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Università degli Studi “La Sapienza”
Facoltà di Giurisprudenza
Istituto di Diritto Privato
Master di II livello in Scienze Applicate del Lavoro e della Previdenza Sociale
Anno 2006
Candidato:
Alfonso Ferraioli
Relatore:
Prof. Giuseppe Santoro Passarelli
"I limiti del potere di recesso del lavoratore : limiti legali e limiti convenzionali"
1
1 INTRODUZIONE.............................................................................................................................3
2 IL RECESSO DEL LAVORATORE ...............................................................................................6
2.1 Nozione.......................................................................................................................................8
2.2 Recesso come negozio giuridico................................................................................................9
2.3 Nullità e annullabilità del recesso del lavoratore .....................................................................10
2.4 Forma del recesso.....................................................................................................................12
3 IL PREAVVISO..............................................................................................................................13
3.1 Nozione.....................................................................................................................................13
3.2 Efficacia reale o obbligatoria del preavviso.............................................................................14
3.3 Sospensione del decorso...........................................................................................................15
3.4 Norme derogatorie ...................................................................................................................17
4 LIMITI CONVENZIONALI...........................................................................................................19
4.1 Negoziabilità del diritto di recesso ..........................................................................................19
4.2 Il prolungamento convenzionale del preavviso........................................................................23
4.3 La clausola di stabilità..............................................................................................................28
4.4 Ipotesi bilaterale.......................................................................................................................31
4.5 Ipotesi unilaterale.....................................................................................................................32
4.6 Forma.......................................................................................................................................34
4.7 Durata ......................................................................................................................................34
4.8 Sanzioni ...................................................................................................................................35
5 BIBLIOGRAFIA.............................................................................................................................38
2
1 INTRODUZIONE
Il diritto del lavoro nella sua accezione tradizionale si è sviluppato pressoché
esclusivamente come diritto di tutela, configurando un sistema di rapporti giuridici
caratterizzati da profondi elementi protezionistici a favore del prestatore di lavoro
subordinato.
L’aspirazione ad assicurare un bilanciamento delle posizioni contrattuali tra le parti
del rapporto di lavoro ha portato il legislatore a limitare la libera volontà dei soggetti
contrattuali mediante l’impiego della tecnica della inderogabilità in peius dei
trattamenti economico-normativi e delle condizioni di lavoro stabilite da disposizioni
di legge e di contratto collettivo.1
Questa accezione prende le mosse da una organizzazione del lavoro di stampo
taylorista dove il lavoratore, dotato di una professionalità elementare, è
completamente etero diretto nel suo lavoro dalla tecnologia inserita negli impianti
produttivi.
Il grado di fungibilità di questo lavoratore è molto elevato, e pertanto, è necessaria
una legislazione di tutela nei suoi confronti, finalizzata ad evitare che i datori di
lavoro possano troppo facilmente rompere il vincolo contrattuale.
Oggi, specialmente nel settore terziario, la situazione è molto diversa:
l’organizzazione del lavoro vede delle mansioni estremamente ricche ed articolate
1
Biagi, Russo, Problemi e prospettive nelle politiche di “fidelizzazione” del personale, 2001, 1
3
dove intere fasi del processo produttivo sono concentrate su singoli individui.
La professionalità di questi lavoratori è talmente elevata che è stata elaborata dalla
teoria aziendalistica la figura del “Core Worker”: un lavoratore fondamentale per
l’impresa, destinatario di formazione, investimenti e dotato di professionalità
specialistica 2
.
E’ di tutta evidenza che, in questo caso, il rapporto di forza o, se vogliamo, il grado di
dipendenza tra datore di lavoro e lavoratore è molto diverso rispetto al vecchio
modello ispirato alla teoria di Taylor: paradossalmente, diventa meritevole di tutela
anche il datore di lavoro rispetto al rischio di una rottura del vincolo contrattuale da
parte del lavoratore.
Per le ragioni predette si vanno diffondendo, nella pratica delle negoziazioni
concrete, una serie di strumenti contrattuali, denominati strumenti di fidelizzazione
vincolata, finalizzati a porre vincoli giuridici alla libertà contrattuale del lavoratore,
limitandone il potere di recesso e tutelando, quindi, le esigenza del datore di poter
contare per un certo lasso di tempo sull’apporto di determinate professionalità.
Gli strumenti in grado di creare vincoli giuridici al recesso del lavoratore possono
essere circoscritti al prolungamento del periodo di preavviso ed alla clausola di durata
minima garantita.3
Scopo della mia elaborazione è di esaminare brevemente il potere di recesso del
lavoratore, e cioè le dimissioni.
2
ZOLI C., Clausole di fidelizzazione e rapporto di lavoro, in Riv. It. Dir. Lav., 2003, 450
3
ZOLI C., Clausole di fidelizzazione e rapporto di lavoro, in Riv. It. Dir. Lav., 2003, 452
4
E’ a tal uopo necessario, anzitutto, ricostruire la disciplina del recesso ad nutum ex
art. 2118 c.c., avendo cura di evidenziare le ragioni e la funzione assolta dallo
strumento del preavviso.
Successivamente esaminerò gli strumenti giuridici esistenti in grado di limitare il
recesso, al fine di verificare se le clausole contrattuali utilizzate per limitare il potere
del lavoratore di rassegnare le dimissioni siano o meno compatibili con il contratto di
lavoro e con la disciplina, legale e collettiva, del rapporto di lavoro subordinato.
Infine procederò alla analisi di due strumenti contrattuali che predispongono dei
limiti convenzionali al potere di recesso del lavoratore: il prolungamento pattizio del
periodo di preavviso e la stipula di un patto di stabilità.
5
2 IL RECESSO DEL LAVORATORE
Il rapporto di lavoro subordinato, sebbene il codice civile all’articolo 2094 individui
solo il prestatore di lavoro subordinato, si fa tipicamente originare dalla stipula di un
contratto tra datore di lavoro e lavoratore.
Una delle modalità di estinzione di questo contratto è il cosiddetto recesso unilaterale
o ad nutum trattato dall’articolo 2118 del codice civile.
Più specificamente, questo articolo tratta del recesso dal contratto a tempo
indeterminato e sancisce una sostanziale parità tra le parti, prevedendo libertà di
recesso dal contratto per entrambi i contraenti, fatto salvo l’obbligo di dare il
preavviso.
Il preavviso è quel periodo di tempo intercorrente tra la manifestazione della volontà
di estinguere il rapporto e la sua effettiva estinzione ed ha il fine di mettere chi
subisce il recesso nelle condizioni di porre in essere tutte quelle azioni volte a
minimizzare gli effetti dannosi dello stesso.
La durata del preavviso, recita l’articolo 2118, è prevista dagli usi o secondo equità,
ma va specificato che nella maggior parte dei casi è definita dai contratti collettivi
che possono anche differenziarla a seconda di chi sia la parte recedente.
Una prima lettura di questo articolo individua una prima area di esclusione da questa
disciplina: il contratto di lavoro subordinato a tempo determinato non prevede la
possibilità del recesso unilaterale, se non per giusta causa.
6
La logica di questa esclusione è nella ratio dell’articolo 2118, e più in generale
dell’articolo 1373, che è quella di imporre un principio di temporaneità ad un
rapporto che, geneticamente, è illimitato.4
Essendo il termine, un elemento essenziale del contratto a tempo determinato, non
rientra nella logica dell’articolo 2118 e pertanto ne è escluso.
Una ulteriore norma che regola il recesso unilaterale si ha all’articolo successivo
(2119 del codice civile) dove si tratta del recesso per giusta causa, introducendo una
normativa derogatoria rispetto alla disciplina del preavviso.
La giusta causa del recesso è un evento di gravità tale da non consentire la
prosecuzione neanche temporanea del rapporto ed agisce anche per i contratti a
tempo determinato.
Sebbene si sia in presenza di due articoli distinti non si tratta di due negozi distinti di
recesso, bensì di un unico tipo di negozio rispetto al quale la giusta causa costituisce
solo un presupposto che esonera dal preavviso5
.
Non solo, ma la sanzione di questo evento, laddove sia il lavoratore a recedere,
consiste anche nell’inversione del meccanismo del preavviso, con il conseguente
maggiore onere pecuniario. 6
Naturalmente, la disciplina codicistica del recesso del datore di lavoro, con la legge
604 del 1966 e successive modifiche, ha visto enormemente ridotta la sua valenza, al
contrario del recesso del lavoratore che è, sostanzialmente, regolamentato dalla
disciplina del 1942.
4
ROSELLI F., Il recesso dal contratto, in A. Cecchini, M. Costanza, M. Franzoni, A. Gentili, F. Roselli, G. Vettori,
Effetti del contratto, Giappichelli editore, Torino, 2002, 692
5
GHERA E., Diritto del lavoro, Cacucci editore, Bari, 2006, 181
6
GIUDICI M., La risoluzione consensuale del rapporto, in Isper Edizioni 348, settembre 2006, 6
7
La motivazione è che la legge - e, per essa, la contrattazione collettiva - interviene
per stabilire in via preventiva il contenuto necessario di molte parti del rapporto tra
lavoratore e datore di lavoro, sottraendole alla negoziazione individuale, soprattutto
al fine di garantire un minimo inderogabile a favore del lavoratore.
Nel caso del recesso del lavoratore, invece, tranne casi patologici, si lede un interesse
del datore di lavoro.
La motivazione è di natura prettamente politica ed origina dalla tipologia degli
interessi tutelati: mentre nel caso di recesso del datore di lavoro si configura un danno
alla persona del lavoratore, essendo il lavoratore normalmente dipendente
economicamente dal datore di lavoro, nel caso di recesso del lavoratore il danno per
il datore di lavoro è esclusivamente patrimoniale.7
Pertanto, le forme di tutela sono in larga parte le medesime previste dalla disciplina
civilistica dei negozi giuridici a contenuto patrimoniale.
Fatte salve queste norme, il recesso unilaterale del lavoratore, va letto, nei suoi aspetti
costituenti, prendendo in esame la disciplina generale dell’articolo 1373 del codice
civile.
2.1 Nozione
7
ZOLI C., Clausole di fidelizzazione e rapporto di lavoro, in Riv. It. Dir. Lav., 2003, 451;
8
Il recesso unilaterale, ex art.1373 c.c., può essere definito come la manifestazione di
volontà con cui una delle parti produce lo scioglimento del rapporto giuridico di
origine contrattuale.
La causa di questo negozio è quindi principalmente estintiva e si applica, nel caso del
contratto di lavoro subordinato, in quanto contratto di durata, soltanto sulle
prestazioni non ancora eseguite, così come da comma 2 del predetto articolo 8
.
La logica di questa norma, per i contratti di durata senza apposizione di un termine, è
quella di affermare un principio generale dell’ordinamento di temporaneità dei
rapporti, che renda più dinamica l’economia e che non vincoli eccessivamente i
contraenti.
2.2 Recesso come negozio giuridico
L’atto di manifestazione di volontà, precedentemente definito come recesso
unilaterale del lavoratore, è qualificato dalla dottrina come un negozio giuridico
unilaterale recettizio.
L’efficacia di questo negozio, essendo unilaterale, è, quindi, indipendente
dall’accettazione del datore di lavoro e decorre dal momento in cui questi sia posto
nelle condizioni di esserne a conoscenza.
8
ROSELLI F., Il recesso dal contratto, in A. Cecchini, M. Costanza, M. Franzoni, A. Gentili, F. Roselli, G. Vettori,
Effetti del contratto, Giappichelli editore, Torino, 2002, 686.
9
Infatti, qualificare questo negozio come recettizio ha una notevole rilevanza pratica
perché l’efficacia dello stesso è subordinata alla conoscenza effettiva o presunta di
esso dal destinatario così come da articoli 1334 e 1335 del codice civile.9
Gli effetti di questo negozio, così come previsto dal comma 2 articolo 1373 del
codice civile, non riguardano le prestazioni eseguite o in corso di esecuzione; questo
discende dal fatto che l’inefficacia sopravvenuta del contratto non incide sulle
prestazioni già eseguite, che perciò non debbono essere restituite. In particolare nei
contratti di durata la causa contrattuale è unica, ma si attua continuativamente onde la
cessazione del rapporto prima dell’adempimento totale trova già attuata la causa in
relazione al tempo per cui si è adempiuto e non può distruggere questo risultato.10
Infine, il recesso in quanto negozio unilaterale non è revocabile pertanto laddove
venga conosciuto dal destinatario, il contratto è estinto e si dovrà nuovamente far
incontrare la volontà delle parti per crearne uno nuovo.11
2.3 Nullità e annullabilità del recesso del lavoratore
Il recesso del lavoratore, come qualsiasi negozio giuridico, è una espressione
dell’autonomia privata, così come previsto dal combinato disposto dall’articolo 1322
e dall’articolo 1324 del codice civile.
Per la salvaguardia di irrinunciabili interessi, però, l’ordinamento pone dei limiti,
prefigura dei modelli astratti affidati a norme giuridiche assistite da sanzioni, che
9
GHERA E., Diritto del lavoro, Cacucci editore, Bari, 2006, 179
10
ROSELLI F., Il recesso dal contratto, in A. Cecchini, M. Costanza, M. Franzoni, A. Gentili, F. Roselli, G. Vettori,
Effetti del contratto, Giappichelli editore, Torino, 2002, 693.
11
GIUDICI M., La risoluzione consensuale del rapporto, in Isper Edizioni 348, settembre 2006, 5
10
colpiscono i consociati quando le violino. Fra le sanzioni previste, è l’invalidità dei
negozi giuridici- nelle due specie normative della nullità e dell’annullabilità.12
Laddove venga accertata l’invalidità del negozio, questi perde di efficacia e pertanto
non produce effetti nell’altrui sfera giuridica.
Le cause di nullità sono quelle previste dall’articolo 1418 del codice civile e quindi
contrarietà a norme imperative, mancanza dei requisiti essenziali così come da
articolo 1325 del codice civile, l’illiceità della causa o dei motivi oppure mancanza
dei requisiti minimi nell’oggetto.
A titolo esemplificativo, le dimissioni in bianco sono da considerarsi nulle perché
mancano i requisiti minimi nell’oggetto e perché in buona sostanza hanno lo scopo di
eludere le norme imperative previste dalla disciplina sui licenziamenti.13
La gravità delle cause che comportano la nullità del negozio, e l’esigenza di tutelare,
per suo tramite, interessi che trascendono le parti negoziali, giustificano l’ampia
legittimazione a promuoverne l’azione: la nullità può essere fatta valere da chiunque
ne abbia interesse e non è soggetta a prescrizione. 14
L’annullabilità si ha, invece quando la volontà dell’attore non può esprimersi
pienamente o per propria incapacità di intendere e di volere oppure per gravi vizi
quali l’errore il dolo o la violenza.
In questo caso è legittimato ad agire solo colui a favore del quale deve essere
riconosciuto l’annullamento e questa azione si prescrive in cinque anni.15
12
BONILINI G. in Istituzioni di Diritto Privato a cura di Mario Bessone, Giappichelli editore, Torino, 1996, 711.
13
GIUDICI M., La risoluzione consensuale del rapporto, in Isper Edizioni 348, settembre 2006, 7.
14
BONILINI G. in Istituzioni di Diritto Privato a cura di Mario Bessone, Giappichelli editore, Torino, 1996, 725.
15
BONILINI G. in Istituzioni di Diritto Privato a cura di Mario Bessone, Giappichelli editore, Torino, 1996, 738.
11
2.4 Forma del recesso
Tra i requisiti del contratto l’articolo 1325 del codice civile annovera anche la forma
quando risulta che è prescritta dalla legge a pena di nullità.
L’articolo 1350 enumera poi quali contratti o atti necessitano dell’atto scritto (atto
pubblico o scrittura privata) per essere validi.16
Al di fuori di queste previsioni e fatte salve diverse previsioni dei contratti collettivi,
non è prevista una forma particolare per il recesso del lavoratore né ad substantiam
né ad probationem.
Dal punto di vista della prova, soprattutto per i calcoli sull’efficacia temporale del
recesso e per la decorrenza del periodo di preavviso, appare comunque opportuna
l’adozione della forma scritta.17
16
DI MAIO A. in Istituzioni di Diritto Privato a cura di Mario Bessone, Giappichelli editore, Torino, 1996, 630.
17
GIUDICI M., La risoluzione consensuale del rapporto, in Isper Edizioni 348, settembre 2006, 5.
12
3 IL PREAVVISO
3.1 Nozione
L’articolo 2118 del codice civile prevede che le dimissioni in un contratto a tempo
indeterminato debbono essere caratterizzate dall’intimazione del preavviso ad
iniziativa della parte recedente.
Il preavviso assolve alla funzione di attenuare le conseguenze dannose
dell’improvvisa cessazione del rapporto per la parte che subisce l’iniziativa del
recesso.
Pertanto, l’interesse prioritario tutelato da questo istituto è quello della parte che
subisce il recesso, e cioè, nel nostro caso, del datore di lavoro, affinchè la sua
organizzazione del lavoro non sia lesa, consentendogli la sostituzione del lavoratore
dimissionario.18
La durata del preavviso non è determinata dall’articolo in questione, che rinvia agli
usi o all’equità, ma nella stragrande maggioranza dei casi dai contratti collettivi.
Il secondo comma dell’articolo 2118 prevede in mancanza di preavviso la necessità
di versare una indennità pari alla retribuzione mensile moltiplicata per il numero di
mesi previsti dalle norme sul preavviso.
18
GHERA E., Diritto del lavoro, Cacucci editore, Bari, 2006, 180.
13
3.2 Efficacia reale o obbligatoria del preavviso
L’indennità di mancato preavviso ha una valenza risarcitoria legata al danno che il
lavoratore dimissionario cagiona al datore di lavoro nel momento in cui si rifiuta di
proseguire il rapporto nel periodo di preavviso.
A fronte di questa decisione del lavoratore assume grande rilevanza la natura reale
oppure obbligatoria del preavviso.
Laddove si ritenga che la natura del preavviso sia meramente obbligatoria, il
lavoratore può liberamente decidere se vincolarsi per il periodo di preavviso oppure
se versare la relativa indennità e terminare immediatamente il rapporto; laddove,
invece, si propenda per la natura reale del preavviso, sarà necessario l’accordo del
datore di lavoro per l’opzione pecuniaria a fronte dell’opzione reale.19
Questo non significa che il lavoratore non possa recedere ugualmente, anche in
assenza dell’accordo del datore di lavoro, ma sarà chiamato a risarcire il danno in una
misura ragionevolmente superiore rispetto all’indennità di preavviso.
Il dato letterale dell’articolo sembrerebbe propendere per la soluzione obbligatoria,
dal momento che si dice semplicemente che in mancanza di preavviso il recedente è
tenuto verso l’altra parte ad un’indennità equivalente all’importo della retribuzione
che sarebbe spettata per il periodo di preavviso.
Questa interpretazione stride, però, con la ratio del preavviso che deve, come
abbiamo già detto, consentire al datore di lavoro di avere il tempo necessario per
ricostruire l’organizzazione aziendale; il tempo serve, sia per reperire sul mercato le
19
MEUCCI M., Il rapporto di lavoro nell’impresa, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1991, 188.
14
professionalità necessarie, sia per consentire internamente un passaggio di consegne
per un tempo congruo a trasferire queste professionalità su di un altro lavoratore. 20
In assenza di questo tempo è ragionevole presumere che il danno sopportato sia
superiore rispetto al beneficio dato dall’acquisizione dell’indennità del mancato
preavviso.
3.3 Sospensione del decorso
Alcuni eventi, che incidono sullo svolgimento del periodo di preavviso, ne
sospendono il decorso.21
Va precisato che la gran parte di queste eccezioni nascono per la tutela del lavoratore
che subisce il recesso, e quindi non sempre estendono la loro validità anche al recesso
subito dal datore di lavoro.
Appartiene a questa categoria il caso della maternità fino al compimento di un anno
di età del bambino, così come da articolo 55 del D. leg.vo 151 del 2001, dove non
c’è l’obbligo del preavviso in caso di recesso del lavoratore e dove, quindi, è solo il
preavviso in caso di licenziamento già intervenuto che si sospende, in estensione alla
normativa che sospende il licenziamento stesso.
Altre eccezioni, invece, valgono in entrambi i casi, come per la malattia e le ferie.
L’articolo 2109 del codice civile all’ultimo comma prevede che non può essere
computato nelle ferie il periodo di preavviso.
20
GHERA E., Diritto del lavoro, Cacucci editore, Bari, 2006, 180.
21
MEUCCI M., Il rapporto di lavoro nell’impresa, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1991, 193.
15
Questa eccezione nasce dalla considerazione che il periodo di preavviso è un periodo
di lavoro effettivo, finalizzato al passaggio di consegne oppure alla ricerca esterna di
un sostituto.
Laddove si ammettesse la fruizione di ferie in sostituzione, e non in aggiunta, al
periodo di preavviso, si violerebbe questa logica.
Va aggiunto, inoltre, che in caso di recesso del datore di lavoro, c’è la volontà di
tutelare la parte debole, consentendole un periodo di tempo più lungo per la ricerca
di un altro lavoro oppure una liquidazione economica ulteriore.
Il caso della malattia o dell’infortunio è trattato dall’articolo 2110 del codice civile.
Questo articolo sancisce che il periodo di malattia deve essere coperto da un
trattamento economico ed assistenziale fino al termine della stessa.
Naturalmente questa previsione confliggerebbe con un recesso già intervenuto e
quindi con un periodo di preavviso che ha tempi diversi dal periodo di malattia.
Pertanto, anche in questo caso, il decorso del preavviso è sospeso e riprende il suo
corso solo in caso di guarigione oppure, nel caso di recesso del datore di lavoro, in
caso di termine del periodo di comporto.22
Naturalmente, vale anche nel caso della malattia il ragionamento della effettività del
periodo di lavoro finalizzato alla tutela dell’organizzazione aziendale.
22
MEUCCI M., Il rapporto di lavoro nell’impresa, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1991, 193.
16
3.4 Norme derogatorie
Esiste una casistica speciale nella quale il normale funzionamento dell’istituto del
preavviso viene apparentemente rovesciato.
Come abbiamo visto il preavviso tutela la parte che subisce il recesso nell’ottica di
consentirle una riorganizzazione in un caso della propria vita privata, nell’altro della
struttura dell’azienda.
In alcuni casi, però, questo interesse viene subordinato ad un interesse superiore di
natura pubblicistica che rovescia le tutele, individuando nella parte che riceve il
recesso una responsabilità extracontrattuale, in alcuni casi reale, in altri presunta.
Una prima normativa derogatoria è individuata dall’articolo 2119 che prevede che le
parti possano recedere senza preavviso qualora si verifichino degli eventi di gravità
tale da non consentire la prosecuzione nemmeno temporanea del rapporto.23
Non esiste una definizione precisa di giusta causa, bensì è la giurisprudenza che ha
individuato una casistica che, a titolo esemplificativo e non esaustivo, va dalle
molestie sessuali del datore di lavoro (Pret. Milano 14.8.1991) alla richiesta di
comportamenti illeciti (Pret. Legnano 10.3.1989), dal comportamento ingiurioso del
datore di lavoro (Cassazione 5977 del 29.11.1985) al ritardo nel pagamento della
retribuzione (Cassazione 5146 del 23.5.1998). 24
Si consideri, però, che l’accertamento della giusta causa è sempre suscettibile di
diversa interpretazione da parte del giudice; esemplificativo è il caso di Cass., 22
23
GIUDICI M., La risoluzione consensuale del rapporto, in Isper Edizioni 348, settembre 2006, 6.
24
BONATI G.,GREMIGNI P., Guida pratica lavoro, Il Sole 24 Ore, Marzo 2006, 553.
17
dicembre 1987, n. 9589 dove, a fronte di una difforme interpretazione della
sussistenza della giusta causa di recesso, il lavoratore è stato considerato dalla corte
inadempiente per non aver onorato il preavviso e pertanto condannato al risarcimento
del danno dovuto all’ingiustificata mancata prestazione.25
Nel recesso del lavoratore per giusta causa, come si vedrà anche per gli altri casi, non
solo non agisce il meccanismo del preavviso, ma vengono individuate delle
responsabilità suscettibili di risarcimento, un risarcimento quantificato dal legislatore
nella misura dell’indennità di mancato preavviso.
Un’altra normativa derogatoria riguarda le lavoratrici e i lavoratori in caso di
maternità e paternità nel periodo di gravidanza o fino ad un anno di età del bambino
(articolo 55 D.leg.vo 151/2001).26
In questo caso, in deroga all’articolo 2118, il recesso del lavoratore non è libero,
essendo l’efficacia dello stesso condizionata da una convalida da effettuarsi presso il
servizio ispettivo del ministero del lavoro.
Inoltre, analogamente al recesso per giusta causa, non solo non c’è l’obbligo del
preavviso, bensì c’è l’obbligo in capo al datore di lavoro di corrispondere a titolo
risarcitorio di un fatto illecito presunto un ammontare pari all’indennità di mancato
preavviso.
25
GRANATO M., Sul diritto di recesso del lavoratore ex art. 2119 c.c. (Nota a Cass., 22 dicembre 1987, n. 9589,
Sanna c. Fall. soc. ed. sarda), in Giur. it., 1989, I, 1, 181;
26
GIUDICI M., La risoluzione consensuale del rapporto, in Isper Edizioni 348, settembre 2006, 8.
18
4 LIMITI CONVENZIONALI
4.1 Negoziabilità del diritto di recesso
Questione preliminare da affrontare, prima di esaminare le fattispecie relative alla
limitazione convenzionale del diritto di recesso, è quella dell’eventuale conflitto di
questi patti con le norme inderogabili ovvero dell’area di negoziabilità su queste
materie.
Non esiste una definizione legislativa di norma inderogabile, ma le sue caratteristiche
si possono evincere tramite il confronto tra norma inderogabile e norma derogabile.
E’ detta derogabile la norma che si applica ove i suoi destinatari non abbiano
altrimenti disposto, o più pianamente, la norma è derogabile se presuppone
l’attribuzione di un potere di deroga al destinatario.27
Si denomina, invece come inderogabile quella norma che, esprimendo un comando
che non consente deroghe, limita un potere che, in sua assenza, sarebbe liberamente
esercitabile.28
La caratteristica fondamentale di queste norme è quella di limitare un potere; affinché
questo effetto limitativo possa esercitarsi, è necessario che si abbia un precetto,
destinato ad uno o più soggetti, ed una sanzione, intesa come conseguenza giuridica
sfavorevole tesa a stabilire la prevalenza della norma sulla deroga.
27
NOVELLA M., Considerazioni sul regime giuridico della norma inderogabile nel diritto del lavoro, in Arg. Dir.
Lav., 2003, 509;
28
NOVELLA M., Considerazioni sul regime giuridico della norma inderogabile nel diritto del lavoro, in Arg. Dir.
Lav., 2003, pp. 511;
19
La individuazione della sanzione non è legata, però, alla costruzione della norma
inderogabile, bensì è questione di diritto positivo; essa è spesso una norma, espressa o
inespressa, che abbia il contenuto di norma sanzionatoria in quanto applicabile alla
fattispecie costituita dalla violazione di una norma inderogabile.29
Nel diritto del lavoro il collegamento tra precetto e sanzione, laddove non
esplicitamente dettato dalla norma, è avvenuto facendo leva sulla funzione della
norma , attraverso un’interpretazione basata sulla ratio legis.
La individuazione della maggior parte delle norme inderogabili è stata ricondotta alla
funzione di tutela della parte debole del rapporto di lavoro, mentre la sanzione
ritenuta più idonea a garantire questa funzione protettiva è stata individuata nel
combinato disposto degli articoli 1418 e 1419 del codice civile sulla cause di nullità e
sulla nullità parziale e dell’articolo 1339 sulla inserzione automatica di clausole.30
Così, quando la previsione difforme sia contenuta in un distinto atto o patto
derogatorio, la nullità ex articolo 1418 risulta idonea a conseguire il risultato della
prevalenza della norma sull’atto difforme. Quando, invece, la clausola difforme sia
contenuta all’interno del contratto di lavoro, la conseguenza sanzionatoria ideale
rispetto ai fini protettivi della norma, è individuata nel meccanismo di sostituzione
automatica di clausole – articolo 1339 del codice civile – accompagnata dalla
contestuale salvezza del contratto rettificato – articolo 1419 secondo comma del
codice civile. 31
29
NOVELLA M., Considerazioni sul regime giuridico della norma inderogabile nel diritto del lavoro, in Arg. Dir.
Lav., 2003, 514;
30
NOVELLA M., Considerazioni sul regime giuridico della norma inderogabile nel diritto del lavoro, in Arg. Dir.
Lav., 2003, 515;
31
NOVELLA M., Considerazioni sul regime giuridico della norma inderogabile nel diritto del lavoro, in Arg. Dir.
Lav., 2003, 516;
20
Questo criterio di salvaguardia del contratto e di sostituzione delle clausole difformi
discende dalla volontà di non rimettere in atto la negoziazione, che presumibilmente
favorirebbe la parte forte a scapito della parte debole, bensì di perfezionare quelle
parti volute difformi, presumibilmente, proprio dalla parte forte della negoziazione.
Infine, va evidenziato come l’operatività dei meccanismi di nullità e sostituzione
automatica delle clausole è limitata alle fattispecie in cui il contenuto del contratto
stipulato sia peggiorativo per il lavoratore rispetto al contenuto del precetto legale –
cosiddetta inderogabilità unidirezionale.
La costruzione di questa unidirezionalità è anch’essa frutto della funzione protettiva
di questa inderogabilità, e quindi mira ad ottenere una tutela minimale dell’interesse
del lavoratore.32
In questa ottica va letto l’articolo 2118, che tratta del recesso dal contratto a tempo
indeterminato, a fronte di ipotesi negoziali che limitino il diritto di recesso del
lavoratore.
Una prima considerazione da fare è se questa norma è una norma di tutela e se
contiene un precetto al suo interno che vincoli il potere derogatorio delle parti.
La risposta a questa questione deve essere positiva sia per la prima parte, che sancisce
la libera recedibilità, sia per quanto riguarda la parte dell’articolo che impone o
l’obbligo del preavviso in capo alla parte recedente, o, in mancanza dello stesso,
l’obbligo della relativa indennità.
32
NOVELLA M., Considerazioni sul regime giuridico della norma inderogabile nel diritto del lavoro, in Arg. Dir.
Lav., 2003, 519;
21
L’interesse del lavoratore-parte debole, tutelato da queste norme, è quello di poter
cogliere diverse opportunità professionali, laddove queste dovessero manifestarsi,
senza subire un onere eccessivo in termini di risarcimento nel caso in cui non ci sia la
possibilità di prestare il preavviso.33
In questo frangente, il datore di lavoro ha un interesse opposto che è quello di avere
il massimo tempo possibile per fronteggiare la decisione unilaterale della
controparte.34
Pertanto, qualsiasi pattuizione limitante il diritto di recesso del lavoratore deve
garantire a questi la libertà di recesso a dei costi che non siano tali da far supporre
una prevaricazione della parte forte nei confronti della parte debole.35
Derimente, al fine di interpretare la ragionevolezza del vincolo, è la misura del
corrispettivo che il datore di lavoro si obbliga a dare, a fronte di questo sacrificio, in
aggiunta alle normali obbligazioni scaturenti dal rapporto di lavoro.
Al di fuori di queste condizioni, l’assetto degli interessi si pone, per il lavoratore,
come trattamento in pejus, posizionato al di sotto della soglia di tutela minima
inderogabile.36
Questa tesi oltre che in dottrina, ha trovato conferma nella più recente giurisprudenza
(Cass., sez. lav., 11 febbraio 1998, n. 1435) dove si dice che “il lavoratore
33
RUSSO A., Problemi e prospettive nelle politiche di fidelizzazione del personale, Giuffrè editore, Milano, 2004, 111;
34
VALLEBONA A., Preavviso di dimissioni e accordi individuali, in Lav.Giur., 2001, 1120;
35
FEDERICI A., Vincoli convenzionali alla libertà di recesso del lavoratore e condizioni di ammissibilità delle clausole
di durata minima del rapporto di lavoro (Nota a Cass., sez. lav., 7 settembre 2005, n. 17817, Soc. Air Vallée c. Ronc), in
Riv. giur. lav., 2006, I, 280;
36
FEDERICI A., Vincoli convenzionali alla libertà di recesso del lavoratore e condizioni di ammissibilità delle clausole
di durata minima del rapporto di lavoro (Nota a Cass., sez. lav., 7 settembre 2005, n. 17817, Soc. Air Vallée c. Ronc), in
Riv. giur. lav., 2006, I, 283;
22
subordinato può validamente disporre della propria facoltà di recesso dal rapporto,
come nell’ipotesi di una garanzia di durata minima dello stesso. Non contrasta,
pertanto, con alcuna norma o principio dell’ordinamento giuridico la clausola con cui
si prevedano limiti all’esercizio di detta facoltà, stabilendosi a carico del lavoratore
un obbligo risarcitorio per l’ipotesi di dimissioni anticipate rispetto ad un periodo di
durata minima”. 37
Le medesime tesi vengono richiamate in T. Venezia, 23 ottobre 2003 dove si
specifica che il diritto di recesso resta libero ed impregiudicato dall’accordo di durata
minima garantita, e dove si ribadisce che le parti, e nello specifico il lavoratore,
possono disporre dello stesso, anche pattuendo una durata minima triennale, salvo il
pagamento di una penale come nel caso trattato.38
Infine Cass., sez. lav., 7 settembre 2005, n. 17817 dove, negando la lesione di diritti
indisponibili da parte di un accordo di durata minima garantita, la corte ripete,
citandole, le medesime motivazioni della sua sentenza del 1998.39
4.2 Il prolungamento convenzionale del preavviso
37
BANO F., Clausola di durata minima e costo dell’addestramento,( Nota a Cass., sez. lav., 11 febbraio 1998, n. 1435,
Soc. Air Europe c. Heiss), in Riv. it. dir. lav., 1998, II, 539;
38
BARRACO E., Libertà di dimissioni e strumenti di fidelizzazione del lavoratore: la clausola di durata minima
garantita, Nota a T. Venezia, 23 ottobre 2003, Costantini c. Soc. Alpi Eagles, in Lavoro giur., 2004, 692;
39
MENEGATTI E., La corte di cassazione torna a pronunciarsi sulla legittimità delle clausole di durata minima
garantita (Nota a Cass., sez. lav., 7 settembre 2005, n. 17817, Soc. Air Vallee c. Ronc), in Argomenti dir. lav., 2006,
229;
23
Un primo strumento convenzionale di limitazione del diritto di recesso è quello del
prolungamento del periodo di preavviso.
Durante il decorso del preavviso, il rapporto continua ad essere assoggettato alla
medesima disciplina ad esso applicata prima che venisse esercitata la facoltà di
recesso.40
Inoltre, si applica in questo periodo la disciplina sospensiva prevista dall’articolo
2110 del codice civile.
Prima di esaminare questo strumento, va fatta una precisazione: a differenza della
clausola di durata minima, il preavviso è un istituto tipico dell’ordinamento, che ha
meccanismi di tutela molto forti, ma che nasce con finalità distinte da quelle aziendali
di retention dei dipendenti.
Pertanto la strategia aziendale deve orientarsi non a trattenere al suo interno il
dipendente bensì a trattenere il livello professionale di cui esso è portatore.
Ne consegue, in termini pratici, che l’estensione temporale non può eccedere una
soglia di ragionevolezza tale da incidere in modo rilevante la libertà di recesso del
lavoratore.41
Un’altra specificità di questo istituto è che la durata del preavviso è, normalmente,
individuata dai contratti collettivi e pertanto, come recita l’articolo 2077 del codice
civile, i patti che derogano a previsioni dei contratti collettivi sono nulli e sostituiti di
40
ROTONDI F., Il contratto di lavoro subordinato ed i patti aggiuntivi: opportunità e vincoli, in Isper Edizioni 301,
ottobre 2002, 22;
41
RUSSO A., Problemi e prospettive nelle politiche di fidelizzazione del personale, Giuffrè editore, Milano, 2004, 111;
24
diritto dalle previsioni degli stessi a meno che non siano migliorativi per il prestatore
di lavoro.
Pertanto, le caratteristiche di questo strumento vanno esaminate nel rapporto con
l’inderogabilità in peius dell’articolo 2118.
Una prima limitazione nell’uso di questo strumento si può individuare nell’illiceità di
patti individuali che riducano o addirittura eliminino ex ante il periodo di preavviso a
tutela del prestatore di lavoro.
Questa limitazione discende dalla lettera dell’articolo 2118 c.c. che indica l’obbligo
del periodo di preavviso, così come definito normalmente dai contratti collettivi, e dal
fatto che tutte le deroghe restrittive di questo obbligo sono precisamente individuate
con norme con forza di legge che hanno anch’esse forza imperativa.
Senza addentrarci in considerazioni già fatte, si presume una prevaricazione della
parte forte nella pattuizione, in violazione alla logica di tutela che l’istituto del
preavviso incorpora.
Correlato col limite predetto, c’è anche la non sostituibilità pattizia ex ante del
periodo di preavviso con la relativa indennità, soprattutto se si ammette la natura
reale del preavviso; mentre l’articolo 2118 prevede una sostituibilità delle due voci
legata all’accordo tra le parti, appare di dubbia legittimità, in quanto potenzialmente
peggiorativo, un patto che aprioristicamente riduca o addirittura elimini il periodo di
preavviso a vantaggio dell’indennità, trattandosi di una disposizione di diritti futuri,
25
ad esempio rinnovi contrattuali, di impossibile conoscenza al momento della stipula
del patto.42
Alla luce di quanto detto, nel caso in cui si tratti di patti che, invece, prolunghino il
periodo di preavviso non appare dubbia la liceità, purché ci sia un vantaggio per il
lavoratore.
La valutazione di questo favor non è, però, cosa semplice ed, a questo proposito, è
utile distinguere l’ipotesi di limitazione bilaterale del diritto di recesso da quella
unilaterale nei confronti del lavoratore.
In particolare, qualora la maggior durata del preavviso impegni entrambe le parti
contraenti, il prestatore di lavoro rimane beneficiario del computo del periodo di
preavviso per l’indennità di anzianità, per eventuali miglioramenti retributivi o di
carriera, nonché della possibilità di sospendere il periodo di preavviso nei casi
previsti dalla legge.
Laddove il termine di preavviso sia, invece, prolungato esclusivamente nei confronti
del lavoratore, dovrà essere contemplata nel patto una forma di compensazione
specifica a fronte del sacrificio legato alla compressione del diritto di recesso.
La durata di questo prolungamento deve comunque avere un limite ragionevole,
prevedendo comunque una compressione di un diritto, e quindi deve essere
commisurata alla forza contrattuale e alla professionalità del lavoratore o comunque
42
ROTONDI F., Il contratto di lavoro subordinato ed i patti aggiuntivi: opportunità e vincoli, in Isper Edizioni 301,
ottobre 2002, 23;
26
alla sua possibilità di ottenere specifici vantaggi in costanza di rapporto in termini di
iter professionale o di trattamento economico.43
Anche in questo caso alcuni autori negano la legittimità di questi accordi, laddove
mantengano il meccanismo sanzionatorio dell’articolo 2118 c.c. anche per la parte di
preavviso eccedente la previsione dei contratti collettivi, perché in questo modo si
avrebbe un disincentivo all’utilizzo del diritto di recesso da parte del lavoratore tale
da conculcare la libertà personale.44
In effetti, essendo la sanzione il pagamento di un numero di mensilità retributive pari
al periodo di mancato preavviso, si evince chiaramente che l’impatto patrimoniale sul
lavoratore recedente può essere tale da precludergli questa possibilità.
Una possibile soluzione è stata individuata nel superamento del meccanismo
sanzionatorio dell’indennità di mancato preavviso, sostituendolo con un discorso di
compenso superminimale a fronte del maggiore periodo di preavviso da prestare.
In questo caso la sanzione del mancato rispetto di questo ulteriore periodo di
preavviso è, in realtà, il mancato guadagno del compenso aggiuntivo, e pertanto non è
pregiudizievole della situazione patrimoniale già acquisita dal lavoratore.45
Una quantificazione esatta del limite di durata di questo patto è ardua perché non
esiste una norma esplicita che indichi dei limiti, ma, data la peculiarità dello
strumento che non consente di sapere il periodo soggetto a vincolo se non nel
43
ZOLI C., Clausole di fidelizzazione e rapporto di lavoro, in Riv. It. Dir. Lav., 2003, 452;
44
VALLEBONA A., Preavviso di dimissioni e accordi individuali, in Lav.Giur., 2001, 1120;
45
VALLEBONA A., Preavviso di dimissioni e accordi individuali, in Lav.Giur., 2001, 1120;
27
momento in cui il recesso viene intimato, non appare, comunque, possibile applicare
il prolungamento del preavviso per periodi eccessivamente lunghi 46
.
Il regio decreto 1825/1924, contenente disposizioni relative al contratto d’impiego
privato, individua in quattro mesi, per gli impiegati direttivi con più di dieci anni di
anzianità il periodo massimo di preavviso, mentre i contratti collettivi individuano
diversi tempi di preavviso, anch’essi in funzione dell’anzianità aziendale e del livello
inquadramentale (E. g. il contratto del trasporto aereo prevede un massimo di 8 mesi
di preavviso per il personale impiegatizio di livello massimo e con un’anzianità
superiore ai ventiquattro anni), pertanto, essendo lo scopo del prolungamento del
periodo di preavviso quello di tutelare la professionalità incorporata nella posizione
ricoperta, appare corretto valutare la congruità del maggiore periodo di preavviso
previsto in conformità con i tempi di preavviso previsti per le figure di contenuto
professionale massimo.
Nulla è previsto per la forma di questo patto e pertanto, essendo un numero chiuso i
casi individuati dall’ordinamento dove la forma è richiesta o ad substantiam o ad
probationem, possiamo concludere che non è richiesta una forma particolare.
4.3 La clausola di stabilità
La clausola di stabilità è quella clausola apposta al contratto di lavoro subordinato a
tempo indeterminato, in forza della quale entrambe le parti contraenti, o una di esse,
46
ZOLI C., Clausole di fidelizzazione e rapporto di lavoro, in Riv. It. Dir. Lav., 2003, 453;
28
si obbligano per un determinato periodo di tempo a non recedere dal rapporto, fatta
salva l’ipotesi della giusta causa.47
Va indicato che esiste una giurisprudenza, Cassazione civile sez. Lavoro 20-04-1995
n 4437, che estende la possibilità di recedere anche alle ipotesi previste dalle norme
generali sulla risoluzione di contratti a prestazioni corrispettive.
In particolare nelle ipotesi di impossibilità sopravvenuta, laddove non vi sia la
possibilità di una proficua utilizzazione, è possibile per il datore di lavoro il recesso
anche in presenza di clausola di stabilità.48
Alcuni autori distinguono tra clausola di stabilità in senso stretto e clausola di durata
minima: la prima prevede un periodo di moratoria nell’esercizio del diritto di recesso
fino ad un certo termine, decorso il quale il rapporto si estingue (normalmente con il
raggiungimento di un certo limite di età); la seconda invece prevede sempre una
moratoria nell’esercizio del diritto di recesso fino ad un certo termine, decorso il
quale, però, il rapporto prosegue come un normale contratto a tempo indeterminato.49
Ai fini di questa trattazione si parlerà di clausola di stabilità, intendendola come
clausola di durata minima garantita.
Dal punto di vista fenomenologico la clausola di stabilità, laddove vincoli entrambe
le parti, può essere assimilata all’apposizione di un termine al contratto di lavoro,
così come da Decreto Legislativo 368 del 2001, perché si limita la possibilità di
47
FOSSATI C. e MORPURGO C., Un modo per personalizzare il contratto di lavoro - Gli interventi sul fattore
«durata» e le c.d. «clausole di durata minima», in Dir. e pratica lav., 2001, inserto n. 18, 10;
48
Notiz. Giur.lav. 1995, 559;
49
RUSSO A., Problemi e prospettive nelle politiche di fidelizzazione del personale, Giuffrè editore, Milano, 2004, 94;
29
recesso alla giusta causa e si prevede il risarcimento del danno in caso di recesso nel
periodo contemplato.
Le analogie, però, non devono andare oltre perché le tutele del lavoratore sono
comunque quelle del contratto a tempo indeterminato, né appare corretto paragonare
la giusta rigidità della forma, della durata e delle causali del contratto a termine con
gli adempimenti previsti per la clausola di stabilità.50
Nel passato si è negata la legittimità di questa clausola laddove vincolava anche il
lavoratore, argomentando che l’apposizione di una durata minima fosse un modo
surrettizio del datore di lavoro di avere alcuni dei benefici della normativa dei
contratti a termine, e cioè il vincolo del lavoratore per la durata del periodo previsto,
al di fuori della casistica tassativa prevista dalla legge sui contratti a termine
(All’epoca Legge 230 del 1962).51
Il convincimento alla base di questi ragionamenti è quello che la limitazione della
libertà di recesso prevista dall’articolo 2118 c.c. non è mai una modifica migliorativa
per il lavoratore, e che soltanto l’istituto del contratto a termine, per la sua
eccezionalità, può ottenere questa limitazione bilaterale.
Rimandando alle considerazioni fatte nel capitolo sulla negoziabilità del diritto di
recesso, mi interessa sottolineare come questa interpretazione rigida, da una parte
svuota di significato la clausola di stabilità, non tutelando minimamente l’interesse
del datore di lavoro nel trattenere le risorse pregiate, dall’altra giunge a dei risultati
50
FOSSATI C. e MORPURGO C., Un modo per personalizzare il contratto di lavoro - Gli interventi sul fattore
«durata» e le c.d. «clausole di durata minima», in Dir. e pratica lav., 2001, inserto n. 18, 10;
51
ISENBURG L., Recenti sviluppi giurisprudenziali in tema di clausole di durata minima (Nota a Cass., 12 aprile 1980,
n. 2365, Amodeo c. De Santo), in Riv. giur. lav., 1981, II, 136;
30
paradossali dal momento che incentiva il datore di lavoro, per trattenere le risorse,
seppure per un tempo minimo ma certo, a stipulare un meno favorevole per il
lavoratore contratto a termine piuttosto che un contratto a tempo indeterminato.
Fatte salve queste considerazioni, il giudizio sulla legittimità di questa clausola è
stato, analogamente a quello sul patto di prolungamento del preavviso, molto
dibattuto e per ripercorrerlo appare utile distinguere le due ipotesi di clausola di
stabilità: quella bilaterale e quella unilaterale.
4.4 Ipotesi bilaterale
Nell’ipotesi bilaterale di clausola di stabilità sia il datore di lavoro che il lavoratore si
vincolano per un certo periodo di tempo a non recedere dal contratto di lavoro.
Nell’ipotesi di derogabilità migliorativa dell’articolo 2118, questa fattispecie
salvaguarda le esigenze di entrambe le parti ed è quindi senz’altro legittima perché se
il datore di lavoro ha un periodo di certezza per poter utilizzare una certa prestazione
lavorativa, il lavoratore può contare su un uguale periodo di certezza della
prestazione retributiva e tutto questo in aggiunta alla disciplina del preavviso che
rimane comunque valida, scaduto il termine della clausola.52
52
FOSSATI C. e MORPURGO C., Un modo per personalizzare il contratto di lavoro - Gli interventi sul fattore
«durata» e le c.d. «clausole di durata minima», in Dir. e pratica lav., 2001, inserto n. 18, 11; ZOLI C., Clausole di
fidelizzazione e rapporto di lavoro, in Riv. It. Dir. Lav., 2003, 454;
31
4.5 Ipotesi unilaterale
Nell’ipotesi unilaterale di clausola di stabilità o solo il lavoratore o solo il datore di
lavoro si vincolano per un certo periodo di tempo a non recedere dal contratto di
lavoro.
Nell’ipotesi in cui sia il datore di lavoro a vincolarsi non è mai sorto dubbio alcuno
sulla legittimità di questa clausola perché il principio del favore nei confronti della
parte debole del rapporto di lavoro ha, da tempo, fatto prevalere una interpretazione
di derogabilità in tal senso dell’articolo 2118, lasciando quindi la facoltà al datore di
lavoro di rinunciare al diritto di recesso per un periodo discrezionale.53
A tal proposito, la giurisprudenza tranne rari casi ha confermato questa tesi: uno di
questi casi è T. Palermo, 24 aprile 2001, il quale nega la validità di una clausola di
stabilità unilaterale a favore del lavoratore in quanto atto di liberalità, e pertanto
estraneo all’oggetto sociale dell’impresa.
In realtà, come osservato nella nota a commento di questa sentenza, anche in questo
caso è riscontrabile un interesse aziendale patrimoniale nell’offrire, come benefit ad
un dirigente, un periodo di stabilità in deroga alla libertà di recesso prevista per
questa categoria di lavoratori.54
53
CARINI F. M., La clausola di durata minima garantita, (Nota a T. Palermo, 24 aprile 2001, Di Prima c. Banca
Mercantile it.), Dir. lav., 2002, II, 12; ISENBURG L., Recenti sviluppi giurisprudenziali in tema di clausole di durata
minima (Nota a Cass., 12 aprile 1980, n. 2365, Amodeo c. De Santo), in Riv. giur. lav., 1981, II, 137;
54
CARINI F. M., La clausola di durata minima garantita, (Nota a T. Palermo, 24 aprile 2001, Di Prima c. Banca
Mercantile it.), Dir. lav., 2002, II, 14;
32
Più problematica l’altra ipotesi unilaterale, laddove sia il lavoratore a vincolarsi,
perché appare di più difficile prova il miglioramento rispetto alla disciplina
codicistica e soprattutto perché appare più plausibile una forzatura da parte del datore
di lavoro nei confronti del più debole lavoratore.
Decisiva, per classificare come migliorativo questo patto, è la contropartita relativa a
questa rinuncia.
Nella giurisprudenza più recente appare vincente una clausola unilaterale a favore del
datore di lavoro, laddove sia precisamente quantificabile una utilità in capo al
lavoratore (Cass., sez. lav., 11 febbraio 1998, n. 1435; Cass., sez. lav., 7 settembre
2005, n. 17817). Questa utilità può essere un corso di formazione con relativa
abilitazione oppure una somma di denaro e deve essere proporzionale al periodo di
durata della clausola stessa.55
In sintesi, l’assunzione di un obbligo di durata minima garantita o comunque di una
certa continuità nel rapporto, per avere una sua giustificazione causale, da una parte
deve rispondere ad un interesse giuridicamente apprezzabile dell’impresa e dall’altra
deve trovare, nell’ottica del lavoratore, qualche contropartita e limiti ragionevoli tali
da non ledere i diritti fondamentali al lavoro ed alla libertà professionale.56
55
BANO F., Clausola di durata minima e costo dell’addestramento (Nota a Cass., sez. lav., 11 febbraio 1998, n. 1435,
Soc. Air Europe c. Heiss, in Riv. it. dir. lav., 1998, II, 540; MENEGATTI E., La corte di cassazione torna a
pronunciarsi sulla legittimità delle clausole di durata minima garantita (Nota a Cass., sez. lav., 7 settembre 2005, n.
17817, Soc. Air Vallee c. Ronc), in Argomenti dir. lav., 2006, 233;
56
FEDERICI A., Vincoli convenzionali alla libertà di recesso del lavoratore e condizioni di ammissibilità delle clausole
di durata minima del rapporto di lavoro (Nota a Cass., sez. lav., 7 settembre 2005, n. 17817, Soc. Air Vallée c. Ronc), in
Riv. giur. lav., 2006, I, 280;
33
4.6 Forma
Come per il prolungamento del periodo di preavviso ed a differenza della normativa
sui contratti a termine e sul patto di non concorrenza, nulla è previsto per la forma di
questo patto e pertanto, essendo un numero chiuso i casi individuati dall’ordinamento
dove la forma è richiesta o ad substantiam o ad probationem, possiamo concludere
che non è richiesta una forma particolare.57
La giurisprudenza ha dibattuto, però, sulla possibilità di includere la clausola di
stabilità tra le clausole cosiddette vessatorie così come previsto dall’articolo 1341
codice civile, negando, però, questa possibilità, si veda T. Venezia, 23 ottobre 2003,
non potendosi applicare l’analogia ad una fattispecie che prevede la libera recedibilità
di una delle parti - colui che propone il contratto - e cioè l’esatto opposto della
clausola di stabilità.58
4.7 Durata
In materia di durata della clausola di stabilità, non abbiamo un dato certo che
imponga dei limiti al di fuori di un discorso di proporzionalità tra prestazione –
rinuncia al diritto di recesso ex 2118 per un certo tempo- e controprestazione -
rinuncia al diritto di recesso ex 2118 oppure altra tipologia di utilità.
57
FOSSATI C. e MORPURGO C., Un modo per personalizzare il contratto di lavoro - Gli interventi sul fattore
«durata» e le c.d. «clausole di durata minima», in Dir. e pratica lav., 2001, inserto n. 18, 11;
58
BARRACO E., Libertà di dimissioni e strumenti di fidelizzazione del lavoratore: la clausola di durata minima
garantita, Nota a T. Venezia, 23 ottobre 2003, Costantini c. Soc. Alpi Eagles, in Lavoro giur., 2004, 695;
34
Esistono, però, dei limiti nell’ordinamento che per analogia potrebbero essere
utilizzati dal magistrato come metro per una valutazione di equità che sono: la durata
massima del patto di non concorrenza di cinque anni per i dirigenti e tre per gli altri
così come da articolo 2125 del codice civile oppure i tre anni di prorogabilità
massima dei contratti a termine così come da D.leg.vo 368/2001.59
Va detto anche che l’analogia non è pienamente estendibile perché le logiche dei
limiti temporali soprarichiamati sono relative ad interessi diversi, e quindi deve
essere prevalente un discorso di corrispettività tra durata del vincolo ed utilità
economica offerta in termini monetari, formativi o di garanzia di un percorso
professionale e di carriera.
4.8 Sanzioni
Nel periodo di validità della clausola di stabilità una delle due parti o entrambe
rinuncia al diritto di recedere, fatte salve le eccezioni dell’articolo 2119 codice civile.
Laddove ci sia una violazione di detta clausola si configura un inadempimento
contrattuale assoluto – la prestazione non potrà più essere riconosciuta – e quindi
nasce l’obbligo della parte recedente di risarcire il danno alla parte che lo subisce.
Nel caso in cui sia il lavoratore a recedere, questi sarà chiamato a risarcire il danno al
datore di lavoro secondo le regole del codice civile che all’articolo 1223 prevedono
59
ZOLI C., Clausole di fidelizzazione e rapporto di lavoro, in Riv. It. Dir. Lav., 2003, 457; RUSSO A., Problemi e
prospettive nelle politiche di fidelizzazione del personale, Giuffrè editore, Milano, 2004, 97
35
che sia riconosciuto a chi subisce l’inadempimento sia il danno emergente che il lucro
cessante, purché siano immediata conseguenza dell’inadempimento.60
Mentre nel caso della compravendita di un quantitativo di beni la quantificazione del
danno appare relativamente semplice, è di tutta evidenza che nel caso del recesso del
lavoratore questa quantificazione sia molto più complessa.
Un criterio ragionevole per la quantificazione del danno potrebbe essere il calcolo dei
costi di selezione e formazione necessari per sostituire il lavoratore, e quindi per
reintegrare l’organizzazione aziendale, chiaramente riproporzionati sulla percentuale
di periodo di stabilità già garantito.61
Va detto, però, che c’è una certa dose ineliminabile di discrezionalità nella
quantificazione del danno che espone le parti, ma soprattutto chi subisce il recesso
che ha l’onere della prova del danno subito, ad un giudizio non sempre in grado di
soddisfare le diverse esigenze.
Al fine di evitare questa alea, spesso nella redazione di queste clausole si inserisce
una clausola penale, così come da articolo 1382 del codice civile, che pattiziamente
quantifichi il danno legato all’evento inadempimento.
In questo caso la parte che subisce l’inadempimento non deve provare di aver subito
il danno, bensì deve richiedere semplicemente il pagamento della clausola penale.
Peraltro, resta ferma la facoltà del giudice di ridurre l’entità della penale ex articolo
1384 del codice civile se l’ammontare della penale è manifestamente eccessivo.
60
INZITARI B. in Istituzioni di Diritto Privato a cura di Mario Bessone, Giappichelli editore, Torino, 1996, 486;
61
ROTONDI F., Il contratto di lavoro subordinato ed i patti aggiuntivi: opportunità e vincoli, in Isper Edizioni 301,
ottobre 2002, 22;
36
In questo caso il giudice valuta sia l’interesse effettivo del creditore, sia l’effettiva
incidenza del recesso tenuto conto della delicatezza dell’incarico, della rilevanza
complessiva del compenso e della non agevole sostituzione del lavoratore.62
Naturalmente esula da un discorso sanzionatorio una risoluzione consensuale,
Cass.,sez. lav., 11 Giugno 1999, n. 5791, dal momento che non esiste un danno
legato ad un recesso unilaterale.63
62
ZOLI C., Clausole di fidelizzazione e rapporto di lavoro, in Riv. It. Dir. Lav., 2003, 458;
63
Notiz. Giur. Lav., 1999, 640;
37
5 BIBLIOGRAFIA
BANO F., Clausola di durata minima e costo dell’addestramento (Nota a Cass., sez. lav., 11
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38
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39

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  • 2. 1 INTRODUZIONE.............................................................................................................................3 2 IL RECESSO DEL LAVORATORE ...............................................................................................6 2.1 Nozione.......................................................................................................................................8 2.2 Recesso come negozio giuridico................................................................................................9 2.3 Nullità e annullabilità del recesso del lavoratore .....................................................................10 2.4 Forma del recesso.....................................................................................................................12 3 IL PREAVVISO..............................................................................................................................13 3.1 Nozione.....................................................................................................................................13 3.2 Efficacia reale o obbligatoria del preavviso.............................................................................14 3.3 Sospensione del decorso...........................................................................................................15 3.4 Norme derogatorie ...................................................................................................................17 4 LIMITI CONVENZIONALI...........................................................................................................19 4.1 Negoziabilità del diritto di recesso ..........................................................................................19 4.2 Il prolungamento convenzionale del preavviso........................................................................23 4.3 La clausola di stabilità..............................................................................................................28 4.4 Ipotesi bilaterale.......................................................................................................................31 4.5 Ipotesi unilaterale.....................................................................................................................32 4.6 Forma.......................................................................................................................................34 4.7 Durata ......................................................................................................................................34 4.8 Sanzioni ...................................................................................................................................35 5 BIBLIOGRAFIA.............................................................................................................................38 2
  • 3. 1 INTRODUZIONE Il diritto del lavoro nella sua accezione tradizionale si è sviluppato pressoché esclusivamente come diritto di tutela, configurando un sistema di rapporti giuridici caratterizzati da profondi elementi protezionistici a favore del prestatore di lavoro subordinato. L’aspirazione ad assicurare un bilanciamento delle posizioni contrattuali tra le parti del rapporto di lavoro ha portato il legislatore a limitare la libera volontà dei soggetti contrattuali mediante l’impiego della tecnica della inderogabilità in peius dei trattamenti economico-normativi e delle condizioni di lavoro stabilite da disposizioni di legge e di contratto collettivo.1 Questa accezione prende le mosse da una organizzazione del lavoro di stampo taylorista dove il lavoratore, dotato di una professionalità elementare, è completamente etero diretto nel suo lavoro dalla tecnologia inserita negli impianti produttivi. Il grado di fungibilità di questo lavoratore è molto elevato, e pertanto, è necessaria una legislazione di tutela nei suoi confronti, finalizzata ad evitare che i datori di lavoro possano troppo facilmente rompere il vincolo contrattuale. Oggi, specialmente nel settore terziario, la situazione è molto diversa: l’organizzazione del lavoro vede delle mansioni estremamente ricche ed articolate 1 Biagi, Russo, Problemi e prospettive nelle politiche di “fidelizzazione” del personale, 2001, 1 3
  • 4. dove intere fasi del processo produttivo sono concentrate su singoli individui. La professionalità di questi lavoratori è talmente elevata che è stata elaborata dalla teoria aziendalistica la figura del “Core Worker”: un lavoratore fondamentale per l’impresa, destinatario di formazione, investimenti e dotato di professionalità specialistica 2 . E’ di tutta evidenza che, in questo caso, il rapporto di forza o, se vogliamo, il grado di dipendenza tra datore di lavoro e lavoratore è molto diverso rispetto al vecchio modello ispirato alla teoria di Taylor: paradossalmente, diventa meritevole di tutela anche il datore di lavoro rispetto al rischio di una rottura del vincolo contrattuale da parte del lavoratore. Per le ragioni predette si vanno diffondendo, nella pratica delle negoziazioni concrete, una serie di strumenti contrattuali, denominati strumenti di fidelizzazione vincolata, finalizzati a porre vincoli giuridici alla libertà contrattuale del lavoratore, limitandone il potere di recesso e tutelando, quindi, le esigenza del datore di poter contare per un certo lasso di tempo sull’apporto di determinate professionalità. Gli strumenti in grado di creare vincoli giuridici al recesso del lavoratore possono essere circoscritti al prolungamento del periodo di preavviso ed alla clausola di durata minima garantita.3 Scopo della mia elaborazione è di esaminare brevemente il potere di recesso del lavoratore, e cioè le dimissioni. 2 ZOLI C., Clausole di fidelizzazione e rapporto di lavoro, in Riv. It. Dir. Lav., 2003, 450 3 ZOLI C., Clausole di fidelizzazione e rapporto di lavoro, in Riv. It. Dir. Lav., 2003, 452 4
  • 5. E’ a tal uopo necessario, anzitutto, ricostruire la disciplina del recesso ad nutum ex art. 2118 c.c., avendo cura di evidenziare le ragioni e la funzione assolta dallo strumento del preavviso. Successivamente esaminerò gli strumenti giuridici esistenti in grado di limitare il recesso, al fine di verificare se le clausole contrattuali utilizzate per limitare il potere del lavoratore di rassegnare le dimissioni siano o meno compatibili con il contratto di lavoro e con la disciplina, legale e collettiva, del rapporto di lavoro subordinato. Infine procederò alla analisi di due strumenti contrattuali che predispongono dei limiti convenzionali al potere di recesso del lavoratore: il prolungamento pattizio del periodo di preavviso e la stipula di un patto di stabilità. 5
  • 6. 2 IL RECESSO DEL LAVORATORE Il rapporto di lavoro subordinato, sebbene il codice civile all’articolo 2094 individui solo il prestatore di lavoro subordinato, si fa tipicamente originare dalla stipula di un contratto tra datore di lavoro e lavoratore. Una delle modalità di estinzione di questo contratto è il cosiddetto recesso unilaterale o ad nutum trattato dall’articolo 2118 del codice civile. Più specificamente, questo articolo tratta del recesso dal contratto a tempo indeterminato e sancisce una sostanziale parità tra le parti, prevedendo libertà di recesso dal contratto per entrambi i contraenti, fatto salvo l’obbligo di dare il preavviso. Il preavviso è quel periodo di tempo intercorrente tra la manifestazione della volontà di estinguere il rapporto e la sua effettiva estinzione ed ha il fine di mettere chi subisce il recesso nelle condizioni di porre in essere tutte quelle azioni volte a minimizzare gli effetti dannosi dello stesso. La durata del preavviso, recita l’articolo 2118, è prevista dagli usi o secondo equità, ma va specificato che nella maggior parte dei casi è definita dai contratti collettivi che possono anche differenziarla a seconda di chi sia la parte recedente. Una prima lettura di questo articolo individua una prima area di esclusione da questa disciplina: il contratto di lavoro subordinato a tempo determinato non prevede la possibilità del recesso unilaterale, se non per giusta causa. 6
  • 7. La logica di questa esclusione è nella ratio dell’articolo 2118, e più in generale dell’articolo 1373, che è quella di imporre un principio di temporaneità ad un rapporto che, geneticamente, è illimitato.4 Essendo il termine, un elemento essenziale del contratto a tempo determinato, non rientra nella logica dell’articolo 2118 e pertanto ne è escluso. Una ulteriore norma che regola il recesso unilaterale si ha all’articolo successivo (2119 del codice civile) dove si tratta del recesso per giusta causa, introducendo una normativa derogatoria rispetto alla disciplina del preavviso. La giusta causa del recesso è un evento di gravità tale da non consentire la prosecuzione neanche temporanea del rapporto ed agisce anche per i contratti a tempo determinato. Sebbene si sia in presenza di due articoli distinti non si tratta di due negozi distinti di recesso, bensì di un unico tipo di negozio rispetto al quale la giusta causa costituisce solo un presupposto che esonera dal preavviso5 . Non solo, ma la sanzione di questo evento, laddove sia il lavoratore a recedere, consiste anche nell’inversione del meccanismo del preavviso, con il conseguente maggiore onere pecuniario. 6 Naturalmente, la disciplina codicistica del recesso del datore di lavoro, con la legge 604 del 1966 e successive modifiche, ha visto enormemente ridotta la sua valenza, al contrario del recesso del lavoratore che è, sostanzialmente, regolamentato dalla disciplina del 1942. 4 ROSELLI F., Il recesso dal contratto, in A. Cecchini, M. Costanza, M. Franzoni, A. Gentili, F. Roselli, G. Vettori, Effetti del contratto, Giappichelli editore, Torino, 2002, 692 5 GHERA E., Diritto del lavoro, Cacucci editore, Bari, 2006, 181 6 GIUDICI M., La risoluzione consensuale del rapporto, in Isper Edizioni 348, settembre 2006, 6 7
  • 8. La motivazione è che la legge - e, per essa, la contrattazione collettiva - interviene per stabilire in via preventiva il contenuto necessario di molte parti del rapporto tra lavoratore e datore di lavoro, sottraendole alla negoziazione individuale, soprattutto al fine di garantire un minimo inderogabile a favore del lavoratore. Nel caso del recesso del lavoratore, invece, tranne casi patologici, si lede un interesse del datore di lavoro. La motivazione è di natura prettamente politica ed origina dalla tipologia degli interessi tutelati: mentre nel caso di recesso del datore di lavoro si configura un danno alla persona del lavoratore, essendo il lavoratore normalmente dipendente economicamente dal datore di lavoro, nel caso di recesso del lavoratore il danno per il datore di lavoro è esclusivamente patrimoniale.7 Pertanto, le forme di tutela sono in larga parte le medesime previste dalla disciplina civilistica dei negozi giuridici a contenuto patrimoniale. Fatte salve queste norme, il recesso unilaterale del lavoratore, va letto, nei suoi aspetti costituenti, prendendo in esame la disciplina generale dell’articolo 1373 del codice civile. 2.1 Nozione 7 ZOLI C., Clausole di fidelizzazione e rapporto di lavoro, in Riv. It. Dir. Lav., 2003, 451; 8
  • 9. Il recesso unilaterale, ex art.1373 c.c., può essere definito come la manifestazione di volontà con cui una delle parti produce lo scioglimento del rapporto giuridico di origine contrattuale. La causa di questo negozio è quindi principalmente estintiva e si applica, nel caso del contratto di lavoro subordinato, in quanto contratto di durata, soltanto sulle prestazioni non ancora eseguite, così come da comma 2 del predetto articolo 8 . La logica di questa norma, per i contratti di durata senza apposizione di un termine, è quella di affermare un principio generale dell’ordinamento di temporaneità dei rapporti, che renda più dinamica l’economia e che non vincoli eccessivamente i contraenti. 2.2 Recesso come negozio giuridico L’atto di manifestazione di volontà, precedentemente definito come recesso unilaterale del lavoratore, è qualificato dalla dottrina come un negozio giuridico unilaterale recettizio. L’efficacia di questo negozio, essendo unilaterale, è, quindi, indipendente dall’accettazione del datore di lavoro e decorre dal momento in cui questi sia posto nelle condizioni di esserne a conoscenza. 8 ROSELLI F., Il recesso dal contratto, in A. Cecchini, M. Costanza, M. Franzoni, A. Gentili, F. Roselli, G. Vettori, Effetti del contratto, Giappichelli editore, Torino, 2002, 686. 9
  • 10. Infatti, qualificare questo negozio come recettizio ha una notevole rilevanza pratica perché l’efficacia dello stesso è subordinata alla conoscenza effettiva o presunta di esso dal destinatario così come da articoli 1334 e 1335 del codice civile.9 Gli effetti di questo negozio, così come previsto dal comma 2 articolo 1373 del codice civile, non riguardano le prestazioni eseguite o in corso di esecuzione; questo discende dal fatto che l’inefficacia sopravvenuta del contratto non incide sulle prestazioni già eseguite, che perciò non debbono essere restituite. In particolare nei contratti di durata la causa contrattuale è unica, ma si attua continuativamente onde la cessazione del rapporto prima dell’adempimento totale trova già attuata la causa in relazione al tempo per cui si è adempiuto e non può distruggere questo risultato.10 Infine, il recesso in quanto negozio unilaterale non è revocabile pertanto laddove venga conosciuto dal destinatario, il contratto è estinto e si dovrà nuovamente far incontrare la volontà delle parti per crearne uno nuovo.11 2.3 Nullità e annullabilità del recesso del lavoratore Il recesso del lavoratore, come qualsiasi negozio giuridico, è una espressione dell’autonomia privata, così come previsto dal combinato disposto dall’articolo 1322 e dall’articolo 1324 del codice civile. Per la salvaguardia di irrinunciabili interessi, però, l’ordinamento pone dei limiti, prefigura dei modelli astratti affidati a norme giuridiche assistite da sanzioni, che 9 GHERA E., Diritto del lavoro, Cacucci editore, Bari, 2006, 179 10 ROSELLI F., Il recesso dal contratto, in A. Cecchini, M. Costanza, M. Franzoni, A. Gentili, F. Roselli, G. Vettori, Effetti del contratto, Giappichelli editore, Torino, 2002, 693. 11 GIUDICI M., La risoluzione consensuale del rapporto, in Isper Edizioni 348, settembre 2006, 5 10
  • 11. colpiscono i consociati quando le violino. Fra le sanzioni previste, è l’invalidità dei negozi giuridici- nelle due specie normative della nullità e dell’annullabilità.12 Laddove venga accertata l’invalidità del negozio, questi perde di efficacia e pertanto non produce effetti nell’altrui sfera giuridica. Le cause di nullità sono quelle previste dall’articolo 1418 del codice civile e quindi contrarietà a norme imperative, mancanza dei requisiti essenziali così come da articolo 1325 del codice civile, l’illiceità della causa o dei motivi oppure mancanza dei requisiti minimi nell’oggetto. A titolo esemplificativo, le dimissioni in bianco sono da considerarsi nulle perché mancano i requisiti minimi nell’oggetto e perché in buona sostanza hanno lo scopo di eludere le norme imperative previste dalla disciplina sui licenziamenti.13 La gravità delle cause che comportano la nullità del negozio, e l’esigenza di tutelare, per suo tramite, interessi che trascendono le parti negoziali, giustificano l’ampia legittimazione a promuoverne l’azione: la nullità può essere fatta valere da chiunque ne abbia interesse e non è soggetta a prescrizione. 14 L’annullabilità si ha, invece quando la volontà dell’attore non può esprimersi pienamente o per propria incapacità di intendere e di volere oppure per gravi vizi quali l’errore il dolo o la violenza. In questo caso è legittimato ad agire solo colui a favore del quale deve essere riconosciuto l’annullamento e questa azione si prescrive in cinque anni.15 12 BONILINI G. in Istituzioni di Diritto Privato a cura di Mario Bessone, Giappichelli editore, Torino, 1996, 711. 13 GIUDICI M., La risoluzione consensuale del rapporto, in Isper Edizioni 348, settembre 2006, 7. 14 BONILINI G. in Istituzioni di Diritto Privato a cura di Mario Bessone, Giappichelli editore, Torino, 1996, 725. 15 BONILINI G. in Istituzioni di Diritto Privato a cura di Mario Bessone, Giappichelli editore, Torino, 1996, 738. 11
  • 12. 2.4 Forma del recesso Tra i requisiti del contratto l’articolo 1325 del codice civile annovera anche la forma quando risulta che è prescritta dalla legge a pena di nullità. L’articolo 1350 enumera poi quali contratti o atti necessitano dell’atto scritto (atto pubblico o scrittura privata) per essere validi.16 Al di fuori di queste previsioni e fatte salve diverse previsioni dei contratti collettivi, non è prevista una forma particolare per il recesso del lavoratore né ad substantiam né ad probationem. Dal punto di vista della prova, soprattutto per i calcoli sull’efficacia temporale del recesso e per la decorrenza del periodo di preavviso, appare comunque opportuna l’adozione della forma scritta.17 16 DI MAIO A. in Istituzioni di Diritto Privato a cura di Mario Bessone, Giappichelli editore, Torino, 1996, 630. 17 GIUDICI M., La risoluzione consensuale del rapporto, in Isper Edizioni 348, settembre 2006, 5. 12
  • 13. 3 IL PREAVVISO 3.1 Nozione L’articolo 2118 del codice civile prevede che le dimissioni in un contratto a tempo indeterminato debbono essere caratterizzate dall’intimazione del preavviso ad iniziativa della parte recedente. Il preavviso assolve alla funzione di attenuare le conseguenze dannose dell’improvvisa cessazione del rapporto per la parte che subisce l’iniziativa del recesso. Pertanto, l’interesse prioritario tutelato da questo istituto è quello della parte che subisce il recesso, e cioè, nel nostro caso, del datore di lavoro, affinchè la sua organizzazione del lavoro non sia lesa, consentendogli la sostituzione del lavoratore dimissionario.18 La durata del preavviso non è determinata dall’articolo in questione, che rinvia agli usi o all’equità, ma nella stragrande maggioranza dei casi dai contratti collettivi. Il secondo comma dell’articolo 2118 prevede in mancanza di preavviso la necessità di versare una indennità pari alla retribuzione mensile moltiplicata per il numero di mesi previsti dalle norme sul preavviso. 18 GHERA E., Diritto del lavoro, Cacucci editore, Bari, 2006, 180. 13
  • 14. 3.2 Efficacia reale o obbligatoria del preavviso L’indennità di mancato preavviso ha una valenza risarcitoria legata al danno che il lavoratore dimissionario cagiona al datore di lavoro nel momento in cui si rifiuta di proseguire il rapporto nel periodo di preavviso. A fronte di questa decisione del lavoratore assume grande rilevanza la natura reale oppure obbligatoria del preavviso. Laddove si ritenga che la natura del preavviso sia meramente obbligatoria, il lavoratore può liberamente decidere se vincolarsi per il periodo di preavviso oppure se versare la relativa indennità e terminare immediatamente il rapporto; laddove, invece, si propenda per la natura reale del preavviso, sarà necessario l’accordo del datore di lavoro per l’opzione pecuniaria a fronte dell’opzione reale.19 Questo non significa che il lavoratore non possa recedere ugualmente, anche in assenza dell’accordo del datore di lavoro, ma sarà chiamato a risarcire il danno in una misura ragionevolmente superiore rispetto all’indennità di preavviso. Il dato letterale dell’articolo sembrerebbe propendere per la soluzione obbligatoria, dal momento che si dice semplicemente che in mancanza di preavviso il recedente è tenuto verso l’altra parte ad un’indennità equivalente all’importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso. Questa interpretazione stride, però, con la ratio del preavviso che deve, come abbiamo già detto, consentire al datore di lavoro di avere il tempo necessario per ricostruire l’organizzazione aziendale; il tempo serve, sia per reperire sul mercato le 19 MEUCCI M., Il rapporto di lavoro nell’impresa, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1991, 188. 14
  • 15. professionalità necessarie, sia per consentire internamente un passaggio di consegne per un tempo congruo a trasferire queste professionalità su di un altro lavoratore. 20 In assenza di questo tempo è ragionevole presumere che il danno sopportato sia superiore rispetto al beneficio dato dall’acquisizione dell’indennità del mancato preavviso. 3.3 Sospensione del decorso Alcuni eventi, che incidono sullo svolgimento del periodo di preavviso, ne sospendono il decorso.21 Va precisato che la gran parte di queste eccezioni nascono per la tutela del lavoratore che subisce il recesso, e quindi non sempre estendono la loro validità anche al recesso subito dal datore di lavoro. Appartiene a questa categoria il caso della maternità fino al compimento di un anno di età del bambino, così come da articolo 55 del D. leg.vo 151 del 2001, dove non c’è l’obbligo del preavviso in caso di recesso del lavoratore e dove, quindi, è solo il preavviso in caso di licenziamento già intervenuto che si sospende, in estensione alla normativa che sospende il licenziamento stesso. Altre eccezioni, invece, valgono in entrambi i casi, come per la malattia e le ferie. L’articolo 2109 del codice civile all’ultimo comma prevede che non può essere computato nelle ferie il periodo di preavviso. 20 GHERA E., Diritto del lavoro, Cacucci editore, Bari, 2006, 180. 21 MEUCCI M., Il rapporto di lavoro nell’impresa, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1991, 193. 15
  • 16. Questa eccezione nasce dalla considerazione che il periodo di preavviso è un periodo di lavoro effettivo, finalizzato al passaggio di consegne oppure alla ricerca esterna di un sostituto. Laddove si ammettesse la fruizione di ferie in sostituzione, e non in aggiunta, al periodo di preavviso, si violerebbe questa logica. Va aggiunto, inoltre, che in caso di recesso del datore di lavoro, c’è la volontà di tutelare la parte debole, consentendole un periodo di tempo più lungo per la ricerca di un altro lavoro oppure una liquidazione economica ulteriore. Il caso della malattia o dell’infortunio è trattato dall’articolo 2110 del codice civile. Questo articolo sancisce che il periodo di malattia deve essere coperto da un trattamento economico ed assistenziale fino al termine della stessa. Naturalmente questa previsione confliggerebbe con un recesso già intervenuto e quindi con un periodo di preavviso che ha tempi diversi dal periodo di malattia. Pertanto, anche in questo caso, il decorso del preavviso è sospeso e riprende il suo corso solo in caso di guarigione oppure, nel caso di recesso del datore di lavoro, in caso di termine del periodo di comporto.22 Naturalmente, vale anche nel caso della malattia il ragionamento della effettività del periodo di lavoro finalizzato alla tutela dell’organizzazione aziendale. 22 MEUCCI M., Il rapporto di lavoro nell’impresa, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1991, 193. 16
  • 17. 3.4 Norme derogatorie Esiste una casistica speciale nella quale il normale funzionamento dell’istituto del preavviso viene apparentemente rovesciato. Come abbiamo visto il preavviso tutela la parte che subisce il recesso nell’ottica di consentirle una riorganizzazione in un caso della propria vita privata, nell’altro della struttura dell’azienda. In alcuni casi, però, questo interesse viene subordinato ad un interesse superiore di natura pubblicistica che rovescia le tutele, individuando nella parte che riceve il recesso una responsabilità extracontrattuale, in alcuni casi reale, in altri presunta. Una prima normativa derogatoria è individuata dall’articolo 2119 che prevede che le parti possano recedere senza preavviso qualora si verifichino degli eventi di gravità tale da non consentire la prosecuzione nemmeno temporanea del rapporto.23 Non esiste una definizione precisa di giusta causa, bensì è la giurisprudenza che ha individuato una casistica che, a titolo esemplificativo e non esaustivo, va dalle molestie sessuali del datore di lavoro (Pret. Milano 14.8.1991) alla richiesta di comportamenti illeciti (Pret. Legnano 10.3.1989), dal comportamento ingiurioso del datore di lavoro (Cassazione 5977 del 29.11.1985) al ritardo nel pagamento della retribuzione (Cassazione 5146 del 23.5.1998). 24 Si consideri, però, che l’accertamento della giusta causa è sempre suscettibile di diversa interpretazione da parte del giudice; esemplificativo è il caso di Cass., 22 23 GIUDICI M., La risoluzione consensuale del rapporto, in Isper Edizioni 348, settembre 2006, 6. 24 BONATI G.,GREMIGNI P., Guida pratica lavoro, Il Sole 24 Ore, Marzo 2006, 553. 17
  • 18. dicembre 1987, n. 9589 dove, a fronte di una difforme interpretazione della sussistenza della giusta causa di recesso, il lavoratore è stato considerato dalla corte inadempiente per non aver onorato il preavviso e pertanto condannato al risarcimento del danno dovuto all’ingiustificata mancata prestazione.25 Nel recesso del lavoratore per giusta causa, come si vedrà anche per gli altri casi, non solo non agisce il meccanismo del preavviso, ma vengono individuate delle responsabilità suscettibili di risarcimento, un risarcimento quantificato dal legislatore nella misura dell’indennità di mancato preavviso. Un’altra normativa derogatoria riguarda le lavoratrici e i lavoratori in caso di maternità e paternità nel periodo di gravidanza o fino ad un anno di età del bambino (articolo 55 D.leg.vo 151/2001).26 In questo caso, in deroga all’articolo 2118, il recesso del lavoratore non è libero, essendo l’efficacia dello stesso condizionata da una convalida da effettuarsi presso il servizio ispettivo del ministero del lavoro. Inoltre, analogamente al recesso per giusta causa, non solo non c’è l’obbligo del preavviso, bensì c’è l’obbligo in capo al datore di lavoro di corrispondere a titolo risarcitorio di un fatto illecito presunto un ammontare pari all’indennità di mancato preavviso. 25 GRANATO M., Sul diritto di recesso del lavoratore ex art. 2119 c.c. (Nota a Cass., 22 dicembre 1987, n. 9589, Sanna c. Fall. soc. ed. sarda), in Giur. it., 1989, I, 1, 181; 26 GIUDICI M., La risoluzione consensuale del rapporto, in Isper Edizioni 348, settembre 2006, 8. 18
  • 19. 4 LIMITI CONVENZIONALI 4.1 Negoziabilità del diritto di recesso Questione preliminare da affrontare, prima di esaminare le fattispecie relative alla limitazione convenzionale del diritto di recesso, è quella dell’eventuale conflitto di questi patti con le norme inderogabili ovvero dell’area di negoziabilità su queste materie. Non esiste una definizione legislativa di norma inderogabile, ma le sue caratteristiche si possono evincere tramite il confronto tra norma inderogabile e norma derogabile. E’ detta derogabile la norma che si applica ove i suoi destinatari non abbiano altrimenti disposto, o più pianamente, la norma è derogabile se presuppone l’attribuzione di un potere di deroga al destinatario.27 Si denomina, invece come inderogabile quella norma che, esprimendo un comando che non consente deroghe, limita un potere che, in sua assenza, sarebbe liberamente esercitabile.28 La caratteristica fondamentale di queste norme è quella di limitare un potere; affinché questo effetto limitativo possa esercitarsi, è necessario che si abbia un precetto, destinato ad uno o più soggetti, ed una sanzione, intesa come conseguenza giuridica sfavorevole tesa a stabilire la prevalenza della norma sulla deroga. 27 NOVELLA M., Considerazioni sul regime giuridico della norma inderogabile nel diritto del lavoro, in Arg. Dir. Lav., 2003, 509; 28 NOVELLA M., Considerazioni sul regime giuridico della norma inderogabile nel diritto del lavoro, in Arg. Dir. Lav., 2003, pp. 511; 19
  • 20. La individuazione della sanzione non è legata, però, alla costruzione della norma inderogabile, bensì è questione di diritto positivo; essa è spesso una norma, espressa o inespressa, che abbia il contenuto di norma sanzionatoria in quanto applicabile alla fattispecie costituita dalla violazione di una norma inderogabile.29 Nel diritto del lavoro il collegamento tra precetto e sanzione, laddove non esplicitamente dettato dalla norma, è avvenuto facendo leva sulla funzione della norma , attraverso un’interpretazione basata sulla ratio legis. La individuazione della maggior parte delle norme inderogabili è stata ricondotta alla funzione di tutela della parte debole del rapporto di lavoro, mentre la sanzione ritenuta più idonea a garantire questa funzione protettiva è stata individuata nel combinato disposto degli articoli 1418 e 1419 del codice civile sulla cause di nullità e sulla nullità parziale e dell’articolo 1339 sulla inserzione automatica di clausole.30 Così, quando la previsione difforme sia contenuta in un distinto atto o patto derogatorio, la nullità ex articolo 1418 risulta idonea a conseguire il risultato della prevalenza della norma sull’atto difforme. Quando, invece, la clausola difforme sia contenuta all’interno del contratto di lavoro, la conseguenza sanzionatoria ideale rispetto ai fini protettivi della norma, è individuata nel meccanismo di sostituzione automatica di clausole – articolo 1339 del codice civile – accompagnata dalla contestuale salvezza del contratto rettificato – articolo 1419 secondo comma del codice civile. 31 29 NOVELLA M., Considerazioni sul regime giuridico della norma inderogabile nel diritto del lavoro, in Arg. Dir. Lav., 2003, 514; 30 NOVELLA M., Considerazioni sul regime giuridico della norma inderogabile nel diritto del lavoro, in Arg. Dir. Lav., 2003, 515; 31 NOVELLA M., Considerazioni sul regime giuridico della norma inderogabile nel diritto del lavoro, in Arg. Dir. Lav., 2003, 516; 20
  • 21. Questo criterio di salvaguardia del contratto e di sostituzione delle clausole difformi discende dalla volontà di non rimettere in atto la negoziazione, che presumibilmente favorirebbe la parte forte a scapito della parte debole, bensì di perfezionare quelle parti volute difformi, presumibilmente, proprio dalla parte forte della negoziazione. Infine, va evidenziato come l’operatività dei meccanismi di nullità e sostituzione automatica delle clausole è limitata alle fattispecie in cui il contenuto del contratto stipulato sia peggiorativo per il lavoratore rispetto al contenuto del precetto legale – cosiddetta inderogabilità unidirezionale. La costruzione di questa unidirezionalità è anch’essa frutto della funzione protettiva di questa inderogabilità, e quindi mira ad ottenere una tutela minimale dell’interesse del lavoratore.32 In questa ottica va letto l’articolo 2118, che tratta del recesso dal contratto a tempo indeterminato, a fronte di ipotesi negoziali che limitino il diritto di recesso del lavoratore. Una prima considerazione da fare è se questa norma è una norma di tutela e se contiene un precetto al suo interno che vincoli il potere derogatorio delle parti. La risposta a questa questione deve essere positiva sia per la prima parte, che sancisce la libera recedibilità, sia per quanto riguarda la parte dell’articolo che impone o l’obbligo del preavviso in capo alla parte recedente, o, in mancanza dello stesso, l’obbligo della relativa indennità. 32 NOVELLA M., Considerazioni sul regime giuridico della norma inderogabile nel diritto del lavoro, in Arg. Dir. Lav., 2003, 519; 21
  • 22. L’interesse del lavoratore-parte debole, tutelato da queste norme, è quello di poter cogliere diverse opportunità professionali, laddove queste dovessero manifestarsi, senza subire un onere eccessivo in termini di risarcimento nel caso in cui non ci sia la possibilità di prestare il preavviso.33 In questo frangente, il datore di lavoro ha un interesse opposto che è quello di avere il massimo tempo possibile per fronteggiare la decisione unilaterale della controparte.34 Pertanto, qualsiasi pattuizione limitante il diritto di recesso del lavoratore deve garantire a questi la libertà di recesso a dei costi che non siano tali da far supporre una prevaricazione della parte forte nei confronti della parte debole.35 Derimente, al fine di interpretare la ragionevolezza del vincolo, è la misura del corrispettivo che il datore di lavoro si obbliga a dare, a fronte di questo sacrificio, in aggiunta alle normali obbligazioni scaturenti dal rapporto di lavoro. Al di fuori di queste condizioni, l’assetto degli interessi si pone, per il lavoratore, come trattamento in pejus, posizionato al di sotto della soglia di tutela minima inderogabile.36 Questa tesi oltre che in dottrina, ha trovato conferma nella più recente giurisprudenza (Cass., sez. lav., 11 febbraio 1998, n. 1435) dove si dice che “il lavoratore 33 RUSSO A., Problemi e prospettive nelle politiche di fidelizzazione del personale, Giuffrè editore, Milano, 2004, 111; 34 VALLEBONA A., Preavviso di dimissioni e accordi individuali, in Lav.Giur., 2001, 1120; 35 FEDERICI A., Vincoli convenzionali alla libertà di recesso del lavoratore e condizioni di ammissibilità delle clausole di durata minima del rapporto di lavoro (Nota a Cass., sez. lav., 7 settembre 2005, n. 17817, Soc. Air Vallée c. Ronc), in Riv. giur. lav., 2006, I, 280; 36 FEDERICI A., Vincoli convenzionali alla libertà di recesso del lavoratore e condizioni di ammissibilità delle clausole di durata minima del rapporto di lavoro (Nota a Cass., sez. lav., 7 settembre 2005, n. 17817, Soc. Air Vallée c. Ronc), in Riv. giur. lav., 2006, I, 283; 22
  • 23. subordinato può validamente disporre della propria facoltà di recesso dal rapporto, come nell’ipotesi di una garanzia di durata minima dello stesso. Non contrasta, pertanto, con alcuna norma o principio dell’ordinamento giuridico la clausola con cui si prevedano limiti all’esercizio di detta facoltà, stabilendosi a carico del lavoratore un obbligo risarcitorio per l’ipotesi di dimissioni anticipate rispetto ad un periodo di durata minima”. 37 Le medesime tesi vengono richiamate in T. Venezia, 23 ottobre 2003 dove si specifica che il diritto di recesso resta libero ed impregiudicato dall’accordo di durata minima garantita, e dove si ribadisce che le parti, e nello specifico il lavoratore, possono disporre dello stesso, anche pattuendo una durata minima triennale, salvo il pagamento di una penale come nel caso trattato.38 Infine Cass., sez. lav., 7 settembre 2005, n. 17817 dove, negando la lesione di diritti indisponibili da parte di un accordo di durata minima garantita, la corte ripete, citandole, le medesime motivazioni della sua sentenza del 1998.39 4.2 Il prolungamento convenzionale del preavviso 37 BANO F., Clausola di durata minima e costo dell’addestramento,( Nota a Cass., sez. lav., 11 febbraio 1998, n. 1435, Soc. Air Europe c. Heiss), in Riv. it. dir. lav., 1998, II, 539; 38 BARRACO E., Libertà di dimissioni e strumenti di fidelizzazione del lavoratore: la clausola di durata minima garantita, Nota a T. Venezia, 23 ottobre 2003, Costantini c. Soc. Alpi Eagles, in Lavoro giur., 2004, 692; 39 MENEGATTI E., La corte di cassazione torna a pronunciarsi sulla legittimità delle clausole di durata minima garantita (Nota a Cass., sez. lav., 7 settembre 2005, n. 17817, Soc. Air Vallee c. Ronc), in Argomenti dir. lav., 2006, 229; 23
  • 24. Un primo strumento convenzionale di limitazione del diritto di recesso è quello del prolungamento del periodo di preavviso. Durante il decorso del preavviso, il rapporto continua ad essere assoggettato alla medesima disciplina ad esso applicata prima che venisse esercitata la facoltà di recesso.40 Inoltre, si applica in questo periodo la disciplina sospensiva prevista dall’articolo 2110 del codice civile. Prima di esaminare questo strumento, va fatta una precisazione: a differenza della clausola di durata minima, il preavviso è un istituto tipico dell’ordinamento, che ha meccanismi di tutela molto forti, ma che nasce con finalità distinte da quelle aziendali di retention dei dipendenti. Pertanto la strategia aziendale deve orientarsi non a trattenere al suo interno il dipendente bensì a trattenere il livello professionale di cui esso è portatore. Ne consegue, in termini pratici, che l’estensione temporale non può eccedere una soglia di ragionevolezza tale da incidere in modo rilevante la libertà di recesso del lavoratore.41 Un’altra specificità di questo istituto è che la durata del preavviso è, normalmente, individuata dai contratti collettivi e pertanto, come recita l’articolo 2077 del codice civile, i patti che derogano a previsioni dei contratti collettivi sono nulli e sostituiti di 40 ROTONDI F., Il contratto di lavoro subordinato ed i patti aggiuntivi: opportunità e vincoli, in Isper Edizioni 301, ottobre 2002, 22; 41 RUSSO A., Problemi e prospettive nelle politiche di fidelizzazione del personale, Giuffrè editore, Milano, 2004, 111; 24
  • 25. diritto dalle previsioni degli stessi a meno che non siano migliorativi per il prestatore di lavoro. Pertanto, le caratteristiche di questo strumento vanno esaminate nel rapporto con l’inderogabilità in peius dell’articolo 2118. Una prima limitazione nell’uso di questo strumento si può individuare nell’illiceità di patti individuali che riducano o addirittura eliminino ex ante il periodo di preavviso a tutela del prestatore di lavoro. Questa limitazione discende dalla lettera dell’articolo 2118 c.c. che indica l’obbligo del periodo di preavviso, così come definito normalmente dai contratti collettivi, e dal fatto che tutte le deroghe restrittive di questo obbligo sono precisamente individuate con norme con forza di legge che hanno anch’esse forza imperativa. Senza addentrarci in considerazioni già fatte, si presume una prevaricazione della parte forte nella pattuizione, in violazione alla logica di tutela che l’istituto del preavviso incorpora. Correlato col limite predetto, c’è anche la non sostituibilità pattizia ex ante del periodo di preavviso con la relativa indennità, soprattutto se si ammette la natura reale del preavviso; mentre l’articolo 2118 prevede una sostituibilità delle due voci legata all’accordo tra le parti, appare di dubbia legittimità, in quanto potenzialmente peggiorativo, un patto che aprioristicamente riduca o addirittura elimini il periodo di preavviso a vantaggio dell’indennità, trattandosi di una disposizione di diritti futuri, 25
  • 26. ad esempio rinnovi contrattuali, di impossibile conoscenza al momento della stipula del patto.42 Alla luce di quanto detto, nel caso in cui si tratti di patti che, invece, prolunghino il periodo di preavviso non appare dubbia la liceità, purché ci sia un vantaggio per il lavoratore. La valutazione di questo favor non è, però, cosa semplice ed, a questo proposito, è utile distinguere l’ipotesi di limitazione bilaterale del diritto di recesso da quella unilaterale nei confronti del lavoratore. In particolare, qualora la maggior durata del preavviso impegni entrambe le parti contraenti, il prestatore di lavoro rimane beneficiario del computo del periodo di preavviso per l’indennità di anzianità, per eventuali miglioramenti retributivi o di carriera, nonché della possibilità di sospendere il periodo di preavviso nei casi previsti dalla legge. Laddove il termine di preavviso sia, invece, prolungato esclusivamente nei confronti del lavoratore, dovrà essere contemplata nel patto una forma di compensazione specifica a fronte del sacrificio legato alla compressione del diritto di recesso. La durata di questo prolungamento deve comunque avere un limite ragionevole, prevedendo comunque una compressione di un diritto, e quindi deve essere commisurata alla forza contrattuale e alla professionalità del lavoratore o comunque 42 ROTONDI F., Il contratto di lavoro subordinato ed i patti aggiuntivi: opportunità e vincoli, in Isper Edizioni 301, ottobre 2002, 23; 26
  • 27. alla sua possibilità di ottenere specifici vantaggi in costanza di rapporto in termini di iter professionale o di trattamento economico.43 Anche in questo caso alcuni autori negano la legittimità di questi accordi, laddove mantengano il meccanismo sanzionatorio dell’articolo 2118 c.c. anche per la parte di preavviso eccedente la previsione dei contratti collettivi, perché in questo modo si avrebbe un disincentivo all’utilizzo del diritto di recesso da parte del lavoratore tale da conculcare la libertà personale.44 In effetti, essendo la sanzione il pagamento di un numero di mensilità retributive pari al periodo di mancato preavviso, si evince chiaramente che l’impatto patrimoniale sul lavoratore recedente può essere tale da precludergli questa possibilità. Una possibile soluzione è stata individuata nel superamento del meccanismo sanzionatorio dell’indennità di mancato preavviso, sostituendolo con un discorso di compenso superminimale a fronte del maggiore periodo di preavviso da prestare. In questo caso la sanzione del mancato rispetto di questo ulteriore periodo di preavviso è, in realtà, il mancato guadagno del compenso aggiuntivo, e pertanto non è pregiudizievole della situazione patrimoniale già acquisita dal lavoratore.45 Una quantificazione esatta del limite di durata di questo patto è ardua perché non esiste una norma esplicita che indichi dei limiti, ma, data la peculiarità dello strumento che non consente di sapere il periodo soggetto a vincolo se non nel 43 ZOLI C., Clausole di fidelizzazione e rapporto di lavoro, in Riv. It. Dir. Lav., 2003, 452; 44 VALLEBONA A., Preavviso di dimissioni e accordi individuali, in Lav.Giur., 2001, 1120; 45 VALLEBONA A., Preavviso di dimissioni e accordi individuali, in Lav.Giur., 2001, 1120; 27
  • 28. momento in cui il recesso viene intimato, non appare, comunque, possibile applicare il prolungamento del preavviso per periodi eccessivamente lunghi 46 . Il regio decreto 1825/1924, contenente disposizioni relative al contratto d’impiego privato, individua in quattro mesi, per gli impiegati direttivi con più di dieci anni di anzianità il periodo massimo di preavviso, mentre i contratti collettivi individuano diversi tempi di preavviso, anch’essi in funzione dell’anzianità aziendale e del livello inquadramentale (E. g. il contratto del trasporto aereo prevede un massimo di 8 mesi di preavviso per il personale impiegatizio di livello massimo e con un’anzianità superiore ai ventiquattro anni), pertanto, essendo lo scopo del prolungamento del periodo di preavviso quello di tutelare la professionalità incorporata nella posizione ricoperta, appare corretto valutare la congruità del maggiore periodo di preavviso previsto in conformità con i tempi di preavviso previsti per le figure di contenuto professionale massimo. Nulla è previsto per la forma di questo patto e pertanto, essendo un numero chiuso i casi individuati dall’ordinamento dove la forma è richiesta o ad substantiam o ad probationem, possiamo concludere che non è richiesta una forma particolare. 4.3 La clausola di stabilità La clausola di stabilità è quella clausola apposta al contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, in forza della quale entrambe le parti contraenti, o una di esse, 46 ZOLI C., Clausole di fidelizzazione e rapporto di lavoro, in Riv. It. Dir. Lav., 2003, 453; 28
  • 29. si obbligano per un determinato periodo di tempo a non recedere dal rapporto, fatta salva l’ipotesi della giusta causa.47 Va indicato che esiste una giurisprudenza, Cassazione civile sez. Lavoro 20-04-1995 n 4437, che estende la possibilità di recedere anche alle ipotesi previste dalle norme generali sulla risoluzione di contratti a prestazioni corrispettive. In particolare nelle ipotesi di impossibilità sopravvenuta, laddove non vi sia la possibilità di una proficua utilizzazione, è possibile per il datore di lavoro il recesso anche in presenza di clausola di stabilità.48 Alcuni autori distinguono tra clausola di stabilità in senso stretto e clausola di durata minima: la prima prevede un periodo di moratoria nell’esercizio del diritto di recesso fino ad un certo termine, decorso il quale il rapporto si estingue (normalmente con il raggiungimento di un certo limite di età); la seconda invece prevede sempre una moratoria nell’esercizio del diritto di recesso fino ad un certo termine, decorso il quale, però, il rapporto prosegue come un normale contratto a tempo indeterminato.49 Ai fini di questa trattazione si parlerà di clausola di stabilità, intendendola come clausola di durata minima garantita. Dal punto di vista fenomenologico la clausola di stabilità, laddove vincoli entrambe le parti, può essere assimilata all’apposizione di un termine al contratto di lavoro, così come da Decreto Legislativo 368 del 2001, perché si limita la possibilità di 47 FOSSATI C. e MORPURGO C., Un modo per personalizzare il contratto di lavoro - Gli interventi sul fattore «durata» e le c.d. «clausole di durata minima», in Dir. e pratica lav., 2001, inserto n. 18, 10; 48 Notiz. Giur.lav. 1995, 559; 49 RUSSO A., Problemi e prospettive nelle politiche di fidelizzazione del personale, Giuffrè editore, Milano, 2004, 94; 29
  • 30. recesso alla giusta causa e si prevede il risarcimento del danno in caso di recesso nel periodo contemplato. Le analogie, però, non devono andare oltre perché le tutele del lavoratore sono comunque quelle del contratto a tempo indeterminato, né appare corretto paragonare la giusta rigidità della forma, della durata e delle causali del contratto a termine con gli adempimenti previsti per la clausola di stabilità.50 Nel passato si è negata la legittimità di questa clausola laddove vincolava anche il lavoratore, argomentando che l’apposizione di una durata minima fosse un modo surrettizio del datore di lavoro di avere alcuni dei benefici della normativa dei contratti a termine, e cioè il vincolo del lavoratore per la durata del periodo previsto, al di fuori della casistica tassativa prevista dalla legge sui contratti a termine (All’epoca Legge 230 del 1962).51 Il convincimento alla base di questi ragionamenti è quello che la limitazione della libertà di recesso prevista dall’articolo 2118 c.c. non è mai una modifica migliorativa per il lavoratore, e che soltanto l’istituto del contratto a termine, per la sua eccezionalità, può ottenere questa limitazione bilaterale. Rimandando alle considerazioni fatte nel capitolo sulla negoziabilità del diritto di recesso, mi interessa sottolineare come questa interpretazione rigida, da una parte svuota di significato la clausola di stabilità, non tutelando minimamente l’interesse del datore di lavoro nel trattenere le risorse pregiate, dall’altra giunge a dei risultati 50 FOSSATI C. e MORPURGO C., Un modo per personalizzare il contratto di lavoro - Gli interventi sul fattore «durata» e le c.d. «clausole di durata minima», in Dir. e pratica lav., 2001, inserto n. 18, 10; 51 ISENBURG L., Recenti sviluppi giurisprudenziali in tema di clausole di durata minima (Nota a Cass., 12 aprile 1980, n. 2365, Amodeo c. De Santo), in Riv. giur. lav., 1981, II, 136; 30
  • 31. paradossali dal momento che incentiva il datore di lavoro, per trattenere le risorse, seppure per un tempo minimo ma certo, a stipulare un meno favorevole per il lavoratore contratto a termine piuttosto che un contratto a tempo indeterminato. Fatte salve queste considerazioni, il giudizio sulla legittimità di questa clausola è stato, analogamente a quello sul patto di prolungamento del preavviso, molto dibattuto e per ripercorrerlo appare utile distinguere le due ipotesi di clausola di stabilità: quella bilaterale e quella unilaterale. 4.4 Ipotesi bilaterale Nell’ipotesi bilaterale di clausola di stabilità sia il datore di lavoro che il lavoratore si vincolano per un certo periodo di tempo a non recedere dal contratto di lavoro. Nell’ipotesi di derogabilità migliorativa dell’articolo 2118, questa fattispecie salvaguarda le esigenze di entrambe le parti ed è quindi senz’altro legittima perché se il datore di lavoro ha un periodo di certezza per poter utilizzare una certa prestazione lavorativa, il lavoratore può contare su un uguale periodo di certezza della prestazione retributiva e tutto questo in aggiunta alla disciplina del preavviso che rimane comunque valida, scaduto il termine della clausola.52 52 FOSSATI C. e MORPURGO C., Un modo per personalizzare il contratto di lavoro - Gli interventi sul fattore «durata» e le c.d. «clausole di durata minima», in Dir. e pratica lav., 2001, inserto n. 18, 11; ZOLI C., Clausole di fidelizzazione e rapporto di lavoro, in Riv. It. Dir. Lav., 2003, 454; 31
  • 32. 4.5 Ipotesi unilaterale Nell’ipotesi unilaterale di clausola di stabilità o solo il lavoratore o solo il datore di lavoro si vincolano per un certo periodo di tempo a non recedere dal contratto di lavoro. Nell’ipotesi in cui sia il datore di lavoro a vincolarsi non è mai sorto dubbio alcuno sulla legittimità di questa clausola perché il principio del favore nei confronti della parte debole del rapporto di lavoro ha, da tempo, fatto prevalere una interpretazione di derogabilità in tal senso dell’articolo 2118, lasciando quindi la facoltà al datore di lavoro di rinunciare al diritto di recesso per un periodo discrezionale.53 A tal proposito, la giurisprudenza tranne rari casi ha confermato questa tesi: uno di questi casi è T. Palermo, 24 aprile 2001, il quale nega la validità di una clausola di stabilità unilaterale a favore del lavoratore in quanto atto di liberalità, e pertanto estraneo all’oggetto sociale dell’impresa. In realtà, come osservato nella nota a commento di questa sentenza, anche in questo caso è riscontrabile un interesse aziendale patrimoniale nell’offrire, come benefit ad un dirigente, un periodo di stabilità in deroga alla libertà di recesso prevista per questa categoria di lavoratori.54 53 CARINI F. M., La clausola di durata minima garantita, (Nota a T. Palermo, 24 aprile 2001, Di Prima c. Banca Mercantile it.), Dir. lav., 2002, II, 12; ISENBURG L., Recenti sviluppi giurisprudenziali in tema di clausole di durata minima (Nota a Cass., 12 aprile 1980, n. 2365, Amodeo c. De Santo), in Riv. giur. lav., 1981, II, 137; 54 CARINI F. M., La clausola di durata minima garantita, (Nota a T. Palermo, 24 aprile 2001, Di Prima c. Banca Mercantile it.), Dir. lav., 2002, II, 14; 32
  • 33. Più problematica l’altra ipotesi unilaterale, laddove sia il lavoratore a vincolarsi, perché appare di più difficile prova il miglioramento rispetto alla disciplina codicistica e soprattutto perché appare più plausibile una forzatura da parte del datore di lavoro nei confronti del più debole lavoratore. Decisiva, per classificare come migliorativo questo patto, è la contropartita relativa a questa rinuncia. Nella giurisprudenza più recente appare vincente una clausola unilaterale a favore del datore di lavoro, laddove sia precisamente quantificabile una utilità in capo al lavoratore (Cass., sez. lav., 11 febbraio 1998, n. 1435; Cass., sez. lav., 7 settembre 2005, n. 17817). Questa utilità può essere un corso di formazione con relativa abilitazione oppure una somma di denaro e deve essere proporzionale al periodo di durata della clausola stessa.55 In sintesi, l’assunzione di un obbligo di durata minima garantita o comunque di una certa continuità nel rapporto, per avere una sua giustificazione causale, da una parte deve rispondere ad un interesse giuridicamente apprezzabile dell’impresa e dall’altra deve trovare, nell’ottica del lavoratore, qualche contropartita e limiti ragionevoli tali da non ledere i diritti fondamentali al lavoro ed alla libertà professionale.56 55 BANO F., Clausola di durata minima e costo dell’addestramento (Nota a Cass., sez. lav., 11 febbraio 1998, n. 1435, Soc. Air Europe c. Heiss, in Riv. it. dir. lav., 1998, II, 540; MENEGATTI E., La corte di cassazione torna a pronunciarsi sulla legittimità delle clausole di durata minima garantita (Nota a Cass., sez. lav., 7 settembre 2005, n. 17817, Soc. Air Vallee c. Ronc), in Argomenti dir. lav., 2006, 233; 56 FEDERICI A., Vincoli convenzionali alla libertà di recesso del lavoratore e condizioni di ammissibilità delle clausole di durata minima del rapporto di lavoro (Nota a Cass., sez. lav., 7 settembre 2005, n. 17817, Soc. Air Vallée c. Ronc), in Riv. giur. lav., 2006, I, 280; 33
  • 34. 4.6 Forma Come per il prolungamento del periodo di preavviso ed a differenza della normativa sui contratti a termine e sul patto di non concorrenza, nulla è previsto per la forma di questo patto e pertanto, essendo un numero chiuso i casi individuati dall’ordinamento dove la forma è richiesta o ad substantiam o ad probationem, possiamo concludere che non è richiesta una forma particolare.57 La giurisprudenza ha dibattuto, però, sulla possibilità di includere la clausola di stabilità tra le clausole cosiddette vessatorie così come previsto dall’articolo 1341 codice civile, negando, però, questa possibilità, si veda T. Venezia, 23 ottobre 2003, non potendosi applicare l’analogia ad una fattispecie che prevede la libera recedibilità di una delle parti - colui che propone il contratto - e cioè l’esatto opposto della clausola di stabilità.58 4.7 Durata In materia di durata della clausola di stabilità, non abbiamo un dato certo che imponga dei limiti al di fuori di un discorso di proporzionalità tra prestazione – rinuncia al diritto di recesso ex 2118 per un certo tempo- e controprestazione - rinuncia al diritto di recesso ex 2118 oppure altra tipologia di utilità. 57 FOSSATI C. e MORPURGO C., Un modo per personalizzare il contratto di lavoro - Gli interventi sul fattore «durata» e le c.d. «clausole di durata minima», in Dir. e pratica lav., 2001, inserto n. 18, 11; 58 BARRACO E., Libertà di dimissioni e strumenti di fidelizzazione del lavoratore: la clausola di durata minima garantita, Nota a T. Venezia, 23 ottobre 2003, Costantini c. Soc. Alpi Eagles, in Lavoro giur., 2004, 695; 34
  • 35. Esistono, però, dei limiti nell’ordinamento che per analogia potrebbero essere utilizzati dal magistrato come metro per una valutazione di equità che sono: la durata massima del patto di non concorrenza di cinque anni per i dirigenti e tre per gli altri così come da articolo 2125 del codice civile oppure i tre anni di prorogabilità massima dei contratti a termine così come da D.leg.vo 368/2001.59 Va detto anche che l’analogia non è pienamente estendibile perché le logiche dei limiti temporali soprarichiamati sono relative ad interessi diversi, e quindi deve essere prevalente un discorso di corrispettività tra durata del vincolo ed utilità economica offerta in termini monetari, formativi o di garanzia di un percorso professionale e di carriera. 4.8 Sanzioni Nel periodo di validità della clausola di stabilità una delle due parti o entrambe rinuncia al diritto di recedere, fatte salve le eccezioni dell’articolo 2119 codice civile. Laddove ci sia una violazione di detta clausola si configura un inadempimento contrattuale assoluto – la prestazione non potrà più essere riconosciuta – e quindi nasce l’obbligo della parte recedente di risarcire il danno alla parte che lo subisce. Nel caso in cui sia il lavoratore a recedere, questi sarà chiamato a risarcire il danno al datore di lavoro secondo le regole del codice civile che all’articolo 1223 prevedono 59 ZOLI C., Clausole di fidelizzazione e rapporto di lavoro, in Riv. It. Dir. Lav., 2003, 457; RUSSO A., Problemi e prospettive nelle politiche di fidelizzazione del personale, Giuffrè editore, Milano, 2004, 97 35
  • 36. che sia riconosciuto a chi subisce l’inadempimento sia il danno emergente che il lucro cessante, purché siano immediata conseguenza dell’inadempimento.60 Mentre nel caso della compravendita di un quantitativo di beni la quantificazione del danno appare relativamente semplice, è di tutta evidenza che nel caso del recesso del lavoratore questa quantificazione sia molto più complessa. Un criterio ragionevole per la quantificazione del danno potrebbe essere il calcolo dei costi di selezione e formazione necessari per sostituire il lavoratore, e quindi per reintegrare l’organizzazione aziendale, chiaramente riproporzionati sulla percentuale di periodo di stabilità già garantito.61 Va detto, però, che c’è una certa dose ineliminabile di discrezionalità nella quantificazione del danno che espone le parti, ma soprattutto chi subisce il recesso che ha l’onere della prova del danno subito, ad un giudizio non sempre in grado di soddisfare le diverse esigenze. Al fine di evitare questa alea, spesso nella redazione di queste clausole si inserisce una clausola penale, così come da articolo 1382 del codice civile, che pattiziamente quantifichi il danno legato all’evento inadempimento. In questo caso la parte che subisce l’inadempimento non deve provare di aver subito il danno, bensì deve richiedere semplicemente il pagamento della clausola penale. Peraltro, resta ferma la facoltà del giudice di ridurre l’entità della penale ex articolo 1384 del codice civile se l’ammontare della penale è manifestamente eccessivo. 60 INZITARI B. in Istituzioni di Diritto Privato a cura di Mario Bessone, Giappichelli editore, Torino, 1996, 486; 61 ROTONDI F., Il contratto di lavoro subordinato ed i patti aggiuntivi: opportunità e vincoli, in Isper Edizioni 301, ottobre 2002, 22; 36
  • 37. In questo caso il giudice valuta sia l’interesse effettivo del creditore, sia l’effettiva incidenza del recesso tenuto conto della delicatezza dell’incarico, della rilevanza complessiva del compenso e della non agevole sostituzione del lavoratore.62 Naturalmente esula da un discorso sanzionatorio una risoluzione consensuale, Cass.,sez. lav., 11 Giugno 1999, n. 5791, dal momento che non esiste un danno legato ad un recesso unilaterale.63 62 ZOLI C., Clausole di fidelizzazione e rapporto di lavoro, in Riv. It. Dir. Lav., 2003, 458; 63 Notiz. Giur. Lav., 1999, 640; 37
  • 38. 5 BIBLIOGRAFIA BANO F., Clausola di durata minima e costo dell’addestramento (Nota a Cass., sez. lav., 11 febbraio 1998, n. 1435, Soc. Air Europe c. Heiss, in Riv. it. dir. lav., 1998, II, 539; BARRACO E., Libertà di dimissioni e strumenti di fidelizzazione del lavoratore: la clausola di durata minima garantita, Nota a T. Venezia, 23 ottobre 2003, Costantini c. Soc. Alpi Eagles, in Lavoro giur., 2004, 692; BIAGI M., RUSSO A., Problemi e prospettive nelle politiche di “fidelizzazione” del personale, Collana ADAPT, Modena, n.1/2001; BONARDI O., Recesso dal contratto di lavoro con clausola di durata minima e onere della prova dell’aliunde perceptum (Nota a Cass., sez. lav., 3 febbraio 1996, n. 924, Baldati c. Pezzella), in Riv. it. dir. lav., 1997, II, 801; BONATI G.,GREMIGNI P., Guida pratica lavoro, Il Sole 24 Ore, Marzo 2006; BONILINI G. in Istituzioni di Diritto Privato a cura di Mario Bessone, Giappichelli editore, Torino, 1996; CARINI F. M., La clausola di durata minima garantita, (Nota a T. Palermo, 24 aprile 2001, Di Prima c. Banca Mercantile it.), Dir. lav., 2002, II, 9; DI MAIO A. in Istituzioni di Diritto Privato a cura di Mario Bessone, Giappichelli editore, Torino, 1996; DUI P., Clausola di durata minima del rapporto a favore del datore di lavoro (Nota a Cass., sez. lav., 7 settembre 2005, n. 17817, Soc. Air Valleé c. Ronc), in Lavoro giur., 2006, 139; FEDERICI A., Vincoli convenzionali alla libertà di recesso del lavoratore e condizioni di ammissibilità delle clausole di durata minima del rapporto di lavoro (Nota a Cass., sez. lav., 7 settembre 2005, n. 17817, Soc. Air Vallée c. Ronc), in Riv. giur. lav., 2006, I, 280; FOSSATI C. e MORPURGO C., Un modo per personalizzare il contratto di lavoro - Gli interventi sul fattore «durata» e le c.d. «clausole di durata minima», in Dir. e pratica lav., 2001, inserto n. 18; GHERA E., Diritto del lavoro, Cacucci editore, Bari, 2006; GIUDICI M., La risoluzione consensuale del rapporto, in Isper Edizioni 348, settembre 2006, 4; GRANATO M., Sul diritto di recesso del lavoratore ex art. 2119 c.c. (Nota a Cass., 22 dicembre 1987, n. 9589, Sanna c. Fall. soc. ed. sarda), in Giur. it., 1989, I, 1, 181; ISENBURG L., Recenti sviluppi giurisprudenziali in tema di clausole di durata minima (Nota a Cass., 12 aprile 1980, n. 2365, Amodeo c. De Santo), in Riv. giur. lav., 1981, II, 136; 38
  • 39. LANOTTE M., Patto di non concorrenza e nullità della clausola di recesso - Spunti di riflessione su corrispettività delle obbligazioni e fidelizzazione del lavoratore (Nota a Cass., sez. lav., 16 agosto 2004, n. 15952, Soc. Adecco c. Leoni), in Mass. giur. lav., 2005, 44; MELECA V., La fidelizzazione del lavoratore, in Dir. e pratica lav., 2002, 1877; MENEGATTI E., La corte di cassazione torna a pronunciarsi sulla legittimità delle clausole di durata minima garantita (Nota a Cass., sez. lav., 7 settembre 2005, n. 17817, Soc. Air Vallee c. Ronc), in Argomenti dir. lav., 2006, 229; MEUCCI M., Il rapporto di lavoro nell’impresa, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1991; NOVELLA M., Considerazioni sul regime giuridico della norma inderogabile nel diritto del lavoro, in Arg. Dir. Lav., 2003, pp. 509 e ss.; ROSELLI F., Il recesso dal contratto, in A. Cecchini, M. Costanza, M. Franzoni, A. Gentili, F. Roselli, G. Vettori, Effetti del contratto, Giappichelli editore, Torino, 2002, 686; ROTONDI F., Il contratto di lavoro subordinato ed i patti aggiuntivi: opportunità e vincoli, in Isper Edizioni 301, ottobre 2002, 5; TORRENTE A, SCHLESINGER P., Manuale di diritto privato, Giuffrè editore, Milano, 1985; VALLEBONA A., Preavviso di dimissioni e accordi individuali, in Lav.Giur., 2001, 1120; ZOLI C., Clausole di fidelizzazione e rapporto di lavoro, in Riv. It. Dir. Lav., 2003, 449; 39