2. dell'occorso che successivamente, che avrebbero condotto ad una pronuncia di segno opposto. In particolare, si menzionano esami audiometrici e visite specialistiche riportati nella ctu di
primo grado ed esami praticati antecedentemente al sinistro, dei quali l’ausiliare di secondo grado non avrebbe tenuto conto e che, valutati, unitamente all’ulteriore documentazione medica
prodotta, avevano indotto il primo CTU ad affermare la sussistenza del nesso causale tra anacusia ed evento lesivo occorso, in base al criterio cronologico, topografico e dell'idoneità
qualitativa e quantitativa, escludendo l’incidenza di altre cause.
I motivi di ricorso vanno trattati congiuntamente per l’evidente connessione delle questioni che ne costituiscono l’oggetto.
Anche nelle controversie in materia di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sui lavoro vige il principio generale, enunciato nell'art. 2697 cod.civ., secondo il quale chi vuol far valere
un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. L'infortunato, che richiede l'indennità, deve, quindi, provare i fatti dedotti a sostegno della domanda,
dimostrando il nesso causale tra l'asserito stato invalidante ed il fatto costituente infortunio, anche se in proposito non occorra assoluta certezza e basti che la dimostrazione del
collegamento tra i due fattori emerga da un ragionevole e serio criterio di probabilità scientifica.
Nella specie non si tratta della applicazione dei criteri generalmente validi in materia degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali, per i quali trova diretta applicazione la regola
contenuta nell'art. 41 cod. pen., secondo la quale il rapporto causale tra evento e danno è regolato dal principio dell'equivalenza delle condizioni, e va riconosciuta efficienza causale ad
ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, a determinare l’evento, sicché solo qualora possa ritenersi con certezza che l'intervento di un fattore estraneo
all’attività lavorativa sia stato di per sé sufficiente a produrre la infermità deve escludersi l'esistenza del nesso eziologico richiesto dalla legge. Si tratta più specificamente di individuare
l’esistenza di un nesso causale tra patologia acustica in relazione alla quale è richiesta la rendita e sinistro stradale occorso al R.B., in relazione alle modalità del verificarsi dello stesso.
Tanto premesso, deve rilevarsi che l’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., riformulato dall'art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134 (index.php?
option=com_content&view=article&id=7582:2012cordiato83134&catid=5&Itemid=137), introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso
esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia
carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo
comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il " fatto storico", il cui esame sia stato omesso, il "dato", testuale o extratestuale, da cui esso risulti
esistente, il "come" e il "quando" tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua "decisività", fermo restando che l'omesso esame di elementi istruttori non
integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza
non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. Cass., s. u., 8053/2014).
Nella evidente prospettiva della novella introdotta dal legislatore del 2012 che mira a ridurre drasticamente l'area del sindacato di legittimità attorno ai "fatti” l’omesso esame del fatto
decisivo oggetto di discussione nel giudizio afferisce a dati materiali, ad episodi fenomenici rilevanti, ed alle loro ricadute in termini di diritto, aventi portata idonea a determinare
direttamente il giudizio. Per converso, le censure motivazionali formulate dal ricorrente, anche mediante deduzione di circostanze di fatto non risultanti dalla sentenza impugnata (e senza
indicazione del luogo e delle modalità in cui siano state sottoposte al giudice del merito, quindi in violazione del principio di autosufficienza) risultano inammissibili. Nessun fatto decisivo
trascurato dalla Corte territoriale viene indicato se non gli stessi fatti valutati nella sentenza impugnata e di cui si vorrebbe una diversa lettura.
Il vizio denunciato, poi, neppure sussiste alla stregua dell'alt 132 c.p.c. e art. 360 c.p.c., n. 4, alla luce dei quali l'inosservanza dell'obbligo di motivazione è deducibile soltanto nelle ipotesi
di mancanza assoluta della motivazione, ovvero di motivazione meramente apparente o perplessa o assolutamente illogica, ipotesi nella specie non ricorrenti.
Va, quindi, rilevato più specificamente con riferimento alla seconda doglianza che, nell'ambito della valutazione delle risultanze processuali operata dal giudice del merito nel giudizio in
materia di accertamento dell'Inabilità da infortunio sul lavoro, qualora il giudice del merito si sia basato sulle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, affinché sia denunciabile in
cassazione il vizio nella specie dedotto, è necessario che eventuali errori e lacune della consulenza, che si riverberano sulla sentenza, si sostanzino in carenze o deficienze diagnostiche,
o in affermazioni illogiche o scientificamente errate, non già in semplici difformità tra la valutazione del consulente circa l'entità e l'incidenza del dato patologico e il valore diverso allo
stesso attribuito dalla parte. Va, pertanto, rigettato il ricorso avverso la sentenza che, condividendo la relazione del c.t.u., abbia escluso la derivazione causale dell' infortunio dal sinistro
occorso durante l’attività di lavoro, quando il ricorrente si limiti ad invocare una diversa valutazione scientifica delle prove raccolte (cfr. Cass. 8.11.2010 n. 22708, Cass. 3.2.2012 n. 1652).
Le censure in realtà sollecitano soltanto una nuova lettura delle risultanze istruttorie, operazione preclusa in sede di legittimità. Infatti, per costante giurisprudenza in materia di prestazioni
previdenziali derivanti da patologie relative allo stato di salute dell'assicurato, il difetto di motivazione della sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico
d’ufficio è ravvisabile solo in caso di palese deviazione dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, o nell'omissione degli accertamenti strumentali dai quali,
secondo le predette nozioni, non si può prescindere per la formulazione di una corretta diagnosi.
Al di fuori di tale ambito le censure anzidette costituiscono mero dissenso diagnostico non attinente a vizi del processo logico formale, e si traducono, quindi, in una inammissibile critica
del convincimento del giudice (giurisprudenza consolidata: v. da ultimo Cass. 22 febbraio 2013, n. 4570; id. 15 gennaio 2013, n. 767 del 2013; 23 novembre 2012, n. 20773; 12 dicembre
2011, n. 26558; Cass. 29 aprile 2009, n. 9988; 3 aprile 2008, n. 8654). Con il ricorso in esame non vengono dedotti vizi logicoformali che si concretino in deviazioni dalle nozioni della
3. scienza medica o si sostanzino in affermazioni manifestamente illogiche o scientificamente errate, ne' ancor meno se ne indicano le fonti: ci si limita, invece, a svolgere solo
osservazioni concernenti il merito di causa senza evidenziare quali sarebbero gli accertamenti strumentali omessi e quali le affermazioni scientificamente errate.
Alla stregua delle esposte considerazioni, si propone il rigetto del ricorso”.
Sono seguite le rituali comunicazioni e notifica della suddetta relazione, unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in Camera di consiglio. L’INPS ha depositato memoria ai
sensi dell'art. 380 bis, 2° comma, c.p.c., adesiva alle conclusioni del relatore.
Il Collegio ritiene di condividere integralmente il contenuto e le conclusioni della riportata relazione pur ritenendo che le argomentazioni ivi svolte conducano più propriamente alla
declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Le spese del presente giudizio di legittimità cedono, per il principio della soccombenza, a carico del ricorrente e si liquidano come da dispositivo.
Il ricorso è stato notificato in data successiva a quella (31/1/2013) di entrata in vigore della legge di stabilità del 2013 (art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 del 2012),
che ha integrato l’art. 13 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, aggiungendovi il comma 1 quater del seguente tenore: “Quando l'impugnazione, anche incidentale è respinta integralmente o è
dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l'ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione,
principale o incidentale, a norma art. 1 bis. Il giudice dà atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento
del deposito dello stesso”.
La declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione comporta che venga disposto in conformità alla richiamata previsione.
P.Q.M.
La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in euro 100,00 per esborsi, euro 2500,00 per
compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonché al rimborso delle spese generali in misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, in data 9.6.2016