09 il responsabile del servizio di prevenzione e protezione nella recente giurisprudenza.
1. Il responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione nella recente giurisprudenza.
Giacomo Porcellana
Il 28 ottobre scorso la Corte di Appello del Tribunale di Torino giudicando sulla tragedia occorsa il 22
novembre 2008 presso il Liceo Darwin di Rivoli (TO) ha emesso sei condanne e una assoluzione. Le
condanne hanno riguardato anche tre imputati che nel tempo hanno ricoperto l’incarico di Responsabile
del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP) del Liceo.
Successivamente alla pronuncia della sentenza certe voci polemiche e preoccupate si sono levate da parte
di alcuni addetti ai lavori e hanno trovato eco nella stampa locale e nazionale.
Per il rispetto che si deve sia agli imputati condannati, che sino a sentenza definitiva godono della
presunzione di innocenza, sia, soprattutto, alle parti lese che hanno sofferto perdite gravi e irreparabili, e
per riguardo alla Corte di Appello che si è riservata novanta giorni per il deposito delle motivazioni, non
ritengo corretto svolgere neppure una considerazione sulla sentenza, contro la quale è già stato annunciato
ricorso per Cassazione da parte di alcune difese.
Mi interessa invece riprendere il discorso che riguarda il ruolo del RSPP che, anche nella recente
giurisprudenza di legittimità, ha interessato diverse pronunce della Corte di Cassazione.
Un importante campanello di allarme per i RSPP suona con la sentenza 20 aprile 2005, n. 11351
pronunciata dalla IV Sezione della Suprema Corte che in punto di diritto affermava:
"Il fatto, però, ‐ ed è questa la doverosa puntualizzazione ‐ che il D.Lgs n. 626 del 1994 abbia escluso la
sanzionabilità penale o amministrativa di eventuali comportamenti inosservanti dei predetti componenti
interni o esterni del servizio aziendale di prevenzione e protezione, non significa che questi componenti
possano e debbano ritenersi in ogni caso totalmente esonerati da qualsiasi responsabilità penale e civile
derivante da attività svolte nell'ambito dell'incarico ricevuto".
Il che vuoi dire che "occorre distinguere nettamente il piano delle responsabilità prevenzionali, derivanti
dalla violazione di norme di puro pericolo, da quello delle responsabilità per reati colposi di evento, quando,
cioè, si siano verificati infortuni sul lavoro o tecnopatie".
Ne consegue che il responsabile del servizio di prevenzione e di protezione qualora, agendo con imperizia,
negligenza, imprudenza o inosservanza di leggi e discipline, abbia dato un suggerimento sbagliato o abbia
trascurato di segnalare una situazione di rischio, inducendo, così, il datore di lavoro ad omettere l'adozione
di una doverosa misura prevenzionale, risponderà insieme a questi dell'evento dannoso derivatone, essendo
a lui ascrivibile un titolo di colpa professionale che può assumere anche un carattere addirittura esclusivo.
2. Questa pronuncia fissa un punto fondamentale nell’elaborazione giurisprudenziale e troverà plurime
conferme nelle pronunce successive.
Di particolare interesse è la pronuncia della quarta Sezione della Corte di Cassazione che con la Sentenza 15
gennaio 2010, n. 1834, prende in considerazione le modifiche introdotte all’allora D.Lgs 626/94 dal D.Lgs
195/2003 che venne emanato a seguito di uno dei numerosi richiami della Corte di Giustizia Europea (Sez.
V, 15 novembre 2001, C‐49/00), in questo caso riguardante la mancata definizione delle “capacità e le
attitudini di cui devono essere in possesso le persone responsabili delle attività di protezione e di
prevenzione dei rischi professionali per la salute e la sicurezza dei lavoratori:
… secondo lo schema originario del decreto, il responsabile del servizio di prevenzione e protezione è figura
che non si trova in posizione di garanzia, in quanto la responsabilità fa capo al datore di lavoro.
Senonché tale schema originario ha subito nel tempo una evoluzione, che ha indotto il legislatore ad
introdurre con il D.Lgs n. 195 del 2003 una norma (l'art. 8 bis) che prevede la necessità in capo alla figura
del responsabile del servizio di prevenzione e protezione di una qualifica specifica.
La modifica normativa ha comportato in via interpretativa una revisione della suddetta figura, nel senso che
il soggetto designato "responsabile del servizio di prevenzione e protezione", pur rimanendo ferma la
posizione di garanzia del datore di lavoro, possa, ancorché sia privo di poteri decisionali e di spesa, essere
ritenuto corresponsabile del verificarsi di un infortunio, ogni qual volta questo sia oggettivamente
riconducibile ad una situazione pericolosa che egli avrebbe avuto l'obbligo di conoscere e segnalare,
dovendosi presumere, nel sistema elaborato dal legislatore, che alla segnalazione avrebbe fatto seguito
l'adozione, da parte del datore di lavoro, delle necessarie iniziative idonee a neutralizzare detta situazione.
Come è ovvio la sentenza riconosce la mancanza di poteri impeditivi in capo al RSPP, ma ritiene “sensibile”
il mancato ottemperamento dei compiti assegnati al Servizio di Prevenzione e Protezione, poiché sulla base
della segnalazione di una situazione di rischio operata dal RSPP si presume che il datore di lavoro assuma,
come suo obbligo, le conseguenti misure di prevenzione e protezione:
… l'assenza di capacità immediatamente operative sulla struttura aziendale non esclude che
l'inottemperanza alle stesse ‐ e segnatamente la mancata individuazione e segnalazione dei fattori di rischio
delle lavorazioni e la mancata elaborazione delle procedure di sicurezza, nonché di informazione e
formazione dei lavoratori ‐ possa integrare un'omissione "sensibile" tutte le volte in cui un sinistro sia
oggettivamente riconducibile a una situazione pericolosa ignorata dal responsabile del servizio.
Per altro verso, considerata la particolare conformazione concepita dal legislatore per il sistema
antinfortunistico, con la individuazione di un soggetto incaricato di monitorare costantemente la sicurezza
degli impianti e di interloquire con il datore di lavoro, deve, come si è detto, presumersi che, ove una
situazione di rischio venga dal primo segnalata, il secondo assuma le iniziative idonee a neutralizzarla.
3. Nel delicato equilibrio tra le responsabilità del RSPP e quelle del datore di lavoro la sentenza , 4 febbraio
2010, n. 4917 pronunciata dalla quarta Sezione segna un punto a favore del RSPP affermando la penale
responsabilità del legale rappresentante della predetta società datrice di lavoro del lavoratore vittima di un
infortunio mortale ritenendo invece che il professionista incaricato dell'individuazione dei fattori di rischio
e dell'elaborazione delle misure di prevenzione e delle procedure di sicurezza non era stato portato a
conoscenza della lavorazione durante la quale si era verificato l’incidente. Sebbene non venga citato, il
richiamo all’art. 18, comma 2 del D.Lgs 81/08 pare evidente.
Ma solo pochi mesi dopo giudicando il caso di un lavoratore che aveva subito una lesione personale
prodotta dall’investimento da schizzi di metallo fuso durante la foratura del bocchello di un forno rotativo
ancora la una volta la quarta Sezione il 26 aprile 2010 con la pronuncia 16134, torna ad occuparsi del RSPP
affermando che:
La necessità di competenze specifiche e di requisiti professionali fissata dal Decreto Legislativo 19 settembre
1994, n. 626, articolo 8 bis per i responsabili e gli addetti al servizio in questione è il miglior riscontro della
centralità della prevenzione e della informazione nel sistema di tutela della integrità fisica e della
personalità morale dei lavoratori, (poi del loro diritto alla salute), che si è andato perfezionando a partire
dalla regolazione dell'articolo 2087 c.c., poi della Legge n. 300 del 1970, articolo 9 e articolo 32 Cost., poi
della Legge n. 833 del 1978 (artt 1, 2, 20 e in particolare articolo 24), e si completa col sistema attualmente
positivo di Decreto Legislativo 9 agosto 2008, n. 81, che qui si menziona al solo scopo di sottolineare la
continuità della linea di sistema, in materia di tutela della salute e prevenzione degli infortuni e delle
malattie professionali (si considerino gli articoli 8, 9, 10, 15 e 28 con riguardo alla funzione della valutazione
dei rischi e all'oggetto di tale valutazione, 36).
Se dunque risulta stabile nelle diverse stagioni legislative, la configurazione della mappazione dei rischi
come strumento essenziale dell'intero sistema antinfortunistico, l'omissione di condotte doverose in
relazione alla funzione di responsabile o di addetto al servizio di prevenzione e protezione (Cass. Pen. Sez. IV
15/2/2007 n. 15226) realizza la violazione dell'intero sistema antinfortunistico, senza che abbia alcuna
rilevanza il mancato apprestamento di una specifica sanzione penale per la violazione di sistema.
Invero ove da tale violazione discendano lesioni o morte non solo sarà configurabile un concorso in quei
delitti, ma sarà configurabile la specifica aggravante della loro commissione configurata all'articolo 590
c.p., comma 5 e articolo 589 c.p., comma 2, i norme.
Di particolare interesse è la vicenda processuale che si conclude con la sentenza n. 104 del 4 gennaio 2011.
La quarta Sezione della Corte di Cassazione si occupa dell’esplosione avvenuta in una pettinatura di lana a
Vigliano Biellese il 9/1/2001 che provocò tre morti e cinque lesioni gravi. Il giudizio della Corte di Appello di
Torino aveva portato all’assoluzione, per non aver commesso il fatto, del amministratore delegato e del
4. presidente del consiglio di amministrazione della società datrice di lavoro e aveva dichiarato non doversi
procedere nei confronti del RSPP per intervenuta prescrizione.
Il primo dato che si può cogliere è quello di un diverso destino processuale della figura del datore di lavoro
rispetto al RSPP e dunque solo quest’ultimo ricorre per Cassazione contro il giudizio della Corte d’Appello.
Sul piano tecnico la perizia disposta dal Tribunale concludeva con l'affermare che la produzione di polveri
nella lavorazione della lana è inevitabile ma, poiché esse contengono dei residui vegetali che le rendono
potenzialmente esplosive, è obbligo di chi gestisce tali impianti depurarle, evitando che nelle caselle delle
lappole (altro materiale di scarto della cardatura) si formino concentrazioni sospese di polvere finissima in
continua turbolenza per il caricamento pneumatico. Il rischio nascente dalla presenza di tali polveri
infiammabili non era stato adeguatamente valutato nel documento di valutazione rischi.
Con ogni evidenza si tratta di aspetti tecnici di elevata specificità e complessità e nell’ambito dei giudizi di
merito la discussione si sposta sulla “prevedibilità di un tale rischio”. Prevedibilità che risulterebbe esclusa
secondo la Difesa perché a livello di letteratura mondiale non si era mai verificato un incendio causato
dall'esplosione di polveri da lavorazione di lana, mentre, al contrario, secondo la pubblica accusa, le comuni
conoscenze permettono di ritenere che qualunque sostanza, finemente polverizzata e concentrata nell'aria,
diventa infiammabile e in particolari condizioni anche esplosiva.
Interessante il ragionamento della Corte di Appello di Torino che sulla base delle risultanze peritali
accertava che al momento dei fatti, già due studi scientifici pubblicati … indicavano che la polvere frutto
della lavorazione della lana non era inerte ma presentava discrete capacità di sostenere ‐ in presenza di
precise condizioni ‐ combustione e esplosione. Ma la Corte di Appello riteneva che la conoscenza di tale
produzione scientifica competesse al solo RSPP, al quale riconosce una altissima competenza di settore, e
non anche al datore di lavoro
Il ricorso per Cassazione si appunta in particolare sul vizio di motivazione legato alla prevedibilità
dell’evento e alla ipotetica condotta dell’agente modello, “avendo ben chiaro che l'homo eiusdem
condicionis ac professionis a cui fare riferimento non può certo essere un luminare, esperto in chimica‐
fisica, bensì un normale professionista del settore sicurezza del lavoro”.
La Corte di Cassazione, pur nei limiti del rito, rigettando il ricorso, svolge alcune considerazioni di estremo
interesse:
Dunque, sebbene la fattispecie in esame si caratterizza, come unanimemente rilevato sia dai giudici del
merito, periti compresi, e dalla difesa, per la sua unicità e che mai in precedenza si era verificato un simile
evento, ciò non toglie che l'elemento della conoscenza, come prospettato dalla corte territoriale, sulla
scorta dei risultati peritali, della prevedibilità e della valutazione ex ante dell'evento, impedisce
l'affermazione dell'evidenza della prova di innocenza dell'imputato.
5. E' vero che nella pratica quotidiana, soprattutto in materia antinfortunistica, si cerca di evitare i rischi della
lavorazione proprio sulla base dell'esperienza: rispetto ad un fatto già accaduto e che, per di più, si ripete in
determinate occasioni , si trova il rimedio e le misure necessarie ad evitarlo.
Ma ciò non basta, atteso che con riguardo ad attività lavorative di per sè pericolose, l'adozione delle misure
idonee a prevenire i rischi devono essere attuate prima ancora che si verifichi l'infortunio.
A tutto ciò soccorrono la tecnica, la ricerca, gli studi, la documentazione e per l'appunto, come ha
evidenziato la Corte Torinese l'obbligo di continuo e completo aggiornamento tecnico che il D.Lgs n. 626 del
1994, art. 4 impone. Ed aggiunge che la conoscenza di tali caratteristiche del materiale trattato avrebbe, a
sua volta, innescato l'obbligo di verifica delle concrete modalità di funzionamento dei macchinari che
entravano in contatto con tale polvere, svelando così i punti critici del sistema (contiguità fra depositi di
polvere e circuiti elettrici; contiguità fra polveri e reti delle caselle; effetto del flusso d'aria; inidoneità delle
reti costruite in nylon e loro cedevolezza; rischio di consequenziale spandimento di polveri finissime nel
volume turbolento delle celle in fase di caricamento).
Ed è condivisibile, in quanto corretta in punto di diritto, l'ulteriore affermazione secondo cui tutto ciò
costituisce l'addebito di colpa che è penalmente esigibile da chi è professionalmente tenuto al più spinto
aggiornamento tecnico su base mondiale, e ciò ‐ in virtù della chiara previsione contenuta nel D.Lgs n. 626
del 1994, art. 4 ‐indipendentemente da eventuali carenze di normative di settore, non ancora adeguate alla
migliore tecnica, ovvero a rassicurazioni di organi tecnici.
E proprio in ragione di tale considerazione non appare sostenibile la deduzione difensiva secondo cui la
Corte ha rapportato la condotta dell'imputato ad un agente modello più che elevato, avendolo identificato
nello stesso perito da essa nominato.
Se è vero che indubbiamente l'individuazione dell'eziologia dell'evento di cui trattasi ha richiesto l'apporto di
tecnici specializzati, di fronte al dato oggettivo della ineluttabile produzione di materiale di scarto della
lavorazione della lana ci si doveva porre l'interrogativo di una loro possibile pericolosità documentandosi in
materia.
Avvicinandoci all’oggi, la sentenza della Corte di Cassazione, Sezione IV, n. 2814 del 27 gennaio 2011,
richiamando i principi di diritto già enunciati, ci offre un ulteriore contributo:
Quanto alla assenza di poteri di intervento dell'imputato, diretti all'adozione di misure prevenzionali ed al
rispetto delle stesse da parte dei lavoratori, in quanto di esclusiva competenza del datore di lavoro, le cui
conseguenze non sarebbero pertanto ascrivibili all'imputato, i giudici di merito hanno esattamente
evidenziato che la responsabilità del RSPP non si fonda su tali profili ma sulla inadeguatezza delle misure
suggerite e sulla ignoranza per negligenza del ciclo produttivo.
6. Affermazione che si inquadra perfettamente nel quadro normativo sopra delineato che riconduce la
responsabilità del RSPP, tra l'altro, alla mancata o erronea individuazione e segnalazione dei fattori di
rischio delle lavorazioni e la mancata elaborazione delle procedure di sicurezza nonché di informazione e
formazione dei lavoratori
Una diversa casistica prende in esame la Corte di Cassazione, Sezione IV, con la sentenza 27 settembre
2012, n. 37334. Si tratta di un infortunio occorso ad un dipendente di una società subappaltatrice il quale,
mentre si trovava all'interno del cantiere di lavoro per effettuare lavori di pitturazione delle travi in ferro,
spostava, al fine di trasportare il trabattello, una lamiera che era stata posta a copertura di una buca senza
alcuna segnalazione della situazione di pericolo e senza l'adozione di alcuna cautela antinfortunistica,
precipitando da un'altezza di circa dieci metri e riportando lesioni personali che ne determinavano
un'invalidità permanente.
Anche in questo caso il procedimento penale che ne consegue interessa la figura del RSPP, che nel caso di
specie aveva sollevato la questione della presenza delle buche e la necessità di adottare idonei
accorgimenti per evitare il pericolo di caduta, ma non aveva verificato l'adeguatezza della soluzione
realizzata aveva mancato di segnalare la situazione di pericolo che residuava.
Ed infine si prende in esame la recente pronuncia, 11 marzo 2013, n. 11492, della quarta Sezione della
Corte di Cassazione. Si tratta di un caso nel quale la parte lesa è un terzo e nello specifico un paziente di
una Azienda Sanitaria Locale che veniva sottoposto ad una terapia mediante apparecchio elettromedicale.
A causa di una sovratensione dell'impianto elettrico il paziente aveva ricevuto una forte scossa elettrica a
seguito della quale era caduto dal letto, perdendo i sensi e riportando anche una lesione lacero‐contusa al
capo.
Per le lesioni venivano tratti a giudizio e condannati, in primo grado, il RSPP dell'azienda sanitaria e il
direttore del servizio manutenzioni della stessa ASL ai quali si addebitava di avere omesso di installare o di
fare installare e di mantenere in modo adeguato l'impianto elettrico del locale adibito a terapia. Al termine
del secondo grado la Corte di Appello ha dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione dei
ai reati loro ascritti.
Davanti alla Suprema Corte il principale motivo di ricorso del RSPP si basa sul fatto che egli, prima
dell’evento, avrebbe “segnalato e comunicato la situazione pericolosa dell'impianto elettrico, tanto che il
datore di lavoro si era attivato ed aveva dato avvio a una serie di iniziative (tra cui l'adozione del sistema
differenziale perfettamente rispondente alle norme tecniche e di sicurezza), tutte rivolte a gestire il fattore
di rischio, ivi compreso quello connesso alle variazioni di tensione”.
7. La Corte di Cassazione respinge il ricorso ponendo rilievo al fatto che:
… la responsabilità dell'imputato risiede nella negligente sottovalutazione dei rischi, collegati alla presenza
nei locali di un impianto elettrico non a norma, che provocava situazioni repentine di sovratensione, con
conseguente malfunzionamento degli apparecchi medicali ed un aumento rapido della corrente erogata
dagli elettrodi, idonee a generare nel paziente una sensazione dolorosa e delle contrazioni più forti che
potevano generare panico (e giustificare così la contestuale caduta della parte offesa e le relative lesioni, sia
pure di carattere lieve) e nella imperizia dimostrata dallo stesso ad affrontare la situazione di pericolo.
Sotto tale ultimo profilo la Corte di merito ha sottolineato che il [RSPP] avrebbe dovuto diligentemente
ravvisare e segnalare il problema al responsabile AUSL, affinché questi procedesse in tempi ordinari, senza
attendere l'erogazione dell'ingente finanziamento occorrente per la totalità dei lavori necessari nell'edificio.
Anche in quest’ultima sentenza dunque si sottolinea la necessità per il RSPP, non solo di segnalare le
situazioni di rischio, ma di reiterare la propria segnalazione a seguito dell’adozione di misure inadeguate
(sia sul piano tecnico, sia sul piano temporale).
Come si potrà notare nei casi presi in esame dalla Corte di Cassazione la tipologia di rischio che porta
all’evento a seguito del quale si incardina il procedimento penale varia da caso a caso ed ora riguarda la
sicurezza elettrica, ora riguarda il rischio di esplosione, quello di caduta o altri ancora. La previsione
normativa che pone l’obbligo di valutare tutti i rischi richiede quindi una preparazione tecnica molto ampia.
A tale riguardo non si può negare che il legislatore nell’imporre al datore di lavoro la costituzione di un
servizio di prevenzione e protezione volesse assicurare, congiuntamente al medico competente, capacità
tecniche sufficienti ed adeguate al compito. Nonostante ciò, nell'ipotesi di utilizzo di un servizio interno, il
datore di lavoro può comunque avvalersi di persone esterne alla azienda in possesso delle conoscenze
professionali necessarie, per integrare, ove occorra, l'azione di prevenzione e protezione del servizio.
Si può quindi concludere che l’unico limite alla valutazione del rischio è rappresentato dalla prevedibilità
dell’evento. Pare ovvio che tale concetto assorbe tutto ciò che rientra nelle esperienze di settore, in questa
circostanza la tutela della salute e sicurezza del lavoro , ma il campo è indubbiamente molto vasto e
abbraccia le scienze ingegneristiche, naturali, sociali, ecc. ed è in continua evoluzione. Evoluzione segnata
dalla giurisprudenza, dal progresso scientifico e tecnico, dall’esperienza, e via discorrendo e che richiede
alla figura del RSPP un notevole sforzo di aggiornamento continuo.
Parlando di prevedibilità di un evento, si deve ricordare il prezioso insegnamento che la Corte di
Cassazione, pronunciandosi sul disastro di Stava, nella Sentenza 6 dicembre 1990 n. 4793 scriveva: "ai fini
del giudizio di prevedibilità, deve aversi riguardo alla potenziale idoneità della condotta a dar vita ad una
situazione di danno e non anche alla specifica rappresentazione ex ante dell'evento dannoso, quale si è
concretamente verificato in tutta la sua gravità ed estensione".
8. In relazione al rapporto tra il ruolo di RSPP e il concetto di prevedibilità è lapidaria la Sentenza n. 25647
dell’11 giugno 2013 della IV Sezione della Corte di Cassazione:
“La prevedibilità altro non significa che porsi il problema delle conseguenze di una condotta commissiva od
omissiva avendo presente il cosiddetto "modello d'agente", il modello dell' "homo eiusdem condicionis et
professionis", ossia il modello dell'uomo che svolge paradigmaticamente una determinata attività, che
importa l'assunzione di certe responsabilità, nella comunità, la quale esige che l'operatore si ispiri a quel
modello e faccia tutto ciò che da questo ci si aspetta. Un tale modello impone, nel caso estremo in cui il
garante si renda conto di non essere in grado d'incidere sul rischio, l'abbandono della funzione, previa
adeguata segnalazione al datore di lavoro”.
E’ chiaro che l’assunzione del ruolo di RSPP non rappresenta un compito semplice, ne privo di
responsabilità. La semplice assunzione del ruolo vincola all’assolvimento dei compiti indicati dall’articolo 33
del D.Lgs 81/08.
Tanto la dottrina che la giurisprudenza ( si veda Cassazione penale, Sez. IV – Sentenza n. 18568 del 24
aprile 2013) riconoscono ad esempio la cd. colpa per assunzione, ravvisabile allorquando si cagiona un
evento dannoso per l'aver assunto un compito che non si è in grado di svolgere secondo il livello di
diligenza richiesto all'agente modello di riferimento.
La tentazione potrebbe essere quella di voler abbassare “l’asticella”, ovvero l’ipotetico livello di diligenza
richiesto all'agente modello, ma la carrellata delle Sentenze qui presentata non pare andare in questa
direzione.
Torino 10 novembre 2013