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Giappone: verso una nuova leadership regionale?
In 3 sorsi – La contesa tra Cina e Giappone per ottenere il ruolo di locomotiva della crescita economica e
dell’integrazione dell’Asia orientale infuria sin dai primi anni Duemila. Tuttavia i due giganti asiatici fanno entrambi
parte dell’ASEAN+3, organismo per l’integrazione regionale nato in parte grazie agli sforzi diplomatici di Tokyo.
1. GLI EFFETTI DEL BILATERALISMO – È soltanto negli ultimi anni che il Giappone è riuscito a collaborare in
maniera più autonoma con Paesi vicini come la Repubblica di Corea e la Repubblica Popolare Cinese. Questo in
ragione del forte bilateralismo con gli Stati Uniti, cui Tokyo resta vincolato sin dal 1945 non potendo avere
relazioni completamente autonome con altri Stati. Il bilateralismo era infatti uno degli elementi principali
della Dottrina Yoshida (accordo nippo-americano siglato nel 1945), che prevedeva anche che il Giappone non
potesse assumere una leadership regionale né di tipo politico né di tipo militare, ma che potesse sviluppare
esclusivamente un potere economico.
Il Paese del Sol Levante è sempre stato fortemente propenso ad assecondare gli Stati Uniti proprio in virtù della
necessità di ottenere il più presto possibile un inserimento all’interno della comunità internazionale e una pronta
ripresa economica durante il dopoguerra. Per questo motivo, durante le fasi di creazione di organismi regionali quali
l’EAEC (East Asian Economic Caucus), il Giappone era stato persuaso dagli USA a non prenderne parte, e il
progetto fallì ancora prima di iniziare.
View image | gettyimages.com
Fig. 1 – Il Presidente americano Barack Obama con l’Imperatore giapponese Akihito e l’imperatrice Michiko durante
la visita a Tokyo della primavera 2014.
2. LA CRISI DEL 1997, GRANDE CHANCE PER IL GIAPPONE – Dal momento in cui il Giappone ha provato a
ricucire i legami con gli altri Paesi orientali negli anni Settanta, ha trovato delle difficoltà nel far parte dei forum di
discussione a vocazione trans-pacifica come l’ASEAN Regional Forum (ARF) e l’Asia-Pacific Economic
Cooperation (APEC), che hanno l’obiettivo di favorire il dialogo costruttivo su questioni legate alla pace e
all’integrazione economica tra gli Stati membri, sulla base di impegni non vincolanti. La causa di queste difficoltà nel
ricostruire i legami fu dovuta al “problema della storia”, ovvero il ricordo delle atrocità compiute dal militarismo
giapponese nei confronti dei numerosi Paesi asiatici invasi da Tokyo durante il secondo conflitto mondiale. La crisi
finanziaria che ha colpito, nel 1997, l’Indonesia, la Corea del Sud, il Sud-est asiatico e le Filippine, si è rivelata una
grande occasione che ha permesso al Giappone di migliorare le relazioni con tali Stati, supportandoli a livello
finanziario, e di re-instaurare un nuovo rapporto di fiducia seguito da accordi politico-economici. Questo evento ha
anche fatto scaturire una forte transizione dal precedente modello a vocazione transpacifica a un nuovo modello
regionalistico contrassegnato dal “primato dell’Asia sul Pacifico”.
Dopo aver firmato un importante accordo militare con il Presidente Clinton, il Primo ministro Ryutaro Hashimoto
decise, infatti, di fare la sua prima visita estera nel Sud-est asiatico piuttosto che negli Stati Uniti – com’era di
consuetudine. Attraverso la cosiddetta Dottrina Hashimoto cercò di rafforzare le relazioni con l’ASEAN e con
ognuno degli Stati membri, cercando, attraverso incontri regolari tra i leader, scambi culturali e iniziative di
cooperazione, di trovare punti comuni sui nuovi problemi di sicurezza del terrorismo, dell’ambiente e così via. Già
nel 2001 il commercio del Giappone con l’ASEAN era tre volte più elevato di quello che aveva con la Cina (pari a
122.3 miliardi di dollari rispetto ai 55.4 miliardi di dollari con la Cina), e questo avvenimento venne messo in
evidenza durante il Summit commemorativo ASEAN-Giappone tenutosi a Tokyo nel 2003. Fu l’opportunità di
esprimere l’apprezzamento per il ruolo positivo del Paese del Sol Levante e la prima occasione in cui un Summit
ASEAN si tenne al di fuori dell’area del Sud-est asiatico. Il 2003 è stato quindi un anno cruciale, durante il quale il
Paese dei ciliegi ha potuto vedere affermata la propria posizione di maggiore Stato contributore dell’ASEAN, con
il quale condivide solidi legami storici e profondi valori comuni.
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Fig. 2 – Il santuario di Yasukuni a Tokyo, dedicato alla memoria dei caduti giapponesi nella Seconda Guerra
Mondiale. Le frequenti visite di esponenti del Governo nipponico al santuario provocano spesso le accese proteste di
molti Paesi asiatici vittime del militarismo giapponese negli anni Quaranta.
3. IL RUOLO DELL’ASEAN+3 – Nel tempo la leadership del Giappone si è delineata sempre più: il Paese è
diventato primo partner commerciale dell’ASEAN con l’entrata in vigore, nel 2010, dell’ ASEAN-
Japan Comprehensive Economic Partnership (AJCEP), e la sua posizione si è ulteriormente consolidata con
la creazione del meccanismo APT (ASEAN+3: Giappone, Cina, Corea del Sud), istituzionalizzato al sesto vertice
dell’ASEAN, tenutosi in Vietnam del 1998. L’ASEAN+3 (in cui il Giappone è stato inserito dopo tanti anni di
negoziazioni e riallaccio dei legami) rappresenta il più grande mercato in termini di consumatori, analogo ai mercati
della UE e del NAFTA, e ha la potenzialità di sfidare i più importanti esperimenti di integrazione regionale realizzati
fino a oggi. Basti pensare che nel 2010 le sole tre grandi nazioni dell’Asia orientale (Cina, Corea, Giappone) hanno
generato il 20% del PIL mondiale. Alla luce di questa realtà che si prospetta davanti ai nostri occhi ci sono buone
prospettive per il futuro dell’integrazione regionale in Asia orientale, anche se le dispute nel Mar Cinese Orientale –
che vedono la Cina, il Giappone e Taiwan contendersi l’arcipelago delle isole Senkaku – hanno aumentato
pericolosamente la storica rivalità tra Cina e Giappone.
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Fig. 3 – Il ministro degli Esteri giapponese Fumio Kishida partecipa a un vertice ASEAN in Myanmar (estate 2014).
Claudia D’Aprile
Un chicco in più
Per approfondire il tema dell’integrazione regionale in Asia orientale, si consigliano i seguenti articoli:
Il disgelo fra Cina, Corea del Sud e Giappone potrebbe non essere cosa facile, International Business Times,
22 marzo 2015.
Cina e Giappone nella lotta per la leadership regionale, Aurora, 10 marzo 2015.
Cina, Giappone e Corea del Sud creano il loro mercato comune, Panorama, giugno 2012.
Il problema dei libri di testo e le relazioni sino-giapponesi, Mondo Cinese, aprile-giugno 2005.

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  • 1. ilcaffegeopolitico.org http://www.ilcaffegeopolitico.org/35664/giappone-verso-una-nuova-leadership-regionale Giappone: verso una nuova leadership regionale? In 3 sorsi – La contesa tra Cina e Giappone per ottenere il ruolo di locomotiva della crescita economica e dell’integrazione dell’Asia orientale infuria sin dai primi anni Duemila. Tuttavia i due giganti asiatici fanno entrambi parte dell’ASEAN+3, organismo per l’integrazione regionale nato in parte grazie agli sforzi diplomatici di Tokyo. 1. GLI EFFETTI DEL BILATERALISMO – È soltanto negli ultimi anni che il Giappone è riuscito a collaborare in maniera più autonoma con Paesi vicini come la Repubblica di Corea e la Repubblica Popolare Cinese. Questo in ragione del forte bilateralismo con gli Stati Uniti, cui Tokyo resta vincolato sin dal 1945 non potendo avere relazioni completamente autonome con altri Stati. Il bilateralismo era infatti uno degli elementi principali della Dottrina Yoshida (accordo nippo-americano siglato nel 1945), che prevedeva anche che il Giappone non potesse assumere una leadership regionale né di tipo politico né di tipo militare, ma che potesse sviluppare esclusivamente un potere economico. Il Paese del Sol Levante è sempre stato fortemente propenso ad assecondare gli Stati Uniti proprio in virtù della necessità di ottenere il più presto possibile un inserimento all’interno della comunità internazionale e una pronta ripresa economica durante il dopoguerra. Per questo motivo, durante le fasi di creazione di organismi regionali quali l’EAEC (East Asian Economic Caucus), il Giappone era stato persuaso dagli USA a non prenderne parte, e il progetto fallì ancora prima di iniziare. View image | gettyimages.com Fig. 1 – Il Presidente americano Barack Obama con l’Imperatore giapponese Akihito e l’imperatrice Michiko durante la visita a Tokyo della primavera 2014. 2. LA CRISI DEL 1997, GRANDE CHANCE PER IL GIAPPONE – Dal momento in cui il Giappone ha provato a ricucire i legami con gli altri Paesi orientali negli anni Settanta, ha trovato delle difficoltà nel far parte dei forum di discussione a vocazione trans-pacifica come l’ASEAN Regional Forum (ARF) e l’Asia-Pacific Economic Cooperation (APEC), che hanno l’obiettivo di favorire il dialogo costruttivo su questioni legate alla pace e all’integrazione economica tra gli Stati membri, sulla base di impegni non vincolanti. La causa di queste difficoltà nel
  • 2. ricostruire i legami fu dovuta al “problema della storia”, ovvero il ricordo delle atrocità compiute dal militarismo giapponese nei confronti dei numerosi Paesi asiatici invasi da Tokyo durante il secondo conflitto mondiale. La crisi finanziaria che ha colpito, nel 1997, l’Indonesia, la Corea del Sud, il Sud-est asiatico e le Filippine, si è rivelata una grande occasione che ha permesso al Giappone di migliorare le relazioni con tali Stati, supportandoli a livello finanziario, e di re-instaurare un nuovo rapporto di fiducia seguito da accordi politico-economici. Questo evento ha anche fatto scaturire una forte transizione dal precedente modello a vocazione transpacifica a un nuovo modello regionalistico contrassegnato dal “primato dell’Asia sul Pacifico”. Dopo aver firmato un importante accordo militare con il Presidente Clinton, il Primo ministro Ryutaro Hashimoto decise, infatti, di fare la sua prima visita estera nel Sud-est asiatico piuttosto che negli Stati Uniti – com’era di consuetudine. Attraverso la cosiddetta Dottrina Hashimoto cercò di rafforzare le relazioni con l’ASEAN e con ognuno degli Stati membri, cercando, attraverso incontri regolari tra i leader, scambi culturali e iniziative di cooperazione, di trovare punti comuni sui nuovi problemi di sicurezza del terrorismo, dell’ambiente e così via. Già nel 2001 il commercio del Giappone con l’ASEAN era tre volte più elevato di quello che aveva con la Cina (pari a 122.3 miliardi di dollari rispetto ai 55.4 miliardi di dollari con la Cina), e questo avvenimento venne messo in evidenza durante il Summit commemorativo ASEAN-Giappone tenutosi a Tokyo nel 2003. Fu l’opportunità di esprimere l’apprezzamento per il ruolo positivo del Paese del Sol Levante e la prima occasione in cui un Summit ASEAN si tenne al di fuori dell’area del Sud-est asiatico. Il 2003 è stato quindi un anno cruciale, durante il quale il Paese dei ciliegi ha potuto vedere affermata la propria posizione di maggiore Stato contributore dell’ASEAN, con il quale condivide solidi legami storici e profondi valori comuni. View image | gettyimages.com Fig. 2 – Il santuario di Yasukuni a Tokyo, dedicato alla memoria dei caduti giapponesi nella Seconda Guerra Mondiale. Le frequenti visite di esponenti del Governo nipponico al santuario provocano spesso le accese proteste di molti Paesi asiatici vittime del militarismo giapponese negli anni Quaranta. 3. IL RUOLO DELL’ASEAN+3 – Nel tempo la leadership del Giappone si è delineata sempre più: il Paese è diventato primo partner commerciale dell’ASEAN con l’entrata in vigore, nel 2010, dell’ ASEAN- Japan Comprehensive Economic Partnership (AJCEP), e la sua posizione si è ulteriormente consolidata con la creazione del meccanismo APT (ASEAN+3: Giappone, Cina, Corea del Sud), istituzionalizzato al sesto vertice dell’ASEAN, tenutosi in Vietnam del 1998. L’ASEAN+3 (in cui il Giappone è stato inserito dopo tanti anni di negoziazioni e riallaccio dei legami) rappresenta il più grande mercato in termini di consumatori, analogo ai mercati della UE e del NAFTA, e ha la potenzialità di sfidare i più importanti esperimenti di integrazione regionale realizzati fino a oggi. Basti pensare che nel 2010 le sole tre grandi nazioni dell’Asia orientale (Cina, Corea, Giappone) hanno generato il 20% del PIL mondiale. Alla luce di questa realtà che si prospetta davanti ai nostri occhi ci sono buone prospettive per il futuro dell’integrazione regionale in Asia orientale, anche se le dispute nel Mar Cinese Orientale – che vedono la Cina, il Giappone e Taiwan contendersi l’arcipelago delle isole Senkaku – hanno aumentato pericolosamente la storica rivalità tra Cina e Giappone. View image | gettyimages.com Fig. 3 – Il ministro degli Esteri giapponese Fumio Kishida partecipa a un vertice ASEAN in Myanmar (estate 2014). Claudia D’Aprile Un chicco in più Per approfondire il tema dell’integrazione regionale in Asia orientale, si consigliano i seguenti articoli: Il disgelo fra Cina, Corea del Sud e Giappone potrebbe non essere cosa facile, International Business Times, 22 marzo 2015. Cina e Giappone nella lotta per la leadership regionale, Aurora, 10 marzo 2015.
  • 3. Cina, Giappone e Corea del Sud creano il loro mercato comune, Panorama, giugno 2012. Il problema dei libri di testo e le relazioni sino-giapponesi, Mondo Cinese, aprile-giugno 2005.