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[Relations is the Key] Storymaking e Melodia delle Relazioni #inspiringPR
Riporto gli appunti alla base della relazione che ho tenuto sabato 17 maggio a
Mestre per #inspiringPR
Il tema voleva evidenziare il ruolo decisivo delle relazioni nel promuovere contenuti anche di
qualità, lanciando spunti e ispirazioni su come attivare strategie diffuse basate su meccanismi di
relazione interpersonale.
1 - La musica è un mare di silenzi fra una nota e l’altra
Avevo 8 anni.
Il mio maestro di chitarra aveva percepito la mia “ansia”: il giorno dopo avrei avuto il primo saggio
di chitarra davanti ai miei genitori. Nulla era più spaventevole. Per (cercare di) tirarmi su, mi disse:
“Tranquillo, in fin dei conti la musica è un eterno silenzio, intervallato ogni tanto da qualche nota.
Basta beccarla giusta”.
Non mi aveva tranquillizzato per nulla.
Ma lo considero tuttora uno dei massimi insegnamenti di comunicazione: il valore di una melodia
non è dato (solo) dalle singole note, ma dai silenzi e dalla relazioni fra una nota e l’altra.
2 – Comunicare è un processo di relazioni fra contenuti e persone
Dopo 10 anni passati nella comunicazione di un Parco Scientifico e Tecnologico (AREA Science
Park), posso affermare che il contesto della famosa “comunicazione dell’innovazione” è
raffigurabile così: una enorme stanza dove ognuno suona la propria melodia, magari bella, ma
senza pausa fra una nota e l’altra. Pura emissione di suoni che.. avete presente l’Inno alla Gioia
suonata senza silenzioni fra le note? Io sì. Brividi (negativo). Pensate ora a centinaia di realtà che
emettono questi suoni nello stesso momento?
Ecco: anche la comunicazione, parallelamente alla musica, prende valore non tanto dalla qualità
dei singoli contenuti (elemento irrincunciabile) ma dalla capacità di relazione fra uno e l’altro e
soprattutto fra le diverse persone. Dico “FRA” e non “DA .. A” per un motivo. Nel contesto attuale di
comunicazione, invece, molti di noi siamo preoccupati a emettere suoni bellissimi che non arrivano
come devono a coinvolgere gli altri.
3 - Il web non esiste, il web siamo noi.
Dopo quello del maestro di chitarra, il secondo insegnamento fondamentale per la mia vita
professionale è stato quello di un tizio che odiava il web: “il web non esiste”. E sapete cosa gli ho
risposto: “sono d’accordo”.
Molti, quando sentono la parola “digitale”, pensano allo strumento (web). Io penso alle persone.
Molti, soprattutto, non capisco che “digitale” non è un sostantivo a sé stante, ma un aggettivo che
definisce un approccio. Il Digitale è un approccio, che parla diAscolto e Relazione con Persone.
Vado oltre: io credo profondamente al fatto che il social web abbia rialzato il tasso di umanità nelle
comunicazioni e relazioni in ambito diffuso. Di più: se una tecnologia, soprattutto #digitale, non
aumenta il tasso di umanità in una relazione fra due o più persone, la colpa è delle 2 o più
persone.
Quando parlo di umanità, parlo di efficacia: riprodurre online im ambito diffuso le dinamiche delle
relazioni interpersonale, equivale ad innalzare di molto la qualità della comunicazione.
4 – Un Estraneo vende, Un Amico Consiglia
Un esempio? Tutti hanno sempre detto che il passaparola è la strategia/strumento più efficace di
comunicazione. Ovvio: io vado a vedere un film perché me lo suggerisce un amico, molto di più di
quanto lo faccia per una pubblicità che vedo. A Ferrara, ricordo ancora, mi son sparato 3 km a
piedi per mangiare una pizza, quando intorno a me c’erano pubblicità di locali di ogni genere.
Ma come fare a rendere sistemico e replicabile in ambito diffuso questo meccanismo?
Come fare in modo che non debba io, come brand, a sputar fuori ogni giorno 10 comunicati
stampa o tweet, modello “Inno alla Gioia senza pause” ma che le altre persone parlino bene di me
o chiedano LORO a ME qualcosa sul brand che promuovo?
Per me il digitale è decisivo, ma voi potete usare anche i post-it, basta che l’approccio sia giusto.
Ricordatevi solo che: PEOPLE CONNECT WITH PEOPLE. Non voglio in questa sedia
approfondire il concetto di H2H, ma ci stiamo arrivando.
5 – La strategia del primo bacio
Quella sera ero stanchissimo. Stavo vedendo un film di Will Smith e lavorando ad altro (ossia
sonnecchiavo).
Will Smith cercava di insegnare ad un tizio come conquistare una donna.
Il concetto era: come dare il primo bacio? Farselo dare.
La cosa pone questioni di notevole interesse, se applicata alla comunicazione? Il comunicare
qualcosa a qualcuno (il “bacio”) diventa l’ultimo, ma proprio l’ultimo eh, step di un processo che
parte da molto lontano: dall’ascolto, dalla relazione, dal “corteggiamento”, dalla cocreazione di
ricordi e storie insieme. Per poi arrivare al fatidico momento dove, parole di Will, “tu devi coprire il
90% dello spazio fra te e lei per baciarla, e se hai lavorato bene prima, i restanti 10 centimetri li
copre lei”
Eppure molte aziende, sempre stando dietro alla metafora, si comportano così: entrano in
discoteca e baciano la prima che capita. Sparando contenuti a raffica, come note senza pause, nel
casino di una discoteca.
Ma cosa si fa a far sì che i nostri target (anzi, stakeholder, anzi persone che ci interessano) ci
bacino.. ehm, si interessino a noi?
6 - Storytelling is the way?
Molti rispondono: con lo storytelling!
Eh già. Potrei esser d’accordo ma dipende come lo si interpreta.
Ormai si è capito che “basta raccontare storie e avremo clienti”.
E via con le storie delle birre, della vita degli artigiani, della fatica di un imprenditore.
Mi aspetto solo la storia di una cartigienica e poi siamo apposto.
Il punto me l’ha fatto capire il Signor Mario.
Il signor Mario era il fruttivendolo del paese dove abitavo da piccolo. Diecimila anime.
Ci andavo spesso con mia nonna, anche se “uff, quanto el costa, el sior mario!”
“Nonna, ma possiamo andare dagli altri”. “No, le sue robe xe fate in casa”
“Nonna, in sto paese tutti hanno il campo e l’orto”. “Sì ma le sue son buone”.
I suoi prodotti erano buoni. Ovvio: senza prodotti e contenuti di qualità non fai nulla.
Ma quello che faceva Mario era creare delle storie assieme a noi. Non ci diceva quanto era sudato
la sera o menate varie. Mario raccontava a me di come i suoui bambini della mia età rovinassero il
campo giocando a nascondino “ehi anche io gioco” “sì ma tu non hai i pomodori: tieni, ti regalo
questo, è uno dei pochi rimasti” ;)
Con mia nonna poi si raccontavano le vicende del passato e ridevano sul presente, di come i
rispettivi “coniugi” fossero contenti di mangiare le cose buone dell’orto “come una volta”.
Vedete, è facile dire “Storytelling”. Ma non dovete raccontare storie a qualcuno.
E non basta nemmeno condividere passioni vostre con qualcuno: perché c’è sempre un “VOI” e un
“GLI ALTRI”.
7 - Le storie non sono di chi le racconta
Ogni volta che vado a Milano o a un evento con tanti socialmedia manager (ma mi è successo
anche con persone serie e inimmaginabili) qualcuno mi chiede: “e Tano?”. Tano il Gabbiano.
Per qualche mese ho fotografato i gabbiani di Trieste, uno alla volta, chiamandolo Tano e
inventandomi delle storie. Perché? Per divertimento. Solo che poi la gente ha cominciato ad
affezionarsi e a inventarsi delle cose: “eh chissà se ha la fidanzata?” “eh ma qua, eh ma là”. Ora,
non vi dico di andare in giro a fotografare i gabbiani, che già io ho rischiato che la Croce Rossa mi
portasse via con la camicia di forza, ma di capire il meccanismo di ascolto e cocreazione della
storia. Ve lo spiego meglio nel punto successivo, qui mi interessa spiegare perché ho abbandonato
lo splendido mondo dei gabbiani: non era funzionale ai miei obiettivi, ossia notorietà e relazioni per
il Parco Scientifico dove lavoro. Paradossalmente era utile per marketing turistico di Trieste,
quindi.. ciao Tano!
8 - Le storie non sono favole
Ecco invece il secondo esempio. Beh, io ogni mattina corro 4, massimo 5 km. Niente di più, niente
di meno, ma ogni giorno. La corsa ha quasi più valenza mentale che fisica, quindi ho iniziato a
postare le foto dello splendido paesaggio che vedo: l’alba triestina. Sia perché.. fa figo, sia
inizialmente per una sorta di regalo ai miei concitaddini: per come è fatta Trieste, chi sta in centro
città si perde l’inizio dell’alba, perché nascosta dalla collina. AREA Science Park però ha sede su
quella collina quindi.. è una delle prime albe a Trieste, anzi in Italia J
Cosa è successo poi? Che è diventato un appuntamento quotidiano. La cosa interessante non è
tanto la quantità di interazioni (soprattutto, udite udite, su Twitter grazie a fenomeni relazioni che
ora non abbiamo il tempo di approfondire) ma il fatto che molti, soprattutto all’inizio, mi scrivevano
in privato: “ah, ma non sapevo lì ci fosse un parco? Ah, ma che belle zone! Ah senti, ma.. cosa fate
lì? Ma quante aziende? Fate qualcosa per le startup?”.
Insomma, molte persone coprivano i famosi ultimi “10 centimetri”: non ero io a romper a loro con
“AREA Science Park è il principale parcoscientificoetecnologicomultisettoriale RONF”, ma erano
loro a chiedermi interessate.
Nel contesto comunicativo attuale, vince l’azienda che invece di comunicare solo se stessa, si
pone come punto di riferimento per tematiche simili e soprattutto ha dei PR (offline e online) che
parlano di lei in modo adeguato e indiretto tanto da diventare canalizzatori e attrattori di richieste
sul brand.
Richieste che, se soddisfatte, diventano veri e propri aiuti. Consigli.
9 - “Emozione razionale” is the answer
Perché succede? Perché, grazie all’approccio digitale e social, il fulcro è tornato sulle persone.
Non mi immagino un brand che twitta tutto il giorno di startup o di metodologie di trasferimento
tecnologico.
Mi immagino di un brand che abbia un piano editoriale che, oltre a contenuti sulla prpria attività, lo
ponga come punto di riferimento per tematiche affini e trasversali.
Mi immagino un brand circondato da persone che (li chiamo ambasciatori di marca) parlino bene di
lui.
E i primi a farlo dovrebbero essere quelli che vi lavorano.
Il ruolo del social media manager, nelle PR online, dovrebbe essere quello di attivare meccanismi
interpersonali attraverso l’approccio digitale.
Se veniste a una cena di lavoro con me, non vi parlerei tutta la sera di startup. Vi parlerei delle mie
passioni, vi sottolineerei anche le bellezze di Trieste: proprio da un tweet con la foto del tramonto
dal castello triestino, siamo riusciti a coinvolgere uno stakelder di estremo interesse per l’Ente.
Ho letto ultimamente che la comunicazione persuasiva non si fonda su dati e numeri
(irrincunciabili, sempre e comunque) ma sul toccare le corde della zona dove le decisioni vengono
realmente prese: “nella parte più profonda della mente, dove cuore e cervello si fondono”. Questo
è il concetto che chiamo “emozione razionale”.
10 - Comunicare significa farsi scegliere
Vi voglio lasciare questo messaggio: in un contesto dove le informazioni e il rumore di fondo sono
enormi, le relazioni sono decisive nel far assorbire un contenuto alle persone che volete
coinvolgere.
Mi raccomando, non diventiamo come le aziende che suonano l’Inno alla Gioia senza pause.
Facciamoci baciare (in comunicazione) :D

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"Relation is the King" Gabriele Persi - descrizione slides

  • 1. [Relations is the Key] Storymaking e Melodia delle Relazioni #inspiringPR Riporto gli appunti alla base della relazione che ho tenuto sabato 17 maggio a Mestre per #inspiringPR Il tema voleva evidenziare il ruolo decisivo delle relazioni nel promuovere contenuti anche di qualità, lanciando spunti e ispirazioni su come attivare strategie diffuse basate su meccanismi di relazione interpersonale. 1 - La musica è un mare di silenzi fra una nota e l’altra Avevo 8 anni. Il mio maestro di chitarra aveva percepito la mia “ansia”: il giorno dopo avrei avuto il primo saggio di chitarra davanti ai miei genitori. Nulla era più spaventevole. Per (cercare di) tirarmi su, mi disse: “Tranquillo, in fin dei conti la musica è un eterno silenzio, intervallato ogni tanto da qualche nota. Basta beccarla giusta”. Non mi aveva tranquillizzato per nulla. Ma lo considero tuttora uno dei massimi insegnamenti di comunicazione: il valore di una melodia non è dato (solo) dalle singole note, ma dai silenzi e dalla relazioni fra una nota e l’altra. 2 – Comunicare è un processo di relazioni fra contenuti e persone Dopo 10 anni passati nella comunicazione di un Parco Scientifico e Tecnologico (AREA Science Park), posso affermare che il contesto della famosa “comunicazione dell’innovazione” è raffigurabile così: una enorme stanza dove ognuno suona la propria melodia, magari bella, ma senza pausa fra una nota e l’altra. Pura emissione di suoni che.. avete presente l’Inno alla Gioia suonata senza silenzioni fra le note? Io sì. Brividi (negativo). Pensate ora a centinaia di realtà che emettono questi suoni nello stesso momento? Ecco: anche la comunicazione, parallelamente alla musica, prende valore non tanto dalla qualità dei singoli contenuti (elemento irrincunciabile) ma dalla capacità di relazione fra uno e l’altro e soprattutto fra le diverse persone. Dico “FRA” e non “DA .. A” per un motivo. Nel contesto attuale di comunicazione, invece, molti di noi siamo preoccupati a emettere suoni bellissimi che non arrivano come devono a coinvolgere gli altri. 3 - Il web non esiste, il web siamo noi. Dopo quello del maestro di chitarra, il secondo insegnamento fondamentale per la mia vita professionale è stato quello di un tizio che odiava il web: “il web non esiste”. E sapete cosa gli ho risposto: “sono d’accordo”. Molti, quando sentono la parola “digitale”, pensano allo strumento (web). Io penso alle persone. Molti, soprattutto, non capisco che “digitale” non è un sostantivo a sé stante, ma un aggettivo che definisce un approccio. Il Digitale è un approccio, che parla diAscolto e Relazione con Persone. Vado oltre: io credo profondamente al fatto che il social web abbia rialzato il tasso di umanità nelle comunicazioni e relazioni in ambito diffuso. Di più: se una tecnologia, soprattutto #digitale, non aumenta il tasso di umanità in una relazione fra due o più persone, la colpa è delle 2 o più persone. Quando parlo di umanità, parlo di efficacia: riprodurre online im ambito diffuso le dinamiche delle relazioni interpersonale, equivale ad innalzare di molto la qualità della comunicazione. 4 – Un Estraneo vende, Un Amico Consiglia Un esempio? Tutti hanno sempre detto che il passaparola è la strategia/strumento più efficace di comunicazione. Ovvio: io vado a vedere un film perché me lo suggerisce un amico, molto di più di quanto lo faccia per una pubblicità che vedo. A Ferrara, ricordo ancora, mi son sparato 3 km a piedi per mangiare una pizza, quando intorno a me c’erano pubblicità di locali di ogni genere. Ma come fare a rendere sistemico e replicabile in ambito diffuso questo meccanismo? Come fare in modo che non debba io, come brand, a sputar fuori ogni giorno 10 comunicati stampa o tweet, modello “Inno alla Gioia senza pause” ma che le altre persone parlino bene di me o chiedano LORO a ME qualcosa sul brand che promuovo? Per me il digitale è decisivo, ma voi potete usare anche i post-it, basta che l’approccio sia giusto.
  • 2. Ricordatevi solo che: PEOPLE CONNECT WITH PEOPLE. Non voglio in questa sedia approfondire il concetto di H2H, ma ci stiamo arrivando. 5 – La strategia del primo bacio Quella sera ero stanchissimo. Stavo vedendo un film di Will Smith e lavorando ad altro (ossia sonnecchiavo). Will Smith cercava di insegnare ad un tizio come conquistare una donna. Il concetto era: come dare il primo bacio? Farselo dare. La cosa pone questioni di notevole interesse, se applicata alla comunicazione? Il comunicare qualcosa a qualcuno (il “bacio”) diventa l’ultimo, ma proprio l’ultimo eh, step di un processo che parte da molto lontano: dall’ascolto, dalla relazione, dal “corteggiamento”, dalla cocreazione di ricordi e storie insieme. Per poi arrivare al fatidico momento dove, parole di Will, “tu devi coprire il 90% dello spazio fra te e lei per baciarla, e se hai lavorato bene prima, i restanti 10 centimetri li copre lei” Eppure molte aziende, sempre stando dietro alla metafora, si comportano così: entrano in discoteca e baciano la prima che capita. Sparando contenuti a raffica, come note senza pause, nel casino di una discoteca. Ma cosa si fa a far sì che i nostri target (anzi, stakeholder, anzi persone che ci interessano) ci bacino.. ehm, si interessino a noi? 6 - Storytelling is the way? Molti rispondono: con lo storytelling! Eh già. Potrei esser d’accordo ma dipende come lo si interpreta. Ormai si è capito che “basta raccontare storie e avremo clienti”. E via con le storie delle birre, della vita degli artigiani, della fatica di un imprenditore. Mi aspetto solo la storia di una cartigienica e poi siamo apposto. Il punto me l’ha fatto capire il Signor Mario. Il signor Mario era il fruttivendolo del paese dove abitavo da piccolo. Diecimila anime. Ci andavo spesso con mia nonna, anche se “uff, quanto el costa, el sior mario!” “Nonna, ma possiamo andare dagli altri”. “No, le sue robe xe fate in casa” “Nonna, in sto paese tutti hanno il campo e l’orto”. “Sì ma le sue son buone”. I suoi prodotti erano buoni. Ovvio: senza prodotti e contenuti di qualità non fai nulla. Ma quello che faceva Mario era creare delle storie assieme a noi. Non ci diceva quanto era sudato la sera o menate varie. Mario raccontava a me di come i suoui bambini della mia età rovinassero il campo giocando a nascondino “ehi anche io gioco” “sì ma tu non hai i pomodori: tieni, ti regalo questo, è uno dei pochi rimasti” ;) Con mia nonna poi si raccontavano le vicende del passato e ridevano sul presente, di come i rispettivi “coniugi” fossero contenti di mangiare le cose buone dell’orto “come una volta”. Vedete, è facile dire “Storytelling”. Ma non dovete raccontare storie a qualcuno. E non basta nemmeno condividere passioni vostre con qualcuno: perché c’è sempre un “VOI” e un “GLI ALTRI”. 7 - Le storie non sono di chi le racconta Ogni volta che vado a Milano o a un evento con tanti socialmedia manager (ma mi è successo anche con persone serie e inimmaginabili) qualcuno mi chiede: “e Tano?”. Tano il Gabbiano. Per qualche mese ho fotografato i gabbiani di Trieste, uno alla volta, chiamandolo Tano e inventandomi delle storie. Perché? Per divertimento. Solo che poi la gente ha cominciato ad affezionarsi e a inventarsi delle cose: “eh chissà se ha la fidanzata?” “eh ma qua, eh ma là”. Ora, non vi dico di andare in giro a fotografare i gabbiani, che già io ho rischiato che la Croce Rossa mi portasse via con la camicia di forza, ma di capire il meccanismo di ascolto e cocreazione della
  • 3. storia. Ve lo spiego meglio nel punto successivo, qui mi interessa spiegare perché ho abbandonato lo splendido mondo dei gabbiani: non era funzionale ai miei obiettivi, ossia notorietà e relazioni per il Parco Scientifico dove lavoro. Paradossalmente era utile per marketing turistico di Trieste, quindi.. ciao Tano! 8 - Le storie non sono favole Ecco invece il secondo esempio. Beh, io ogni mattina corro 4, massimo 5 km. Niente di più, niente di meno, ma ogni giorno. La corsa ha quasi più valenza mentale che fisica, quindi ho iniziato a postare le foto dello splendido paesaggio che vedo: l’alba triestina. Sia perché.. fa figo, sia inizialmente per una sorta di regalo ai miei concitaddini: per come è fatta Trieste, chi sta in centro città si perde l’inizio dell’alba, perché nascosta dalla collina. AREA Science Park però ha sede su quella collina quindi.. è una delle prime albe a Trieste, anzi in Italia J Cosa è successo poi? Che è diventato un appuntamento quotidiano. La cosa interessante non è tanto la quantità di interazioni (soprattutto, udite udite, su Twitter grazie a fenomeni relazioni che ora non abbiamo il tempo di approfondire) ma il fatto che molti, soprattutto all’inizio, mi scrivevano in privato: “ah, ma non sapevo lì ci fosse un parco? Ah, ma che belle zone! Ah senti, ma.. cosa fate lì? Ma quante aziende? Fate qualcosa per le startup?”. Insomma, molte persone coprivano i famosi ultimi “10 centimetri”: non ero io a romper a loro con “AREA Science Park è il principale parcoscientificoetecnologicomultisettoriale RONF”, ma erano loro a chiedermi interessate. Nel contesto comunicativo attuale, vince l’azienda che invece di comunicare solo se stessa, si pone come punto di riferimento per tematiche simili e soprattutto ha dei PR (offline e online) che parlano di lei in modo adeguato e indiretto tanto da diventare canalizzatori e attrattori di richieste sul brand. Richieste che, se soddisfatte, diventano veri e propri aiuti. Consigli. 9 - “Emozione razionale” is the answer Perché succede? Perché, grazie all’approccio digitale e social, il fulcro è tornato sulle persone. Non mi immagino un brand che twitta tutto il giorno di startup o di metodologie di trasferimento tecnologico. Mi immagino di un brand che abbia un piano editoriale che, oltre a contenuti sulla prpria attività, lo ponga come punto di riferimento per tematiche affini e trasversali. Mi immagino un brand circondato da persone che (li chiamo ambasciatori di marca) parlino bene di lui. E i primi a farlo dovrebbero essere quelli che vi lavorano. Il ruolo del social media manager, nelle PR online, dovrebbe essere quello di attivare meccanismi interpersonali attraverso l’approccio digitale. Se veniste a una cena di lavoro con me, non vi parlerei tutta la sera di startup. Vi parlerei delle mie passioni, vi sottolineerei anche le bellezze di Trieste: proprio da un tweet con la foto del tramonto dal castello triestino, siamo riusciti a coinvolgere uno stakelder di estremo interesse per l’Ente. Ho letto ultimamente che la comunicazione persuasiva non si fonda su dati e numeri (irrincunciabili, sempre e comunque) ma sul toccare le corde della zona dove le decisioni vengono realmente prese: “nella parte più profonda della mente, dove cuore e cervello si fondono”. Questo è il concetto che chiamo “emozione razionale”. 10 - Comunicare significa farsi scegliere Vi voglio lasciare questo messaggio: in un contesto dove le informazioni e il rumore di fondo sono enormi, le relazioni sono decisive nel far assorbire un contenuto alle persone che volete coinvolgere. Mi raccomando, non diventiamo come le aziende che suonano l’Inno alla Gioia senza pause. Facciamoci baciare (in comunicazione) :D