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Don Rua e l’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice
                                tra continuitĂ  e innovazioni
                                                                                         Grazia Loparco fma

Introduzione
In ventidue anni di rettorato il rapporto tra don Michele Rua e l’Istituto delle Figlie di Maria
Ausiliatrice (FMA) fu segnato da alcune trasformazioni istituzionali. L’intero arco cronologico è
oggetto del nostro esame, tenendo conto che le FMA, fondate nel 1872, dal 1888 al 1910 passarono da
415 a 2716; le loro case da 54 a 320, senza contare quelle di breve durata. Rispetto all’impostazione
iniziale, un incisivo cambio avvenne nel 1906 con la separazione delle due congregazioni; esso sarĂ 
analizzato altrove, mentre alcune domande di piĂą ampio respiro sottendono a questa riflessione.
A partire dalle Costituzioni delle FMA (1885) sul ruolo del Superiore maggiore, ci chiediamo come
don Rua dovette modificarlo, dunque come interpretò la fedeltà allo spirito di don Bosco, senza poter
ripetere il suo schema di governo. Con il cambio canonico, quali furono le conseguenze de facto
dell’autonomia giuridica delle FMA riguardo al Superiore; che tipo di interazione egli ebbe con madre
Caterina Daghero, il consiglio generale; data l’espansione continua delle fondazioni, come intervenne
nella formazione e nell’erezione canonica delle ispettorie (1908), con quali implicanze nel governo e
nell’economia; come incise sul piano educativo e formativo, ascetico e spirituale; quali sinergie suggerì
alle FMA la sua apertura sociale, la propensione a collaborare con i laici; che risonanza ebbe presso
don Rua qualche disagio avvertito a livello locale dalle FMA rispetto ai Salesiani, e come intervenne.
Su tutti questi fattori tipici della vita delle FMA si può fondare il giudizio sulla continuità perseguita e
sulle innovazioni introdotte nel ruolo del rettor maggiore in rapporto all’Istituto.
A livello documentario sono oggi disponibili, tra l’altro, centinaia di lettere di don Rua a FMA (ben più
di quelle di don Bosco..), ma molte cose furono decise a voce, a Nizza Monferrato e a Torino.
L’indagine vorrebbe esplorare il tema, integrando ciò che già si conosce, con fonti poco note o poco
valorizzate, che confermano o completano la sua figura.

     1. Il profilo istituzionale del successore di don Bosco in relazione all’Istituto delle FMA
Le Costituzioni date da don Bosco sancivano la dipendenza delle FMA dal superiore e le suore erano
convinte che l’osservanza avrebbe assicurato la fedeltà al suo spirito e l’avvenire dell’istituto. Ancor
prima della scomparsa del fondatore si era posto il problema dell’autorità maschile tra le religiose e si
era cercato di non creare confusione tra l’autorità del rettor maggiore, del direttore generale e di quelli
locali. Con il 1888 don Rua assunse in pieno il proprio compito, collaborando con madre Daghero, che
aveva poco piĂą di 30 anni. Lo scambio epistolare attesta la gamma di temi e decisioni concordate, come
pure l’intesa e la collaborazione favorita dall’informazione precisa, dalla stima e dal rispetto reciproco
di antica data.
Con il moltiplicarsi delle case, nel 1893 si abbozzarono le ispettorie e si estesero agli ispettori le
attribuzioni del direttore generale. In un certo senso diventava piĂą delicato coordinare tante autoritĂ .
Anche madre Daghero si mostrò all’altezza del compito. Don Rua si avvalse delle mediazioni locali,
unendo discrezione, chiarezza di vedute. Alcune istanze rimbalzarono nei capitoli generali dei
Salesiani, dal 1889 al 1904, contemperando la moltiplicazione di norme scritte e la conferma del
progetto originario. Nel consiglio generale delle FMA don Rua presiedeva qualche incontro l’anno, ma
i contatti erano più frequenti. Agli inizi del ’900 don Albera e don Gusmano visitarono anche le case
delle FMA in America, riferendo a Torino sia sui vantaggi della collaborazione, sia gli inconvenienti di
alcune ingerenze, la scarsa separazione di abitazione in alcuni collegi, l’eccessiva presenza dei vescovi
salesiani tra le suore, la pretesa di confidenza e per le confessioni.
Nel contempo erano giunti a Roma alcuni ricorsi di sacerdoti e vescovi. Il S. Uffizio, giĂ  interessato ai
SDB per il tema delle confessioni, esaminò le Costituzioni delle FMA. I consultori segnalarono gravi
irregolarità, fino alla sentenza del van Rossum nel 1902: “Magnis malis, magna remedia”. La S.
Congregazione dei Vescovi e Regolari fu incaricata di procedere. Il male lamentato era l’eccessiva
dipendenza: “Le figlie di Maria Ausiliatrice si dicono aggregate ai Salesiani. - Più che aggregate,
bisognerebbe dirle assoggettate o asservite ai Salesiani”. Il governo doveva essere affidato alle
religiose; la nomina dei confessori e l’esame delle vocazioni sotto la diretta responsabilità dei vescovi.
La parte economica fosse separata.
Don Rua si comportò con grande cautela, prudenza e paternità in questi frangenti, che allarmarono la
superiora generale, per la fedeltĂ  allo spirito salesiano e le difficili condizioni politiche di tanti paesi.
L’aiuto dei salesiani sembrava irrinunciabile per le opere educative, oltre che per la cura spirituale. Ma
si dovette obbedire.
Don Rua. Presenza sollecita e discreta al momento dell’autonomia
Don Rua concordò con madre Daghero la strategia della comunicazione. Egli scrisse una lettera
circolare alle FMA il 29 settembre 1906, presentando positivamente le nuove Costituzioni e
l’attaccamento di don Bosco al papa e ai vescovi. C. Daghero il 15 ottobre scrisse similmente a tutte le
FMA e intanto, a parte, scrisse alle ispettrici, confermando che non si impediva il riferimento ai
salesiani per l’aspetto spirituale.
Don Rua scrisse anche a ispettori e direttori. In otto punti chiariva che le FMA dipendevano
direttamente dalla S. Congregazione dei Vescovi e Regolari, come gli altri istituti; dovevano avere
un’amministrazione del tutto distinta e separata dai salesiani; dove operavano per cucina e biancheria
dovevano essere retribuite; le case vicine dovevano essere del tutto separate e senza alcuna
comunicazione; le abitazioni dovevano essere di loro proprietĂ , per cui progressivamente si sarebbe
fatta la cessione legale; tuttavia, avendo in comune il fondatore, si sarebbe mantenuta una grande caritĂ 
reciproca, riconoscenza e rispetto mutuo, ma senza alcun diritto di superiorità né dovere di dipendenza.
Per l’aspetto spirituale i salesiani se ne sarebbero occupati se incaricati dagli Ordinari, come per le altre
religiose; le FMA avrebbero potuto rivolgersi ai salesiani, con le debite autorizzazioni, soprattutto per
l’aiuto a conservare lo spirito del comune padre don Bosco. I superiori dovevano far comprendere ai
salesiani, con la parola e l’esempio, di non potersi recare dalle suore senza permesso e di non
intrattenersi più del necessario e in modo edificante. A madre Daghero, scriveva don Rua: “State
tranquilla che non vi abbandoniamo: fate voi altre quello che potete per isbrigarvi dei vostri affari; e
quando siete incagliate, scrivete; e noi procureremo sempre di aiutarvi”. Chiarita la sua posizione nel
1907, confermava: “Intendo, come disse il Sommo Pontefice, continuare a considerarvi tutte come
figlie spirituali per le quali mi credo obbligato di pregare ed aiutare come meglio potrò in ogni tempo”.
La gestione dei cambiamenti economici
Nei primi decenni la gestione economica delle FMA era molto limitata. Le relazioni della
congregazione salesiana alla S. Sede di fine ottocento includevano cenni alle opere delle FMA: esse
avevano delle case, ma erano intestate a salesiani. Inoltre esse non avevano eccessivi debiti.
Nel 1904 don Marenco stese una relazione sulle FMA su richiesta della Congregazione dei vescovi e
regolari. Annotava che alcune case furono loro fornite dai salesiani in modo permanente, restando però
intestate a salesiani. Nell’acquisto o adattamento concorrevano le FMA. Alcuni benefattori, per cautela,
avevano lasciato la proprietà della casa al superiore generale con l’intenzione però di utilizzarla per
opere delle FMA.
Dopo l’autonomia del 1906 occorreva ordinare sia la proprietà, sia la prestazione delle FMA nei collegi
salesiani. La divisione comportava la stipulazione delle convenzioni e la separazione totale degli
ambienti. A Torino le FMA dovettero lasciare la prima sede procurata loro da don Bosco, e Caterina
Daghero scriveva essere lì racchiuse “memorie di Famiglia le più intime e care”. Chiedeva
l’assegnazione dell’area di fronte, per costruire una casa “come un monumento della Paterna
benevolenza del Successore di D. Bosco e degli altri Ven.mi Superiori”. L’intero istituto mandò offerte
per costruire una casa così simbolica in piazza Maria Ausiliatrice, inaugurata nel 1911.
Una commissione studiò il modo di dividere gli stabili. Vi appartenevano don Rinaldi, l’economo
generale don Rocca, madre Angiolina Buzzetti economa generale. Nel 1907 fu stipulata una
convenzione: su 141 case i salesiani non avevano alcun interesse comune di proprietà, né di
amministrazione, né di dipendenza. Altre 94 case occupate dalle suore erano intestate a salesiani, e
venivano cedute all’Istituto, coi relativi diritti e oneri. Poiché i contratti d’acquisto erano in forma
tontinaria, si sarebbe proceduto gradualmente alla rinnovazione. Altre 32 case o porzioni di case, da
esse occupate, non potevano essere cedute, essendo sedi di grandi collegi o opere maschili, pertanto
restavano ai salesiani. Le FMA riconoscevano inoltre il concorso pecuniario dei salesiani in diverse
opere da esse intraprese, per un credito totale di quasi due milioni di lire, che fu condonato.
Con l’erezione canonica delle ispettorie nel 1908, il processo di separazione era chiarito, ma occorreva
il tempo per attuarlo a livello locale. Don Rua rimase presente senza ingombrare la scena, anzi avendo
giĂ  avviato per tempo un processo di direzione piĂą differenziata. Le sue visite alle case delle FMA, la
corrispondenza, la prudenza inculcata per le comunitĂ  a servizio dei collegi maschili sono indicatori di
una continuità relazionale nel cambiamento istituzionale. Si rivelò persona affidabile, senza
smarrimenti.

    2. L’orientamento per le fondazioni
Dal 1888 al 1910 le FMA aprirono case in 17 nuovi paesi, in America, Europa, Medio Oriente (Belgio,
Svizzera, Inghilterra, Albania, Palestina, Algeria, Tunisia, Cile, PerĂą, Brasile, Messico, Colombia,
Paraguay, Ecuador, El Salvador, Stati Uniti, Honduras). Don Rua soppesava le domande col direttore
generale e il consiglio generale delle FMA. Prima del 1906 emerge il suo intervento nell’orientare o
confermare le scelte. Dopo, il suo parere fu richiesto e ascoltato. Quando si recava in Paesi in cui non
c’erano ancora le FMA, si preoccupava di studiare se le condizioni erano favorevoli al loro arrivo.
Dove invece le trovava giĂ , osservava attentamente e scriveva a madre Daghero sui provvedimenti
necessari. Di fronte alle richieste di fondazione indicò dei criteri: scegliere i luoghi più poveri, accettare
anche piccole comunità per un inserimento capillare che contrastasse l’anticlericalismo, il socialismo,
la massoneria; puntare sull’oratorio, asilo, scuole comunali, convitti per operaie e altre opere in
risposta alla questione sociale, all’emigrazione.

     3. L’incoraggiamento all’apertura sociale
L’accettazione di molte opere in gestione, con convenzioni a tempo determinato, comportava la loro
proliferazione, personale ristretto e un maggiore rischio per la stabilità della presenza. Ovunque si entrò
in campi di attivitĂ  meno tradizionali, piĂą confacenti allo sviluppo industriale, alle richieste di
educazione femminile nelle fasce popolari. Le attivitĂ  si diversificarono secondo le esigenze concrete
dei luoghi, cittĂ  e paesi, nord e sud; e delle ragazze, studenti, impiegate, operaie.
Nella fioritura dell’associazionismo femminile, diverse responsabili, come pure patronati e
amministrazioni si rivolsero a don Rua chiedendo la collaborazione delle FMA, creando una sinergia di
risorse, tuttavia non esente da difficoltà per l’ingerenza talvolta eccessiva dei laici. Si tollerava, ma non
al punto di rendere irriconoscibile lo spirito salesiano. Lettere e gesti concreti di sostegno indicano
l’attenzione di don Rua per salvaguardare l’autonomia e il rispetto delle religiose. L’equilibrio tra
fedeltà al proprio spirito e adattamento ai tempi, rivelò la sua vulnerabilità specialmente negli ambienti
urbani. All’estero la sensibilità sociale delle FMA aprì le porte presso molti benefattori, sia per opere
popolari che per istituzioni educative finalizzate alla promozione delle donne.

    4. L’influsso nell’ambito educativo e disciplinare
Don Rua favorì l’incremento delle opere in ambiti anche nuovi, ma sotto il profilo delle pratiche
educative egli non sembra particolarmente originale. Assimilato il metodo di don Bosco si preoccupò
di consolidare, esplicitare il sistema e lo stile sia in comunità che con le giovani. Incoraggiò l’istruzione
religiosa, le associazioni mariane, la preparazione culturale delle insegnanti. Promosse le gare
catechistiche piuttosto che i saggi e il teatro. L’impulso alle opere di istruzione fu evidente, senza
tuttavia avvertire l’esigenza di rielaborare i modelli educativi. Egli ribadiva la pratica e l’insegnamento
di don Bosco, perché fosse applicato fedelmente. Si direbbe incurante dei cambi di mentalità, nella
convinzione che i valori certi andavano difesi a oltranza, trovando il modo ragionevole di proporli.
Chiedeva di resistere ai cambiamenti nel nome dell’educazione cristiana, che poneva esigenze precise
alle educatrici, alla loro formazione. La tendenza che domina le risposte di don Rua nei documenti
ufficiali, come i verbali dei Capitoli generali, è l’ancoramento alla tradizione: “Così voleva don
Bosco”, come garanzia di fedeltà, unità e successo del metodo educativo.

    5. Sottolineature di carattere ascetico e disciplinare
La cura fondamentale di don Rua nei confronti delle FMA riguardò la dimensione spirituale. Egli non
trascurò di raggiungere le singole religiose, per motivarle a un’ascesi gioiosa e prudente, come
educatrici grate della vocazione. Operò, pare, soprattutto con l’obiettivo di consolidare la formazione
delle superiore, direttrici, visitatrici e ispettrici. Sottolineava la loro maternitĂ , la necessitĂ  di
incoraggiare con amabilità e pazienza, “fortiter et suaviter”. Raccomandava l’osservanza delle
Costituzioni, ma tenne anche in questo un senso di misura. La vita sacramentale, la pratica delle virtĂą,
lo zelo, la carità erano elementi costanti nei suoi interventi, come lo spirito di fede, l’allegria salesiana,
la povertà, la devozione mariana, l’obbedienza al Papa, alla Chiesa.

6. La comunicazione per l’unità e lo sviluppo
Per creare convergenza e senso di appartenenza, don Rua visitò le case, parlò e scrisse alle FMA, si
tenne informato con madre Daghero. Egli intese favorire l’unità dell’Istituto con l’invio di lettere
circolari e la strenna. Inculcò l’uniformità nella vita quotidiana, con la stampa salesiana; la lingua
italiana, ma anche la stampa del libro delle preghiere in varie lingue.
Il carattere riservato lo agevolò a trovare il modo di ritirarsi, senza abbandonare le FMA. Cessato il
ruolo di superiore formale, non doveva più chiedere obbedienza e dare direttive, ma non cessò di essere
padre. Le FMA gli erano state affidate da don Bosco. Il continuo richiamo a lui, mentre appare un
modo quasi defilato di esercitare il proprio compito, in realtĂ  accrebbe il senso di appartenenza e il
comune riferimento al fondatore e alla missione. Si rivelò, così, vincente, impegnando le religiose ad
individuare le scelte consone alla propria “indole”, senza scadere nella genericità. Lì emergeva la
differenza tra un fedele esecutore di uno schema e un leader creativo.
Spunti conclusivi
Don Rua visse la responsabilitĂ  verso le FMA nel delicato passaggio da una conduzione centralizzata a
una struttura più complessa da mantenere organica. Così operò per affinare l’organizzazione e regolare
la formazione e le opere delle FMA. Anche quando le sue indicazioni disciplinari ed educative non
trovarono forse pienamente consenzienti alcune capitolari, la sua parola fu accettata come direttiva
certa, a cui indirizzare gli sforzi di fedeltĂ , resistendo a molteplici spinte ritenute centrifughe e, forse,
anche resistendo a qualche giusta richiesta.
Don Rua fu guida indiscussa per l’autorevolezza della sua persona, al di là del ruolo giuridico
(canonico). I cambiamenti non intaccarono il suo senso di responsabilità verso l’eredità ricevuta, sicchè
alcuni punti rimasti fermi furono garanzia di unitĂ  e alimentarono il senso di appartenenza a una
famiglia religiosa in fase di consolidamento. Trasmise uno spirito con l’acume pratico del consiglio e
con gesti di fine paternitĂ . La permanenza delle FMA a servizio di collegi e case di formazione dei
salesiani, come pure la presenza dei direttori salesiani negli oratori, di cappellani e confessori nei
collegi femminili costituirono elementi di continuitĂ  e fattori di incremento vocazionale, in
un’osservanza equilibrata delle norme canoniche.
Diverse cose tuttavia cambiarono: la piena responsabilitĂ  delle superiore e dei consigli ispettoriali; la
figura degli ispettori non piĂą come superiori delegati; i salesiani non necessariamente confessori
esclusivi. Le case di proprietĂ  furono distinte, gli ambienti separati; firmate, almeno formalmente, le
convenzioni. Cessarono le lettere circolari del rettor maggiore, però si riprese con prudenza la strenna;
si sospesero gli articoli sulle FMA nel Bollettino Salesiano, ma don Rua non dimenticò mai di elencare
le fondazioni femminili insieme alle maschili nel primo numero di ogni anno. Fino alla fine trattò gli
affari delle FMA non come un consulente esterno, ma come cosa propria.
Rispetto alla congregazione salesiana, quella delle FMA subì profonde trasformazioni strutturali che
nel tempo parvero perfino mettere a rischio i legami originari. Per cogliere il rettorato di don Rua nella
giusta luce storica, non si può relegare la sua cura verso le FMA a un capitolo isolato, poiché in diverse
case, allora, SDB e FMA operavano in sinergia. Egli si sentì padre dei due istituti fino alla fine,
lasciando che le FMA crescessero come era richiesto, ma senza mai perderle di vista. Di fatto, come
non si potrebbe scrivere una storia delle FMA senza mettere in luce l’influsso di don Rua e dei
salesiani, anche la storia salesiana maschile di quegli anni sarebbe stata diversa, priva delle FMA,
“ausiliatrici” dei fratelli. Le trasformazioni alla lunga si rivelarono fonte di crescita e di autonomia
anche economica. Al contempo l’ancoramento al successore di don Bosco preservò le FMA dal
disorientamento e incrementò il ripensamento dell’unico sistema educativo nelle condizioni in cui le
religiose operavano, spesso simili e talvolta dissimili dai salesiani. La modernitĂ  provocava nuove
risposte, mettendo in crisi modelli tradizionali; per le FMA, nonostante le difficoltĂ , non furono anni di
resa e di ripetitivitĂ , ma piuttosto di ricerca e audacia di proposte.
In tale contesto, don Rua fu per le FMA un interprete privilegiato dello spirito salesiano, identificato in
un’assoluta fedeltà a don Bosco, ma anche (o proprio per questo) attento a ciò che stava cambiando,
fermo nei principi, pratico e mirato nelle opere. Egli non si limitò a conservare staticamente l’eredità
del fondatore, piuttosto ne ereditò lo sguardo rivolto al futuro dei giovani, per captarne le necessità e
predisporre mezzi efficaci per riuscire nella vita. L’apertura sociale, prudente e lungimirante, fu
probabilmente l’aspetto più innovativo dell’interpretazione del sistema preventivo da parte di don Rua.
Un’impronta incancellabile di dinamismo e concretezza, condivisa in primo luogo con m. Caterina
Daghero e alcune intrepide FMA, di cui c’è ancora molto da scoprire. Le altre relazioni su don Rua e le
FMA ci aiuteranno in questa penetrazione.
Grazie.
6

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  • 1. Don Rua e l’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice tra continuitĂ  e innovazioni Grazia Loparco fma Introduzione In ventidue anni di rettorato il rapporto tra don Michele Rua e l’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice (FMA) fu segnato da alcune trasformazioni istituzionali. L’intero arco cronologico è oggetto del nostro esame, tenendo conto che le FMA, fondate nel 1872, dal 1888 al 1910 passarono da 415 a 2716; le loro case da 54 a 320, senza contare quelle di breve durata. Rispetto all’impostazione iniziale, un incisivo cambio avvenne nel 1906 con la separazione delle due congregazioni; esso sarĂ  analizzato altrove, mentre alcune domande di piĂą ampio respiro sottendono a questa riflessione. A partire dalle Costituzioni delle FMA (1885) sul ruolo del Superiore maggiore, ci chiediamo come don Rua dovette modificarlo, dunque come interpretò la fedeltĂ  allo spirito di don Bosco, senza poter ripetere il suo schema di governo. Con il cambio canonico, quali furono le conseguenze de facto dell’autonomia giuridica delle FMA riguardo al Superiore; che tipo di interazione egli ebbe con madre Caterina Daghero, il consiglio generale; data l’espansione continua delle fondazioni, come intervenne nella formazione e nell’erezione canonica delle ispettorie (1908), con quali implicanze nel governo e nell’economia; come incise sul piano educativo e formativo, ascetico e spirituale; quali sinergie suggerì alle FMA la sua apertura sociale, la propensione a collaborare con i laici; che risonanza ebbe presso don Rua qualche disagio avvertito a livello locale dalle FMA rispetto ai Salesiani, e come intervenne. Su tutti questi fattori tipici della vita delle FMA si può fondare il giudizio sulla continuitĂ  perseguita e sulle innovazioni introdotte nel ruolo del rettor maggiore in rapporto all’Istituto. A livello documentario sono oggi disponibili, tra l’altro, centinaia di lettere di don Rua a FMA (ben piĂą di quelle di don Bosco..), ma molte cose furono decise a voce, a Nizza Monferrato e a Torino. L’indagine vorrebbe esplorare il tema, integrando ciò che giĂ  si conosce, con fonti poco note o poco valorizzate, che confermano o completano la sua figura. 1. Il profilo istituzionale del successore di don Bosco in relazione all’Istituto delle FMA Le Costituzioni date da don Bosco sancivano la dipendenza delle FMA dal superiore e le suore erano convinte che l’osservanza avrebbe assicurato la fedeltĂ  al suo spirito e l’avvenire dell’istituto. Ancor prima della scomparsa del fondatore si era posto il problema dell’autoritĂ  maschile tra le religiose e si era cercato di non creare confusione tra l’autoritĂ  del rettor maggiore, del direttore generale e di quelli locali. Con il 1888 don Rua assunse in pieno il proprio compito, collaborando con madre Daghero, che aveva poco piĂą di 30 anni. Lo scambio epistolare attesta la gamma di temi e decisioni concordate, come pure l’intesa e la collaborazione favorita dall’informazione precisa, dalla stima e dal rispetto reciproco di antica data. Con il moltiplicarsi delle case, nel 1893 si abbozzarono le ispettorie e si estesero agli ispettori le attribuzioni del direttore generale. In un certo senso diventava piĂą delicato coordinare tante autoritĂ . Anche madre Daghero si mostrò all’altezza del compito. Don Rua si avvalse delle mediazioni locali, unendo discrezione, chiarezza di vedute. Alcune istanze rimbalzarono nei capitoli generali dei Salesiani, dal 1889 al 1904, contemperando la moltiplicazione di norme scritte e la conferma del progetto originario. Nel consiglio generale delle FMA don Rua presiedeva qualche incontro l’anno, ma i contatti erano piĂą frequenti. Agli inizi del ’900 don Albera e don Gusmano visitarono anche le case delle FMA in America, riferendo a Torino sia sui vantaggi della collaborazione, sia gli inconvenienti di alcune ingerenze, la scarsa separazione di abitazione in alcuni collegi, l’eccessiva presenza dei vescovi salesiani tra le suore, la pretesa di confidenza e per le confessioni. Nel contempo erano giunti a Roma alcuni ricorsi di sacerdoti e vescovi. Il S. Uffizio, giĂ  interessato ai SDB per il tema delle confessioni, esaminò le Costituzioni delle FMA. I consultori segnalarono gravi
  • 2. irregolaritĂ , fino alla sentenza del van Rossum nel 1902: “Magnis malis, magna remedia”. La S. Congregazione dei Vescovi e Regolari fu incaricata di procedere. Il male lamentato era l’eccessiva dipendenza: “Le figlie di Maria Ausiliatrice si dicono aggregate ai Salesiani. - PiĂą che aggregate, bisognerebbe dirle assoggettate o asservite ai Salesiani”. Il governo doveva essere affidato alle religiose; la nomina dei confessori e l’esame delle vocazioni sotto la diretta responsabilitĂ  dei vescovi. La parte economica fosse separata. Don Rua si comportò con grande cautela, prudenza e paternitĂ  in questi frangenti, che allarmarono la superiora generale, per la fedeltĂ  allo spirito salesiano e le difficili condizioni politiche di tanti paesi. L’aiuto dei salesiani sembrava irrinunciabile per le opere educative, oltre che per la cura spirituale. Ma si dovette obbedire. Don Rua. Presenza sollecita e discreta al momento dell’autonomia Don Rua concordò con madre Daghero la strategia della comunicazione. Egli scrisse una lettera circolare alle FMA il 29 settembre 1906, presentando positivamente le nuove Costituzioni e l’attaccamento di don Bosco al papa e ai vescovi. C. Daghero il 15 ottobre scrisse similmente a tutte le FMA e intanto, a parte, scrisse alle ispettrici, confermando che non si impediva il riferimento ai salesiani per l’aspetto spirituale. Don Rua scrisse anche a ispettori e direttori. In otto punti chiariva che le FMA dipendevano direttamente dalla S. Congregazione dei Vescovi e Regolari, come gli altri istituti; dovevano avere un’amministrazione del tutto distinta e separata dai salesiani; dove operavano per cucina e biancheria dovevano essere retribuite; le case vicine dovevano essere del tutto separate e senza alcuna comunicazione; le abitazioni dovevano essere di loro proprietĂ , per cui progressivamente si sarebbe fatta la cessione legale; tuttavia, avendo in comune il fondatore, si sarebbe mantenuta una grande caritĂ  reciproca, riconoscenza e rispetto mutuo, ma senza alcun diritto di superioritĂ  nĂ© dovere di dipendenza. Per l’aspetto spirituale i salesiani se ne sarebbero occupati se incaricati dagli Ordinari, come per le altre religiose; le FMA avrebbero potuto rivolgersi ai salesiani, con le debite autorizzazioni, soprattutto per l’aiuto a conservare lo spirito del comune padre don Bosco. I superiori dovevano far comprendere ai salesiani, con la parola e l’esempio, di non potersi recare dalle suore senza permesso e di non intrattenersi piĂą del necessario e in modo edificante. A madre Daghero, scriveva don Rua: “State tranquilla che non vi abbandoniamo: fate voi altre quello che potete per isbrigarvi dei vostri affari; e quando siete incagliate, scrivete; e noi procureremo sempre di aiutarvi”. Chiarita la sua posizione nel 1907, confermava: “Intendo, come disse il Sommo Pontefice, continuare a considerarvi tutte come figlie spirituali per le quali mi credo obbligato di pregare ed aiutare come meglio potrò in ogni tempo”. La gestione dei cambiamenti economici Nei primi decenni la gestione economica delle FMA era molto limitata. Le relazioni della congregazione salesiana alla S. Sede di fine ottocento includevano cenni alle opere delle FMA: esse avevano delle case, ma erano intestate a salesiani. Inoltre esse non avevano eccessivi debiti. Nel 1904 don Marenco stese una relazione sulle FMA su richiesta della Congregazione dei vescovi e regolari. Annotava che alcune case furono loro fornite dai salesiani in modo permanente, restando però intestate a salesiani. Nell’acquisto o adattamento concorrevano le FMA. Alcuni benefattori, per cautela, avevano lasciato la proprietĂ  della casa al superiore generale con l’intenzione però di utilizzarla per opere delle FMA. Dopo l’autonomia del 1906 occorreva ordinare sia la proprietĂ , sia la prestazione delle FMA nei collegi salesiani. La divisione comportava la stipulazione delle convenzioni e la separazione totale degli ambienti. A Torino le FMA dovettero lasciare la prima sede procurata loro da don Bosco, e Caterina Daghero scriveva essere lì racchiuse “memorie di Famiglia le piĂą intime e care”. Chiedeva l’assegnazione dell’area di fronte, per costruire una casa “come un monumento della Paterna benevolenza del Successore di D. Bosco e degli altri Ven.mi Superiori”. L’intero istituto mandò offerte per costruire una casa così simbolica in piazza Maria Ausiliatrice, inaugurata nel 1911.
  • 3. Una commissione studiò il modo di dividere gli stabili. Vi appartenevano don Rinaldi, l’economo generale don Rocca, madre Angiolina Buzzetti economa generale. Nel 1907 fu stipulata una convenzione: su 141 case i salesiani non avevano alcun interesse comune di proprietĂ , nĂ© di amministrazione, nĂ© di dipendenza. Altre 94 case occupate dalle suore erano intestate a salesiani, e venivano cedute all’Istituto, coi relativi diritti e oneri. PoichĂ© i contratti d’acquisto erano in forma tontinaria, si sarebbe proceduto gradualmente alla rinnovazione. Altre 32 case o porzioni di case, da esse occupate, non potevano essere cedute, essendo sedi di grandi collegi o opere maschili, pertanto restavano ai salesiani. Le FMA riconoscevano inoltre il concorso pecuniario dei salesiani in diverse opere da esse intraprese, per un credito totale di quasi due milioni di lire, che fu condonato. Con l’erezione canonica delle ispettorie nel 1908, il processo di separazione era chiarito, ma occorreva il tempo per attuarlo a livello locale. Don Rua rimase presente senza ingombrare la scena, anzi avendo giĂ  avviato per tempo un processo di direzione piĂą differenziata. Le sue visite alle case delle FMA, la corrispondenza, la prudenza inculcata per le comunitĂ  a servizio dei collegi maschili sono indicatori di una continuitĂ  relazionale nel cambiamento istituzionale. Si rivelò persona affidabile, senza smarrimenti. 2. L’orientamento per le fondazioni Dal 1888 al 1910 le FMA aprirono case in 17 nuovi paesi, in America, Europa, Medio Oriente (Belgio, Svizzera, Inghilterra, Albania, Palestina, Algeria, Tunisia, Cile, PerĂą, Brasile, Messico, Colombia, Paraguay, Ecuador, El Salvador, Stati Uniti, Honduras). Don Rua soppesava le domande col direttore generale e il consiglio generale delle FMA. Prima del 1906 emerge il suo intervento nell’orientare o confermare le scelte. Dopo, il suo parere fu richiesto e ascoltato. Quando si recava in Paesi in cui non c’erano ancora le FMA, si preoccupava di studiare se le condizioni erano favorevoli al loro arrivo. Dove invece le trovava giĂ , osservava attentamente e scriveva a madre Daghero sui provvedimenti necessari. Di fronte alle richieste di fondazione indicò dei criteri: scegliere i luoghi piĂą poveri, accettare anche piccole comunitĂ  per un inserimento capillare che contrastasse l’anticlericalismo, il socialismo, la massoneria; puntare sull’oratorio, asilo, scuole comunali, convitti per operaie e altre opere in risposta alla questione sociale, all’emigrazione. 3. L’incoraggiamento all’apertura sociale L’accettazione di molte opere in gestione, con convenzioni a tempo determinato, comportava la loro proliferazione, personale ristretto e un maggiore rischio per la stabilitĂ  della presenza. Ovunque si entrò in campi di attivitĂ  meno tradizionali, piĂą confacenti allo sviluppo industriale, alle richieste di educazione femminile nelle fasce popolari. Le attivitĂ  si diversificarono secondo le esigenze concrete dei luoghi, cittĂ  e paesi, nord e sud; e delle ragazze, studenti, impiegate, operaie. Nella fioritura dell’associazionismo femminile, diverse responsabili, come pure patronati e amministrazioni si rivolsero a don Rua chiedendo la collaborazione delle FMA, creando una sinergia di risorse, tuttavia non esente da difficoltĂ  per l’ingerenza talvolta eccessiva dei laici. Si tollerava, ma non al punto di rendere irriconoscibile lo spirito salesiano. Lettere e gesti concreti di sostegno indicano l’attenzione di don Rua per salvaguardare l’autonomia e il rispetto delle religiose. L’equilibrio tra fedeltĂ  al proprio spirito e adattamento ai tempi, rivelò la sua vulnerabilitĂ  specialmente negli ambienti urbani. All’estero la sensibilitĂ  sociale delle FMA aprì le porte presso molti benefattori, sia per opere popolari che per istituzioni educative finalizzate alla promozione delle donne. 4. L’influsso nell’ambito educativo e disciplinare Don Rua favorì l’incremento delle opere in ambiti anche nuovi, ma sotto il profilo delle pratiche educative egli non sembra particolarmente originale. Assimilato il metodo di don Bosco si preoccupò di consolidare, esplicitare il sistema e lo stile sia in comunitĂ  che con le giovani. Incoraggiò l’istruzione religiosa, le associazioni mariane, la preparazione culturale delle insegnanti. Promosse le gare
  • 4. catechistiche piuttosto che i saggi e il teatro. L’impulso alle opere di istruzione fu evidente, senza tuttavia avvertire l’esigenza di rielaborare i modelli educativi. Egli ribadiva la pratica e l’insegnamento di don Bosco, perchĂ© fosse applicato fedelmente. Si direbbe incurante dei cambi di mentalitĂ , nella convinzione che i valori certi andavano difesi a oltranza, trovando il modo ragionevole di proporli. Chiedeva di resistere ai cambiamenti nel nome dell’educazione cristiana, che poneva esigenze precise alle educatrici, alla loro formazione. La tendenza che domina le risposte di don Rua nei documenti ufficiali, come i verbali dei Capitoli generali, è l’ancoramento alla tradizione: “Così voleva don Bosco”, come garanzia di fedeltĂ , unitĂ  e successo del metodo educativo. 5. Sottolineature di carattere ascetico e disciplinare La cura fondamentale di don Rua nei confronti delle FMA riguardò la dimensione spirituale. Egli non trascurò di raggiungere le singole religiose, per motivarle a un’ascesi gioiosa e prudente, come educatrici grate della vocazione. Operò, pare, soprattutto con l’obiettivo di consolidare la formazione delle superiore, direttrici, visitatrici e ispettrici. Sottolineava la loro maternitĂ , la necessitĂ  di incoraggiare con amabilitĂ  e pazienza, “fortiter et suaviter”. Raccomandava l’osservanza delle Costituzioni, ma tenne anche in questo un senso di misura. La vita sacramentale, la pratica delle virtĂą, lo zelo, la caritĂ  erano elementi costanti nei suoi interventi, come lo spirito di fede, l’allegria salesiana, la povertĂ , la devozione mariana, l’obbedienza al Papa, alla Chiesa. 6. La comunicazione per l’unitĂ  e lo sviluppo Per creare convergenza e senso di appartenenza, don Rua visitò le case, parlò e scrisse alle FMA, si tenne informato con madre Daghero. Egli intese favorire l’unitĂ  dell’Istituto con l’invio di lettere circolari e la strenna. Inculcò l’uniformitĂ  nella vita quotidiana, con la stampa salesiana; la lingua italiana, ma anche la stampa del libro delle preghiere in varie lingue. Il carattere riservato lo agevolò a trovare il modo di ritirarsi, senza abbandonare le FMA. Cessato il ruolo di superiore formale, non doveva piĂą chiedere obbedienza e dare direttive, ma non cessò di essere padre. Le FMA gli erano state affidate da don Bosco. Il continuo richiamo a lui, mentre appare un modo quasi defilato di esercitare il proprio compito, in realtĂ  accrebbe il senso di appartenenza e il comune riferimento al fondatore e alla missione. Si rivelò, così, vincente, impegnando le religiose ad individuare le scelte consone alla propria “indole”, senza scadere nella genericitĂ . Lì emergeva la differenza tra un fedele esecutore di uno schema e un leader creativo. Spunti conclusivi Don Rua visse la responsabilitĂ  verso le FMA nel delicato passaggio da una conduzione centralizzata a una struttura piĂą complessa da mantenere organica. Così operò per affinare l’organizzazione e regolare la formazione e le opere delle FMA. Anche quando le sue indicazioni disciplinari ed educative non trovarono forse pienamente consenzienti alcune capitolari, la sua parola fu accettata come direttiva certa, a cui indirizzare gli sforzi di fedeltĂ , resistendo a molteplici spinte ritenute centrifughe e, forse, anche resistendo a qualche giusta richiesta. Don Rua fu guida indiscussa per l’autorevolezza della sua persona, al di lĂ  del ruolo giuridico (canonico). I cambiamenti non intaccarono il suo senso di responsabilitĂ  verso l’ereditĂ  ricevuta, sicchè alcuni punti rimasti fermi furono garanzia di unitĂ  e alimentarono il senso di appartenenza a una famiglia religiosa in fase di consolidamento. Trasmise uno spirito con l’acume pratico del consiglio e con gesti di fine paternitĂ . La permanenza delle FMA a servizio di collegi e case di formazione dei salesiani, come pure la presenza dei direttori salesiani negli oratori, di cappellani e confessori nei collegi femminili costituirono elementi di continuitĂ  e fattori di incremento vocazionale, in un’osservanza equilibrata delle norme canoniche. Diverse cose tuttavia cambiarono: la piena responsabilitĂ  delle superiore e dei consigli ispettoriali; la figura degli ispettori non piĂą come superiori delegati; i salesiani non necessariamente confessori esclusivi. Le case di proprietĂ  furono distinte, gli ambienti separati; firmate, almeno formalmente, le
  • 5. convenzioni. Cessarono le lettere circolari del rettor maggiore, però si riprese con prudenza la strenna; si sospesero gli articoli sulle FMA nel Bollettino Salesiano, ma don Rua non dimenticò mai di elencare le fondazioni femminili insieme alle maschili nel primo numero di ogni anno. Fino alla fine trattò gli affari delle FMA non come un consulente esterno, ma come cosa propria. Rispetto alla congregazione salesiana, quella delle FMA subì profonde trasformazioni strutturali che nel tempo parvero perfino mettere a rischio i legami originari. Per cogliere il rettorato di don Rua nella giusta luce storica, non si può relegare la sua cura verso le FMA a un capitolo isolato, poichĂ© in diverse case, allora, SDB e FMA operavano in sinergia. Egli si sentì padre dei due istituti fino alla fine, lasciando che le FMA crescessero come era richiesto, ma senza mai perderle di vista. Di fatto, come non si potrebbe scrivere una storia delle FMA senza mettere in luce l’influsso di don Rua e dei salesiani, anche la storia salesiana maschile di quegli anni sarebbe stata diversa, priva delle FMA, “ausiliatrici” dei fratelli. Le trasformazioni alla lunga si rivelarono fonte di crescita e di autonomia anche economica. Al contempo l’ancoramento al successore di don Bosco preservò le FMA dal disorientamento e incrementò il ripensamento dell’unico sistema educativo nelle condizioni in cui le religiose operavano, spesso simili e talvolta dissimili dai salesiani. La modernitĂ  provocava nuove risposte, mettendo in crisi modelli tradizionali; per le FMA, nonostante le difficoltĂ , non furono anni di resa e di ripetitivitĂ , ma piuttosto di ricerca e audacia di proposte. In tale contesto, don Rua fu per le FMA un interprete privilegiato dello spirito salesiano, identificato in un’assoluta fedeltĂ  a don Bosco, ma anche (o proprio per questo) attento a ciò che stava cambiando, fermo nei principi, pratico e mirato nelle opere. Egli non si limitò a conservare staticamente l’ereditĂ  del fondatore, piuttosto ne ereditò lo sguardo rivolto al futuro dei giovani, per captarne le necessitĂ  e predisporre mezzi efficaci per riuscire nella vita. L’apertura sociale, prudente e lungimirante, fu probabilmente l’aspetto piĂą innovativo dell’interpretazione del sistema preventivo da parte di don Rua. Un’impronta incancellabile di dinamismo e concretezza, condivisa in primo luogo con m. Caterina Daghero e alcune intrepide FMA, di cui c’è ancora molto da scoprire. Le altre relazioni su don Rua e le FMA ci aiuteranno in questa penetrazione. Grazie. 6