Confindustria uscì una “biografia non autorizzata” in due puntate a cura di Claudio Gatti (Incredibile ascesa del commissario Scaramella, «Il Sole 24 Ore», 10 gennaio 2007; Il gioco di Scaramella tra il Kgb e la Cia, «Il Sole 24 Ore», 11 gennaio 2007). Va ricordato che proprio la mattina del 10 gennaio presso il Tribunale di Roma era prevista l’udienza del riesame relativa a Mario Scaramella, in carcere dal 24 dicembre 2006 accusato di calunnia nei confronti di Aleksandr Talik, ex ufficiale ucraino del Kgb, che viveva da clandestino in Italia. Il reato contestato risaliva all’ottobre 2005 e quindi era sog- getto, anche in caso di eventuale condanna, a indulto. Ma Mario Scaramella resterà in carcere fino a giugno 2007, quindi trascor- rerà altri otto mesi agli arresti domiciliari fino a febbraio 2008. Quei due articoli del Sole, di oltre venti- settemila battute, ancora oggi sono fonte inesauribile di ispirazione per tutti coloro i quali si avvicinano alle vicende della Mitrokhin. Un vero e proprio testo di rife- rimento che ha finito per moltiplicare e dif- fondere ovunque un’immagine deformata e non certo lusinghiera di Mario Scaramella. Ecco alcuni esempi emblematici, fra i tanti che si possono fare, che prendono spunto proprio dal lavoro di Gatti: «Ma a smascherare Scaramella non sarà il Parlamento italiano. Saranno tre giornalisti (Bonini e D’Avanzo di «Repub- blica», Claudio Gatti del «Il Sole 24ore»), Scotland Yard e i giudici di Roma» (Marco Travaglio, La commissione più pazza del mondo, «l’Unità», 17 novembre 2007); «[Scaramella] Il peracottaro napoletano, che da anni truffava enti pubblici e uni- versità con curriculum farlocchi» (Marco Travaglio, «l’Unità», 24 maggio 2007). Vediamo quindi ora di analizzare da vicino ciò che Gatti scrisse in quegli articoli. All’inizio del suo primo pezzo il giornali- sta affermava: «“Il Sole 24 Ore” ha trascorso un mese alla ricerca dei fatti e (possibilmente) della verità su Mario Scaramella. Conclu- sione: Paolo Guzzanti [già presidente della Commissione Mitrokhin] è solo l’ultima di una lunga serie di persone che per 18 anni gli hanno permesso di girare il mondo spacciandosi per quello che non è mai sta- to, cioè commissario, magistrato antima- fia, professore universitario, responsabile di un’organizzazione intergovernativa ed esperto di intelligence sovietica.» Gatti e il Sole dunque, impiegarono un mese di ricerche per ricostruire la vicenda professionale ed umana di Mario Scara- mella, con l’intento di giungere “(pos- sibilmente)” alla verità. Da allora sono trascorsi più di tre anni. Noi di «LiberoRe- porter» abbiamo dunque avuto sicuramente più tempo a disposizione. Abbiamo potuto cercare documenti e prove, reperti sui quali siamo stati in grado di operare meticolose verifiche e riscontri. Fatti, non parole Nell’incipit dell’articolo del 10 gennaio 2007, già citato, è elencata una lunga serie di “titoli” di cui, a detta del giornalista, Scaramella si sarebbe appropriato indebita- mente e grazie a queste millanterie sarebbe riuscito ad accreditarsi negli ambienti più disparati. Secondo Gatti la tecnica di Scaramella consisteva nell’«utilizzare ogni singolo contatto o evento [si presume falso o di scarsa rilevanza] per accreditarsi e legittimarsi con quello successivo in una straordinaria catena autoreferenziale senza limiti geografici.» Un risultato anche minimo, quindi, ottenuto con l’astuzia, usato da Scaramella come trampolino per il passo successivo. Gatti nel suo incalzante racconto delle straordinarie e mirabolanti avventure di Scaramella, non può esimersi dall’ammettere alcuni risultati conseguiti da quest’ultimo in qualcuno dei ruoli, a detta del giornalista del Sole, usurpati. Ma Gatti lo fa con incredibile sprezzo del pe- ricolo, alimentando la campagna mediatica senza precedenti a cui era da settimane sottoposto Scaramella. Una vera e propria character assassination. Gatti ad un certo punto del suo racconto, definisce letteralmente “bravate” le azioni compiute da Scaramella, azioni che, ad esempio, avevano oggettivamente colpi- to nel 1990 interessi e beni della mafia operante sul litorale domizio-flegreo, area compresa tra Gaeta e Pozzuoli. Il giornalista del Sole, che sembra non fermarsi di fronte a nulla, disegnando situazioni degne di Ionesco, finisce, a ben guardare, per attribuire a Scaramella capacità addirittura sovrumane. La scarsa plausibilità di una parte delle argomen- tazioni di Gatti sono già evidenti a chi abbia occhi e mente aperta per vederle. Basterebbe infatti, a titolo di puro esercizio di stile, provare a rileggere gli articoli del Sole con una chiave di lettura leggermente diversa e magari più attenta ai contenuti e ci si troverebbe immediatamente di fronte ad uno scenario completamente ribaltato. A suscitare ilarità non sarebbe Scaramella ma sarebbe proprio il giornalista e la sua incredibile interpretazione dei fatti. Gabriele Paradisi LiberoReporter g.paradisi@liberoreporter.it è su Facebook in alto: Paolo Guzzanti. in basso: Alexander Valtérovich Litvinenko detto Sasha, assassinato nel novembre 2006 dal Polonio 210, proveniente dalla Russia, appositamente confezionato per lui. a sx: Mario Scaramella. Itsu, il Sushi bar dove Scaramella incontro’ il primo novembre 2006 Alexander Litvinenko; il defezionista russo arrivo’ all’appuntamento, subito dopo essere stato avvelenato all’Hotel Millenium con un tè «corretto» al Polonio 210 di Nino Loruzzo e Gabriele Paradisi continua a pag. 08
  • 2. LR LiberoReporter n.04 - Giugno 201008 InEvidence WatchDogsegue da pag. 07 Come si può credere possibile, tanto per fare qualche esempio, che semplicemente “puntando su sigle in inglese e contatti al di là dell’Atlantico” una “entità virtuale” possa ottenere “con stupefacente sfronta- tezza” accrediti, incarichi e finanziamenti dalla NASA? Come si può immaginare possibile che qualcuno che ha il “terreno bruciato vicino a casa” possa ricevere incarichi e consu- lenze peritali da procure di mezza Italia, dal Veneto alla Calabria? E ancora, come si può onestamente credere che “sulla base di un infinitesimale gra- nello di verità” l’Assemblea plenaria del Consiglio superiore della Magistratura possa investire qualcuno della carica di giudice onorario? Per dirla con le parole della sentenza di assoluzione per il reato di usurpazione di funzioni pubbliche del 31 dicembre 1994 è “improbabile, illogico, ed in fondo irri- guardoso, ritenere che basti qualificarsi come Commissario per ottenere da una Procura della Repubblica la disponibilità ed il comando degli uomini della sezioni di P.G”, concetto che riassume tutta la delegittimazione logica dello sfinimento mediatico, e purtroppo non solo, che ha seppellito l’immagine e la rispettabilità di una persona messa alla gogna con una superficialità estrema e miserabile e forse non a caso. Ma al di là di queste considerazioni preli- minari e introduttive, il nostro lavoro si è sviluppato analizzando in dettaglio molti degli argomenti trattati da Gatti. Eccone il resoconto puntuale. Scaramella “non è mai stato” commis- sario? La prima “bravata” che viene addebitata a Scaramella è quella di essersi fatto passare per falso commissario ed aver quindi coor- dinato, nei primi anni novanta, operazioni delicate contro la criminalità organizzata campana. Ma, in termini concreti, Mario Scaramella è mai stato un commissario? Vediamo di capirlo. Nel 1991, in seguito alla cosiddetta operazione S. Antonio che aveva colpito pesantemente con arresti e sequestri la criminalità organizzata che operava nel litorale domizio-flegreo, il futuro collaboratore della commissione Mitrokhin, che di quella operazione era stato “guida e direzione”, venne rinviato a giudizio per due capi di imputazione: usurpazione di funzioni pubbliche, avendo dichiarato di agire su mandato dell’Alto Commissariato per la lotta alla Mafia e del- la Commissione parlamentare antimafia e usurpazione di titolo essendosi qualificato come “Commissario”. Gatti riporta l’episodio in questi termini trancianti: “La sentenza di condanna fu depositata il 31 dicembre 1994”. Dunque stando a queste parole sembrereb- be che Mario Scaramella sia stato rico- nosciuto colpevole dei reati ascritti. Ma è questa la verità? Leggendo la sentenza citata da Gatti emes- sa della Pretura Circondariale di S. Maria Capua Vetere (da cui sono tratti i virgolet- tati che riportiamo di seguito), sentenza dal giornalista utilizzata per demolire Scara- mella, in realtà si apre il sipario su scenari molto diversi. Secondo il capo A dell’accusa, Mario Scaramella si era appropriato di funzioni pubbliche che non rientravano in quelle di coordinatore di un gruppo di Polizia Ambientale chiamato Nasc (Nuclei Agenti Sicurezza Civile), creato nel 1988 nell’am- bito della Legge-quadro n. 65/86 sull’ordi- namento della polizia municipale. Già in primo grado però Scaramella venne completamente assolto per questo reato perché “il fatto non sussiste”. Gatti però incredibilmente sembra dimenticare del tutto questa conclusione. Leggendo poi le motivazioni della sen- tenza di assoluzione si rilevano dettagli particolarmente interessanti. Il pretore Roberto de Falco scrive infatti: “risulta accertato che l’imputato propose delle operazioni da compiersi sul litora- le domizio secondo le intenzioni (se non addirittura su mandato) dell’Alto Commis- sariato e della Commissione Parlamentare Antimafia”, quindi è appurato che Mario Scaramella “ha organizzato, coordinato e diretto operazioni” contro la criminalità “collaborando ampiamente con le più diverse autorità ed organi dello Stato”. Emblematiche, in questo senso, anche le deposizioni di tre militari che partecipa- rono all’Operazione S. Antonio: fu loro ordinato di mettersi “a disposizione” di Scaramella e quindi eseguire gli “ordini del signor Scaramella”. Emerge inoltre che Scaramella aveva stretti contatti con l’Alto Commissario Do- menico Sica e con l’allora presidente della Commissione Antimafia senatore Gerardo Chiaromonte (1924 - 1993) al quale “rife- riva sugli esiti delle proprie operazioni” e con ogni probabilità “agiva con il consen- so se non addirittura su iniziativa” dello stesso presidente. Va ricordato che, sia Chiaromonte, sia Sica, vennero ascoltati come testi nel pro- cedimento in oggetto. Il giudice, nelle sue conclusioni si spinge ad affermare che “la condotta posta in es- sere dall’imputato ha goduto non soltanto dell’acquiescenza e della tolleranza della P.A. [Pubblica Amministrazione], ma, probabilmente, di un vero e proprio con- senso”. E ancora “dall’istruttoria dibatti- mentale è emerso anche che, nell’ambito dell’operazione condotta dallo Scaramella, un altro gruppo specializzato ebbe l’ordine di assistere l’imputato [una pattuglia del G.I.C.O. di Milano – Gruppo Investigazio- ni Criminalità Organizzata], ed è emerso che tale partecipazione è derivata da ordi- ni che provenivano dalla G.d.F. [Guardia di Finanza] […] ulteriore conferma della acquiescenza della G.d.F. e probabilmente di alti comandi della stessa”. Infine apprendiamo che per ordini ricevuti “dal comando superiore” una pattuglia spe- cializzata dei Baschi Verdi (GdF), seppur in assenza di ordini dell’A.G. di S. Maria Capua Vetere, ha “partecipato all’opera- zione”, dimostrando, se ancora ce ne fosse bisogno, l’approvazione di cui Scaramella godeva da parte di importanti autorità statali in lotta contro il crimine. Pertanto il ritratto che emerge da questi passaggi è, senza dubbio, di un uomo di fiducia delle autorità anticrimine al quale venivano assegnati, attraverso il Nasc, compiti delicati nella lotta alla criminalità, compiti che venivano peraltro adempiuti con successo. A ben vedere dunque tutt’al- tra figura rispetto a quella delineata da strani biografi non autorizzati che si spin- gono ad affermare con una certa dose di coraggio: “Dopodiché, agitando a distanza il tesserino di guardia itticovenatoria provinciale [!?], il ‘commissario Scaramel- la’si presentò a due sostituti [poco oltre Gatti li definirà “sostituti ingannati”] della procura di Santa Maria Capua Vetere per ottenere l’assistenza della polizia giudizia- ria nelle sue attività di sequestro”. Nello stesso processo di primo grado, relativamente al secondo capo di imputa- zione (usurpazione di titolo), Scaramella fu effettivamente condannato ad una lieve multa. È dunque su questa condanna, sola e unica, che Gatti sembra incentrare il suo ragionamento. Ma per far ciò occorre necessariamente minimizzare l’esito finale raggiunto dalla Corte d’Appello di Napoli, il 16 ottobre 1995, che assolse Scaramella anche per questo secondo capo d’imputazione, e sempre perché “il fatto non sussiste”. Questa formula doveva apparire partico- larmente indigesta al giornalista del Sole poiché, dopo aver parlato apertamente di “sentenza di condanna” (senza specificare che si trattava di una condanna di primo grado, per un solo capo d’imputazione e nemmeno il più grave), è costretto ad ammettere, ‘in punta di penna’, che “la condanna venne poi annullata in appello”, aggiungendo che ciò avvenne in “punto di diritto”. Tutt’altro. L’assoluzione fu con formula piena in primo e secondo grado per l’usurpazione di funzioni e fu con formula piena in appello e poi definitiva per l’uso del titolo di Commis- sario. Quindi non “in punta di diritto” ma “perché il fatto non sussiste”. Comprendiamo benissimo che dare in pasto all’opinione pubblica la storia di un imbroglione che beffa le istituzioni è senz’altro più utile alla demolizione del personaggio, però non possiamo esimerci dal far notare come il metodo utilizzato da giornalisti pronti a sparare a zero su una persona come Scaramella, somigli molto alla classica martellata sulle dita. Ridico- lizzare un uomo citando solo parti di una sentenza di primo grado senza riporta- re compiutamente le conclusioni a cui giunsero i magistrati (sentenze passate in giudicato) ci pare non molto onorevole per dei professionisti dell’informazione. in alto a sx: la prima pagina della sentenza della pretura di Santa Maria Capua Vetere con evidenziati in rosso i capi di impu- tazione per Mario Scaremella sotto a sx: la pagina con la sentenza di assoluzione per Mario Scaramella riguardante il capo A [evidenziato in giallo] (perchè il fatto non sussiste) e la condanna ad una multa per il capo B (assoluzione poi con sentenza d’appello sempre perchè il fatto non sussiste) in alto a destra: Sequestri sul litorale flegreo. Segnala- zione al Questore di Napoli (evidenziato in verde) Nel maggio 1990 Mario Scaramella e il Nasc da lui coor- dinato portarono a compimento un’importante operazione sul litorale flegreo in collaborazione con la Criminalpol. Furono posti sotto sequestro, per un valore di circa 15 milioni di euro attuali, aree ed esercizi pubblici che “risultavano di fatto nella disponibilità di pregiudicati appartenenti al “clan dei Nuvoletta e dei Maisto”. La massiccia operazione si rese possibile grazie ad “una voluminosa informativa della Criminalpol” e ad “ampie relazioni redatte dalla Polizia Ambientale” (il cosiddetto Nasc guidato da Mario Scaramella). in basso a destra: la lettera di ringraziamento dell’Alto Commissario per il Coordinamento della lotta contro la delinquenza mafiosa, per l’operato del “Commissario” Mario Scaramella e del nucleo dei N.A.S.C. per le operazioni svolte per la tutela dell’ambiente e per le informazioni fornite che legavano i reati ambientali alla criminalità organizzata (eviden- ziato in azzurro). Seguirà nel prossimo numero - luglio 2010