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Federico Amato
IL chicco della speranza
Copertina di Francesca Rodella
Capitolo 1 Nascere da un drago
“Non importa chi tu sia, da quale famiglia tu nasca, il colore della tua pelle o dei tuoi occhi se na-
sci da un drago. La tua anima avrà un colore che nulla e nessuno potrà cambiare” - “E qual è il
colore della mia anima?”. Questa era la domanda che Wei faceva ai suoi genitori quando gli rac-
contavano le storie su Longsheng la regione in cui vivevano. Longsheng nella provincia di
Guangxi è una delle aree più suggestive, affascinanti e misteriose della Cina del Sud. Enormi di-
stese di acque bagnano le colline di Longsheng dove si estendono le coltivazioni dell’ alimento
sacro nella cultura popolare cinese: il riso. Deserti di acqua bagnano le colline e gli infiniti terraz-
zamenti che ricostruiscono le immagini di un capolavoro di impressionismo. Da circa 700 anni
l’Uomo aveva agito su ciò che la Terra gli aveva fornito creando la terra di Longsheng o di Long-
ji che significherebbe spina dorsale di drago. Un nome che indica l’ideale conformazione del ter-
ritorio con le squame ricreate dai terrazzamenti e le punte delle colline che formano la spina dor-
sale del drago.
Wei era nato lì, da un drago, e da sempre vi viveva con i suoi genitori. Il padre, agricoltore, era
uno dei contadini che lavoravano in mezzo a quell’oceano di riso. La madre di Wei era tale a
tempo pieno. Come ogni coppia di genitori che si rispetti, si dividevano l’arduo compito che la
loro carica coniugale attribuiva. Il padre abituava Wei ad una vita di fatica e sforzi dove il lavoro
veniva al primo posto. Portava il figlio presso i campi e gli illustrava la sua attività, la pazienza
con cui si lavora la terra e con cui si attende la crescita del riso. La coltura del riso è infatti una
delle più difficili da praticare e la cura è il primo obiettivo di un risicoltore. Sono fondamentali,
ad esempio, il mantenimento di un certo livello di acqua nelle terrazze, curare i sistemi di ap-
provvigionamento idrico, la qualità del terreno e l’eliminazione delle malerbe. Questo Wei aveva
imparato fin da quando era bambino.
La madre invece accontentava ogni piccolo capriccio o ispirazione del figlio. Wei non era mai
stato un ragazzo viziato, aveva profondo rispetto ed era orgoglioso dei suoi genitori. In tutta la
sua vita non pensò mai che le umili condizioni potessero sminuire il valore morale di una perso-
na. Le sue richieste non andavano mai oltre una certa stima e rispettavano le disponibilità eco-
nomiche della famiglia. La madre, d’altro canto, riteneva che fosse fondamentale spronare il fi-
glio e spingerlo verso i suoi interessi.
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La passione di Wei era nata all’età di sei anni quando accompagnava il papà al ritorno dai campi
per andare a casa. I due di consuetudine passavano davanti l’abitazione di un vecchio contadino,
il signor Peng che ogni pomeriggio se ne stava in giardino con la moglie. I coniugi sedevano qua-
si sempre uno di fronte all’altra e la moglie, la signora Qian, posava come una statua di epoca
classica. Il signor Peng, in genere voltato di spalle, stava piegato su sè stesso ed era problematico
capire in quale attività fosse coinvolto. Le prime volte Wei era quasi spaventato dall’immagine di
quei due che sembravano fuori di testa come se con l’età il senno li avesse abbandonati. Un gior-
no, incuriosito, si avvicinò a questi entrando nel giardino, mentre il padre proseguiva per la strada
verso casa, e andò incontro al vecchio. Questo, insieme alla moglie, non si era minimamente ac-
corto di quella presenza estranea ed entrambi proseguivano con la loro solita scena. Wei allora
scorse una matita che si agitava rapidamente su un foglio di carta, mossa dalla mano nevrotica
del signor Peng in preda ad alcuni scatti di ispirazione. A quel punto doveva capire che cosa sta-
va rappresentando il vecchio.
Il giardino del signor Peng e della signora Qian si estendeva di fronte la villetta in cui abitavano
ed era molto piccolo, con un unico sentiero centrale che conduceva all’entrata, ai lati un mode-
sto prato molto curato. Non vi erano alberi o fiori particolari ma solo le due sedie su cui sedeva-
no marito e moglie l’uno davanti l’altra.
Da dove avesse tratto tutte quelle decorazioni e quella vegetazione il signor Peng, per Wei rimar-
rà sempre un mistero. Sul disegno infatti vi era l’immagine perfetta della donna rappresentata in
tutta la bellezza dei suoi anni e circondata da una decorazione eloquente florale di Peonie, Iris,
fiori di susino e fiori di Loto. La donna era rappresentata come un’entità divina di un mondo
estemporaneo e astratto che ne alterava le qualità fisiche rendendo i difetti di senilità delle qualità
naturali a cui aspirare.
Rimase a guardare la scena attonito sin quando il vecchio si volse verso di lui e con un cenno
gentile della mano lo invitò ad avvicinarsi. Il signor Peng conosceva bene il padre di Wei, i due
avevano lavorato insieme per diversi anni fino a quando l’anziano non smise di lavorare. “Vieni,
Wei, non aver paura” - disse l’uomo aggiungendo - “Conosci l’arte del disegno a mano?”. “No
signor Peng, ho visto solo un’esposizione di disegni una volta in un mercato ma non ho mai vi-
sto nessuno disegnare davanti a me”. La sigora Qian allora pregò Wei di accomodarsi, offrendo-
gli un the e gli mostrarono i disegni. Questi rappresentavano sempre la donna nella stessa posi-
zione ma in paesaggi completamente diversi, a volte astratti ma tutti avevano un’armoniosità sor-
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prendente. A quel punto Wei chiese: “Visto che la signora Qian è sempre nella stessa posizione
perché non copia la sua immagine su tutti i disegni invece di farla sedere sempre davanti a lei?”.
Gli anziani risero e arrossirono, al che il signor Peng rispose: “E’ impossibile, non vedi che non è
nella stessa posizione? Se fosse così ti trasmetterebbe sempre la medesima emozione vero?” Non
era facile capire per Wei, aveva sei anni e non aveva mai osservato attentamente un disegno pri-
ma. Allora il signor Peng gli propose di andare da lui quando ne aveva piacere per insegnarli a di-
segnare.
Passò molto tempo col signor Peng nei pomeriggi di ritorno dalle piantagioni. I due anziani ave-
vano cura di lui come di un nipotino, lo istruirono, gli raccontavano alcune storie sul riso e sui
draghi e i genitori di Wei si abituarono a vederlo tornare la sera, spesso con qualche alimento e
regalo per loro da parte degli anziani.
Anni dopo in età adolescenziale Wei non dimenticò le parole di quella coppia speciale che lo
aveva abbandonato tempo prima, giunti entrambi alla conclusione della loro vita. Ricordava so-
prattutto una frase del signor Peng: “Vedi Wei, ciò che differenzia un artista da un semplice ama-
tore è la capacità di vedere cose che altri non vedono. Questo non significa che non tutti posso-
no diventare artisti. A volte c’è bisogno di trovare un oggetto d’ispirazione per capire che cosa
davvero vogliamo creare. Io l’ho trovato, da sempre è l’amore per mia moglie. Mi ha permesso di
vederla sempre qui e ovunque. Non abbiamo mai avuto soldi per viaggiare ma allo stesso tempo
non ne avevamo bisogno perché sapevamo di poter essere felici in qualsiasi luogo.”
Wei iniziò a disegnare nel suo tempo libero, aiutato dalla madre che gli comperava matite e fogli.
Cominciò focalizzandosi su singoli oggetti come gli aveva spiegato il signor Peng e a volte rima-
neva giorni per renderli perfetti in modo realistico. La madre era stupita delle abilità del figlio ma
lui non era soddisfatto della sua attività. Il lavoro di copiatura diventava monotono e lui non era
riuscito a trovare l’ispirazione e la volontà che muovevano animatamente il signor Peng.
Abbandonò per un lungo periodo il disegno e decise di iniziare ad aiutare in alcuni giorni il padre
per guadagnare qualcosa. Un giorno si mise ad osservare dalla cima di una collina l’enorme diste-
sa di terrazzamenti sottostante. Un paesaggio suggestivo di campi irrigui che rispecchiavano il co-
lore del cielo. Le nuvole che si spostavano velocemente, le anatre nuotavano sicure sugli specchi
d’acqua lasciando delle lunghe scie al seguito che presto scomparirono e spostò lo sguardo su un
contadino che guidava un bue in cima ad un aratro sul terreno fangoso nell’atto di risistemare fa-
ticosamente il terreno. In un attimo una figura taglia la scena rubando l’attenzione di Wei.
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Cos’era che si spostava a tanta velocità? L’immagine era strana, andava rapidamente giù dalla col-
lina e si avviava verso il gruppo di case nel paese. Wei iniziò a correre scendendo la collina per
poter vedere meglio la scena. Inciampò due o tre volte cadendo nel fango e rialzandosi. Si fermò
e vide una chioma di capelli neri controvento muoversi nell’aria ma non capì cosa fosse. Sorrise
quando vide una piccola figura sotto i capelli che pedalava su una bicicletta riconoscendo di aver
avuto per un attimo un’illusione ottica incomprensibile. La figura sparì lontano e Wei alzò gli oc-
chi al cielo. Un forte vento iniziava a soffiare mentre il padre di ritorno fece cenno al figlio di ini-
ziare a incamminarsi verso casa.
I giorni seguenti non furono come gli altri alle risaie. L’attenzione di Wei, ogni pomeriggio, ogni
santo giorno, alle sei era completamente rivolta a quella figura che si divertiva a sconvolgere quel
pacifico e, a volte monotono, paesaggio scendendo ad una velocità spericolata dalle colline. Len-
tamente andare alle risaie diventava qualcosa del tutto necessario per Wei. Non stava più osser-
vando fissamente e disinteressatamente quel luogo. Che il signor Peng avesse ragione? Che fi-
nalmente Wei avesse davvero trovato un’ispirazione a sconvolgere il suo tempo?
Decise di abbandonare il lavoro col padre e andare indipendentemente ai campi trovando una
posizione strategica in cui ricominciare a disegnare. Su un albero a metà strada fra una collina e il
sentiero principale Wei fissò il suo punto di estraneità dal mondo reale e quello di un vero artista
come amava pensarsi, il suo punto a metà fra la Terra e le Stelle. Lì a fianco ogni pomeriggio po-
teva osservare da vicino, senza che lo vedesse, la figura estranea e rapida che aveva iniziato a co-
lorare il paesaggio circostante di quelle sfumature che Wei iniziava a riportare nelle sue rappre-
sentazioni.
Era difficile pensare che quell’immagine avrebbe mai potuto fermarsi durante quelle discese. Wei
però aveva iniziato a immaginarsela, a metterla dentro ogni sua opera come una firma d’autore.
Pensava che un giorno molto lontano sarebbe sceso da lì, l’avrebbe fermata e l’avrebbe ringrazia-
ta mostrandole tutti i disegni.
Ma la verità è che a volte la vita ci avvicina a ciò che vogliamo, sconvolgendo ogni piano architet-
tato da noi umani che ci crediamo ingegneri in grado di progettare colonne portanti di ogni mo-
mento della nostra vita. A volte poi, quando il palazzo cade, abbiamo paura di ricostruire tutto o,
semplicemente, abbiamo paura di avvicinarci alle macerie smettendo di credere di essere ingegne-
ri.
Lo imparò anche Wei quando un giorno, osservando la sua solita compagnia delle sei che scen-
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deva ingenua dalla collina, la vide cadere giù dalla bicicletta che si era conficcata fra due maledet-
te, o benedette, pietre nel terreno. Il ragazzo terrorizzato dalla scena gettò via ogni strumento e
scese velocemente dall’albero avviandosi verso di lei, la figura o, meglio, la ragazza.
Capitolo 2 “E se spezzi un cuore?” “Un pezzo dallo a me…”
“Hai mai guardato oltre le colline fissando l’orizzonte al tramonto?”. Lui rispose: “Sembra una
cosa molto romantica ma sarò sincero: no”.
Si arrabbiò. Per l’ennesima volta non aveva capito cosa intendesse: “Non si tratta di romantici-
smo! Possibile che un artista come te non abbia mai pensato a cosa ci fosse fuori da questo po-
sto? Le persone, i luoghi, i profumi, i suoni…” La interruppe: “E tu? Tu hai mai guardato oltre?”
Shan era la ragazza che Wei osservava in bicicletta tutti i pomeriggi. Era una figura piccola ed esi-
le con una chioma folta di capelli neri sciolti che spesso andavano sul volto e le coprivano gli oc-
chi costringendola a tirarli indietro. Quando Wei l’ aveva aiutata a rialzarsi in seguito all’incidente,
Shan ebbe una reazione del tutto inaspettata che sorprese il ragazzo. Aveva iniziato a ridere fra-
gorosamente.
Quello che stupisce quando si osserva una reazione inaspettata è ciò che segue più che la reazio-
ne stessa. Wei aveva raccontato a Shan che cosa faceva in quel luogo e quale fonte di ispirazione
lei fosse. Incuriosita dal suo estro, decise di incontrarlo nuovamente il giorno successivo e così
quelli che seguirono.
I disegni di Wei erano molto particolari. Spesso inquadravano il paesaggio circostante trasfor-
mandone le conformità, i colori ma mantenendo sempre lo stesso soggetto: la natura. Non erano
però di facile comprensione. Le forme ricreate infatti ricomponevano delle figure umane colte in
attimi di vita intimi e particolari: persone che si abbracciavano, un uomo che lavora la terra, un
bimbo che corre... tutto ciò attraverso il solo uso degli aspetti della natura.
Shan restava li, lo guardava, delle volte attendeva che lui si alzasse per riposarsi e sbirciare a che
punto era nelle sue opere. Il suo sguardo era sempre impassibile, riflessivo e indecifrabile e Wei
non capiva cosa pensasse dei suoi disegni.
Non trascorse molto tempo però prima che le chiedesse: “Che cosa pensi quando guardi queste
immagini?” Ed ecco che lei si volse a guardare il panorama circostante, i colori del tramonto che
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confondevano il cielo con le distese di acqua e tornando a Wei ricambiò con la fatidica domanda
iniziale.
Il dialogo fra i due era un continuo scambio di interrogativi, una sequela di domande e risposte in
cui si contrapponevano due visioni: da una parte l'anima ingenua ed errabonda di un ragazzo e
dall'altra quella misteriosa e impertinente di una ragazza.
Shan raccontava di nutrire un forte desiderio di abbandonare Longsheng nel quale viveva da or-
mai troppo tempo per non aver mai visitato alcuna regione al di fuori di essa. Wei riconosceva in
lei uno spirito forte e certamente più coraggioso di lui ma nel contempo malinconico. Una di
quelle malinconie che le impediva di credere davvero in ciò che desiderava, in quei sogni sfacciati
di chi alla realtà è abituato a rispondere con la fantasia.
Era una grande lettrice, appassionata di racconti fantastici con storie di eroi, guerrieri, uomini in-
namorati che combattevano, viaggiavano e quasi sempre, manco a dirlo, vincevano. Non solo,
era anche dotata di straordinarie capacità narrative: le sue parole nell’aria danzavano seguendo il
ritmo di un direttore d’orchestra tormentato e scostante ma che sapeva mantenere il controllo
suonando la calma soave e apparente della pace. Non era raro, infatti, che nei suoi racconti Shan
offrisse lunghe pause dove sembrava perdersi e ricordarsi di qualche pensiero lasciato per molto
tempo nascosto. All’ombra dei suoi segreti sedevano gli eroi e le favole che amava così tanto.
Tutte e due i ragazzi avevano ogni pomeriggio qualcosa, un messaggio o dei significati, da comu-
nicarsi ma lo facevano in tempi e modi differenti. L’uno con i suoi disegni, rapidi e in grado di
catturare l’istante, l’altra con le sue storie che richiedevano tempo e speranza per essere apprezza-
te.
Wei era ammaliato dalle figure, le immagini, gli eventi lontani e la diversità di alcune culture sco-
nosciute che Shan gli riportava. Tutto aveva una potenzialità creativa sconvolgente. Tra i racconti
che Wei apprezzava di più vi erano quelli sulle grandi metropoli. Le loro storie, la loro forma-
zione, i monumenti più rappresentativi e i personaggi a cui erano legate. Nella sua mente viaggia-
vano città gigantesche di palazzi elevati dove ogni giorno si mobilitano milioni di uomini, storie
individuali e interpersonali grandi, piccole, simili e diverse mescolate fra loro. Le piazze folclori-
stiche animate dalla musica, intere masse che si riuniscono attorno spettacoli di ogni genere, gli
slogan che muovono la nascita di nuove idee, il pensiero che si diffonde in tempo reale e tutta
questa vita, era vita al di fuori di Longsheng. A volte chiudeva gli occhi pensando di poter rag-
giungere immediatamente quei posti.
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Wei aveva imparato a conoscere Shan e si era reso conto che da sempre qualcosa, qualche pen-
siero o preoccupazione, la opprimevano. Capitava che la guardasse e sentisse dentro di sé il biso-
gno di aiutarla. Le urla silenziose dicono che siano più forti di quelle udibili della voce.
Un pomeriggio, recandosi all’albero, la incontrò lì sotto. Non era abituato a trovarla subito, quasi
sempre era lei che lo raggiungeva con la sua bicicletta. Era seduta e aveva lo sguardo perso. Gli
occhi brillavano, la bocca chiusa e stretta come se trattenesse un grido dall’anima. Wei si avvicinò
lentamente, si sedette e per un po’ fissò un punto vuoto nell’atto di immedesimarsi con lei. Non
aveva il coraggio di rompere quel silenzio, avrebbe lasciato che fosse il tempo a suggerire qualco-
sa. D’un tratto Shan aveva trovato la serenità del luogo e la libertà di confidarsi e iniziò pronun-
ciando: “Mio padre…”. Wei si girò e le strinse la mano come per darle forza e nascondere una
fragilità interiore. Continuò: “Ho litigato di nuovo con mio padre”.
Wei aveva scoperto che il padre di Shan era proprietario di molte terre a Longsheng. Lei raccon-
tò di vivere da molti anni senza la madre di cui non ricordava più molto ma sapeva che molti libri
che aveva letto appartenevano a lei. Questo l’aveva incoraggiata fortemente a leggere e aveva
creato una profonda curiosità interiore. Pensava di poterla conoscere ritrovando parti di lei e del
suo cuore in quei testi. Sosteneva che chi legge come chi ama ha spesso l’abitudine di lasciare
parti di sé in ogni libro e in ogni amore come se tutto gli appartenesse. Il padre durante quegli
anni era diventato sempre più aspro e risoluto e non si curava della figlia, tantomeno dei suoi de-
sideri.
Shan rivolgendosi a Wei disse: “Mi avevi chiesto cosa ne pensassi dei tuoi disegni e mai ti avevo
dato una risposta. Forse ora la sai anche tu. Entrambi cercavamo qualcosa ma in modo diverso
ed è stata una fatalità a farci conoscere. Tu avevi bisogno di capire cosa ti mancasse e ora lo hai
trovato.” Wei si fece cupo e allora lei tornando a fissare un punto lontano aggiunse: “Non puoi
conoscere ciò che hai veramente se non scopri ciò che sta là fuori”.
Le parole colpiscono più forte di una freccia e trapassano i pensieri delle persone cambiandone i
piani e i destini. Shan aveva colpito. Wei prese coraggio. Il suo futuro sarebbe stato quello.
Avrebbe viaggiato. Sì ma come? E dove sarebbe andato?
Era sicuro di una cosa però: Shan lo avrebbe accompagnato. Avrebbe scoperto con i suoi occhi
ciò che fino ad allora erano solo parole di vecchia carta stampata. Avrebbe cominciato a cercare
nel mondo con il suo pensiero ciò che le parole di qualche straniero le avevano raccontato fino a
ieri.
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Ma Shan non si presentò più all’albero e Wei non vide la sua bicicletta per molto tempo. La cer-
cò ovunque senza trovarla. Non aveva molte informazioni su di lei, il padre non lo aveva mai
visto, lei non aveva mai detto dove abitava e in fondo una nuvola di mistero arieggiava negli oc-
chi di quella ragazza, così nascosti dal mondo e così curiosi di conoscerlo.
L’ultima volta che Wei si recò all’albero iniziò a disegnare il tramonto circostante senza ricreare le
sue solite immagini straordinarie e particolari. Stava rappresentando lo spettacolo della natura per
quello che era, per le sagome e i colori con cui si presentava. Mancava qualcosa, anzi, mancava
qualcuno. Era svogliato, triste e confuso. Scese dall’albero senza aver finito il disegno. Il foglio
sfilò dalla mano mentre il ragazzo si allontanava lungo il sentiero.
Una parte di lui era rimasta con Shan, quella risata spavalda e provocatoria era ancora nell’aria.
Presto o tardi l’avrebbe ritrovata, magari in un disegno, in un volto o solamente in un ricordo.
Capitolo 3 Per chi ascolta il suono della vita
Era partito. Non si guardò indietro. I genitori gli avevano consentito di affrontare questo viaggio
a tempo indeterminato a patto che si recasse dallo zio che abitava a Wenzhou.
Lo zio di Wei si chiamava Cheng. Aveva lasciato Longsheng alcuni anni prima per concludere i
suoi studi di medicina. Wei non ricordava moltissimo di lui, un uomo studioso che sembrava
chiuso in sé stesso e nelle sue aspirazioni, a volte lunatico ma in fondo magnanimo e generoso.
C’era una cosa, una caratteristica e una passione, che contraddistingueva Cheng ovvero il suo
amore per la musica e in particolare verso uno strumento musicale: il ruan .
Il ruan è uno degli strumenti a corde pizzicate più popolari della tradizione cinese. Paragonabile
ad una chitarra con una cassa schiacciata e circolare, è dotato solamente di quattro corde e di una
tastiera con ventiquattro tasti. Può essere chiamato anche qin pipa dal rinomato strumento chia-
mato pipa, un parente con la forma simile a quella di una pera invece che circolare. Il nome di
quest’ultimo riprende proprio il movimento delle mani del musicista che utilizzando un plettro
muove dall’alto verso il basso, pi, e dal basso verso l’alto, pa . E’ importante evidenziare questa
parentela per riprendere le nobili origini del ruan. Infatti il pipa sin dai primissimi testi della lette-
ratura cinese fu uno dei protagonisti dei racconti popolari facendo da sfondo per storie d’amore
di grandi donne come la principessa Liu Xijun o Wang Zhaojun. Quest’ultima era una delle
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“Quattro Grandi Bellezze” raccontate nelle leggende e nella storie della Cina imperiale, donne
che ebbero grande potere ma le cui vite finirono tragicamente.
Wei ricordava lo zio suonare questo legno circolare con le corde d’acciaio ereditato da qualche
parente lontano. L’aveva portato con sé quando si trasferì in città e infatti Wei lo ritrovò entran-
do per la prima volta a casa dello zio.
“Ciao Wei! Non pensavo saresti arrivato così presto.” Lo abbracciò e lo aiutò a scaricare le varie
valigie. Era arrivato da Guilin dopo un viaggio molto lungo e nonostante la stanchezza aveva de-
ciso di raccontare a Cheng il motivo di quella partenza, da una parte per schiarirsi le idee e
dall’altra per riallacciare il rapporto che si era interrotto per molto tempo. I due si ritrovarono, lo
zio sembrava aver compreso il motivo di quel viaggio e propose a Wei di girare un po’ per Wen-
zhou e conoscere la città.
Wenzhou è una delle città più grandi della Cina meridionale, conta più di tre milioni di abitanti e
oltre nove in tutta l’area sotto la sua giurisdizione. Wei ne aveva sentito spesso parlare dai genito-
ri quando arrivavano notizie sullo zio e chiedendo qualche descrizione aveva scoperto essere un
importantissimo centro culturale. Wenzhou viene chiamata “Città della Poesia” e “Gerusalemme
d’Oriente”. Il primo nome dovuto alla grande tradizione poetica e filosofica oltre a quella teatrale
che sussiste ancora oggi. Il secondo per la grande comunità di cristiani di questa zona che conta
quasi un milione di fedeli.
Per Wei si trattava di un ambiente completamente diverso da quello di campagna a cui era abi-
tuato. Anche lo zio raccontava che aveva avuto bisogno di molto tempo per ambientarsi soprat-
tutto ai suoni, al traffico caotico del viavai di persone e all’aria differente che si respirava.
Per molti giorni vagarono soprattutto attorno al centro della città costituito da quei grattacieli
macroscopici come il World Trade Center. Poi per alcune sere Cheng portò il nipote ad assistere
agli spettacoli teatrali tipici dell’Opera di Pechino e di Yue. Wei rimase estasiato da quel mondo
pittoresco e multicolore, da quelle rappresentazioni storiche che fino ad allora aveva potuto solo
immaginare. Finalmente poteva sperimentare altre forme di creatività a cui ispirarsi.
Soprattutto durante i primi tempi Wei preferiva rimanere a casa per uscire poi con lo zio quando
questi tornava dal lavoro. Le giornate a volte erano molto lunghe in quella dimora anonima che
lo zio raccontava non aver mai arredato per mancanza di tempo e che l’unica cosa che sentisse
davvero appartenergli era il ruan.
Un giorno Cheng, tornato dall’ospedale in cui aveva finito il turno, disse a Wei: “Ragazzo, fammi
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vedere qualche tuo disegno”. Wei tirò fuori alcuni lavori che aveva fatto durante il viaggio e che
erano rimasti incompleti e li mostrò allo zio.
Cheng rimase davvero colpito dalle scene che erano rappresentate. Aveva partecipato a numero-
se mostre, visto opere di artisti da varie parti del mondo ma uno stile come quello non lo aveva
mai osservato prima d’ora. Inizialmente squadrò bene ogni disegno. Sembrava avesse perso qual-
cosa e che l’avesse ritrovato in quell’istante poi con una voce molto serena e sospirante disse: “La
mia Longsheng…” Guardò Wei e sorrise poi tornò sui disegni e in alcuni di essi rivedeva imma-
gini di luoghi che da giovane aveva vissuto, i ricordi con il fratello, il papà di Wei, e le storie della
famiglia. Iniziò a raccontare ogni cosa che viaggiava nei suoi pensieri in quel momento e Wei ri-
mase ad ascoltarlo incuriosito. Non aveva mai sentito parlare lo zio in quel modo. Rievocati tutti
i ricordi Cheng era davvero entusiasta, Wei lo aveva risollevato facendo riemergere e vivere quel-
la nostalgia che con gli anni aveva provato a reprimere senza riuscirci. Adesso, una volta per tut-
te, poteva guardarla in faccia e superarla. Tornando al nipote disse: “Wei hai mai sentito parlare
degli artisti di strada?” “Artisti di strada?” “Domani ti porto in un posto!”
Il giorno seguente Wei e Cheng si recarono in un parco nel centro di Wenzhou. Era uno dei po-
chi che non avevano ancora visitato insieme. Cheng gli disse: “I primi tempi quando sono arriva-
to qui a Wenzhou non avevo amici né molti soldi se non quelli prestati dai nonni che mi basta-
vano solo per pagare gli studi. Così iniziai a suonare per le strade nel tempo libero e dopo un po’
ho fatto la conoscenza di tante persone. Molti erano giovani come me che si esibivano in diversi
modi, ballando o suonando, e anche loro lo facevano per guadagnare qualcosa. Altri invece erano
artisti a tempo pieno e soprattutto erano dei viaggiatori. Erano stati in paesi molto lontani del
mondo, chi in Europa, chi in America… e avevano storie affascinanti da raccontare. Alcuni co-
me te raccontavano proprio disegnando e lo facevano in questo parco”.
Entrati e passeggiando per i sentieri e i viottoli di fianco al prato Wei osservava molte persone,
soprattutto tante famiglie, che a gruppi si radunavano attorno alcuni spettacoli esibiti da vari gio-
vani. Vedeva contorsionisti, acrobati e saltimbanchi che offrivano prestazioni straordinarie la-
sciando tutti senza respiro. Restarono in quel luogo per l’intera mattinata. Tornati a casa Wei era
in preda ad uno stato di agitazione e felicità.
Iniziò dal giorno successivo ad uscire da solo recandosi tutti i pomeriggi al parco del centro. Si
sedeva sul prato, come un timido ospite che non vuole disturbare il mondo circostante, e comin-
ciava a disegnare. Era contento, sembrava di essere tornato all’albero, anzi, era proprio come es-
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sere ancora a Longsheng ma qui aveva un teatro di scene inedite da rappresentare, nuovi volti,
nuovi pensieri tutti collocati in quelle rappresentazioni serene e pacifiche della natura di Long-
sheng.
Un ragazzino un giorno gli andò vicino senza disturbarlo e iniziò a osservare Wei mente disegna-
va. Si girò e andò a chiamare tutta la famiglia. D’un tratto un gruppo di persone circondava Wei e
lo guardava. Sul prato erano poggiati diversi lavori del ragazzo, un uomo si piegò e prese un fo-
glio. Rimase molto tempo a guardarlo poi si volse verso di lui e gli chiese: “Come ti chiami?” Ri-
spose: “Sono Wei.” “Sei davvero bravo Wei. Non ho mai visto qualcosa del genere”. Timida-
mente rispose: “Grazie”. L’uomo subito dopo gli propose: “Rappresenteresti me e la mia fami-
glia?” “Certo!” Marito e moglie mentre Wei disegnava guardavano le varie immagini e parlavano.
Raccontavano come si erano conosciuti, le varie vicende che li avevano legati, l’affetto per i figli e
spesso si prendevano in giro e ridevano. Wei disegnava con il bambino che lo guardava assorto e
sorridente. Una volta finito, la coppia ringraziò e rimase ammaliata dalla scena che Wei aveva di-
segnato in quel tempo così breve. Una lunga strada con il sole all’orizzonte, due mani composte
dalle nuvole del cielo che si stringevano e attorno degli uccellini che volavano in fila. Quel pae-
saggio, quella natura e quelle immagini che Wei tracciava erano le stesse che ritrovava dentro di
lui quando guardava il panorama di Longsheng. Quel paesaggio che con le distese di acqua con-
fondeva gli occhi dell’osservatore con gli occhi del protagonista. Longsheng era come uno spec-
chio: i colori e la natura erano uguali per tutti ma ognuno si sentiva il soggetto di quelle sagome.
Sempre più persone iniziarono a circondare Wei e a richiedergli dei disegni. Nessuno conosceva
Longsheng ma ognuno sentiva il bisogno di raccontarsi e così in molti quando Wei disegnava
narravano le loro vite. Vi era chi in modo più spavaldo romanzava le proprie vicende oppure chi
si perdeva in lunghe e tortuose digressioni. Altri stavano in silenzio, osservavano i disegni e
quando Wei finiva e si voltava notava sempre lo stesso sguardo sorridente sui volti di ciascuno.
Era contento, gli piaceva ascoltare tutte quelle storie, belle o brutte non faceva differenza, ognu-
no riusciva a cogliere in quei disegni il meglio di sé, le proprie speranze. Nessuno conosceva
Longsheng, qualcuno ne aveva sentito parlare eppure tutti sembravano ritrovarsi in quei luoghi.
Era un diverso tipo di artista. Non aveva bisogno di riportare storie di posti lontani nei suoi lavo-
ri perché erano le storie degli altri ad andare da lui e, quindi, ad andare a Longsheng. Il suono che
Wei adorava ascoltare era quello delle risate nei racconti di ognuno, quello che lui definiva: il
suono della vita. Lo stesso suono che gli ricordava Shan la prima volta che l’aveva incontrata.
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Capitolo 4 Ritornerò
Wei decise di tornare a casa, doveva rivedere Shan. Il viaggio a Wenzhou gli
aveva permesso di capire il valore dei suoi disegni, il suo affetto per Longsheng e l’importanza
del posto in cui era nato ma gli era ancora indecifrabile che cosa Shan avesse visto in lui e in
quelle figure. Salutò quindi lo zio che promise di tornare a Longsheng molto presto. Lungo tutto
il viaggio Wei rifletteva su ciò che aveva vissuto e a tutto quello che avrebbe raccontato a Shan.
Sperava che questa volta, col suo ritorno, sarebbe ricomparsa.
Da Guilin giunse a Longsheng dove ritrovò i genitori ansiosi di parlargli e avere notizie di Cheng.
Wei posò le valigie e subito li salutò promettendo di rimediare la sera al ritorno. Era deciso, non
avrebbe perso un minuto di più e, sicuro di sé, si stava recando all’albero dove era sicuro di tro-
varla.
Quanti, forse troppi, quando parlano di esperienza aggiungono la parola cinismo. Per Wei non
era così. Aveva viaggiato, aveva fatto esperienza ma per lui esperienza non aveva mai voluto dire
sconfitta dei sogni.
Era pomeriggio, aveva risalito anche l’ultima collina attraversando il sentiero centrale ed era giun-
to all’albero. Non c’era nessuno. Nella sua mente, pensando a Shan, vi era l’immagine di quegli
eroi che, combattenti innamorati, vincevano quasi sempre, quasi appunto. Risalì sull’albero nel
posto in cui era abituato ad appoggiarsi per guardare attorno. Salito trovò quel disegno che si era
sfilato di mano quando aveva abbandonato l’albero. Qualcuno l’aveva fissato al tronco. Lo stac-
cò, davanti era incompleto come quando lo aveva lasciato e dietro un testo.
“Caro Wei,
Avresti preferito vedermi prima della tua partenza ne sono certa. L’ultima volta che sei passato
all’albero non mi hai vista. Ero lontana, ti vedevo ma non volevo raggiungerti. Ho avuto paura
che potessi chiedermi di partire con te. Quando sei andato via sono andata all’albero e ho trovato
questo disegno, incompleto, come me. Ancora una volta una delle tue opere era riuscita a rispec-
chiarmi. Ho voluto che viaggiassi affinché ti rendessi conto di quali capolavori stavi rappresen-
tando. Ho avuto bisogno di viaggiare anche io affinché smettessi di cercare il mondo solo nei li-
bri e potessi finalmente avere il coraggio di guardare Longsheng con la stessa serenità con cui lo
guarderai tu ora. Sono partita con mio padre. Sono riuscita a convincerlo. Magari ritroveremo la
nostra unità anche con l’assenza di mia madre. Tu intanto aspettami, non smettere di disegnare.
14
Presto ritornerò da te e finiremo insieme questo capolavoro incompleto.
Shan”
Wei scese dall’albero, si avviò verso casa lungo il sentiero centrale scendendo dalle colline. Si
fermò, si chinò e colse un chicco di riso per terra. Chiuse un occhio e con l’altro fissò il chicco in
controluce al tramonto. Sorrise.

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Il chicco della speranza - Federico Amato

  • 1. Federico Amato IL chicco della speranza Copertina di Francesca Rodella
  • 2. Capitolo 1 Nascere da un drago “Non importa chi tu sia, da quale famiglia tu nasca, il colore della tua pelle o dei tuoi occhi se na- sci da un drago. La tua anima avrà un colore che nulla e nessuno potrà cambiare” - “E qual è il colore della mia anima?”. Questa era la domanda che Wei faceva ai suoi genitori quando gli rac- contavano le storie su Longsheng la regione in cui vivevano. Longsheng nella provincia di Guangxi è una delle aree più suggestive, affascinanti e misteriose della Cina del Sud. Enormi di- stese di acque bagnano le colline di Longsheng dove si estendono le coltivazioni dell’ alimento sacro nella cultura popolare cinese: il riso. Deserti di acqua bagnano le colline e gli infiniti terraz- zamenti che ricostruiscono le immagini di un capolavoro di impressionismo. Da circa 700 anni l’Uomo aveva agito su ciò che la Terra gli aveva fornito creando la terra di Longsheng o di Long- ji che significherebbe spina dorsale di drago. Un nome che indica l’ideale conformazione del ter- ritorio con le squame ricreate dai terrazzamenti e le punte delle colline che formano la spina dor- sale del drago. Wei era nato lì, da un drago, e da sempre vi viveva con i suoi genitori. Il padre, agricoltore, era uno dei contadini che lavoravano in mezzo a quell’oceano di riso. La madre di Wei era tale a tempo pieno. Come ogni coppia di genitori che si rispetti, si dividevano l’arduo compito che la loro carica coniugale attribuiva. Il padre abituava Wei ad una vita di fatica e sforzi dove il lavoro veniva al primo posto. Portava il figlio presso i campi e gli illustrava la sua attività, la pazienza con cui si lavora la terra e con cui si attende la crescita del riso. La coltura del riso è infatti una delle più difficili da praticare e la cura è il primo obiettivo di un risicoltore. Sono fondamentali, ad esempio, il mantenimento di un certo livello di acqua nelle terrazze, curare i sistemi di ap- provvigionamento idrico, la qualità del terreno e l’eliminazione delle malerbe. Questo Wei aveva imparato fin da quando era bambino. La madre invece accontentava ogni piccolo capriccio o ispirazione del figlio. Wei non era mai stato un ragazzo viziato, aveva profondo rispetto ed era orgoglioso dei suoi genitori. In tutta la sua vita non pensò mai che le umili condizioni potessero sminuire il valore morale di una perso- na. Le sue richieste non andavano mai oltre una certa stima e rispettavano le disponibilità eco- nomiche della famiglia. La madre, d’altro canto, riteneva che fosse fondamentale spronare il fi- glio e spingerlo verso i suoi interessi.
  • 3. 3 La passione di Wei era nata all’età di sei anni quando accompagnava il papà al ritorno dai campi per andare a casa. I due di consuetudine passavano davanti l’abitazione di un vecchio contadino, il signor Peng che ogni pomeriggio se ne stava in giardino con la moglie. I coniugi sedevano qua- si sempre uno di fronte all’altra e la moglie, la signora Qian, posava come una statua di epoca classica. Il signor Peng, in genere voltato di spalle, stava piegato su sè stesso ed era problematico capire in quale attività fosse coinvolto. Le prime volte Wei era quasi spaventato dall’immagine di quei due che sembravano fuori di testa come se con l’età il senno li avesse abbandonati. Un gior- no, incuriosito, si avvicinò a questi entrando nel giardino, mentre il padre proseguiva per la strada verso casa, e andò incontro al vecchio. Questo, insieme alla moglie, non si era minimamente ac- corto di quella presenza estranea ed entrambi proseguivano con la loro solita scena. Wei allora scorse una matita che si agitava rapidamente su un foglio di carta, mossa dalla mano nevrotica del signor Peng in preda ad alcuni scatti di ispirazione. A quel punto doveva capire che cosa sta- va rappresentando il vecchio. Il giardino del signor Peng e della signora Qian si estendeva di fronte la villetta in cui abitavano ed era molto piccolo, con un unico sentiero centrale che conduceva all’entrata, ai lati un mode- sto prato molto curato. Non vi erano alberi o fiori particolari ma solo le due sedie su cui sedeva- no marito e moglie l’uno davanti l’altra. Da dove avesse tratto tutte quelle decorazioni e quella vegetazione il signor Peng, per Wei rimar- rà sempre un mistero. Sul disegno infatti vi era l’immagine perfetta della donna rappresentata in tutta la bellezza dei suoi anni e circondata da una decorazione eloquente florale di Peonie, Iris, fiori di susino e fiori di Loto. La donna era rappresentata come un’entità divina di un mondo estemporaneo e astratto che ne alterava le qualità fisiche rendendo i difetti di senilità delle qualità naturali a cui aspirare. Rimase a guardare la scena attonito sin quando il vecchio si volse verso di lui e con un cenno gentile della mano lo invitò ad avvicinarsi. Il signor Peng conosceva bene il padre di Wei, i due avevano lavorato insieme per diversi anni fino a quando l’anziano non smise di lavorare. “Vieni, Wei, non aver paura” - disse l’uomo aggiungendo - “Conosci l’arte del disegno a mano?”. “No signor Peng, ho visto solo un’esposizione di disegni una volta in un mercato ma non ho mai vi- sto nessuno disegnare davanti a me”. La sigora Qian allora pregò Wei di accomodarsi, offrendo- gli un the e gli mostrarono i disegni. Questi rappresentavano sempre la donna nella stessa posi- zione ma in paesaggi completamente diversi, a volte astratti ma tutti avevano un’armoniosità sor-
  • 4. 4 prendente. A quel punto Wei chiese: “Visto che la signora Qian è sempre nella stessa posizione perché non copia la sua immagine su tutti i disegni invece di farla sedere sempre davanti a lei?”. Gli anziani risero e arrossirono, al che il signor Peng rispose: “E’ impossibile, non vedi che non è nella stessa posizione? Se fosse così ti trasmetterebbe sempre la medesima emozione vero?” Non era facile capire per Wei, aveva sei anni e non aveva mai osservato attentamente un disegno pri- ma. Allora il signor Peng gli propose di andare da lui quando ne aveva piacere per insegnarli a di- segnare. Passò molto tempo col signor Peng nei pomeriggi di ritorno dalle piantagioni. I due anziani ave- vano cura di lui come di un nipotino, lo istruirono, gli raccontavano alcune storie sul riso e sui draghi e i genitori di Wei si abituarono a vederlo tornare la sera, spesso con qualche alimento e regalo per loro da parte degli anziani. Anni dopo in età adolescenziale Wei non dimenticò le parole di quella coppia speciale che lo aveva abbandonato tempo prima, giunti entrambi alla conclusione della loro vita. Ricordava so- prattutto una frase del signor Peng: “Vedi Wei, ciò che differenzia un artista da un semplice ama- tore è la capacità di vedere cose che altri non vedono. Questo non significa che non tutti posso- no diventare artisti. A volte c’è bisogno di trovare un oggetto d’ispirazione per capire che cosa davvero vogliamo creare. Io l’ho trovato, da sempre è l’amore per mia moglie. Mi ha permesso di vederla sempre qui e ovunque. Non abbiamo mai avuto soldi per viaggiare ma allo stesso tempo non ne avevamo bisogno perché sapevamo di poter essere felici in qualsiasi luogo.” Wei iniziò a disegnare nel suo tempo libero, aiutato dalla madre che gli comperava matite e fogli. Cominciò focalizzandosi su singoli oggetti come gli aveva spiegato il signor Peng e a volte rima- neva giorni per renderli perfetti in modo realistico. La madre era stupita delle abilità del figlio ma lui non era soddisfatto della sua attività. Il lavoro di copiatura diventava monotono e lui non era riuscito a trovare l’ispirazione e la volontà che muovevano animatamente il signor Peng. Abbandonò per un lungo periodo il disegno e decise di iniziare ad aiutare in alcuni giorni il padre per guadagnare qualcosa. Un giorno si mise ad osservare dalla cima di una collina l’enorme diste- sa di terrazzamenti sottostante. Un paesaggio suggestivo di campi irrigui che rispecchiavano il co- lore del cielo. Le nuvole che si spostavano velocemente, le anatre nuotavano sicure sugli specchi d’acqua lasciando delle lunghe scie al seguito che presto scomparirono e spostò lo sguardo su un contadino che guidava un bue in cima ad un aratro sul terreno fangoso nell’atto di risistemare fa- ticosamente il terreno. In un attimo una figura taglia la scena rubando l’attenzione di Wei.
  • 5. 5 Cos’era che si spostava a tanta velocità? L’immagine era strana, andava rapidamente giù dalla col- lina e si avviava verso il gruppo di case nel paese. Wei iniziò a correre scendendo la collina per poter vedere meglio la scena. Inciampò due o tre volte cadendo nel fango e rialzandosi. Si fermò e vide una chioma di capelli neri controvento muoversi nell’aria ma non capì cosa fosse. Sorrise quando vide una piccola figura sotto i capelli che pedalava su una bicicletta riconoscendo di aver avuto per un attimo un’illusione ottica incomprensibile. La figura sparì lontano e Wei alzò gli oc- chi al cielo. Un forte vento iniziava a soffiare mentre il padre di ritorno fece cenno al figlio di ini- ziare a incamminarsi verso casa. I giorni seguenti non furono come gli altri alle risaie. L’attenzione di Wei, ogni pomeriggio, ogni santo giorno, alle sei era completamente rivolta a quella figura che si divertiva a sconvolgere quel pacifico e, a volte monotono, paesaggio scendendo ad una velocità spericolata dalle colline. Len- tamente andare alle risaie diventava qualcosa del tutto necessario per Wei. Non stava più osser- vando fissamente e disinteressatamente quel luogo. Che il signor Peng avesse ragione? Che fi- nalmente Wei avesse davvero trovato un’ispirazione a sconvolgere il suo tempo? Decise di abbandonare il lavoro col padre e andare indipendentemente ai campi trovando una posizione strategica in cui ricominciare a disegnare. Su un albero a metà strada fra una collina e il sentiero principale Wei fissò il suo punto di estraneità dal mondo reale e quello di un vero artista come amava pensarsi, il suo punto a metà fra la Terra e le Stelle. Lì a fianco ogni pomeriggio po- teva osservare da vicino, senza che lo vedesse, la figura estranea e rapida che aveva iniziato a co- lorare il paesaggio circostante di quelle sfumature che Wei iniziava a riportare nelle sue rappre- sentazioni. Era difficile pensare che quell’immagine avrebbe mai potuto fermarsi durante quelle discese. Wei però aveva iniziato a immaginarsela, a metterla dentro ogni sua opera come una firma d’autore. Pensava che un giorno molto lontano sarebbe sceso da lì, l’avrebbe fermata e l’avrebbe ringrazia- ta mostrandole tutti i disegni. Ma la verità è che a volte la vita ci avvicina a ciò che vogliamo, sconvolgendo ogni piano architet- tato da noi umani che ci crediamo ingegneri in grado di progettare colonne portanti di ogni mo- mento della nostra vita. A volte poi, quando il palazzo cade, abbiamo paura di ricostruire tutto o, semplicemente, abbiamo paura di avvicinarci alle macerie smettendo di credere di essere ingegne- ri. Lo imparò anche Wei quando un giorno, osservando la sua solita compagnia delle sei che scen-
  • 6. 6 deva ingenua dalla collina, la vide cadere giù dalla bicicletta che si era conficcata fra due maledet- te, o benedette, pietre nel terreno. Il ragazzo terrorizzato dalla scena gettò via ogni strumento e scese velocemente dall’albero avviandosi verso di lei, la figura o, meglio, la ragazza. Capitolo 2 “E se spezzi un cuore?” “Un pezzo dallo a me…” “Hai mai guardato oltre le colline fissando l’orizzonte al tramonto?”. Lui rispose: “Sembra una cosa molto romantica ma sarò sincero: no”. Si arrabbiò. Per l’ennesima volta non aveva capito cosa intendesse: “Non si tratta di romantici- smo! Possibile che un artista come te non abbia mai pensato a cosa ci fosse fuori da questo po- sto? Le persone, i luoghi, i profumi, i suoni…” La interruppe: “E tu? Tu hai mai guardato oltre?” Shan era la ragazza che Wei osservava in bicicletta tutti i pomeriggi. Era una figura piccola ed esi- le con una chioma folta di capelli neri sciolti che spesso andavano sul volto e le coprivano gli oc- chi costringendola a tirarli indietro. Quando Wei l’ aveva aiutata a rialzarsi in seguito all’incidente, Shan ebbe una reazione del tutto inaspettata che sorprese il ragazzo. Aveva iniziato a ridere fra- gorosamente. Quello che stupisce quando si osserva una reazione inaspettata è ciò che segue più che la reazio- ne stessa. Wei aveva raccontato a Shan che cosa faceva in quel luogo e quale fonte di ispirazione lei fosse. Incuriosita dal suo estro, decise di incontrarlo nuovamente il giorno successivo e così quelli che seguirono. I disegni di Wei erano molto particolari. Spesso inquadravano il paesaggio circostante trasfor- mandone le conformità, i colori ma mantenendo sempre lo stesso soggetto: la natura. Non erano però di facile comprensione. Le forme ricreate infatti ricomponevano delle figure umane colte in attimi di vita intimi e particolari: persone che si abbracciavano, un uomo che lavora la terra, un bimbo che corre... tutto ciò attraverso il solo uso degli aspetti della natura. Shan restava li, lo guardava, delle volte attendeva che lui si alzasse per riposarsi e sbirciare a che punto era nelle sue opere. Il suo sguardo era sempre impassibile, riflessivo e indecifrabile e Wei non capiva cosa pensasse dei suoi disegni. Non trascorse molto tempo però prima che le chiedesse: “Che cosa pensi quando guardi queste immagini?” Ed ecco che lei si volse a guardare il panorama circostante, i colori del tramonto che
  • 7. 7 confondevano il cielo con le distese di acqua e tornando a Wei ricambiò con la fatidica domanda iniziale. Il dialogo fra i due era un continuo scambio di interrogativi, una sequela di domande e risposte in cui si contrapponevano due visioni: da una parte l'anima ingenua ed errabonda di un ragazzo e dall'altra quella misteriosa e impertinente di una ragazza. Shan raccontava di nutrire un forte desiderio di abbandonare Longsheng nel quale viveva da or- mai troppo tempo per non aver mai visitato alcuna regione al di fuori di essa. Wei riconosceva in lei uno spirito forte e certamente più coraggioso di lui ma nel contempo malinconico. Una di quelle malinconie che le impediva di credere davvero in ciò che desiderava, in quei sogni sfacciati di chi alla realtà è abituato a rispondere con la fantasia. Era una grande lettrice, appassionata di racconti fantastici con storie di eroi, guerrieri, uomini in- namorati che combattevano, viaggiavano e quasi sempre, manco a dirlo, vincevano. Non solo, era anche dotata di straordinarie capacità narrative: le sue parole nell’aria danzavano seguendo il ritmo di un direttore d’orchestra tormentato e scostante ma che sapeva mantenere il controllo suonando la calma soave e apparente della pace. Non era raro, infatti, che nei suoi racconti Shan offrisse lunghe pause dove sembrava perdersi e ricordarsi di qualche pensiero lasciato per molto tempo nascosto. All’ombra dei suoi segreti sedevano gli eroi e le favole che amava così tanto. Tutte e due i ragazzi avevano ogni pomeriggio qualcosa, un messaggio o dei significati, da comu- nicarsi ma lo facevano in tempi e modi differenti. L’uno con i suoi disegni, rapidi e in grado di catturare l’istante, l’altra con le sue storie che richiedevano tempo e speranza per essere apprezza- te. Wei era ammaliato dalle figure, le immagini, gli eventi lontani e la diversità di alcune culture sco- nosciute che Shan gli riportava. Tutto aveva una potenzialità creativa sconvolgente. Tra i racconti che Wei apprezzava di più vi erano quelli sulle grandi metropoli. Le loro storie, la loro forma- zione, i monumenti più rappresentativi e i personaggi a cui erano legate. Nella sua mente viaggia- vano città gigantesche di palazzi elevati dove ogni giorno si mobilitano milioni di uomini, storie individuali e interpersonali grandi, piccole, simili e diverse mescolate fra loro. Le piazze folclori- stiche animate dalla musica, intere masse che si riuniscono attorno spettacoli di ogni genere, gli slogan che muovono la nascita di nuove idee, il pensiero che si diffonde in tempo reale e tutta questa vita, era vita al di fuori di Longsheng. A volte chiudeva gli occhi pensando di poter rag- giungere immediatamente quei posti.
  • 8. 8 Wei aveva imparato a conoscere Shan e si era reso conto che da sempre qualcosa, qualche pen- siero o preoccupazione, la opprimevano. Capitava che la guardasse e sentisse dentro di sé il biso- gno di aiutarla. Le urla silenziose dicono che siano più forti di quelle udibili della voce. Un pomeriggio, recandosi all’albero, la incontrò lì sotto. Non era abituato a trovarla subito, quasi sempre era lei che lo raggiungeva con la sua bicicletta. Era seduta e aveva lo sguardo perso. Gli occhi brillavano, la bocca chiusa e stretta come se trattenesse un grido dall’anima. Wei si avvicinò lentamente, si sedette e per un po’ fissò un punto vuoto nell’atto di immedesimarsi con lei. Non aveva il coraggio di rompere quel silenzio, avrebbe lasciato che fosse il tempo a suggerire qualco- sa. D’un tratto Shan aveva trovato la serenità del luogo e la libertà di confidarsi e iniziò pronun- ciando: “Mio padre…”. Wei si girò e le strinse la mano come per darle forza e nascondere una fragilità interiore. Continuò: “Ho litigato di nuovo con mio padre”. Wei aveva scoperto che il padre di Shan era proprietario di molte terre a Longsheng. Lei raccon- tò di vivere da molti anni senza la madre di cui non ricordava più molto ma sapeva che molti libri che aveva letto appartenevano a lei. Questo l’aveva incoraggiata fortemente a leggere e aveva creato una profonda curiosità interiore. Pensava di poterla conoscere ritrovando parti di lei e del suo cuore in quei testi. Sosteneva che chi legge come chi ama ha spesso l’abitudine di lasciare parti di sé in ogni libro e in ogni amore come se tutto gli appartenesse. Il padre durante quegli anni era diventato sempre più aspro e risoluto e non si curava della figlia, tantomeno dei suoi de- sideri. Shan rivolgendosi a Wei disse: “Mi avevi chiesto cosa ne pensassi dei tuoi disegni e mai ti avevo dato una risposta. Forse ora la sai anche tu. Entrambi cercavamo qualcosa ma in modo diverso ed è stata una fatalità a farci conoscere. Tu avevi bisogno di capire cosa ti mancasse e ora lo hai trovato.” Wei si fece cupo e allora lei tornando a fissare un punto lontano aggiunse: “Non puoi conoscere ciò che hai veramente se non scopri ciò che sta là fuori”. Le parole colpiscono più forte di una freccia e trapassano i pensieri delle persone cambiandone i piani e i destini. Shan aveva colpito. Wei prese coraggio. Il suo futuro sarebbe stato quello. Avrebbe viaggiato. Sì ma come? E dove sarebbe andato? Era sicuro di una cosa però: Shan lo avrebbe accompagnato. Avrebbe scoperto con i suoi occhi ciò che fino ad allora erano solo parole di vecchia carta stampata. Avrebbe cominciato a cercare nel mondo con il suo pensiero ciò che le parole di qualche straniero le avevano raccontato fino a ieri.
  • 9. 9 Ma Shan non si presentò più all’albero e Wei non vide la sua bicicletta per molto tempo. La cer- cò ovunque senza trovarla. Non aveva molte informazioni su di lei, il padre non lo aveva mai visto, lei non aveva mai detto dove abitava e in fondo una nuvola di mistero arieggiava negli oc- chi di quella ragazza, così nascosti dal mondo e così curiosi di conoscerlo. L’ultima volta che Wei si recò all’albero iniziò a disegnare il tramonto circostante senza ricreare le sue solite immagini straordinarie e particolari. Stava rappresentando lo spettacolo della natura per quello che era, per le sagome e i colori con cui si presentava. Mancava qualcosa, anzi, mancava qualcuno. Era svogliato, triste e confuso. Scese dall’albero senza aver finito il disegno. Il foglio sfilò dalla mano mentre il ragazzo si allontanava lungo il sentiero. Una parte di lui era rimasta con Shan, quella risata spavalda e provocatoria era ancora nell’aria. Presto o tardi l’avrebbe ritrovata, magari in un disegno, in un volto o solamente in un ricordo. Capitolo 3 Per chi ascolta il suono della vita Era partito. Non si guardò indietro. I genitori gli avevano consentito di affrontare questo viaggio a tempo indeterminato a patto che si recasse dallo zio che abitava a Wenzhou. Lo zio di Wei si chiamava Cheng. Aveva lasciato Longsheng alcuni anni prima per concludere i suoi studi di medicina. Wei non ricordava moltissimo di lui, un uomo studioso che sembrava chiuso in sé stesso e nelle sue aspirazioni, a volte lunatico ma in fondo magnanimo e generoso. C’era una cosa, una caratteristica e una passione, che contraddistingueva Cheng ovvero il suo amore per la musica e in particolare verso uno strumento musicale: il ruan . Il ruan è uno degli strumenti a corde pizzicate più popolari della tradizione cinese. Paragonabile ad una chitarra con una cassa schiacciata e circolare, è dotato solamente di quattro corde e di una tastiera con ventiquattro tasti. Può essere chiamato anche qin pipa dal rinomato strumento chia- mato pipa, un parente con la forma simile a quella di una pera invece che circolare. Il nome di quest’ultimo riprende proprio il movimento delle mani del musicista che utilizzando un plettro muove dall’alto verso il basso, pi, e dal basso verso l’alto, pa . E’ importante evidenziare questa parentela per riprendere le nobili origini del ruan. Infatti il pipa sin dai primissimi testi della lette- ratura cinese fu uno dei protagonisti dei racconti popolari facendo da sfondo per storie d’amore di grandi donne come la principessa Liu Xijun o Wang Zhaojun. Quest’ultima era una delle
  • 10. 10 “Quattro Grandi Bellezze” raccontate nelle leggende e nella storie della Cina imperiale, donne che ebbero grande potere ma le cui vite finirono tragicamente. Wei ricordava lo zio suonare questo legno circolare con le corde d’acciaio ereditato da qualche parente lontano. L’aveva portato con sé quando si trasferì in città e infatti Wei lo ritrovò entran- do per la prima volta a casa dello zio. “Ciao Wei! Non pensavo saresti arrivato così presto.” Lo abbracciò e lo aiutò a scaricare le varie valigie. Era arrivato da Guilin dopo un viaggio molto lungo e nonostante la stanchezza aveva de- ciso di raccontare a Cheng il motivo di quella partenza, da una parte per schiarirsi le idee e dall’altra per riallacciare il rapporto che si era interrotto per molto tempo. I due si ritrovarono, lo zio sembrava aver compreso il motivo di quel viaggio e propose a Wei di girare un po’ per Wen- zhou e conoscere la città. Wenzhou è una delle città più grandi della Cina meridionale, conta più di tre milioni di abitanti e oltre nove in tutta l’area sotto la sua giurisdizione. Wei ne aveva sentito spesso parlare dai genito- ri quando arrivavano notizie sullo zio e chiedendo qualche descrizione aveva scoperto essere un importantissimo centro culturale. Wenzhou viene chiamata “Città della Poesia” e “Gerusalemme d’Oriente”. Il primo nome dovuto alla grande tradizione poetica e filosofica oltre a quella teatrale che sussiste ancora oggi. Il secondo per la grande comunità di cristiani di questa zona che conta quasi un milione di fedeli. Per Wei si trattava di un ambiente completamente diverso da quello di campagna a cui era abi- tuato. Anche lo zio raccontava che aveva avuto bisogno di molto tempo per ambientarsi soprat- tutto ai suoni, al traffico caotico del viavai di persone e all’aria differente che si respirava. Per molti giorni vagarono soprattutto attorno al centro della città costituito da quei grattacieli macroscopici come il World Trade Center. Poi per alcune sere Cheng portò il nipote ad assistere agli spettacoli teatrali tipici dell’Opera di Pechino e di Yue. Wei rimase estasiato da quel mondo pittoresco e multicolore, da quelle rappresentazioni storiche che fino ad allora aveva potuto solo immaginare. Finalmente poteva sperimentare altre forme di creatività a cui ispirarsi. Soprattutto durante i primi tempi Wei preferiva rimanere a casa per uscire poi con lo zio quando questi tornava dal lavoro. Le giornate a volte erano molto lunghe in quella dimora anonima che lo zio raccontava non aver mai arredato per mancanza di tempo e che l’unica cosa che sentisse davvero appartenergli era il ruan. Un giorno Cheng, tornato dall’ospedale in cui aveva finito il turno, disse a Wei: “Ragazzo, fammi
  • 11. 11 vedere qualche tuo disegno”. Wei tirò fuori alcuni lavori che aveva fatto durante il viaggio e che erano rimasti incompleti e li mostrò allo zio. Cheng rimase davvero colpito dalle scene che erano rappresentate. Aveva partecipato a numero- se mostre, visto opere di artisti da varie parti del mondo ma uno stile come quello non lo aveva mai osservato prima d’ora. Inizialmente squadrò bene ogni disegno. Sembrava avesse perso qual- cosa e che l’avesse ritrovato in quell’istante poi con una voce molto serena e sospirante disse: “La mia Longsheng…” Guardò Wei e sorrise poi tornò sui disegni e in alcuni di essi rivedeva imma- gini di luoghi che da giovane aveva vissuto, i ricordi con il fratello, il papà di Wei, e le storie della famiglia. Iniziò a raccontare ogni cosa che viaggiava nei suoi pensieri in quel momento e Wei ri- mase ad ascoltarlo incuriosito. Non aveva mai sentito parlare lo zio in quel modo. Rievocati tutti i ricordi Cheng era davvero entusiasta, Wei lo aveva risollevato facendo riemergere e vivere quel- la nostalgia che con gli anni aveva provato a reprimere senza riuscirci. Adesso, una volta per tut- te, poteva guardarla in faccia e superarla. Tornando al nipote disse: “Wei hai mai sentito parlare degli artisti di strada?” “Artisti di strada?” “Domani ti porto in un posto!” Il giorno seguente Wei e Cheng si recarono in un parco nel centro di Wenzhou. Era uno dei po- chi che non avevano ancora visitato insieme. Cheng gli disse: “I primi tempi quando sono arriva- to qui a Wenzhou non avevo amici né molti soldi se non quelli prestati dai nonni che mi basta- vano solo per pagare gli studi. Così iniziai a suonare per le strade nel tempo libero e dopo un po’ ho fatto la conoscenza di tante persone. Molti erano giovani come me che si esibivano in diversi modi, ballando o suonando, e anche loro lo facevano per guadagnare qualcosa. Altri invece erano artisti a tempo pieno e soprattutto erano dei viaggiatori. Erano stati in paesi molto lontani del mondo, chi in Europa, chi in America… e avevano storie affascinanti da raccontare. Alcuni co- me te raccontavano proprio disegnando e lo facevano in questo parco”. Entrati e passeggiando per i sentieri e i viottoli di fianco al prato Wei osservava molte persone, soprattutto tante famiglie, che a gruppi si radunavano attorno alcuni spettacoli esibiti da vari gio- vani. Vedeva contorsionisti, acrobati e saltimbanchi che offrivano prestazioni straordinarie la- sciando tutti senza respiro. Restarono in quel luogo per l’intera mattinata. Tornati a casa Wei era in preda ad uno stato di agitazione e felicità. Iniziò dal giorno successivo ad uscire da solo recandosi tutti i pomeriggi al parco del centro. Si sedeva sul prato, come un timido ospite che non vuole disturbare il mondo circostante, e comin- ciava a disegnare. Era contento, sembrava di essere tornato all’albero, anzi, era proprio come es-
  • 12. 12 sere ancora a Longsheng ma qui aveva un teatro di scene inedite da rappresentare, nuovi volti, nuovi pensieri tutti collocati in quelle rappresentazioni serene e pacifiche della natura di Long- sheng. Un ragazzino un giorno gli andò vicino senza disturbarlo e iniziò a osservare Wei mente disegna- va. Si girò e andò a chiamare tutta la famiglia. D’un tratto un gruppo di persone circondava Wei e lo guardava. Sul prato erano poggiati diversi lavori del ragazzo, un uomo si piegò e prese un fo- glio. Rimase molto tempo a guardarlo poi si volse verso di lui e gli chiese: “Come ti chiami?” Ri- spose: “Sono Wei.” “Sei davvero bravo Wei. Non ho mai visto qualcosa del genere”. Timida- mente rispose: “Grazie”. L’uomo subito dopo gli propose: “Rappresenteresti me e la mia fami- glia?” “Certo!” Marito e moglie mentre Wei disegnava guardavano le varie immagini e parlavano. Raccontavano come si erano conosciuti, le varie vicende che li avevano legati, l’affetto per i figli e spesso si prendevano in giro e ridevano. Wei disegnava con il bambino che lo guardava assorto e sorridente. Una volta finito, la coppia ringraziò e rimase ammaliata dalla scena che Wei aveva di- segnato in quel tempo così breve. Una lunga strada con il sole all’orizzonte, due mani composte dalle nuvole del cielo che si stringevano e attorno degli uccellini che volavano in fila. Quel pae- saggio, quella natura e quelle immagini che Wei tracciava erano le stesse che ritrovava dentro di lui quando guardava il panorama di Longsheng. Quel paesaggio che con le distese di acqua con- fondeva gli occhi dell’osservatore con gli occhi del protagonista. Longsheng era come uno spec- chio: i colori e la natura erano uguali per tutti ma ognuno si sentiva il soggetto di quelle sagome. Sempre più persone iniziarono a circondare Wei e a richiedergli dei disegni. Nessuno conosceva Longsheng ma ognuno sentiva il bisogno di raccontarsi e così in molti quando Wei disegnava narravano le loro vite. Vi era chi in modo più spavaldo romanzava le proprie vicende oppure chi si perdeva in lunghe e tortuose digressioni. Altri stavano in silenzio, osservavano i disegni e quando Wei finiva e si voltava notava sempre lo stesso sguardo sorridente sui volti di ciascuno. Era contento, gli piaceva ascoltare tutte quelle storie, belle o brutte non faceva differenza, ognu- no riusciva a cogliere in quei disegni il meglio di sé, le proprie speranze. Nessuno conosceva Longsheng, qualcuno ne aveva sentito parlare eppure tutti sembravano ritrovarsi in quei luoghi. Era un diverso tipo di artista. Non aveva bisogno di riportare storie di posti lontani nei suoi lavo- ri perché erano le storie degli altri ad andare da lui e, quindi, ad andare a Longsheng. Il suono che Wei adorava ascoltare era quello delle risate nei racconti di ognuno, quello che lui definiva: il suono della vita. Lo stesso suono che gli ricordava Shan la prima volta che l’aveva incontrata.
  • 13. 13 Capitolo 4 Ritornerò Wei decise di tornare a casa, doveva rivedere Shan. Il viaggio a Wenzhou gli aveva permesso di capire il valore dei suoi disegni, il suo affetto per Longsheng e l’importanza del posto in cui era nato ma gli era ancora indecifrabile che cosa Shan avesse visto in lui e in quelle figure. Salutò quindi lo zio che promise di tornare a Longsheng molto presto. Lungo tutto il viaggio Wei rifletteva su ciò che aveva vissuto e a tutto quello che avrebbe raccontato a Shan. Sperava che questa volta, col suo ritorno, sarebbe ricomparsa. Da Guilin giunse a Longsheng dove ritrovò i genitori ansiosi di parlargli e avere notizie di Cheng. Wei posò le valigie e subito li salutò promettendo di rimediare la sera al ritorno. Era deciso, non avrebbe perso un minuto di più e, sicuro di sé, si stava recando all’albero dove era sicuro di tro- varla. Quanti, forse troppi, quando parlano di esperienza aggiungono la parola cinismo. Per Wei non era così. Aveva viaggiato, aveva fatto esperienza ma per lui esperienza non aveva mai voluto dire sconfitta dei sogni. Era pomeriggio, aveva risalito anche l’ultima collina attraversando il sentiero centrale ed era giun- to all’albero. Non c’era nessuno. Nella sua mente, pensando a Shan, vi era l’immagine di quegli eroi che, combattenti innamorati, vincevano quasi sempre, quasi appunto. Risalì sull’albero nel posto in cui era abituato ad appoggiarsi per guardare attorno. Salito trovò quel disegno che si era sfilato di mano quando aveva abbandonato l’albero. Qualcuno l’aveva fissato al tronco. Lo stac- cò, davanti era incompleto come quando lo aveva lasciato e dietro un testo. “Caro Wei, Avresti preferito vedermi prima della tua partenza ne sono certa. L’ultima volta che sei passato all’albero non mi hai vista. Ero lontana, ti vedevo ma non volevo raggiungerti. Ho avuto paura che potessi chiedermi di partire con te. Quando sei andato via sono andata all’albero e ho trovato questo disegno, incompleto, come me. Ancora una volta una delle tue opere era riuscita a rispec- chiarmi. Ho voluto che viaggiassi affinché ti rendessi conto di quali capolavori stavi rappresen- tando. Ho avuto bisogno di viaggiare anche io affinché smettessi di cercare il mondo solo nei li- bri e potessi finalmente avere il coraggio di guardare Longsheng con la stessa serenità con cui lo guarderai tu ora. Sono partita con mio padre. Sono riuscita a convincerlo. Magari ritroveremo la nostra unità anche con l’assenza di mia madre. Tu intanto aspettami, non smettere di disegnare.
  • 14. 14 Presto ritornerò da te e finiremo insieme questo capolavoro incompleto. Shan” Wei scese dall’albero, si avviò verso casa lungo il sentiero centrale scendendo dalle colline. Si fermò, si chinò e colse un chicco di riso per terra. Chiuse un occhio e con l’altro fissò il chicco in controluce al tramonto. Sorrise.