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  Generazioni Biodigitali
                                                  Linee Guida

                                           Gabriele Righetto
                        CENTRO DI ECOLOGIA UMANA Università di Padova



Indice


          •    Computer e dintorni
          •    Lavorare dentro il computer. La solitudine da computer
          •    Iconolese: le prospettive
          •    Lavorare dentro in attesa di produrre effetti fuori (computercentrici +
               mediatori)
          •    La videoscrittura
          •    I mediatori
          •    Le programmazioni di robot
          •    Robotica
          •    Lavori ad extra
          •    Lavori tele
          •    Pensiero zapping - power point
          •    Power point e similari
          •    E-book. cd-rom e i testi digitali
          •    Infostazione
          •    Web community ecodigitale
          •    Comunità formativa
          •    Distretto formante

Dispensa n.1 “Pedagogia dei Luoghi” G. Righetto
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GENERAZIONI BIODIGITALI
Linee guida
Il presente lavoro si propone di raccogliere alcune riflessioni e valutazioni che
possano essere utilizzate in un lavoro formativo e didattico che tenga conto che siamo
entrati in una fase storica in cui il paradigma culturale e organizzativo-sociale
dell’industrialismo non costituisce più l’asse portante.
Siamo entrati in una fase definibile in tanti modi a seconda del fattore o insieme di
dinamiche che si vogliono mettere in evidenza.

Alcuni parlano di Postindustrialismo1 considerando il superamento non una cesura
netta con l’industrialismo, ma come un fenomeno succedutosi ed subentrato. Un
compimento oltre.
Altri parlano di Età Postmoderna2 che si afferma dopo gli anni 60 quando entra in
crisi l’assetto socioculturale esistente e si consolida una nuova conformazione con il
concorso di ‘rivoluzioni tecnologiche’ che sostengono organizzazioni sociali sempre
più complesse. In specifico si nota il passaggio dall’industria meccanica all’industria
fondata su supporti e procedure elettroniche, telecomunicazioni, informatica. Tutto ciò
ha inciso in modo forte su lavoro, conoscenze, operatività e politica.
C’è anche chi, come F.Jermerson considera il postmoderno solo come un’accezione
particolare del tardocapitalismo e postfordismo, si tratta solo di una dominante
culturale e quindi un approccio parziale, orientato soprattutto al consumismo e alla
spettacolarizzazione della vita attraverso i mass-media. La caratteristica suprema del
postmoderno è la superficialità ossia l’assenza di profondità. Superficialità e
frivolezza connotano la società dello spettacolo e la cultura delle immagini comporta
un prevalere delle coordinate spaziali su quelle storiche: tutto appare sincronico e il
vissuto è ricondotto ad un rapporto eclettico intessuto di citazioni, con un patchwork
di stili che rende tutti contemporanei3. indubbiamente vi sono aspetti sociali e di
gestione del potere che segnalano l’entrata in preoccupanti zone d’ombra. Ma se si
1
  A.TOURAINE
         La società post-industrielle.
         Denoel, Paris 1969 – trad. it. La Società postindustriale Il Mulino , Bologna 1970
         D.BELL
         The Coming of Post-Industrial Society
         Basic Book, New York 1973
2
  J.F. LYOTARD
         La condition postmoderne
         Minuit, Paris 1979 – trad. It. La condizione postmoderna. Rapporto sul sapere. Feltrinelli, Milano 1985
3
  F.JEMERSON
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guarda soltanto l’aspetto sociopolitico e socioeconomico (con l’indiscutibile
propensione di una componente mondiale ad esercitare un’egemonia monodirezionale
attraverso la manipolazione di media e alleanze e ampio ricorso a forme belliche) si
perdono di vista altri aspetti che non mancano di incidenza e caratterizzazione del
nostro tempo.
Le innovazioni non toccano solo il campo abiotico del digitale, ma sempre più
avanzano gli studi e le applicazioni in campo di biologia molecolare e di DNA
ricombinante. Non si tratta solo di un discutibile campo scientifico, ma di una
dimensione che incide (e annuncia di incidere sempre più) sulla vita delle persone e
degli ecosistemi. Infatti ha ricadute in campo in campo farmacologico e medico, in
agricoltura, in zootecnia, nella gestione del territorio con la produzione di piante che
resistono alla salinità, siccità, acidità, attacco di parassiti, annuncia di poter
perseguire risultati molto soddisfacenti nel debellare patologie particolarmente gravi e
che colpiscono strati importanti di popolazione. Da questo punto di vista le tecnologie
applicate al DNA ricombinante si configurano in un orizzonte di positività con un
ruolo attivo della nostra specie a livello di nanoambiente biotico.
L’insieme di queste prospettive biodigitali affermatesi soprattutto sullo scenario degli
anni 80 del 900, giunge accompagnato però da annunci ed argomentazioni che
segnalano insieme ampi rischi e problemi di difficile soluzione.
Non esiste infatti alcuna certezza verificabile che gli organismi geneticamente
modificati immessi nell’ambiente siano controllabili in ogni loro interazione e
produzione di concause. La possibilità di correggere difetti genetici, specie se fonte di
gravi patologie, è sicuramente un aspetto assai interessante ed auspicabile, ma non
esiste la garanzia che vi siano organi autorevoli e dotati di intervento effettivo per
controllare e impedire che persone e istituzioni malintenzionate producano ‘mostri
genetici’ o manipolino in forme lesive della dignità le modalità di nascita di animali e
di esseri umani stessi, ridotti a strumento e deprivati di autonomia e delle
caratteristiche che danno dignità all’esistere.
Non c’è ragionevole possibilità che organismi internazionali siano messi in grado di
assicurare che un numero circoscritto di aziende agroalimentari che operano in
campo di biotecnologie con DNA ricombinante non realizzino una mastodontica forma
di egemonia in grado di condizionare la vita sociale e politica di intere parti del
pianeta.
Non si capisce per quale motivo si dovrebbe favorire la pollinazione chiusa (ossia
controllata esclusivamente da una azienda produttrice che diventa anche l’erogatrice

          Postmodernism or The Cultural Logic of Late Capitalism in “New Left Review” 1984 – trad. It. Il postmoderno
o la logica culturale del Capitalismo, Garzanti Milano 1989
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esclusiva delle sementi biotrattate) rispetto alla pollinazione aperta che permette ai
singoli agricoltori produttori di autoprocacciarsi le sementi, magari migliorandole
assecondando capacità di scelta e adeguamento a contesti ambientali particolari e
locali.
Non sono riconoscibili e certi i mezzi di governo mondiale per contrastare usi
impropri di biotecnologie a scopo militare in grado di produrre micidiali armi
biologiche.
Le conoscenze di gestione della complessità degli ecosistemi sono ancora modeste e
incomplete e quindi non si è in grado di analizzare la struttura essenziale e profonda
che potrebbe essere interessata dall’immissione negli ecosistemi stessi di organismi
manipolati geneticamente.
La questione fondamentale è che l’umanità intera resti responsabile del suo destino e
sia in grado di conoscere, gestire, governare, promuovere o rifiutare prospettive che si
aprono all’avventura del vivere. Si tratta di attivare una cultura della precauzione e
della responsabilità, ma anche una cultura della conoscenza e della competenza che
abbiano tratti democratici e partecipativi.
Perciò con le molte luci, ma anche le non rasserenanti ombre va promossa la cultura
specifica del nostro tempo.
Qui pertanto si parlerà soprattutto di Società Biodigitale che estende alcune
caratteristiche dell’approccio postmoderno e rende più palesi alcuni processi che
nell’accezione postmoderna ristretta erano assai scarsamente considerati: la
mondializzazione, le emergenze ambientali, la prospettiva esogea e l’intervento
tecnologico sul bios4.

  Una delle notizie del primo semestre del 2003 che hanno trovato forte attenzione sulla stampa
4


internazionale è riferita ad Hybrot (Hybrid Robot), il primo robot ibrido o ‘animat’ automatico.
        Di fatto si tratta di uno dei primi fenomeni esplicitamente biodigitali.
        L’ingegnere biomedico statunitense Steve Potter del Georgia Institut of Technology ha messo
a punto un network di neuroni (duemila cellule di topo) applicate ad un microchip che fanno
funzionare una macchina ‘ibrida’. Ogni azione di Hybrot è il risultato di istruzioni ricevute dai
neuroni di topo a cui è collegato, assieme a sessanta elettrodi.
        Il robot ibrido è equipaggiato di minisensori elettronici e di cellule ottiche a raggi infrarossi.
Mediante questi rinvia alle cellule cerebrali del topo le informazione che raccoglie. Si forma così un
processo di cooperazione tra cellule cerebrali e robot. Si è ancora in presenza di una bio-macchina
rozza, ma comunque di un primo incontro tra tecnologie digitali e biotecnologiche che in precedenza
avevano già percorsa molta strada a livelli avanzatissimi, ma separatamente. E’ una strada in cui si
raggiungono risultati per lo più dalle dimensioni miniaturizzate, anzi nanometriche. Forse sono albori
di un nanoambiente integrato congiuntamente di abiotico e vivente. Quando digitale e biotecnologico
si integrano allora il termine biodigitale assume tutta la sua pregnanza e giustificazione.
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In queste pagine pero l’attenzione sarà rivolta quasi esclusivamente al digitale, non
escludendo di trovare progressivamente delle vie che favoriscano la didattica
complessiva del nanoambiente (bio e digitale) provando le forme di divulgazione per
le conoscenze, competenze e organizzazioni sociali specifiche. Si darà attenzione al
fenomeno della Robotica, con l’avvertenza che oggi la robotica si interfaccia con le
tecnologie della trasformazione e del digitale, ma che non passerà molto tempo che i
robot ibridi conducano alla dimensione di un’interfaccia più complessa che declini
insieme e in modo diffuso tecnologie digitali, tecnologie trasformative e biotecnologie.

In queste pagine, pur sensibili all’intera prospettiva del biodigitale, partiremo con un
approccio limitato, considerando quello che accade attorno al più noto degli strumenti
digitali, il computer, per considerare fenomeni che lo interessano in modo ravvicinato,
anzi che coinvolgono i processi interni (ad intra) per poi aprirci all’attenzione al
contesto in cui gli oggetti digitali operano (ad extra) fino alle connessioni lontane
(lavori tele).
Non mancheranno considerazioni sulle dinamiche attuali della società e sulle forme
didattiche ed educative che si rivelano potenziali modalità evolutive per i processi
educativi e formativi della società biodigitale.




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COMPUTER E DINTORNI
La componente più diffusa e forse più praticata dalla popolazione, per quel che riguarda fenomeni
collegati alla Società Biodigitale, è il Computer, l’oggetto a caratteri digitali maggiormente
riscontrabile nella vita quotidiana delle società economicamente evolute. Lo si trova, con
conformazioni variegate, allo sportello bancario e postale, alle casse dei supermarket, alle reception
degli alberghi, alle biglietterie dei treni e dei bus, nei punti di controllo delle aziende produttrici e mi
fermo perchè l’elenco risulterebbe interminabile. E’ certamente l’oggetto più ovvio e diffuso della
nostra società.
A dire il vero il mondo digitale non si configura solo nell’oggetto computer, ormai esistono
moltissimi oggetti digitali e anzi si potrebbe dire che tutti gli oggetti che abbiano un qualche
dinamismo incorporato ed espresso tendono a configurarsi come oggetti digitali.
Solo gli oggetti arcaici di tipo statico, che provengono dalla lontana tradizione paleolitica o neolitica,
sono meno influenzati dal digitale: i vasi, i tavoli, le sedie, i contenitori semplici, ma anche gli oggetti
a lontana tradizione non appena assumano una qualche funzione dinamica e impieghino energia per
ottenere un risultato poco o tanto sentono l’attrazione di dotarsi di circuiti integrati che li
programmino e da qualche parte appare una pulsantiera e un display, ossia dei dispositivi per
immettere informazione e comandi e un luogo che visualizzi i risultati e dica come sta interagendo
l’oggetto digitale. Un oggetto digitale si configura come un oggetto dialogante con il suo utente.
Sono digitali il visore con cui la cassiera legge il codice a barre di un prodotto, le lavatrici che
eseguono programmi digitali, i cellulari che svolgono un ruolo quotidiano pervasivo, i lettori di Cd
musicali, gran parte dei meccanismi di un’auto, gli impianti di monitoraggio di varie reti
tecnologiche, la quasi totalità delle strumentazioni mediche e diagnostiche, le macchine fotografiche e
videocamere digitali, … e mi fermo perché l’elenco sarebbe sterminato anche nel caso di oggetti
digitali non omologabili alla forma del computer.
Gli oggetti digitali non eseguono soltanto operazioni meccaniche o standardizzate, in realtà fanno da
supporto a diversi stili di vita, entrano non solo nella vita pratica, ma anche nell’esercizio di attività
immaginarie, simboliche e culturali. Il mondo delle immagini, dei suoni, della musica, delle scritture
sempre più fa i conti e si impasta con il mondo digitale.
Allora non si può promuovere cultura e assetti sociali evoluti senza avere nei confronti del digitale un
atteggiamento, attento, informato, non solo strumentale ma culturale. E alla fine creativo, elaborativo,
aperto alla dimensione progettuale.

C’è ancora una cospicua parte della popolazione che è nata e vissuta in tempi non digitali. Essa
mantiene atteggiamenti industriali e in non pochi casi addirittura agrario-artigianali (per cui coltiva il
mito del fatto a mano e con tecniche antiche) coltivando la certezza che i prodotti di questo tipo siano
automaticamente migliori e rivela un atteggiamento di fondo che esprime diffidenza se non
opposizione al contemporaneo in maniera totale e acritica.
Dall’altro lato esistono generazioni (almeno tutte quelle nate dopo la fine degli anni 70) che sono
vissute solo in un mondo fatto di prevalenti oggetti digitali che riguardano l’insime della vita
quotidiana, gli accessori, gli strumenti di informazione, ricreazione, l’impiantistica dei servizi, del
commercio, del lavoro, dei trasporti. Per costoro il problema digitale non si pone, per loro digitale e
naturale si equivalgono. Quando si trovano davanti un dispositivo digitale, anche se non lo
conoscono, lo trattano familiarmente, perché sanno che lo si può smanettare e che smanettando
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succede qualcosa e che quel qualcosa che accade apre la possibilità di scorgere alcuni indizi che
conducono a capire come funziona, a che cosa serve e quali dotazioni interne nascoste possegga. Tutti
gli oggetti digitali, prima o poi, rispondo positivamente alle ‘domande smanettanti’
Esistono poi le generazioni di mezzo che sono nate industriali e si sono trovate dentro la transizione
digitale: questi hanno un atteggiamento ambiguo: capiscono che ormai il contesto è mutato ma per
taluni si può continuare ad esercitare le precedenti procedure, altri si aggiornano ed entrano
consapevolmente nelle nuove possibilità, altri vi entrano solo per gli aspetti che risultano
irrinunciabili.
Oppositori radicali, tiepidi e digitali selvaggi costituiscono la stragrande maggioranza della
popolazione. Ma una forma sociale non si evolve con un coacervo di contraddizioni, ambiguità o
adesioni acritiche. La società biodigitale ha al proprio interno un forte gap di consapevolezza e
competenza digitale (tralasciamo poi la questione biotecnologica dove tutto è assai più arretrato e
incolto).

Il presente lavoro cercherà di indicare delle linee modeste per sviluppare cultura, apprendimento,
socializzazione e rapporto ambientale a partire dall’oggetto simbolo del digitale, l’oggetto anche più
tradizionale, e cioè il Computer. Ci si occuperà infatti di attività relative a Computer e dintorni.


LAVORARE DENTRO IL COMPUTER
la solitudine da computer
In un primo momento ci occuperemo del computer come se fosse un oggetto isolato con cui una
persona entra in rapporto e mentre lavora con esso produce delle trasformazioni e dei lavori dentro
il computer. Questo lavoro limitatamente al il computer, cercando di ottenere dei risultati
riscontrabili solo in relazione al computer, li chiameremo lavori ad intra.

Per lavori ad intra si intendono le attività che si svolgono esclusivamente attorno e in relazione
diretta ad un computer e non inducono ad attività esterne. La spazialità che viene gestita è
prevalentemente concentrata tra
     -    la faccia del computerante
     -    il monitor del computer
     -    la tastiera e le mani del computerante
Avvengono in un luogo e in stretta connessione con i dispositivi hard di tipo digitale.
Talvolta l’operatore che agisce con dispositivi digitali ignora la dimensione addirittura del driver e del
microprocessore.
Sono attività in genere che presentano un tasso di produzione individualizzata e poco socializzata.
L’attività si può tradurre in un’interazione stretta persona/macchina, “girando le spalle al mondo”.
Letteralmente. E’ il momento in cui non vi è una precisa relazionalità che invece può manifestarsi
- o per via telematica
- o con socializzazione dei prodotti mediante periferiche che
        - visualizzano
        - sonorizzano i prodotti in modo che questi possano essere fruiti da un numero
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          tendenzialmente ampio di persone.
Alcune attività sembrano rientrare normalmente nelle categorie gutenberghiane di produzione
tecnologica di:
    - prodotti alfanumerici (scritte alfabetiche e numeriche)
    - immagini riprodotte
    - tabelle numeriche stampate
    - rappresentazioni dati stampati
    - ecc.
    mediati dal microprocessore e dai circuiti integrati.

     Tali processi possono essere vissuti riducendoli ad epifenomeni di innesco come:
                     l’accesso C
                     la bocca di collocamento floppy
                     il cd rimovibile
     - momentaneamente le periferiche base sottoelencate possono rimanere in subcoscienza: in
         quanto finché si lavora su tastiera e monitor tutto rimane interno al computer. La
         materializzazione cartacea o visiva dell’attività con i bits si traduce quando si mettono in
         moto:
                     stampante
                     il plotter
                     videoproiettore ( ma in forma molto subalterna)

Talora qualcuno può coltivare la convinzione che quanto compare su un monitor di computer non sia
altro che la configurazione digitale di insieme di prodotti altrimenti visibili in configurazione cartacea
gutenberghiana. Rispetto a quest’ultima cambierebbe solo il supporto: in confronto ai caratteri
mobili si manifesterebbe soltanto una traduzione in pixel e byte.

Tale appiattimento degli eventi digitali con una riconduzione ripetuta e quasi fotocopiante delle
procedure gutenberghiane, è un approccio molto deviante e comporta un uso improprio delle
possibilità digitali anche per processi che rientrano nella grande tradizione della scrittura e del
disegno.
Scrivere e disegnare digitalmente significa entrare nel mondo specifico dell’ICONOLESE.



ICONOLESE: LE PROSPETTIVE
Le generazioni biodigitali sono fortemente orientate all’uso e alla comprensione delle icone, per la
ricorrente frequentazione di comunicazioni che non poggiano sull’alfanumerico ma su caratteri
ideografici.
I caratteri ideografici sono ancor più caratterizzati perchè non sono quelli classici ed arcaici, ma
costituiscono caratteri ideografici digitali.
Scrittura - La questione della scrittura ha posto alla nostra specie notevoli problemi di gestione
della difformità:
- la voce è un fatto sonoro
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- un segno è un fatto visivo
- i segni e i suoni sono fatti materiali, ossia si presentano nell’ambiente fisico, pur avendo una
  conformazione materiale differenziata
- i processi mentali sono immateriali, ossia non rivelano la loro matrice o supporto materico che non
appare anche perché sta oltre la soglia della percezione, avvengono a livello neuronale e di cellule-
molecole cerebrali.

La scrittura è una straordinaria opzione tecnologica che ha tentato di fondere voce-segno-processo
mentale. Le vie seguite sono state molteplici, ma possono essere ricondotte a due grandi linee:
1 - segni che rappresentano - figurano processi mentali senza riferirsi al suono della voce,
    anche se per convenzione si traducono in articolazioni foniche.
                           • La via più antica si è espressa in pittogrammi, ossia rappresentazioni
                               grafiche che tendono a raffigurare qualcosa di reale presente nel
                               mondo fisico e percepibile con la vista. Un ‘disegno di un albero’ è
                               l’idea di albero semplificata e sollecita e induce a pronunciare il
                               ‘suono’ albero.
                           • Un processo più complesso sta nell’ideogramma: una percezione e
                               ancor più un nucleo di processi mentali vengono rappresentati da un
                               segno che non ha alcun collegamento con l’evento fonico e anche con
                               l’elemento visivo, è di fatto un simbolo, ossia un evento sintetico che
                               sta al posto di qualcos’altro di più complesso e difficilmente
                               comunicabile. Tale segno è però in grado di restituire il processo
                               anche nelle sue parti non comunicabili. Non poche volte un
                               ideogramma è un confluire di pittogrammi deformati al punto di aver
                               perso la loro ‘forma’ che faceva riferimento ad elementi rappresentati;
                               questi hanno assunto conformazione di segni astratti, ossia tratti oltre
                               il riferimento al reale fisico. La scrittura sumera, egiziana e la cinese
                               appartengono a questa opzione.


      2 - segni che rappresentano arbitrariamente singoli frammenti di suoni riproducibili con
           la voce.
         Alcuni gruppi sociali afferenti ad una determinata cultura scelgono un numero limitato di
         segni-suono che ritengono in grado di riprodurre l’intera gamma fonica della loro fonazione.
         Componendo i vari segni è possibile ottenere una versione visiva di un prodotto-processo
         fonico. I segni prescindono dal riferimento al mondo rappresentato visivo, sono segni visivi a
         sola funzione fonica.
         I sistemi alfanumerici appartengono a questa funzione-finzione culturale e per millenni sono
         stati supporto comunicativo di primaria importanza. Avevano un limite evidente nella natura
         intrinseca delle lingue: le lingue sono reciprocamente incomunicabili perché sono spesso
         incompatibili a causa di una radicale differenza fra loro di tipo non comparativo per gamma
         fonica e di organizzazione di significati. Finché il mondo è stato relativamente separato e alle


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          differenti aree geografiche corrispondevano delle lingue determinate, il sistema fonico ha
          funzionato abbastanza.
          Chi entrava in un’area geografica doveva congiuntamente dotarsi di sistemi comunicativi
          propri di quell’area geografica specifica in cui si immetteva, accedendo alla comprensione
          della lingua e dei segni fonici che la esprimevano.
          Oggi il massiccio fenomeno della globalizzazione o mondializzazione pone seri problemi di
          scelta tra le due strategie fondamentali:
     -    Fonizzazione linguistica
     -    simbolizzazione fonica e comportamentale

     Entrambi tendono ad esprimere una propria via:
     - la fonizzazione unificata sta configurandosi come anglese, ossia un inglese semplificato e
        meticciato utilizzabile come lingua veicolare in tutto il mondo. (questa enorme convergenza
        pone però problemi di egemonia culturale giustamente non sempre ben accettati)
     - l’iconolese, ossia un insieme di segni comprensibili in contesto intralinguistico e
        tendenzialmente internazionale. Ciò risulta particolarmente efficace perché la pluralità delle
        lingue non è presente solo mediante la distinzione geografica (pluralismo linguistico
        corrispondente al pluralismo geografico), ma è presente anche all’interno di aree geografiche
        un tempo identitarie, nelle quali ora si parlano più lingue perché in uno stesso spazio
        geografico si incontrano e vivono più gruppi linguistici, per cui il ricorso a segni comuni fa
        manifestare una comunanza comunicativa senza raggiungere una vera comunanza linguistica.

Il mondo digitale è un tipico punto di convergenza delle problematiche della mondializzazione e
quindi si caratterizza per l’emergere di entrambi i fenomeni
    - l’anglese permette di partecipare al villaggio globale e accedere alle ‘istruzioni comuni’ anche
        e soprattutto in rete
    - l’iconolese permette di partecipare ad un lessico segnico universale in grado di suggerire i
        principali comportamenti o unità di comportamento da effettuare in presenza di dispositivi
        digitali. L’iconolese ha come luogo di manifestazione i monitor e i display. Esso non solo
        poggia su un numero rilevante di icone internazionalmente condivise, ma anche induce un
        atteggiamento mentale e conoscitivo che porta all’iconopoiesi, ossia alla produzione di icone
        che traducano processi cognitivi e mentali complessi, contenuti in segni sintetici che li
        esprimono. Ogni afferente all’iconolese è pertanto tendenzialmente un produttore di neoicone
        e un utilizzatore di icone precostituite e largamente condivise.
        Il rischio dell’iconolese è similare ai problemi del cinese che con 40 mila ideogrammi rende
        difficile l’accesso alla comunicazione per persone non acculturate in forme elaborate
        richiedenti una complessa formazione anche a base manuale e mnemonica, per cui in tali
        contesti si pone la questione dell’iconolese semplificato.
        Gli ideogrammi cinesi, ad esempio, hanno introdotto in varie fasi storiche, alcune forme di
        semplificazione, individuando di volta in volta dei radicali, attualmente sono 227 (ma sono
        stati anche 540); essi costituiscono segni-chiave di lettura che aiutano ad aggregare alcuni
        ideogrammi secondo grandi comunanze di significato e permettono di ricorrere ad elementi
        primari per la composizione di segni composti.

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         L’iconolese sta divenendo una grande lingua ideogrammatica della società digitale che ha
         bisogno di una educazione specifica
     - alla composizione,
     - all’uso consapevole
     - a criteri di semplificazione, probabilmente con strategie non dissimili a quelle usate dai
         cinesi con i radicali.
     Abbiamo bisogno che quanti educano al digitale siano consapevoli dell’esistenza di questioni
     rilevanti
     - nel riconoscimento delle icone base,
     - nei comportamenti impliciti e connessi con l’apparire di una icona (consapevolezza dell’atto
         di cliccarla o no e delle sequenze di altri cliccaggi conseguenti ad un primo cliccaggio)
     - nella possibilità di produrre icone facendo distinzione tra
      icone descrittive (in un testo digitale forniscono elementi di conoscenza e operatività
         provenienti dall’uso simbolico di una o più immagini trattate come simboli)
      icone comportamentali: inducono, mediante una operatività su di esse, alcune conseguenze
         pragmatiche ed operative, ossia inferiscono cambiamenti procedurali in conseguenza dell’uso
         di icone pragmatiche (es. ampliano, riducono, ordinano, sequenziano, avvicinano, distanziano,
         separano, connettono, eliminano, integrano, includono, escludono, ossia fanno una serie ampia
         di operazioni collegate all’idea di contenitore digitale e connettore digitale)



LAVORARE DENTRO IN ATTESA DI PRODURRE
EFFETTI FUORI
(computercentrici + mediatori)

I lavori ad intra costituiscono quelle attività che si esplicano all’interno di un ambiente digitale, senza
che vi siano significativi processi di trasmissione a distanza mediante l’uso di dispositivi telefonici
mediati da modem o similari.
I lavori ad intra (oggetti digitali costruiti digitalmente agendo con un infoggetto circoscritto, per lo
più un Personal computer o telefonia mobile):
- sono computercentrici (nascono e potrebbero restare dentro il computer)
- realizzano prodotti specifici:
        - computergrafica
        - videoscrittura
        - rappresentazione dati
        - animazione
        - tabelle

Computergrafica
E’ determinante nello sviluppo dell’iconolese, in quanto è strumento per produrre icone e mondo
rappresentativo digitale. Costituisce la via contemporanea per lo sviluppo del disegno tradizionale.

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Esistono ovviamente strumenti digitali molto professionali che consentono di gestire rappresentazioni
complesse di tipo bi e tri dimensionale e in genere 2D e 3D ( CAD con la possibile interfaccia CAM
[Computer Aieded manifacturing] fino alla configurazione CAE – Computer Aided Engineering che
supporta congiuntamente la valutazione dell’assetto di base dell’oggetto digitale riferito all’ambiente
di collocazione, consentendo di esperire la dimensione del laboratorio digitale di collaudo).
Mentre queste nozioni e prospettive devono essere conosciute dagli educatori digitali come loro
orizzonte culturale di riferimento, molto meno si deve richiedere per gli allievi digitali dei primi
livelli, ma non per questo vanno suggerite esperienze banali.
E’ bene che gli strumenti siano semplici, i processi invece opportunamente possono risultare
significativi ed elaborati, anche se ci riferisce a semplici Paint e Disegno di Word.
Alcune esperienze vanno a fondare competenze di base. Come:

Produzione di figure base:
      • rettangolo
      • quadrato
      • ellisse
      • cerchio

Uso di forme in modo consapevole:
        • linea
        • curva
        • figura chiusa libera
        • disegno libero
Inoltre va reso essere possibile l’intervento in tali assetti con la modalità ampia di “Modifica”. In
particolare con le procedure:
        • modifica punti che permette di ‘plasmare’ i primi abbozzi di figura
        • ruota o capovolgi che interviene a modificare un’ortogonalità troppo rigida o non
            rispondente alla volontà del compositore
        • ordina che consente di gestire in modo articolato i piani di rappresentazioni e i rapporti
            figura-sfondo.
La computergrafica è idonea ad introdurre un modo di pensare visivo:
        • esiste lo schizzo digitale che è forma primaria per abbozzare un’idea visiva.
        • lo schizzo non ha caratteri definitivi, ma introduce al pensiero visivo per
            approssimazione:
        • alcune idee affiorano nella mente, si ha l’impressione che siano dei buoni apripista, ma si
            coglie quasi subito che sono molto indefiniti.
        • La traduzione tra immagine mentale e primo abbozzo dello schizzo digitale, dà modo di
            entrare in una logica laboratoriale per approssimazione: l’immagine reale che compare
            sul monitor o display difficilmente soddisfa le aspettative che sembrano promettere
            l’immagine mentale. L’esperienza è quella della immagine tradita. Ma in realtà non è
            solo un tra-dimento, è anche una tra-duzione.


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          •    La tra-duzione è condurre oltre e altrove una certa realtà configurabile in un determinato
               spazio, tempo e senso per ricollocarla in altro spazio, tempo, con il tentativo di
               salvaguardare alcune costanti riconosciute come irrinunciabili.
          •    Il tra-dimento (da tradere) è l’atto del consegnare oltre, non rispettando i limiti dello
               spazio, del tempo e dell’identità. Tra l’immagine mentale e la rappresentazione
               digitale c’è sempre uno scarto, un qualcosa che non corrisponde e che si rivela o
               inadeguato o incompleto.
          •    L’immagine che compare è allora un’offerta per capire dove e in che cosa sta lo scarto e il
               tradimento e indurre ad azioni di modifica. Ma pensare la modifica significa produrre
               un’altra immagine mentale che pressoché mai è quella originaria, è una immagine nuova,
               con una definizione che si confronta con una immagine già esistente e ‘reale’ comparsa
               sul monitor. L’immagine mentale di fatto nuova è un’immagine dialogante, perché si
               confronta con l’immagine del monitor e quella mentale modificata e si pone come punto
               di riferimento per una nuova verifica di adeguamento.
          •    L’intervento che si fa sull’immagine digitale è una traduzione dell’immagine dialogante
               con tentativo di renderla adeguata mediante procedure di modifica. Ancora una volta si
               avranno esperienze di tra-duzione / tra-dimento in un processo che andrà avanti finché chi
               opera non troverà soddisfacente il risultato tra il prodotto digitale e l’immagine mentale
               che gli conferisce. Oppure potrà accadere che (e molto facilmente) si accontenti perché è
               abbastanza quello che voleva, è un’immagine tra-dita, ma non troppo.
          •    Il processo si interrompe secondo una valutazione di approssimazione soddisfacente
          •    Nel disegno digitale ovviamente c’è il corrispondente della gomma da cancellare presente
               nel disegno tradizionale (ed è il Taglia e il Cancella), ma prevale la procedura del
               Modifica, ossia della continua riprogettazione per approssimazione.
          •    Per saper condurre avanti questi processi gli allievi digitali è bene siano in grado di gestire
               processi congiunti di Sintesi (le immagini mentali) e di Analisi (i punti in cui l’immagine
               digitale tra-disce troppo) e su cui analiticamente bisogna intervenire per avvicinarsi ad
               una tra-duzione più accettabile.



LA VIDEOSCRITTURA
L’alfanumerico nel digitale è apparentemente una tra-duzione dell’alfanumerico gutenberghiano in
ambiente digitale.
Non si può negare che vi sono molte persone ‘digitali apparenti’ che sono di fatto dei clandestini
gutenberghiani dentro il digitale che si comportano da gutenberghiani dentro il digitale.
Il digitale non presenta dei caratteri mobili in forma di bits, in realtà anche l’alfanumerico nel digitale
appartiene all’iconolese. La scrittura in digitale è una forma d’uso di icone.
Ciò appare chiaro se spostiamo l’attenzione ai font.

Il Font è un insieme di caratteri tipografici offerto nella dotazione di un programma digitale di
videoscrittura. Mediante facili opzioni è dato attribuire
       • un corpo tipografico più o meno grande,
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         • un tipo grafico molto diversificato,
         • una conformazione in corsivo, grassetto, ombreggiato, contornato, colorato, ecc.
Non si deve pensare che questi siano solo caratteri diversi, bensì una notevole possibilità che la
scrittura digitale consente di gestire per dare ai testi un significato che va ben oltre le parole, infatti è
l’assetto visivo stesso che comunica la natura del messaggio.
Un testo scientifico difficilmente si apparenta interamente ad un corsivo che simuli la scrittura a mano
molto calligrafica, un testo di fantascienza può essere rafforzato da un carattere decisamente
innovativo, un testo triste di solito non può connettersi ad un carattere giocoso ed ironico.
Risulta pertanto interessante offrire alle generazione biodigitali la consapevolezza della scrittura come
esercizio di iconolese non solo di composizione

Nanoambiente e disvelamento della miniaturizzazione del pixel
Il dispositivo zoom, o meglio “ingrandisci e rimpicciolisci“ (CTRL+MAIUSC+</>) consente di
ridurre/decrescere in modo limite fino a criptare e miniaturizzare un testo e renderlo non percepibile e
leggibile.
E’ così possibile offrire esperienze elementari di nanoambiente per cui un’icona può essere prodotta, ma
anche essere trattata in modo che non sia visibile.
Al contrario un’immagine o porzione di immagine può essere ingrandita in modo abnorme fino a perderne
non solo la percezione del contorno, ma anche fino a giungere alla visione di ‘cosa’ siano fatte le immagini
digitali e cioè di pixel, elementi mosaicati a minutissime superfici geometrizzate.
Fare queste esperienze non solo attiva la consapevolezza di quanto sia possibile giocare ed estendere la
gamma ‘deformativa’ della composizione digitale andando ben oltre il range stabilizzato per ottenere una
‘visualizzazione normale’, ma anche diventa utile per svelare il ‘mistero’ (almeno in parte) delle operazioni
digitali e capire che esse sono comprese dentro alcuni limiti minimi e massimi e che questi determinano la
natura dei risultati.
In ogni caso rendere molto chiaro l’assetto di un aspetto del nanoambiente è utile per portare gli allievi
biodigitali a prendere contatto ed avere visione con la dimensione nanometrica dell’ambiente che la società
contemporanea sta sempre più assumendo e gestendo.


I MEDIATORI
Consideriamo ora un secondo importante aspetto dei lavori ad intra, ossia quello dei prodotti che
‘potrebbero rimanere rinchiusi’ nel contenitore computer, ma in realtà sono realizzati già prefigurando
come essi possano essere palesati all’esterno mediante l’uso di periferiche per visualizzazione,
sonorizzazione ed implementazione robotizzata.
I mediatori (nascono assieme ad altri complementi del computer e poi, una volta compiuta
l’elaborazione, possono diffondersi con l’aiuto di altri supporti di interfaccia che tra-ducano bits in
atomi.
I principali mediatori sono
     le scannerizzazioni
     le elaborazioni fonico-musicali
     le programmazioni di robot


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Le scannerizzazioni sono operazioni che consentono ad immagini oppure oggetti o materiali
che possono stare sul pianale dello scanner5 di essere trasformati in foto digitali e come tali tradursi
in prodotto elaborabile ‘all’interno’ del computer. Si tratta di una tra-duzione in bits di superfici di
atomi visibili.
La scannerizzazione è processo di fondamentale competenza perché consente di captare immagini,
elaborarle in bits e conformarle in modo da poter costituire non solo materiale documentabile visivo,
ma anche costruzioni di icone.
Si tratta quindi di un processo rilevante per la gestione dell’iconolese e dell’iconopoiesi.
Le elaborazioni fonico-musicali. Plurisensorialità digitale.
Il fenomeno più interessante è la computer music.
Essa riguarda tecniche di sintesi ed elaborazione di suoni compresa la composizione ottenuta con il sostegno
dell’elaboratore.
Esistono software dedicati che consentono di elaborare suoni e musiche in modo facilitato, è molto
importante offrire alle generazioni biodigitali l’occasione di poter lavorare con la dimensione sonora
per accentuare il carattere di trattamento dei sensori: la prospettiva è che tutti canali sensoriali
possano costituire luogo di comunicazione con supporto digitale: canali visivo e uditivo sono già
ampiamente esprimibili, ma si deve prefigurare uno scenario in cui la comunicazione possa essere e
diventare molto più completa mediante l’apporto di segnali olfattivi, gustativi e tattili.
Il naso digitale è già stato messo a punto, ma non è entrato nel grande circuito. Anche il guanto tattile
e la tuta tattile sono presenti nelle esperienze laboratoriali, ma sono ancora poco adatti ad applicazioni
per il grande pubblico. Il ‘leccalecca’ digitale è concettualmente possibile, ma non è un versante
molto indagato (e forse auspicabile).
Le nuove generazioni biodigitali però non devono essere educate solo all’esistente, ma
congiuntamente alla predisposizione per scenari possibili, ipotizzabili e prevedibili.

I biodigitali non solo dovrebbero acquisire e sviluppare le antiche doti degli esploratori del mondo
fisico esistente, ma andrebbero educati criticamente ad essere esploratori del possibile e del possibile
digitale, compresa una forte capacità di valutazione preventiva dell’impatto ambientale.



LE PROGRAMMAZIONI DI ROBOT
Vi è una diffusa accezione del digitale che lo vede:
    - solo sotto forma di computer,
    - oppure pensa al digitale in forma ‘magica’ o ‘horror’ e concepisce la dimensione virtuale
       come il Maligno in una versione aggiornata e più sottilmente perversa
    - oppure concepisce il digitale capace di ‘pensieri elettronici che domineranno gli uomini e li
       sottometteranno


5
 lo scanner consente l’analisi e la riproduzione di superfici interfacciabili (foto, superfici di materiali vari, documenti
scritti, cartografie, tessuti, carte da parati, ecc.). Un fascio luminoso analizza il reperto scorrendolo per linee parallele e
prossime. Il raggio riflesso si comporta come una fotocellula che traduce il segnale luminoso in segnale elettrico
analogico. Il prodotto è equivalente ad un lettore ottico che trasforma un elemento materico in sistemi utilizzabili in
word processing compreso il trattamento di immagini.
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     -    oppure correla il digitale solo come un elaboratore di dati che sforna tabelle, diagrammi,
          relazioni tecniche, documenti scritti, insomma un supporto decisivo per un mondo che è
          diventato o sta diventando tutto un ufficio.

Un digitale distorto (specie in versione e-travet)
Il peggior modo per lavorare con il digitale è partire da una visione distorta dello stesso.
Oltre alle distorsioni appena ricordate ve n’è una di fondamentale, assai diffusa nel mondo scolastico
e formativo: il Digitale concepito come Burotica, ossia la branca informatica mirata ad attività di
ufficio.
La burotica è
          •fortemente computercentrica, nel senso che considera il computer ‘lo’ strumento di lavoro
          •ha sostituito tutto il vecchio armamentario da ufficio (penne, matite, calcolatrici, archivi,
           schedari, macchine da scrivere, squadre, righelli, gomme, evidenziatori, il desk insomma)
           con computer
       • gestisce un mondo enfaticamente cartaceo mediante i prodotti dell’interfaccia stampante
Soprattutto concepire il mondo digitale con l’egemonia del lavoro di ufficio è una modalità
fortemente irrealistica.
Il mondo digitale è semmai espresso (e molto di più) nella robotica.




ROBOTICA
La robotica (di cui faremo cenno più esplicito nei successivi lavori ad extra):
    - riguarda quel particolare tipo di macchine che prima delle applicazioni dell’elettronica ed
        informatica era definito automa, ossia macchine in grado di eseguire operazioni una volta
        messo in moto un processo programmato meccanicamente. Più propriamente erano macchine
        semoventi a procedura fissa: una volta partite eseguivano tutto il programma meccanizzato
        predisposto.
    - la robotica va ben oltre il concetto di automazione, perché introduce la pratica
        dell’interazione con l’ambiente ed infatti la sequenza:
                      informazione proveniente dal contesto ambientale
                      valutazione dei segnali recepiti
                      azione conseguente ai segnali recepiti messi in correlazione con una gamma
                         di programmi da scegliere
sono le tre caratteristiche fondamentali che distinguono un automa da un robot, che più
sinteticamente può essere definita una macchina relazionale.
Il carattere forte del digitale sta nell’essere una tecnologia trasformativa che agisce nell’ambiente
reale secondo una base di informazione di cui è precedentemente dotata e messa in connessione per
interagire con il reale.
La burotica, pur essendo una tecnologia importante, è una tecnologia che appartiene al mondo dei
linguaggi e i linguaggi producono segni e gestiscono segni. Se questi segni non diventano comandi

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tradotti in azioni nell’ambiente fisico-reale, i segni rimangono rinchiusi nel mondo semiotico e non
incidono sul reale, sono tecnologia informativa, ma non tecnologia trasformativa.
Una tecnologia raggiunge la sua pienezza quando i registri informativi si traducono in registri
operativi.
Educare le generazioni biodigitali ad appartenere consapevolmente ed attivamente alla propria
contemporaneità significa introdurli criticamente alla tecnologia trasformativa loro propria, che è una
integrazione forte di informazione digitale e operatività digitale espressa da robot, ossia macchine in
grado di gestire:
    - sensori con cui i robot ricevono informazioni esterne al loro mondo.
    - motori che eseguono movimenti automatizzati conseguenti alle informazioni dei sensori e in
         coerenza con procedure pre-programmate che prevedono una gamma categoriale di
         comportamenti correlati a certe situazioni descritte dai sensori
    - un prodotto ( o più prodotti finali) che si manifestano nell’ambiente reale in conseguenza
         dell’interazione e relazione tra sensori, motori, programmi predefiniti.

Fatta questa premessa tra i mediatori computeristici vanno inserite anche le programmazioni dei
robot6
Esse si rivelano programmazioni di comportamento elaborate all’interno di un computer o del
microprocessore, per cui vengono ipotizzate alcune situazioni rilevabili dai sensori e si correlano
quelle situazioni a determinate sequenze di movimento dei motori che inducono alcune sequenze di
azioni che hanno effetto sui sistemi di trasmissione di moto e producono, nel sistema reale, un
insieme programmato di azioni trasformative.
Tutte le operazioni che avvengono per programmare il robot sono dei mediatori, ossia azioni digitali
che si ripercuotono sull’assetto interno del computer e del microprocessore, ma non hanno alcun
effetto pratico, finché non viene allestito il collegamento del programma con il robot e non viene
posto il robot nell’assetto ambientale idoneo per far funzionare la macchina relazionale.
La programmazione del robot è quindi fondamentale, ma non è ancora una vera tecnologia
trasformativa, essa è un medium o meglio un mediatore perché il processo trasformativo avvenga.
Quando si avrà al completo la macchina relazionale – robot ( ossia programma – sensori – motori –
sistemi di trasmissione – relazione con l’ambiente reale), solo allora si sarà in presenza di un vero
robot e non di un robot potenziale.

Però proprio dal contesto reale si potrà distinguere la differenza tra
6

         La Lego ha predisposto dei robot lego, dotati di un microprocessore che si interfaccia con un computer per la
programmazione dei comportamenti, l’impianto digitale è anche dotato di sensori (in grado di percepire delle
differenze ambientali – es. chiaro-scuro, sgombro - barrierato, piano sonoro costante – apparire di una variabile sonora,
secco-umido, ecc. [ma in futuro sono ipotizzabili altre variabili ambientali recepibili con differenti sensori].
         Le informazioni recepite dai sensori possono essere correlate a dei motori per in quali si possono programmare
dei comportamenti, ossia rotazioni, moto lineare, moto misto lineare- ruotato e viceversa, arresti di una certa durata e
ripartenze sempre di una durata stabilita, andamenti circolari iterati anche questi con una durata o indeterminati fino al
sopraggiungere di un diverso segnale da un sensore, ecc.)
         I motori sono collegati ad alcuni sistemi di trasmissione di moto (ruote, rulli, nastri a scorrimento, bracci e
leve mobili) sono questi ad interfacciare il mondo reale inducendo delle trasformazioni o comunque delle azioni. E’ in
questo che si riconoscono nella robotica i caratteri della Tecnologia della Trasformazione.
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     -  la valutazione del robot che valuta gli stimoli ambientali secondo quanto programmato e fa
        succedere le azioni conseguenti all’apparire di segnali dei sensori
    - e la valutazione del valutatore (che è bene sia l’allievo o l’insegnante in cooperazione con
        l’allievo o più allievi cooperanti)
La valutazione del valutatore stabilisce se il comportamento del robot :
    - procede secondo quanto programmato
    - mostra delle inadeguatezze non previste nell’impatto con il reale
    - predispone scenari diversi perché preavverte che l’ambiente reale possa avere più scenari
    - considera l’opportunità di riprogrammare il sistema robot per adeguarlo a nuove situazioni
        concrete che si sono affacciate rispetto a nuovi esisti che si vogliono ottenere.
La programmazione del robot come mediatore quindi non è mai definitiva e può essere sempre
riprogrammata, ma il livello della produzione del mediatore (anche se non è ancora azione in contesto
reale) attiva una funzione-abilità fondamentale per le generazioni biodigitali: la capacità di
prefigurare e pre-vedere il comportamento del robot nell’ambiente reale. Questa abilità rientra in
una metacompetenza generale delle generazioni biodigitali che è il saper far fare.

Il lavoro sui mediatori è pertanto importante perché attiva operazioni tipiche del digitale che si
possono etichettare come simulazioni, esse non sono confondibili con le finzioni che inseguono un
contesto a-reale, ma sono prodotti predefiniti per avere efficacia sul reale effettivo, sono pertanto
prodotti pre-reali.
In questo senso i mediatori di programmazione dei robot appartengono al grande alveo della cultura
della progettazione.
Educare alla robotica implica pertanto una fase rilevante di educazione
     - al pre-reale,
     - alla progettazione
     - alla simulazione
     - all’azione differita
     - alla tele-azione o al telelavoro.
Lavorare con i mediatori robotici significa educare al tempo e spazio dell’azione digitale.
Essa è spesso
- differita
- e dislocata.
Educare al differimento e dislocazione è altro aspetto importante dei Robotanti.



LAVORI AD EXTRA
Il discorso appena fatto sui mediatori robotici ha già fatto delineare l’orizzonte più vero e pieno del
digitale che riguarda l’azione delle macchine relazionali nel mondo reale.
Solo che le macchine relazionali sono in grado di agire e lavorare
    - non solo in luoghi reali dove anche gli ecoidi umani sono in grado di svolgere loro azioni
        trasformative dirette,
    - ma i robot ancor più e meglio lavorano in luoghi non poche volte inaccessibili agli ecoumani
        o accessibili solo a condizione di alto rischio.
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Basta citare alcune condizioni e diventa subito chiaro il quadro di accesso al reale dei robot:
    - le missioni spaziali robotizzate hanno già prodotto numerose azioni telelavoranti
       nell’elio spazio7
    - le ricerche oceaniche sottomarine con prelievo di campioni, la posatura di cavi ed
       impianti
    - le operazioni di esplorazione dentro condotte o luoghi inaccessibili
    - i lavori robotizzati di ricerca negli strati geologici profondi
    - le azioni robotizzate di riparazioni satellitari nei pressi del confine atmosferico
    - le azioni in ambienti tossici e radianti
    - le azioni su cellule per ricerca e microchirurgia e biotecnologia
    - le azioni di nanorobot sulla struttura dei materiali
    - ecc.
E’ chiaro allora che il ‘mondo reale’ dei robot riguarda.
    - il mondo esogeo (dell’elio spazio e galattico)
    - il mondo atmosferico
    - il mondo perigeo
    - il mondo endogeo ed endomarino
    - il mondo invalicabile all’umano per rischio
    - il mondo del nanoambiente
E’ palese allora che la robotica ha una prospettiva di lavoro nel mondo reale addirittura più vasta del
mondo reale possibile per l’uomo. Potremmo parlare di un mondo reale transumano.

In questo mondo reale transumano cambiano le potenzialità degli ecoidi umani ed è una prospettiva a
cui vanno educate le nuove generazioni biodigitali con linguaggi e procedure semplici, ma non
dissonanti rispetto agli scenari in precedenza richiamati.
La prospettiva del mondo reale transumano interessa fortemente i lavori ad extra: essi operano
mediante oggetti digitali che producono effetti su periferiche, ossia trasduttori da bits ad atomi, con
rientro nella dimensione materiale. I più ovvi sono :
    • robots (di cui abbiamo già fatto cenno e che costituiscono la categoria generale delle
        macchine relazionali in grado di gestire la sequenza informazione-valutazione – azione)
    • stampanti (sono forme robotiche molto diffuse e relativamente semplici. Poichè sono molto
        usate e traducono dati alfanumerici e grafici, le si connette al mondo della burotica, in realtà le
        stampanti sono automi-robot che si interfacciano con computer ed elaborano informazioni
        espresse in bits trasformandole in prodotti materiali riportati sulla materia carta mediante un
        uso programmato di inchiostri. Agiscono sull’ambiente solo quando alcuni sensori non

7
 Tra le missioni spaziali robotizzare è forse opportuno ricordare il Mars Pathfinder del 1997. Esso “ha trasportato fino
a Marte una sonda di atterraggio e una Rover capace di viaggiare sulla sua superficie. L’atterraggio è avvenuto con
successo nel luglio del 1997. La Rover a sei ruote, chiamata Soujourner, ha esplorato l’area vicina al Lander [struttura
che ha permesso l’assuolaggio]. L’obiettivo primario della missione è stato il dimostrare la fattibilità di un atterraggio a
basso costo sul ruolo marziano. Nel 2005 è previsto che il Mars Surveor con quella missione raccolga con la Rover
robotizzata campioni di suolo di Marte e li riporti sulla Terra”
         si veda
         D.BEDINI Breve storia della conquista dello Spazio
         1998, Milano, Bompiani
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       completamente automatici (per lo più) segnalano che l’assetto dell’ambiente è idoneo alle
       operazioni concrete di stampa: ordine di stampa con adeguate impostazioni di pagina,
       stampante accesa, fotocellule o sensori che rivelano l’esistenza della carta e della cartuccia
       appropriata a stendere inchiostri o condurre operazioni laser.)
       E’ assolutamente importante mostrare la modesta ma reale natura robotica delle stampanti
       perchè la connessione bits-atomi ossia digitale-reale è operante in una delle periferiche più
       semplici e diffuse.
       Quando poi parleremo dei lavori tele, le e-mail e la posta elettronica in genere, metteremo in
       evidenza la natura robotica a distanza dei prodotti digitali che ‘agiscono’ in un computer,
       inducono trasformazione in un computer lontano, il materiale digitale teletrasportato (se
       opportunamente predisposto e interfacciato con un robot stampante) traduce i bit teleinviati in
       atomi reali riscontrabili su carta e altro supporto mediante dei traccianti materiali.
     • Videoproiezioni
       Anche il videoproiettore è una periferica che può interfacciarsi con il computer. Esso
       consente di proiettare su uno schermo (anche di discrete dimensioni) il prodotto visivo che
       compare sul monitor di un computer. In tal modo è possibile mostrare a un numero di persone,
       anche considerevole, un prodotto già confezionato e compreso in un file, oppure fare delle
       operazioni per mostrare direttamente gli esiti mentre questi si realizzano. L’azione è di tipo
       dislocato, perché viene elaborata nel computer e i risultati visibili si colgono in un punto non
       prossimo (anche in stanze e luoghi non vicini). Anzi nel caso delle videoconferenze la
       dislocazione ha effetti particolarmente dislocati.
       Il videoproiettore è dispositivo robotico di tipo visivo ( o meglio automa digitale come
       preciseremo più sotto), esso consente che alcune operazioni visibili avvengano in automatico,
       una volta garantite alcune condizioni ambientali (la connessione del dispositivo con il
       computer e la sua compatibilità; la ricezione del segnale, la messa in connessione di un file
       elaborato allo scopo, una certa condizione di luminosità del contesto ambientale)
       Un prodotto digitale può essere governato a distanza mediante i cursori della tastiera o
       telecomandi, ma i caratteri di robotizzazione si hanno in modo un po’ più particolare quando il
       prodotto digitale è dotato esso stesso di un processo automatico interno, mediante l’uso di
       animazioni.
       Le forme più ricorrenti di presentazioni di file con animazioni si hanno con prodotti tratti da
       Power Point e similari.
     • Plotter
       E’ una mega stampante che consente di realizzare disegni tecnici anche di grandi dimensioni,
       permettendo operazioni di ingrandimento o riduzione di scala ricorrendo a meccanismi di tipo
       pantografato dagli effetti dimensionali particolarmente rilevanti..
     • Stereolitografia
       La stereolitografia è più propriamente un dispositivo robotico in quanto implica l’uso di
       periferiche che realizzano prodotti materici tridimensionali. La stereolitografia consente di
       introdurre delle trasformazioni percepibili nell’ambiente reale.
       La stereolitografia, da un progetto digitale composto in modo compatibile con le periferiche
       stereolitografiche, traduce le informazioni digitali in comandi operanti su alcuni bracci che

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          distribuiscono resine o altri materiali fluidi a strati sottili, secondo una forma a sezione
          predisposta dal programma digitale.
          La sovrapposizione di molti strati di resina, o altro materiale plastico che poi si solidifica,
          consente di realizzare prototipi, modelli, plastici, proto-oggetti sperimentali, ecc.
          La stereolitografia non è che una forma particolare di sistema CAD-CAM.
          Questo livello (stereolitografia e CAD-CAM) è molto elaborato e costoso ed è difficilmente
          agibile all’interno della scuola, ma è bene che gli allievi siano in grado di vederlo in azione in
          aziende specializzate e in centri di ricerca.
          Tali tecnologie richiedono software applicativi in grado di favorire la progettazione e la
          successiva realizzazione in vari campi lavorativi (oggettistica di design, produzione
          meccanica, costruzioni, edilizia, ecc.). Le macchine utensili sono i robot che implementano la
          progettazione digitalizzata.
          ecc.

Se si è voluto insistere sugli elementi strutturali che fanno delle periferiche dei robot, lo si è fatto per
insistere su un concetto di Tecnologia Digitale Integrata (ossia Tecnologia dell’Informazione +
Tecnologia della Trasformazione), ma sarebbe più preciso dire che sono dei robot incompleti perché
interagiscono in maniera molto blanda con l’ambiente circostante, in quanto dotati di sensori poco
duttili.
In questo senso ristretto è più esatto definirli automi digitali piuttosto che Robot dotati di un livello
elevato di interazione.
Potremmo anche definirli Robot a ricaduta operativa chiusa in quanto non sono in grado di cogliere
dall’ambiente esterno informazioni differenziate rispetto alle quali cambiare le risposte operative tra
una gamma di possibilità correlate alla natura dell’informazioni ricevute dai sensori.
I Robot in senso stretto sono invece dotati di sensori a gamma larga e in questo senso sono Robot con
una identità maggiormente aperta.




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LAVORI TELE
Il mondo digitale di massa ha conosciuto un profondo cambiamento quando per un gran numero di
persone si aperta la possibilità di lavoro in rete, potendo produrre e inviare prodotti digitali a distanza.
E’ un fenomeno che si è conclamato nei grandi numeri tra il 1993 e il 1994 con il consolidarsi di
Internet e WEB.

L’attività in rete che permette di gestire trasformazioni e prodotti a distanza configura le
caratteristiche della tipologia catalogabile come lavori tele.
Essi sono oggetti o processi digitali operanti in dimensioni spaziali e temporali non isocrone e
isoestese, insomma veicolano non in vicinanza dei produttori e dei recettori, anzi consentono la messa
in relazione prescindendo dalle grandi lontananze e in genere dilatano la dimensione spaziotemporale
con cui si lavora.
I lavori tele si appoggiano a contenitori digitali che accolgono materiali provenienti da altrove e
permettono ai recettori di ‘scaricare’ i materiali inviati o visualizzandoli o sonorizzandoli o
interfacciandoli con periferiche e robot e quindi trasferendo i bits in supporti tali da organizzare atomi
in grado di far assumere la dimensione materiale e collocata in ambiente fisico.
I contenitori digitali sono molteplici ma essenzialmente si riconducono a tre tipologie:
  1) i siti
  2) gli indirizzi di posta elettronica
  3) i motori di ricerca.

1) I siti sono luoghi digitali
in cui si trovano risorse digitalizzate di varia natura (visiva, alfanumerica, fonica, procedurale,
informativa in genere) che possono essere consultate o prelevate.
I siti sono stazioni in quanto contesti digitali a cui si può giungere mediante percorsi e indirizzi
elettronici.
Nei siti si può sostare ed effettuare una visita digitale, ma sono anche ‘luoghi’ da cui si esce per
dislocarsi digitalmente altrove. Nei siti è esplicita la natura dei viaggi digitali, transiti da una
stazione digitale ad un’altra.
Ma in una stazione digitale avviene anche spesso di trovare indicazioni per recarsi in altri siti. Nelle
stazioni digitali vi è similarità con le stazioni fisiche dove sono possibili le corrispondenze e le
coincidenze per trasferirsi in altre tratte o rotte.
Nei siti questo processo di cambio di direzionalità è rappresentato dai links: essi conducono ad altri
siti o ad altri oggetti tele.

E’ molto importante educare le generazioni biodigitali a viaggi digitali consapevoli di cui siano in
grado di
    - descrivere il processo
    - costruire una mappa telematica, ossia di organizzazione degli spazi digitali secondo una
       topologia di connessioni e relazioni.
Vanno promosse le strategie:
    - del giungere
    - della gestione del bagaglio telematico e del trasporto di materiali digitali
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     - del ripartire avendo chiara la destinazione
     - della costruzione di viaggi digitali complessi in cui vi sia attraversamento e azione in più
       stazioni digitali ossia in siti sia di tipo noto sia di ricerca.
La produzione e la strutturazione consapevole di un viaggio digitale è un tipico oggetto e prodotto
tele.

2) La posta elettronica
 è solo in parte simile alla posta materiale. Ossia non bisogna confonderla con la sola gestione delle
lettere.
Una lettera è uno scritto che transita da un luogo ad un altro mettendo in connessione un mittente con
un recettore. L’e-mail è anche questo, la sola differenza sta nel fatto che la scrittura è digitale e non
deve passare attraverso mediatori fisici come la cassetta postale, il viaggio fisico di trasporto e la
consegna del postino al destinatario. Tutte le operazioni avvengono in rete e sono gestite direttamente
dal mittente e dal destinatario dalla loro postazione elettronica.

In realtà l’e-mail presenta molte più opportunità ed è più simile ad un corriere digitale: è più
complessivamente un veicolo di trasporto digitale.
Che cosa venga trasportato è difficile dirlo, perché si potrebbe affermare che è trasportabile tutto
quello che è configurato in forma digitale e sta al di sotto dei limiti di capienza del mezzo (problema
della gestione della pesantezza). Una lettera digitale è più rappresentabile come un locomotore che
porta a destinazione un convoglio, infatti al locomotore digitale si possono attaccare tanti ‘vagoni’
diversi, mediante la procedura dell’attachment. Il limite sta nella capacità di trasporto del ‘locomotore
digitale’ che non è indefinita, ma ben delimitata. Per cui, conosciuti i limiti di capienza, si possono
programmare più viaggi digitali, fino al conseguimento dell’obiettivo di trasporto che si voleva
raggiungere.
In taluni casi si pongono problemi pratici di ‘eccedenza’ degli oggetti da trasportare. Ecco allora che è
importante educare le generazioni biodigitali a costruire gli assetti idonei al trasporto. Comprese non
solo le operazioni di ‘snellezza’, ma anche la capacità di distribuire il carico in più parti fra loro
componibili e cioè appropriate per essere riassemblate dal destinatario in contesto diverso dalle
operazioni in rete.

La posta elettronica è inoltre un organizzatore relazionale, nel senso che è un mezzo veloce per
stabilire accordi di comportamento con i comunicanti in rete:
    - fissare appuntamenti on line,
    - scandire i tempi di lavoro fuori rete,
    - concordare i lavori,
    - scambiarsi i prodotti secondo una tempistica concordata,
    - stabilire di allargare la rete degli interlocutori,
    - navigare in rete per perseguire obiettivi comuni, ecc.
I due caratteri primari di
         - veicolo di trasporto digitale
         - organizzatore relazionale


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richiedono un preciso approfondimento formativo e una pedagogia dello stare ed agire in rete
esprimendo una socialità digitale attiva.

3) I motori di ricerca
Sono strumenti di accesso alla ‘territorialità digitale’.
Appartengono ad una organizzazione che gestisce il sistema delle connessioni. A seconda della
‘forza’ dell’organizzazione e delle finalità dell’organizzazione la quantità e la tipologia delle
connessioni risulta più o meno ampia, strutturata ed articolata.
Oggi i motori di ricerca sono equiparabili alle vecchie dogane degli stati tradizionali: ossia luoghi
preposti al controllo e al permesso di passaggio di beni e persone alla frontiera di uno stato.
L’accesso ai motori di ricerca dipende da come è organizzato il ‘territorio telematico’ e cioè da come
funzionano le istituzioni che lo organizzano, fra queste le più importanti sono rappresentate dai server
e dai provider.
Essi corrispondono agli stati e alle regioni fisiche e l’intera rete costituisce il pianeta digitale.
A seconda dello “stato” in cui si entra, vi si trovano risorse, percorsi, regole a disposizione e da
valorizzare e rispettare.
I motori di ricerca sono di fatto gli uffici di informazione, gli sportelli di accesso aziendale o turistici
degli stati e regioni digitali.
Se si fanno domande giuste (e cioè chiare, brevi e mirate) e la struttura d’informazione è ben
organizzata e dotata di numerose risorse e fonti di informazione, allora essa fornirà in modo
automatizzato o robotico dei buoni indirizzi, dei preorientamenti e dei suggerimenti di percorso e
viaggio.
Alle generazioni biodigitali è corretto fornire una visione gestibile della spazialità-territorialità del
pianeta telematico, facendo percepire che ci sono ‘stati e regioni’ evoluti, stati e regioni abbozzati e
poco organizzati, siti più riconducibili al vecchio far west e sitalità8 in cui le regole sono improprie e
più vicine alla criminalità e alle mafie.

L’assetto giuridico e geodigitale non è ancora ben definito, anche se in continuo straordinario
miglioramento. Nelle procedure del caring, del farsi carico e prendere cura, esiste anche una
dimensione etica di rete, che è aspetto non indifferente e di notevole carica educativa.
Precisato in modo rapido che i lavori tele appartengono ad una organizzazione di estensioni
telematiche dotate di regole in progress, è opportuno mettere in evidenza che i lavori in rete non
stanno in opposizione o incompatibilità con i lavori ad intra effettuati nei sistemi computercentrici, né
sono privati di sostenibilità e compatibilità con i lavori ad extra.
I lavori ad intra e ad extra sono lavori a definizione variabile che in ogni momento possono
trasformarsi in lavori tele non appena, e se, si sono realizzate le condizioni della connessione in rete
ossia quando la possibilità di produrre un inserimento in un veicolo digitale on line e di produrre una
qualche forma di organizzazione relazionale telematica presentano l’assetto richiesto.


8

         con sitalità si intendono organizzazioni di spazi telematici dotati di confini, accessi, regole di
selezione-fruizione, modalità di scambio, interazione e uso di risorse, pratiche di rifiuto e barrieramento,
criteri di legittimazione, ecc.
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Molti lavori tele inglobano lavori ad intra, lavori mediatori e lavori ad extra, solo che li dislocano a
distanza e in più esplicitano alcune modalità specifiche quali:
             Il telelavoro
             La telesplorazione
             Il telerilevamento
             La telerobotizzazione
             L’interfaccia satellitare
             La videoconferenza
i lavori ad intra rivelano
            • un alto tasso di individualizzazione
            • il rischio di frammentazione arelazionalità.
Come compensazione richiedono
             una socializzazione della didattica digitale:
             la Metodologia dell’infostazione9 (computer portatile, videoproiettore, videocamera,
                sistema audio)
             l’esercizio di Didattica di team

I lavori dei mediatori richiedono la riflessione sia nella produzione ad intra sia sulla propensione
all’extra, quindi devono manifestare una apertura con potenzialità duplice
I lavori ad extra richiedono
- una forte riflessione sulla pedagogia dell’operatività biodigitale
- in cui il saper far fare è l’elemento cruciale, sapendo gestire
              la regia dei tools
              la pluricodicità e la policomunicazione
              la concertazione dei collaboranti e il team digitale
              le comunità on line
              le empatie differite e dislocate
              la robotizzazione differita e dislocata
              il sottrarsi al rischio della sindrome dello Charlot fordista di Tempi moderni: i soggetti
                 che diventano periferiche del sistema digitale



PENSIERO ZAPPING - POWER POINT




9

          L’Infostazione è un’organizzazione digitale con un assetto hard organizzato per interconnessioni e in grado
di sostenere un lavoro di team in un’aula trattata secondo una didattica multimediale e digitale. Se ne parla in modo più
articolato in un’altra scheda del presente lavoro.
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Uno dei fenomeni che caratterizzano le generazioni biodigitali è l’utenza massiccia di telecomando.10
Esso viene usato in numerosi contesti per azionare dispositivi tecnologici di varia natura. Ma quello a
cui rivolgeremo maggiore attenzione è la connessione tra telecomando e televisore. Il dispositivo nato
nel 1956 negli Usa ha cominciato ad avere una diffusione massiccia a partire dagli anni 70. Da allora
una quantità enorme di popolazione si è abituata a selezionare i programmi a distanza con un
semplice gesto e cliccaggio. Progressivamente i programmi televisivi hanno perso i caratteri della
paleotelevisione e cioè la visione continuata dopo che si è acceso il televisore, collocati su un canale
ad un’ora prestabilita. La propensione era assistere ad uno spettacolo dall’inizio alla fine. Questo
costituiva un modo gutenberghiano e lineare di guardare la televisione, perché mimava la fruizione di
un libro che va dall’introduzione alla conclusione. A rompere la propensione gutenberghiana e lineare
ci pensò la pubblicità che operò la sua incursione nei programmi non già in modo gutenberghiano (e
cioè prima o dopo uno spettacolo come avveniva e in gran parte avviene al cinema che mantiene un
impianto gutenberghiano senza interruzioni pubblicitarie durante il film [e si spera rimanga tale]).
Nella televisione invece la pubblicità fece irruzione dentro lo svolgimento di uno spettacolo. La
pubblicità non solo rese ‘naturale’ l’immissione di concrezioni estranee allo spettacolo televisivo, ma
portò alla consuetudine della fruizione non lineare dello spettacolo stesso. Trasformò insomma
l’interruzione in norma.
Paradossalmente il telecomando televisivo nacque in funzione anti pubblicitaria. Il presidente della
società Zenith, produttrice di radio e televisori, Eugene McDonald, era insofferente alla pubblicità
televisiva e per questo diede incarico all’ingegnere Adler di progettare e realizzare un dispositivo che
rendesse muta la pubblicità. Lo considerava un dispositivo transitorio perché negli anni 50 supponeva
che la pubblicità non avrebbe resistito nella televisione data la sua fastidiosità. In realtà la pubblicità
non scomparve, ma i telespettatori da allora hanno scoperto che era possibile schiodarsi facilmente da
un programma e dislocarsi in un altro programma con un semplice gesto e passare anzi da un
programma all’altro senza più avere una fruizione lineare di uno spettacolo. Il palinsesto11 (cioè la
programmazione delle sequenze degli spettacoli) non dipende più dalla sola volontà programmatrice
dei curatori di un canale televisivo, ma ogni utente può costruire un proprio palinsesto. Egli così passa
disinvoltamente da un canale all’altro, mosaicando vari spettacoli, per cui egli assiste ad un proprio
spettacolo, di cui è il regista, il ‘prodotto’ è fatto da una serie di spezzoni a cui egli attribuisce se non
del senso almeno dell’attrattività, o almeno la capacità di stimolare in modo alettante sul piano
percettivo e sensoriale.

Con questa pratica, definita anche “zapping”12 si consolida la questione del “pensiero zapping” che
andiamo a discutere.
10
   Il telecomando è un dispositivo che consente la trasmissione a distanza di comandi, usando segnali elettromagnetici,
infrarossi o ultrasuoni recepibili da un altro dispositivo tecnologico dotato di ricevitore immesso nel mezzo da
comandare. Il telecomando televisivo è nato nel 1956 ad opera di Robert Adler che denominò il dispositivo “Space
Command”. Esso consente di cambiare canale, accendere e spegnere il televisore e selezionare tante altre operazioni.
Funziona appunto ad ultrasuoni e l’atto che sia in funzione è segnalato inizialmente anche sullo schermo televisivo con
la comparsa di barrette o icone che rivelano l’operazione ain corso con comando a distanza.
11
   Palimpsestos: raschiato per scriverci ancora (palin - di nuovo – psan – raschiare) In realtà l’antico termine, traslato in
campo televisivo ha subito una reinterpretazione ed ha sssunto il senso di quadro d’insieme, prospetto e organizzazione
delle trasmissioni televisive programmate per un certo canale televisivo lungo un determinato periodo con ancoraggio
ad alcune fasce orarie predefinite. Si è così ‘raschiata’ la precedente concezione di palinsesto inteso come antico codice
di manoscritto su pergamena su cui, raschiata una precedente scrittura, viene riportato un nuovo scritto.
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La prolungata pratica del mosaicare uno spettacolo televisivo ha introdotto un nuovo stile di pensare e
gestire l’attenzione e la costruzione di sequenze. La rilevanza di questo stile si è fatta incidente perché
le persone si espongono sempre più alla visione di spettacoli televisivi e occupano in non pochi casi
parecchie ore del giorno. Tale modalità di assistere ad una comunicazione ha consolidato un pensiero
assai diverso da quello sostenuto dalla struttura dei libri, ma anche decisamente lontano dallo
svolgersi di un film. Somiglia maggiormente alla ‘oralità visiva’: infatti ha le caratteristiche
ondivaghe dei colloqui e comunicazioni orali dove i pensieri procedono spesso per associazioni e
l’interlocutore o gli interlocutori interrompono il flusso comunicativo degli altri e gestiscono
momentaneamente un proprio flusso, immettendo materiale comunicativo aggiuntivo, non sempre
coerente o congruente con il precedente.
In un colloquio e una comunicazione orale ben difficilmente si può stabilire cosa sia l’inizio, come
proceda e come vada a finire e se mai si avrà una fine voluta o razionalmente determinata. L’oralità
procede in modo discontinuo, con affermazioni, digressioni, pause, interruzioni, ripresa di un tema
laterale, immissione improvvisa di una questione in poca congruenza associativa con le premesse,
procedure sintetiche, dilungamenti prolissi, silenzi…
L’oralità tradizionale è in gran parte prossima al pensiero zapping, solo coloro che hanno
consuetudine a tenere discorsi strutturati propendono a mantenere un andamento prestabilito del
discorso e anche degli scambi dialogici.
Persone che sono in grado di gestire discorsi strutturati e ben sequenziali in realtà sono solidi
frequentatori di libri e scritti, per cui anche quando usano il registro orale, in realtà fanno riferimento
ad una struttura simile allo scritto, che si scandisce per parti e sequenze e si orienta a collocare alcune
comunicazioni come premessa, altre come argomentazioni e narrazioni esplicative e altre come
processo che conclude un tragitto ed un’esperienza.
Sono le persone che la voce popolare un tempo descriveva come ‘quelli che parlano come un libro
stampato’.
Con il ricorso al telecomando televisivo, ad una quantità enorme di persone, ora è dato di manovrare
un flusso di immagini, oltre ad un flusso di oralità. Quando le immagini mostrano di avere una propria
logica sequenzialità e organizzazione interna allora si pongono come ‘discorso visivo’.
Gran parte della cultura pittorica ha sviluppato oltre ad una gamma vasta di sistemi rappresentativi
anche una sintassi molteplice ed elaborata con cui si è gestito tempo e spazio nelle immagini. Non
sono mancati momenti in cui le presenze visive sono sembrate randomizzate. Ad esempio alcune
pitture rupestri del paleolitico non sempre consentono di cogliere un bandolo di connessione rigorosa
tra una immagine di bisonte e l’altra in cui sta un insieme di cavalli o stambecchi o mani. Può darsi
che alcune immagini si siano giustapposte l’una all’altra e si siano collocate sopra qualche altra, quasi
riducendone la chiarezza percettiva, quasi trattandole in forma ‘zapping’ o forse, più probabilmente
molte delle logiche con cui si costruivano i palinsesti paleolitici ci sono sfuggiti e allora noi possiamo
avere l’impressione che in alcune parti si manifestasse ‘un pensiero orale’ per la visualità di allora.
In questo caso non possiamo spingerci in modo deciso perché ci manca il riscontro e la valutazione
dei diretti interessati. E ogni discorso ulteriore può risultare arbitrario.

12
   To zap, fra gli altri significati, presenta l’accezione del muoversi rapidamente, frecciare, fondarsi. Per cui lo
‘zapping’ da un generico senso di passaggio è divenuto lo saltellare da un canale all’altro durante lo using of remote
control.

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La cosa invece sembra affiorare se si considerano le vetrate romaniche o gotiche o anche i portali
scolpiti, i capitelli e le configurazioni scultoree medievali. In essi non è raro riscontrare le due
tipologie della rappresentazione sequenziata e strutturata, quella secondo ‘un discorso’ e quella
secondo presenze di oralità visuale dove si assommano compresenze di fenomeni fra loro assai
diversi.
Le oralità visive sembrano isole che emergono in una comunicazione sovrabbondante e polisemica,
sono episodi di senso e di rilevanza. Mentre l’arcipelago comunicativo offre un’atmosfera
complessiva, le isole zoomano su un senso intenso e particolare.
Ma in molti casi le vetrate, le sculture, i portali, le lunette, i capitelli medievali scolpiti invece
presentano alcune sequenze temporali ben precise e delle connessioni logiche limpidamente
riconoscibili. In tali casi non si tratta di una fluidità randomizzata ma di autentici discorsi strutturati,
degli autentici libri di pietra con trattati biblici e teologici. Il contesto generale suggerisce in un caso
di trovare singoli episodi visivi e procedere per parti, il secondo caso rivela che ogni parte è collegata
all’altra e che l’insieme delle connessioni offre comunicazioni successive e di secondo livello.
L’uso della scansione zapping sta diffondendo l’oralità visiva di tipo più episodico che di tipo
connettivo.
Si rafforzano però anche altri comportamenti. La frammentazione e il passaggio sempre più rapido da
un programma all’altro conduce alla ricerca non più di un discorso visivo argomentativo, ma
stimolatore, per cui si regge ad un flusso comunicativo in virtù della forza attrattiva delle immagini,
altrimenti si passa ad un’altra schermata che inizialmente è attrattiva semplicemente perché è
avvenuto un cambiamento e si è imposta una stimolazione nuova. Ma anche questo status presto si
satura e si passa ad un cliccaggio successivo di telecomando.
In tal modo molto spesso non si ricerca un ‘discorso’, ma un mixaggio di emozioni e stimoli. E’ la
sensorialità che orienta più che recezione di un senso.
Che questo sia un modo di concepire la comunicazione visiva lo si coglie con chiarezza nei video
musicali o videoclip: nello spazio temporale in cui si snoda una canzone o un brano musicale, le
immagini cambiano continuamente, con connessioni per lo più associative. Quello che prevale è uno
stato di instabilità, di mutevolezza continua, una condizione di visualità che confina con lo stato
onirico.
Se ancora si osserva l’intervallo che si pone tra uno stacco visivo e l’altro (ma molto spesso si tratta
anche di stacchi sonori e musicali), la scansione è assai ravvicinata e tende a collocarsi al di sotto dei
due minuti.

La presenza del telecomando e delle procedure zapping hanno cambiato anche le pubblicità. Esse
sono rapide incursioni che non argomentano o raccontano storie, ma sequenze veloci con fulminee
associazioni che addensano anche suggestioni di storie e grumi di comunicazione, il dato rilevante è
che tendono a star sotto ai due minuti e quindi a non essere colpite dalla propensione a cliccare uno
zapping. Tutto deve rimanere confinato nell’attimo di potenziale stabilizzazione che l’utente è in
grado di accettare statisticamente.

Questa sequenzialità visiva e sonora per microsequenze con scarsa o nulla connessione l’una con
l’altra si rivelano anche in un altro prodotto videodigitale assai frequentato dalle nuove generazioni:
il videogame.

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Il videogame induce a rapide reazioni ad una situazione in cui attimo per attimo c’è una situazione e
una stimolazione: l’interesse sta nella risposta repentina, nello stare congruentemente nell’attimo,
mentre è quasi del tutto irrilevante quello che è accaduto prima e cosa potrà accadere dopo.

Le procedure spot e zapping sono presenti anche nell’uso dei cellulari soprattutto nel caso dei
messaggini SMS e si sta affermando pure in nuove forme offerte dalle foto digitali telefoniche
eseguibili con il cellulare stesso e inviabili in tempo quasi reale.
I messaggini conducono a forme di scrittura contratta, a spot, in cui le informazioni stesse e le idee
vengono ricondotte a modalità concentrate, mosaicate e associate senza ricorrere a pleonastici
connettivi logici. Il dispositivo T9 orienta inoltre all’uso di parole standard e quindi a stare dentro un
linguaggio che abbia un lessico statisticamente diffuso, altrimenti occorre passare alla scrittura
intenzionale lettera per lettera, con il controllo fatto passo passo, mentre il T9 esegue un autocontrollo
e conforma le parole applicando un principio elementare di correttore ortografico che è utile, ma
abbassa congiuntamente la consapevolezza nell’uso dell’ortografia stessa.
L’uso delle faccine (ma è fenomeno in leggero declino) aveva immesso anche nei mobiles una quota
rilevante di icone, per cui si comunica in modo visivo e contratto, rafforzando la propensione
all’oralità visiva di cui si è già parlato.
In realtà si sta diffondendo l’uso di icone da mobiles che sono prefabbricate e si pescano on line.
Anche per questa via si afferma uno stile spot e zapping riferibile a forma di iconolese.
Il processo molto probabilmente si rafforzerà con l’uso montante dei telefonini con foto digitali
telefoniche: le comunicazioni avverranno in modo rapido e contratto trasformando una o più foto in
icone e quindi riducendo ancora l’uso dell’alfanumerico per rafforzare sempre più l’iconolese zapping
e l’oralità visiva.

Programmi mosaicati, pubblicità contratte e con rapide sequenze, video musicali, videogames: non
sono che alcuni esempi evidenti e assai frequentati dalle generazioni successive all’introduzione del
telecomando.
Queste generazioni sono ormai almeno due o tre e quindi lo stile zapping risulta assai diffuso non
solo fra i bambini ma fino agli attuali trenta-trentacinquenni.
Nel frattempo le persone che si sono rivolte o hanno continuato a rivolgersi a forme di comunicazione
sequenziata e strutturata sono diventate sempre meno. I lettori di libri sono una frangia particolare
della popolazione, i lettori di giornali non sono aumentati, semmai tendono a diminuire, la gente che
va al cinema si è ridotta, come si sono ridotte le sale cinematografiche.

Anzi lo stile zapping si è introdotto anche in questi settori:
     - i giornali hanno assunto molti elementi zapping. Le prime pagine ad esempio tendono ad
          avere molte piccole ‘finestre’ come una notizia o un’idea sono ridotte ad un frammento
          concentrato, chi vuol leggere un intero articolo deve andar oltre lo spot e ripescare l’articolo
          nell’interno, in pagine sparse. Per chi mantiene stile zapping anche nella lettura dei giornali,
          spesso basta il solo spot di avvio, poi si fa zapping anche sul giornale, tutto galleggia, ben
          poco si approfondisce.
     - I libri per il grande pubblico sono sempre più pagine trattate con foto e rapide didascalie.
          Ovviamente permangono i lettori dei libri sequenziali, ma non riguardano più la maggioranza
          dei lettori.
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Righetto.Generazionibiodigitali

  • 1. NuoviAbitanti www.nuoviabitanti.it associazione culturale Generazioni Biodigitali Linee Guida Gabriele Righetto CENTRO DI ECOLOGIA UMANA Università di Padova Indice • Computer e dintorni • Lavorare dentro il computer. La solitudine da computer • Iconolese: le prospettive • Lavorare dentro in attesa di produrre effetti fuori (computercentrici + mediatori) • La videoscrittura • I mediatori • Le programmazioni di robot • Robotica • Lavori ad extra • Lavori tele • Pensiero zapping - power point • Power point e similari • E-book. cd-rom e i testi digitali • Infostazione • Web community ecodigitale • Comunità formativa • Distretto formante Dispensa n.1 “Pedagogia dei Luoghi” G. Righetto 1/62
  • 2. NuoviAbitanti www.nuoviabitanti.it associazione culturale GENERAZIONI BIODIGITALI Linee guida Il presente lavoro si propone di raccogliere alcune riflessioni e valutazioni che possano essere utilizzate in un lavoro formativo e didattico che tenga conto che siamo entrati in una fase storica in cui il paradigma culturale e organizzativo-sociale dell’industrialismo non costituisce più l’asse portante. Siamo entrati in una fase definibile in tanti modi a seconda del fattore o insieme di dinamiche che si vogliono mettere in evidenza. Alcuni parlano di Postindustrialismo1 considerando il superamento non una cesura netta con l’industrialismo, ma come un fenomeno succedutosi ed subentrato. Un compimento oltre. Altri parlano di Età Postmoderna2 che si afferma dopo gli anni 60 quando entra in crisi l’assetto socioculturale esistente e si consolida una nuova conformazione con il concorso di ‘rivoluzioni tecnologiche’ che sostengono organizzazioni sociali sempre più complesse. In specifico si nota il passaggio dall’industria meccanica all’industria fondata su supporti e procedure elettroniche, telecomunicazioni, informatica. Tutto ciò ha inciso in modo forte su lavoro, conoscenze, operatività e politica. C’è anche chi, come F.Jermerson considera il postmoderno solo come un’accezione particolare del tardocapitalismo e postfordismo, si tratta solo di una dominante culturale e quindi un approccio parziale, orientato soprattutto al consumismo e alla spettacolarizzazione della vita attraverso i mass-media. La caratteristica suprema del postmoderno è la superficialità ossia l’assenza di profondità. Superficialità e frivolezza connotano la società dello spettacolo e la cultura delle immagini comporta un prevalere delle coordinate spaziali su quelle storiche: tutto appare sincronico e il vissuto è ricondotto ad un rapporto eclettico intessuto di citazioni, con un patchwork di stili che rende tutti contemporanei3. indubbiamente vi sono aspetti sociali e di gestione del potere che segnalano l’entrata in preoccupanti zone d’ombra. Ma se si 1 A.TOURAINE La società post-industrielle. Denoel, Paris 1969 – trad. it. La Società postindustriale Il Mulino , Bologna 1970 D.BELL The Coming of Post-Industrial Society Basic Book, New York 1973 2 J.F. LYOTARD La condition postmoderne Minuit, Paris 1979 – trad. It. La condizione postmoderna. Rapporto sul sapere. Feltrinelli, Milano 1985 3 F.JEMERSON Dispensa n.1 “Pedagogia dei Luoghi” G. Righetto 2/62
  • 3. NuoviAbitanti www.nuoviabitanti.it associazione culturale guarda soltanto l’aspetto sociopolitico e socioeconomico (con l’indiscutibile propensione di una componente mondiale ad esercitare un’egemonia monodirezionale attraverso la manipolazione di media e alleanze e ampio ricorso a forme belliche) si perdono di vista altri aspetti che non mancano di incidenza e caratterizzazione del nostro tempo. Le innovazioni non toccano solo il campo abiotico del digitale, ma sempre più avanzano gli studi e le applicazioni in campo di biologia molecolare e di DNA ricombinante. Non si tratta solo di un discutibile campo scientifico, ma di una dimensione che incide (e annuncia di incidere sempre più) sulla vita delle persone e degli ecosistemi. Infatti ha ricadute in campo in campo farmacologico e medico, in agricoltura, in zootecnia, nella gestione del territorio con la produzione di piante che resistono alla salinità, siccità, acidità, attacco di parassiti, annuncia di poter perseguire risultati molto soddisfacenti nel debellare patologie particolarmente gravi e che colpiscono strati importanti di popolazione. Da questo punto di vista le tecnologie applicate al DNA ricombinante si configurano in un orizzonte di positività con un ruolo attivo della nostra specie a livello di nanoambiente biotico. L’insieme di queste prospettive biodigitali affermatesi soprattutto sullo scenario degli anni 80 del 900, giunge accompagnato però da annunci ed argomentazioni che segnalano insieme ampi rischi e problemi di difficile soluzione. Non esiste infatti alcuna certezza verificabile che gli organismi geneticamente modificati immessi nell’ambiente siano controllabili in ogni loro interazione e produzione di concause. La possibilità di correggere difetti genetici, specie se fonte di gravi patologie, è sicuramente un aspetto assai interessante ed auspicabile, ma non esiste la garanzia che vi siano organi autorevoli e dotati di intervento effettivo per controllare e impedire che persone e istituzioni malintenzionate producano ‘mostri genetici’ o manipolino in forme lesive della dignità le modalità di nascita di animali e di esseri umani stessi, ridotti a strumento e deprivati di autonomia e delle caratteristiche che danno dignità all’esistere. Non c’è ragionevole possibilità che organismi internazionali siano messi in grado di assicurare che un numero circoscritto di aziende agroalimentari che operano in campo di biotecnologie con DNA ricombinante non realizzino una mastodontica forma di egemonia in grado di condizionare la vita sociale e politica di intere parti del pianeta. Non si capisce per quale motivo si dovrebbe favorire la pollinazione chiusa (ossia controllata esclusivamente da una azienda produttrice che diventa anche l’erogatrice Postmodernism or The Cultural Logic of Late Capitalism in “New Left Review” 1984 – trad. It. Il postmoderno o la logica culturale del Capitalismo, Garzanti Milano 1989 Dispensa n.1 “Pedagogia dei Luoghi” G. Righetto 3/62
  • 4. NuoviAbitanti www.nuoviabitanti.it associazione culturale esclusiva delle sementi biotrattate) rispetto alla pollinazione aperta che permette ai singoli agricoltori produttori di autoprocacciarsi le sementi, magari migliorandole assecondando capacità di scelta e adeguamento a contesti ambientali particolari e locali. Non sono riconoscibili e certi i mezzi di governo mondiale per contrastare usi impropri di biotecnologie a scopo militare in grado di produrre micidiali armi biologiche. Le conoscenze di gestione della complessità degli ecosistemi sono ancora modeste e incomplete e quindi non si è in grado di analizzare la struttura essenziale e profonda che potrebbe essere interessata dall’immissione negli ecosistemi stessi di organismi manipolati geneticamente. La questione fondamentale è che l’umanità intera resti responsabile del suo destino e sia in grado di conoscere, gestire, governare, promuovere o rifiutare prospettive che si aprono all’avventura del vivere. Si tratta di attivare una cultura della precauzione e della responsabilità, ma anche una cultura della conoscenza e della competenza che abbiano tratti democratici e partecipativi. Perciò con le molte luci, ma anche le non rasserenanti ombre va promossa la cultura specifica del nostro tempo. Qui pertanto si parlerà soprattutto di Società Biodigitale che estende alcune caratteristiche dell’approccio postmoderno e rende più palesi alcuni processi che nell’accezione postmoderna ristretta erano assai scarsamente considerati: la mondializzazione, le emergenze ambientali, la prospettiva esogea e l’intervento tecnologico sul bios4. Una delle notizie del primo semestre del 2003 che hanno trovato forte attenzione sulla stampa 4 internazionale è riferita ad Hybrot (Hybrid Robot), il primo robot ibrido o ‘animat’ automatico. Di fatto si tratta di uno dei primi fenomeni esplicitamente biodigitali. L’ingegnere biomedico statunitense Steve Potter del Georgia Institut of Technology ha messo a punto un network di neuroni (duemila cellule di topo) applicate ad un microchip che fanno funzionare una macchina ‘ibrida’. Ogni azione di Hybrot è il risultato di istruzioni ricevute dai neuroni di topo a cui è collegato, assieme a sessanta elettrodi. Il robot ibrido è equipaggiato di minisensori elettronici e di cellule ottiche a raggi infrarossi. Mediante questi rinvia alle cellule cerebrali del topo le informazione che raccoglie. Si forma così un processo di cooperazione tra cellule cerebrali e robot. Si è ancora in presenza di una bio-macchina rozza, ma comunque di un primo incontro tra tecnologie digitali e biotecnologiche che in precedenza avevano già percorsa molta strada a livelli avanzatissimi, ma separatamente. E’ una strada in cui si raggiungono risultati per lo più dalle dimensioni miniaturizzate, anzi nanometriche. Forse sono albori di un nanoambiente integrato congiuntamente di abiotico e vivente. Quando digitale e biotecnologico si integrano allora il termine biodigitale assume tutta la sua pregnanza e giustificazione. Dispensa n.1 “Pedagogia dei Luoghi” G. Righetto 4/62
  • 5. NuoviAbitanti www.nuoviabitanti.it associazione culturale In queste pagine pero l’attenzione sarà rivolta quasi esclusivamente al digitale, non escludendo di trovare progressivamente delle vie che favoriscano la didattica complessiva del nanoambiente (bio e digitale) provando le forme di divulgazione per le conoscenze, competenze e organizzazioni sociali specifiche. Si darà attenzione al fenomeno della Robotica, con l’avvertenza che oggi la robotica si interfaccia con le tecnologie della trasformazione e del digitale, ma che non passerà molto tempo che i robot ibridi conducano alla dimensione di un’interfaccia più complessa che declini insieme e in modo diffuso tecnologie digitali, tecnologie trasformative e biotecnologie. In queste pagine, pur sensibili all’intera prospettiva del biodigitale, partiremo con un approccio limitato, considerando quello che accade attorno al più noto degli strumenti digitali, il computer, per considerare fenomeni che lo interessano in modo ravvicinato, anzi che coinvolgono i processi interni (ad intra) per poi aprirci all’attenzione al contesto in cui gli oggetti digitali operano (ad extra) fino alle connessioni lontane (lavori tele). Non mancheranno considerazioni sulle dinamiche attuali della società e sulle forme didattiche ed educative che si rivelano potenziali modalità evolutive per i processi educativi e formativi della società biodigitale. Dispensa n.1 “Pedagogia dei Luoghi” G. Righetto 5/62
  • 6. NuoviAbitanti www.nuoviabitanti.it associazione culturale COMPUTER E DINTORNI La componente più diffusa e forse più praticata dalla popolazione, per quel che riguarda fenomeni collegati alla Società Biodigitale, è il Computer, l’oggetto a caratteri digitali maggiormente riscontrabile nella vita quotidiana delle società economicamente evolute. Lo si trova, con conformazioni variegate, allo sportello bancario e postale, alle casse dei supermarket, alle reception degli alberghi, alle biglietterie dei treni e dei bus, nei punti di controllo delle aziende produttrici e mi fermo perchè l’elenco risulterebbe interminabile. E’ certamente l’oggetto più ovvio e diffuso della nostra società. A dire il vero il mondo digitale non si configura solo nell’oggetto computer, ormai esistono moltissimi oggetti digitali e anzi si potrebbe dire che tutti gli oggetti che abbiano un qualche dinamismo incorporato ed espresso tendono a configurarsi come oggetti digitali. Solo gli oggetti arcaici di tipo statico, che provengono dalla lontana tradizione paleolitica o neolitica, sono meno influenzati dal digitale: i vasi, i tavoli, le sedie, i contenitori semplici, ma anche gli oggetti a lontana tradizione non appena assumano una qualche funzione dinamica e impieghino energia per ottenere un risultato poco o tanto sentono l’attrazione di dotarsi di circuiti integrati che li programmino e da qualche parte appare una pulsantiera e un display, ossia dei dispositivi per immettere informazione e comandi e un luogo che visualizzi i risultati e dica come sta interagendo l’oggetto digitale. Un oggetto digitale si configura come un oggetto dialogante con il suo utente. Sono digitali il visore con cui la cassiera legge il codice a barre di un prodotto, le lavatrici che eseguono programmi digitali, i cellulari che svolgono un ruolo quotidiano pervasivo, i lettori di Cd musicali, gran parte dei meccanismi di un’auto, gli impianti di monitoraggio di varie reti tecnologiche, la quasi totalità delle strumentazioni mediche e diagnostiche, le macchine fotografiche e videocamere digitali, … e mi fermo perché l’elenco sarebbe sterminato anche nel caso di oggetti digitali non omologabili alla forma del computer. Gli oggetti digitali non eseguono soltanto operazioni meccaniche o standardizzate, in realtà fanno da supporto a diversi stili di vita, entrano non solo nella vita pratica, ma anche nell’esercizio di attività immaginarie, simboliche e culturali. Il mondo delle immagini, dei suoni, della musica, delle scritture sempre più fa i conti e si impasta con il mondo digitale. Allora non si può promuovere cultura e assetti sociali evoluti senza avere nei confronti del digitale un atteggiamento, attento, informato, non solo strumentale ma culturale. E alla fine creativo, elaborativo, aperto alla dimensione progettuale. C’è ancora una cospicua parte della popolazione che è nata e vissuta in tempi non digitali. Essa mantiene atteggiamenti industriali e in non pochi casi addirittura agrario-artigianali (per cui coltiva il mito del fatto a mano e con tecniche antiche) coltivando la certezza che i prodotti di questo tipo siano automaticamente migliori e rivela un atteggiamento di fondo che esprime diffidenza se non opposizione al contemporaneo in maniera totale e acritica. Dall’altro lato esistono generazioni (almeno tutte quelle nate dopo la fine degli anni 70) che sono vissute solo in un mondo fatto di prevalenti oggetti digitali che riguardano l’insime della vita quotidiana, gli accessori, gli strumenti di informazione, ricreazione, l’impiantistica dei servizi, del commercio, del lavoro, dei trasporti. Per costoro il problema digitale non si pone, per loro digitale e naturale si equivalgono. Quando si trovano davanti un dispositivo digitale, anche se non lo conoscono, lo trattano familiarmente, perché sanno che lo si può smanettare e che smanettando Dispensa n.1 “Pedagogia dei Luoghi” G. Righetto 6/62
  • 7. NuoviAbitanti www.nuoviabitanti.it associazione culturale succede qualcosa e che quel qualcosa che accade apre la possibilità di scorgere alcuni indizi che conducono a capire come funziona, a che cosa serve e quali dotazioni interne nascoste possegga. Tutti gli oggetti digitali, prima o poi, rispondo positivamente alle ‘domande smanettanti’ Esistono poi le generazioni di mezzo che sono nate industriali e si sono trovate dentro la transizione digitale: questi hanno un atteggiamento ambiguo: capiscono che ormai il contesto è mutato ma per taluni si può continuare ad esercitare le precedenti procedure, altri si aggiornano ed entrano consapevolmente nelle nuove possibilità, altri vi entrano solo per gli aspetti che risultano irrinunciabili. Oppositori radicali, tiepidi e digitali selvaggi costituiscono la stragrande maggioranza della popolazione. Ma una forma sociale non si evolve con un coacervo di contraddizioni, ambiguità o adesioni acritiche. La società biodigitale ha al proprio interno un forte gap di consapevolezza e competenza digitale (tralasciamo poi la questione biotecnologica dove tutto è assai più arretrato e incolto). Il presente lavoro cercherà di indicare delle linee modeste per sviluppare cultura, apprendimento, socializzazione e rapporto ambientale a partire dall’oggetto simbolo del digitale, l’oggetto anche più tradizionale, e cioè il Computer. Ci si occuperà infatti di attività relative a Computer e dintorni. LAVORARE DENTRO IL COMPUTER la solitudine da computer In un primo momento ci occuperemo del computer come se fosse un oggetto isolato con cui una persona entra in rapporto e mentre lavora con esso produce delle trasformazioni e dei lavori dentro il computer. Questo lavoro limitatamente al il computer, cercando di ottenere dei risultati riscontrabili solo in relazione al computer, li chiameremo lavori ad intra. Per lavori ad intra si intendono le attività che si svolgono esclusivamente attorno e in relazione diretta ad un computer e non inducono ad attività esterne. La spazialità che viene gestita è prevalentemente concentrata tra - la faccia del computerante - il monitor del computer - la tastiera e le mani del computerante Avvengono in un luogo e in stretta connessione con i dispositivi hard di tipo digitale. Talvolta l’operatore che agisce con dispositivi digitali ignora la dimensione addirittura del driver e del microprocessore. Sono attività in genere che presentano un tasso di produzione individualizzata e poco socializzata. L’attività si può tradurre in un’interazione stretta persona/macchina, “girando le spalle al mondo”. Letteralmente. E’ il momento in cui non vi è una precisa relazionalità che invece può manifestarsi - o per via telematica - o con socializzazione dei prodotti mediante periferiche che - visualizzano - sonorizzano i prodotti in modo che questi possano essere fruiti da un numero Dispensa n.1 “Pedagogia dei Luoghi” G. Righetto 7/62
  • 8. NuoviAbitanti www.nuoviabitanti.it associazione culturale tendenzialmente ampio di persone. Alcune attività sembrano rientrare normalmente nelle categorie gutenberghiane di produzione tecnologica di: - prodotti alfanumerici (scritte alfabetiche e numeriche) - immagini riprodotte - tabelle numeriche stampate - rappresentazioni dati stampati - ecc. mediati dal microprocessore e dai circuiti integrati. Tali processi possono essere vissuti riducendoli ad epifenomeni di innesco come:  l’accesso C  la bocca di collocamento floppy  il cd rimovibile - momentaneamente le periferiche base sottoelencate possono rimanere in subcoscienza: in quanto finché si lavora su tastiera e monitor tutto rimane interno al computer. La materializzazione cartacea o visiva dell’attività con i bits si traduce quando si mettono in moto:  stampante  il plotter  videoproiettore ( ma in forma molto subalterna) Talora qualcuno può coltivare la convinzione che quanto compare su un monitor di computer non sia altro che la configurazione digitale di insieme di prodotti altrimenti visibili in configurazione cartacea gutenberghiana. Rispetto a quest’ultima cambierebbe solo il supporto: in confronto ai caratteri mobili si manifesterebbe soltanto una traduzione in pixel e byte. Tale appiattimento degli eventi digitali con una riconduzione ripetuta e quasi fotocopiante delle procedure gutenberghiane, è un approccio molto deviante e comporta un uso improprio delle possibilità digitali anche per processi che rientrano nella grande tradizione della scrittura e del disegno. Scrivere e disegnare digitalmente significa entrare nel mondo specifico dell’ICONOLESE. ICONOLESE: LE PROSPETTIVE Le generazioni biodigitali sono fortemente orientate all’uso e alla comprensione delle icone, per la ricorrente frequentazione di comunicazioni che non poggiano sull’alfanumerico ma su caratteri ideografici. I caratteri ideografici sono ancor più caratterizzati perchè non sono quelli classici ed arcaici, ma costituiscono caratteri ideografici digitali. Scrittura - La questione della scrittura ha posto alla nostra specie notevoli problemi di gestione della difformità: - la voce è un fatto sonoro Dispensa n.1 “Pedagogia dei Luoghi” G. Righetto 8/62
  • 9. NuoviAbitanti www.nuoviabitanti.it associazione culturale - un segno è un fatto visivo - i segni e i suoni sono fatti materiali, ossia si presentano nell’ambiente fisico, pur avendo una conformazione materiale differenziata - i processi mentali sono immateriali, ossia non rivelano la loro matrice o supporto materico che non appare anche perché sta oltre la soglia della percezione, avvengono a livello neuronale e di cellule- molecole cerebrali. La scrittura è una straordinaria opzione tecnologica che ha tentato di fondere voce-segno-processo mentale. Le vie seguite sono state molteplici, ma possono essere ricondotte a due grandi linee: 1 - segni che rappresentano - figurano processi mentali senza riferirsi al suono della voce, anche se per convenzione si traducono in articolazioni foniche. • La via più antica si è espressa in pittogrammi, ossia rappresentazioni grafiche che tendono a raffigurare qualcosa di reale presente nel mondo fisico e percepibile con la vista. Un ‘disegno di un albero’ è l’idea di albero semplificata e sollecita e induce a pronunciare il ‘suono’ albero. • Un processo più complesso sta nell’ideogramma: una percezione e ancor più un nucleo di processi mentali vengono rappresentati da un segno che non ha alcun collegamento con l’evento fonico e anche con l’elemento visivo, è di fatto un simbolo, ossia un evento sintetico che sta al posto di qualcos’altro di più complesso e difficilmente comunicabile. Tale segno è però in grado di restituire il processo anche nelle sue parti non comunicabili. Non poche volte un ideogramma è un confluire di pittogrammi deformati al punto di aver perso la loro ‘forma’ che faceva riferimento ad elementi rappresentati; questi hanno assunto conformazione di segni astratti, ossia tratti oltre il riferimento al reale fisico. La scrittura sumera, egiziana e la cinese appartengono a questa opzione. 2 - segni che rappresentano arbitrariamente singoli frammenti di suoni riproducibili con la voce. Alcuni gruppi sociali afferenti ad una determinata cultura scelgono un numero limitato di segni-suono che ritengono in grado di riprodurre l’intera gamma fonica della loro fonazione. Componendo i vari segni è possibile ottenere una versione visiva di un prodotto-processo fonico. I segni prescindono dal riferimento al mondo rappresentato visivo, sono segni visivi a sola funzione fonica. I sistemi alfanumerici appartengono a questa funzione-finzione culturale e per millenni sono stati supporto comunicativo di primaria importanza. Avevano un limite evidente nella natura intrinseca delle lingue: le lingue sono reciprocamente incomunicabili perché sono spesso incompatibili a causa di una radicale differenza fra loro di tipo non comparativo per gamma fonica e di organizzazione di significati. Finché il mondo è stato relativamente separato e alle Dispensa n.1 “Pedagogia dei Luoghi” G. Righetto 9/62
  • 10. NuoviAbitanti www.nuoviabitanti.it associazione culturale differenti aree geografiche corrispondevano delle lingue determinate, il sistema fonico ha funzionato abbastanza. Chi entrava in un’area geografica doveva congiuntamente dotarsi di sistemi comunicativi propri di quell’area geografica specifica in cui si immetteva, accedendo alla comprensione della lingua e dei segni fonici che la esprimevano. Oggi il massiccio fenomeno della globalizzazione o mondializzazione pone seri problemi di scelta tra le due strategie fondamentali: - Fonizzazione linguistica - simbolizzazione fonica e comportamentale Entrambi tendono ad esprimere una propria via: - la fonizzazione unificata sta configurandosi come anglese, ossia un inglese semplificato e meticciato utilizzabile come lingua veicolare in tutto il mondo. (questa enorme convergenza pone però problemi di egemonia culturale giustamente non sempre ben accettati) - l’iconolese, ossia un insieme di segni comprensibili in contesto intralinguistico e tendenzialmente internazionale. Ciò risulta particolarmente efficace perché la pluralità delle lingue non è presente solo mediante la distinzione geografica (pluralismo linguistico corrispondente al pluralismo geografico), ma è presente anche all’interno di aree geografiche un tempo identitarie, nelle quali ora si parlano più lingue perché in uno stesso spazio geografico si incontrano e vivono più gruppi linguistici, per cui il ricorso a segni comuni fa manifestare una comunanza comunicativa senza raggiungere una vera comunanza linguistica. Il mondo digitale è un tipico punto di convergenza delle problematiche della mondializzazione e quindi si caratterizza per l’emergere di entrambi i fenomeni - l’anglese permette di partecipare al villaggio globale e accedere alle ‘istruzioni comuni’ anche e soprattutto in rete - l’iconolese permette di partecipare ad un lessico segnico universale in grado di suggerire i principali comportamenti o unità di comportamento da effettuare in presenza di dispositivi digitali. L’iconolese ha come luogo di manifestazione i monitor e i display. Esso non solo poggia su un numero rilevante di icone internazionalmente condivise, ma anche induce un atteggiamento mentale e conoscitivo che porta all’iconopoiesi, ossia alla produzione di icone che traducano processi cognitivi e mentali complessi, contenuti in segni sintetici che li esprimono. Ogni afferente all’iconolese è pertanto tendenzialmente un produttore di neoicone e un utilizzatore di icone precostituite e largamente condivise. Il rischio dell’iconolese è similare ai problemi del cinese che con 40 mila ideogrammi rende difficile l’accesso alla comunicazione per persone non acculturate in forme elaborate richiedenti una complessa formazione anche a base manuale e mnemonica, per cui in tali contesti si pone la questione dell’iconolese semplificato. Gli ideogrammi cinesi, ad esempio, hanno introdotto in varie fasi storiche, alcune forme di semplificazione, individuando di volta in volta dei radicali, attualmente sono 227 (ma sono stati anche 540); essi costituiscono segni-chiave di lettura che aiutano ad aggregare alcuni ideogrammi secondo grandi comunanze di significato e permettono di ricorrere ad elementi primari per la composizione di segni composti. Dispensa n.1 “Pedagogia dei Luoghi” G. Righetto 10/6
  • 11. NuoviAbitanti www.nuoviabitanti.it associazione culturale L’iconolese sta divenendo una grande lingua ideogrammatica della società digitale che ha bisogno di una educazione specifica - alla composizione, - all’uso consapevole - a criteri di semplificazione, probabilmente con strategie non dissimili a quelle usate dai cinesi con i radicali. Abbiamo bisogno che quanti educano al digitale siano consapevoli dell’esistenza di questioni rilevanti - nel riconoscimento delle icone base, - nei comportamenti impliciti e connessi con l’apparire di una icona (consapevolezza dell’atto di cliccarla o no e delle sequenze di altri cliccaggi conseguenti ad un primo cliccaggio) - nella possibilità di produrre icone facendo distinzione tra  icone descrittive (in un testo digitale forniscono elementi di conoscenza e operatività provenienti dall’uso simbolico di una o più immagini trattate come simboli)  icone comportamentali: inducono, mediante una operatività su di esse, alcune conseguenze pragmatiche ed operative, ossia inferiscono cambiamenti procedurali in conseguenza dell’uso di icone pragmatiche (es. ampliano, riducono, ordinano, sequenziano, avvicinano, distanziano, separano, connettono, eliminano, integrano, includono, escludono, ossia fanno una serie ampia di operazioni collegate all’idea di contenitore digitale e connettore digitale) LAVORARE DENTRO IN ATTESA DI PRODURRE EFFETTI FUORI (computercentrici + mediatori) I lavori ad intra costituiscono quelle attività che si esplicano all’interno di un ambiente digitale, senza che vi siano significativi processi di trasmissione a distanza mediante l’uso di dispositivi telefonici mediati da modem o similari. I lavori ad intra (oggetti digitali costruiti digitalmente agendo con un infoggetto circoscritto, per lo più un Personal computer o telefonia mobile): - sono computercentrici (nascono e potrebbero restare dentro il computer) - realizzano prodotti specifici: - computergrafica - videoscrittura - rappresentazione dati - animazione - tabelle Computergrafica E’ determinante nello sviluppo dell’iconolese, in quanto è strumento per produrre icone e mondo rappresentativo digitale. Costituisce la via contemporanea per lo sviluppo del disegno tradizionale. Dispensa n.1 “Pedagogia dei Luoghi” G. Righetto 11/6
  • 12. NuoviAbitanti www.nuoviabitanti.it associazione culturale Esistono ovviamente strumenti digitali molto professionali che consentono di gestire rappresentazioni complesse di tipo bi e tri dimensionale e in genere 2D e 3D ( CAD con la possibile interfaccia CAM [Computer Aieded manifacturing] fino alla configurazione CAE – Computer Aided Engineering che supporta congiuntamente la valutazione dell’assetto di base dell’oggetto digitale riferito all’ambiente di collocazione, consentendo di esperire la dimensione del laboratorio digitale di collaudo). Mentre queste nozioni e prospettive devono essere conosciute dagli educatori digitali come loro orizzonte culturale di riferimento, molto meno si deve richiedere per gli allievi digitali dei primi livelli, ma non per questo vanno suggerite esperienze banali. E’ bene che gli strumenti siano semplici, i processi invece opportunamente possono risultare significativi ed elaborati, anche se ci riferisce a semplici Paint e Disegno di Word. Alcune esperienze vanno a fondare competenze di base. Come: Produzione di figure base: • rettangolo • quadrato • ellisse • cerchio Uso di forme in modo consapevole: • linea • curva • figura chiusa libera • disegno libero Inoltre va reso essere possibile l’intervento in tali assetti con la modalità ampia di “Modifica”. In particolare con le procedure: • modifica punti che permette di ‘plasmare’ i primi abbozzi di figura • ruota o capovolgi che interviene a modificare un’ortogonalità troppo rigida o non rispondente alla volontà del compositore • ordina che consente di gestire in modo articolato i piani di rappresentazioni e i rapporti figura-sfondo. La computergrafica è idonea ad introdurre un modo di pensare visivo: • esiste lo schizzo digitale che è forma primaria per abbozzare un’idea visiva. • lo schizzo non ha caratteri definitivi, ma introduce al pensiero visivo per approssimazione: • alcune idee affiorano nella mente, si ha l’impressione che siano dei buoni apripista, ma si coglie quasi subito che sono molto indefiniti. • La traduzione tra immagine mentale e primo abbozzo dello schizzo digitale, dà modo di entrare in una logica laboratoriale per approssimazione: l’immagine reale che compare sul monitor o display difficilmente soddisfa le aspettative che sembrano promettere l’immagine mentale. L’esperienza è quella della immagine tradita. Ma in realtà non è solo un tra-dimento, è anche una tra-duzione. Dispensa n.1 “Pedagogia dei Luoghi” G. Righetto 12/6
  • 13. NuoviAbitanti www.nuoviabitanti.it associazione culturale • La tra-duzione è condurre oltre e altrove una certa realtà configurabile in un determinato spazio, tempo e senso per ricollocarla in altro spazio, tempo, con il tentativo di salvaguardare alcune costanti riconosciute come irrinunciabili. • Il tra-dimento (da tradere) è l’atto del consegnare oltre, non rispettando i limiti dello spazio, del tempo e dell’identità. Tra l’immagine mentale e la rappresentazione digitale c’è sempre uno scarto, un qualcosa che non corrisponde e che si rivela o inadeguato o incompleto. • L’immagine che compare è allora un’offerta per capire dove e in che cosa sta lo scarto e il tradimento e indurre ad azioni di modifica. Ma pensare la modifica significa produrre un’altra immagine mentale che pressoché mai è quella originaria, è una immagine nuova, con una definizione che si confronta con una immagine già esistente e ‘reale’ comparsa sul monitor. L’immagine mentale di fatto nuova è un’immagine dialogante, perché si confronta con l’immagine del monitor e quella mentale modificata e si pone come punto di riferimento per una nuova verifica di adeguamento. • L’intervento che si fa sull’immagine digitale è una traduzione dell’immagine dialogante con tentativo di renderla adeguata mediante procedure di modifica. Ancora una volta si avranno esperienze di tra-duzione / tra-dimento in un processo che andrà avanti finché chi opera non troverà soddisfacente il risultato tra il prodotto digitale e l’immagine mentale che gli conferisce. Oppure potrà accadere che (e molto facilmente) si accontenti perché è abbastanza quello che voleva, è un’immagine tra-dita, ma non troppo. • Il processo si interrompe secondo una valutazione di approssimazione soddisfacente • Nel disegno digitale ovviamente c’è il corrispondente della gomma da cancellare presente nel disegno tradizionale (ed è il Taglia e il Cancella), ma prevale la procedura del Modifica, ossia della continua riprogettazione per approssimazione. • Per saper condurre avanti questi processi gli allievi digitali è bene siano in grado di gestire processi congiunti di Sintesi (le immagini mentali) e di Analisi (i punti in cui l’immagine digitale tra-disce troppo) e su cui analiticamente bisogna intervenire per avvicinarsi ad una tra-duzione più accettabile. LA VIDEOSCRITTURA L’alfanumerico nel digitale è apparentemente una tra-duzione dell’alfanumerico gutenberghiano in ambiente digitale. Non si può negare che vi sono molte persone ‘digitali apparenti’ che sono di fatto dei clandestini gutenberghiani dentro il digitale che si comportano da gutenberghiani dentro il digitale. Il digitale non presenta dei caratteri mobili in forma di bits, in realtà anche l’alfanumerico nel digitale appartiene all’iconolese. La scrittura in digitale è una forma d’uso di icone. Ciò appare chiaro se spostiamo l’attenzione ai font. Il Font è un insieme di caratteri tipografici offerto nella dotazione di un programma digitale di videoscrittura. Mediante facili opzioni è dato attribuire • un corpo tipografico più o meno grande, Dispensa n.1 “Pedagogia dei Luoghi” G. Righetto 13/6
  • 14. NuoviAbitanti www.nuoviabitanti.it associazione culturale • un tipo grafico molto diversificato, • una conformazione in corsivo, grassetto, ombreggiato, contornato, colorato, ecc. Non si deve pensare che questi siano solo caratteri diversi, bensì una notevole possibilità che la scrittura digitale consente di gestire per dare ai testi un significato che va ben oltre le parole, infatti è l’assetto visivo stesso che comunica la natura del messaggio. Un testo scientifico difficilmente si apparenta interamente ad un corsivo che simuli la scrittura a mano molto calligrafica, un testo di fantascienza può essere rafforzato da un carattere decisamente innovativo, un testo triste di solito non può connettersi ad un carattere giocoso ed ironico. Risulta pertanto interessante offrire alle generazione biodigitali la consapevolezza della scrittura come esercizio di iconolese non solo di composizione Nanoambiente e disvelamento della miniaturizzazione del pixel Il dispositivo zoom, o meglio “ingrandisci e rimpicciolisci“ (CTRL+MAIUSC+</>) consente di ridurre/decrescere in modo limite fino a criptare e miniaturizzare un testo e renderlo non percepibile e leggibile. E’ così possibile offrire esperienze elementari di nanoambiente per cui un’icona può essere prodotta, ma anche essere trattata in modo che non sia visibile. Al contrario un’immagine o porzione di immagine può essere ingrandita in modo abnorme fino a perderne non solo la percezione del contorno, ma anche fino a giungere alla visione di ‘cosa’ siano fatte le immagini digitali e cioè di pixel, elementi mosaicati a minutissime superfici geometrizzate. Fare queste esperienze non solo attiva la consapevolezza di quanto sia possibile giocare ed estendere la gamma ‘deformativa’ della composizione digitale andando ben oltre il range stabilizzato per ottenere una ‘visualizzazione normale’, ma anche diventa utile per svelare il ‘mistero’ (almeno in parte) delle operazioni digitali e capire che esse sono comprese dentro alcuni limiti minimi e massimi e che questi determinano la natura dei risultati. In ogni caso rendere molto chiaro l’assetto di un aspetto del nanoambiente è utile per portare gli allievi biodigitali a prendere contatto ed avere visione con la dimensione nanometrica dell’ambiente che la società contemporanea sta sempre più assumendo e gestendo. I MEDIATORI Consideriamo ora un secondo importante aspetto dei lavori ad intra, ossia quello dei prodotti che ‘potrebbero rimanere rinchiusi’ nel contenitore computer, ma in realtà sono realizzati già prefigurando come essi possano essere palesati all’esterno mediante l’uso di periferiche per visualizzazione, sonorizzazione ed implementazione robotizzata. I mediatori (nascono assieme ad altri complementi del computer e poi, una volta compiuta l’elaborazione, possono diffondersi con l’aiuto di altri supporti di interfaccia che tra-ducano bits in atomi. I principali mediatori sono  le scannerizzazioni  le elaborazioni fonico-musicali  le programmazioni di robot Dispensa n.1 “Pedagogia dei Luoghi” G. Righetto 14/6
  • 15. NuoviAbitanti www.nuoviabitanti.it associazione culturale Le scannerizzazioni sono operazioni che consentono ad immagini oppure oggetti o materiali che possono stare sul pianale dello scanner5 di essere trasformati in foto digitali e come tali tradursi in prodotto elaborabile ‘all’interno’ del computer. Si tratta di una tra-duzione in bits di superfici di atomi visibili. La scannerizzazione è processo di fondamentale competenza perché consente di captare immagini, elaborarle in bits e conformarle in modo da poter costituire non solo materiale documentabile visivo, ma anche costruzioni di icone. Si tratta quindi di un processo rilevante per la gestione dell’iconolese e dell’iconopoiesi. Le elaborazioni fonico-musicali. Plurisensorialità digitale. Il fenomeno più interessante è la computer music. Essa riguarda tecniche di sintesi ed elaborazione di suoni compresa la composizione ottenuta con il sostegno dell’elaboratore. Esistono software dedicati che consentono di elaborare suoni e musiche in modo facilitato, è molto importante offrire alle generazioni biodigitali l’occasione di poter lavorare con la dimensione sonora per accentuare il carattere di trattamento dei sensori: la prospettiva è che tutti canali sensoriali possano costituire luogo di comunicazione con supporto digitale: canali visivo e uditivo sono già ampiamente esprimibili, ma si deve prefigurare uno scenario in cui la comunicazione possa essere e diventare molto più completa mediante l’apporto di segnali olfattivi, gustativi e tattili. Il naso digitale è già stato messo a punto, ma non è entrato nel grande circuito. Anche il guanto tattile e la tuta tattile sono presenti nelle esperienze laboratoriali, ma sono ancora poco adatti ad applicazioni per il grande pubblico. Il ‘leccalecca’ digitale è concettualmente possibile, ma non è un versante molto indagato (e forse auspicabile). Le nuove generazioni biodigitali però non devono essere educate solo all’esistente, ma congiuntamente alla predisposizione per scenari possibili, ipotizzabili e prevedibili. I biodigitali non solo dovrebbero acquisire e sviluppare le antiche doti degli esploratori del mondo fisico esistente, ma andrebbero educati criticamente ad essere esploratori del possibile e del possibile digitale, compresa una forte capacità di valutazione preventiva dell’impatto ambientale. LE PROGRAMMAZIONI DI ROBOT Vi è una diffusa accezione del digitale che lo vede: - solo sotto forma di computer, - oppure pensa al digitale in forma ‘magica’ o ‘horror’ e concepisce la dimensione virtuale come il Maligno in una versione aggiornata e più sottilmente perversa - oppure concepisce il digitale capace di ‘pensieri elettronici che domineranno gli uomini e li sottometteranno 5 lo scanner consente l’analisi e la riproduzione di superfici interfacciabili (foto, superfici di materiali vari, documenti scritti, cartografie, tessuti, carte da parati, ecc.). Un fascio luminoso analizza il reperto scorrendolo per linee parallele e prossime. Il raggio riflesso si comporta come una fotocellula che traduce il segnale luminoso in segnale elettrico analogico. Il prodotto è equivalente ad un lettore ottico che trasforma un elemento materico in sistemi utilizzabili in word processing compreso il trattamento di immagini. Dispensa n.1 “Pedagogia dei Luoghi” G. Righetto 15/6
  • 16. NuoviAbitanti www.nuoviabitanti.it associazione culturale - oppure correla il digitale solo come un elaboratore di dati che sforna tabelle, diagrammi, relazioni tecniche, documenti scritti, insomma un supporto decisivo per un mondo che è diventato o sta diventando tutto un ufficio. Un digitale distorto (specie in versione e-travet) Il peggior modo per lavorare con il digitale è partire da una visione distorta dello stesso. Oltre alle distorsioni appena ricordate ve n’è una di fondamentale, assai diffusa nel mondo scolastico e formativo: il Digitale concepito come Burotica, ossia la branca informatica mirata ad attività di ufficio. La burotica è •fortemente computercentrica, nel senso che considera il computer ‘lo’ strumento di lavoro •ha sostituito tutto il vecchio armamentario da ufficio (penne, matite, calcolatrici, archivi, schedari, macchine da scrivere, squadre, righelli, gomme, evidenziatori, il desk insomma) con computer • gestisce un mondo enfaticamente cartaceo mediante i prodotti dell’interfaccia stampante Soprattutto concepire il mondo digitale con l’egemonia del lavoro di ufficio è una modalità fortemente irrealistica. Il mondo digitale è semmai espresso (e molto di più) nella robotica. ROBOTICA La robotica (di cui faremo cenno più esplicito nei successivi lavori ad extra): - riguarda quel particolare tipo di macchine che prima delle applicazioni dell’elettronica ed informatica era definito automa, ossia macchine in grado di eseguire operazioni una volta messo in moto un processo programmato meccanicamente. Più propriamente erano macchine semoventi a procedura fissa: una volta partite eseguivano tutto il programma meccanizzato predisposto. - la robotica va ben oltre il concetto di automazione, perché introduce la pratica dell’interazione con l’ambiente ed infatti la sequenza:  informazione proveniente dal contesto ambientale  valutazione dei segnali recepiti  azione conseguente ai segnali recepiti messi in correlazione con una gamma di programmi da scegliere sono le tre caratteristiche fondamentali che distinguono un automa da un robot, che più sinteticamente può essere definita una macchina relazionale. Il carattere forte del digitale sta nell’essere una tecnologia trasformativa che agisce nell’ambiente reale secondo una base di informazione di cui è precedentemente dotata e messa in connessione per interagire con il reale. La burotica, pur essendo una tecnologia importante, è una tecnologia che appartiene al mondo dei linguaggi e i linguaggi producono segni e gestiscono segni. Se questi segni non diventano comandi Dispensa n.1 “Pedagogia dei Luoghi” G. Righetto 16/6
  • 17. NuoviAbitanti www.nuoviabitanti.it associazione culturale tradotti in azioni nell’ambiente fisico-reale, i segni rimangono rinchiusi nel mondo semiotico e non incidono sul reale, sono tecnologia informativa, ma non tecnologia trasformativa. Una tecnologia raggiunge la sua pienezza quando i registri informativi si traducono in registri operativi. Educare le generazioni biodigitali ad appartenere consapevolmente ed attivamente alla propria contemporaneità significa introdurli criticamente alla tecnologia trasformativa loro propria, che è una integrazione forte di informazione digitale e operatività digitale espressa da robot, ossia macchine in grado di gestire: - sensori con cui i robot ricevono informazioni esterne al loro mondo. - motori che eseguono movimenti automatizzati conseguenti alle informazioni dei sensori e in coerenza con procedure pre-programmate che prevedono una gamma categoriale di comportamenti correlati a certe situazioni descritte dai sensori - un prodotto ( o più prodotti finali) che si manifestano nell’ambiente reale in conseguenza dell’interazione e relazione tra sensori, motori, programmi predefiniti. Fatta questa premessa tra i mediatori computeristici vanno inserite anche le programmazioni dei robot6 Esse si rivelano programmazioni di comportamento elaborate all’interno di un computer o del microprocessore, per cui vengono ipotizzate alcune situazioni rilevabili dai sensori e si correlano quelle situazioni a determinate sequenze di movimento dei motori che inducono alcune sequenze di azioni che hanno effetto sui sistemi di trasmissione di moto e producono, nel sistema reale, un insieme programmato di azioni trasformative. Tutte le operazioni che avvengono per programmare il robot sono dei mediatori, ossia azioni digitali che si ripercuotono sull’assetto interno del computer e del microprocessore, ma non hanno alcun effetto pratico, finché non viene allestito il collegamento del programma con il robot e non viene posto il robot nell’assetto ambientale idoneo per far funzionare la macchina relazionale. La programmazione del robot è quindi fondamentale, ma non è ancora una vera tecnologia trasformativa, essa è un medium o meglio un mediatore perché il processo trasformativo avvenga. Quando si avrà al completo la macchina relazionale – robot ( ossia programma – sensori – motori – sistemi di trasmissione – relazione con l’ambiente reale), solo allora si sarà in presenza di un vero robot e non di un robot potenziale. Però proprio dal contesto reale si potrà distinguere la differenza tra 6 La Lego ha predisposto dei robot lego, dotati di un microprocessore che si interfaccia con un computer per la programmazione dei comportamenti, l’impianto digitale è anche dotato di sensori (in grado di percepire delle differenze ambientali – es. chiaro-scuro, sgombro - barrierato, piano sonoro costante – apparire di una variabile sonora, secco-umido, ecc. [ma in futuro sono ipotizzabili altre variabili ambientali recepibili con differenti sensori]. Le informazioni recepite dai sensori possono essere correlate a dei motori per in quali si possono programmare dei comportamenti, ossia rotazioni, moto lineare, moto misto lineare- ruotato e viceversa, arresti di una certa durata e ripartenze sempre di una durata stabilita, andamenti circolari iterati anche questi con una durata o indeterminati fino al sopraggiungere di un diverso segnale da un sensore, ecc.) I motori sono collegati ad alcuni sistemi di trasmissione di moto (ruote, rulli, nastri a scorrimento, bracci e leve mobili) sono questi ad interfacciare il mondo reale inducendo delle trasformazioni o comunque delle azioni. E’ in questo che si riconoscono nella robotica i caratteri della Tecnologia della Trasformazione. Dispensa n.1 “Pedagogia dei Luoghi” G. Righetto 17/6
  • 18. NuoviAbitanti www.nuoviabitanti.it associazione culturale - la valutazione del robot che valuta gli stimoli ambientali secondo quanto programmato e fa succedere le azioni conseguenti all’apparire di segnali dei sensori - e la valutazione del valutatore (che è bene sia l’allievo o l’insegnante in cooperazione con l’allievo o più allievi cooperanti) La valutazione del valutatore stabilisce se il comportamento del robot : - procede secondo quanto programmato - mostra delle inadeguatezze non previste nell’impatto con il reale - predispone scenari diversi perché preavverte che l’ambiente reale possa avere più scenari - considera l’opportunità di riprogrammare il sistema robot per adeguarlo a nuove situazioni concrete che si sono affacciate rispetto a nuovi esisti che si vogliono ottenere. La programmazione del robot come mediatore quindi non è mai definitiva e può essere sempre riprogrammata, ma il livello della produzione del mediatore (anche se non è ancora azione in contesto reale) attiva una funzione-abilità fondamentale per le generazioni biodigitali: la capacità di prefigurare e pre-vedere il comportamento del robot nell’ambiente reale. Questa abilità rientra in una metacompetenza generale delle generazioni biodigitali che è il saper far fare. Il lavoro sui mediatori è pertanto importante perché attiva operazioni tipiche del digitale che si possono etichettare come simulazioni, esse non sono confondibili con le finzioni che inseguono un contesto a-reale, ma sono prodotti predefiniti per avere efficacia sul reale effettivo, sono pertanto prodotti pre-reali. In questo senso i mediatori di programmazione dei robot appartengono al grande alveo della cultura della progettazione. Educare alla robotica implica pertanto una fase rilevante di educazione - al pre-reale, - alla progettazione - alla simulazione - all’azione differita - alla tele-azione o al telelavoro. Lavorare con i mediatori robotici significa educare al tempo e spazio dell’azione digitale. Essa è spesso - differita - e dislocata. Educare al differimento e dislocazione è altro aspetto importante dei Robotanti. LAVORI AD EXTRA Il discorso appena fatto sui mediatori robotici ha già fatto delineare l’orizzonte più vero e pieno del digitale che riguarda l’azione delle macchine relazionali nel mondo reale. Solo che le macchine relazionali sono in grado di agire e lavorare - non solo in luoghi reali dove anche gli ecoidi umani sono in grado di svolgere loro azioni trasformative dirette, - ma i robot ancor più e meglio lavorano in luoghi non poche volte inaccessibili agli ecoumani o accessibili solo a condizione di alto rischio. Dispensa n.1 “Pedagogia dei Luoghi” G. Righetto 18/6
  • 19. NuoviAbitanti www.nuoviabitanti.it associazione culturale Basta citare alcune condizioni e diventa subito chiaro il quadro di accesso al reale dei robot: - le missioni spaziali robotizzate hanno già prodotto numerose azioni telelavoranti nell’elio spazio7 - le ricerche oceaniche sottomarine con prelievo di campioni, la posatura di cavi ed impianti - le operazioni di esplorazione dentro condotte o luoghi inaccessibili - i lavori robotizzati di ricerca negli strati geologici profondi - le azioni robotizzate di riparazioni satellitari nei pressi del confine atmosferico - le azioni in ambienti tossici e radianti - le azioni su cellule per ricerca e microchirurgia e biotecnologia - le azioni di nanorobot sulla struttura dei materiali - ecc. E’ chiaro allora che il ‘mondo reale’ dei robot riguarda. - il mondo esogeo (dell’elio spazio e galattico) - il mondo atmosferico - il mondo perigeo - il mondo endogeo ed endomarino - il mondo invalicabile all’umano per rischio - il mondo del nanoambiente E’ palese allora che la robotica ha una prospettiva di lavoro nel mondo reale addirittura più vasta del mondo reale possibile per l’uomo. Potremmo parlare di un mondo reale transumano. In questo mondo reale transumano cambiano le potenzialità degli ecoidi umani ed è una prospettiva a cui vanno educate le nuove generazioni biodigitali con linguaggi e procedure semplici, ma non dissonanti rispetto agli scenari in precedenza richiamati. La prospettiva del mondo reale transumano interessa fortemente i lavori ad extra: essi operano mediante oggetti digitali che producono effetti su periferiche, ossia trasduttori da bits ad atomi, con rientro nella dimensione materiale. I più ovvi sono : • robots (di cui abbiamo già fatto cenno e che costituiscono la categoria generale delle macchine relazionali in grado di gestire la sequenza informazione-valutazione – azione) • stampanti (sono forme robotiche molto diffuse e relativamente semplici. Poichè sono molto usate e traducono dati alfanumerici e grafici, le si connette al mondo della burotica, in realtà le stampanti sono automi-robot che si interfacciano con computer ed elaborano informazioni espresse in bits trasformandole in prodotti materiali riportati sulla materia carta mediante un uso programmato di inchiostri. Agiscono sull’ambiente solo quando alcuni sensori non 7 Tra le missioni spaziali robotizzare è forse opportuno ricordare il Mars Pathfinder del 1997. Esso “ha trasportato fino a Marte una sonda di atterraggio e una Rover capace di viaggiare sulla sua superficie. L’atterraggio è avvenuto con successo nel luglio del 1997. La Rover a sei ruote, chiamata Soujourner, ha esplorato l’area vicina al Lander [struttura che ha permesso l’assuolaggio]. L’obiettivo primario della missione è stato il dimostrare la fattibilità di un atterraggio a basso costo sul ruolo marziano. Nel 2005 è previsto che il Mars Surveor con quella missione raccolga con la Rover robotizzata campioni di suolo di Marte e li riporti sulla Terra” si veda D.BEDINI Breve storia della conquista dello Spazio 1998, Milano, Bompiani Dispensa n.1 “Pedagogia dei Luoghi” G. Righetto 19/6
  • 20. NuoviAbitanti www.nuoviabitanti.it associazione culturale completamente automatici (per lo più) segnalano che l’assetto dell’ambiente è idoneo alle operazioni concrete di stampa: ordine di stampa con adeguate impostazioni di pagina, stampante accesa, fotocellule o sensori che rivelano l’esistenza della carta e della cartuccia appropriata a stendere inchiostri o condurre operazioni laser.) E’ assolutamente importante mostrare la modesta ma reale natura robotica delle stampanti perchè la connessione bits-atomi ossia digitale-reale è operante in una delle periferiche più semplici e diffuse. Quando poi parleremo dei lavori tele, le e-mail e la posta elettronica in genere, metteremo in evidenza la natura robotica a distanza dei prodotti digitali che ‘agiscono’ in un computer, inducono trasformazione in un computer lontano, il materiale digitale teletrasportato (se opportunamente predisposto e interfacciato con un robot stampante) traduce i bit teleinviati in atomi reali riscontrabili su carta e altro supporto mediante dei traccianti materiali. • Videoproiezioni Anche il videoproiettore è una periferica che può interfacciarsi con il computer. Esso consente di proiettare su uno schermo (anche di discrete dimensioni) il prodotto visivo che compare sul monitor di un computer. In tal modo è possibile mostrare a un numero di persone, anche considerevole, un prodotto già confezionato e compreso in un file, oppure fare delle operazioni per mostrare direttamente gli esiti mentre questi si realizzano. L’azione è di tipo dislocato, perché viene elaborata nel computer e i risultati visibili si colgono in un punto non prossimo (anche in stanze e luoghi non vicini). Anzi nel caso delle videoconferenze la dislocazione ha effetti particolarmente dislocati. Il videoproiettore è dispositivo robotico di tipo visivo ( o meglio automa digitale come preciseremo più sotto), esso consente che alcune operazioni visibili avvengano in automatico, una volta garantite alcune condizioni ambientali (la connessione del dispositivo con il computer e la sua compatibilità; la ricezione del segnale, la messa in connessione di un file elaborato allo scopo, una certa condizione di luminosità del contesto ambientale) Un prodotto digitale può essere governato a distanza mediante i cursori della tastiera o telecomandi, ma i caratteri di robotizzazione si hanno in modo un po’ più particolare quando il prodotto digitale è dotato esso stesso di un processo automatico interno, mediante l’uso di animazioni. Le forme più ricorrenti di presentazioni di file con animazioni si hanno con prodotti tratti da Power Point e similari. • Plotter E’ una mega stampante che consente di realizzare disegni tecnici anche di grandi dimensioni, permettendo operazioni di ingrandimento o riduzione di scala ricorrendo a meccanismi di tipo pantografato dagli effetti dimensionali particolarmente rilevanti.. • Stereolitografia La stereolitografia è più propriamente un dispositivo robotico in quanto implica l’uso di periferiche che realizzano prodotti materici tridimensionali. La stereolitografia consente di introdurre delle trasformazioni percepibili nell’ambiente reale. La stereolitografia, da un progetto digitale composto in modo compatibile con le periferiche stereolitografiche, traduce le informazioni digitali in comandi operanti su alcuni bracci che Dispensa n.1 “Pedagogia dei Luoghi” G. Righetto 20/6
  • 21. NuoviAbitanti www.nuoviabitanti.it associazione culturale distribuiscono resine o altri materiali fluidi a strati sottili, secondo una forma a sezione predisposta dal programma digitale. La sovrapposizione di molti strati di resina, o altro materiale plastico che poi si solidifica, consente di realizzare prototipi, modelli, plastici, proto-oggetti sperimentali, ecc. La stereolitografia non è che una forma particolare di sistema CAD-CAM. Questo livello (stereolitografia e CAD-CAM) è molto elaborato e costoso ed è difficilmente agibile all’interno della scuola, ma è bene che gli allievi siano in grado di vederlo in azione in aziende specializzate e in centri di ricerca. Tali tecnologie richiedono software applicativi in grado di favorire la progettazione e la successiva realizzazione in vari campi lavorativi (oggettistica di design, produzione meccanica, costruzioni, edilizia, ecc.). Le macchine utensili sono i robot che implementano la progettazione digitalizzata. ecc. Se si è voluto insistere sugli elementi strutturali che fanno delle periferiche dei robot, lo si è fatto per insistere su un concetto di Tecnologia Digitale Integrata (ossia Tecnologia dell’Informazione + Tecnologia della Trasformazione), ma sarebbe più preciso dire che sono dei robot incompleti perché interagiscono in maniera molto blanda con l’ambiente circostante, in quanto dotati di sensori poco duttili. In questo senso ristretto è più esatto definirli automi digitali piuttosto che Robot dotati di un livello elevato di interazione. Potremmo anche definirli Robot a ricaduta operativa chiusa in quanto non sono in grado di cogliere dall’ambiente esterno informazioni differenziate rispetto alle quali cambiare le risposte operative tra una gamma di possibilità correlate alla natura dell’informazioni ricevute dai sensori. I Robot in senso stretto sono invece dotati di sensori a gamma larga e in questo senso sono Robot con una identità maggiormente aperta. Dispensa n.1 “Pedagogia dei Luoghi” G. Righetto 21/6
  • 22. NuoviAbitanti www.nuoviabitanti.it associazione culturale LAVORI TELE Il mondo digitale di massa ha conosciuto un profondo cambiamento quando per un gran numero di persone si aperta la possibilità di lavoro in rete, potendo produrre e inviare prodotti digitali a distanza. E’ un fenomeno che si è conclamato nei grandi numeri tra il 1993 e il 1994 con il consolidarsi di Internet e WEB. L’attività in rete che permette di gestire trasformazioni e prodotti a distanza configura le caratteristiche della tipologia catalogabile come lavori tele. Essi sono oggetti o processi digitali operanti in dimensioni spaziali e temporali non isocrone e isoestese, insomma veicolano non in vicinanza dei produttori e dei recettori, anzi consentono la messa in relazione prescindendo dalle grandi lontananze e in genere dilatano la dimensione spaziotemporale con cui si lavora. I lavori tele si appoggiano a contenitori digitali che accolgono materiali provenienti da altrove e permettono ai recettori di ‘scaricare’ i materiali inviati o visualizzandoli o sonorizzandoli o interfacciandoli con periferiche e robot e quindi trasferendo i bits in supporti tali da organizzare atomi in grado di far assumere la dimensione materiale e collocata in ambiente fisico. I contenitori digitali sono molteplici ma essenzialmente si riconducono a tre tipologie: 1) i siti 2) gli indirizzi di posta elettronica 3) i motori di ricerca. 1) I siti sono luoghi digitali in cui si trovano risorse digitalizzate di varia natura (visiva, alfanumerica, fonica, procedurale, informativa in genere) che possono essere consultate o prelevate. I siti sono stazioni in quanto contesti digitali a cui si può giungere mediante percorsi e indirizzi elettronici. Nei siti si può sostare ed effettuare una visita digitale, ma sono anche ‘luoghi’ da cui si esce per dislocarsi digitalmente altrove. Nei siti è esplicita la natura dei viaggi digitali, transiti da una stazione digitale ad un’altra. Ma in una stazione digitale avviene anche spesso di trovare indicazioni per recarsi in altri siti. Nelle stazioni digitali vi è similarità con le stazioni fisiche dove sono possibili le corrispondenze e le coincidenze per trasferirsi in altre tratte o rotte. Nei siti questo processo di cambio di direzionalità è rappresentato dai links: essi conducono ad altri siti o ad altri oggetti tele. E’ molto importante educare le generazioni biodigitali a viaggi digitali consapevoli di cui siano in grado di - descrivere il processo - costruire una mappa telematica, ossia di organizzazione degli spazi digitali secondo una topologia di connessioni e relazioni. Vanno promosse le strategie: - del giungere - della gestione del bagaglio telematico e del trasporto di materiali digitali Dispensa n.1 “Pedagogia dei Luoghi” G. Righetto 22/6
  • 23. NuoviAbitanti www.nuoviabitanti.it associazione culturale - del ripartire avendo chiara la destinazione - della costruzione di viaggi digitali complessi in cui vi sia attraversamento e azione in più stazioni digitali ossia in siti sia di tipo noto sia di ricerca. La produzione e la strutturazione consapevole di un viaggio digitale è un tipico oggetto e prodotto tele. 2) La posta elettronica è solo in parte simile alla posta materiale. Ossia non bisogna confonderla con la sola gestione delle lettere. Una lettera è uno scritto che transita da un luogo ad un altro mettendo in connessione un mittente con un recettore. L’e-mail è anche questo, la sola differenza sta nel fatto che la scrittura è digitale e non deve passare attraverso mediatori fisici come la cassetta postale, il viaggio fisico di trasporto e la consegna del postino al destinatario. Tutte le operazioni avvengono in rete e sono gestite direttamente dal mittente e dal destinatario dalla loro postazione elettronica. In realtà l’e-mail presenta molte più opportunità ed è più simile ad un corriere digitale: è più complessivamente un veicolo di trasporto digitale. Che cosa venga trasportato è difficile dirlo, perché si potrebbe affermare che è trasportabile tutto quello che è configurato in forma digitale e sta al di sotto dei limiti di capienza del mezzo (problema della gestione della pesantezza). Una lettera digitale è più rappresentabile come un locomotore che porta a destinazione un convoglio, infatti al locomotore digitale si possono attaccare tanti ‘vagoni’ diversi, mediante la procedura dell’attachment. Il limite sta nella capacità di trasporto del ‘locomotore digitale’ che non è indefinita, ma ben delimitata. Per cui, conosciuti i limiti di capienza, si possono programmare più viaggi digitali, fino al conseguimento dell’obiettivo di trasporto che si voleva raggiungere. In taluni casi si pongono problemi pratici di ‘eccedenza’ degli oggetti da trasportare. Ecco allora che è importante educare le generazioni biodigitali a costruire gli assetti idonei al trasporto. Comprese non solo le operazioni di ‘snellezza’, ma anche la capacità di distribuire il carico in più parti fra loro componibili e cioè appropriate per essere riassemblate dal destinatario in contesto diverso dalle operazioni in rete. La posta elettronica è inoltre un organizzatore relazionale, nel senso che è un mezzo veloce per stabilire accordi di comportamento con i comunicanti in rete: - fissare appuntamenti on line, - scandire i tempi di lavoro fuori rete, - concordare i lavori, - scambiarsi i prodotti secondo una tempistica concordata, - stabilire di allargare la rete degli interlocutori, - navigare in rete per perseguire obiettivi comuni, ecc. I due caratteri primari di - veicolo di trasporto digitale - organizzatore relazionale Dispensa n.1 “Pedagogia dei Luoghi” G. Righetto 23/6
  • 24. NuoviAbitanti www.nuoviabitanti.it associazione culturale richiedono un preciso approfondimento formativo e una pedagogia dello stare ed agire in rete esprimendo una socialità digitale attiva. 3) I motori di ricerca Sono strumenti di accesso alla ‘territorialità digitale’. Appartengono ad una organizzazione che gestisce il sistema delle connessioni. A seconda della ‘forza’ dell’organizzazione e delle finalità dell’organizzazione la quantità e la tipologia delle connessioni risulta più o meno ampia, strutturata ed articolata. Oggi i motori di ricerca sono equiparabili alle vecchie dogane degli stati tradizionali: ossia luoghi preposti al controllo e al permesso di passaggio di beni e persone alla frontiera di uno stato. L’accesso ai motori di ricerca dipende da come è organizzato il ‘territorio telematico’ e cioè da come funzionano le istituzioni che lo organizzano, fra queste le più importanti sono rappresentate dai server e dai provider. Essi corrispondono agli stati e alle regioni fisiche e l’intera rete costituisce il pianeta digitale. A seconda dello “stato” in cui si entra, vi si trovano risorse, percorsi, regole a disposizione e da valorizzare e rispettare. I motori di ricerca sono di fatto gli uffici di informazione, gli sportelli di accesso aziendale o turistici degli stati e regioni digitali. Se si fanno domande giuste (e cioè chiare, brevi e mirate) e la struttura d’informazione è ben organizzata e dotata di numerose risorse e fonti di informazione, allora essa fornirà in modo automatizzato o robotico dei buoni indirizzi, dei preorientamenti e dei suggerimenti di percorso e viaggio. Alle generazioni biodigitali è corretto fornire una visione gestibile della spazialità-territorialità del pianeta telematico, facendo percepire che ci sono ‘stati e regioni’ evoluti, stati e regioni abbozzati e poco organizzati, siti più riconducibili al vecchio far west e sitalità8 in cui le regole sono improprie e più vicine alla criminalità e alle mafie. L’assetto giuridico e geodigitale non è ancora ben definito, anche se in continuo straordinario miglioramento. Nelle procedure del caring, del farsi carico e prendere cura, esiste anche una dimensione etica di rete, che è aspetto non indifferente e di notevole carica educativa. Precisato in modo rapido che i lavori tele appartengono ad una organizzazione di estensioni telematiche dotate di regole in progress, è opportuno mettere in evidenza che i lavori in rete non stanno in opposizione o incompatibilità con i lavori ad intra effettuati nei sistemi computercentrici, né sono privati di sostenibilità e compatibilità con i lavori ad extra. I lavori ad intra e ad extra sono lavori a definizione variabile che in ogni momento possono trasformarsi in lavori tele non appena, e se, si sono realizzate le condizioni della connessione in rete ossia quando la possibilità di produrre un inserimento in un veicolo digitale on line e di produrre una qualche forma di organizzazione relazionale telematica presentano l’assetto richiesto. 8 con sitalità si intendono organizzazioni di spazi telematici dotati di confini, accessi, regole di selezione-fruizione, modalità di scambio, interazione e uso di risorse, pratiche di rifiuto e barrieramento, criteri di legittimazione, ecc. Dispensa n.1 “Pedagogia dei Luoghi” G. Righetto 24/6
  • 25. NuoviAbitanti www.nuoviabitanti.it associazione culturale Molti lavori tele inglobano lavori ad intra, lavori mediatori e lavori ad extra, solo che li dislocano a distanza e in più esplicitano alcune modalità specifiche quali:  Il telelavoro  La telesplorazione  Il telerilevamento  La telerobotizzazione  L’interfaccia satellitare  La videoconferenza i lavori ad intra rivelano • un alto tasso di individualizzazione • il rischio di frammentazione arelazionalità. Come compensazione richiedono  una socializzazione della didattica digitale:  la Metodologia dell’infostazione9 (computer portatile, videoproiettore, videocamera, sistema audio)  l’esercizio di Didattica di team I lavori dei mediatori richiedono la riflessione sia nella produzione ad intra sia sulla propensione all’extra, quindi devono manifestare una apertura con potenzialità duplice I lavori ad extra richiedono - una forte riflessione sulla pedagogia dell’operatività biodigitale - in cui il saper far fare è l’elemento cruciale, sapendo gestire  la regia dei tools  la pluricodicità e la policomunicazione  la concertazione dei collaboranti e il team digitale  le comunità on line  le empatie differite e dislocate  la robotizzazione differita e dislocata  il sottrarsi al rischio della sindrome dello Charlot fordista di Tempi moderni: i soggetti che diventano periferiche del sistema digitale PENSIERO ZAPPING - POWER POINT 9 L’Infostazione è un’organizzazione digitale con un assetto hard organizzato per interconnessioni e in grado di sostenere un lavoro di team in un’aula trattata secondo una didattica multimediale e digitale. Se ne parla in modo più articolato in un’altra scheda del presente lavoro. Dispensa n.1 “Pedagogia dei Luoghi” G. Righetto 25/6
  • 26. NuoviAbitanti www.nuoviabitanti.it associazione culturale Uno dei fenomeni che caratterizzano le generazioni biodigitali è l’utenza massiccia di telecomando.10 Esso viene usato in numerosi contesti per azionare dispositivi tecnologici di varia natura. Ma quello a cui rivolgeremo maggiore attenzione è la connessione tra telecomando e televisore. Il dispositivo nato nel 1956 negli Usa ha cominciato ad avere una diffusione massiccia a partire dagli anni 70. Da allora una quantità enorme di popolazione si è abituata a selezionare i programmi a distanza con un semplice gesto e cliccaggio. Progressivamente i programmi televisivi hanno perso i caratteri della paleotelevisione e cioè la visione continuata dopo che si è acceso il televisore, collocati su un canale ad un’ora prestabilita. La propensione era assistere ad uno spettacolo dall’inizio alla fine. Questo costituiva un modo gutenberghiano e lineare di guardare la televisione, perché mimava la fruizione di un libro che va dall’introduzione alla conclusione. A rompere la propensione gutenberghiana e lineare ci pensò la pubblicità che operò la sua incursione nei programmi non già in modo gutenberghiano (e cioè prima o dopo uno spettacolo come avveniva e in gran parte avviene al cinema che mantiene un impianto gutenberghiano senza interruzioni pubblicitarie durante il film [e si spera rimanga tale]). Nella televisione invece la pubblicità fece irruzione dentro lo svolgimento di uno spettacolo. La pubblicità non solo rese ‘naturale’ l’immissione di concrezioni estranee allo spettacolo televisivo, ma portò alla consuetudine della fruizione non lineare dello spettacolo stesso. Trasformò insomma l’interruzione in norma. Paradossalmente il telecomando televisivo nacque in funzione anti pubblicitaria. Il presidente della società Zenith, produttrice di radio e televisori, Eugene McDonald, era insofferente alla pubblicità televisiva e per questo diede incarico all’ingegnere Adler di progettare e realizzare un dispositivo che rendesse muta la pubblicità. Lo considerava un dispositivo transitorio perché negli anni 50 supponeva che la pubblicità non avrebbe resistito nella televisione data la sua fastidiosità. In realtà la pubblicità non scomparve, ma i telespettatori da allora hanno scoperto che era possibile schiodarsi facilmente da un programma e dislocarsi in un altro programma con un semplice gesto e passare anzi da un programma all’altro senza più avere una fruizione lineare di uno spettacolo. Il palinsesto11 (cioè la programmazione delle sequenze degli spettacoli) non dipende più dalla sola volontà programmatrice dei curatori di un canale televisivo, ma ogni utente può costruire un proprio palinsesto. Egli così passa disinvoltamente da un canale all’altro, mosaicando vari spettacoli, per cui egli assiste ad un proprio spettacolo, di cui è il regista, il ‘prodotto’ è fatto da una serie di spezzoni a cui egli attribuisce se non del senso almeno dell’attrattività, o almeno la capacità di stimolare in modo alettante sul piano percettivo e sensoriale. Con questa pratica, definita anche “zapping”12 si consolida la questione del “pensiero zapping” che andiamo a discutere. 10 Il telecomando è un dispositivo che consente la trasmissione a distanza di comandi, usando segnali elettromagnetici, infrarossi o ultrasuoni recepibili da un altro dispositivo tecnologico dotato di ricevitore immesso nel mezzo da comandare. Il telecomando televisivo è nato nel 1956 ad opera di Robert Adler che denominò il dispositivo “Space Command”. Esso consente di cambiare canale, accendere e spegnere il televisore e selezionare tante altre operazioni. Funziona appunto ad ultrasuoni e l’atto che sia in funzione è segnalato inizialmente anche sullo schermo televisivo con la comparsa di barrette o icone che rivelano l’operazione ain corso con comando a distanza. 11 Palimpsestos: raschiato per scriverci ancora (palin - di nuovo – psan – raschiare) In realtà l’antico termine, traslato in campo televisivo ha subito una reinterpretazione ed ha sssunto il senso di quadro d’insieme, prospetto e organizzazione delle trasmissioni televisive programmate per un certo canale televisivo lungo un determinato periodo con ancoraggio ad alcune fasce orarie predefinite. Si è così ‘raschiata’ la precedente concezione di palinsesto inteso come antico codice di manoscritto su pergamena su cui, raschiata una precedente scrittura, viene riportato un nuovo scritto. Dispensa n.1 “Pedagogia dei Luoghi” G. Righetto 26/6
  • 27. NuoviAbitanti www.nuoviabitanti.it associazione culturale La prolungata pratica del mosaicare uno spettacolo televisivo ha introdotto un nuovo stile di pensare e gestire l’attenzione e la costruzione di sequenze. La rilevanza di questo stile si è fatta incidente perché le persone si espongono sempre più alla visione di spettacoli televisivi e occupano in non pochi casi parecchie ore del giorno. Tale modalità di assistere ad una comunicazione ha consolidato un pensiero assai diverso da quello sostenuto dalla struttura dei libri, ma anche decisamente lontano dallo svolgersi di un film. Somiglia maggiormente alla ‘oralità visiva’: infatti ha le caratteristiche ondivaghe dei colloqui e comunicazioni orali dove i pensieri procedono spesso per associazioni e l’interlocutore o gli interlocutori interrompono il flusso comunicativo degli altri e gestiscono momentaneamente un proprio flusso, immettendo materiale comunicativo aggiuntivo, non sempre coerente o congruente con il precedente. In un colloquio e una comunicazione orale ben difficilmente si può stabilire cosa sia l’inizio, come proceda e come vada a finire e se mai si avrà una fine voluta o razionalmente determinata. L’oralità procede in modo discontinuo, con affermazioni, digressioni, pause, interruzioni, ripresa di un tema laterale, immissione improvvisa di una questione in poca congruenza associativa con le premesse, procedure sintetiche, dilungamenti prolissi, silenzi… L’oralità tradizionale è in gran parte prossima al pensiero zapping, solo coloro che hanno consuetudine a tenere discorsi strutturati propendono a mantenere un andamento prestabilito del discorso e anche degli scambi dialogici. Persone che sono in grado di gestire discorsi strutturati e ben sequenziali in realtà sono solidi frequentatori di libri e scritti, per cui anche quando usano il registro orale, in realtà fanno riferimento ad una struttura simile allo scritto, che si scandisce per parti e sequenze e si orienta a collocare alcune comunicazioni come premessa, altre come argomentazioni e narrazioni esplicative e altre come processo che conclude un tragitto ed un’esperienza. Sono le persone che la voce popolare un tempo descriveva come ‘quelli che parlano come un libro stampato’. Con il ricorso al telecomando televisivo, ad una quantità enorme di persone, ora è dato di manovrare un flusso di immagini, oltre ad un flusso di oralità. Quando le immagini mostrano di avere una propria logica sequenzialità e organizzazione interna allora si pongono come ‘discorso visivo’. Gran parte della cultura pittorica ha sviluppato oltre ad una gamma vasta di sistemi rappresentativi anche una sintassi molteplice ed elaborata con cui si è gestito tempo e spazio nelle immagini. Non sono mancati momenti in cui le presenze visive sono sembrate randomizzate. Ad esempio alcune pitture rupestri del paleolitico non sempre consentono di cogliere un bandolo di connessione rigorosa tra una immagine di bisonte e l’altra in cui sta un insieme di cavalli o stambecchi o mani. Può darsi che alcune immagini si siano giustapposte l’una all’altra e si siano collocate sopra qualche altra, quasi riducendone la chiarezza percettiva, quasi trattandole in forma ‘zapping’ o forse, più probabilmente molte delle logiche con cui si costruivano i palinsesti paleolitici ci sono sfuggiti e allora noi possiamo avere l’impressione che in alcune parti si manifestasse ‘un pensiero orale’ per la visualità di allora. In questo caso non possiamo spingerci in modo deciso perché ci manca il riscontro e la valutazione dei diretti interessati. E ogni discorso ulteriore può risultare arbitrario. 12 To zap, fra gli altri significati, presenta l’accezione del muoversi rapidamente, frecciare, fondarsi. Per cui lo ‘zapping’ da un generico senso di passaggio è divenuto lo saltellare da un canale all’altro durante lo using of remote control. Dispensa n.1 “Pedagogia dei Luoghi” G. Righetto 27/6
  • 28. NuoviAbitanti www.nuoviabitanti.it associazione culturale La cosa invece sembra affiorare se si considerano le vetrate romaniche o gotiche o anche i portali scolpiti, i capitelli e le configurazioni scultoree medievali. In essi non è raro riscontrare le due tipologie della rappresentazione sequenziata e strutturata, quella secondo ‘un discorso’ e quella secondo presenze di oralità visuale dove si assommano compresenze di fenomeni fra loro assai diversi. Le oralità visive sembrano isole che emergono in una comunicazione sovrabbondante e polisemica, sono episodi di senso e di rilevanza. Mentre l’arcipelago comunicativo offre un’atmosfera complessiva, le isole zoomano su un senso intenso e particolare. Ma in molti casi le vetrate, le sculture, i portali, le lunette, i capitelli medievali scolpiti invece presentano alcune sequenze temporali ben precise e delle connessioni logiche limpidamente riconoscibili. In tali casi non si tratta di una fluidità randomizzata ma di autentici discorsi strutturati, degli autentici libri di pietra con trattati biblici e teologici. Il contesto generale suggerisce in un caso di trovare singoli episodi visivi e procedere per parti, il secondo caso rivela che ogni parte è collegata all’altra e che l’insieme delle connessioni offre comunicazioni successive e di secondo livello. L’uso della scansione zapping sta diffondendo l’oralità visiva di tipo più episodico che di tipo connettivo. Si rafforzano però anche altri comportamenti. La frammentazione e il passaggio sempre più rapido da un programma all’altro conduce alla ricerca non più di un discorso visivo argomentativo, ma stimolatore, per cui si regge ad un flusso comunicativo in virtù della forza attrattiva delle immagini, altrimenti si passa ad un’altra schermata che inizialmente è attrattiva semplicemente perché è avvenuto un cambiamento e si è imposta una stimolazione nuova. Ma anche questo status presto si satura e si passa ad un cliccaggio successivo di telecomando. In tal modo molto spesso non si ricerca un ‘discorso’, ma un mixaggio di emozioni e stimoli. E’ la sensorialità che orienta più che recezione di un senso. Che questo sia un modo di concepire la comunicazione visiva lo si coglie con chiarezza nei video musicali o videoclip: nello spazio temporale in cui si snoda una canzone o un brano musicale, le immagini cambiano continuamente, con connessioni per lo più associative. Quello che prevale è uno stato di instabilità, di mutevolezza continua, una condizione di visualità che confina con lo stato onirico. Se ancora si osserva l’intervallo che si pone tra uno stacco visivo e l’altro (ma molto spesso si tratta anche di stacchi sonori e musicali), la scansione è assai ravvicinata e tende a collocarsi al di sotto dei due minuti. La presenza del telecomando e delle procedure zapping hanno cambiato anche le pubblicità. Esse sono rapide incursioni che non argomentano o raccontano storie, ma sequenze veloci con fulminee associazioni che addensano anche suggestioni di storie e grumi di comunicazione, il dato rilevante è che tendono a star sotto ai due minuti e quindi a non essere colpite dalla propensione a cliccare uno zapping. Tutto deve rimanere confinato nell’attimo di potenziale stabilizzazione che l’utente è in grado di accettare statisticamente. Questa sequenzialità visiva e sonora per microsequenze con scarsa o nulla connessione l’una con l’altra si rivelano anche in un altro prodotto videodigitale assai frequentato dalle nuove generazioni: il videogame. Dispensa n.1 “Pedagogia dei Luoghi” G. Righetto 28/6
  • 29. NuoviAbitanti www.nuoviabitanti.it associazione culturale Il videogame induce a rapide reazioni ad una situazione in cui attimo per attimo c’è una situazione e una stimolazione: l’interesse sta nella risposta repentina, nello stare congruentemente nell’attimo, mentre è quasi del tutto irrilevante quello che è accaduto prima e cosa potrà accadere dopo. Le procedure spot e zapping sono presenti anche nell’uso dei cellulari soprattutto nel caso dei messaggini SMS e si sta affermando pure in nuove forme offerte dalle foto digitali telefoniche eseguibili con il cellulare stesso e inviabili in tempo quasi reale. I messaggini conducono a forme di scrittura contratta, a spot, in cui le informazioni stesse e le idee vengono ricondotte a modalità concentrate, mosaicate e associate senza ricorrere a pleonastici connettivi logici. Il dispositivo T9 orienta inoltre all’uso di parole standard e quindi a stare dentro un linguaggio che abbia un lessico statisticamente diffuso, altrimenti occorre passare alla scrittura intenzionale lettera per lettera, con il controllo fatto passo passo, mentre il T9 esegue un autocontrollo e conforma le parole applicando un principio elementare di correttore ortografico che è utile, ma abbassa congiuntamente la consapevolezza nell’uso dell’ortografia stessa. L’uso delle faccine (ma è fenomeno in leggero declino) aveva immesso anche nei mobiles una quota rilevante di icone, per cui si comunica in modo visivo e contratto, rafforzando la propensione all’oralità visiva di cui si è già parlato. In realtà si sta diffondendo l’uso di icone da mobiles che sono prefabbricate e si pescano on line. Anche per questa via si afferma uno stile spot e zapping riferibile a forma di iconolese. Il processo molto probabilmente si rafforzerà con l’uso montante dei telefonini con foto digitali telefoniche: le comunicazioni avverranno in modo rapido e contratto trasformando una o più foto in icone e quindi riducendo ancora l’uso dell’alfanumerico per rafforzare sempre più l’iconolese zapping e l’oralità visiva. Programmi mosaicati, pubblicità contratte e con rapide sequenze, video musicali, videogames: non sono che alcuni esempi evidenti e assai frequentati dalle generazioni successive all’introduzione del telecomando. Queste generazioni sono ormai almeno due o tre e quindi lo stile zapping risulta assai diffuso non solo fra i bambini ma fino agli attuali trenta-trentacinquenni. Nel frattempo le persone che si sono rivolte o hanno continuato a rivolgersi a forme di comunicazione sequenziata e strutturata sono diventate sempre meno. I lettori di libri sono una frangia particolare della popolazione, i lettori di giornali non sono aumentati, semmai tendono a diminuire, la gente che va al cinema si è ridotta, come si sono ridotte le sale cinematografiche. Anzi lo stile zapping si è introdotto anche in questi settori: - i giornali hanno assunto molti elementi zapping. Le prime pagine ad esempio tendono ad avere molte piccole ‘finestre’ come una notizia o un’idea sono ridotte ad un frammento concentrato, chi vuol leggere un intero articolo deve andar oltre lo spot e ripescare l’articolo nell’interno, in pagine sparse. Per chi mantiene stile zapping anche nella lettura dei giornali, spesso basta il solo spot di avvio, poi si fa zapping anche sul giornale, tutto galleggia, ben poco si approfondisce. - I libri per il grande pubblico sono sempre più pagine trattate con foto e rapide didascalie. Ovviamente permangono i lettori dei libri sequenziali, ma non riguardano più la maggioranza dei lettori. Dispensa n.1 “Pedagogia dei Luoghi” G. Righetto 29/6