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Alma Mater Studiorum – Università di Bologna
Scuola di Scienze Politiche
Corso di laurea magistrale in
Relazioni Internazionali
Tesi di Laurea in
Diritto delle Politiche Europee
La politica culturale europea
Tutela e promozione come strumenti d’integrazione
Candidato: Relatore:
Chiar.ma Prof.ssa
MAGDA MANTOVANI GIOVANNA ENDRICI
Sessione III
Anno Accademico 2013/2014
2
INDICE
Indice 2
Introduzione 5
Parte Prima 8
CAPITOLO 1 – L’assenza di una politica culturale europea prima di Maastricht 8
1.1 Tutela degli aspetti culturali come eccezione al principio
della libera circolazione di merci e servizi 8
1.1.1 Cultura e mercato comune: alcuni casi giurisprudenziali 12
1.2 Normativa europea a tutela dei beni culturali 16
1.2.1 Regolamento CEE 3911/92 17
1.2.2 Direttiva 97/3/CEE 20
1.3 Direttiva CEE 89/552, Televisione senza Frontiere 24
CAPITOLO 2 – La politica culturale europea dopo l’entrata in vigore
del trattato di Maastricht 29
2.1 Introduzione dell’articolo 151 29
2.2 I primi programmi di finanziamento alla cultura 33
2.2.1 Caleidoscopio 33
2.2.2 Arianna 34
2.2.3 Raffaello 36
2.2.4 Valutazione finale sugli esiti dei programmi 38
2.3 Fondi e programmi a impatto culturale indiretto 39
2.3.1 Longlife Learning Program 40
2.3.2 LIFE 41
2.3.3 Fondi strutturali e d’investimento 42
CAPITOLO 3 – La politica culturale europea dopo il 2000: i programmi organici 45
3.1 Introduzione 45
3.2 Programma Cultura 2000 45
3.2.1 Capitali europee della cultura 49
3.3 Agenda europea per la cultura 50
3
3.4 Programma Cultura 2007-2013 55
3.4.1 Agenzia esecutiva per l’istruzione,gli audiovisivi e la cultura 58
3.4.2 Europa per i cittadini 60
3.4.3 Gioventù in azione 61
3.5 MEDIA 63
3.6 Europa Creativa, programma-quadro 2014-2020 65
Parte seconda 71
CAPITOLO 4 – Cultura ed organizzazioni internazionali:
continuità e attriti con la politica europea 71
4.1 Introduzione 71
4.2 Consiglio d’Europa 72
4.3 Cultura e UNESCO 75
4.3.1 Convenzioni Unesco 75
4.3.1.1 Convenzione UNESCO concernente le misure da adottare
per interdire e impedire l’illecita importazione, esportazione e
trasferimento di proprietà dei beni culturali 76
4.3.1.2 Convenzione UNESCO concernente la protezione del
patrimonio culturale e naturale 76
4.3.1.3 Dichiarazione universale UNESCO sulla diversità culturale 77
4.3.1.4 Convenzione UNESCO del patrimonio culturale immateriale 78
4.3.1.5 Convenzione UNESCO per la protezione e la
promozione della diversità delle espressioni culturali 79
4.3.2 Interazioni tra Convenzione sulle diversità culturali e Unione europea 81
4.3.3 UNESCO e Unione europea al di là della Convenzione del 2005 84
4.4 Organizzazione Mondiale del Commercio e cultura: quale possibile
integrazione tra commercio ed espressione culturale 85
CAPITOLO 5 – Impatto e problematiche 92
5.1 Introduzione 92
5.2 Descrizione di alcuni progetti culturali finanziati dai programmi europei 93
5.2.1 Case study 1: PRACTICS – See Mobile, See Practical 94
4
5.2.2 Case study 2: DICTAT – Performative Culture Cooperation
for awareness on past European DICTATorships 96
5.3 Mobilità di artisti e opere 99
5.3.1 La coproduzione internazionale 100
5.3.2 Obblighi legali e burocratici 101
5.3.3 Le reti culturali 103
5.3.3.L’Unione dei Teatri d’Europa 105
5.3.3.2 L’IETM – Informal European Theatre Meeting 106
5.3.3.3 La Fondazione Anna Lindh 108
5.4 Agenzie di progettazione europea 109
5.4.1 Fondazione Fitzcarraldo 109
5.4.2 InEuropa 111
CONCLUSIONI 112
BIBLIOGRAFIA 115
RINGRAZIAMENTI 128
5
INTRODUZIONE
Molte politiche europee trovano la loro base giuridica nel Trattato di Roma. Diversi settori,
invece sono stati comunitarizzati in assenza di una esplicita base contenuta nei trattati. Questo
è accaduto ad esempio per i settori delle telecomunicazioni e dell’ambiente, anche se i trattati
originari non fanno menzione di alcun ruolo comunitario in tali ambiti. Allo stesso modo, nel
trattato originario, nessuna formale competenza comunitaria in politica culturale viene
menzionata. La prima base legale per una iniziale, sfumata competenza europea in tale ambito
appare solo nel 1992, col trattato di Maastricht. Tuttavia, anche prima del 1992, le istituzioni
europee sono intervenute in modo evidente e sostanziale nei settori audiovisivo, dei libri, del
copyright e della tutela del patrimonio, per non citare poi le iniziative dal forte valore
simbolico e nei settori dell’arte e della cultura in genere. Nel corso degli anni 70, la Corte di
Giustizia ha dovuto dirimere numerose controversie collegate ai temi del copyright, dei beni
artistici, dei tesori nazionali e degli audiovisivi, soprattutto in riferimento alla compatibilità o
meno tra le leggi nazionali in tali settori e le norme europee sulla competitività. Questi casi
forniscono incidentalmente una base legale per un graduale intervento comunitario in ambito
culturale. Allo stesso tempo, il Parlamento europeo si fa vivace propulsore culturale,
esprimendo risoluzioni che attirano l’attenzione sulla necessità di una politica culturale a
livello europeo. Tra gli anni ‘80 e ‘90 vengono adottate cinque diverse direttive che
armonizzano la legislazione europea in merito a copyright e diritti d’autore1
. Così come è del
1989 la direttiva Televisione Senza Frontiere. Al di là degli interventi comunitari
regolamentativi, negli stessi anni si assiste alla creazione di vari meccanismi di supporto alla
cultura che promuovono l’industria audiovisiva, la creazione artistica, gli scambi e la
cooperazione internazionale tra artisti e la tutela del patrimonio. Inizialmente tali iniziative
risultano essere altamente simboliche, come l’ iniziativa “Città europee della Cultura”, o i
Premi europei per artisti in vari settori, oppure frammentate, come i primissimi interventi
finanziari a sostegno dell’editoria e della traduzione letteraria e dello spettacolo dal vivo. Con
Maastricht, ma soprattutto con un forte impulso a partire dagli anni 2000, tali interventi
divengono sempre più organici e strutturati, per giungere, con il programma-quadro Europa
Creativa del 2014, ad abbracciare tutti i settori culturali, oltre che a definire la cultura come
1
Il tema del copyright non sarà affrontato nel presente elaborato, per approfondimenti si rimanda a Littoz-Monnet A., The
European Union and Culture: Between Economic Regulation and European Cultural Policy, Manchester University Press,
2007, pp 120-150.
6
politica trasversale a tutti gli ambiti d’intervento dell’Unione Europea. Nel presente elaborato
si tenterà di approfondire tale evoluzione, descrivendo le diverse fasi di intervento europeo in
ambito culturale. Nella prima parte, saranno illustrate anzitutto le modalità attraverso le quali
la Comunità è intervenuta a regolare indirettamente alcuni aspetti legati alla cultura, tramite
la giurisprudenza della Corte di Giustizia e poi con le prime normative dedicate alla tutela dei
beni culturali e alle emittenti televisive (capitolo 1). E’ importante segnalare nuovamente
come, in questa fase, i provvedimenti comunitari fossero fortemente indirizzati alla creazione
e al rafforzamento del mercato unico, e quindi l’impatto sulle tematiche culturali fosse
inizialmente indiretto e incidentale. Nel secondo capitolo, saranno delineate le conseguenze in
tema di intervento europeo generate dall’introduzione dell’articolo 128 nel Trattato di
Maastricht (poi modificato in articolo 151 TCE), articolo che di fatto introduce la politica
culturale tra le competenze comunitarie, definisce la cultura come uno degli ambiti di
intervento comunitario ( intervento, è bene sottolinearlo, che non diviene mai di competenza
esclusiva europea). Ecco che, dagli anni ’90, prendono forma i primi programmi di
finanziamento rivolti ai diversi settori culturali - libri, conservazione dei beni, arti e spettacolo
- e che il valore socioeconomico della cultura viene riconosciuto anche attraverso strumenti
finanziari non direttamente ed essa dedicati, come i fondi strutturali. Nel terzo capitolo, a
conclusione della prima parte, verranno descritti i programmi europei organici dedicati al
settore culturale, sviluppati a partire dal 2000 – programma Cultura 2000, programma Cultura
2007-2013 e Creative Europe – oltre che l’importante documento programmatico costituito
dall’Agenda Europea per la Cultura. Nella seconda parte – capitoli 4 e 5 – muoveremo lo
sguardo in una doppia direzione: anzitutto, allargando l’orizzonte di analisi agli interventi in
ambito culturale messi in atto da organizzazioni internazionali quali il Consiglio d’Europa e
l’UNESCO, al fine di evidenziare le interazioni con la politica dell’Unione europea;
secondariamente, entrando nello specifico delle tematiche affrontate, come con una lente
d’ingrandimento, saranno presentati alcuni casi-studio relativi a progetti culturali realizzati
grazie al contributo europeo e, più in generale, si farà luce sulle problematiche prettamente
operative collegate alla realizzazione di tali progetti – mobilità e coproduzioni internazionali,
reti culturali, agenzie di progettazione europea.
7
ABBREVIAZIONI:
CdG Corte Europea di Giustizia
CE Comunità Europea
CEE Comunità Economica Europea
EACEA Agenzia esecutiva per l’istruzione, gli audiovisivi e la cultura
FUS Fondo Unico per lo Spettacolo
GATS General Agreement on Trade in Services
GATT General Agreement on Tariffs and Trade
IETM International network for contemporary performing arts
MAC Metodo Aperto di Coordinamento
OCSE Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo
OMC Organizzazione Mondiale del Commercio
PE Parlamento europeo
PMI Piccole e Medie Imprese
TCE Trattato che istituisce la Comunità Europea
TFUE Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea
TsF Televisione Senza Frontiere (direttiva)
TUE Trattato sull’Unione Europea
UE Unione Europea
UNESCO Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura
UTE Unione dei Teatri d’Europa
WIPO World Intellectual Property Organization
NOTA TERMINOLOGICA:
Avendo ben presenti l’evoluzione dei trattati e, con essa, le successive modifiche intervenute
nella denominazione dell’entità europea - Comunità Economica Europea, Comunità Europea,
Unione Europea - nel presente elaborato, i diversi termini verranno utilizzati seguendo la
scansione temporale: in base alla fase storica cui si farà riferimento, si utilizzerà la
denominazione che in quella fase l’Europa si è data. Per quanto riguarda gli articoli dei trattati
citati, vale lo stesso ragionamento, con un’attenzione particolare nel segnalare i corrispondenti
articoli (se ancora esistenti), nella versione odierna e consolidata dei trattati dell’Unione
Europea.
8
PARTE PRIMA
CAPITOLO 1
L’ASSENZA DI UNA POLITICA CULTURALE EUROPEA PRIMA DI
MAASTRICHT
“i fenomeni della cultura sono compenetranti con il tessuto di qualsiasi società a tal punto da
rendere poco credibile l’ipotesi di un ordinamento, che a quella società sia destinato, nel
quale la considerazione di quei fenomeni possa restare veramente estranea ai valori da esso
fatti propri e coltivati. Questa generale osservazione è certamente valida nel caso della
Comunità europea, il cui ordinamento, […] non può astenersi dal prendere qualsiasi
posizione nei confronti di elementi altrettanto essenziali, come quelli che attengono alla
cultura”2
.
1.1 Tutela degli aspetti culturali come eccezione al principio della libera circolazione
di merci e servizi
Con la progressiva realizzazione del mercato interno, il processo di espansione delle
competenze comunitarie si è fatto più evidente e più ampio e, superando l’iniziale carattere
esclusivamente economico, è stato orientato anche in altri settori come quello dei beni
culturali. Tuttavia, l’attuale riconoscimento di una specifica dimensione culturale dell’Unione
rappresenta il risultato di molti anni di intensa attività e di ricerca di un bilanciamento degli
interessi culturali nelle strategie comunitarie. Bilanciamento che tutt’ora non può dirsi
raggiunto. Così come sottolineato da alcuni autori3
,in materia di cultura, gli interventi della
Comunità si sono rivelati inizialmente discontinui: “da un esame attento dell’ordinamento
comunitario si evidenzia l’estraneità della cultura nel quadro degli interessi dell’azione
comunitaria”. Volendo individuare un riferimento normativo in materia di cultura all’interno
dei trattati istitutivi, privi di disposizioni specifiche dedicate al tema, si può fare riferimento
all’articolo 36 del trattato CEE (attuale art. 36 TFUE), il quale consente di derogare al divieto
2
Cattaneo S.., Cultura e patrimonio culturale, in Catalani A., Cattaneo S. (a cura di), I beni e le attività culturali, XXXIII
volume del Trattato di diritto amministrativo, diretto da G. Santaniello, Padova, 2002, p. 3 ss.
3
Scialla L., I beni culturali nell’azione comunitaria, in De Falco V., Amirante D. (a cura di) Tutela e valorizzazione dei beni
culturali, aspetti sovranazionali e comparati, Torino, G. Giappicchelli, 2005, pp.65 – 139.
9
di porre ostacoli al commercio tra gli Stati membri per motivi di protezione di beni che
posseggono valore storico, artistico o archeologico. L’articolo 36 CEE recita: “Le
disposizioni degli articoli da 30 a 34 inclusi lasciano impregiudicati i divieti o restrizioni
all’importazione, all’esportazione e al transito giustificati da motivi di moralità pubblica, di
ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di tutela della salute e della vita delle persone e degli
animali o di preservazione dei vegetali, di protezione del patrimonio artistico, storico o
archeologico nazionale, o di tutela della proprietà industriale e commerciale. Tuttavia, tali
divieti o restrizioni non devono costituire un mezzo di discriminazione arbitraria, né una
restrizione dissimulata al commercio tra gli Stati membri”. L’applicazione di tale articolo
genera inevitabilmente delle conflittualità tra la disciplina comunitaria e quella nazionale, sia
per quanto riguarda il riparto delle competenze statali e comunitarie, che per quanto riguarda
l’ampiezza della deroga al principio della libera circolazione delle merci. Il primo caso cui si
assiste riguarda proprio l’Italia, che, nel gennaio 1960 si vede recapitare dalla Commissione
un invito a sopprimere la tassa stabilita dall’articolo 37 della legge n. 10894
, in quanto ritenuta
dazio doganale e quindi in contrasto con i principi del Trattato. Il 25 febbraio 1964,
considerato che il Governo italiano non aveva ancora adempiuto all’invito, in conformità con
l’articolo 169 CEE (art. 258 TFUE), la Commissione avvia un procedimento contro l’Italia,
cui lo Stato italiano risponde con osservazioni a riguardo, le quali non vengono accettate dalla
Commissione. Entro il 31 dicembre 1965, lo Stato italiano avrebbe dovuto sopprimere tale
tassa: non essendo stato rispettato tale obbligo, la Commissione sottopone il caso alla Corte di
Giustizia5
. Nonostante il Governo italiano abbia continuato a sostenere le proprie tesi secondo
cui l’articolo 37 della legge n. 1089 non aveva un carattere fiscale ma solo di tutela del
patrimonio artistico, considerando le opere d’arte come merci diverse da quelle sottoponibili
al regime di libero scambio, la Corte di Giustizia sostiene invece che tutti i prodotti
pecuniariamente valutabili sono da considerare merci a tutti gli effetti, indipendentemente
dalle caratteristiche che le distinguono dagli altri beni commerciali. Tale pronuncia è da
considerarsi di vitale importanza, poiché chiarisce per la prima volta l’ambito di applicazione
dell’articolo 36 CEE, riconoscendo che esso lascia impregiudicati i divieti o le restrizioni
4
La legge n. 1089 del 1939 agli articoli 35 e 37 prevedeva un rigido regime per quanto riguarda l’esportazione dei beni
culturali. L’articolo 37, in particolare, stabiliva una tassa da pagare al momento della richiesta all’esportazione dall’8% al
30%.
5
Sentenza della Corte di Giustizia, Commissione delle Comunità europee c. Repubblica italiana, causa 7/68, del 10
dicembre 1968.
10
all’esportazione giustificati da motivi di protezione del patrimonio artistico, storico o
archeologico, purché tali restrizioni si distinguano nettamente dai dazi doganali e dalle
restrizioni analoghe, contrari ai principi comunitari. L’articolo 36 non ha lo scopo di riservare
certe materie alla competenza esclusiva degli Stati membri, ma ammette che le legislazioni
nazionali possano prevedere eccezioni al principio di libera circolazione delle merce, qualora
ci siano giustificati obiettivi da perseguire (passando quindi per una verifica preventiva di
legittimità, così come sancito dall’Atto Unico europeo del 1986). La sentenza si rivela molto
importante inoltre, proprio per il fatto che stabilisce l’inesistenza di differenze tra i beni
culturali e i beni commerciabili in genere, considerando i primi come merci a tutti gli effetti.
Dopo questa prima categorica pronuncia, la posizione della Corte di Giustizia si
ammorbidisce progressivamente, giungendo via via a considerare gli interessi culturali come
un “giustificato correttivo alla realizzazione delle politiche comunitarie, anche oltre lo
specifico caso previsto dall’articolo 36 del Trattato CEE6
”. Al di là dell’esempio appena
illustrato relativo l’articolo 36 CEE e le sue implicazioni in ambito culturale, la realizzazione
del mercato interno ha determinato un inevitabile intervento comunitario in materia di cultura,
intervento che si realizza sia attraverso un’azione normativa diretta (direttiva 93/7/CEE,
regolamento CEE 3911/92, direttiva Televisione Senza Frontiere, di cui parleremo in modo
approfondito in seguito), sia sotto forma di atti giurisprudenziali prodotti dalla Corte di
Giustizia della Comunità. Senza dimenticare, inoltre, gli atti non vincolanti come i
comunicati, i libri verdi, le dichiarazioni d’intenti, i programmi d’azione che, prima
dell’entrata in vigore del Trattato di Maastricht, concorrono a comporre un quadro
disomogeneo - e inizialmente molto timido - di azioni comunitarie in ambito culturale. Tra
questi si può ricordare la comunicazione della Commissione “Community action in the
cultural sector7
”, del 1977,con la quale s’introduce una distinzione tra “cultura” e “settore
culturale”, sostenendo che l’intervento comunitario in tale settore non possa definirsi una vera
e propria politica. In una comunicazione successiva8
, la Commissione sottolinea che l’azione
comunitaria ambisce esclusivamente a facilitare la circolazione di beni culturali e a sostenere
lo sviluppo delle condizioni lavorative in tale settore, senza alcun potere esecutivo in capo
6
Scialla L., I beni culturali nell’azione comunitaria, cit 3,p. 73.
7
European Commission, Communication to the Council on community action in the cultural sector. COM (77) 560 final, 2
December 1977. Bulletin of the European Communities, Supplement 6/77.
8
European Commission, Communication to Parliament and the Council on a Stronger Community action in the cultural
sector, COM (82) 590 final, 16 October 1982.
11
agli Stati. Ecco perché le prime incursioni comunitarie in ambito culturale si mostrano così
caute e tuttavia spesso simboliche ed eclettiche. Ricordiamo ad esempio il “Green Paper on
the Establishment of the Common Market for Broadcasting, especially by Satellite and
Cable9
” del 1984, attraverso il quale la Commissione Europea evidenzia il contributo
fondamentale alla coesione e allo sviluppo di un senso d’identità europea fornito dallo
sviluppo tecnologico in campo di telecomunicazioni ed emittenti televisive, il quale può
favorire la consapevolezza di un destino condiviso da parte dei cittadini europei in molte aree
d’integrazione e stimolare l’interesse negli affari comunitari. Tale Libro Verde è quello che
porterà, nel 1989 all’approvazione della Direttiva 89/552/CE “Televisione senza frontiere”.
Altre iniziative includono la creazione dell’orchestra giovanile europea nel 1978, il premio
europeo alla scultura, il programma per le città europee della cultura 10
, interventi non
organici nell’ambito della traduzione di opere letterarie e nella tutela architettonica. Nel corso
degli anni ottanta la Commissione avvia significative iniziative nei settori educativo e
audiovisivo, sostenuta dagli articoli del Trattato inerenti la libera circolazione , riaccendendo
l’attenzione sul valore economico dei beni e servizi culturali. Fino a giungere, con il
documento del 1987 dal titolo “A Fresh Boost for Culture in the European Community” a
concludere che: “ […] increased Community activity in the cultural sector is a political and
economic necessity given the twin goals of completing the internal market by 1992 and
progressing from a People's Europe to European Union11
”. Tuttavia, come evidenziato da
alcuni autori12
, in questa prima fase, ogniqualvolta i rappresentanti degli Stati si sono trovati
di fronte a progetti concreti in ambito culturale, “concerns over Community competence in
the cultural field, the appropriateness of the cultural objectives being pursued, or their
financial implications frequently surfaced to impede or block agreement”. Dunque i tentativi
della Commissione di rafforzare la propria azione in ambito culturale si scontrano col
consenso solo superficiale degli Stati membri e con un immediato richiamo alla difesa degli
9
European Commission, Green Paper on the Establishment of the Common Market for Broadcasting, especially by Satellite and Cable,
COM (84) 300 final, 14 june 1984.
10
Il tema delle Città europee della Cultura sarà approfondito nel capito 3, paragrafo 2.1.
11
European Commission, A Fresh Boost for Culture in the European Community , bulletin of the European Communities,
supplement 4/87, p 6.
12
Craufurd Smith R., Culture and European Union law, Oxford University press, 2004, p21
12
interessi nazionali nel momento in cui le istituzioni europee propongono interventi concreti.
Forse questo aspetto, più che una mancanza di basi giuridiche nei Trattati, è stato e continua
ad essere un freno all’azione comunitaria in ambito culturale. Inoltre l’azione comunitaria in
questo ambito ha sempre corso il rischio di sovrapporsi a quella di altre organizzazioni
internazionali, come ad esempio il Consiglio d’Europa e l’UNESCO. L’introduzione di un
articolo appositamente dedicato alla cultura non avviene fino al 1992, con il trattato di
Maastricht, oltretutto con forti limitazioni alla sua applicazione, imposti soprattutto dal Regno
Unito. Mentre ci concentreremo sulle azioni “dirette” comunitarie in ambito culturale nella
seconda parte di questo capitolo, nel prossimo paragrafo s’intende esaminare brevemente gli
articoli del Trattato CEE che entrano in contatto con le tematiche culturali e le posizioni
adottate dalla Corte di Giustizia per dirimere le controversie sorte in tale ambito.
1.1.1 Cultura e mercato comune: alcuni casi giurisprudenziali
Come abbiamo già visto in riferimento al caso Commissione contro Repubblica italiana13
, i
manufatti artistici sono da considerare beni a tutti gli effetti e quindi, da sottoporre alla
normativa europea secondo gli artt. 30 e 34 CEE (attuali artt. 34 e 35 TFUE). Tuttavia,
proprio la presenza dell’articolo 36 CEE, porta necessariamente a tenere in considerazione il
valore “particolare” da assegnare a tali merci: la stessa Corte di Giustizia, in una serie di casi
riguardanti l’applicazione di regimi di tassazione favorevoli ai beni artistici, non può non
riconoscere, almeno implicitamente, la peculiarità degli oggetti d’arte14
. In particolare, con la
decisione Giant Soft Fan15
, la Corte riconosce la natura di opera d’arte del manufatto oggetto
della controversia e considera lecite le eccezioni alla tassazione ordinaria ad esso applicate.
Un caso giurisprudenziale da manuale che fa riferimento all’articolo 36 CEE, è quello che
vede contrapposte la Commissione e la Germania sul tema della composizione della birre
importate16
, per cui le norme tedesche sulla purezza della birra - ereditate dal sedicesimo
secolo - impedivano la vendita di birre prodotte all’estero che non rispettassero la rigida
13
Commissione c. Repubblica italiana, cit. 5.
14
Si vedano i casi Erika Daiber contro Hauptzollamt Reutlingen, causa 200/84 del 1985, Onnasch contro Hauptzollamt
Berlin-Oackhof, causa 155/84 del 1985 e Clees contro Hauptzollamt Reutlingen, causa 259/97 del 1998.
15
Onnasch, cit. 14.
16
Sentenza della Corte di Giustizia, Commissione contro Germania , causa 178/84, del 1987.
13
composizione degli ingredienti imposta da tali norme. La Germania, chiamata a giustificare la
propria posizione, in tale occasione sostenne che tali norme avevano l’obiettivo di proteggere
i consumatori, oltre che di tutelare la salute pubblica. Un altro caso classico che si può
ricordare è quello che vede coinvolta l’Italia in merito alle restrizioni all’importazione della
pasta prodotta non con grano duro17
. Anche in questa occasione la giustificazione riportata a
sostegno delle limitazioni fa riferimento alla protezione dei consumatori e della salute. Per
entrambe i casi la Corte dichiara la sproporzionalità delle misure nazionali e rigetta i ricorsi,
affermando che un’adeguata politica di etichettamento sia sufficiente ad informare e tutelare i
consumatori. L’aspetto interessante di questi casi e di altri molto simili, tuttavia risiede nel
fatto che molte delle limitazioni alla libera circolazione di beni vengono giustificate dagli
Stati membri adducendo motivazioni di stampo culturale: non si tratterebbe di reali minacce
alla salute pubblica, quanto di minacce ad “usanze” culturali, abitudini di vita (la pasta “al
dente”, la birra con una certa composizione), aspetti strettamente collegati all’identità
nazionale. In tale pratica la Corte di Giustizia ravvisa un potenziale rischio di
“cristallizzazione” delle abitudini dei consumatori che va a consolidare vantaggi riservati alle
industri nazionali. Rischio che, secondo la Corte, gli Stati devono evitare. Le conclusioni
giurisprudenziali della Corte, apparentemente guidate da valutazioni di natura commerciale e
di scelte razionali del consumatore, hanno in realtà significative ramificazioni culturali. I
principi comunitari relativi alla concorrenza e la creazione del mercato unico si applicano
ovviamente anche al settore della televisione, nonostante vi sia inizialmente un diffuso
consenso tra gli stati membri sul fatto che tale settore debba essere escluso dalle disposizioni
sul libero mercato. Nella sentenza Sacchi18
, ad esempio, la Corte rigetta tale posizione,
sostenuta in quell’occasione dall’Italia, affermando che gli aspetti economici che
caratterizzano le attività di fornitura di programmi televisivi sono soggetti alle norme sulla
libera circolazione, secondo gli artt. 59 e 52 CEE (attuali artt. 56 e 49 TFUE) i quali
proibiscono le restrizioni alla libera prestazione dei servizi (art 59) e alla libertà di
stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro (art 52),
prescrizione, quest’ultima, che può potenzialmente essere applicata ai produttori televisivi19
.
17
Sentenza della Corte di Giustizia, Drei Glocken and Kritzinger contro USL Centro-Sud e Bolzano, causa 407/85, del 1988.
18
Sentenza della Corte di Giustizia, Giuseppe Sacchi, causa 155/73 del 1974.
19
Ovviamente, anche le prescrizioni inerenti la libera circolazione delle merci, secondo gli artt. 30 e 34 CEE hanno effetti
sull’industria televisiva, ma meno incisivi.
14
In quanto considerata attività economica, all’industria televisiva si applicano anche le norme
relative alla concorrenza tra imprese previste dagli artt. 85 e 86 CEE20
(attuali artt. 101 e 102
TFUE) e, anche nei casi in cui le emittenti siano direttamente gestite dagli Stati o godano di
un regime fiscale eccezionale alla luce del loro ruolo pubblico rilevante, gli Stati membri non
possono emanare né mantenere alcuna misura contraria alle norme previste da tali articoli.
L’articolo 90 punto 1 CEE (attuale art 106 TFUE) prescrive infatti: “le imprese incaricate
della gestione di servizi di interesse economico generale o aventi carattere di monopolio
fiscale sono sottoposte alle norme del presente trattato, e in particolare alle regole di
concorrenza”, sempre che l’applicazione di tali norme non impedisca il regolare svolgimento
delle funzioni specifiche loro affidate. Un’ulteriore obbligo per quanto riguarda la
concorrenza deriva dall’articolo 92 CEE (art 107 TFUE) che dichiara “incompatibili con il
mercato comune, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi
dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune
imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza”. Come fanno
notare alcuni autori21
le norme economiche dei Trattati non hanno un reale impatto sulla
regolamentazione televisiva fino a quando la graduale liberalizzazione del mercato non fa
entrare soggetti privati in tale settore, mettendo in discussione le politiche culturali quasi-
monopolistiche poste in atto dagli Stati fino ad allora. E, quando questo accade, il
bilanciamento tra norme economiche e politiche culturali nazionali viene faticosamente
costruito attraverso le varie deroghe contenute nei Trattati stessi. Tuttavia, la stessa Corte di
Giustizia non è in grado di adottare una linea omogenea: gli obiettivi di politica culturale
nazionali possono costituire valide giustificazioni alla violazione delle norme Comunitarie
solo in alcuni casi. Così, ad esempio nel caso Commissione c. Belgio22
la Corte afferma
nettamente che gli obiettivi di politica culturale non ricadono in nessuna categoria di deroghe
ammesse dall’articolo 56 CEE (attuale art 52 TFUE), che acconsente ad un regime particolare
giustificato da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica. In altri
20
“Sono incompatibili con il mercato comune e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di
imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o
per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all'interno del mercato comune”, articolo 85, punto
1, CEE; “È incompatibile con il mercato comune e vietato, nella misura in cui possa essere pregiudizievole al commercio tra
Stati membri, lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante sul mercato comune o su
una parte sostanziale di questo”, articolo 86 CEE.
21
Biondi A., The Gardener and other Stories: the Peregrinations of Cultural Artefacts within the European Union, in
Craufurd Smith R., Culture and European Union law, cit 12 , p. 183.
22
Sentenza della Corte di Giustizia, Commissione contro Regno del Belgio, causa C-211/91, del 16 dicembre 1992.
15
casi, tuttavia la posizione della Corte non è così esplicita in merito, limitandosi a rigettare i
ricorsi degli Stati sulla base di altre considerazioni e non pronunciandosi riguardo la natura
degli obiettivi di politica culturale23
. La Commissione a questo punto, interviene chiarendo
alcuni aspetti riferiti ai pubblici servizi televisivi: nella sua Comunicazione sui servizi di
interesse generale del 199624
, viene riconosciuto che la televisione possiede un carattere di
interesse generale secondo l’articolo 86 punto 2 TCE (ex art 90 CEE, e attuale art 106 TFUE),
alla luce del suo ruolo centrale nella trasmissione e nello sviluppo di valori sociali. Anche la
Corte, quindi, sembra accettare la potenziale applicabilità di tale articolo in difesa di obiettivi
culturali nel settore degli audiovisivi25
. Tuttavia occorre porre attenzione sulla “potenziale”
ammissibilità di tale eccezione: un’esclusione a priori in conseguenza dell’articolo 86 punto 2
viene respinta dalla Corte, ad esempio nella sentenza Francia contro Commissione del 199126
.
Infine, in riferimento all’articolo 92 CEE, alcuni tipi di provvedimenti, specificati al comma
2, costituiscono una eccezione completa al divieto di aiuti di Stato27
, mentre altri, specificati
al comma 3, possono considerarsi compatibili a discrezione della Commissione. Con l’entrata
in vigore del Trattato di Maastricht, viene aggiunta la lettera (d) all’articolo 87.3 (ex art. 92
CEE, e attuale art. 107 TFUE), che prevede la potenziale compatibilità degli “aiuti destinati a
promuovere la cultura e la conservazione del patrimonio”, tenendo fermo l’obbligo di non
alterare le condizioni degli scambi e della concorrenza nella Comunità. Tutte queste potenziali
deroghe possono ovviamente essere applicate solo a misure che siano proporzionate e
necessarie al raggiungimento degli obiettivi nazionali e il meno restrittive possibile dei
principi comunitari. Per ultimo occorre ricordare che le misure nazionali non devono essere in
23
Questo è accaduto nei casi Bond van Adverteerders, causa 352/85 del 1988 e Stichting Collective Antennevooziening
Gouda, causa C-288/89 del 1991, nei quali gli avvocati generali Mancini e Tesauro esprimono opinioni opposte in merito alla
eventuale natura di politica pubblica degli obiettivi culturali. Tuttavia, tali valutazioni non entrano a far parte delle
sentenze,che si limitano a concentrarsi sulla sproporzionalità delle misure nazionali adottate (nel primo caso) e sulle misure
non discriminatorie (nel secondo caso).
24
Commissione europea, Comunicazione sui servizi di interesse generale in Europa, GU C 281 del 26.9.1996.
25
Ad esempio, nel caso Sacchi, cit 17, o nel caso T-546/93, Metropole Television SA, Reti Televisive Italiane SpA, Gestevision
Telecinco SA e Antena 3 de Television contro Commissione, del 1996.
26
Sentenza della Corte di Giustizia, Francia contro Commissione, causa 202/88, del 1991.
27
“Sono compatibili con il mercato comune: a) gli aiuti a carattere sociale concessi ai singoli consumatori, a condizione che
siano accordati senza discriminazioni determinate dall'origine dei prodotti, b) gli aiuti destinati a ovviare ai danni arrecati
dalle calamità naturali oppure da altri eventi eccezionali, c) gli aiuti concessi all'economia di determinate regioni della
Repubblica federale di Germania che risentono della divisione della Germania, nella misura in cui sono necessari a
compensare gli svantaggi economici provocati da tale divisione”, art. 92, punto 2 trattato CEE.
16
contrasto con i principi generali comunitari, categoria che include, ad esempio, i diritti
fondamentali così come enunciati dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU),
all’interno della quale il diritto alla libertà di espressione28
risulta evidentemente collegato alle
questioni inerenti il settore culturale e televisivo29
. Date le varie linee di ragionamento
seguite dalla Corte nei casi in cui le considerazioni culturali sono state chiamate in causa,
qualsiasi conclusione definitiva riguardo l’atteggiamento ufficiale della Comunità Europea
prima dell’entrata in vigore dell’Articolo 151 è da considerarsi come provvisoria. Tuttavia
alcuni autori30
rilevano talune costanti che caratterizzano le sentenze della Corte: nei casi in
cui i beni o servizi sono considerati dallo Stato destinatario come intrinsecamente dannosi a
livello culturale (ad esempio a stampo pornografico) e nei casi in cui la pratica domestica è
considerata come costitutiva dell’identità nazionale o di importanza culturale fondamentale
(come ad esempio il linguaggio) la Corte ha mantenuto un atteggiamento deferente nei
confronti delle preoccupazioni di carattere culturale degli Stati. In tutte le altre circostanze,
ogni misura che semplicemente allontana i consumatori da beni o servizi stranieri alternativi,
è considerate come potenzialmente protezionista e quindi rigorosamente assoggettata ad una
verifica di proporzionalità. Tuttavia questi casi pongono l’attenzione non solo su come e
quanto la protezione della cultura possa essere utilizzata a giustificazione di misure che
limitano la circolazione di beni e servizi, ma, in modo più approfondito, sull’esigenza di uno
sguardo più ampio e inclusivo al concetto di cultura e di come questo meriti protezione
specifica nel paradigma comunitario.
1.2 Normative europee a tutela dei beni culturali
Con l’adozione di Schengen, mentre il regime interno di abolizione delle frontiere non
comporta l’abolizione in assoluto de i controlli interni, per cui l’eventuale attività di
28
“Ogni persona ha diritto alla libertà d’espressione. Tale diritto include la libertà d’opinione e la libertà di ricevere o di
comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di
frontiera”, art. 10, Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, Roma, 4 novembre
1950.
29
Vedere la sentenza della Corte di Giustizia Elliniki Radiophonia Tiléorassi AE contro Dimotiki Etairia Pliroforissis e Sotirios
Kouvelas, causa C-260/89, del 1991.
30
Craufurd Smith R., Culture and European Union law, cit 12, pag. 39
17
fuoriuscita di un bene da uno Stato membro verso un altro rimane illecita e quindi passibile di
sanzione (non certamente da parte dell’ufficio doganale di fuoriuscita, ma da parte dello Stato
membro ricevente), il regime previsto per le uscite dei beni verso paesi terzi rimane
immutato: autorizzazioni e controlli restano validi al fine di scoraggiare qualsiasi traffico
illecito. Tuttavia l’interpretazione su quanto controlli e regolamenti debbano essere limitativi
rimane competenza statale: i cosiddetti Stati-mercato, ossia quelli poveri di beni culturali, si
mostrano più orientati alla liberalizzazione degli scambi, mentre gli Stati-fonte, quelli con un
patrimonio artistico molto vasto, si mostrano maggiormente interessati a imporre restrizioni
impedendo la circolazione dei beni. La tutela di tali beni non poteva essere garantita a
sufficienza dalla ratifica della Convenzione UNESCO del 1970, relativa alle misure da
adottare per proibire e impedire l'importazione, l'esportazione e il trasferimento delle proprietà
illecite di beni culturali, e della Convenzione del Consiglio d'Europa del 1985 sulle infrazioni
riguardanti i beni culturali. In tale contesto di disomogeneità ed incertezza, si sono rese
necessarie misure d'accompagnamento del processo di completamento del mercato interno e
la predisposizione di mezzi supplementari per proteggere adeguatamente i beni culturali.
1.2.1 Regolamento CEE 3911/92 relativo all’esportazione di beni culturali
Il regolamento (CEE) n. 3911/92 , del 9 dicembre 199231
ha lo scopo di garantire un controllo
uniforme delle esportazioni di beni culturali verso paesi terzi32
. Il regolamento si applica ai
beni culturali enumerati nel suo allegato, i quali sono divisi in 14 categorie (oggetti
archeologici, quadri, incisioni, libri, fotografie, ecc.). I criteri per la qualificazione di un "bene
culturale", variabili secondo la categoria, sono quello dell'età (più di 100, 75 o 50 anni,
secondo i casi) e quello del valore minimo (da 0 euro per taluni beni culturali considerati tali
anche se il loro valore è trascurabile o nullo, fino a 150.000 euro). L'esportazione dei beni
culturali contemplati dal regolamento è subordinata alla presentazione di una licenza di
31
Consiglio, Regolamento (CEE) n. 3911/92 relativo all'esportazione di beni culturali, del 9 dicembre 1992.
32
Per quanto riguarda le esportazioni all’interno dei confini europei, restano in vigore le legislazioni nazionali che
prevedono comunque varie tipologie di licenze all’esportazione. Per l’Italia, si tratta della legge 1089 del 1939, già citata per
quanto riguarda il caso 7/68, cit. 5. Per maggiori dettagli si può visitare il sito degli uffici esportazione del Ministero,
all’indirizzo http://www.pabaac.beniculturali.it/opencms/opencms/BASAE/sito-BASAE/mp/Uffici-musei-e-
monumenti/Uffici-esportazione/index.html
18
esportazione valida in tutta la Comunità (art.2, punto 2); tale licenza viene rilasciata dalle
autorità competenti dello Stato membro33
, su richiesta dell'interessato. Lo stesso articolo 2
afferma inoltre che “l'autorizzazione di esportazione può essere rifiutata ai sensi del presente
regolamento, qualora i beni culturali in questione siano contemplati da una legislazione che
tutela il patrimonio nazionale avente valore artistico, storico e archeologico nello Stato
membro di cui trattasi”. La licenza di esportazione è presentata, a sostegno della dichiarazione
di esportazione, al momento dell'espletamento delle formalità doganali di esportazione, presso
l'ufficio doganale competente ad accettare tale dichiarazione (art. 4). Infine, nell'ambito
dell'applicazione del regolamento, l’articolo 6 prevede che gli Stati membri stabiliscano
attivamente “una cooperazione tra le autorità doganali e le autorità competenti” sul piano dei
loro rapporti reciproci e una collaborazione efficace con la Commissione, la quale deve essere
informata sulle misure che ogni Stato mette in atto in applicazione del regolamento, comprese
le misure sanzionatorie (decise autonomamente da ciascuno Stato, come previsto dall’articolo
9). Dalla sua adozione, il regolamento (CEE) n. 3911/92 è stato emendato più volte. A fini di
razionalità e chiarezza, è stato abrogato e sostituito dal regolamento CE n. 116/200934
. Come
il precedente, anche il nuovo regolamento garantisce che le esportazioni di beni culturali siano
sottoposte a controlli uniformi alle frontiere esterne dell'Unione europea mediante le licenze
di esportazione. Le modifiche più rilevanti apportate riguardano l’elenco delle categorie di
beni contemplate dal regolamento, anche in questo caso contenuto in un allegato, e il
regolamento di esecuzione (UE) n. 1081/2012 della Commissione35
, il quale stabilisce le
norme che disciplinano la redazione, il rilascio e l'utilizzo delle licenze di esportazione di cui
al regolamento (CE) n. 116/2009. Esso specifica le tipologie di licenza da rilasciare, il loro
utilizzo ed il loro periodo di validità. Vi sono tre tipi di licenza:
- licenza normale: utilizzata in circostanze normali per ogni esportazione soggetta al
regolamento (CE) n. 116/2009 e valida per 1 anno;
33
L’elenco aggiornato delle autorità nazionali competenti è pubblicato sulla Gazzetta ufficiale C 164 del 16.7.2009. Per
l’Italia sono designati vari uffici di esportazione, disseminati lungo tutto il territorio nazionale. L’elenco è consultabile
all’indirizzo http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/ALL/?uri=CELEX:52009XC0716%2802%29.
34
Consiglio, Regolamento (CE) n. 116/2009 relativo all'esportazione di beni culturali, del 18 dicembre 2008.
35
Commissione europea, Regolamento di esecuzione (UE) n. 1081/2012 recante disposizioni d’applicazione del regolamento
(CE) n. 116/2009 del Consiglio relativo all’esportazione di beni culturali, del 9 novembre 2012.
19
- licenza aperta specifica: concerne l'esportazione temporanea ripetuta di uno specifico
bene culturale da parte del suo proprietario per l'utilizzo e/o l'esposizione in paesi terzi
ed è valida per 5 anni;
- licenza aperta generale: rilasciata ad un museo o ad altri enti per quanto riguarda
l'esportazione temporanea di qualsiasi merce appartenente alla loro collezione
permanente che sia esportata temporaneamente dall'Unione in un paese terzo per
l'esposizione su base regolare. La licenza è valida per 5 anni.
Anche dopo le modifiche, compete agli Stati membri determinare le sanzioni da
somministrare in caso di violazione delle norme del presente regolamento, le quali devono
essere ovviamente efficaci, proporzionate e dissuasive. Nel maggio 1999 la Commissione ha
sottoposto gli Stati ad un questionari valutativo relativo l'applicazione del regolamento. Il
giudizio degli Stati membri36
, espresso nelle risposte al questionario e, più in generale, sul
funzionamento del sistema, è quasi all'unanimità positivo per quanto riguarda la
sensibilizzazione dei protagonisti del commercio internazionale, ma con qualche riserva sulla
reale diminuzione del numero delle esportazioni illecite. L'applicazione del regolamento ha
avuto il vantaggio di richiamare l'attenzione delle amministrazioni e delle autorità doganali
responsabili sull'importanza del mondo dell'arte e in particolare sull'esistenza di un
commercio illegale di beni culturali. Tuttavia, quest'interesse non ha avuto effetti concreti.
L'efficacia dei controlli doganali sull'esportazione dei beni culturali verso i paesi terzi varia in
funzione dell'atteggiamento e del comportamento degli Stati membri nei confronti dei vari
aspetti della cultura e dell'arte. Nella relazione, la Commissione evidenzia che, se da un lato
ha permesso di uniformare a livello comunitario le formalità e la documentazione necessarie
per l'esportazione dei beni culturali, d’altro canto il regolamento non è stato accompagnato da
un reale cambiamento dei comportamenti e degli atteggiamenti nel senso di una vera
protezione comunitaria dei beni culturali. Infatti, la protezione dei beni culturali è rimasta
incentrata sui beni appartenenti al patrimonio nazionale. Una delle difficoltà più spesso
riscontrate dagli Stati deriva dal fatto che il regolamento prevede che la licenza d’esportazione
sia concessa dallo Stato in cui il bene si trova: se tale bene è precedentemente uscito
illecitamente da uno stato diverso da quello in cui si trova al momento della richiesta, e
36
Commissione europea, Relazione al Consiglio, al Parlamento Europeo e al Comitato economico e sociale su l'applicazione
del regolamento (CEE) n. 3911/92 del Consiglio relativo all'esportazione di beni culturali e della direttiva 93/7/CEE del
Consiglio relativa alla restituzione dei beni culturali usciti illecitamente dal territorio di uno Stato membro, COM/2000/0325
def.
20
l'uscita illecita non ha potuto essere individuata, l'efficacia del dispositivo comunitario di
protezione è indebolita.
1.2.2 Direttiva CEE 93/7 sulla restituzione dei beni culturali
Dopo l’introduzione del regolamento n. 3911/92 relativo all'esportazione di beni cultural, si
ravvisa la necessità di istituire un sistema che permetta agli Stati membri di ottenere la
restituzione dei beni culturali classificati come beni del patrimonio nazionale ai sensi
dell'articolo 36 del trattato CEE e che siano usciti dal loro territorio in violazione delle
disposizioni nazionali o di tale regolamento. Con la direttiva CEE/93/737
, riguardante la
restituzione dei beni culturali usciti illecitamente dal territorio di uno Stato membro, s’intende
quindi istituire un sistema comunitario integrato a tutela dei beni culturali degli Stati membri.
Considerando la difficoltà di dare una definizione univoca di “bene culturale”, la direttiva
affida tale incombenza agli Stati membri e, all’articolo 1, dichiara che viene considerato
“bene culturale” qualsiasi bene:
- Qualificato tra i « beni del patrimonio nazionale aventi un valore artistico, storico o
archeologico », in applicazione della legislazione nazionale o delle procedure
amministrative nazionali, ai sensi dell'articolo 36 del Trattato CEE;
- appartenente ad una delle categorie di cui all'allegato38
alla direttiva, o pur non
rientrando in una di queste categorie, facente parte delle collezioni pubbliche figuranti
37
Consiglio, Direttiva 93/7/CEE, relativa alla restituzione dei beni culturali usciti illecitamente dal territorio di uno Stato
membro, 15 marzo 1993, consultabile all’indirizzo http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX:31993L0007.
38
Allegato: categorie che sono contemplate dall'articolo 1, punto 1, secondo trattino ed a cui devono appartenere, per
poter essere restituiti, conformemente alla presente direttiva, i beni classificati come beni del « patrimonio nazionale » ai
sensi dell'articolo 36 del Trattato CEE A. 1. Reperti archeologici aventi più di 100 anni provenienti da: scavi e scoperte
terrestri o sottomarine; siti archeologici; collezioni archeologiche. 2. Elementi, costituenti parte integrante di monumenti
artistici, storici o religiosi e provenienti dallo smembramento dei monumenti stessi, aventi più di 100 anni. 3. Quadri e
pitture fatti interamente a mano su qualsiasi supporto e con qualsiasi materiale. 4. Mosaici diversi da quelli delle categorie
1 e 2 disegni fatti interamente a mano su qualsiasi supporto e con qualsiasi materiale. 5. Incisioni, stampe, serigrafie e
litografie originali e relative matrici, nonché manifesti originali. 6. Opere originali dell'arte statuaria o dell'arte scultoria e
copie ottenute con il medesimo procedimento dell'originale (1), diverse da quelle della categoria 1. 7. Fotografie, film e
relativi negativi. 8. Incunaboli e manoscritti, comprese le carte geografiche e gli spartiti musicali, isolati o in collezione. 9.
Libri aventi più di 100 anni, isolati o in collezione. 10. Carte geografiche stampate aventi più di 200 anni. 11. Archivi e
supporti, comprendenti elementi di qualsiasi natura aventi più di 50 anni. 12. a) Collezioni ed esemplari provenienti da
collezioni di zoologia, botanica, mineralogia, anatomia. b) Collezioni aventi interesse storico, paleontologico, etnografico o
21
negli inventari dei musei, degli archivi e dei fondi di conservazione delle biblioteche e
degli inventari delle istituzioni ecclesiastiche.
È interessante notare che un bene può essere classificato come patrimonio nazionale anche
dopo essere uscito dal territorio dello Stato membro e che quest’ultimo può estendere il
campo di applicazione del regime di restituzione anche ai beni non compresi nelle categorie di
beni culturali contemplate dall'allegato39
. Così come prescritto dall’articolo 1, punto 2, la
direttiva si applica nei casi in cui tali beni abbiano lasciato illegalmente il territorio di un
paese membro, vale a dire in violazione della legislazione nazionale vigente,del regolamento
(CEE) n. 3911/92, oppure violando le condizioni di un'autorizzazione temporanea rilasciata.
La restituzione del bene deve avvenire sia che tale bene sia stato trasferito all'interno
dell’Unione, sia che sia stato prima esportato verso un paese terzo e successivamente
importato in un altro membro paese dell’UE. Per adempiere agli obblighi della direttiva,
“Ciascuno Stato membro designa una o più autorità centrali per l'esercizio delle funzioni
previste” (art. 3), l'elenco aggiornato delle quali è pubblicato dalla Commissione sulla
Gazzetta ufficiale delle Comunità europee40
. Si rende quindi necessaria una costante
cooperazione tra le autorità competenti dei diversi Stati: al fine di garantire la restituzione di
un bene culturale, l’articolo 4 elenca una serie di funzioni che devono essere svolte proprio da
tali autorità41
. All’articolo 5, si sottolinea che tribunali competenti per poter ordinare la
numismatico. 13. Mezzi di trasporto aventi più di 75 anni. 14. Altri oggetti di antiquariato, non contemplati dalle categorie A
1-A 13, aventi più di 50 anni. Direttiva 93/7/CEE, cit. 37.
39
La direttiva è applicabile ai beni culturali che hanno lasciato in maniera illegale il territorio di un paese della Comunità
dopo il 1° gennaio 1993. Tuttavia, i paesi membri sono liberi di estendere il campo di applicazione della normativa ai beni
che hanno lasciato il loro territorio prima del 1° gennaio 1993, articolo 14, Direttiva 93/7/CEE, cit. 34.
40
Per l’Italia: “L'autorità centrale prevista dall'articolo 3 della direttiva CEE è per l'Italia il Ministero. Esso si avvale, per i vari
compiti indicati nella direttiva, dei suoi organi centrali e periferici, nonché della cooperazione degli altri Ministeri, degli altri
organi dello Stato, degli enti territoriali e degli altri enti locali. Legge 30 marzo 1998, n. 88, Norme sulla circolazione dei beni
culturali, art. 3.1, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 84 del 10 aprile 1998.
41
“Le autorità centrali degli Stati membri cooperano e promuovono la consultazione tra le autorità competenti degli Stati
membri. Queste ultime assolvono in particolare i seguenti compiti: 1) individuare, su domanda dello Stato membro
richiedente, un determinato bene culturale uscito illecitamente dal territorio di detto Stato, nonché localizzarlo e
identificarne il possessore e/o detentore. La domanda deve comprendere qualsiasi informazione utile per agevolare tale
ricerca, in particolare riguardante la localizzazione vera o presunta del bene; 2) effettuare una notifica agli Stati membri
interessati quando è ritrovato un bene culturale nel loro proprio territorio e sussistono validi motivi per ritenere che detto
bene sia uscito illecitamente dal territorio di altro Stato membro; 3) facilitare la verifica, da parte delle autorità competenti
dello Stato membro richiedente, che il bene in questione costituisce un bene culturale purché tale operazione venga
effettuata entro due mesi dalla notifica prevista al punto 2. Qualora la verifica non sia effettuata entro il termine stabilito, i
punti 4 e 5 non sono più d'applicazione; 4) prendere, ove occorra, in cooperazione con lo Stato membro interessato, le
misure necessarie per la conservazione materiale del bene culturale; 5) impedire, mediante i necessari provvedimenti
22
restituzione del bene allo Stato membro richiedente in caso di rifiuto da parte del
possessore/detentore di riconsegnare il bene, sono i tribunali dello Stato membro cui è stata
notificata la richiesta; allo stesso modo, è la legislazione del paese cui è stata inoltrata la
richiesta che regolamenta l'onere della prova. La direttiva prevede inoltre che i soggetti
legittimati a presentare l'istanza di restituzione siano unicamente gli Stati membri, infatti, il
privato proprietario di un bene culturale può esperire nei confronti del possessore soltanto le
azioni previste dal diritto comune. L'azione di restituzione si prescrive decorso un anno dalla
data in cui il paese dell’UE richiedente è venuto a conoscenza dell'ubicazione del bene e
dell'identità del suo possessore o detentore (articolo 7). Inoltre, per essere ricevibile, la
richiesta deve essere accompagnata da un documento che descriva chiaramente l’oggetto della
richiesta e nel quale si dichiari che si tratta di un bene culturale ai sensi della direttiva, oltre
che da una dichiarazione delle autorità competenti del paese richiedente che confermino
l'uscita illegale del bene culturale dal territorio (art. 5). L’articolo 9 prescrive che “qualora sia
ordinata la restituzione del bene, il giudice competente dello Stato richiesto accorda al
possessore l'indennizzo che ritenga equo in base alle circostanze del caso concreto”, sempre
che il possessore dimostri che egli abbia usato la dovuta diligenza in occasione dell'acquisto.
Tale indennità deve essere pagata dal paese richiedente, il quale può rivalersi peraltro sulle
persone responsabili dell'uscita illegale. Dopo la restituzione, la proprietà del bene è
regolamentata dalla legislazione del paese richiedente (art. 12). Infine, l’articolo 16 invita i
paesi membri a inviare ogni tre anni alla Commissione una relazione sull'applicazione della
direttiva, in base alla quale la Commissione pubblica successivamente una relazione al
Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato economico e sociale europeo. L’ultima
relazione è stata presentata dalla Commissione nel 201342
e può risultare interessante
riassumerne di seguito i punti salienti. Tenendo ferma la considerazione generale di necessità
della direttiva, considerando tuttavia i punti deboli rilevati dalle relazioni precedente, la
Commissione aveva costituito nel 2009 il gruppo di lavoro Return of cultural goods,
composto da rappresentanti delle autorità nazionali incaricate dell'applicazione della direttiva.
provvisori, che il bene culturale venga sottratto alla procedura di restituzione; 6) svolgere il ruolo d'intermediario tra il
possessore e/o detentore e lo Stato membro richiedente ai fini della restituzione. In tale senso, le autorità competenti dello
Stato membro richiesto possono agevolare, fatto salvo l'articolo 5, l'esecuzione di una procedura di arbitrato,
conformemente alla legislazione nazionale dello Stato richiesto e a condizione che lo Stato richiedente ed il possessore o
detentore vi diano formalmente il proprio accordo”, art. 4, Direttiva 93/7/CEE, cit. 37.
42
Commissione europea, Quarta relazione sull’applicazione della direttiva 93/7/CEE del Consiglio relativa alla restituzione
dei beni culturali usciti illecitamente dal territorio di uno Stato membro, Bruxelles, 30 maggio 2013, COM(2013) 310 final.
23
Il gruppo aveva i compiti di identificare i principali problemi posti dall'attuazione della
direttiva e di proporre soluzioni efficaci ed accettabili per un'eventuale revisione. Nel 2011 il
gruppo di lavoro ha concluso che fosse necessario rivedere la direttiva 93/7/CEE al fine di
rendere più efficace il dispositivo di restituzione dei beni culturali classificati come
“patrimonio nazionale”. I membri del gruppo hanno inoltre raggiunto conclusioni
sull'eventualità di utilizzare altri strumenti non legislativi per migliorare la cooperazione e lo
scambio di informazioni tra le autorità competenti e contribuire in tal modo ad agevolare la
restituzione dei beni culturali. Considerando le relazioni inviate alla Commissione ogni tre
anni, Gli Stati membri riferiscono che essi non dispongono di informazioni su tutti i beni
culturali usciti in modo illecito dal loro territorio43
: risulta pertanto difficile per loro valutare
se tale fenomeno sia in crescita o in diminuzione. Tendenzialmente gli Stati rilevano
l’applicazione poco frequente della direttiva, in particolare dell'azione di restituzione,
identificando nel limitato numero di categorie di beni ammesso dall’allegato e nel breve
tempo disponibile per intentare l’azione di restituzione, delle limitazioni forti. Emergono
inoltre difficoltà inerenti l’identificazione del tribunale competente in un altro Stato membro e
ai costi finanziari collegati alla restituzione. Tendenzialmente, dalle relazioni degli Stati
Membri, emerge che le restituzioni avvenute in via amichevole sono più frequenti di quelle
per via giurisdizionale44
e che le condizioni restrittive della direttiva obbligano talvolta il
ricorso a convenzioni internazionali per i recupero dei beni45
. Tuttavia gli Stati Membri
rilevano un progressivo miglioramento della cooperazione amministrativa e dello scambio di
informazioni tra le autorità centrali degli Stati membri, anche se tutt’ora limitato da
disomogeneità e da ostacoli linguistici. Il procedimento di revisione della direttiva 93/7/CEE
è iniziato nel 2009, inoltre, nel quadro dell’Agenda europea della cultura (cfr. cap. 3, par. 2) e
del piano di lavoro 2008-2010, è stato creato un gruppo di esperti nazionali che ha lavorato
43
Solo alcuni Stati, come la Repubblica Ceca, la Grecia, l’Ungheria e la Romania, hanno fornito un elenco degli oggetti usciti
illegalmente che sono stati identificati in altri stati membri e dei beni di provenienza illegale ritrovati nei loro territori. È così
anche per l’Italia, che ha fornito informazioni sugli oggetti usciti illegalmente (10.372 tra il 2008 3 il 2011), Commissione,
Quarta relazione sull’applicazione della direttiva 93/7/CEE, cit. 42.
44
Le relazioni degli Stati informano che sono state presentate sei domande di restituzione, una delle quali è stata respinta,
Commissione, Quarta relazione sull’applicazione della direttiva 93/7/CEE, cit. 42.
45
Ad esempio, Bulgaria e Polonia indicano di aver ottenuto restituzioni attraverso la Convenzione UNESCO (Convenzione
UNESCO concernente le misure da adottare per interdire e impedire l’illecita importazione, esportazione e trasferimento di
proprietà dei beni culturali, del 1970; approfondita di seguito, al cap. 4, par. 3.1.1), e la Romania segnala la restituzione di
235 oggetti mediante la convenzione UNIDROIT (Convenzione UNIDROIT sugli oggetti culturali rubati o esportati
illegalmente, del 1995), Commissioneeuropea, Quarta relazione sull’applicazione della direttiva 93/7/CEE, cit. 42.
24
sul tema del miglioramento della circolazione delle opere d’arte (si tratta del gruppo “Mobilità
delle collezioni”, all’interno del quadro del Metodo aperto di coordinamento) e che ha
continuato a lavorare sul tema anche nella fase successiva del piano di lavoro a favore della
cultura46
.
1.3 Direttiva 89/552/CEE ,Televisione senza Frontiere
Molte politiche comunitarie hanno un evidente impatto diretto o indiretto sulle imprese che
operano nel settore dell’audiovisivo: ad esempio il divieto posto dal Trattato agli aiuti di Stato
che alterino la concorrenza (art. 87 TCE, attuale art. 107 TFUE ) trova una eccezione nel caso
dei "servizi di interesse economico generale", che comprendono anche i servizi pubblici delle
trasmissioni47
, così come un certo numero di strumenti giuridici comunitari contribuisce in
maniera più o meno diretta al perseguimento degli obiettivi di tutela del pluralismo dei media
(compito che spetta essenzialmente agli Stati membri48
), della concorrenza e della protezione
dei consumatori. Senza dimenticare che il settore europeo dell'audiovisivo ha potuto usufruire
nel corso degli anni di meccanismi comunitari di sostegno (programma MEDIA, cfr. capitolo
3, par. 3.4). Le attività televisive, indipendentemente dal loro contenuto culturale,
costituiscono un servizio e, come tale, ai sensi del trattato, la loro libera circolazione deve
essere garantita senza esclusioni e senza restrizioni per i cittadini degli Stati membri stabiliti
in qualsiasi paese della Comunità diverso da quello cui il servizio è destinato. A livello
comunitario, tuttavia, è stato rilevato che le disposizioni legislative, regolamentari ed
amministrative degli Stati membri applicabili all'esercizio di emissioni televisive e di
distribuzione via cavo presentano disparità che possono ostacolare la libera circolazione delle
46
I lavori del gruppo vertono sui mezzi per semplificare le procedure di prestito delle opere d’arte nell’ambito dell’Unione,
sono consultabili all’indirizzo : http://ec.europa.eu/culture/our-policy-development/policy-documents/omc-working-
groups_en.htm.
47
Una comunicazione della Commissione del novembre 2001 chiarisce i criteri d'applicazione delle regole di concorrenza
nei servizi pubblici delle trasmissioni: Commissione europea, Comunicazione relativa all'applicazione delle norme sugli aiuti
di Stato al servizio pubblico di radiodiffusione, (2001/C 320/04), novembre 2001, consultabile all’indirizzo http://eur-
lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?qid=1422876737253&uri=CELEX:52001XC1115%2801%29
48
Commissione europea, Libro verde sui servizi di interesse generale, maggio 2003, COM/2003/0270 def.
25
trasmissioni nella Comunità e falsare la concorrenza nel mercato comune. La comunità ha
quindi ritenuto che lo strumento più efficace per eliminare le distorsioni e, allo stesso tempo,
coordinare le legislazioni in tale ambito, fosse quello della direttiva. Da qui prende forma la
Direttiva 89/552/CEE49
, che si pone l’obiettivo di garantire la libera circolazione dei servizi
televisivi nell'ambito del mercato interno, tutelando nel contempo obiettivi d'interesse
pubblico, come la diversità culturale, il diritto di rettifica, la tutela dei consumatori e la
protezione dei minori. Si prefigge inoltre la finalità di promuovere la distribuzione e la
produzione dei programmi televisivi europei riservando loro una quota maggioritaria nel
quadro dei programmi delle reti televisive. Sostanzialmente la direttiva dispone che tutte le
trasmissioni televisive, sia quelle sottoposte alla giurisdizione di uno Stato, sia quelle
semplicemente trasmesse via satellite in tale Stato, rispettino il medesimo diritto applicabile
alle trasmissioni destinate al pubblico in tale Stato membro. Così, come prescritto
dall’articolo 2 della Direttiva, “gli Stati membri assicurano la libertà di ricezione e non
ostacolano la ritrasmissione sul proprio territorio di trasmissioni televisive provenienti da altri
Stati membri”, se non per motivi di tutela dei minori e per impedire la trasmissione di
programmi che incitino all'odio basato su differenze di razza, sesso, religione o nazionalità
(art. 22 Direttiva). Il testo della direttiva si compone di sette capitoli, il primo dei quali è
dedicato a fornire alcune definizioni che identificano cosa s’intenda a livello comunitario con
i termini trasmissione televisiva, pubblicità televisiva, pubblicità clandestina e
sponsorizzazione50
. Il secondo capitolo enuncia i principi generali della direttiva, di cui
abbiamo già parlato, mentre merita attenzione il terzo capitolo, dedicato alla promozione dei
programmi televisivi di interesse europeo: “gli Stati membri vigilano, ogniqualvolta sia
49
Consiglio, Direttiva 89/552/CEE relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e
amministrative degli Stati Membri concernenti l'esercizio delle attività televisive, 3 ottobre 1989, consultabile all’indirizzo
http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?qid=1422706359568&uri=CELEX:31989L0552.
50
“Per « trasmissione televisiva » si intende la trasmissione, via cavo o via etere, nonché la trasmissione via satellite, in
forma non codificata o codificata, di programmi televisivi destinati al pubblico. Il termine suddetto comprende la
comunicazione di programmi effettuata tra le imprese ai fini della ritrasmissione al pubblico. Per « pubblicità televisiva » si
intende ogni forma di messaggio televisivo trasmesso dietro compenso o pagamento analogo da un'impresa pubblica o
privata nell'ambito di un'attività commerciale, industriale, artigiana o di una libera professione, allo scopo di promuovere la
fornitura, dietro compenso, di beni o di servizi, compresi i beni immobili, i diritti e le obbligazioni. Per « pubblicità
clandestina » si intende la presentazione orale o visiva di beni, di servizi, del nome, del marchio o delle attività di un
produttore di beni o di un fornitore di servizi in un programma, qualora tale presentazione sia fatta intenzionalmente
dall'emittente per perseguire scopi pubblicitari e possa ingannare il pubblico circa la sua natura. Per « sponsorizzazione » si
intende ogni contributo di un'impresa pubblica o privata, non impegnata in attività televisive o di produzione di opere
audiovisive, al finanziamento di programmi televisivi, allo scopo di promuovere il suo nome, il suo marchio, la sua
immagine, le sue attività o i suoi prodotti” Art. 1 Direttiva 89/552/CEE cit. 49.
26
possibile e ricorrendo ai mezzi appropriati, che le emittenti televisive riservino ad opere
europee la maggior parte del loro tempo di trasmissione” (art. 4, punto 1) e “gli Stati membri
vigilano, ogniqualvolta sia possibile e ricorrendo ai mezzi appropriati, che le emittenti
televisive riservino alle opere europee realizzate da produttori indipendenti dalle emittenti
stesse il 10 % almeno del loro tempo di trasmissione” (art. 5). Dunque emerge l’esigenza di
stimolare un senso di cittadinanza europea anche attraverso il supporto fisico costituito dalla
televisione, il quale, almeno nelle intenzioni, diventa vero e proprio strumento culturale. È
evidente come Commissione e Stati membri siano costretti a collaborare, la prima esercitando
un costante controllo, i secondi fornendo ogni due anni una relazione che presenti una
rassegna statistica della realizzazione degli obiettivi di cui agli artt. 4 e 5. Per quanto concerne
pubblicità e sponsorizzazioni, il capitolo quarto della direttiva prescrive che la pubblicità sia
ben distinta e riconoscibile dal resto delle trasmissioni, che non sia clandestina né costituita da
messaggi subliminari (art. 10), stabilisce gli intervalli temporali tra un’interruzione
pubblicitaria e l’altra (art. 11) e impone divieti a spot offensivi o discriminanti (art. 12), oltre
che a messaggi che pubblicizzano il tabacco (art. 13). Nella medesima sezione, rientrano
anche le disposizioni riguardanti i programmi sponsorizzati, le quali sanciscono che la
sponsorizzazione di programmi televisivi è ammessa a condizione che rispetti determinate
regole: non deve essere compromessa l'indipendenza editoriale dell'emittente, le trasmissioni
sponsorizzate non devono sollecitare l'acquisto dei prodotti o dei servizi dello sponsor e,
infine, telegiornali e trasmissioni di informazione politica non possono essere sponsorizzati
(art. 17). Il capitolo quinto illustra le linee guida per quanto riguarda la tutela dei minori e
infine, il sesto capitolo sancisce il diritto di rettifica che può essere esercitato nei confronti di
tutte le emittenti soggette alla giurisdizione di uno Stato membro nel caso in cui i diritti
legittimi di una persona vengano lesi in seguito a un'affermazione non veritiera contenuta in
un programma televisivo (art. 23). Nel giugno 1997 il Parlamento europeo e il Consiglio
hanno adottato una nuova direttiva Televisione senza frontiere51
che mira a rafforzare la
sicurezza giuridica e a modernizzare le disposizioni originarie della direttiva 89/552/CE. I
principali elementi della revisione vertono su:
51
Parlamento europeo e Consiglio, Direttiva 97/36/CE che modifica la direttiva 89/552/CEE del Consiglio relativa al
coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti
l'esercizio delle attività televisive, 30 giugno 1997.
27
- principio di giurisdizione, per cui lo Stato membro competente per le reti televisive
viene determinato in funzione del luogo in cui si trova la sede sociale effettiva e del
luogo in cui vengono prese le decisioni editoriali in merito al palinsesto (art. 2,
direttiva 97/36/CE);
- eventi di particolare rilevanza per la società (in particolare, manifestazioni sportive),
per i quali vengono stabilite le condizioni che consentono al pubblico di accedere
liberamente alla trasmissione di eventi rilevanti, anche se sono stati acquistati diritti
esclusivi da reti a pagamento (art. 3 bis);
- televendite, le quali vengono sottoposte alla maggior parte delle regole che
disciplinano la pubblicità televisiva (capitolo IV);
- tutela dei minori, per cui gli Stati membri devono controllare che i programmi
potenzialmente nocivi allo sviluppo dei minori, trasmessi in chiaro, siano preceduti da
un idoneo segnale acustico o identificati da un simbolo visibile (art. 22).
È evidente che la direttiva TsF abbia avuto un impatto tangibile sia per quanto riguarda la
realizzazione del mercato interno nel settore delle emittenti televisive, sia per quanto concerne
la qualità dei prodotti realizzati a livello europeo e diffusi poi in modo standardizzato (qualità
a volte discutibile). Come evidenziato dalla quinta relazione della Commissione
sull'attuazione della direttiva 89/552/CEE52
, “la direttiva Televisione senza frontiere continua
a garantire correttamente la libertà di prestazione di servizi televisivi nell'Unione europea. Gli
obiettivi fondamentali di interesse pubblico che la direttiva mira a salvaguardare con
l'istituzione di un'armonizzazione minima del mercato interno restano validi. La direttiva
garantisce una regolamentazione efficace del settore audiovisivo europeo […]”. Emerge
tuttavia, la necessità di riesaminare il quadro normativo e di aggiornarlo, soprattutto alla luce
degli enormi sviluppi tecnologici del mercato: dunque, in abrogazione della direttiva del
1989, nel 2010 Parlamento e Consiglio emanano una nuova direttiva, denominata Direttiva
sui servizi di media audiovisivi53
, la quale anzitutto riconosce la crescente convergenza tra
emittenza tradizionale e universo digitale, evidenziando la necessità di elaborare un quadro
52
Commissione, Quinta Relazione al Consiglio, al Parlamento Europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al
Comitato delle regioni sull'attuazione della direttiva 89/552/CEE "Televisione senza frontiere", [SEC(2006) 160]
53
Parlamento europeo e Consiglio, Direttiva 2010/13/UE relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative,
regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti la fornitura di servizi di media audiovisivi (direttiva sui servizi
di media audiovisivi), 10 marzo 2010, consultabile all’indirizzo http://eur-lex.europa.eu/legal-
content/IT/TXT/?uri=CELEX:32010L0013.
28
normativo omogeneo riguardante le attività di trasmissione che tenga conto dell’impatto dei
cambiamenti strutturali, della diffusione delle tecnologie dell’informazione e della
comunicazione e delle innovazioni tecnologiche sui modelli d’attività, in particolare sul
finanziamento della radiodiffusione commerciale. Al di là del contenuto di tale direttiva, per il
quale rimando al testo integrale, è interessante notare alcuni aspetti sottolineati nella parte
introduttiva al testo della direttiva stessa. Anzitutto viene riconosciuta la doppia natura di tale
settore: “I servizi di media audiovisivi sono nel contempo servizi culturali ed economici.
L’importanza crescente che rivestono per le società, la democrazia - soprattutto a garanzia
della libertà d’informazione, della diversità delle opinioni e del pluralismo dei mezzi di
informazione -, l’istruzione e la cultura giustifica l’applicazione di norme specifiche a tali
servizi” (quarto considerando della Direttiva 2010/13/UE). Tale riconoscimento è una chiara
dimostrazione dell’evoluzione avvenuta nel contesto comunitario in merito al valore da
attribuire alla produzione culturale, e viene sottolineato anche dal punto successivo della
direttiva, il quale ricorda il legame esistente tra l’azione dell’Unione e gli aspetti culturali,
sancito dall’articolo 167, paragrafo 4 del Trattato sul funzionamento dell’UE (quinto
considerando).
29
CAPITOLO 2
LA POLITICA CULTURALE EUROPEA DOPO L’ENTRATA IN VIGORE DEL
TRATTATO DI MAASTRICHT
2.1 Introduzione dell’articolo 151
La materia culturale entra a far parte delle competenze comunitarie con l’adozione del
Trattato di Maastricht che introduce diverse disposizioni ad hoc: l'articolo 3, lett.q, che
introduce di fatto la cultura tra gli scopi comunitari, in base al quale l'azione della Comunità
comporta un contributo ad un'istruzione e ad una formazione di qualità e al pieno sviluppo
delle culture degli Stati membri (attuale art. 3 TUE, “obiettivi”); l'articolo 87, par. 3, lett. d),
per cui possono considerarsi compatibili con il mercato comune gli aiuti destinati a
promuovere la cultura e la conservazione del patrimonio, quando non alterino le condizioni
degli scambi e della concorrenza nella Comunità (attuale art. 107, punto 3, lett d) TFUE); e
infine l’articolo 128 del Trattato di Maastricht, unico articolo facente parte del Titolo IX
intitolato “Cultura”. In seguito alle modifiche apportate dal Trattato di Amsterdam, nella
versione consolidata del trattato CE del 1997, la politica culturale è disciplinata dall’articolo
151 (attuale art. 167 TFUE. D’ora in poi, per comodità utilizzeremo la denominazione
“articolo 151”). Le stesse istituzioni comunitarie, in diverse occasioni54
, evidenziano i limiti
intrinseci dell’articolo 151: la Commissione, nella sua comunicazione concernente le
prospettive per l’azione della Comunità nel settore culturale del 1993, afferma che tale
disposizione presenta “alcune ambiguità, derivanti dal tentativo di conciliare i fautori
dell’ampliamento delle competenze della comunità con coloro che desiderano limitarle e
restringerle”. Analizzando l’articolo 151 si evince che alla Comunità è affidato il compito di
contribuire al pieno sviluppo delle culture degli Stati, soprattutto sostenendo il retaggio
culturale comune. La funzione della norma appare quindi duplice: da un lato, dall'uso del
plurale "culture", a carattere orizzontale, si deduce che l’azione comunitaria dovrebbe
coniugare il pluralismo culturale degli stati membri con il retaggio culturale comune e, d’altro
54
Ad esempio: Parlamento europeo, Risoluzione sulla prima relazione della Commissione sulla presa in considerazione degli
aspetti culturali nell'azione della Comunità europea, COM(96)0160 C4-0249/96; Commissione europea, Comunicazione
concernente le nuove prospettive per l'azione della Comunità nel settore culturale, GU C 42 del 15.2.1993, pag. 173;
Relazione della commissione per la cultura, la gioventù, l'istruzione e i mezzi di informazione e il parere della commissione
per le relazioni economiche esterne (A4-0410/96).
30
canto, si prevede che il contributo comunitario allo sviluppo della cultura si realizzi sia in una
dimensione interna, sia in una dimensione esterna (punto 5 dell’art. 151). L’azione
comunitaria non deve tuttavia invadere l’ambito di competenza degli Stati, tant’è che
l’articolo esclude espressamente qualsiasi “armonizzazione delle disposizioni legislative e
regolamentari degli Stati membri” (art. 151, punto 5). Il secondo punto dell’articolo 151
esplicita le modalità dell’intervento comunitario, il quale deve essere anzitutto di
incoraggiamento alla cooperazione tra gli Stati membri e, solo secondariamente di sostegno e
di integrazione dell’azione degli Stati membri in alcuni ambiti specifici: miglioramento della
conoscenza e della diffusione della cultura e della storia dei popoli europei, conservazione e
salvaguardia del patrimonio culturale di importanza europea, promozione e tutela della
creazione artistica e letteraria, compreso il settore audiovisivo e degli scambi culturali e
commerciali. A parte la difficoltà di definire cosa s’intende per patrimonio culturale
“d’importanza europea”, tale elenco non è certamente esaustivo, ma traccia a grandi linee il
campo d’azione comunitaria. Continuando ad esaminare il secondo comma dell’articolo 151
emerge come l’esercizio dell’azione di sostegno e d’integrazione possa verificarsi solo “se
necessario”: ne possiamo dedurre, come affermato da alcuni55
, che” la Comunità opera in via
suppletiva in settori che sono di preminente interesse dell’attività degli Stati membri” e che
quindi, perché l’azione comunitaria possa realizzarsi, occorre una verifica preventiva sulla
necessità dell’intervento. Tale valutazione di necessità non è invece richiesta nel caso delle
misure comunitarie atte a incoraggiare la cooperazione tra gli Stati membri. Il terzo paragrafo
dell’articolo 151 è dedicato all’applicazione della politica culturale nelle relazioni esterne ed
afferma che “la Comunità e gli Stati membri favoriscono la cooperazione con i paesi terzi e le
organizzazioni internazionali competenti in materia di cultura, in particolare con il Consiglio
d'Europa” (questo aspetto sarà approfondito nel capitolo quarto). Il quarto paragrafo
dell’articolo 151 enuncia un principio rilevante, che, soprattutto nell’ottica della strategia
“Europa 2020”, sarà attentamente tenuto in considerazione: la trasversalità degli aspetti
culturali in tutte le politiche europee. Il paragrafo recita infatti:” la Comunità tiene conto degli
aspetti culturali nell'azione che svolge a norma di altre disposizioni del presente trattato”. Il
Trattato di Maastricht, pur con prescrizioni considerate fragili, non si è limitato a fare della
cultura un settore specifico, ma ha introdotto l'obbligo per l'UE di prendere in considerazione
gli aspetti culturali all'interno delle sue politiche. Inoltre, così come ricordato da alcuni
55
Scialla L., I beni culturali nell’azione comunitaria, cit. 3, pag 78
31
autori56
, facendo riferimento al combinato disposto degli articoli 151 par. 4 e 87 par. 3, lettera
d) si delinea il carattere peculiare della stessa azione culturale (definita “eccezione culturale”,
cfr capitolo 4, par. 4), in cui si sostanzia l'esclusione della cultura dalla sfera puramente
economica. L'articolo 87 dichiara, infatti, la compatibilità di aiuti di stato destinati a
promuovere la cultura col mercato comune. Il quinto paragrafo dell’articolo 151 dispone gli
atti giuridici che il Consiglio può adottare per “contribuire alla realizzazione degli obiettivi
previsti”: si tratta di azioni di incentivazione e raccomandazioni ad esclusione, come già detto,
di qualsiasi armonizzazione delle legislazioni nazionali. Le azioni di incentivazione sono
deliberate dal Consiglio secondo la procedura di codecisione stabilita dall’articolo 251 TCE
(attuale art. 294 TFUE), procedura che riconosce un ruolo importante al Parlamento europeo.
Tuttavia, il carattere di sovranazionalità della procedura viene limitato dalla clausola che
impone al Consiglio di adottare l’atto all’unanimità. Le raccomandazioni possono essere
adottate anch’esse all’unanimità, su proposta della Commissione. Da questa ultima analisi si
evince quanto l’articolo 151 sia frutto di un’attenta cautela della Comunità in fase di
formulazione dell’articolo, strutturato in modo da costituire un compromesso tra posizioni
opposte: quella più pronta ad un ampliamento delle competenze comunitarie in tale settore e
quella più favorevole a circoscrivere entro margini precisi tali competenze. Inoltre, tale
rigidità procedimentale ha implicato, da un lato, il ricorso a basi giuridiche differenti per le
azioni in ambito culturale (vedi art. 151, punto 4) d'altro lato, il massiccio ricorso a strumenti
di soft law (soprattutto risoluzioni e conclusioni del Consiglio dei ministri), generando un
fenomeno di parcellizzazione delle fonti. Con le modifiche apportate dal Trattato che adotta
una Costituzione per l’Europa, dell’ottobre 2004, anche per quanto riguarda la politica
culturale, cambiano alcuni aspetti: Il Titolo dedicato è ora l’XIII, l’articolo di riferimento è il
167 e le procedure di delibera previste sono quelle che vedono Consiglio e Parlamento
adottare azioni di incentivazione secondo la procedura legislativa ordinaria e il solo
Consiglio, su proposta della Commissione, adottare raccomandazioni. Non è più presente
dunque il vincolo dell’unanimità. Per il resto, l’articolo non modifica di molto la sua forma,
rispetto alla versione precedente, ma, per meglio comprendere come evolve la partizione delle
competenze in ambito culturale, è importante non soffermarsi solo sull’articolo specifico,
bensì analizzare brevemente anche la Parte prima del Trattato sul funzionamento dell’Unione
56
Ferri D., L’azione negoziale europea in sede UNESCO: unità della rappresentanza internazionale vs. problematicità del
reparto di competenze in materia di cultura, consultabile all’indirizzo http://www.forumcostituzionale.it/wordpress/wp-
content/uploads/pre_2006/210.pdf.
32
Europea, dedicata ai principi e, nel dettaglio, su alcuni articoli contenuti nel Titolo I.
L’articolo 6 infatti dichiara che in determinati settori, tra cui quello culturale, la competenza
dell’Unione si esplica attraverso azioni di sostegno, coordinamento o completamento
dell’azione degli Stati membri, senza sostituirsi alla competenza di questi ultimi in tali settori.
Il comma 5 dell’articolo 2 sottolinea che gli atti giuridicamente vincolanti adottati
dall’Unione in tale ambito non possono comportare un’armonizzazione delle disposizioni
legislative o regolamentari degli Stati membri. Al fine di completare la presente analisi,
occorre ricordare l’articolo 5 del Trattato dell’Unione Europea, il quale delimita le
competenze dell’UE attraverso i principi di attribuzione57
, di sussidiarietà58
e di
proporzionalità59
, e l’articolo 352 TFUE che introduce la cosiddetta “clausola di
proporzionalità” secondo la quale l’Unione può agire al di là dei poteri d’azione attribuitele
“nel quadro delle politiche definite dai trattati, per realizzare uno degli obiettivi di cui ai
trattati” , deliberando secondo procedura straordinaria. Più in generale, il rispetto e la tutela
positiva della diversità culturale sono divenuti, con l’adozione del trattato costituzionale,
valori europei fondamentali60
, all'interno di un sensibilizzato contesto internazionale (cfr.
capitolo 4), valori sostenuti anche nel Preambolo della Carta di Nizza61
oggi parte integrante
del trattato. Al di là dei principi fondamentali che nel corso degli anni sono divenuti
imprescindibili, resta il fatto che, dopo Maastricht, gli aiuti economici stanziati a favore della
cultura hanno reso l'Unione uno dei principali attori economici a livello di cooperazione
culturale.
57
Il principio di attribuzione prescrive che l’Unione agisca nei limiti delle competenze che le sono attribuite dagli Stati
membri nei Trattati per realizzare gli obiettivi da questi stabiliti. Pertanto, qualsiasi competenza non attribuita all’Unione
dai Trattati appartiene agli Stati membri.
58
In virtù del principio di sussidiarietà, nei settori che non sono di sua competenza esclusiva, l’Unione interviene soltanto se
e nella misura in cui gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere efficacemente raggiunti dagli Stati membri, né a
livello centrale né a livello regionale e locale, ma possono essere meglio raggiunti a livello dell’Unione. Per
approfondimenti, consultare Mastroianni R., Il ruolo del principio di sussidiarietà nella definizione delle competenze statali e
comunitarie in materia di politiche culturali, in Rivista Italiana di Diritto Pubblico Comunitario, 1/1994 e Baruffi M.C.,
Sussidiarietà. Controllo dal basso sulle eccezioni, in Guida al diritto, 10/2004, pp 58 ss.
59
Il principio di proporzionalità stabilisce che il contenuto e la forma dell’azione dell’Unione non vadano al di là di quanto
necessario per il raggiungimento degli obiettivi dei Trattati.
60
“ Essa rispetta la ricchezza della sua diversità culturale e linguistica e vigila sulla salvaguardia e sullo sviluppo del
patrimonio culturale europeo”, Art. 3, par. 3, ultimo capoverso TUE.
61
“L’Unione contribuisce alla salvaguardia e allo sviluppo di questi valori comuni nel rispetto della diversità delle culture e
delle tradizioni dei popoli d’Europa”, terzo capoverso del preambolo, Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea
(2000/C 364/01)
33
2.2 I primi programmi di finanziamento alla cultura
2.2.1 Programma Caleidoscopio
Con la Decisione n. 719/96/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, il 29 marzo 1996
viene istituito il primo programma di sostegno alle attività artistiche e culturali di dimensione
europea, denominato Caleidoscopio62
, con l’obiettivo di promuovere l'accesso del pubblico
alla cultura e alla storia dei popoli europei e di diffonderne la conoscenza, nonché di
incentivare la cooperazione artistica e culturale fra gli operatori del settore. Si tratta del primo
programma comunitario nel settore culturale basato sull'articolo 151 del trattato CE che,
durante i quattro anni di implementazione ha finanziato 518 progetti63
. A dire il vero, un
programma Caleidoscopio era già attivo dal 1991, ma si trattava di una sorta di concorso che
premiava progetti artistici di respiro culturale64
. Nel preambolo del documento viene elencata
una serie di comunicazioni e risoluzioni delle varie istituzioni comunitarie inerenti il tema
culturale ed è interessante notare come le molteplici componenti del settore culturale fossero
già state prese in considerazione nel corso degli anni: Città europea della cultura (punto 11 del
Preambolo), Mese della cultura europea (punto 12), teatro europeo (punto 13), reti culturali
(punto 14), musica, danza e arti plastiche (punto 16), cooperazione culturale con i paesi terzi e
le organizzazioni internazionali (punto 17). Emerge forte, inoltre la consapevolezza che “il
sostegno del settore delle arti e della cultura può favorire l'attività economica e l'occupazione”
(punto 8 del Preambolo).Il programma Caleidoscopio viene inizialmente stabilito per una
durata di due anni, dal primo gennaio 1996 al 31 dicembre 1998 e tra i suoi obiettivi specifici
ritroviamo: l’incoraggiamento per attività di creazione artistica di dimensione europea
realizzate da compartecipazioni di artisti di diversi Stati membri; il sostegno a progetti
62
Parlamento europeo e Consiglio, Decisione n. 719/96/CE che istituisce un programma di sostegno alle attività artistiche e
culturali di dimenzione europea (Caleidoscopio), del 29 marzo 1996.
63
Il dato è fornito dalla Società GMV Conseil che nel 2003 ha realizzato un’indagine sui risultati dei programmi Arianna,
Raffaello e Caleidoscopio per conto della Commissione, indagine che ha integrato la Relazione della Commissione al
Parlamento europeo e al Consiglio sull'attuazione dei programmi comunitari Caleidoscopio, Arianna e Raffaello, COM(2004)
33 definitivo, del 23 gennaio 2004.
64
Programma «Caleidoscopio» organizzato dalla Commissione delle Comunità europee — Condizioni di partecipazione
(Seguito del premio «Europa della cultura»), pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Ce (GU C 205 del 6.8.1991, pagg. 19–
20), consultabile all’indirizzo http://eur-lex.europa.eu/legal-
content/IT/TXT/PDF/?uri=OJ:JOC_1991_205_R_0019_01&qid=1421599580850&from=IT.
34
culturali di natura innovatrice realizzati da partner europei, che apportino un concreto valore
aggiunto di carattere culturale; il contributo al perfezionamento degli artisti e di altri operatori
culturali, in particolare intensificando gli scambi di esperienze; il sostegno alla conoscenza
reciproca delle culture europee facilitando l’accesso del pubblico agli eventi culturali (art. 2).
L’articolo 6 fissa la dotazione finanziaria per il programma a 26,5 milioni di ECU (dotazione
che poi è stata portata a 36,7 milioni nel momento in cui il programma è stato prorogato per
altri due anni), mentre emerge come, già in questa fase “embrionale” della politica culturale
europea, si avverta la necessità di integrare le differenti azioni in un quadro unitario: “La
Commissione, in collaborazione con gli Stati membri, cercherà di rendere complementari le
azioni previste dal presente programma e da altri programmi culturali da un lato, e quelle
previste dai programmi d’azione comunitari, soprattutto in materia di istruzione, come
Socrate, e di formazione professionale, come Leonardo da Vinci, dall'altro” (art. 7). Le azioni
messe in essere dal programma, elencate nell’Allegato, sono cinque e comprendono:
- sostegno a manifestazioni e progetti culturali realizzati in compartecipazione o sotto
forma di reti, che vedano la cooperazione di almeno tre Stati membri e che implichino
anche la partecipazione degli artisti, creatori o interpreti, o di altri operatori del settore
culturale di almeno tre Stati membri;
- azioni di cooperazione europea di ampia portata rivolte a progetti significativi di
dimensione europea e con un notevole impatto culturale e socio-economico;
- partecipazione dei paesi terzi, secondo quanto prescritto dall’articolo 465
;
- città europea della cultura e mese culturale europeo;
- misure specifiche che prevedono la realizzazione di ricerche o studi.
2.2.2 Programma Arianna
Con la decisione 2085/97/CE del 6 ottobre 1997, viene istituito il programma Arianna66
, a
sostegno del settore letterario e della traduzione, attraverso il quale mettere in atto “un’azione
65
“Il presente programma è aperto alla partecipazione dei paesi associati dell'Europa centrale e orientale (PAECO),
conformemente alle condizioni stabilite nei protocolli addizionali agli accordi di associazione relativi alla partecipazione a
programmi comunitari conclusi o da concludere con tali paesi. Questo programma è aperto alla partecipazione di Cipro e
di Malta nonché alla cooperazione con altri paesi terzi che hanno concluso accordi di associazione o di cooperazione
contenenti clausole culturali, sulla base di stanziamenti supplementari da assegnare secondo procedure da convenire con
questi paesi. Talune modalità generali della partecipazione sono contemplate nell'azione 3 dell'allegato”,articolo 4 della
Decisione che istituisce il programma Caleidoscopio, cit. 62.
35
culturale importante a favore del libro”, così come sottolineato dal punto quarto del
preambolo della decisione. Sempre nel preambolo, emerge l’importante considerazione che
“qualsiasi programma comunitario nel settore del libro deve tener conto della duplice natura
dello stesso, che è un bene economico e culturale al contempo” (punto 2), il che conferma la
progressiva evoluzione della posizione sostenuta della Comunità: a una iniziale equiparazione
dei beni culturali alle merci in senso stretto (cfr. sentenza della CdG, Commissione delle
Comunità c. Repubblica italiana, cap. 1, par. 1) si è sostituito il riconoscimento della natura
particolare dei prodotti artistici, meritevoli di tutela e promozione. Ecco quindi che
un’iniziativa comunitaria in ambito letterario è pensata per contribuire alla conoscenza e alla
diffusione della cultura e della storia dei popoli europei, al mantenimento della diversità della
creazione letteraria e del patrimonio scritto nelle sue diverse espressioni linguistiche nazionali
e regionali, agli scambi interculturali e agli scambi di know-how, oltre che per favorire
l'accesso dei cittadini, anche dei meno favoriti, alla cultura. Nel preambolo vengono ricordati
anche gli atti non vincolanti inerenti il settore dei libri che nel corso degli anni la Comunità ha
prodotto67
e la campagna europea di sensibilizzazione al libro e alla lettura, organizzata dalla
Comunità e dal Consiglio d'Europa nel biennio 1993-1994. Scorrendo gli articoli che
compongono la Decisione, i primi due sono dedicati alla definizione del periodo di
realizzazione del programma Arianna – dal primo gennaio 1997 al 31 dicembre 1998 – e
all’individuazione degli obiettivi specifici da realizzare, tra i quali figurano quello di dare,
attraverso la traduzione, un’ampia diffusione alle opere letterarie rappresentative delle
tendenze della letteratura europea contemporanea della seconda metà del secolo,quello di
stimolare gli scambi di competenze e buone pratiche attraverso progetti di cooperazione e
quello di sostenere il perfezionamento dei professionisti del settore (non solo dei traduttori).
66
Parlamento europeo e Consiglio Decisione n. 2085/97/CE che istituisce un programma di sostegno, comprendente la
traduzione, al settore del libro e della lettura (Arianna), del 6 ottobre 1997.
67
“considerando l'importanza che le istituzioni della Comunità hanno attribuito alla conoscenza e alla diffusione della
creazione letteraria, in particolare attraverso la traduzione, come testimoniano: a) la risoluzione del Parlamento europeo
del 10 luglio 1987 su una comunicazione della Commissione al Consiglio, riguardante un'azione comunitaria nel settore del
libro, b) la risoluzione del Consiglio e dei ministri responsabili degli affari culturali, riuniti in sede di Consiglio, del 9
novembre 1987, sulla promozione della traduzione di opere importanti della cultura europea, c) la risoluzione del Consiglio
e dei ministri responsabili degli affari culturali, riuniti in sede di Consiglio, del 18 maggio 1989, relativa alla promozione del
libro e della lettura, d) la comunicazione della Commissione, del 3 agosto 1989, sul libro e la lettura: sfide culturali
dell'Europa, e) le conclusioni dei ministri della cultura, riuniti in sede di Consiglio, del 12 novembre 1992, sulle linee
direttrici per l'azione comunitaria nel settore culturale, f) la risoluzione del Parlamento europeo del 21 gennaio 1993 sulla
promozione del libro e della lettura in Europa, g) la risoluzione del Consiglio e dei ministri della cultura riuniti in sede di
Consiglio, del 17 maggio 1993, sulla promozione della traduzione di opere teatrali europee contemporanee”, punto 9 del
Preambolo alla Decisione che istituisce il programma Arianna, cit. 66.
36
Così come per il programma Caleidoscopio, anche Arianna è aperto alla partecipazione di
Paesi associati dell’Europa orientale e centrale (PAECO), di Cipro, Malta e a tutti i Paesi terzi
che abbiano concluso accordi di cooperazione contenenti clausole culturali (art. 4).L’articolo
6, infine specifica che la dotazione finanziari per l’attuazione del programma è di 7 milioni di
ECU. Nell’allegato sono elencate le sei azioni da realizzare per giungere agli obiettivi
previsti:
- aiuti per la traduzione, sia di opere letterarie, che di opere teatrali, dando la priorità
alle lingue meno diffuse della comunità e alle piccole case editrici (tale azione ha
assorbito circa il 50% degli stanziamenti totali per il programma Arianna);
- sostegno a progetti di cooperazione realizzati in compartecipazione, che hanno visto il
coordinamento di attori provenienti da almeno tre Stati membri , attraverso un
contributo finanziario che non ha superato il 25 % delle spese totali del progetto preso
in considerazione e non superiore a 50 000 ECU;
- supporto al perfezionamento dei professionisti che contribuiscono alla conoscenza e
alla diffusione delle letterature europee;
- misure di accompagnamento, per ricerche, studi e pubblicità del programma;
- contributo annuale ad Aristeion - Premio letterario europeo e al Premio europeo di
traduzione;
- partecipazione dei paesi terzi.
Con la decisione n. 476/1999/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 febbraio
1999, la conclusione del programma Arianna è stata posticipata al 31 dicembre 1999 e la
dotazione finanziaria è stata portata a 11,1 milioni di ECU68
.
2.2.3 Programma Raffaello
Il programma Raffaello69
viene istituito con la Decisione n. 2228/97/CE del Parlamento
Europeo e del Consiglio del 13 ottobre 1997 e ha l’obiettivo, “attraverso la cooperazione, di
68
Parlamento europeo e Consiglio, Decisione n. 476/1999/CE recante modifica della decisione n. 2085/97/CE che istituisce
un programma di sostegno, comprendente la traduzione, al settore del libro e della lettura (Arianna), del 22 febbraio 1999.
69
Parlamento europeo e Consiglio, Decisione n. 2228/97/CE che istituisce un programma comunitario d'azione in materia
di beni culturali (programma Raffaello), del 13 ottobre 1997.
La politica culturale europea. Tutela e promozione come strumenti d'integrazione
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La politica culturale europea. Tutela e promozione come strumenti d'integrazione

  • 1. 1 Alma Mater Studiorum – Università di Bologna Scuola di Scienze Politiche Corso di laurea magistrale in Relazioni Internazionali Tesi di Laurea in Diritto delle Politiche Europee La politica culturale europea Tutela e promozione come strumenti d’integrazione Candidato: Relatore: Chiar.ma Prof.ssa MAGDA MANTOVANI GIOVANNA ENDRICI Sessione III Anno Accademico 2013/2014
  • 2. 2 INDICE Indice 2 Introduzione 5 Parte Prima 8 CAPITOLO 1 – L’assenza di una politica culturale europea prima di Maastricht 8 1.1 Tutela degli aspetti culturali come eccezione al principio della libera circolazione di merci e servizi 8 1.1.1 Cultura e mercato comune: alcuni casi giurisprudenziali 12 1.2 Normativa europea a tutela dei beni culturali 16 1.2.1 Regolamento CEE 3911/92 17 1.2.2 Direttiva 97/3/CEE 20 1.3 Direttiva CEE 89/552, Televisione senza Frontiere 24 CAPITOLO 2 – La politica culturale europea dopo l’entrata in vigore del trattato di Maastricht 29 2.1 Introduzione dell’articolo 151 29 2.2 I primi programmi di finanziamento alla cultura 33 2.2.1 Caleidoscopio 33 2.2.2 Arianna 34 2.2.3 Raffaello 36 2.2.4 Valutazione finale sugli esiti dei programmi 38 2.3 Fondi e programmi a impatto culturale indiretto 39 2.3.1 Longlife Learning Program 40 2.3.2 LIFE 41 2.3.3 Fondi strutturali e d’investimento 42 CAPITOLO 3 – La politica culturale europea dopo il 2000: i programmi organici 45 3.1 Introduzione 45 3.2 Programma Cultura 2000 45 3.2.1 Capitali europee della cultura 49 3.3 Agenda europea per la cultura 50
  • 3. 3 3.4 Programma Cultura 2007-2013 55 3.4.1 Agenzia esecutiva per l’istruzione,gli audiovisivi e la cultura 58 3.4.2 Europa per i cittadini 60 3.4.3 Gioventù in azione 61 3.5 MEDIA 63 3.6 Europa Creativa, programma-quadro 2014-2020 65 Parte seconda 71 CAPITOLO 4 – Cultura ed organizzazioni internazionali: continuità e attriti con la politica europea 71 4.1 Introduzione 71 4.2 Consiglio d’Europa 72 4.3 Cultura e UNESCO 75 4.3.1 Convenzioni Unesco 75 4.3.1.1 Convenzione UNESCO concernente le misure da adottare per interdire e impedire l’illecita importazione, esportazione e trasferimento di proprietà dei beni culturali 76 4.3.1.2 Convenzione UNESCO concernente la protezione del patrimonio culturale e naturale 76 4.3.1.3 Dichiarazione universale UNESCO sulla diversità culturale 77 4.3.1.4 Convenzione UNESCO del patrimonio culturale immateriale 78 4.3.1.5 Convenzione UNESCO per la protezione e la promozione della diversità delle espressioni culturali 79 4.3.2 Interazioni tra Convenzione sulle diversità culturali e Unione europea 81 4.3.3 UNESCO e Unione europea al di là della Convenzione del 2005 84 4.4 Organizzazione Mondiale del Commercio e cultura: quale possibile integrazione tra commercio ed espressione culturale 85 CAPITOLO 5 – Impatto e problematiche 92 5.1 Introduzione 92 5.2 Descrizione di alcuni progetti culturali finanziati dai programmi europei 93 5.2.1 Case study 1: PRACTICS – See Mobile, See Practical 94
  • 4. 4 5.2.2 Case study 2: DICTAT – Performative Culture Cooperation for awareness on past European DICTATorships 96 5.3 Mobilità di artisti e opere 99 5.3.1 La coproduzione internazionale 100 5.3.2 Obblighi legali e burocratici 101 5.3.3 Le reti culturali 103 5.3.3.L’Unione dei Teatri d’Europa 105 5.3.3.2 L’IETM – Informal European Theatre Meeting 106 5.3.3.3 La Fondazione Anna Lindh 108 5.4 Agenzie di progettazione europea 109 5.4.1 Fondazione Fitzcarraldo 109 5.4.2 InEuropa 111 CONCLUSIONI 112 BIBLIOGRAFIA 115 RINGRAZIAMENTI 128
  • 5. 5 INTRODUZIONE Molte politiche europee trovano la loro base giuridica nel Trattato di Roma. Diversi settori, invece sono stati comunitarizzati in assenza di una esplicita base contenuta nei trattati. Questo è accaduto ad esempio per i settori delle telecomunicazioni e dell’ambiente, anche se i trattati originari non fanno menzione di alcun ruolo comunitario in tali ambiti. Allo stesso modo, nel trattato originario, nessuna formale competenza comunitaria in politica culturale viene menzionata. La prima base legale per una iniziale, sfumata competenza europea in tale ambito appare solo nel 1992, col trattato di Maastricht. Tuttavia, anche prima del 1992, le istituzioni europee sono intervenute in modo evidente e sostanziale nei settori audiovisivo, dei libri, del copyright e della tutela del patrimonio, per non citare poi le iniziative dal forte valore simbolico e nei settori dell’arte e della cultura in genere. Nel corso degli anni 70, la Corte di Giustizia ha dovuto dirimere numerose controversie collegate ai temi del copyright, dei beni artistici, dei tesori nazionali e degli audiovisivi, soprattutto in riferimento alla compatibilità o meno tra le leggi nazionali in tali settori e le norme europee sulla competitività. Questi casi forniscono incidentalmente una base legale per un graduale intervento comunitario in ambito culturale. Allo stesso tempo, il Parlamento europeo si fa vivace propulsore culturale, esprimendo risoluzioni che attirano l’attenzione sulla necessità di una politica culturale a livello europeo. Tra gli anni ‘80 e ‘90 vengono adottate cinque diverse direttive che armonizzano la legislazione europea in merito a copyright e diritti d’autore1 . Così come è del 1989 la direttiva Televisione Senza Frontiere. Al di là degli interventi comunitari regolamentativi, negli stessi anni si assiste alla creazione di vari meccanismi di supporto alla cultura che promuovono l’industria audiovisiva, la creazione artistica, gli scambi e la cooperazione internazionale tra artisti e la tutela del patrimonio. Inizialmente tali iniziative risultano essere altamente simboliche, come l’ iniziativa “Città europee della Cultura”, o i Premi europei per artisti in vari settori, oppure frammentate, come i primissimi interventi finanziari a sostegno dell’editoria e della traduzione letteraria e dello spettacolo dal vivo. Con Maastricht, ma soprattutto con un forte impulso a partire dagli anni 2000, tali interventi divengono sempre più organici e strutturati, per giungere, con il programma-quadro Europa Creativa del 2014, ad abbracciare tutti i settori culturali, oltre che a definire la cultura come 1 Il tema del copyright non sarà affrontato nel presente elaborato, per approfondimenti si rimanda a Littoz-Monnet A., The European Union and Culture: Between Economic Regulation and European Cultural Policy, Manchester University Press, 2007, pp 120-150.
  • 6. 6 politica trasversale a tutti gli ambiti d’intervento dell’Unione Europea. Nel presente elaborato si tenterà di approfondire tale evoluzione, descrivendo le diverse fasi di intervento europeo in ambito culturale. Nella prima parte, saranno illustrate anzitutto le modalità attraverso le quali la Comunità è intervenuta a regolare indirettamente alcuni aspetti legati alla cultura, tramite la giurisprudenza della Corte di Giustizia e poi con le prime normative dedicate alla tutela dei beni culturali e alle emittenti televisive (capitolo 1). E’ importante segnalare nuovamente come, in questa fase, i provvedimenti comunitari fossero fortemente indirizzati alla creazione e al rafforzamento del mercato unico, e quindi l’impatto sulle tematiche culturali fosse inizialmente indiretto e incidentale. Nel secondo capitolo, saranno delineate le conseguenze in tema di intervento europeo generate dall’introduzione dell’articolo 128 nel Trattato di Maastricht (poi modificato in articolo 151 TCE), articolo che di fatto introduce la politica culturale tra le competenze comunitarie, definisce la cultura come uno degli ambiti di intervento comunitario ( intervento, è bene sottolinearlo, che non diviene mai di competenza esclusiva europea). Ecco che, dagli anni ’90, prendono forma i primi programmi di finanziamento rivolti ai diversi settori culturali - libri, conservazione dei beni, arti e spettacolo - e che il valore socioeconomico della cultura viene riconosciuto anche attraverso strumenti finanziari non direttamente ed essa dedicati, come i fondi strutturali. Nel terzo capitolo, a conclusione della prima parte, verranno descritti i programmi europei organici dedicati al settore culturale, sviluppati a partire dal 2000 – programma Cultura 2000, programma Cultura 2007-2013 e Creative Europe – oltre che l’importante documento programmatico costituito dall’Agenda Europea per la Cultura. Nella seconda parte – capitoli 4 e 5 – muoveremo lo sguardo in una doppia direzione: anzitutto, allargando l’orizzonte di analisi agli interventi in ambito culturale messi in atto da organizzazioni internazionali quali il Consiglio d’Europa e l’UNESCO, al fine di evidenziare le interazioni con la politica dell’Unione europea; secondariamente, entrando nello specifico delle tematiche affrontate, come con una lente d’ingrandimento, saranno presentati alcuni casi-studio relativi a progetti culturali realizzati grazie al contributo europeo e, più in generale, si farà luce sulle problematiche prettamente operative collegate alla realizzazione di tali progetti – mobilità e coproduzioni internazionali, reti culturali, agenzie di progettazione europea.
  • 7. 7 ABBREVIAZIONI: CdG Corte Europea di Giustizia CE Comunità Europea CEE Comunità Economica Europea EACEA Agenzia esecutiva per l’istruzione, gli audiovisivi e la cultura FUS Fondo Unico per lo Spettacolo GATS General Agreement on Trade in Services GATT General Agreement on Tariffs and Trade IETM International network for contemporary performing arts MAC Metodo Aperto di Coordinamento OCSE Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo OMC Organizzazione Mondiale del Commercio PE Parlamento europeo PMI Piccole e Medie Imprese TCE Trattato che istituisce la Comunità Europea TFUE Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea TsF Televisione Senza Frontiere (direttiva) TUE Trattato sull’Unione Europea UE Unione Europea UNESCO Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura UTE Unione dei Teatri d’Europa WIPO World Intellectual Property Organization NOTA TERMINOLOGICA: Avendo ben presenti l’evoluzione dei trattati e, con essa, le successive modifiche intervenute nella denominazione dell’entità europea - Comunità Economica Europea, Comunità Europea, Unione Europea - nel presente elaborato, i diversi termini verranno utilizzati seguendo la scansione temporale: in base alla fase storica cui si farà riferimento, si utilizzerà la denominazione che in quella fase l’Europa si è data. Per quanto riguarda gli articoli dei trattati citati, vale lo stesso ragionamento, con un’attenzione particolare nel segnalare i corrispondenti articoli (se ancora esistenti), nella versione odierna e consolidata dei trattati dell’Unione Europea.
  • 8. 8 PARTE PRIMA CAPITOLO 1 L’ASSENZA DI UNA POLITICA CULTURALE EUROPEA PRIMA DI MAASTRICHT “i fenomeni della cultura sono compenetranti con il tessuto di qualsiasi società a tal punto da rendere poco credibile l’ipotesi di un ordinamento, che a quella società sia destinato, nel quale la considerazione di quei fenomeni possa restare veramente estranea ai valori da esso fatti propri e coltivati. Questa generale osservazione è certamente valida nel caso della Comunità europea, il cui ordinamento, […] non può astenersi dal prendere qualsiasi posizione nei confronti di elementi altrettanto essenziali, come quelli che attengono alla cultura”2 . 1.1 Tutela degli aspetti culturali come eccezione al principio della libera circolazione di merci e servizi Con la progressiva realizzazione del mercato interno, il processo di espansione delle competenze comunitarie si è fatto più evidente e più ampio e, superando l’iniziale carattere esclusivamente economico, è stato orientato anche in altri settori come quello dei beni culturali. Tuttavia, l’attuale riconoscimento di una specifica dimensione culturale dell’Unione rappresenta il risultato di molti anni di intensa attività e di ricerca di un bilanciamento degli interessi culturali nelle strategie comunitarie. Bilanciamento che tutt’ora non può dirsi raggiunto. Così come sottolineato da alcuni autori3 ,in materia di cultura, gli interventi della Comunità si sono rivelati inizialmente discontinui: “da un esame attento dell’ordinamento comunitario si evidenzia l’estraneità della cultura nel quadro degli interessi dell’azione comunitaria”. Volendo individuare un riferimento normativo in materia di cultura all’interno dei trattati istitutivi, privi di disposizioni specifiche dedicate al tema, si può fare riferimento all’articolo 36 del trattato CEE (attuale art. 36 TFUE), il quale consente di derogare al divieto 2 Cattaneo S.., Cultura e patrimonio culturale, in Catalani A., Cattaneo S. (a cura di), I beni e le attività culturali, XXXIII volume del Trattato di diritto amministrativo, diretto da G. Santaniello, Padova, 2002, p. 3 ss. 3 Scialla L., I beni culturali nell’azione comunitaria, in De Falco V., Amirante D. (a cura di) Tutela e valorizzazione dei beni culturali, aspetti sovranazionali e comparati, Torino, G. Giappicchelli, 2005, pp.65 – 139.
  • 9. 9 di porre ostacoli al commercio tra gli Stati membri per motivi di protezione di beni che posseggono valore storico, artistico o archeologico. L’articolo 36 CEE recita: “Le disposizioni degli articoli da 30 a 34 inclusi lasciano impregiudicati i divieti o restrizioni all’importazione, all’esportazione e al transito giustificati da motivi di moralità pubblica, di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di tutela della salute e della vita delle persone e degli animali o di preservazione dei vegetali, di protezione del patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale, o di tutela della proprietà industriale e commerciale. Tuttavia, tali divieti o restrizioni non devono costituire un mezzo di discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata al commercio tra gli Stati membri”. L’applicazione di tale articolo genera inevitabilmente delle conflittualità tra la disciplina comunitaria e quella nazionale, sia per quanto riguarda il riparto delle competenze statali e comunitarie, che per quanto riguarda l’ampiezza della deroga al principio della libera circolazione delle merci. Il primo caso cui si assiste riguarda proprio l’Italia, che, nel gennaio 1960 si vede recapitare dalla Commissione un invito a sopprimere la tassa stabilita dall’articolo 37 della legge n. 10894 , in quanto ritenuta dazio doganale e quindi in contrasto con i principi del Trattato. Il 25 febbraio 1964, considerato che il Governo italiano non aveva ancora adempiuto all’invito, in conformità con l’articolo 169 CEE (art. 258 TFUE), la Commissione avvia un procedimento contro l’Italia, cui lo Stato italiano risponde con osservazioni a riguardo, le quali non vengono accettate dalla Commissione. Entro il 31 dicembre 1965, lo Stato italiano avrebbe dovuto sopprimere tale tassa: non essendo stato rispettato tale obbligo, la Commissione sottopone il caso alla Corte di Giustizia5 . Nonostante il Governo italiano abbia continuato a sostenere le proprie tesi secondo cui l’articolo 37 della legge n. 1089 non aveva un carattere fiscale ma solo di tutela del patrimonio artistico, considerando le opere d’arte come merci diverse da quelle sottoponibili al regime di libero scambio, la Corte di Giustizia sostiene invece che tutti i prodotti pecuniariamente valutabili sono da considerare merci a tutti gli effetti, indipendentemente dalle caratteristiche che le distinguono dagli altri beni commerciali. Tale pronuncia è da considerarsi di vitale importanza, poiché chiarisce per la prima volta l’ambito di applicazione dell’articolo 36 CEE, riconoscendo che esso lascia impregiudicati i divieti o le restrizioni 4 La legge n. 1089 del 1939 agli articoli 35 e 37 prevedeva un rigido regime per quanto riguarda l’esportazione dei beni culturali. L’articolo 37, in particolare, stabiliva una tassa da pagare al momento della richiesta all’esportazione dall’8% al 30%. 5 Sentenza della Corte di Giustizia, Commissione delle Comunità europee c. Repubblica italiana, causa 7/68, del 10 dicembre 1968.
  • 10. 10 all’esportazione giustificati da motivi di protezione del patrimonio artistico, storico o archeologico, purché tali restrizioni si distinguano nettamente dai dazi doganali e dalle restrizioni analoghe, contrari ai principi comunitari. L’articolo 36 non ha lo scopo di riservare certe materie alla competenza esclusiva degli Stati membri, ma ammette che le legislazioni nazionali possano prevedere eccezioni al principio di libera circolazione delle merce, qualora ci siano giustificati obiettivi da perseguire (passando quindi per una verifica preventiva di legittimità, così come sancito dall’Atto Unico europeo del 1986). La sentenza si rivela molto importante inoltre, proprio per il fatto che stabilisce l’inesistenza di differenze tra i beni culturali e i beni commerciabili in genere, considerando i primi come merci a tutti gli effetti. Dopo questa prima categorica pronuncia, la posizione della Corte di Giustizia si ammorbidisce progressivamente, giungendo via via a considerare gli interessi culturali come un “giustificato correttivo alla realizzazione delle politiche comunitarie, anche oltre lo specifico caso previsto dall’articolo 36 del Trattato CEE6 ”. Al di là dell’esempio appena illustrato relativo l’articolo 36 CEE e le sue implicazioni in ambito culturale, la realizzazione del mercato interno ha determinato un inevitabile intervento comunitario in materia di cultura, intervento che si realizza sia attraverso un’azione normativa diretta (direttiva 93/7/CEE, regolamento CEE 3911/92, direttiva Televisione Senza Frontiere, di cui parleremo in modo approfondito in seguito), sia sotto forma di atti giurisprudenziali prodotti dalla Corte di Giustizia della Comunità. Senza dimenticare, inoltre, gli atti non vincolanti come i comunicati, i libri verdi, le dichiarazioni d’intenti, i programmi d’azione che, prima dell’entrata in vigore del Trattato di Maastricht, concorrono a comporre un quadro disomogeneo - e inizialmente molto timido - di azioni comunitarie in ambito culturale. Tra questi si può ricordare la comunicazione della Commissione “Community action in the cultural sector7 ”, del 1977,con la quale s’introduce una distinzione tra “cultura” e “settore culturale”, sostenendo che l’intervento comunitario in tale settore non possa definirsi una vera e propria politica. In una comunicazione successiva8 , la Commissione sottolinea che l’azione comunitaria ambisce esclusivamente a facilitare la circolazione di beni culturali e a sostenere lo sviluppo delle condizioni lavorative in tale settore, senza alcun potere esecutivo in capo 6 Scialla L., I beni culturali nell’azione comunitaria, cit 3,p. 73. 7 European Commission, Communication to the Council on community action in the cultural sector. COM (77) 560 final, 2 December 1977. Bulletin of the European Communities, Supplement 6/77. 8 European Commission, Communication to Parliament and the Council on a Stronger Community action in the cultural sector, COM (82) 590 final, 16 October 1982.
  • 11. 11 agli Stati. Ecco perché le prime incursioni comunitarie in ambito culturale si mostrano così caute e tuttavia spesso simboliche ed eclettiche. Ricordiamo ad esempio il “Green Paper on the Establishment of the Common Market for Broadcasting, especially by Satellite and Cable9 ” del 1984, attraverso il quale la Commissione Europea evidenzia il contributo fondamentale alla coesione e allo sviluppo di un senso d’identità europea fornito dallo sviluppo tecnologico in campo di telecomunicazioni ed emittenti televisive, il quale può favorire la consapevolezza di un destino condiviso da parte dei cittadini europei in molte aree d’integrazione e stimolare l’interesse negli affari comunitari. Tale Libro Verde è quello che porterà, nel 1989 all’approvazione della Direttiva 89/552/CE “Televisione senza frontiere”. Altre iniziative includono la creazione dell’orchestra giovanile europea nel 1978, il premio europeo alla scultura, il programma per le città europee della cultura 10 , interventi non organici nell’ambito della traduzione di opere letterarie e nella tutela architettonica. Nel corso degli anni ottanta la Commissione avvia significative iniziative nei settori educativo e audiovisivo, sostenuta dagli articoli del Trattato inerenti la libera circolazione , riaccendendo l’attenzione sul valore economico dei beni e servizi culturali. Fino a giungere, con il documento del 1987 dal titolo “A Fresh Boost for Culture in the European Community” a concludere che: “ […] increased Community activity in the cultural sector is a political and economic necessity given the twin goals of completing the internal market by 1992 and progressing from a People's Europe to European Union11 ”. Tuttavia, come evidenziato da alcuni autori12 , in questa prima fase, ogniqualvolta i rappresentanti degli Stati si sono trovati di fronte a progetti concreti in ambito culturale, “concerns over Community competence in the cultural field, the appropriateness of the cultural objectives being pursued, or their financial implications frequently surfaced to impede or block agreement”. Dunque i tentativi della Commissione di rafforzare la propria azione in ambito culturale si scontrano col consenso solo superficiale degli Stati membri e con un immediato richiamo alla difesa degli 9 European Commission, Green Paper on the Establishment of the Common Market for Broadcasting, especially by Satellite and Cable, COM (84) 300 final, 14 june 1984. 10 Il tema delle Città europee della Cultura sarà approfondito nel capito 3, paragrafo 2.1. 11 European Commission, A Fresh Boost for Culture in the European Community , bulletin of the European Communities, supplement 4/87, p 6. 12 Craufurd Smith R., Culture and European Union law, Oxford University press, 2004, p21
  • 12. 12 interessi nazionali nel momento in cui le istituzioni europee propongono interventi concreti. Forse questo aspetto, più che una mancanza di basi giuridiche nei Trattati, è stato e continua ad essere un freno all’azione comunitaria in ambito culturale. Inoltre l’azione comunitaria in questo ambito ha sempre corso il rischio di sovrapporsi a quella di altre organizzazioni internazionali, come ad esempio il Consiglio d’Europa e l’UNESCO. L’introduzione di un articolo appositamente dedicato alla cultura non avviene fino al 1992, con il trattato di Maastricht, oltretutto con forti limitazioni alla sua applicazione, imposti soprattutto dal Regno Unito. Mentre ci concentreremo sulle azioni “dirette” comunitarie in ambito culturale nella seconda parte di questo capitolo, nel prossimo paragrafo s’intende esaminare brevemente gli articoli del Trattato CEE che entrano in contatto con le tematiche culturali e le posizioni adottate dalla Corte di Giustizia per dirimere le controversie sorte in tale ambito. 1.1.1 Cultura e mercato comune: alcuni casi giurisprudenziali Come abbiamo già visto in riferimento al caso Commissione contro Repubblica italiana13 , i manufatti artistici sono da considerare beni a tutti gli effetti e quindi, da sottoporre alla normativa europea secondo gli artt. 30 e 34 CEE (attuali artt. 34 e 35 TFUE). Tuttavia, proprio la presenza dell’articolo 36 CEE, porta necessariamente a tenere in considerazione il valore “particolare” da assegnare a tali merci: la stessa Corte di Giustizia, in una serie di casi riguardanti l’applicazione di regimi di tassazione favorevoli ai beni artistici, non può non riconoscere, almeno implicitamente, la peculiarità degli oggetti d’arte14 . In particolare, con la decisione Giant Soft Fan15 , la Corte riconosce la natura di opera d’arte del manufatto oggetto della controversia e considera lecite le eccezioni alla tassazione ordinaria ad esso applicate. Un caso giurisprudenziale da manuale che fa riferimento all’articolo 36 CEE, è quello che vede contrapposte la Commissione e la Germania sul tema della composizione della birre importate16 , per cui le norme tedesche sulla purezza della birra - ereditate dal sedicesimo secolo - impedivano la vendita di birre prodotte all’estero che non rispettassero la rigida 13 Commissione c. Repubblica italiana, cit. 5. 14 Si vedano i casi Erika Daiber contro Hauptzollamt Reutlingen, causa 200/84 del 1985, Onnasch contro Hauptzollamt Berlin-Oackhof, causa 155/84 del 1985 e Clees contro Hauptzollamt Reutlingen, causa 259/97 del 1998. 15 Onnasch, cit. 14. 16 Sentenza della Corte di Giustizia, Commissione contro Germania , causa 178/84, del 1987.
  • 13. 13 composizione degli ingredienti imposta da tali norme. La Germania, chiamata a giustificare la propria posizione, in tale occasione sostenne che tali norme avevano l’obiettivo di proteggere i consumatori, oltre che di tutelare la salute pubblica. Un altro caso classico che si può ricordare è quello che vede coinvolta l’Italia in merito alle restrizioni all’importazione della pasta prodotta non con grano duro17 . Anche in questa occasione la giustificazione riportata a sostegno delle limitazioni fa riferimento alla protezione dei consumatori e della salute. Per entrambe i casi la Corte dichiara la sproporzionalità delle misure nazionali e rigetta i ricorsi, affermando che un’adeguata politica di etichettamento sia sufficiente ad informare e tutelare i consumatori. L’aspetto interessante di questi casi e di altri molto simili, tuttavia risiede nel fatto che molte delle limitazioni alla libera circolazione di beni vengono giustificate dagli Stati membri adducendo motivazioni di stampo culturale: non si tratterebbe di reali minacce alla salute pubblica, quanto di minacce ad “usanze” culturali, abitudini di vita (la pasta “al dente”, la birra con una certa composizione), aspetti strettamente collegati all’identità nazionale. In tale pratica la Corte di Giustizia ravvisa un potenziale rischio di “cristallizzazione” delle abitudini dei consumatori che va a consolidare vantaggi riservati alle industri nazionali. Rischio che, secondo la Corte, gli Stati devono evitare. Le conclusioni giurisprudenziali della Corte, apparentemente guidate da valutazioni di natura commerciale e di scelte razionali del consumatore, hanno in realtà significative ramificazioni culturali. I principi comunitari relativi alla concorrenza e la creazione del mercato unico si applicano ovviamente anche al settore della televisione, nonostante vi sia inizialmente un diffuso consenso tra gli stati membri sul fatto che tale settore debba essere escluso dalle disposizioni sul libero mercato. Nella sentenza Sacchi18 , ad esempio, la Corte rigetta tale posizione, sostenuta in quell’occasione dall’Italia, affermando che gli aspetti economici che caratterizzano le attività di fornitura di programmi televisivi sono soggetti alle norme sulla libera circolazione, secondo gli artt. 59 e 52 CEE (attuali artt. 56 e 49 TFUE) i quali proibiscono le restrizioni alla libera prestazione dei servizi (art 59) e alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro (art 52), prescrizione, quest’ultima, che può potenzialmente essere applicata ai produttori televisivi19 . 17 Sentenza della Corte di Giustizia, Drei Glocken and Kritzinger contro USL Centro-Sud e Bolzano, causa 407/85, del 1988. 18 Sentenza della Corte di Giustizia, Giuseppe Sacchi, causa 155/73 del 1974. 19 Ovviamente, anche le prescrizioni inerenti la libera circolazione delle merci, secondo gli artt. 30 e 34 CEE hanno effetti sull’industria televisiva, ma meno incisivi.
  • 14. 14 In quanto considerata attività economica, all’industria televisiva si applicano anche le norme relative alla concorrenza tra imprese previste dagli artt. 85 e 86 CEE20 (attuali artt. 101 e 102 TFUE) e, anche nei casi in cui le emittenti siano direttamente gestite dagli Stati o godano di un regime fiscale eccezionale alla luce del loro ruolo pubblico rilevante, gli Stati membri non possono emanare né mantenere alcuna misura contraria alle norme previste da tali articoli. L’articolo 90 punto 1 CEE (attuale art 106 TFUE) prescrive infatti: “le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale sono sottoposte alle norme del presente trattato, e in particolare alle regole di concorrenza”, sempre che l’applicazione di tali norme non impedisca il regolare svolgimento delle funzioni specifiche loro affidate. Un’ulteriore obbligo per quanto riguarda la concorrenza deriva dall’articolo 92 CEE (art 107 TFUE) che dichiara “incompatibili con il mercato comune, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza”. Come fanno notare alcuni autori21 le norme economiche dei Trattati non hanno un reale impatto sulla regolamentazione televisiva fino a quando la graduale liberalizzazione del mercato non fa entrare soggetti privati in tale settore, mettendo in discussione le politiche culturali quasi- monopolistiche poste in atto dagli Stati fino ad allora. E, quando questo accade, il bilanciamento tra norme economiche e politiche culturali nazionali viene faticosamente costruito attraverso le varie deroghe contenute nei Trattati stessi. Tuttavia, la stessa Corte di Giustizia non è in grado di adottare una linea omogenea: gli obiettivi di politica culturale nazionali possono costituire valide giustificazioni alla violazione delle norme Comunitarie solo in alcuni casi. Così, ad esempio nel caso Commissione c. Belgio22 la Corte afferma nettamente che gli obiettivi di politica culturale non ricadono in nessuna categoria di deroghe ammesse dall’articolo 56 CEE (attuale art 52 TFUE), che acconsente ad un regime particolare giustificato da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica. In altri 20 “Sono incompatibili con il mercato comune e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all'interno del mercato comune”, articolo 85, punto 1, CEE; “È incompatibile con il mercato comune e vietato, nella misura in cui possa essere pregiudizievole al commercio tra Stati membri, lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante sul mercato comune o su una parte sostanziale di questo”, articolo 86 CEE. 21 Biondi A., The Gardener and other Stories: the Peregrinations of Cultural Artefacts within the European Union, in Craufurd Smith R., Culture and European Union law, cit 12 , p. 183. 22 Sentenza della Corte di Giustizia, Commissione contro Regno del Belgio, causa C-211/91, del 16 dicembre 1992.
  • 15. 15 casi, tuttavia la posizione della Corte non è così esplicita in merito, limitandosi a rigettare i ricorsi degli Stati sulla base di altre considerazioni e non pronunciandosi riguardo la natura degli obiettivi di politica culturale23 . La Commissione a questo punto, interviene chiarendo alcuni aspetti riferiti ai pubblici servizi televisivi: nella sua Comunicazione sui servizi di interesse generale del 199624 , viene riconosciuto che la televisione possiede un carattere di interesse generale secondo l’articolo 86 punto 2 TCE (ex art 90 CEE, e attuale art 106 TFUE), alla luce del suo ruolo centrale nella trasmissione e nello sviluppo di valori sociali. Anche la Corte, quindi, sembra accettare la potenziale applicabilità di tale articolo in difesa di obiettivi culturali nel settore degli audiovisivi25 . Tuttavia occorre porre attenzione sulla “potenziale” ammissibilità di tale eccezione: un’esclusione a priori in conseguenza dell’articolo 86 punto 2 viene respinta dalla Corte, ad esempio nella sentenza Francia contro Commissione del 199126 . Infine, in riferimento all’articolo 92 CEE, alcuni tipi di provvedimenti, specificati al comma 2, costituiscono una eccezione completa al divieto di aiuti di Stato27 , mentre altri, specificati al comma 3, possono considerarsi compatibili a discrezione della Commissione. Con l’entrata in vigore del Trattato di Maastricht, viene aggiunta la lettera (d) all’articolo 87.3 (ex art. 92 CEE, e attuale art. 107 TFUE), che prevede la potenziale compatibilità degli “aiuti destinati a promuovere la cultura e la conservazione del patrimonio”, tenendo fermo l’obbligo di non alterare le condizioni degli scambi e della concorrenza nella Comunità. Tutte queste potenziali deroghe possono ovviamente essere applicate solo a misure che siano proporzionate e necessarie al raggiungimento degli obiettivi nazionali e il meno restrittive possibile dei principi comunitari. Per ultimo occorre ricordare che le misure nazionali non devono essere in 23 Questo è accaduto nei casi Bond van Adverteerders, causa 352/85 del 1988 e Stichting Collective Antennevooziening Gouda, causa C-288/89 del 1991, nei quali gli avvocati generali Mancini e Tesauro esprimono opinioni opposte in merito alla eventuale natura di politica pubblica degli obiettivi culturali. Tuttavia, tali valutazioni non entrano a far parte delle sentenze,che si limitano a concentrarsi sulla sproporzionalità delle misure nazionali adottate (nel primo caso) e sulle misure non discriminatorie (nel secondo caso). 24 Commissione europea, Comunicazione sui servizi di interesse generale in Europa, GU C 281 del 26.9.1996. 25 Ad esempio, nel caso Sacchi, cit 17, o nel caso T-546/93, Metropole Television SA, Reti Televisive Italiane SpA, Gestevision Telecinco SA e Antena 3 de Television contro Commissione, del 1996. 26 Sentenza della Corte di Giustizia, Francia contro Commissione, causa 202/88, del 1991. 27 “Sono compatibili con il mercato comune: a) gli aiuti a carattere sociale concessi ai singoli consumatori, a condizione che siano accordati senza discriminazioni determinate dall'origine dei prodotti, b) gli aiuti destinati a ovviare ai danni arrecati dalle calamità naturali oppure da altri eventi eccezionali, c) gli aiuti concessi all'economia di determinate regioni della Repubblica federale di Germania che risentono della divisione della Germania, nella misura in cui sono necessari a compensare gli svantaggi economici provocati da tale divisione”, art. 92, punto 2 trattato CEE.
  • 16. 16 contrasto con i principi generali comunitari, categoria che include, ad esempio, i diritti fondamentali così come enunciati dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), all’interno della quale il diritto alla libertà di espressione28 risulta evidentemente collegato alle questioni inerenti il settore culturale e televisivo29 . Date le varie linee di ragionamento seguite dalla Corte nei casi in cui le considerazioni culturali sono state chiamate in causa, qualsiasi conclusione definitiva riguardo l’atteggiamento ufficiale della Comunità Europea prima dell’entrata in vigore dell’Articolo 151 è da considerarsi come provvisoria. Tuttavia alcuni autori30 rilevano talune costanti che caratterizzano le sentenze della Corte: nei casi in cui i beni o servizi sono considerati dallo Stato destinatario come intrinsecamente dannosi a livello culturale (ad esempio a stampo pornografico) e nei casi in cui la pratica domestica è considerata come costitutiva dell’identità nazionale o di importanza culturale fondamentale (come ad esempio il linguaggio) la Corte ha mantenuto un atteggiamento deferente nei confronti delle preoccupazioni di carattere culturale degli Stati. In tutte le altre circostanze, ogni misura che semplicemente allontana i consumatori da beni o servizi stranieri alternativi, è considerate come potenzialmente protezionista e quindi rigorosamente assoggettata ad una verifica di proporzionalità. Tuttavia questi casi pongono l’attenzione non solo su come e quanto la protezione della cultura possa essere utilizzata a giustificazione di misure che limitano la circolazione di beni e servizi, ma, in modo più approfondito, sull’esigenza di uno sguardo più ampio e inclusivo al concetto di cultura e di come questo meriti protezione specifica nel paradigma comunitario. 1.2 Normative europee a tutela dei beni culturali Con l’adozione di Schengen, mentre il regime interno di abolizione delle frontiere non comporta l’abolizione in assoluto de i controlli interni, per cui l’eventuale attività di 28 “Ogni persona ha diritto alla libertà d’espressione. Tale diritto include la libertà d’opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera”, art. 10, Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, Roma, 4 novembre 1950. 29 Vedere la sentenza della Corte di Giustizia Elliniki Radiophonia Tiléorassi AE contro Dimotiki Etairia Pliroforissis e Sotirios Kouvelas, causa C-260/89, del 1991. 30 Craufurd Smith R., Culture and European Union law, cit 12, pag. 39
  • 17. 17 fuoriuscita di un bene da uno Stato membro verso un altro rimane illecita e quindi passibile di sanzione (non certamente da parte dell’ufficio doganale di fuoriuscita, ma da parte dello Stato membro ricevente), il regime previsto per le uscite dei beni verso paesi terzi rimane immutato: autorizzazioni e controlli restano validi al fine di scoraggiare qualsiasi traffico illecito. Tuttavia l’interpretazione su quanto controlli e regolamenti debbano essere limitativi rimane competenza statale: i cosiddetti Stati-mercato, ossia quelli poveri di beni culturali, si mostrano più orientati alla liberalizzazione degli scambi, mentre gli Stati-fonte, quelli con un patrimonio artistico molto vasto, si mostrano maggiormente interessati a imporre restrizioni impedendo la circolazione dei beni. La tutela di tali beni non poteva essere garantita a sufficienza dalla ratifica della Convenzione UNESCO del 1970, relativa alle misure da adottare per proibire e impedire l'importazione, l'esportazione e il trasferimento delle proprietà illecite di beni culturali, e della Convenzione del Consiglio d'Europa del 1985 sulle infrazioni riguardanti i beni culturali. In tale contesto di disomogeneità ed incertezza, si sono rese necessarie misure d'accompagnamento del processo di completamento del mercato interno e la predisposizione di mezzi supplementari per proteggere adeguatamente i beni culturali. 1.2.1 Regolamento CEE 3911/92 relativo all’esportazione di beni culturali Il regolamento (CEE) n. 3911/92 , del 9 dicembre 199231 ha lo scopo di garantire un controllo uniforme delle esportazioni di beni culturali verso paesi terzi32 . Il regolamento si applica ai beni culturali enumerati nel suo allegato, i quali sono divisi in 14 categorie (oggetti archeologici, quadri, incisioni, libri, fotografie, ecc.). I criteri per la qualificazione di un "bene culturale", variabili secondo la categoria, sono quello dell'età (più di 100, 75 o 50 anni, secondo i casi) e quello del valore minimo (da 0 euro per taluni beni culturali considerati tali anche se il loro valore è trascurabile o nullo, fino a 150.000 euro). L'esportazione dei beni culturali contemplati dal regolamento è subordinata alla presentazione di una licenza di 31 Consiglio, Regolamento (CEE) n. 3911/92 relativo all'esportazione di beni culturali, del 9 dicembre 1992. 32 Per quanto riguarda le esportazioni all’interno dei confini europei, restano in vigore le legislazioni nazionali che prevedono comunque varie tipologie di licenze all’esportazione. Per l’Italia, si tratta della legge 1089 del 1939, già citata per quanto riguarda il caso 7/68, cit. 5. Per maggiori dettagli si può visitare il sito degli uffici esportazione del Ministero, all’indirizzo http://www.pabaac.beniculturali.it/opencms/opencms/BASAE/sito-BASAE/mp/Uffici-musei-e- monumenti/Uffici-esportazione/index.html
  • 18. 18 esportazione valida in tutta la Comunità (art.2, punto 2); tale licenza viene rilasciata dalle autorità competenti dello Stato membro33 , su richiesta dell'interessato. Lo stesso articolo 2 afferma inoltre che “l'autorizzazione di esportazione può essere rifiutata ai sensi del presente regolamento, qualora i beni culturali in questione siano contemplati da una legislazione che tutela il patrimonio nazionale avente valore artistico, storico e archeologico nello Stato membro di cui trattasi”. La licenza di esportazione è presentata, a sostegno della dichiarazione di esportazione, al momento dell'espletamento delle formalità doganali di esportazione, presso l'ufficio doganale competente ad accettare tale dichiarazione (art. 4). Infine, nell'ambito dell'applicazione del regolamento, l’articolo 6 prevede che gli Stati membri stabiliscano attivamente “una cooperazione tra le autorità doganali e le autorità competenti” sul piano dei loro rapporti reciproci e una collaborazione efficace con la Commissione, la quale deve essere informata sulle misure che ogni Stato mette in atto in applicazione del regolamento, comprese le misure sanzionatorie (decise autonomamente da ciascuno Stato, come previsto dall’articolo 9). Dalla sua adozione, il regolamento (CEE) n. 3911/92 è stato emendato più volte. A fini di razionalità e chiarezza, è stato abrogato e sostituito dal regolamento CE n. 116/200934 . Come il precedente, anche il nuovo regolamento garantisce che le esportazioni di beni culturali siano sottoposte a controlli uniformi alle frontiere esterne dell'Unione europea mediante le licenze di esportazione. Le modifiche più rilevanti apportate riguardano l’elenco delle categorie di beni contemplate dal regolamento, anche in questo caso contenuto in un allegato, e il regolamento di esecuzione (UE) n. 1081/2012 della Commissione35 , il quale stabilisce le norme che disciplinano la redazione, il rilascio e l'utilizzo delle licenze di esportazione di cui al regolamento (CE) n. 116/2009. Esso specifica le tipologie di licenza da rilasciare, il loro utilizzo ed il loro periodo di validità. Vi sono tre tipi di licenza: - licenza normale: utilizzata in circostanze normali per ogni esportazione soggetta al regolamento (CE) n. 116/2009 e valida per 1 anno; 33 L’elenco aggiornato delle autorità nazionali competenti è pubblicato sulla Gazzetta ufficiale C 164 del 16.7.2009. Per l’Italia sono designati vari uffici di esportazione, disseminati lungo tutto il territorio nazionale. L’elenco è consultabile all’indirizzo http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/ALL/?uri=CELEX:52009XC0716%2802%29. 34 Consiglio, Regolamento (CE) n. 116/2009 relativo all'esportazione di beni culturali, del 18 dicembre 2008. 35 Commissione europea, Regolamento di esecuzione (UE) n. 1081/2012 recante disposizioni d’applicazione del regolamento (CE) n. 116/2009 del Consiglio relativo all’esportazione di beni culturali, del 9 novembre 2012.
  • 19. 19 - licenza aperta specifica: concerne l'esportazione temporanea ripetuta di uno specifico bene culturale da parte del suo proprietario per l'utilizzo e/o l'esposizione in paesi terzi ed è valida per 5 anni; - licenza aperta generale: rilasciata ad un museo o ad altri enti per quanto riguarda l'esportazione temporanea di qualsiasi merce appartenente alla loro collezione permanente che sia esportata temporaneamente dall'Unione in un paese terzo per l'esposizione su base regolare. La licenza è valida per 5 anni. Anche dopo le modifiche, compete agli Stati membri determinare le sanzioni da somministrare in caso di violazione delle norme del presente regolamento, le quali devono essere ovviamente efficaci, proporzionate e dissuasive. Nel maggio 1999 la Commissione ha sottoposto gli Stati ad un questionari valutativo relativo l'applicazione del regolamento. Il giudizio degli Stati membri36 , espresso nelle risposte al questionario e, più in generale, sul funzionamento del sistema, è quasi all'unanimità positivo per quanto riguarda la sensibilizzazione dei protagonisti del commercio internazionale, ma con qualche riserva sulla reale diminuzione del numero delle esportazioni illecite. L'applicazione del regolamento ha avuto il vantaggio di richiamare l'attenzione delle amministrazioni e delle autorità doganali responsabili sull'importanza del mondo dell'arte e in particolare sull'esistenza di un commercio illegale di beni culturali. Tuttavia, quest'interesse non ha avuto effetti concreti. L'efficacia dei controlli doganali sull'esportazione dei beni culturali verso i paesi terzi varia in funzione dell'atteggiamento e del comportamento degli Stati membri nei confronti dei vari aspetti della cultura e dell'arte. Nella relazione, la Commissione evidenzia che, se da un lato ha permesso di uniformare a livello comunitario le formalità e la documentazione necessarie per l'esportazione dei beni culturali, d’altro canto il regolamento non è stato accompagnato da un reale cambiamento dei comportamenti e degli atteggiamenti nel senso di una vera protezione comunitaria dei beni culturali. Infatti, la protezione dei beni culturali è rimasta incentrata sui beni appartenenti al patrimonio nazionale. Una delle difficoltà più spesso riscontrate dagli Stati deriva dal fatto che il regolamento prevede che la licenza d’esportazione sia concessa dallo Stato in cui il bene si trova: se tale bene è precedentemente uscito illecitamente da uno stato diverso da quello in cui si trova al momento della richiesta, e 36 Commissione europea, Relazione al Consiglio, al Parlamento Europeo e al Comitato economico e sociale su l'applicazione del regolamento (CEE) n. 3911/92 del Consiglio relativo all'esportazione di beni culturali e della direttiva 93/7/CEE del Consiglio relativa alla restituzione dei beni culturali usciti illecitamente dal territorio di uno Stato membro, COM/2000/0325 def.
  • 20. 20 l'uscita illecita non ha potuto essere individuata, l'efficacia del dispositivo comunitario di protezione è indebolita. 1.2.2 Direttiva CEE 93/7 sulla restituzione dei beni culturali Dopo l’introduzione del regolamento n. 3911/92 relativo all'esportazione di beni cultural, si ravvisa la necessità di istituire un sistema che permetta agli Stati membri di ottenere la restituzione dei beni culturali classificati come beni del patrimonio nazionale ai sensi dell'articolo 36 del trattato CEE e che siano usciti dal loro territorio in violazione delle disposizioni nazionali o di tale regolamento. Con la direttiva CEE/93/737 , riguardante la restituzione dei beni culturali usciti illecitamente dal territorio di uno Stato membro, s’intende quindi istituire un sistema comunitario integrato a tutela dei beni culturali degli Stati membri. Considerando la difficoltà di dare una definizione univoca di “bene culturale”, la direttiva affida tale incombenza agli Stati membri e, all’articolo 1, dichiara che viene considerato “bene culturale” qualsiasi bene: - Qualificato tra i « beni del patrimonio nazionale aventi un valore artistico, storico o archeologico », in applicazione della legislazione nazionale o delle procedure amministrative nazionali, ai sensi dell'articolo 36 del Trattato CEE; - appartenente ad una delle categorie di cui all'allegato38 alla direttiva, o pur non rientrando in una di queste categorie, facente parte delle collezioni pubbliche figuranti 37 Consiglio, Direttiva 93/7/CEE, relativa alla restituzione dei beni culturali usciti illecitamente dal territorio di uno Stato membro, 15 marzo 1993, consultabile all’indirizzo http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX:31993L0007. 38 Allegato: categorie che sono contemplate dall'articolo 1, punto 1, secondo trattino ed a cui devono appartenere, per poter essere restituiti, conformemente alla presente direttiva, i beni classificati come beni del « patrimonio nazionale » ai sensi dell'articolo 36 del Trattato CEE A. 1. Reperti archeologici aventi più di 100 anni provenienti da: scavi e scoperte terrestri o sottomarine; siti archeologici; collezioni archeologiche. 2. Elementi, costituenti parte integrante di monumenti artistici, storici o religiosi e provenienti dallo smembramento dei monumenti stessi, aventi più di 100 anni. 3. Quadri e pitture fatti interamente a mano su qualsiasi supporto e con qualsiasi materiale. 4. Mosaici diversi da quelli delle categorie 1 e 2 disegni fatti interamente a mano su qualsiasi supporto e con qualsiasi materiale. 5. Incisioni, stampe, serigrafie e litografie originali e relative matrici, nonché manifesti originali. 6. Opere originali dell'arte statuaria o dell'arte scultoria e copie ottenute con il medesimo procedimento dell'originale (1), diverse da quelle della categoria 1. 7. Fotografie, film e relativi negativi. 8. Incunaboli e manoscritti, comprese le carte geografiche e gli spartiti musicali, isolati o in collezione. 9. Libri aventi più di 100 anni, isolati o in collezione. 10. Carte geografiche stampate aventi più di 200 anni. 11. Archivi e supporti, comprendenti elementi di qualsiasi natura aventi più di 50 anni. 12. a) Collezioni ed esemplari provenienti da collezioni di zoologia, botanica, mineralogia, anatomia. b) Collezioni aventi interesse storico, paleontologico, etnografico o
  • 21. 21 negli inventari dei musei, degli archivi e dei fondi di conservazione delle biblioteche e degli inventari delle istituzioni ecclesiastiche. È interessante notare che un bene può essere classificato come patrimonio nazionale anche dopo essere uscito dal territorio dello Stato membro e che quest’ultimo può estendere il campo di applicazione del regime di restituzione anche ai beni non compresi nelle categorie di beni culturali contemplate dall'allegato39 . Così come prescritto dall’articolo 1, punto 2, la direttiva si applica nei casi in cui tali beni abbiano lasciato illegalmente il territorio di un paese membro, vale a dire in violazione della legislazione nazionale vigente,del regolamento (CEE) n. 3911/92, oppure violando le condizioni di un'autorizzazione temporanea rilasciata. La restituzione del bene deve avvenire sia che tale bene sia stato trasferito all'interno dell’Unione, sia che sia stato prima esportato verso un paese terzo e successivamente importato in un altro membro paese dell’UE. Per adempiere agli obblighi della direttiva, “Ciascuno Stato membro designa una o più autorità centrali per l'esercizio delle funzioni previste” (art. 3), l'elenco aggiornato delle quali è pubblicato dalla Commissione sulla Gazzetta ufficiale delle Comunità europee40 . Si rende quindi necessaria una costante cooperazione tra le autorità competenti dei diversi Stati: al fine di garantire la restituzione di un bene culturale, l’articolo 4 elenca una serie di funzioni che devono essere svolte proprio da tali autorità41 . All’articolo 5, si sottolinea che tribunali competenti per poter ordinare la numismatico. 13. Mezzi di trasporto aventi più di 75 anni. 14. Altri oggetti di antiquariato, non contemplati dalle categorie A 1-A 13, aventi più di 50 anni. Direttiva 93/7/CEE, cit. 37. 39 La direttiva è applicabile ai beni culturali che hanno lasciato in maniera illegale il territorio di un paese della Comunità dopo il 1° gennaio 1993. Tuttavia, i paesi membri sono liberi di estendere il campo di applicazione della normativa ai beni che hanno lasciato il loro territorio prima del 1° gennaio 1993, articolo 14, Direttiva 93/7/CEE, cit. 34. 40 Per l’Italia: “L'autorità centrale prevista dall'articolo 3 della direttiva CEE è per l'Italia il Ministero. Esso si avvale, per i vari compiti indicati nella direttiva, dei suoi organi centrali e periferici, nonché della cooperazione degli altri Ministeri, degli altri organi dello Stato, degli enti territoriali e degli altri enti locali. Legge 30 marzo 1998, n. 88, Norme sulla circolazione dei beni culturali, art. 3.1, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 84 del 10 aprile 1998. 41 “Le autorità centrali degli Stati membri cooperano e promuovono la consultazione tra le autorità competenti degli Stati membri. Queste ultime assolvono in particolare i seguenti compiti: 1) individuare, su domanda dello Stato membro richiedente, un determinato bene culturale uscito illecitamente dal territorio di detto Stato, nonché localizzarlo e identificarne il possessore e/o detentore. La domanda deve comprendere qualsiasi informazione utile per agevolare tale ricerca, in particolare riguardante la localizzazione vera o presunta del bene; 2) effettuare una notifica agli Stati membri interessati quando è ritrovato un bene culturale nel loro proprio territorio e sussistono validi motivi per ritenere che detto bene sia uscito illecitamente dal territorio di altro Stato membro; 3) facilitare la verifica, da parte delle autorità competenti dello Stato membro richiedente, che il bene in questione costituisce un bene culturale purché tale operazione venga effettuata entro due mesi dalla notifica prevista al punto 2. Qualora la verifica non sia effettuata entro il termine stabilito, i punti 4 e 5 non sono più d'applicazione; 4) prendere, ove occorra, in cooperazione con lo Stato membro interessato, le misure necessarie per la conservazione materiale del bene culturale; 5) impedire, mediante i necessari provvedimenti
  • 22. 22 restituzione del bene allo Stato membro richiedente in caso di rifiuto da parte del possessore/detentore di riconsegnare il bene, sono i tribunali dello Stato membro cui è stata notificata la richiesta; allo stesso modo, è la legislazione del paese cui è stata inoltrata la richiesta che regolamenta l'onere della prova. La direttiva prevede inoltre che i soggetti legittimati a presentare l'istanza di restituzione siano unicamente gli Stati membri, infatti, il privato proprietario di un bene culturale può esperire nei confronti del possessore soltanto le azioni previste dal diritto comune. L'azione di restituzione si prescrive decorso un anno dalla data in cui il paese dell’UE richiedente è venuto a conoscenza dell'ubicazione del bene e dell'identità del suo possessore o detentore (articolo 7). Inoltre, per essere ricevibile, la richiesta deve essere accompagnata da un documento che descriva chiaramente l’oggetto della richiesta e nel quale si dichiari che si tratta di un bene culturale ai sensi della direttiva, oltre che da una dichiarazione delle autorità competenti del paese richiedente che confermino l'uscita illegale del bene culturale dal territorio (art. 5). L’articolo 9 prescrive che “qualora sia ordinata la restituzione del bene, il giudice competente dello Stato richiesto accorda al possessore l'indennizzo che ritenga equo in base alle circostanze del caso concreto”, sempre che il possessore dimostri che egli abbia usato la dovuta diligenza in occasione dell'acquisto. Tale indennità deve essere pagata dal paese richiedente, il quale può rivalersi peraltro sulle persone responsabili dell'uscita illegale. Dopo la restituzione, la proprietà del bene è regolamentata dalla legislazione del paese richiedente (art. 12). Infine, l’articolo 16 invita i paesi membri a inviare ogni tre anni alla Commissione una relazione sull'applicazione della direttiva, in base alla quale la Commissione pubblica successivamente una relazione al Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato economico e sociale europeo. L’ultima relazione è stata presentata dalla Commissione nel 201342 e può risultare interessante riassumerne di seguito i punti salienti. Tenendo ferma la considerazione generale di necessità della direttiva, considerando tuttavia i punti deboli rilevati dalle relazioni precedente, la Commissione aveva costituito nel 2009 il gruppo di lavoro Return of cultural goods, composto da rappresentanti delle autorità nazionali incaricate dell'applicazione della direttiva. provvisori, che il bene culturale venga sottratto alla procedura di restituzione; 6) svolgere il ruolo d'intermediario tra il possessore e/o detentore e lo Stato membro richiedente ai fini della restituzione. In tale senso, le autorità competenti dello Stato membro richiesto possono agevolare, fatto salvo l'articolo 5, l'esecuzione di una procedura di arbitrato, conformemente alla legislazione nazionale dello Stato richiesto e a condizione che lo Stato richiedente ed il possessore o detentore vi diano formalmente il proprio accordo”, art. 4, Direttiva 93/7/CEE, cit. 37. 42 Commissione europea, Quarta relazione sull’applicazione della direttiva 93/7/CEE del Consiglio relativa alla restituzione dei beni culturali usciti illecitamente dal territorio di uno Stato membro, Bruxelles, 30 maggio 2013, COM(2013) 310 final.
  • 23. 23 Il gruppo aveva i compiti di identificare i principali problemi posti dall'attuazione della direttiva e di proporre soluzioni efficaci ed accettabili per un'eventuale revisione. Nel 2011 il gruppo di lavoro ha concluso che fosse necessario rivedere la direttiva 93/7/CEE al fine di rendere più efficace il dispositivo di restituzione dei beni culturali classificati come “patrimonio nazionale”. I membri del gruppo hanno inoltre raggiunto conclusioni sull'eventualità di utilizzare altri strumenti non legislativi per migliorare la cooperazione e lo scambio di informazioni tra le autorità competenti e contribuire in tal modo ad agevolare la restituzione dei beni culturali. Considerando le relazioni inviate alla Commissione ogni tre anni, Gli Stati membri riferiscono che essi non dispongono di informazioni su tutti i beni culturali usciti in modo illecito dal loro territorio43 : risulta pertanto difficile per loro valutare se tale fenomeno sia in crescita o in diminuzione. Tendenzialmente gli Stati rilevano l’applicazione poco frequente della direttiva, in particolare dell'azione di restituzione, identificando nel limitato numero di categorie di beni ammesso dall’allegato e nel breve tempo disponibile per intentare l’azione di restituzione, delle limitazioni forti. Emergono inoltre difficoltà inerenti l’identificazione del tribunale competente in un altro Stato membro e ai costi finanziari collegati alla restituzione. Tendenzialmente, dalle relazioni degli Stati Membri, emerge che le restituzioni avvenute in via amichevole sono più frequenti di quelle per via giurisdizionale44 e che le condizioni restrittive della direttiva obbligano talvolta il ricorso a convenzioni internazionali per i recupero dei beni45 . Tuttavia gli Stati Membri rilevano un progressivo miglioramento della cooperazione amministrativa e dello scambio di informazioni tra le autorità centrali degli Stati membri, anche se tutt’ora limitato da disomogeneità e da ostacoli linguistici. Il procedimento di revisione della direttiva 93/7/CEE è iniziato nel 2009, inoltre, nel quadro dell’Agenda europea della cultura (cfr. cap. 3, par. 2) e del piano di lavoro 2008-2010, è stato creato un gruppo di esperti nazionali che ha lavorato 43 Solo alcuni Stati, come la Repubblica Ceca, la Grecia, l’Ungheria e la Romania, hanno fornito un elenco degli oggetti usciti illegalmente che sono stati identificati in altri stati membri e dei beni di provenienza illegale ritrovati nei loro territori. È così anche per l’Italia, che ha fornito informazioni sugli oggetti usciti illegalmente (10.372 tra il 2008 3 il 2011), Commissione, Quarta relazione sull’applicazione della direttiva 93/7/CEE, cit. 42. 44 Le relazioni degli Stati informano che sono state presentate sei domande di restituzione, una delle quali è stata respinta, Commissione, Quarta relazione sull’applicazione della direttiva 93/7/CEE, cit. 42. 45 Ad esempio, Bulgaria e Polonia indicano di aver ottenuto restituzioni attraverso la Convenzione UNESCO (Convenzione UNESCO concernente le misure da adottare per interdire e impedire l’illecita importazione, esportazione e trasferimento di proprietà dei beni culturali, del 1970; approfondita di seguito, al cap. 4, par. 3.1.1), e la Romania segnala la restituzione di 235 oggetti mediante la convenzione UNIDROIT (Convenzione UNIDROIT sugli oggetti culturali rubati o esportati illegalmente, del 1995), Commissioneeuropea, Quarta relazione sull’applicazione della direttiva 93/7/CEE, cit. 42.
  • 24. 24 sul tema del miglioramento della circolazione delle opere d’arte (si tratta del gruppo “Mobilità delle collezioni”, all’interno del quadro del Metodo aperto di coordinamento) e che ha continuato a lavorare sul tema anche nella fase successiva del piano di lavoro a favore della cultura46 . 1.3 Direttiva 89/552/CEE ,Televisione senza Frontiere Molte politiche comunitarie hanno un evidente impatto diretto o indiretto sulle imprese che operano nel settore dell’audiovisivo: ad esempio il divieto posto dal Trattato agli aiuti di Stato che alterino la concorrenza (art. 87 TCE, attuale art. 107 TFUE ) trova una eccezione nel caso dei "servizi di interesse economico generale", che comprendono anche i servizi pubblici delle trasmissioni47 , così come un certo numero di strumenti giuridici comunitari contribuisce in maniera più o meno diretta al perseguimento degli obiettivi di tutela del pluralismo dei media (compito che spetta essenzialmente agli Stati membri48 ), della concorrenza e della protezione dei consumatori. Senza dimenticare che il settore europeo dell'audiovisivo ha potuto usufruire nel corso degli anni di meccanismi comunitari di sostegno (programma MEDIA, cfr. capitolo 3, par. 3.4). Le attività televisive, indipendentemente dal loro contenuto culturale, costituiscono un servizio e, come tale, ai sensi del trattato, la loro libera circolazione deve essere garantita senza esclusioni e senza restrizioni per i cittadini degli Stati membri stabiliti in qualsiasi paese della Comunità diverso da quello cui il servizio è destinato. A livello comunitario, tuttavia, è stato rilevato che le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri applicabili all'esercizio di emissioni televisive e di distribuzione via cavo presentano disparità che possono ostacolare la libera circolazione delle 46 I lavori del gruppo vertono sui mezzi per semplificare le procedure di prestito delle opere d’arte nell’ambito dell’Unione, sono consultabili all’indirizzo : http://ec.europa.eu/culture/our-policy-development/policy-documents/omc-working- groups_en.htm. 47 Una comunicazione della Commissione del novembre 2001 chiarisce i criteri d'applicazione delle regole di concorrenza nei servizi pubblici delle trasmissioni: Commissione europea, Comunicazione relativa all'applicazione delle norme sugli aiuti di Stato al servizio pubblico di radiodiffusione, (2001/C 320/04), novembre 2001, consultabile all’indirizzo http://eur- lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?qid=1422876737253&uri=CELEX:52001XC1115%2801%29 48 Commissione europea, Libro verde sui servizi di interesse generale, maggio 2003, COM/2003/0270 def.
  • 25. 25 trasmissioni nella Comunità e falsare la concorrenza nel mercato comune. La comunità ha quindi ritenuto che lo strumento più efficace per eliminare le distorsioni e, allo stesso tempo, coordinare le legislazioni in tale ambito, fosse quello della direttiva. Da qui prende forma la Direttiva 89/552/CEE49 , che si pone l’obiettivo di garantire la libera circolazione dei servizi televisivi nell'ambito del mercato interno, tutelando nel contempo obiettivi d'interesse pubblico, come la diversità culturale, il diritto di rettifica, la tutela dei consumatori e la protezione dei minori. Si prefigge inoltre la finalità di promuovere la distribuzione e la produzione dei programmi televisivi europei riservando loro una quota maggioritaria nel quadro dei programmi delle reti televisive. Sostanzialmente la direttiva dispone che tutte le trasmissioni televisive, sia quelle sottoposte alla giurisdizione di uno Stato, sia quelle semplicemente trasmesse via satellite in tale Stato, rispettino il medesimo diritto applicabile alle trasmissioni destinate al pubblico in tale Stato membro. Così, come prescritto dall’articolo 2 della Direttiva, “gli Stati membri assicurano la libertà di ricezione e non ostacolano la ritrasmissione sul proprio territorio di trasmissioni televisive provenienti da altri Stati membri”, se non per motivi di tutela dei minori e per impedire la trasmissione di programmi che incitino all'odio basato su differenze di razza, sesso, religione o nazionalità (art. 22 Direttiva). Il testo della direttiva si compone di sette capitoli, il primo dei quali è dedicato a fornire alcune definizioni che identificano cosa s’intenda a livello comunitario con i termini trasmissione televisiva, pubblicità televisiva, pubblicità clandestina e sponsorizzazione50 . Il secondo capitolo enuncia i principi generali della direttiva, di cui abbiamo già parlato, mentre merita attenzione il terzo capitolo, dedicato alla promozione dei programmi televisivi di interesse europeo: “gli Stati membri vigilano, ogniqualvolta sia 49 Consiglio, Direttiva 89/552/CEE relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati Membri concernenti l'esercizio delle attività televisive, 3 ottobre 1989, consultabile all’indirizzo http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?qid=1422706359568&uri=CELEX:31989L0552. 50 “Per « trasmissione televisiva » si intende la trasmissione, via cavo o via etere, nonché la trasmissione via satellite, in forma non codificata o codificata, di programmi televisivi destinati al pubblico. Il termine suddetto comprende la comunicazione di programmi effettuata tra le imprese ai fini della ritrasmissione al pubblico. Per « pubblicità televisiva » si intende ogni forma di messaggio televisivo trasmesso dietro compenso o pagamento analogo da un'impresa pubblica o privata nell'ambito di un'attività commerciale, industriale, artigiana o di una libera professione, allo scopo di promuovere la fornitura, dietro compenso, di beni o di servizi, compresi i beni immobili, i diritti e le obbligazioni. Per « pubblicità clandestina » si intende la presentazione orale o visiva di beni, di servizi, del nome, del marchio o delle attività di un produttore di beni o di un fornitore di servizi in un programma, qualora tale presentazione sia fatta intenzionalmente dall'emittente per perseguire scopi pubblicitari e possa ingannare il pubblico circa la sua natura. Per « sponsorizzazione » si intende ogni contributo di un'impresa pubblica o privata, non impegnata in attività televisive o di produzione di opere audiovisive, al finanziamento di programmi televisivi, allo scopo di promuovere il suo nome, il suo marchio, la sua immagine, le sue attività o i suoi prodotti” Art. 1 Direttiva 89/552/CEE cit. 49.
  • 26. 26 possibile e ricorrendo ai mezzi appropriati, che le emittenti televisive riservino ad opere europee la maggior parte del loro tempo di trasmissione” (art. 4, punto 1) e “gli Stati membri vigilano, ogniqualvolta sia possibile e ricorrendo ai mezzi appropriati, che le emittenti televisive riservino alle opere europee realizzate da produttori indipendenti dalle emittenti stesse il 10 % almeno del loro tempo di trasmissione” (art. 5). Dunque emerge l’esigenza di stimolare un senso di cittadinanza europea anche attraverso il supporto fisico costituito dalla televisione, il quale, almeno nelle intenzioni, diventa vero e proprio strumento culturale. È evidente come Commissione e Stati membri siano costretti a collaborare, la prima esercitando un costante controllo, i secondi fornendo ogni due anni una relazione che presenti una rassegna statistica della realizzazione degli obiettivi di cui agli artt. 4 e 5. Per quanto concerne pubblicità e sponsorizzazioni, il capitolo quarto della direttiva prescrive che la pubblicità sia ben distinta e riconoscibile dal resto delle trasmissioni, che non sia clandestina né costituita da messaggi subliminari (art. 10), stabilisce gli intervalli temporali tra un’interruzione pubblicitaria e l’altra (art. 11) e impone divieti a spot offensivi o discriminanti (art. 12), oltre che a messaggi che pubblicizzano il tabacco (art. 13). Nella medesima sezione, rientrano anche le disposizioni riguardanti i programmi sponsorizzati, le quali sanciscono che la sponsorizzazione di programmi televisivi è ammessa a condizione che rispetti determinate regole: non deve essere compromessa l'indipendenza editoriale dell'emittente, le trasmissioni sponsorizzate non devono sollecitare l'acquisto dei prodotti o dei servizi dello sponsor e, infine, telegiornali e trasmissioni di informazione politica non possono essere sponsorizzati (art. 17). Il capitolo quinto illustra le linee guida per quanto riguarda la tutela dei minori e infine, il sesto capitolo sancisce il diritto di rettifica che può essere esercitato nei confronti di tutte le emittenti soggette alla giurisdizione di uno Stato membro nel caso in cui i diritti legittimi di una persona vengano lesi in seguito a un'affermazione non veritiera contenuta in un programma televisivo (art. 23). Nel giugno 1997 il Parlamento europeo e il Consiglio hanno adottato una nuova direttiva Televisione senza frontiere51 che mira a rafforzare la sicurezza giuridica e a modernizzare le disposizioni originarie della direttiva 89/552/CE. I principali elementi della revisione vertono su: 51 Parlamento europeo e Consiglio, Direttiva 97/36/CE che modifica la direttiva 89/552/CEE del Consiglio relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti l'esercizio delle attività televisive, 30 giugno 1997.
  • 27. 27 - principio di giurisdizione, per cui lo Stato membro competente per le reti televisive viene determinato in funzione del luogo in cui si trova la sede sociale effettiva e del luogo in cui vengono prese le decisioni editoriali in merito al palinsesto (art. 2, direttiva 97/36/CE); - eventi di particolare rilevanza per la società (in particolare, manifestazioni sportive), per i quali vengono stabilite le condizioni che consentono al pubblico di accedere liberamente alla trasmissione di eventi rilevanti, anche se sono stati acquistati diritti esclusivi da reti a pagamento (art. 3 bis); - televendite, le quali vengono sottoposte alla maggior parte delle regole che disciplinano la pubblicità televisiva (capitolo IV); - tutela dei minori, per cui gli Stati membri devono controllare che i programmi potenzialmente nocivi allo sviluppo dei minori, trasmessi in chiaro, siano preceduti da un idoneo segnale acustico o identificati da un simbolo visibile (art. 22). È evidente che la direttiva TsF abbia avuto un impatto tangibile sia per quanto riguarda la realizzazione del mercato interno nel settore delle emittenti televisive, sia per quanto concerne la qualità dei prodotti realizzati a livello europeo e diffusi poi in modo standardizzato (qualità a volte discutibile). Come evidenziato dalla quinta relazione della Commissione sull'attuazione della direttiva 89/552/CEE52 , “la direttiva Televisione senza frontiere continua a garantire correttamente la libertà di prestazione di servizi televisivi nell'Unione europea. Gli obiettivi fondamentali di interesse pubblico che la direttiva mira a salvaguardare con l'istituzione di un'armonizzazione minima del mercato interno restano validi. La direttiva garantisce una regolamentazione efficace del settore audiovisivo europeo […]”. Emerge tuttavia, la necessità di riesaminare il quadro normativo e di aggiornarlo, soprattutto alla luce degli enormi sviluppi tecnologici del mercato: dunque, in abrogazione della direttiva del 1989, nel 2010 Parlamento e Consiglio emanano una nuova direttiva, denominata Direttiva sui servizi di media audiovisivi53 , la quale anzitutto riconosce la crescente convergenza tra emittenza tradizionale e universo digitale, evidenziando la necessità di elaborare un quadro 52 Commissione, Quinta Relazione al Consiglio, al Parlamento Europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sull'attuazione della direttiva 89/552/CEE "Televisione senza frontiere", [SEC(2006) 160] 53 Parlamento europeo e Consiglio, Direttiva 2010/13/UE relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti la fornitura di servizi di media audiovisivi (direttiva sui servizi di media audiovisivi), 10 marzo 2010, consultabile all’indirizzo http://eur-lex.europa.eu/legal- content/IT/TXT/?uri=CELEX:32010L0013.
  • 28. 28 normativo omogeneo riguardante le attività di trasmissione che tenga conto dell’impatto dei cambiamenti strutturali, della diffusione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione e delle innovazioni tecnologiche sui modelli d’attività, in particolare sul finanziamento della radiodiffusione commerciale. Al di là del contenuto di tale direttiva, per il quale rimando al testo integrale, è interessante notare alcuni aspetti sottolineati nella parte introduttiva al testo della direttiva stessa. Anzitutto viene riconosciuta la doppia natura di tale settore: “I servizi di media audiovisivi sono nel contempo servizi culturali ed economici. L’importanza crescente che rivestono per le società, la democrazia - soprattutto a garanzia della libertà d’informazione, della diversità delle opinioni e del pluralismo dei mezzi di informazione -, l’istruzione e la cultura giustifica l’applicazione di norme specifiche a tali servizi” (quarto considerando della Direttiva 2010/13/UE). Tale riconoscimento è una chiara dimostrazione dell’evoluzione avvenuta nel contesto comunitario in merito al valore da attribuire alla produzione culturale, e viene sottolineato anche dal punto successivo della direttiva, il quale ricorda il legame esistente tra l’azione dell’Unione e gli aspetti culturali, sancito dall’articolo 167, paragrafo 4 del Trattato sul funzionamento dell’UE (quinto considerando).
  • 29. 29 CAPITOLO 2 LA POLITICA CULTURALE EUROPEA DOPO L’ENTRATA IN VIGORE DEL TRATTATO DI MAASTRICHT 2.1 Introduzione dell’articolo 151 La materia culturale entra a far parte delle competenze comunitarie con l’adozione del Trattato di Maastricht che introduce diverse disposizioni ad hoc: l'articolo 3, lett.q, che introduce di fatto la cultura tra gli scopi comunitari, in base al quale l'azione della Comunità comporta un contributo ad un'istruzione e ad una formazione di qualità e al pieno sviluppo delle culture degli Stati membri (attuale art. 3 TUE, “obiettivi”); l'articolo 87, par. 3, lett. d), per cui possono considerarsi compatibili con il mercato comune gli aiuti destinati a promuovere la cultura e la conservazione del patrimonio, quando non alterino le condizioni degli scambi e della concorrenza nella Comunità (attuale art. 107, punto 3, lett d) TFUE); e infine l’articolo 128 del Trattato di Maastricht, unico articolo facente parte del Titolo IX intitolato “Cultura”. In seguito alle modifiche apportate dal Trattato di Amsterdam, nella versione consolidata del trattato CE del 1997, la politica culturale è disciplinata dall’articolo 151 (attuale art. 167 TFUE. D’ora in poi, per comodità utilizzeremo la denominazione “articolo 151”). Le stesse istituzioni comunitarie, in diverse occasioni54 , evidenziano i limiti intrinseci dell’articolo 151: la Commissione, nella sua comunicazione concernente le prospettive per l’azione della Comunità nel settore culturale del 1993, afferma che tale disposizione presenta “alcune ambiguità, derivanti dal tentativo di conciliare i fautori dell’ampliamento delle competenze della comunità con coloro che desiderano limitarle e restringerle”. Analizzando l’articolo 151 si evince che alla Comunità è affidato il compito di contribuire al pieno sviluppo delle culture degli Stati, soprattutto sostenendo il retaggio culturale comune. La funzione della norma appare quindi duplice: da un lato, dall'uso del plurale "culture", a carattere orizzontale, si deduce che l’azione comunitaria dovrebbe coniugare il pluralismo culturale degli stati membri con il retaggio culturale comune e, d’altro 54 Ad esempio: Parlamento europeo, Risoluzione sulla prima relazione della Commissione sulla presa in considerazione degli aspetti culturali nell'azione della Comunità europea, COM(96)0160 C4-0249/96; Commissione europea, Comunicazione concernente le nuove prospettive per l'azione della Comunità nel settore culturale, GU C 42 del 15.2.1993, pag. 173; Relazione della commissione per la cultura, la gioventù, l'istruzione e i mezzi di informazione e il parere della commissione per le relazioni economiche esterne (A4-0410/96).
  • 30. 30 canto, si prevede che il contributo comunitario allo sviluppo della cultura si realizzi sia in una dimensione interna, sia in una dimensione esterna (punto 5 dell’art. 151). L’azione comunitaria non deve tuttavia invadere l’ambito di competenza degli Stati, tant’è che l’articolo esclude espressamente qualsiasi “armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri” (art. 151, punto 5). Il secondo punto dell’articolo 151 esplicita le modalità dell’intervento comunitario, il quale deve essere anzitutto di incoraggiamento alla cooperazione tra gli Stati membri e, solo secondariamente di sostegno e di integrazione dell’azione degli Stati membri in alcuni ambiti specifici: miglioramento della conoscenza e della diffusione della cultura e della storia dei popoli europei, conservazione e salvaguardia del patrimonio culturale di importanza europea, promozione e tutela della creazione artistica e letteraria, compreso il settore audiovisivo e degli scambi culturali e commerciali. A parte la difficoltà di definire cosa s’intende per patrimonio culturale “d’importanza europea”, tale elenco non è certamente esaustivo, ma traccia a grandi linee il campo d’azione comunitaria. Continuando ad esaminare il secondo comma dell’articolo 151 emerge come l’esercizio dell’azione di sostegno e d’integrazione possa verificarsi solo “se necessario”: ne possiamo dedurre, come affermato da alcuni55 , che” la Comunità opera in via suppletiva in settori che sono di preminente interesse dell’attività degli Stati membri” e che quindi, perché l’azione comunitaria possa realizzarsi, occorre una verifica preventiva sulla necessità dell’intervento. Tale valutazione di necessità non è invece richiesta nel caso delle misure comunitarie atte a incoraggiare la cooperazione tra gli Stati membri. Il terzo paragrafo dell’articolo 151 è dedicato all’applicazione della politica culturale nelle relazioni esterne ed afferma che “la Comunità e gli Stati membri favoriscono la cooperazione con i paesi terzi e le organizzazioni internazionali competenti in materia di cultura, in particolare con il Consiglio d'Europa” (questo aspetto sarà approfondito nel capitolo quarto). Il quarto paragrafo dell’articolo 151 enuncia un principio rilevante, che, soprattutto nell’ottica della strategia “Europa 2020”, sarà attentamente tenuto in considerazione: la trasversalità degli aspetti culturali in tutte le politiche europee. Il paragrafo recita infatti:” la Comunità tiene conto degli aspetti culturali nell'azione che svolge a norma di altre disposizioni del presente trattato”. Il Trattato di Maastricht, pur con prescrizioni considerate fragili, non si è limitato a fare della cultura un settore specifico, ma ha introdotto l'obbligo per l'UE di prendere in considerazione gli aspetti culturali all'interno delle sue politiche. Inoltre, così come ricordato da alcuni 55 Scialla L., I beni culturali nell’azione comunitaria, cit. 3, pag 78
  • 31. 31 autori56 , facendo riferimento al combinato disposto degli articoli 151 par. 4 e 87 par. 3, lettera d) si delinea il carattere peculiare della stessa azione culturale (definita “eccezione culturale”, cfr capitolo 4, par. 4), in cui si sostanzia l'esclusione della cultura dalla sfera puramente economica. L'articolo 87 dichiara, infatti, la compatibilità di aiuti di stato destinati a promuovere la cultura col mercato comune. Il quinto paragrafo dell’articolo 151 dispone gli atti giuridici che il Consiglio può adottare per “contribuire alla realizzazione degli obiettivi previsti”: si tratta di azioni di incentivazione e raccomandazioni ad esclusione, come già detto, di qualsiasi armonizzazione delle legislazioni nazionali. Le azioni di incentivazione sono deliberate dal Consiglio secondo la procedura di codecisione stabilita dall’articolo 251 TCE (attuale art. 294 TFUE), procedura che riconosce un ruolo importante al Parlamento europeo. Tuttavia, il carattere di sovranazionalità della procedura viene limitato dalla clausola che impone al Consiglio di adottare l’atto all’unanimità. Le raccomandazioni possono essere adottate anch’esse all’unanimità, su proposta della Commissione. Da questa ultima analisi si evince quanto l’articolo 151 sia frutto di un’attenta cautela della Comunità in fase di formulazione dell’articolo, strutturato in modo da costituire un compromesso tra posizioni opposte: quella più pronta ad un ampliamento delle competenze comunitarie in tale settore e quella più favorevole a circoscrivere entro margini precisi tali competenze. Inoltre, tale rigidità procedimentale ha implicato, da un lato, il ricorso a basi giuridiche differenti per le azioni in ambito culturale (vedi art. 151, punto 4) d'altro lato, il massiccio ricorso a strumenti di soft law (soprattutto risoluzioni e conclusioni del Consiglio dei ministri), generando un fenomeno di parcellizzazione delle fonti. Con le modifiche apportate dal Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, dell’ottobre 2004, anche per quanto riguarda la politica culturale, cambiano alcuni aspetti: Il Titolo dedicato è ora l’XIII, l’articolo di riferimento è il 167 e le procedure di delibera previste sono quelle che vedono Consiglio e Parlamento adottare azioni di incentivazione secondo la procedura legislativa ordinaria e il solo Consiglio, su proposta della Commissione, adottare raccomandazioni. Non è più presente dunque il vincolo dell’unanimità. Per il resto, l’articolo non modifica di molto la sua forma, rispetto alla versione precedente, ma, per meglio comprendere come evolve la partizione delle competenze in ambito culturale, è importante non soffermarsi solo sull’articolo specifico, bensì analizzare brevemente anche la Parte prima del Trattato sul funzionamento dell’Unione 56 Ferri D., L’azione negoziale europea in sede UNESCO: unità della rappresentanza internazionale vs. problematicità del reparto di competenze in materia di cultura, consultabile all’indirizzo http://www.forumcostituzionale.it/wordpress/wp- content/uploads/pre_2006/210.pdf.
  • 32. 32 Europea, dedicata ai principi e, nel dettaglio, su alcuni articoli contenuti nel Titolo I. L’articolo 6 infatti dichiara che in determinati settori, tra cui quello culturale, la competenza dell’Unione si esplica attraverso azioni di sostegno, coordinamento o completamento dell’azione degli Stati membri, senza sostituirsi alla competenza di questi ultimi in tali settori. Il comma 5 dell’articolo 2 sottolinea che gli atti giuridicamente vincolanti adottati dall’Unione in tale ambito non possono comportare un’armonizzazione delle disposizioni legislative o regolamentari degli Stati membri. Al fine di completare la presente analisi, occorre ricordare l’articolo 5 del Trattato dell’Unione Europea, il quale delimita le competenze dell’UE attraverso i principi di attribuzione57 , di sussidiarietà58 e di proporzionalità59 , e l’articolo 352 TFUE che introduce la cosiddetta “clausola di proporzionalità” secondo la quale l’Unione può agire al di là dei poteri d’azione attribuitele “nel quadro delle politiche definite dai trattati, per realizzare uno degli obiettivi di cui ai trattati” , deliberando secondo procedura straordinaria. Più in generale, il rispetto e la tutela positiva della diversità culturale sono divenuti, con l’adozione del trattato costituzionale, valori europei fondamentali60 , all'interno di un sensibilizzato contesto internazionale (cfr. capitolo 4), valori sostenuti anche nel Preambolo della Carta di Nizza61 oggi parte integrante del trattato. Al di là dei principi fondamentali che nel corso degli anni sono divenuti imprescindibili, resta il fatto che, dopo Maastricht, gli aiuti economici stanziati a favore della cultura hanno reso l'Unione uno dei principali attori economici a livello di cooperazione culturale. 57 Il principio di attribuzione prescrive che l’Unione agisca nei limiti delle competenze che le sono attribuite dagli Stati membri nei Trattati per realizzare gli obiettivi da questi stabiliti. Pertanto, qualsiasi competenza non attribuita all’Unione dai Trattati appartiene agli Stati membri. 58 In virtù del principio di sussidiarietà, nei settori che non sono di sua competenza esclusiva, l’Unione interviene soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere efficacemente raggiunti dagli Stati membri, né a livello centrale né a livello regionale e locale, ma possono essere meglio raggiunti a livello dell’Unione. Per approfondimenti, consultare Mastroianni R., Il ruolo del principio di sussidiarietà nella definizione delle competenze statali e comunitarie in materia di politiche culturali, in Rivista Italiana di Diritto Pubblico Comunitario, 1/1994 e Baruffi M.C., Sussidiarietà. Controllo dal basso sulle eccezioni, in Guida al diritto, 10/2004, pp 58 ss. 59 Il principio di proporzionalità stabilisce che il contenuto e la forma dell’azione dell’Unione non vadano al di là di quanto necessario per il raggiungimento degli obiettivi dei Trattati. 60 “ Essa rispetta la ricchezza della sua diversità culturale e linguistica e vigila sulla salvaguardia e sullo sviluppo del patrimonio culturale europeo”, Art. 3, par. 3, ultimo capoverso TUE. 61 “L’Unione contribuisce alla salvaguardia e allo sviluppo di questi valori comuni nel rispetto della diversità delle culture e delle tradizioni dei popoli d’Europa”, terzo capoverso del preambolo, Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (2000/C 364/01)
  • 33. 33 2.2 I primi programmi di finanziamento alla cultura 2.2.1 Programma Caleidoscopio Con la Decisione n. 719/96/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, il 29 marzo 1996 viene istituito il primo programma di sostegno alle attività artistiche e culturali di dimensione europea, denominato Caleidoscopio62 , con l’obiettivo di promuovere l'accesso del pubblico alla cultura e alla storia dei popoli europei e di diffonderne la conoscenza, nonché di incentivare la cooperazione artistica e culturale fra gli operatori del settore. Si tratta del primo programma comunitario nel settore culturale basato sull'articolo 151 del trattato CE che, durante i quattro anni di implementazione ha finanziato 518 progetti63 . A dire il vero, un programma Caleidoscopio era già attivo dal 1991, ma si trattava di una sorta di concorso che premiava progetti artistici di respiro culturale64 . Nel preambolo del documento viene elencata una serie di comunicazioni e risoluzioni delle varie istituzioni comunitarie inerenti il tema culturale ed è interessante notare come le molteplici componenti del settore culturale fossero già state prese in considerazione nel corso degli anni: Città europea della cultura (punto 11 del Preambolo), Mese della cultura europea (punto 12), teatro europeo (punto 13), reti culturali (punto 14), musica, danza e arti plastiche (punto 16), cooperazione culturale con i paesi terzi e le organizzazioni internazionali (punto 17). Emerge forte, inoltre la consapevolezza che “il sostegno del settore delle arti e della cultura può favorire l'attività economica e l'occupazione” (punto 8 del Preambolo).Il programma Caleidoscopio viene inizialmente stabilito per una durata di due anni, dal primo gennaio 1996 al 31 dicembre 1998 e tra i suoi obiettivi specifici ritroviamo: l’incoraggiamento per attività di creazione artistica di dimensione europea realizzate da compartecipazioni di artisti di diversi Stati membri; il sostegno a progetti 62 Parlamento europeo e Consiglio, Decisione n. 719/96/CE che istituisce un programma di sostegno alle attività artistiche e culturali di dimenzione europea (Caleidoscopio), del 29 marzo 1996. 63 Il dato è fornito dalla Società GMV Conseil che nel 2003 ha realizzato un’indagine sui risultati dei programmi Arianna, Raffaello e Caleidoscopio per conto della Commissione, indagine che ha integrato la Relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sull'attuazione dei programmi comunitari Caleidoscopio, Arianna e Raffaello, COM(2004) 33 definitivo, del 23 gennaio 2004. 64 Programma «Caleidoscopio» organizzato dalla Commissione delle Comunità europee — Condizioni di partecipazione (Seguito del premio «Europa della cultura»), pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Ce (GU C 205 del 6.8.1991, pagg. 19– 20), consultabile all’indirizzo http://eur-lex.europa.eu/legal- content/IT/TXT/PDF/?uri=OJ:JOC_1991_205_R_0019_01&qid=1421599580850&from=IT.
  • 34. 34 culturali di natura innovatrice realizzati da partner europei, che apportino un concreto valore aggiunto di carattere culturale; il contributo al perfezionamento degli artisti e di altri operatori culturali, in particolare intensificando gli scambi di esperienze; il sostegno alla conoscenza reciproca delle culture europee facilitando l’accesso del pubblico agli eventi culturali (art. 2). L’articolo 6 fissa la dotazione finanziaria per il programma a 26,5 milioni di ECU (dotazione che poi è stata portata a 36,7 milioni nel momento in cui il programma è stato prorogato per altri due anni), mentre emerge come, già in questa fase “embrionale” della politica culturale europea, si avverta la necessità di integrare le differenti azioni in un quadro unitario: “La Commissione, in collaborazione con gli Stati membri, cercherà di rendere complementari le azioni previste dal presente programma e da altri programmi culturali da un lato, e quelle previste dai programmi d’azione comunitari, soprattutto in materia di istruzione, come Socrate, e di formazione professionale, come Leonardo da Vinci, dall'altro” (art. 7). Le azioni messe in essere dal programma, elencate nell’Allegato, sono cinque e comprendono: - sostegno a manifestazioni e progetti culturali realizzati in compartecipazione o sotto forma di reti, che vedano la cooperazione di almeno tre Stati membri e che implichino anche la partecipazione degli artisti, creatori o interpreti, o di altri operatori del settore culturale di almeno tre Stati membri; - azioni di cooperazione europea di ampia portata rivolte a progetti significativi di dimensione europea e con un notevole impatto culturale e socio-economico; - partecipazione dei paesi terzi, secondo quanto prescritto dall’articolo 465 ; - città europea della cultura e mese culturale europeo; - misure specifiche che prevedono la realizzazione di ricerche o studi. 2.2.2 Programma Arianna Con la decisione 2085/97/CE del 6 ottobre 1997, viene istituito il programma Arianna66 , a sostegno del settore letterario e della traduzione, attraverso il quale mettere in atto “un’azione 65 “Il presente programma è aperto alla partecipazione dei paesi associati dell'Europa centrale e orientale (PAECO), conformemente alle condizioni stabilite nei protocolli addizionali agli accordi di associazione relativi alla partecipazione a programmi comunitari conclusi o da concludere con tali paesi. Questo programma è aperto alla partecipazione di Cipro e di Malta nonché alla cooperazione con altri paesi terzi che hanno concluso accordi di associazione o di cooperazione contenenti clausole culturali, sulla base di stanziamenti supplementari da assegnare secondo procedure da convenire con questi paesi. Talune modalità generali della partecipazione sono contemplate nell'azione 3 dell'allegato”,articolo 4 della Decisione che istituisce il programma Caleidoscopio, cit. 62.
  • 35. 35 culturale importante a favore del libro”, così come sottolineato dal punto quarto del preambolo della decisione. Sempre nel preambolo, emerge l’importante considerazione che “qualsiasi programma comunitario nel settore del libro deve tener conto della duplice natura dello stesso, che è un bene economico e culturale al contempo” (punto 2), il che conferma la progressiva evoluzione della posizione sostenuta della Comunità: a una iniziale equiparazione dei beni culturali alle merci in senso stretto (cfr. sentenza della CdG, Commissione delle Comunità c. Repubblica italiana, cap. 1, par. 1) si è sostituito il riconoscimento della natura particolare dei prodotti artistici, meritevoli di tutela e promozione. Ecco quindi che un’iniziativa comunitaria in ambito letterario è pensata per contribuire alla conoscenza e alla diffusione della cultura e della storia dei popoli europei, al mantenimento della diversità della creazione letteraria e del patrimonio scritto nelle sue diverse espressioni linguistiche nazionali e regionali, agli scambi interculturali e agli scambi di know-how, oltre che per favorire l'accesso dei cittadini, anche dei meno favoriti, alla cultura. Nel preambolo vengono ricordati anche gli atti non vincolanti inerenti il settore dei libri che nel corso degli anni la Comunità ha prodotto67 e la campagna europea di sensibilizzazione al libro e alla lettura, organizzata dalla Comunità e dal Consiglio d'Europa nel biennio 1993-1994. Scorrendo gli articoli che compongono la Decisione, i primi due sono dedicati alla definizione del periodo di realizzazione del programma Arianna – dal primo gennaio 1997 al 31 dicembre 1998 – e all’individuazione degli obiettivi specifici da realizzare, tra i quali figurano quello di dare, attraverso la traduzione, un’ampia diffusione alle opere letterarie rappresentative delle tendenze della letteratura europea contemporanea della seconda metà del secolo,quello di stimolare gli scambi di competenze e buone pratiche attraverso progetti di cooperazione e quello di sostenere il perfezionamento dei professionisti del settore (non solo dei traduttori). 66 Parlamento europeo e Consiglio Decisione n. 2085/97/CE che istituisce un programma di sostegno, comprendente la traduzione, al settore del libro e della lettura (Arianna), del 6 ottobre 1997. 67 “considerando l'importanza che le istituzioni della Comunità hanno attribuito alla conoscenza e alla diffusione della creazione letteraria, in particolare attraverso la traduzione, come testimoniano: a) la risoluzione del Parlamento europeo del 10 luglio 1987 su una comunicazione della Commissione al Consiglio, riguardante un'azione comunitaria nel settore del libro, b) la risoluzione del Consiglio e dei ministri responsabili degli affari culturali, riuniti in sede di Consiglio, del 9 novembre 1987, sulla promozione della traduzione di opere importanti della cultura europea, c) la risoluzione del Consiglio e dei ministri responsabili degli affari culturali, riuniti in sede di Consiglio, del 18 maggio 1989, relativa alla promozione del libro e della lettura, d) la comunicazione della Commissione, del 3 agosto 1989, sul libro e la lettura: sfide culturali dell'Europa, e) le conclusioni dei ministri della cultura, riuniti in sede di Consiglio, del 12 novembre 1992, sulle linee direttrici per l'azione comunitaria nel settore culturale, f) la risoluzione del Parlamento europeo del 21 gennaio 1993 sulla promozione del libro e della lettura in Europa, g) la risoluzione del Consiglio e dei ministri della cultura riuniti in sede di Consiglio, del 17 maggio 1993, sulla promozione della traduzione di opere teatrali europee contemporanee”, punto 9 del Preambolo alla Decisione che istituisce il programma Arianna, cit. 66.
  • 36. 36 Così come per il programma Caleidoscopio, anche Arianna è aperto alla partecipazione di Paesi associati dell’Europa orientale e centrale (PAECO), di Cipro, Malta e a tutti i Paesi terzi che abbiano concluso accordi di cooperazione contenenti clausole culturali (art. 4).L’articolo 6, infine specifica che la dotazione finanziari per l’attuazione del programma è di 7 milioni di ECU. Nell’allegato sono elencate le sei azioni da realizzare per giungere agli obiettivi previsti: - aiuti per la traduzione, sia di opere letterarie, che di opere teatrali, dando la priorità alle lingue meno diffuse della comunità e alle piccole case editrici (tale azione ha assorbito circa il 50% degli stanziamenti totali per il programma Arianna); - sostegno a progetti di cooperazione realizzati in compartecipazione, che hanno visto il coordinamento di attori provenienti da almeno tre Stati membri , attraverso un contributo finanziario che non ha superato il 25 % delle spese totali del progetto preso in considerazione e non superiore a 50 000 ECU; - supporto al perfezionamento dei professionisti che contribuiscono alla conoscenza e alla diffusione delle letterature europee; - misure di accompagnamento, per ricerche, studi e pubblicità del programma; - contributo annuale ad Aristeion - Premio letterario europeo e al Premio europeo di traduzione; - partecipazione dei paesi terzi. Con la decisione n. 476/1999/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 febbraio 1999, la conclusione del programma Arianna è stata posticipata al 31 dicembre 1999 e la dotazione finanziaria è stata portata a 11,1 milioni di ECU68 . 2.2.3 Programma Raffaello Il programma Raffaello69 viene istituito con la Decisione n. 2228/97/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 13 ottobre 1997 e ha l’obiettivo, “attraverso la cooperazione, di 68 Parlamento europeo e Consiglio, Decisione n. 476/1999/CE recante modifica della decisione n. 2085/97/CE che istituisce un programma di sostegno, comprendente la traduzione, al settore del libro e della lettura (Arianna), del 22 febbraio 1999. 69 Parlamento europeo e Consiglio, Decisione n. 2228/97/CE che istituisce un programma comunitario d'azione in materia di beni culturali (programma Raffaello), del 13 ottobre 1997.