La crisi della finanza mondiale ha impattato sul nostro Paese in modo violento anche a causa di problemi strutturali. Alcuni riguardano la condizione giovanile attuale ma soprattutto prospettica. Il futuro è in quei Paesi che stanno crescendo, Cina, India, Brasile e in quelle industrie italiane che, multilocalizzate, sapranno rispondere alla sfida del mercato alzando l’asticella tecnologica dei prodotti. La disoccupazione, oltre ad erodere la base del c.d. welfare informale, incrina il patto che dovrebbe legare le generazioni fra loro. Perché tra lavori mal retribuiti e discontinui il tasso di sostituzione scende sempre di più e l’assegno pensionistico futuro rischia di non andare oltre la soglia della sopravvivenza. A proposito d’ istruzione, formazione, ricerca e innovazione, oltre al "brain drain", nessun paese Oecd esporta tanti laureati come l’Italia. Ma il sintomo più evidente del nostro declino è nel mancato richiamo delle intelligenze dagli altri paesi. Di converso, la forza dei giovani, la forza della vita, è quella di non lasciarsi fermare dalle difficoltà, di non lasciarsi vincere dalle delusioni, di non lasciar prevalere l’animale ma di scoprire e far scoprire l’angelo, per dirla a là Hillman. Si è giovani quando si ama la vita con le sue amarezze e le sue contraddizioni, ma anche con le sue gioie e le sue verità, quando si lascia prevalere il fluire delle emozioni. Viceversa, quando si demorde, ci si rassegna, non si ha più la forza o la voglia di combattere le battaglie dell’esistenza, quando si pensa che tanto non è possibile “cambiare questa vita prima che ci cambi lei”, allora si è persa la giovinezza. In quel preciso momento ci si colloca da soli fuori dallo spazio vitale, dallo spazio dell’energia creatrice. La speranza non è la fiducia che le cose andranno nel miglior modo possibile, ma che la vita abbia un senso. Il senso che sappiamo trovare.