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OMERO NEGRISOLO
Inquinamento da metalli pesanti:
il caso della valle del Brenta
QUADERNI TEMATICI DELL’ONA QTO n. 113
2
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QUADERNI TEMATICI DELL’ONA
QTO 113
Omero Negrisolo
Inquinamento da metalli pesanti:
il caso della valle del Brenta
Editore: Osservatorio Nazionale sull’Amianto – ONA Onlus
Tutti i diritti sono riservati a norma di legge e a norma delle convenzioni internazionali
Prima edizione: 30 Settembre 2015
ISBN 978-88-99182-09-0
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Curatore: dott. Michele Rucco, Segretario Generale dell’Osservatorio
Nazionale sull’Amianto – ONA Onlus.
©Osservatorio Nazionale sull’Amianto – ONA Onlus
Proprietà letteraria riservata
ISBN 978-88-99182-09-0
Osservatorio Nazionale sull’Amianto – ONA Onlus
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Sono vietate in tutti i Paesi la traduzione, la riproduzione, la memorizzazione elettronica e l’adattamento, anche parziali, con
qualsiasi mezzo effettuate, per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello
personale senza la specifica autorizzazione dell’Editore. Le fotocopie e le stampe per uso personale del lettore possono essere
effettuate nei limiti del 15% del volume.
5
INDICE
PREFAZIONE 8
INTRODUZIONE 9
I. LO SCENARIO DELL’INQUINAMENTO DA CROMO ESAVALENTE,
NICKEL e PIOMBO
1. Dati generali
A. L’area interessata
A.1 Inquadramento geografico e geologico
A.2 Idrogeologia
A.3 Il territorio
B. La fonte inquinante
2. Le fasi dell’accertamento della sorgente
dell’inquinamento della falda acquifera del conoide
del Brenta
3. L’azienda ed il suo insediamento
4. La dimensione dell’inquinamento ambientale
A. Suolo
B. Acque della falda freatica
C. Nota sulla mobilità di cromo VI, cromo III e nickel
nel terreno e nelle acque
D. Modalità d’inquinamento del terreno e della
falda entro l’area dello stabilimento
5. Popolazione esposta
12
12
12
12
13
14
16
18
24
30
30
31
32
34
41
II. LA CANCEROGENESI
1. La dimensione epidemiologica dei tumori
2. Gli agenti cancerogeni e le situazioni in cui possono
essere presenti
3. Le caratteristiche dell’azione degli agenti
cancerogeni
43
43
43
44
III. I POTENZIALI RISCHI PER LA SALUTE DELL’ESPOSIZIONE
PER VIA CUTANEA, INALATORIA E ORALE A CROMO VI,
NICKEL E PIOMBO
1. CROMO
A. Presenza in natura, produzione e uso
46
46
46
6
B. Diffusione nell’ambiente ed esposizione della
popolazione generale
C. Tossicocinetica
C.1. Via cutanea
C.2. Via inalatoria
C.3. Via ingestiva
D. Tossicità acuta e cronica
D.1. Via cutanea
D.2. Via inalatoria
D.3. Via ingestiva
E. Cancerogenicità
E.1. Via cutanea
E.2. Via inalatoria
E.3. Via ingestiva
E.4. Altri dati rilevanti per la cancerogenesi
E.4.1. Effetti riproduttivi
E.4.2. Genotossicità
E.5. Il giudizio sul pericolo concreto per la salute
pubblica
2. NIKEL
A. Presenza in natura, produzione e uso
B. Diffusione nell’ambiente ed esposizione della
popolazione generale
C. Tossicocinetica
C.1. Via cutanea
C.2. Via inalatoria
C.3. Via ingestiva
D. Tossicità acuta e cronica
D.1. Via cutanea
D.2. Via inalatoria
D.3. Via ingestiva
E. Cancerogenicità
E.1. Via cutanea
E.2. Via inalatoria
E.3. Via ingestiva
E.4. Altri dati rilevanti per la cancerogenesi
E.4.1. Effetti riproduttivi
E.4.2. Genotossicità
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E.5. Il giudizio sul pericolo concreto per la salute
pubblica
3. PIOMBO
A. Presenza in natura, produzione e uso
B. Diffusione nell’ambiente ed esposizione della
popolazione generale
C. Tossicocinetica
C.1. Via cutanea
C.2. Via inalatoria
C.3. Via ingestiva
D. Tossicità acuta e cronica
E. Cancerogenicità
E.1. Altri dati rilevanti per la cancerogenesi
E.1.1. Effetti riproduttivi
E.1.2. Genotossicità
E.2. Il giudizio sul pericolo concreto per la salute
pubblica
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75
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81
81
82
82
IV. CENNI SULLA NORMATIVA RIGUARDO AI LIVELLI DI
CROMO VI, NICKEL E PIOMBO AMMESSI NELLE ACQUE E
NEL SUOLO
1. Acque destinate ad uso umano
2. Acque destinate allo scarico in pubblica fognatura o
al convogliamento ad impianti di depurazione
3. Suolo, sottosuolo e acque sotterranee
84
84
84
85
V. VALUTAZIONI CONCLUSIVE SUI POTENZIALI RISCHI PER
LA SALUTE DELL’ESPOSIZIONE PER VIA CUTANEA,
INALATORIA E ORALE A CROMO VI, NICKEL E PIOMBO 86
Appendice
1. Acronimi e definizioni
2. Tabelle
89
90
97
Bibliografia 102
8
PREFAZIONE
L’inquinamento ambientale che trae origine dalle attività produttive
è un argomento che ormai da lungo tempo viene affrontato in diverse
sedi, non sempre con i dovuti approfondimenti e la dovuta cognizione di
causa, la cui assenza lascia aperta la porta, da un lato, per una
interpretazione riduzionista operata da parte dei responsabili e dei loro
sodali, e, dall’altro, per atteggiamenti molto spesso troppo condizionati
dall’emotività con difficoltà ad avere una chiara comprensione della
situazione.
Questo lavoro va in direzione opposta: partendo dall’analisi svolta
per la Procura di Padova che ha accertato la massiva contaminazione
ambientale da metalli pesanti dell’alta valle del Brenta, i dati relativi sono
stati rielaborati e rapportati ai potenziali rischi per la salute derivanti
dall’esposizione per via cutanea, inalatoria e orale a cromo esavalente,
cromo trivalente, nickel e piombo, liberati nell’ambiente da un
insediamento produttivo.
L’accuratezza, la precisione, le fonti documentali e i riscontri pratici
utilizzati per indagare l’entità del fenomeno inquinante e la
cancerogenicità dei prodotti chimici interessati, costituiscono un punto di
riferimento per ogni approccio teso ad evidenziare la potenziale criticità
per la salute delle persone in situazioni del genere.
L’obiettivo della pubblicazione, quindi, è proprio quello di fornire
l’indicazione dell’approccio corretto, basato su un metodo razionale ed
efficace, per indagare in maniera scientifica fenomeni che, purtroppo, si
fanno sempre più numerosi e che coinvolgono il destino di tantissime
persone.
Roma, 30 luglio 2015
Michele Rucco
Segretario Generale dell’ONA Onlus
9
INTRODUZIONE
La massiva contaminazione da cromo esavalente, cromo trivalente,
nickel e piombo delle matrici suolo ed acqua sotterranea nella zona
compresa nei comuni di Tezze sul Brenta (VI), Cittadella e Fontaniva (PD),
che costituisce l’oggetto del presente lavoro, è stata scoperta nel 2001 e la
sua conoscenza si è progressivamente arricchita nel corso degli anni 2002
– 2006.
Dapprima la contaminazione è stata accertata dalle autorità
amministrative competenti (fra queste: Dipartimenti Provinciali ARPAV di
Vicenza e Padova, coordinati dall’Osservatorio Regionale Acque – ORAC –
dell’ ARPAV regionale; Comuni di Tezze sul Brenta, Cittadella, Fontaniva,
Rosà; Provincia di Vicenza; Società “Brenta Servizi” S.p.A.; Consorzio
Pedemenontano Brenta; CNR – “Grandi Masse”; APAT; Regione del
Veneto), quindi le indagini sono state coordinate dalla Procura della
Repubblica e dalla Polizia Giudiziaria di Padova e sono proseguite anche
dopo l’esercizio dell’azione penale, nel corso di quasi tre anni di
dibattimento presso il Tribunale di Padova, sezione staccata di Cittadella.
L’istruttoria è stata frequentemente arricchita con l’apporto di
importanti indagini integrative ex art. 430 Codice di Procedura Penale:
dati, referti analitici, documentazione rinvenuta o formatasi a posteriori,
sopralluoghi, esecuzione di trincee conoscitive, carotaggi, nuovi pozzi
piezometrici.
Il complesso insieme delle indagini ha accertato che l’inquinamento
era stato causato da uno stabilimento di Tezze sul Brenta (VI):
l’insediamento “Alfa”, con attività di galvanica (di seguito indicato con
“galvanica Alfa”).
I risultati di queste indagini, svolte in buona parte dal sottoscritto e
dal collega F.B. dell’ARPAV - sede territoriale di Bassano del Grappa - e la
cui rilevanza è stata evidenziata anche dai mass-media regionali e
nazionali, sono stati rielaborati e riportati in questa opera, rapportandoli
10
ai potenziali rischi per la salute derivanti dall’esposizione per via cutanea,
inalatoria e orale a tali prodotti chimici.
L’entità di questo fenomeno inquinante (si sono rilevati livelli di
concentrazione di tali elementi nell’acqua e nel suolo spaventosamente
superiori ai limiti consentiti dalla legge) e la cancerogenicità di simili
prodotti in relazione all’elevato numero di persone esposte
all’inquinamento, ha evidenziato la potenziale criticità per la salute delle
persone che vivono in quei luoghi (soprattutto insorgenze tumorali e
disturbi di tipo neurologico su bambini e anziani), le cui reali conseguenze
potrebbero essere valutate solo mediante un’adeguata indagine
epidemiologica.
Nella stesura del presente lavoro si è quindi iniziato con la
ricostruzione dello scenario espositivo dell’inquinamento da cromo
esavalente, nickel e piombo, basandosi soprattutto sui documenti
giudiziari formatisi grazie all’attività di polizia giudiziaria del sottoscritto e
del collega F.B., nonché grazie all’attività amministrativa attuata dalle
autorità competenti; documenti presenti nel fascicolo del Pubblico
Ministero di Padova e nel fascicolo del Giudice del dibattimento del
Tribunale di Padova, sede staccata di Cittadella.
Si è quindi proceduto con le acquisizioni sulla cancerogenesi in
relazione a tale fenomeno e alla disamina dei potenziali rischi per la salute
dell’esposizione per via cutanea, inalatoria e orale a cromo, nickel e
piombo, effettuate attingendo alla copiosa letteratura in materia
pubblicata soprattutto in area anglosassone.
E’ stata quindi la volta dell’analisi della normativa vigente negli ultimi
40 anni riguardante i livelli di questi elementi ammessi nelle acque e nel
suolo ed infine si è proceduto alla stesura di alcune valutazioni conclusive
sui potenziali rischi per la salute causati dall’esposizione per via cutanea,
inalatoria e orale a cromo esavalente, nickel e piombo.
Il lavoro è articolato in 5 punti:
I. lo scenario espositivo dell’inquinamento da cromo VI, nickel e piombo
oggetto della presente ricerca:
11
 area interessata dal fatto (inquadramento geografico e geologico,
idrogeologia, territorio),
 la fonte inquinante;
II. acquisizioni sulla cancerogenesi utili ai fini del presente lavoro;
III. i potenziali rischi per la salute dell’esposizione per via cutanea,
inalatoria e orale a cromo VI, nickel e piombo;
IV. cenni sulla normativa riguardante i livelli di cromo VI, nickel e piombo
ammessi nelle acque e nel suolo;
V. valutazioni conclusive sui potenziali rischi per la salute dell’esposizione per
via cutanea, inalatoria e orale a cromo VI, nickel e piombo.
Nella stesura del presente elaborato ci si è avvalsi delle seguenti
fonti:
1. dati e documentazione sullo scenario espositivo desunti:
- dall’indagine di Polizia Giudiziaria attuata dallo scrivente e dal
Tecnico della Prevenzione ARPAV F. B. nel Procedimento Penale n.
2210/2002, assegnato al Pubblico Ministero P. F. della Procura
della Repubblica di PADOVA;
- dalla perizia dei Consulenti Tecnici (Dr. L. V., Ing. S. C., P. Ind. E. S.)
nominati dal Giudice del Tribunale di Padova, sezione staccata di
Cittadella,
- dalla sentenza n. 140/06 del Giudice del Tribunale di Padova,
sezione staccata di Cittadella, passata in “giudicato”,
- dai documenti contenuti nel fascicolo formatosi durante tutto il
dibattimento del citato Giudice,
2. dati della letteratura sulle conoscenze generali dei meccanismi della
cancerogenesi e sui rischi per la salute, con particolare riguardo a quelli
cancerogeni, dell’esposizione a cromo VI, nickel e piombo;
3. normativa in tema di esposizione a cromo VI, nickel e piombo.
12
I. LO SCENARIO ESPOSITIVO
DELL’INQUINAMENTO DA CROMO VI,
NICKEL E PIOMBO
1. DATI GENERALI
L’accertamento dell’inquinamento della falda acquifera del conoide
del Brenta con cromo VI, nickel e piombo è avvenuto nel 2002 in seguito
all’effettuazione di campionamenti sulle acque per uso umano di pozzi
privati e comunali attuati nei comuni di Tezze sul Brenta (VI), Fontaniva
(PD) e Cittadella (PD) e su pozzi sentinella realizzati dal 2002 al 2006
all’interno e all’esterno del sito sorgente dell’inquinamento. Va precisato
che gli sforamenti dei limiti di legge sulle acque per uso umano dei pozzi
privati e comunali sono avvenuti solo relativamente ai valori di cromo VI.
Il dato è perfettamente concorde con le caratteristiche dei tre metalli
nel caso di episodi di inquinamento per percolamento come quello in
oggetto: nickel e piombo infatti, una volta dispersi nel terreno, tendono a
formare composti con un bassissimo indice di solubilità, mentre il cromo,
principalmente nella sua forma esavalente, risulta particolarmente
solubile in acqua. Il cromo trivalente si comporta invece come nickel e
piombo e questo giustifica la pressoché totale coincidenza dei livelli di
cromo totale con quelli di cromo esavalente nelle acque campionate.
Dal punto di vista idrogeologico, l’identificazione della fonte
inquinante e la sua caratterizzazione sono state effettuate con i rilievi
delle concentrazioni del cromo VI nelle acque dei pozzi campionati.
A. L’AREA INTERESSATA DAL FATTO
A.1. Inquadramento geografico e geologico
E’ necessario premettere alcune informazioni di base pacificamente
acquisite con tutta l’attività amministrativa e giudiziaria.
Il territorio interessato dal fatto oggetto del presente lavoro è
compreso nei Comuni di Cittadella (Padova), Fontaniva (Padova) ed in
parte Tezze sul Brenta (Vicenza).
Tale area è situata nella porzione centrale del territorio della Regione
Veneto, in corrispondenza del passaggio tra l’Alta e la Media Pianura
13
Veneta. L’Alta Pianura è formata da una serie di conoidi alluvionali
ghiaiosi, depositatisi in corrispondenza dello sbocco in valle dei grossi corsi
d’acqua, che, sovrapponendosi ed intersecandosi tra loro, hanno creato
un unico deposito in cui circola una falda di tipo freatico (acquifero
indifferenziato) che inizia a monte, a ridosso dei rilievi.
Scendendo verso la media pianura il sottosuolo è costituito da
materiali progressivamente più fini, costituiti da ghiaie minute con livelli
sabbiosi e componenti limose e argillose le quali diventano sempre più
frequenti da monte a valle.
In prossimità di Fontaniva prevalgono sedimenti a granulometria
molto sottile con conseguente passaggio dal sistema indifferenziato
(“monofalda”) a quello multifalde in pressione, rappresentato da una
porzione di territorio a sviluppo est-ovest, larga anche qualche chilometro
e variabile nel tempo, denominata “fascia delle risorgive”. La falda si
avvicina progressivamente alla superficie del suolo fino ad emergere,
anche a causa della presenza delle sottostanti lenti argillose, formando le
tipiche sorgenti di pianura dette appunto risorgive (o fontanili). Esse
costituiscono il “troppo pieno” della falda freatica dell’alta Pianura
Veneta, e finché resteranno attive assicureranno la disponibilità idrica al
sistema differenziato posto a valle.
I dati geofisici dell’AGIP Mineraria hanno permesso di stabilire che in
prossimità del Comune di Cittadella il materasso alluvionale raggiunge, ed
in alcuni casi supera, spessori di 600 metri.
A.2. Idrogeologia
L’acquifero indifferenziato presente nel sottosuolo è alimentato
dall’infiltrazione diretta delle precipitazioni efficaci, dai contributi idrici
derivanti dalle irrigazioni e soprattutto dalle dispersioni del fiume Brenta.
L’area interessata dal processo è situata a circa tre chilometri ad Est
del fiume stesso. L’influenza delle dispersioni del corso d’acqua
sull’andamento dei livelli freatici è molto forte, tale da condizionare il
regime della falda freatica, che è caratterizzata, nel corso di un anno
idrologico, da due fasi di piena (primavera ed autunno) e due fasi di magra
(inverno ed estate).
Il tratto disperdente del Fiume Brenta è compreso
approssimativamente tra Bassano del Grappa e circa un chilometro a
14
monte del limite settentrionale (superiore) della fascia delle risorgive. Il
fiume Brenta disperde una portata media annua di circa 10 -12 m3
/s.
Utilizzando i dati idrogeologici prodotti nel corso dello studio
dell’episodio inquinante, e quelli relativi ai pozzi della rete di monitoraggio
delle acque sotterranee della Regione Veneto e dell’Area di Ricarica del
Bacino Scolante in Laguna di Venezia, sono state realizzate varie carte
isofreatiche.
Dall’analisi dettagliata delle cartografie ottenute si sono tratte alcune
osservazioni:
- la direzione di deflusso media delle acque sotterranee è NO-SE,
tendenzialmente NNO-SSE nella porzione meridionale del Comune di
Cittadella, con componente maggiormente N-S nei periodi di magra, ed
E-O in quelli di piena;
- il comportamento disperdente del fiume Brenta nell’area di ricarica è
evidenziato dalla morfologia conica e divergente delle isofreatiche, e il
comportamento drenante a sud delle risorgive è evidenziato dalla
morfologia conica e convergente delle isofreatiche;
- la diminuzione del gradiente idraulico a partire dalla porzione
settentrionale dell’area scendendo verso il comune di Fontaniva è
visibile dalla minore spaziatura delle isofreatiche.
A.3. Il territorio
L’area interessata dall’inquinamento è posta a valle di una zona
industriale situata in località Stroppari in Comune di Tezze sul Brenta
(Vicenza); più a Nord inoltre esistono altre aree industriali, e precisamente
nei Comuni di Cartigliano, Rosà e Bassano del Grappa. In questi territori
esistono tra l’altro alcune aziende che utilizzano il cromo nel loro ciclo
produttivo, sia nella forma trivalente (concerie) sia in quella esavalente
(galvaniche e laboratori orafi).
Considerati i grandi volumi d’acqua presenti nel sottosuolo e
l’ottima qualità della stessa, nel territorio esaminato sono presenti da
tempo immemorabile numerosi punti di attingimento di acqua potabile.
Va ricordato, al proposito, che solo l’acqua piovana non è dello
Stato.
Chiunque pertanto può realizzare un pozzo da falda per uso
domestico liberamente e gratuitamente, salvo l’obbligo di denuncia. Già il
15
Testo Unico sulle Acque Pubbliche del 1933 prevedeva l’obbligo di
denuncia al Genio Civile; attualmente la materia è trasferita alla
competenza regionale. I pozzi privati censiti o comunque segnalati sono
2.500/3.000 nel Cittadellese, circa 2.000 nel territorio di Fontaniva.
Le derivazioni ad uso industriale sono, invece, soggette a
concessione.
E’ importante evidenziare che buona parte della popolazione ha
prelevato fino al 2001, ed in alcune aree preleva tutt’ora, direttamente dal
proprio pozzo, acqua a scopo potabile.
L’acqua è prelevata generalmente da profondità variabili tra 15 e 30
metri dal piano campagna (p.c.), per quanto riguarda i pozzi di vecchia
costruzione e circa 50 metri dal p.c. per quelli terebrati di recente.
L’acqua usata a scopo potabile è prelevata sia dall’acquifero
indifferenziato (Cittadella e Tezze sul Brenta) sia dall’acquifero
differenziato (Fontaniva); in quest’ultimo caso si sta abbandonando l’uso
della falda superficiale in quanto inquinata, preferendo il prelievo dalla
falda artesiana profonda, di ottima qualità e protetta dagli strati superiori
d’argilla.
A causa dell’elevata permeabilità dei terreni alluvionali, l’acquifero
indifferenziato è molto vulnerabile: pertanto qualsiasi sostanza sversata in
superficie è libera di percolare in profondità.
16
B. LA FONTE INQUINANTE
La causa della contaminazione è stata individuata all’interno del
perimetro aziendale della galvanica “Alfa”; il “focal point” si trova nel
sottosuolo e nella falda sottostante tale perimetro.
Il focal point può essere rappresentato come “un’enorme pastiglia” di
cromo VI ed altri metalli pesanti (soprattutto nickel e cromo III) formatasi
sotto l’insediamento produttivo da ultimo denominato galvanica “Alfa”,
nella zona industriale di Tezze sul Brenta (VI), in Via ****.
Le dimensioni della “pastiglia” sono state concretamente definite
solo nel 2005: è un tronco di cono di matrice ghiaiosa e sabbiosa, con la
base minore rivolta verso l’alto, la cui altezza raggiunge i 22 - 25 metri. La
“pastiglia” comprende tutto il materasso litoideo alluvionale dal piano
campagna fino alla “tavola d’acqua”, ossia il limite superiore della falda
acquifera sotterranea, posto a circa 22 - 25 metri sotto il livello del suolo.
Gli ioni di cromo VI, disciolti dall’acqua di processo o di origine
meteorica, attraversano il materasso ghiaioso e sabbioso alluvionale,
senza essere in nessun modo sequestrati, e la loro velocità di diffusione
nella matrice liquida è molto elevata.
Di contro, la diffusione dello ione nickel bivalente e piombo bivalente
nelle matrici ambientali, solida e liquida, è di molto inferiore;
analogamente per lo ione cromo trivalente. Ciò causa il quasi totale
“sequestro” degli ioni di nickel bivalente, piombo bivalente e cromo
trivalente nella matrice solida costituita dal materasso litoideo alluvionale
esistente sotto il perimetro aziendale della Galvanica “Alfa”.
La falda acquifera non mantiene un livello di altezza costante: la
“tavola d’acqua” si alza o si abbassa con escursioni che facilmente
raggiungono il mezzo metro anche nel breve tempo “geologico” di due
settimane; ne consegue che può verificarsi una escursione annua del
livello di falda anche di 5 metri.
Si attua pertanto il “periodico dilavamento della pastiglia di cromo
VI”, con conseguente rilascio dalla stessa di ioni di tale sostanza; gli ioni
vengono poi trasportati dallo scorrimento della falda da Nord - Nord Ovest
verso Sud – Sud Est.
Questa è la spiegazione dei rilevamenti di cromo VI nella acque
attinte da pozzi privati nei comuni di Cittadella, Fontaniva, Tezze sul
Brenta.
17
La galvanica “Alfa” nel contesto del bacino scolante in laguna di Venezia
Fino alla cessazione dell’attività produttiva, al dilavamento del
materasso litoideo contribuiva l’eluizione negli strati del sottosuolo dei
fluidi comunque provenienti dalle fasi di lavorazione, manutenzione,
depurazione, e da eventuali incidenti legati alla conduzione degli impianti.
Episodi analoghi si sono verificati in precedenza, come risulta dagli
atti processuali svolti a Cittadella presso la sezione staccata del Tribunale
di Padova, oltre che da una pubblicazione CNR del 1999: risulta che il sito
della Galvanica “Alfa” è stato fonte di altri eventi analoghi dal 1974, all’80,
all’86, all’89, al ‘93, al ’94.
18
2. LE FASI DELL’ACCERTAMENTO DELLA SORGENTE DELL’INQUINAMENTO
DELLA FALDA ACQUIFERA DEL CONOIDE DEL BRENTA
L’indagine per l’accertamento della sorgente dell’inquinamento da
cromo VI della falda acquifera, condotta in coordinamento da Procura
della Repubblica di Padova, ARPAV e Regione Veneto, ha inizio nel 2002. Il
procedimento viene avviato principalmente a seguito di due episodi:
- l’inquinamento da cromo VI di un pozzo privato nel comune di
Cittadella segnalato nel giugno 2001;
- la successiva campagna di campionamenti condotta da ARPAV su
complessivi 106 pozzi nei comuni di Tezze sul Brenta, Fontaniva e
Cittadella dall’estate 2001 al marzo 2002.
I valori superiori ai limiti di legge per 29 dei pozzi campioni hanno
consentito di definire area e entità della contaminazione.
La Procura della Repubblica di Padova ha avviato così una serie di
indagini per identificare l’origine dell’inquinamento. Sulla base dei dati
forniti da ARPAV, è stato identificato il conoide inquinato e l’area del
possibile “focal point” all’origine della contaminazione, ai confini fra i
comuni di Rosà e Tezze sul Brenta.
Ricostruita la storia antropica della zona, se ne è studiata la sua
idrogeologia.
In seguito sono state ricercate, individuate e mappate le attività
artigianali ed industriali, con particolare riguardo per quelle che usavano
nel loro ciclo produttivo dei composti contenenti cromo VI.
In questa fase, è stato ispezionato anche l’insediamento produttivo
gestito dalla società “Alfa”, con attività galvanica, che presentava un
elevato livello di degrado di strutture e macchinari e, all’interno del suo
perimetro aziendale, una palese contaminazione delle superfici scoperte
esterne alle strutture edilizie con sostanze chimiche. In particolare, nei
mesi di marzo e aprile 2002 si è constatata la presenza e la
contaminazione da cromo VI (tra l’altro per la presenza di cristalli di colore
giallo su pavimentazioni interne ed esterne al capannone produttivo) e da
nickel (per la colorazione verdognola di liquami fuoriuscenti da sacchi usati
per lo stoccaggio dei fanghi, prodotti dall’impianto interno al fine di
trattare i reflui).
19
La Regione Veneto stabiliva a questo punto di realizzare, entro il
termine del 2002, una serie di piezometri, (denominati “pozzi Pz”), ossia di
pozzi ricavati con trivellazione del terreno (terebrazione), a monte (uno) e
a valle dell’azienda (da subito tre) per meglio valutare la situazione di
inquinamento delle acque (cfr. allegati 2, 3 e 4).
Particolarmente interessante e rappresentativa è la trasformazione
antropica ed urbanistica, da agricola ad artigianale-industriale, avvenuta
negli ultimi decenni nella zona dove insiste la galvanica “Alfa”.
A seguito del fallimento della galvanica “Alfa” alla fine del 2003, sono
stati realizzati alcuni piezometri all’interno del perimetro aziendale
(denominati “Pozzi G”) che hanno consentito anche, attraverso l’analisi
delle carote di terreno, di valutare il grado di inquinamento del suolo
sottostante la fabbrica.
Il monitoraggio veniva integrato con la realizzazione di alcune vere e
proprie trincee che contribuirono anch’esse, sempre attraverso l’analisi
del terreno asportato, di quello di fondo e delle pareti, a valutare
l’inquinamento di cui sopra.
Ulteriori piezometri sono stati successivamente terebrati negli anni
che seguirono, fino al 2006, sia all’interno del perimetro aziendale, sia
all’esterno, nelle sue immediate vicinanze.
20
Numero
pozzo
Comune Via Profondità colonna
metri da pc
Acquifero
200 Cittadella Battistei, 133 Freatico
233 Cittadella Pani 25,0 Freatico
233bis** Cittadella Pani 66,0 Freatico
234 Cittadella Ponte Gobbo 16,0 Freatico
202 Cittadella Campagna Tron 30,0 Freatico
193 Cittadella Campagna Tron 18,0 Freatico
180 Cittadella Del Tron 20,0 Freatico
1154 Cittadella Postumia di Ponente 20,0 Freatico
N1154* Cittadella Postumia di Ponente 26,0 Freatico
178 Cittadella Valliera 30,0 Freatico
143 Cittadella Casaretta 30,0 Freatico
198 Cittadella Casaretta 17,5 Freatico
237 Cittadella Giusti 30,0 Freatico
146 Cittadella Fontanivese 30,0 Freatico
172 Cittadella Casaretta 25,0 Freatico
175 Cittadella Lazzaretto 20,0 Freatico
173 Cittadella Lazzaretto 20,0 Freatico
203 Cittadella Muri d'Orsato 20,0 Freatico
2 Fontaniva Marconi 25,0 Freatico
1 Fontaniva Marconi 18,0 Freatico
13 Fontaniva Carducci 15,0 Freatico
3 Fontaniva Chiesa 14,0 Freatico
4 Fontaniva Dante 18,0 Freatico
5 Fontaniva Kennedy 15,0 Freatico
6 Fontaniva Ciliegi 18,0 Freatico
196 Cittadella Pieve 15,0 Freatico
8 Fontaniva Sant'Antonio 14,0 Freatico
7 Fontaniva Della Riva 20,0 Freatico
11 Fontaniva Boschetti 15,0 Freatico
12 Fontaniva Contrà Beggio 43,0 Artesiano
10 Fontaniva Montagnola 16,0 Freatico
9 Fontaniva Cultura 43,5 Artesiano
Tabella 1. Anagrafica dei pozzi utilizzati per il monitoraggio periodico.
*Il pozzo 1154, è stato sostituito, a partire dal 02 Aprile 2002, dal Pozzo N1154.
**Il pozzo 233, è stato sostituito, a partire dal 13 maggio 2002, dal Pozzo 233bis.
Nel corso della campagna di monitoraggio avvenuta alla fine di Marzo, allo scopo di approffondire
le conoscenze nell’area posta a nord dei pozzi 234 e 202, sono stati effettuati dei sopralluoghi mirati
all’individuazione di nuovi pozzi da inserire nel controllo periodico.
Le ricerche effettuate hanno permesso di individuare un pozzo freatico, sito a Tezze sul Brenta
(M2002), realizzato alla profondità di 35 metri dal p.c.; il giorno 22 Marzo 2002 sono stati
riscontrati 140 μg/l di cromo esavalente.
21
Foto aeree dal 1955 fino all’anno 2000 della zona industriale di Tezze
sul Brenta, luogo in cui si insedierà la galvanica “Alfa”.
Tezze sul Brenta (VI). Volo 6 luglio 1955
Tezze sul Brenta (VI). Volo 31 luglio 1967
22
Tezze sul Brenta (VI). Concessione 12 ottobre 1981
Tezze sul Brenta (VI). Concessione 2 luglio 1990
23
Vicenza06.10.2004ARPAV
RoggiaBrotta
IndustriaGalvanica
Arearicercasorgente
24
3. L’AZIENDA ED IL SUO INSEDIAMENTO
Lo stabilimento industriale in cui ha operato la galvanica “Alfa” è
stato realizzato agli inizi degli anni ’70 in Via *****, nel comune di Tezze
sul Brenta in una zona a vocazione prettamente agricola. L’area in
questione si trova al confine fra quattro comuni situati in due province
diverse: Tezze sul Brenta e Rosà nel vicentino e Fontaniva e Cittadella in
provincia di Padova. I due comuni del padovano si trovano
rispettivamente a sud e a sud-est del complesso industriale.
Nel 1974 ha avuto inizio l’attività produttiva della cromatura di
elementi di arredamento da parte dell’azienda denominata “Cromatura
Beta” la cui ragione sociale, nel febbraio 1975, è stata convertita in”
Gamma”. Quest’ultima nel 1995, in seguito alla contrazione della propria
area di mercato, ha smantellato la sua attività cedendo il settore della
cromatura alla “Galvanica Alfa”. La “Galvanica Alfa” ha gestito gli impianti
galvanici “ex-Gamma” fino al suo fallimento, nel 2003.
L’attività della “Cromatura Beta” e della “Gamma” riguardava in
particolare: la lavorazione metalmeccanica di materiali ferrosi, come
taglio, piegatura e saldatura; la pulitura e smerigliatura dei semilavorati;
nickelatura, cromatura, ottonatura e argentatura dei prodotti, quindi
finitura con applicazione di vernici trasparenti e successiva cottura in forni.
La galvanica “Alfa”, in seguito alla riduzione dell’attività ha svolto
dalla fine degli anni ’90 le sole fasi di nickelatura e cromatura.
Dal momento dell’entrata in attività dell’azienda sono stati eseguiti
controlli, da parte di diversi enti preposti, sulle caratteristiche delle acque
di scarico. Da tali indagini sono emerse numerose irregolarità, in violazioni
alle leggi al tempo vigenti. Tali irregolarità sono elencate nella Tabella 1.
Da quel che si evince dalla documentazione agli atti del Tribunale,
fino al 1986 l’azienda ha scaricato i reflui prodotti dall’attività nella
“Roggia Brotta”, un corso d’acqua superficiale che scorre a margine della
strada comunale (Via *****), a sud dell’insediamento produttivo, roggia
che riceveva e riceve ancor oggi gli scarichi delle acque meteoriche di tutta
la zona industriale.
E’ altresì risultato che la condotta non era stata realizzata con tratto
di tubatura continua, bensì i tratti stessi erano (e sono) opportunamente
distanziati di alcuni centimetri al fine di creare delle “feritoie” attraverso le
quali le acque piovane (e non) veicolate potessero agevolmente
25
disperdersi nel terreno ghiaioso sabbioso circostante e sottostante,
andando più agevolmente a rimpinguare il sottostante acquifero
indifferenziato.
Successivamente lo scarico dell’azienda è stato collegato ad un ramo
di rete fognaria, nel frattempo predisposto e realizzato, che convogliava e
convoglia le acque ad un impianto di depurazione consortile.
Dopo il 1999 e fino alla chiusura dell’attività nel 2003, non sono state
riscontrate dalle autorità competenti altre violazioni dei parametri delle
leggi vigenti per quanto concerne le acque di scarico (cfr. Tabella 1).
Va evidenziato e sottolineato che, contestualmente a quanto
riportato in Tabella 1, esistono tracce documentate di episodi di
inquinamento da cromo VI delle acque di falda che attraversano gli abitati
dei comuni a valle. L’evento sicuramente più eclatante risale all’ anno
1977 quando, in seguito al campionamento su 53 pozzi privati nei comuni
di Cittadella e Fontaniva in provincia di Padova, l’ autorità sanitaria di
allora (poi USL 19) ha rilevato superamenti del limite di legge per le acque
potabili riguardo al cromo VI. Tale episodio si è esaurito spontaneamente
nel gennaio 1978. Di particolare interesse risulta il fatto che il conoide
inquinato al tempo descritto, è molto simile a quello identificato dai
campionamenti che ARPAV ha effettuato dal 2002 in avanti.
Altri episodi successivi simili, ma meno circostanziati, risalgono:
- al periodo 1980-81, in cui venivano coinvolti i comuni di Galliera
Veneta (PD), ad est di Cittadella, e Tombolo (PD) a sud-est di Cittadella,
- al periodo 1983-84, in cui furono interessati i territori in prossimità
del fiume Brenta, a nord di Fontaniva.
26
Alla distribuzione dell’acqua per la popolazione coinvolta
dall’inquinamento di cromo VI provvedono con autobotti i militari del
“Pordoi” e del “Valles”, come evidenzia la foto recuperata da un
quotidiano del 1977.
27
20 Febbraio 1980 : Comune di Tezze sul Brenta “Autorizzazione provvisoria, per
la durata di tre mesi dalla data della presente, allo scarico nella Roggia Brotta dei
rifiuti liquidi provenienti dalle lavorazioni dell’ insediamento produttivo”.
28
Vicenza06.10.2004
29
170900017100001711000171200017130001714000171500017160001717000
5055000505600050570005058000505900050600005061000506200050630005064000
0500100015002000
(metri)
Cittadella
StroppariTezzesulBrenta
Friola
Granella
Campagnari
Cusinati
Postumia
Belvedere
Valliera
Fontaniva
PontediFontaniva
SanGiorgio
inBrenta
Fontanivetta
CàTron
PMGalvanicasrl
?
pozziconconcentrazionidiCr6+
chenonhannomaisuperato50ug/l
(rete2001-2005)
pozzidellarete1977
pozziconconcentrazionidiCr6+
chehannosuperatoalmenoinun
eventoi50ug/l
(rete2001-2005)
a
b
direttricidella
contaminazionedacromo6
a:1977
b:2001
plume2001-2005
(invilupponon
temporaledeipozzi
conCrVI>5.0ug/l)
plume1977
(invilupponon
temporaledei
pozzicon
CrVI>50.0ug/l)
30
4. LA DIMENSIONE DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE
Complessivamente, le indagini condotte dallo scrivente in stretta
collaborazione con il Tecnico di Prevenzione F. B. (in forza al Dipartimento
Provinciale ARPAV di Vicenza, sede di Bassano del Grappa) e la perizia dei
Consulenti Tecnici nominati dal Giudice P. C., hanno consentito di dare
una dimensione all’entità dell’inquinamento, sia per quanto riguarda il
suolo in corrispondenza dell’insediamento industriale, sia per quanto
riguarda le acque della falda freatica nell’area interessata.
A. SUOLO
Si è giunti alla conclusione che la contaminazione prodotta
dall’attività di cromatura/nickelatura ha determinato la formazione di una
“pastiglia” di terreno inquinato, principalmente da cromo VI, cromo III e
nickel, al di sotto dell’azienda. Essa è stata descritta come una forma
tronco-conica con la base minore rivolta verso l’alto e con una profondità
di circa 25 metri. I livelli di concentrazione di cromo VI, nickel e piombo
riscontrati nel terreno sottostante l’azienda sono riassunti nella Tabella 2.
Alte concentrazioni di nickel sono state rilevate in carote ottenute da
piezometri realizzati nelle adiacenze del perimetro aziendale.
Anche l’analisi del terreno prelevato ad una profondità di 20-50 cm
durante la realizzazione delle trincee, ha consentito di evidenziare livelli di
cromo VI, cromo totale e nickel nettamente superiori ai parametri di legge
in quasi tutti i campioni.
Va rilevato inoltre che l’analisi dei fanghi di depurazione (cfr. Tabella
3), delle acque di dilavamento e di quelle dei pozzetti per la raccolta delle
acque meteoriche hanno rivelato concentrazioni di cromo VI, cromo
totale, nickel e piombo al di sopra dei limiti di legge.
L’analisi delle carote di terreno dei piezometri realizzati a varie
distanze dall’azienda, nei comuni di Fontaniva e Cittadella, non ha
evidenziato superamenti dei limiti di legge da parte degli inquinanti
ricercati. Il dato è concorde con l’assenza, in queste aree, di un
percolamento dei contaminanti dal piano di campagna alla sottostante
falda e con l’alta solubilità del cromo VI che, seppure transitando
attraverso aree di terreno non contaminate, non si àncora alla matrice
solida.
31
B. ACQUE DELLA FALDA FREATICA
L’analisi della documentazione agli atti consente di ricavare una
“fotografia” dell’andamento quantitativo e temporale dell’inquinamento
della falda freatica a valle dell’insediamento industriale.
Dalla relazione del Dottor F. M. dell’Osservatorio Regionale per le
Acque (ORAC) dell’ARPAV, si evince la criticità degli andamenti temporali
del livello della falda.
La falda freatica del conoide del Brenta è infatti alimentata per la
maggior parte dallo stesso fiume Brenta che nelle zone pedemontane
cede acqua alla falda stessa dal proprio letto per infiltrazione del terreno
ghiaioso.
Durante la stagione invernale le temperature rigide non consentono
lo scioglimento di nevai e ghiacciai e la portata del fiume è relativamente
diminuita e così anche il livello della falda è molto basso.
Nella stagione calda, lo scioglimento dei nevai e dei ghiacciai
aumenta la portata del fiume e quindi il livello delle acque di falda.
Durante i periodi di innalzamento della falda freatica la “pastiglia” di
terreno contaminato viene transitata dall’acqua in scorrimento.
I contaminanti con più alto livello di solubilità, principalmente il
cromo VI, vengono quindi dilavati dal terreno impregnato e trasportati a
valle dove vengono ritrovati nelle acque dei pozzi per uso umano e nei
pozzi sentinella terebrati negli anni precedenti.
Dai numerosi pozzi campionati nel periodo 2002-2005 al fine di
quantificare e poi monitorare gli andamenti dell’inquinamento da cromo
VI delle acque per uso umano, sono stati raccolti i dati che poi sono stati
riportati nelle specifiche relazioni peritali sullo stato idrogeologico della
falda.
I superamenti dei limiti di legge sono stati numerosi, fino a
raggiungere un valore massimo di cromo VI di 275 g/l rilevato nel pozzo
di Via Pani in comune di Cittadella (PD).
Complessivamente, il valore medio delle misurazioni delle
concentrazioni di cromo VI effettuate è risultato di 100 g/l per i campioni
con valori al di sopra del limite di legge.
Va sottolineato che l’analisi delle portate e della traiettoria della falda
effettuata dai geologi interpellati, ha condotto alla definizione di uno
32
scenario secondo il quale si può presupporre che in passato i livelli di
concentrazione di cromo VI hanno raggiunto valori anche superiori 500
g/l.
Per quanto riguarda nickel e piombo, nonostante siano scarsamente
solubili, essi erano presenti a concentrazioni al di sopra dei parametri di
legge nei “pozzi sentinella” terebrati all’interno dell’azienda (i pozzi “G”). Il
fenomeno è indicativo dell’altissimo livello di inquinamento del terreno in
quest’area.
Il nickel e il piombo hanno infatti raggiunto concentrazioni tali da
saturare la capacità del terreno di trattenerli sotto forma di composti
insolubili.
C. NOTA SULLA MOBILITA’ DI CROMO VI, CROMO III E NICKEL NEL
TERRENO E NELLE ACQUE
Il cromo VI ha una mobilità molto superiore rispetto al cromo III, in
quanto il cromo VI è molto solubile in acqua, mentre il cromo III è
praticamente insolubile e perciò si blocca facilmente nel terreno.
Di conseguenza è più facile trovare nelle acque di falda la presenza di
cromo VI.
In un ambiente neutro o tendente al basico, come il terreno o l’acqua
di falda, il cromo nella valenza bassa (cromo III) è insolubile, perché,
avendo un comportamento metallico, tende a formare idrossidi, che non
sono solubili in acqua; per trovarlo in forma solubile bisognerebbe essere
in ambiente acido.
Anche il nickel in ambiente neutro o basico tende a formare idrossidi
poco solubili: gli studi sulla mobilità dei metalli in suoli contaminati
evidenziano che il nickel è uno dei metalli meno mobili.
Per tale motivo, anche se il terreno è inquinato sia da nickel sia da
cromo VI, nella falda si rilevano alte concentrazioni di cromo VI e basse
quantità di nickel.
33
34
D. MODALITA’ DI INQUINAMENTO DEL TERRENO E DELLA FALDA
ENTRO L’AREA DELLO STABILIMENTO
Le trincee e i carotaggi eseguiti nel sito hanno evidenziato la presenza
di cromo nel terreno dalla superficie fino al livello più volte raggiunto e
superato dalla superficie della falda nelle sue periodiche oscillazioni.
Nello stabilimento la zona più inquinata comprende i piezometri G9,
G11, G5, G10, G8 e G7. Visti i valori del G11 può affermarsi, inoltre, che la
parte notevolmente più inquinata è quella che comprende la linea
galvanica attiva fino alla dismissione dell’impianto (G8, G10 e G7).
Gli inquinanti, nel caso specifico cromo e nickel, si sono infiltrati e
propagati nella porzione insatura di sottosuolo per le perdite che si sono
verificate ripetutamente nelle vasche dei bagni galvanici. Nel fondo delle
vasche dei bagni di cromo, così come nella vasca dei concentrati, sono
stati osservati dopo il loro svuotamento dei rattoppi di resina, per la
chiusura di fenditure e di zone dove la soletta di fondo vasca si era
disgregata per l’azione delle soluzioni.
Un’altra importante e costante via di dispersione e penetrazione del
cromo VI nel terreno, è rappresentata dai gocciolamenti, dai pezzi in
lavorazione al pavimento, nei passaggi dall’una all’altra vasca di
elettrodeposizione – durante le fasi della cromatura – e dall’una all’altra
vasca di lavaggio – a cromatura avvenuta.
Va evidenziato che i gocciolamenti in parola sono soluzioni acquose
di acido cromico, classificato come “molto tossico per inalazione” ai sensi
del 29° Adeguamento al Progresso Tecnico della direttiva 67/548/EEC (T+;
R26; direttiva “Seveso”), oltre che – come tutti i composti del cromo VI –
cancerogeno di categoria 2 e pericoloso per l’ambiente acquatico (N;
R50/53).
Il riscontro analitico dei percolamenti proviene dai risultati dei
carotaggi.
35
Piezometro G7-CR2
CR2
36
37
La propagazione della soluzione contenente cromo, dunque, è un
dato di evidenza sperimentale incontrovertibile.
Essa può essere avvenuta secondo due modalità, in funzione della
composizione tessiturale del terreno:
- propagazione dalla superficie alla falda secondo un percorso
verticale o sub verticale (si ha propagazione prevalentemente verticale
quando il terreno ha una composizione omogenea e non ci sono livelli o
lenti di terreno a minore permeabilità);
- propagazione con andamento verticale e laterale. E’ il caso più
frequente ed è quanto si verifica nel sito in esame (nella sua propagazione
verticale verso la falda l’inquinante subisce delle deviazioni laterali in
corrispondenza di strati di terreno a minor permeabilità, nel caso specifico
livelli a tessitura fine e strati addensati e talora cementati (livelli
conglomeratici). Il flusso inquinante, infatti, tende a deviare
orizzontalmente quando incontra livelli poco permeabili dato che la
permeabilità orizzontale è maggiore di quella verticale. L’ampiezza dello
spostamento può essere considerevole ed è in funzione all’estensione e
alla continuità dello strato meno permeabile o impermeabile, che
impedisce il percorso verticale.
Nel caso del sito della Galvanica “Alfa” le stratigrafie dei sondaggi
hanno mostrato una situazione di discreta non omogeneità in tutta l’area
con livelli a granulometria medio-fine e frequenti lenti conglomeratiche a
debole grado di cementazione. E’ quindi ragionevole pensare che la
propagazione del flusso inquinante segua tragitti diversi dalla verticalità,
raggiungendo la falda dopo aver seguito vie preferenziali di scorrimento in
rapporto alla costituzione del terreno.
38
39
Galvanica “Alfa”. Particolare di materiale impregnato da cromo VI
Galvanica “Alfa”. Sasso posizionato alcuni metri sotto la vasca del cromo.
Galvanica “Alfa”. Particolare di materiale già costituente la platea
cementizia impregnato da cromo VI
40
Galvanica “Alfa”. Sezione di un sasso del peso di circa 5 kg
prelevato alcuni metri sotto la vasca del cromo VI
Un sasso proveniente dal primo metro dell’insaturo contaminato, lo
si è immerso in acqua bidistillata.
Esso ha continuato a rilasciare per circa 6 mesi cromo VI fino a
raggiungere una concentrazione nel solvente di circa 158.000
microgrammi/litro.
41
Prelevato poi lo stesso sasso e riposto in un secondo recipiente
contenente un altro litro di acqua bidistillata, esso ha continuato a
rilasciare cromo VI:
- dopo 19 giorni di immersione la concentraz di cromo Vi nella soluzione
era di 2.000 microgrammi/litro;
- dopo 39 giorni era di 4.000 microgrammi/litro;
- dopo 83 giorni era di 6.150 microgrammi/litro;
- dopo 346 giorni era di 10.500 microgrammi/litro.
D. POPOLAZIONE ESPOSTA
La contaminazione delle acque di falda ha comportato, fino ai primi
anni ’90, l’esposizione della popolazione del territorio interessato. I
residenti delle aree interessate sono stati potenzialmente esposti in via
principale:
1. al cromo VI per via ingestiva a causa della sua diffusa
presenza nell’acqua;
2. al cromo VI per contatto con l’acqua attinta e utilizzata per
scopi igienico sanitari, per allevamento animali domestici, per irrigazione
di colture ed ortaggi.
Si è inoltre sicuramente verificata un’ importante esposizione della
popolazione lavorativa a cromo VI, nickel e piombo per contatto,
ingestione e inalazione a causa del quotidiano utilizzo per scopi produttivi
di soluzioni acquose contenenti i suddetti metalli, nonché con le matrici
ambientali particolarmente inquinate presenti all’interno del perimetro
successivo capitolo aziendale. Ne è conseguita pertanto la concreta
possibilità di “contaminazioni incrociate”, ad esempio tra i
lavoratori/maestranze e i loro familiari a causa anche solo degli indumenti
di lavoro imbrattati/contaminati).
In via secondaria, si è altresì verificata un’esposizione a nickel e
piombo nella popolazione per i motivi elencati nel successivo capitolo V.
Un ordine di grandezza della popolazione potenzialmente coinvolta è
data dal numero dei residenti dei tre comuni che, al 2001, era la seguente:
 Tezze sul Brenta (VI): 10.405 abitanti.
 Fontaniva (PD): 7.460 abitanti.
 Cittadella (PD): 18.743 abitanti.
42
Nel considerare la popolazione esposta va prestata una particolare
attenzione alle fasce a maggior rischio. Bambini, anziani, gestanti e
immunodepressi sono notoriamente i gruppi più deboli in quanto
altamente sensibili ad agenti chimici e fisici con effetti a breve e lungo
termine per la salute.
43
II. LA CANGEROGENESI
1. LA DIMENSIONE EPIDEMIOLOGICA DEI TUMORI
I tumori rappresentano oggi il più grave problema di sanità pubblica:
essi infatti sono responsabili, nei paesi industrializzati, di oltre il 30% della
mortalità. I tumori non colpiscono soltanto le fasce più anziane della
popolazione, in quanto costituiscono la prima causa di morte nella fascia
dell'età produttiva.
L'incidenza dei tumori è cresciuta gradualmente, ma costantemente,
negli ultimi decenni.
La ragione di tale incremento dipende da tre fattori essenziali:
1) l'invecchiamento della popolazione;
2) l'aumento della diffusione (per tipologia e quantità) di agenti
cancerogeni nell'ambiente di lavoro e di vita generale;
3) l'inizio della esposizione ad essi in età sempre più giovani (per alcune
tipologie addirittura fin dalla vita embrionale-perinatale-neonatale).
Se l’incidenza non diminuirà, la mortalità per cancro non potrà subire
modifiche sostanziali.
2. GLI AGENTI CANCEROGENI E LE SITUAZIONI IN CUI POSSONO
ESSERE PRESENTI
Gli agenti che hanno maggiore rilevanza nella induzione di tumori
nell'uomo sono di tipo fisico e chimico ed hanno una origine
prevalentemente artificiale. Essi sono il prodotto delle attività produttive e
consumistiche dell'era industriale: sono cioè l'effetto dei nostri modelli di
sviluppo.
Gli agenti cancerogeni sono presenti nei minerali che vengono
superficializzati (carbone, minerali radioattivi, fibre, ecc.); nel petrolio;
nelle fasi di produzione, trasporto ed utilizzo dell'energia (fossile,
nucleare, elettrica, ecc.); nella produzione di beni di consumo vari, i quali
hanno avuto un grande impulso con lo sviluppo dell'industria chimica e
petrolchimica; nei prodotti che vengono utilizzati in agricoltura (in
particolare i pesticidi) e nell'industria alimentare (conservanti, additivi,
coloranti, ecc.); nelle scorie (rifiuti solidi urbani, industriali, ecc.).
44
3. LE CARATTERISTICHE DELL’AZIONE DEGLI AGENTI CANCEROGENI
Il processo di cancerogenesi presenta alcune caratteristiche
peculiari:
a. gli effetti degli agenti cancerogeni sulle cellule sono in larga misura
irreversibili, e il processo neoplastico può pertanto continuare a
svilupparsi anche quando l'esposizione agli agenti cancerogeni è
stata interrotta;
b. non esiste una dose senza effetto (effetto stocastico);
c. esiste un rapporto fra entità dell'esposizione ed entità della risposta
neoplastica;
d. agenti cancerogeni, anche di natura diversa, possono avere effetti
additivi e moltiplicativi sulla risposta neoplastica (sincancerogenesi).
Con il termine “effetto moltiplicativo” (o sincancerogenesi) si
intende descrivere una risposta cancerogena, indotta da due o più
agenti cancerogeni, tale da determinare (rispetto all'entità
dell'effetto cancerogeno di ciascun agente) una più alta incidenza di
tumori, oppure un periodo di latenza (cioè il tempo intercorso tra
l'inizio dell'esposizione e l'insorgenza del tumore) più abbreviato, o
infine un più elevato numero di tumori nell'organo/tessuto
bersaglio predestinato.
e. L'effetto sincancerogenetico può riguardare un solo organo/tessuto
quando gli agenti cancerogeni considerati hanno lo stesso
organotropismo, oppure può riguardare più organi e tessuti se gli
agenti cancerogeni considerati hanno diverso organotropismo;
f. appare sempre più evidente, sulla base di indagini epidemiologiche
più precise e di saggi sperimentali più adeguati (soprattutto quelli
che non prevedono sacrifici a tempi arbitrari, in genere dopo due
anni, ma l'osservazione degli animali fino a morte spontanea) che la
maggior parte degli agenti cancerogeni, pur potendo avere dei
tessuti ed organi bersaglio, hanno in realtà effetti cancerogeni
multipotenti, cioè la capacità di indurre tumori di vario tipo in molte
sedi anatomiche;
g. tra l'inizio dell'esposizione ad un agente cancerogeno e l'insorgenza
delle neoplasie da esso provocate, intercorre un periodo di latenza
(incubazione) più o meno lungo, caratterizzato quasi sempre
dall'assenza di alterazioni clinicamente e patologicamente rilevabili,
45
che tuttavia si può considerare come la dimensione temporale nella
quale si attuano e si sviluppano alterazioni "minime", che
costituiscono lo stadio critico, ma forse più importante, del processo
neoplastico.
Il problema del potenziale cancerogeno ambientale e professionale e
dei suoi effetti va valutato tenendo in considerazione, oltre che il numero
e la quantità degli agenti cancerogeni immessi nell'ambiente, anche le
suddette caratteristiche degli effetti cancerogeni e del processo
neoplastico, ed in particolare le infinite possibilità di sincancerogenesi.
Oggi, in termini scientifici e per le conseguenti implicazioni di sanità
pubblica, non è corretto valutare i rischi cancerogeni in termini di singoli
agenti cancerogeni e singoli tumori specifici in organi "bersaglio": bisogna
invece considerare, innanzitutto, il rischio totale ("total risk") e la risposta
totale ("total burden"), intesa quest'ultima come la totalità dei tumori
maligni osservati. Le ricadute di questa nuova impostazione sulle
valutazioni, regolamentazione e strategie di controllo e di sanità pubblica
sono pertanto assai considerevoli.
46
III. I POTENZIALI RISCHI PER LA SALUTE
DELL’ESPOSIZIONE PER VIA CUTANEA,
INALATORIA E ORALE A CROMO VI,
NICKEL E PIOMBO
1. CROMO
A. Presenza in natura, produzione e uso
Il cromo è un elemento naturale che fa parte del gruppo VI della serie
dei metalli di transizione della tavola periodica degli elementi. Si presenta
in diversi stati di ossidazione che vanno da 2
a 6+
. La forma elementare
del cromo con stato di ossidazione 0 non esiste in natura. Le forme più
rappresentate sono quelle con stato di ossidazione 2+
(II), 3+
(III) e 6+
(VI).
Lo ione cromo più stabile è il III, seguito dal VI e dal II, che tende ad essere
rapidamente ossidato a cromo III. Il cromo VI viene naturalmente ridotto
alla forma III in presenza di materiale organico ossidabile. Tuttavia la
carenza di tale materiale nelle acque, conferisce al cromo VI una buona
stabilità quando disciolto in questa matrice (EPA, 1984).
Il cromo VI è tuttavia molto raro in natura in quanto si e si trova:
- nel minerale crocoite, un cromato di piombo (PbCrO4) (Hurlbut Jr.,
1971),
- nel minerale cromite, un bicromato ferroso (FeCr2O4),
- come prodotto antropogenico (EPA, 1984).
I composti del cromo III sono normalmente poco solubili in acqua
mentre alcuni composti del cromo VI lo sono molto di più, come ad
esempio quelli contenenti ammonio e metalli alcalini come sodio e
potassio.
L’estrazione di cromo nel 2005 ammontava, a livello mondiale, a circa
18.000.000 tonnellate (USGS, 2005a). Una seconda fonte di produzione di
cromo proviene dal riciclaggio di materiali che lo contengono in leghe di
varia natura; nei soli Stati Uniti, nel 2005, la produzione da questa
sorgente ammontava a 170.000 tonnellate (USGS, 2005a).
Il cromo è soprattutto utilizzato nell’industria metallurgica, chimica e
dei refrattari: esso viene infatti usato per la produzione di acciai, per la
47
placcatura di leghe ferrose e per la produzione di leghe non ferrose,
principalmente per la sua resistenza alla ruggine e la sua brillantezza
(IARC, 1990; ATSDR, 2000). La caratteristica di inalterabilità alle alte
temperature inoltre lo rende materiale di elezione per i rivestimenti di
forni e fornaci, mentre le sue caratteristiche ioniche ne hanno favorito un
largo impiego nell’industria dei pigmenti e del trattamento delle pelli
(IARC, 1990; ATSDR, 2000).
Per l’uomo il cromo nella sua forma III costituisce un micronutriente
che svolge un ruolo fondamentale principalmente nel metabolismo del
glucosio (potenziando l’effetto dell’insulina), ma anche di grassi e
proteine. Il cromo III picolinato viene anche utilizzato come integratore
della dieta (Broadhurst et al, 1997).
B. Diffusione nell’ambiente ed esposizione della popolazione generale
Le concentrazioni naturali di cromo nel suolo sono correlate alla
tipologia del terreno. In aree ricche di basalti, serpentini, rocce
ultramafiche e fosforiti, le concentrazioni di cromo possono arrivare ad
alcune migliaia di mg/kg (Merian, 1984), mentre in suoli di origine
granitica o sabbiosa le concentrazioni sono molto più basse (Swaine et al,
1960). Negli Stati Uniti sono state rilevate concentrazioni da 1 a 2.000
mg/kg con un valore mediano di 37 mg/kg (USGS, 1984). In Canada
analoghi studi hanno fornito un range da 5 a 1.500 mg/kg con una media
di 43 mg/kg (Cary, 1982).
Nelle acque dell’oceano le concentrazioni medie di cromo sono
attorno a 0,3 g/l (Cary, 1982), molto inferiori rispetto ai 5 g/l dei laghi
(Borg, 1987) e ai 10 g/l dei fiumi (Eckel et al, 1988).
La concentrazione di cromo totale a livello atmosferico negli Stati
Uniti è tipicamente fra 0,005 e 2,6 ng/m3
in aree remote (ATSDR, 2000); al
di sotto dei 10 ng/m3
nelle zone rurali e di 10-30 ng/m3
nelle aree urbane
(EPA, 1990). I livelli di cromo nell’ambiente domestico sono invece stati
analizzati in diverse indagini che hanno fornito valori da 0,1 a oltre 80
ng/m3
in relazione alla distanza da siti industriali dove veniva utilizzato il
cromo (ATSDR, 2000).
Diversi studi si sono anche occupati della valutazione delle
concentrazioni di cromo nelle acque potabili. Pur soffrendo di varie
limitazioni dovute a volte a strumentazioni di misura non perfettamente
idonee o a metodi analitici non del tutto appropriati, si può ritenere che il
48
cromo sia presente a concentrazioni comprese in un range fra 0,4 e 8,0
g/l con un valor medio di 1,8 g/l (Greathouse et al, 1978).
L’esposizione a cromo della popolazione generale può avvenire
attraverso le tre principali vie: cutanea, inalatoria e ingestiva. Il contatto
cutaneo si verifica in seguito all’esposizione ad alte concentrazioni di
cromo nell’aria o al contatto con acque contenenti elevati livelli di cromo
(ATSDR, 2000). L’esposizione per via inalatoria è sostanzialmente dovuta
alle emissioni di cromo in atmosfera ad opera delle principali attività
produttive umane. L’ingestione di cromo è invece principalmente da
ricondurre alla dispersione dell’elemento o dei suoi composti nelle acque
potabili, principalmente in forma VI, dalle stesse fonti industriali e
secondariamente dalla piogge che sono in grado di intercettare le
particelle presenti nell’aria e veicolarle nelle falde acquifere attraverso la
percolazione nel terreno.
C. Tossicocinetica
C. 1 Via cutanea
Uno studio sperimentale sull’uomo ha dimostrato che, applicando
sulla cute di volontari dischetti di carta da filtro imbevuti con soluzioni di
cromo VI, lo ione metallico può entrare nel circolo sanguigno (Wahlberg,
1970). La quantità di cromo VI assorbita dipende dalla concentrazione
della soluzione di partenza e raggiunge il livello di plateau dopo 5 h
dall’applicazione (Liden et al, 1979). La quantità di cromo VI assorbita può
raggiungere 1,1 g/cm2
/h per soluzioni di partenza 0,01 M di cromato di
sodio (520 mg/l di cromo VI) (Baranowska-Dutkiewicz, 1981).
Lo studio di casi clinici su individui trattati con soluzioni di cromo VI
per curare le lesioni cutanee prodotte dalla scabbia, ha dimostrato
l’elevata capacità del cromo VI di penetrare la cute danneggiata ed entrare
nel circolo sanguigno (Brieger, 1920). Il cromo VI può inoltre penetrare
facilmente l’epidermide umana incisa (Mali et al, 1963).
In letteratura sono riportati numerosi casi clinici di donne esposte a
cromo VI sotto varie forme e a varie concentrazioni per via cutanea: essi
hanno evidenziato effetti tossici per cuore, stomaco, muscoli e reni oltre
che a carico del sangue (ATSDR, 2000). Questi dati inducono a ritenere che
i suddetti organi e tessuti siano le principali sedi di accumulo dello ione
metallico dopo la sua penetrazione nell’organismo umano attraverso la
cute.
49
Studi sperimentali sull’animale (guinea pig) hanno ulteriormente
dimostrato che l’applicazione cutanea di soluzioni di cromo VI determina
una penetrazione del metallo attraverso la cute. Utilizzando l’isotopo
radioattivo 51
Cr è stata rilevata la successiva distribuzione del Cr nelle
forme III e VI nel sangue, milza, midollo osseo, linfonodi, reni, oltre che la
presenza nelle urine (Wahlberg et al, 1965).
C. 2 Via inalatoria
Diversi studi hanno dimostrato la presenza di cromo nelle urine di
lavoratori esposti per via inalatoria in ambiente di lavoro (Gylseth et al,
1977; Randall et al, 1987; Mancuso, 1997). Il dato testimonia la capacità
del polmone di assorbire il cromo VI che viene quindi distribuito al circolo
sanguigno ed escreto.
L’analisi autoptica dei tessuti di lavoratori giapponesi occupati
nell’industria delle cromature ha consentito di rilevare alti livelli di cromo
VI nei linfonodi, polmone, milza, fegato, reni e cuore (Teraoka, 1981).
In uno studio su lavoratrici russe di una fabbrica per la produzione di
cromati è stata rilevata la presenza di cromo VI nei feti e nei neonati. Il
monitoraggio delle suddette donne durante e dopo la gravidanza aveva
infatti evidenziato livelli significativamente elevati di cromo nel sangue e
nelle urine delle madri durante la gravidanza, e quindi nel cordone
ombelicale, nella placenta e nel latte. Alti livelli di cromo sono inoltre stati
rilevati in feti abortiti dopo 12 settimane dall’inizio della gravidanza
(Shmitova, 1980).
Uno studio per valutare il grado di assorbimento del dicromato di
potassio (cromo VI) e del tricloruro di cromo (cromo III) è stato condotto
su ratti trattati per via inalatoria alle concentrazioni rispettivamente di 0,
7, 3 e 15,9 mg/m3
o 0,8 e 10,7 mg/m3
per la durata di 2 e 6 h. La clearance
polmonare è risultata dipendente, per ambedue le forme ioniche del
cromo, dalla dimensione delle particelle disperse in aria. In generale però
l’assorbimento del cromo VI è di circa tre volte più rapido del cromo III
(Suzuki et al, 1984).
La concentrazione di cromo è stata misurata nei linfociti, nel sangue e
nelle urine di gruppi di ratti Wistar trattati per instillazione intratracheale
con 0,44 mg/kg pc di sodio dicromato (cromo VI) o cromo acetato (cromo
III). Le concentrazioni del cromo VI rispetto al cromo III valutate a 6, 30 e
72 h dalla somministrazione, sono risultate 4 volte superiori nel sangue, 7
volte superiori nei linfociti, mentre nelle urine le concentrazioni di cromo
50
VI era circa la metà del cromo III. Il picco delle concentrazioni è stato
rilevato a 6 h dal trattamento mentre a 72 h i livelli risultavano già molto
ridotti. (Gao et al, 1993).
C. 3 Via ingestiva
Diversi studi sperimentali sull’animale e sull’uomo, condotti
soprattutto nel passato, attestano che l’ambiente fortemente riducente
dello stomaco generato dalla presenza di succhi gastrici con un elevato
livello di acidità è in grado di ridurre il cromo dalla sua forma VI (6+
) a
quella III (3+
), limitando in questo modo il pronto assorbimento del cromo
nella sua forma VI, la più tossica (Visek et al, 1953; MacKenzie et al, 1959;
Donaldson Jr et al, 1966; Henderson et al, 1979). Il cromo III non è infatti
in grado di attraversare la membrana cellulare se non per diffusione, un
fenomeno che avviene molto lentamente. Il cromo VI per contro è in
grado di superare efficacemente la barriera cellulare attraverso il canale
per il trasporto di anioni, utilizzato anche per il passaggio di solfati e fosfati
(De Flora, 2000). La quantità di cromo VI che sfugge all’effetto riducente
dei succhi gastrici è quantificata in un 2-10% sia nell’uomo che
nell’animale, in dipendenza del cibo ingerito (ATSDR, 2000).
In uno studio, condotto su volontari di sesso maschile, i quali avevano
assunto 5 mg di cromo VI in acqua o in succo d’arancia, è stato
evidenziato: 1) i livelli di cromo esavalente nei globuli rossi erano
rispettivamente di 5,5 g/l (quando ridotto nel succo d’arancia) e di 18
g/l senza succo d’arancia; 2) i livelli di cromo nel plasma erano 2,2 g/l
(in succo d’arancia) e 26 g/l senza succo d’arancia; e 3) i livelli di cromo
nelle urine erano 24 g/g di creatinina con succo d’arancia e 209 g/g di
creatinina senza succo (Kerger et al, 1996; Costa et al, 1997). Ciò vuol dire
che la mucosa gastrica non era altrettanto efficiente quanto il succo
d’arancia nel ridurre il cromo da esavalente a trivalente.
Diversi studi sperimentali evidenziano che il cromo VI, una volta
superata la barriera della mucosa gastrica, diffonde in vari organi e tessuti.
Topi trattati con potassio dicromato (cromo VI) nell’acqua da bere alle
dosi di 4,4, 5,0 e 14,2 mg/kg pc/die per 1 anno, hanno dimostrato un
accumulo del composto in vari tessuti (Maruyama, 1982).
La distribuzione del cromo VI nell’organismo è stata riscontrata in
uno studio condotto su ratti Fisher e topi C57BL/6J, trattati con cromato di
potassio somministrato con l’acqua da bere alla dose di 8 mg/kg pc/die
per 4 e 8 settimane. Lo studio ha evidenziato accumulo di cromo VI in
51
fegato, reni milza polmoni, cuore e sangue in concentrazioni diverse a
seconda della specie (Kargacin et al, 1993).
Da questi dati risulta quindi che la capacità riducente dello stomaco è
limitata e quindi che il cromo VI è in grado di superare la mucosa gastrica
e di accumularsi come tale nei vari distretti corporei.
Viceversa De Flora, in studi condotti alla fine degli anni ’90, sosteneva
che era praticamente impossibile che il cromo VI ingerito potesse
provocare effetti dannosi per la salute, proprio per l’efficiente capacità
riducente della acidità gastrica combinata con l’altrettanto efficiente
capacità riducente dei globuli rossi nel caso in cui il cromo VI fosse riuscito
a superare la barriera della mucosa dello stomaco (De Flora et al, 1997; De
Flora, 2000). Secondo Zhitkovich invece (2005), i risultati degli studi di De
Flora sovrastimavano l’efficienza riducente del cromo VI da parte dei
succhi gastrici, probabilmente per alcuni limiti intrinseci alla metodologia
analitica utilizzata.
D. Tossicità acuta e cronica
D. 1 Via cutanea
Nell’ambito del trattamento utilizzato nel passato per la cura delle
lesioni cutanee prodotte dalla scabbia con soluzioni di cromato di potassio
(cromo VI) sono stati riscontrati effetti cardiovascolari con alterazioni del
battito cardiaco, vomito, albuminuria e poliuria. In individui deceduti a
seguito del trattamento sono state descritte degenerazioni del tessuto
cardiaco, iperemia della mucosa gastrica e necrosi tubulare (Brieger,
1920).
Studi su lavoratori esposti per contatto a cromo VI aerodisperso
hanno dimostrato l’insorgenza di lesioni cutanee anche in individui esposti
a concentrazioni di 1 g/m3
(Pastides et al, 1994).
In lavoratori esposti a cromo VI per via cutanea sono stati osservati
effetti irritativi e ulcerativi dell’epidermide, oltre che risposte allergiche
come eczemi e dermatiti (Fregert, 1975; Peltonen et al, 1983; Eun et al,
1990). Gli stessi effetti sono stati osservati anche in persone che avevano
fatto uso frequente di detergenti e sbiancanti contenenti composti a base
di cromo VI (Wahba et al, 1979).
Complessivamente si può affermare che sono stati descritti diversi
casi clinici in cui sono stati riportati effetti tossici per lo stomaco, cuore,
muscoli e reni in individui esposti per via epidermica a cromo VI. Ciò
52
suggerisce l’ipotesi di una distribuzione preferenziale per questi organi
(ATSDR, 2000).
L’applicazione di diversi composti a base di cromo VI ad una
concentrazione finale variabile da 42 a 55 mg/kg pc ha prodotto
infiammazione della cute, edema e necrosi (Gad et al, 1986).
Sensibilizzazione dell’epidermide è stata indotta nel topo con una
soluzione all’1% di potassio dicromato (cromo VI = 0,35%) applicata per 50
volte sull’addome depilato. L’applicazione al dotto uditivo della stessa
soluzione ha prodotto risultati analoghi determinando un aumento dello
spessore del padiglione auricolare e infiltrazione di leucociti neutrofili
evidenziata all’esame istologico (Mor et al, 1988).
D. 2 Via inalatoria
Esiste una vastissima letteratura epidemiologica, riportata in
monografie di varie agenzie internazionali, nelle quali sono riassunti studi
sugli effetti tossici dell’esposizione a cromo VI per via inalatoria (IARC,
1990; EPA, 1998; ATSDR, 2000). Dispnea, tosse, iperemia della mucosa
nasale, prurito nasofaringeo, associati anche ad episodi di reattività
cutanea con casi di eritemi ed eczemi, sono fra i sintomi più comuni
registrati pure a livelli espositivi piuttosto bassi. Sintomatologie di questo
tipo sono infatti state descritte inoltre al di sotto del limite massimo di 100
g/m3
permesso in ambiente di lavoro (PEL – Permissibile Exposure Level)
stabilito dal National Institute for Occupational Health and Safety (NIOSH),
l’Occupational Safety and Health Administration (OSHA) e l’American
Conference of Governmental Industrial Hygienists (ACGIH).
Analogamente a quanto si verifica nell’uomo, irritazioni e
infiammazioni dell’epitelio bronchiale e delle mucose nasali, modificazioni
transitorie delle attività enzimatiche della fosfatasi alcalina sono state
riscontrate in animali sperimentali esposti per via inalatoria a composti del
cromo VI (IARC, 1990; EPA, 1998; ATSDR, 2000).
Studi recenti dimostrerebbero che il cromo VI avrebbe effetti tossici
sul sistema nervoso. In uno studio epidemiologico condotto su diverse
migliaia di lavoratori dell’industria del cromo è stato osservato un eccesso
di decessi, rispetto agli attesi, per cause di origine nervosa (Gibb et al,
2000). Alcuni studi sperimentali hanno dimostrato che il cromo VI può
penetrare il sistema nervoso centrale (Travacio et al, 2000; Travacio et al,
2001; Ueno et al, 2001).
53
D. 3 Via ingestiva
Sintomatologie quali nausea, vomito, dolori addominali, diarrea e
ulcerazioni gastriche sono state riportate in lavoratori esposti a cromo VI
nell’ambiente di lavoro (Lucas et al, 1975; Sterekhova et al, 1978), a
seguito di ingestione di alimenti contaminati (Partington, 1950) e di
ingestione di acqua potabile contaminata (Zhang et al, 1987).
In uno studio su ratti trattati con cromato di potassio (cromo VI) alla
dose di 13,5 mg/kg pc/die per 20 giorni è stato riscontrato un
iperaccumulo di lipidi nel fegato (Kumar et al, 1982) e alterazione della
funzionalità epatica (Kumar et al, 1985).
Ratti trattati per gavaggio con 13,5 mg/kg pc/die di cromo VI per 20
giorni hanno mostrato un aumento di fosfolipidi e trigliceridi in diverse
aree del parenchima renale rispetto al gruppo di controllo e l’inibizione
dell’attività funzionale di alcuni enzimi di membrana (Kumar et al, 1984).
Riduzione dell’attività motoria e dell’equilibrio è stata descritta in
ratti a cui è stata somministrata la dose di 98 mg/kg pc/die per 28 giorni
(Diaz-Mayans et al, 1986).
E. Cancerogenicità
La International Agency for Research on Cancer (IARC)
dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS o WHO: World Health
Organization) ha classificato nel 1990 il cromo VI e i suoi composti nel
Gruppo I, cancerogeni per l’uomo (IARC, 1990).
E. 1 Via cutanea
Non risultano essere stati condotti studi epidemiologici adeguati per
valutare gli effetti a lungo termine dell’esposizione per via cutanea a
cromo VI e alle sue soluzioni/miscele nell’uomo (IARC, 1990; EPA, 1998;
ATSDR, 2000).
Gli studi sperimentali disponibili riguardano invece principalmente la
determinazione degli effetti tossici acuti e cronici dell’applicazione di
soluzioni di cromo VI sulla cute depilata di ratti, topi e conigli (IARC, 1990;
EPA, 1998; ATSDR, 2000).
E. 2 Via inalatoria
Il primo studio epidemiologico che attesta la cancerogenicità del
cromo per via inalatoria risale al 1948, quando su una coorte di lavoratori
occupati in 7 diverse aziende per la produzione di cromati è stato riportato
54
un aumento statisticamente significativo della mortalità per tumore al
polmone (Machle et al, 1948).
A questo studio ne sono seguiti numerosi altri di tipo epidemiologico,
principalmente condotti su coorti di lavoratori esposti nei vari settori
lavorativi in cui il cromo viene utilizzato nella forma esavalente. Fra questi
settori rientrano: la produzione di cromati, produzione e uso di pigmenti a
base di cromo VI, la cromatura, la saldatura degli acciai e produzione di
leghe ferrocromiche. Tali studi epidemiologici sinotizzati in varie
monografie (IARC, 1990; EPA, 1998; ATSDR, 2000), hanno confermato la
cancerogenicità del cromo VI sull’uomo, soprattutto per quanto riguarda il
polmone.
Recentemente sono stati pubblicati i risultati di una ulteriore
indagine epidemiologica molto ampia condotta su 2.357 lavoratori di
un’azienda di produzione di cromati. I livelli dell’esposizione a cromo VI
toccavano un massimo di 100 g/m3
, coincidente con il PEL (Permissible
Exposure Level) stabilito da NIOSH, OSHA e ACGIH. L’indagine ha mostrato
una chiara correlazione tra aumentata incidenza di tumori del polmone ed
esposizione a cromo (Gibb et al, 2000).
Oltre all’aumento del rischio di carcinoma polmonare in lavoratori
esposti a cromo VI, in altre revisioni di studi epidemiologici è stato
evidenziato un aumento del rischio di tumori dello stomaco, del rene,
della prostata e della vescica (Cohen et al, 1993) oltre che di linfomi di
Hodgkin e leucemie (Costa et al, 1997).
Gli effetti dell’esposizione ambientale a cromo VI sono stati molto
meno indagati. Il primo studio epidemiologico risale al 1980 ed è stato
condotto sulle popolazioni residenti in prossimità di due fonderie svedesi
per la produzione di leghe ferrocromiche. Le concentrazioni atmosferiche
medie di cromo VI vicino ai due insediamenti industriali sono risultate nel
range dai 100 ai 400 ng/m3
. La mortalità per tumore del polmone nell’area
ha avuto un picco di 253 casi per milione rispetto ai 194 attesi nella
popolazione dell’intera regione (Axelsson et al, 1980).
I primi dati in animali sperimentali risalgono al 1971. L’esposizione di
136 topi C57BL/6 per sesso e per gruppo a concentrazioni da 0 a 13 mg/m3
di polveri di cromato di calcio per 5 h/die, 5 giorni/settimana per 18 mesi
seguiti da 12 mesi di osservazione, ha evidenziato un aumento
statisticamente significativo dell’incidenza di tumori del polmone nel
gruppo esposto alla concentrazione di 4,3 mg/m3
(Nettesheim et al, 1971).
55
In uno studio condotto su 13 gruppi di 40 ratti Sprague-Dawley per
sesso, trattati con dicromato di sodio per instillazione tracheale a dosi che
vanno da 0 (gruppo di controllo) a 12,5 mg/kg pc, in una unica
somministrazione o frazionata su 5 giorni, e osservati per oltre 30 mesi, è
stato dimostrato un aumento dell’incidenza di tumori polmonari nei ratti
trattati con la più alta dose (Steinhoff et al, 1983).
Gruppi di 20 ratti Wistar sono stati trattati con aerosol di cromato di
sodio alle concentrazioni calcolate di cromo VI di 0, 0,025, 0,05 e 0,1
mg/m3
per 22 h/die, 7 giorni/settimana per 18 mesi. Un gruppo aggiuntivo
è stato trattato con le stesse modalità utilizzando ossido di cromo VI/III
pirolizzato con una concentrazione finale di cromo VI calcolata in 0,063
mg/m3
. Tre tumori del polmone e uno del laringe sono stati osservati nel
gruppo trattato con l’alta dose di cromato di sodio e 1 in quello trattato
con ossido di cromo VI/III (Glaser et al, 1986).
In definitiva risulta da tempo consolidata l’evidenza che il cromo VI
inalato risulta cancerogeno per il polmone sia sulla base di studi
epidemiologici che sperimentali. Studi più recenti hanno dimostrato anche
che il cromo VI inalato può arrivare, attraverso l’apparato circolatorio, ad
altri organi aumentando anche in quelle sedi il rischio di cancro.
E. 3 Via ingestiva
Per quanto a conoscenza, in letteratura esiste un solo studio
epidemiologico programmato per valutare i rischi cancerogeni del cromo
VI ingerito attraverso l’acqua da bere: quello condotto da Zhang e Li
(1987) su una popolazione di circa 10.000 persone residenti in un’area
rurale della Cina contaminata da cromo VI rilasciato nell’ambiente da una
fonderia di prodotti a base di cromo. La fonderia fu attivata nel 1965 e
contemporaneamente iniziò anche la produzione di grandi quantità di
rifiuti industriali smaltiti nell’ambiente circostante, al di fuori di un
adeguato sistema di controllo. Ciò è durato fino all’inizio degli anni ’80
(Zhang et al, 1987).
A partire dal 1965, l’acqua da bere prelevata da pozzi vicini all’area
della fabbrica cominciò ad assumere un colore giallo a causa della
contaminazione da cromo. Si scoprì che tale contaminazione si estendeva
alla quasi totalità dei pozzi compresi in un’area di oltre 45 km2
. La
concentrazione di cromo VI raggiungeva livelli fino a 20.000 g/l.
Una sorveglianza medica iniziata nel 1965 mise in evidenza una
elevata morbilità fra i residenti caratterizzata da ulcerazioni della mucosa
56
del cavo orale, diarrea, vomito e dolori allo stomaco, tutti i sintomi
associati alla esposizione a cromo.
Nella loro pubblicazione Zhang e Li (1997) rilevarono che l’incidenza
di tumori fra le popolazioni residenti nel periodo 1965-78 nei villaggi con
più alte concentrazioni di cromo VI nell’acqua da bere prelevata dai pozzi
contaminati era inferiore rispetto a quella della popolazione che viveva in
villaggi meno contaminati1
.
Poiché non risultavano chiari i diversi livelli espositivi delle
popolazioni esposte a cromo VI nell’acqua da bere, l’Office of
Environmental Health Hazards Assessment (OEHHA) dell’EPA dello stato
1
Nel 2000 in U.S.A. l’interpretazione di Julia Roberts portò alla ribalta la storia di Erin
Brockovich e il caso della Pacific Gas & Electric (PG&E), l’azienda chimica che ha usato per anni
il cromo esavalente come antiruggine senza avere un sistema di smaltimento adeguato e
inquinando le falde acquifere. Nella zona, in seguito all’esposizione a questo agente
cancerogeno, è aumentata l’incidenza dei tumori e molti cittadini sono morti. Il film è stato
tratto da una storia vera che ha sconvolto l’America.
Dopo 6 anni di distanza dall’uscita del film si ritornò a parlare di questo caso sulle pagine della
rivista The Scientist.
L’Environmental Working Group ha ufficialmente chiesto alla Society of Toxicology di
ammonire uno dei suoi membri: Dennis PAUSTENBACH, reo di aver collaborato ad una ricerca
che è stata pubblicata nel 1997 nella quale si dichiarava che il Cromo VI non era una sostanza
cancerogena.
In particolare, lo studio era stato condotto da due ricercatori, Jian Dong ZHANG e ShuKun LI, su
una popolazione rurale cinese esposta al cromo esavalente a causa della vicinanza di
un’industria di lavorazione acciaio: uno scenario, dunque, simile a quello che si sarebbe
verificato dopo alcuni anni negli Stati Uniti.
A questo lavoro aveva partecipato anche, in qualità di collaboratore, PAUSTENBACH.
La ricerca fu pubblicata sul Journal of Occupational and Environmental Medicine.
Questo lavoro era stato finanziato anche dalla PG&E, ma gli autori non hanno dichiarato il
conflitto di interesse.
Questa ricerca è stata usata dai legali della PG&E durante la causa come prova della non
colpevolezza della società.
E’ storia che invece la PG&E è stata riconosciuta colpevole e costretta a risarcire le vittime.
Nel 2006, a nove anni di distanza, l’Environmental Working Group nella persona del suo
vicepresidente Richard WILES ha denunciato Dennis PAUSTENBACH per “attività fraudolenta”
richiedendo la censura sulla ricerca pubblicata.
L’evoluzione di questa storia, al di la delle aule del tribunale e delle sale cinematografiche, è
singolare: si chiede un richiamo ufficiale ad un tossicologo accusato di essersi fatto
corrompere; una sorta di tribunale scientifico che ripudia uno scienziato per un
comportamento scorretto. Quello scienziato, Dennis PAUSTENBACH è il presidente e fondatore
della ChemRisk ed è stato chiamato dall’amministrazione BUSH al National Center for
Environmental Health dei CDC di Atlanta.
(http://it.health.yahoo.net/print.asp?id=16409)
57
della California ha rielaborato i dati, aggregando la mortalità per cancro
fra la popolazione dei villaggi contaminati da cromo VI, in modo da
costituire una singola popolazione di esposti. I tassi di mortalità per tutti i
tipi di tumore, per il tumore del polmone, e per il tumore dello stomaco
fra le popolazioni esposte erano confrontati con i tassi della provincia di
cui i villaggi erano parte. I risultati di questa rielaborazione sono stati
anticipati in una recente pubblicazione (Sedman et al, 2006). Da essa
risulta un aumento non statisticamente significativo del rischio relativo
per tutti i tumori; un aumento statisticamente significativo del rischio
relativo di cancro dello stomaco; il rischio relativo per il cancro del
polmone era pure elevato ma con minore significatività statistica.
Come rilevato dagli autori, lo studio pubblicato da Zhang e Li soffre di
importanti limitazioni: 1) la mancanza di dati sulle esposizioni individuali;
2) la mancanza di dati sui livelli di contaminazione atmosferica da cromo
VI; e soprattutto 3) il periodo ancora troppo breve di osservazione, 13
anni. Nonostante tutto ciò, come affermano gli Autori, non può essere
sottostimato l’aumento del rischio per i tumori del polmone e dello
stomaco.
Altri studi epidemiologici hanno evidenziato un aumento, in alcuni
casi statisticamente significativo, della mortalità per neoplasie
gastrointestinali in ambienti lavorativi dove la dispersione aerea di cromo
VI e di altri inquinanti era così elevata da determinarne anche una parziale
ingestione (IARC, 1990; ATSDR, 2000).
La cancerogenicità del cromo VI assunto per via ingestiva con l’acqua
da bere è stata studiata in due esperimenti condotti su topi.
Il primo esperimento (Borneff et al, 1968) è stato eseguito su tre
generazioni di topi HMRI maschi e femmine, esposti per tutta la vita a vari
regimi di trattamento. Un gruppo di 120 femmine e 10 maschi è stato
trattato con 1 mg/die (500 ppm) di cromato di potassio in acqua da bere
(contenente 3% di detergente domestico). Un uguale numero di animali è
stato trattato con acqua contenente 3% di detergente domestico. In
aggiunta, due gruppi di 120 femmine e 10 maschi hanno ricevuto benzo-a-
pirene da solo e benzo-a-pirene più 500 ppm di cromato di potassio in
acqua da bere. Complessivamente lo studio comprendeva 4 gruppi
sperimentali. Gli animali sono stati accoppiati dopo 6 settimane di
trattamento (F0). Due topi per sesso/gruppo di ogni nidiata sono stati
selezionati dalla prima generazione (F1) ed accoppiati per dare origine alla
58
seconda generazione F2. La generazione F2 ha ricevuto lo stesso
trattamento di F0 e F1. Durante la sperimentazione si è verificata una
epidemia che ha drasticamente ridotto la popolazione animale senza però
pregiudicare la potenza statistica dello studio.
Aggregando i tumori dello stomaco maligni e benigni delle tre
generazioni, sono stati osservati due carcinomi e nove papillomi nelle
femmine delle generazioni trattate con cromato di potassio. Nessun
tumore maligno dello stomaco è stato trovato nel gruppo di controllo.
L’aumento dell’incidenza dei tumori maligni e benigni aggregati nelle
femmine trattate con cromo (11/66) era statisticamente significativo
rispetto al controllo (2/79). Il riferimento all’ipotesi che i tumori del
prestomaco siano stati causati dall’infezione virale verificatasi durante il
corso dello studio, risulta in verità alquanto bizzarra dal momento che né
tra i maschi né nel gruppo di controllo è stato riscontrato un analogo
effetto.
In un altro studio condotto da Davidson et al, (2004), gruppi di topi
SK1-hrBR (20 per gruppo) sono stati esposti a cromato di potassio
somministrato a varie dosi con l’acqua da bere e/o a raggi UV e osservati
fino a 224 giorni di età per quanto riguarda l’insorgenza di tumori cutanei.
Nessun tumore cutaneo è apparso negli animali trattati con solo cromo VI.
L’associazione dell’esposizione a raggi UV e cromo VI ha provocato invece
un aumento dei tumori cutanei dose-correlato con l’aumentare delle
concentrazioni di cromo VI. Gli Autori concludono che poiché molte
persone possono essere esposte simultaneamente a raggi solari UV e
cromo VI presente nell’acqua da bere, i risultati di questo studio non
possono essere sottostimati.
Il limite delle concentrazioni di cromo nell’acqua da bere ancora oggi
utilizzato sia in Italia che dall’EPA, è di 50 g/l e si basa sui risultati del
sopraccitato studio di Borneff et al, 1968 (ATSDR, 2000).
L’Agency for Toxic Substances and Disease Registry (ATSDR) del
Department of Health and Human Services (DHHS) del governo
statunitense ha stabilito un limite massimo di assunzione giornaliera di
cromo VI e III per via ingestiva di 210 g, corrispondenti ad un valore di 3
g/kg pc/die per un adulto di 70 kg come livello di rischio minimo
(Minimal Risk Level – MRL). La determinazione del valore di riferimento
viene definita necessaria a causa della dispersione di cromo da siti di
59
stoccaggio di rifiuti tossici, l’assenza di dati scientifici soddisfacenti e il
fatto che il cromo è un nutriente essenziale (ATSDR, 2000).
E. 4 Altri dati rilevanti per la cancerogenesi
E.4.1 Effetti riproduttivi
Studi sperimentali su ratti e topi hanno evidenziato alcuni effetti
tossici del cromo VI sullo sviluppo dei feti. Un esperimento condotto
trattando gruppi di topi Swiss femmine con le dosi di 0, 52, 98 e 169
mg/kg pc/die di cromo VI sotto forma di cromato di potassio,
somministrato nell’acqua da bere 20 giorni prima dell’accoppiamento, ha
prodotto nei feti: diminuzione del numero e del peso, comparsa di
petecchie emorragiche subepidermiche, riduzione dell’ossificazione,
deformità e riduzione della lunghezza della coda (Junaid et al, 1996a;
Junaid et al, 1996b).
Dati simili sono stati ottenuti in diversi altri studi sperimentali
condotti con modalità analoghe. Altri studi sperimentali su ratti e topi
hanno dimostrato inoltre l’effetto del cromo VI su comportamenti
sessuali, fertilità maschile, con riduzione di numero e funzionalità degli
spermatozoi e, per quanto riguarda il sesso femminile, riduzione di
numero e funzionalità dei follicoli (ATSDR, 2000).
E.4.2 Genotossicità
Gli effetti genotossici del cromo VI sono stati valutati attraverso
numerosi studi in vitro e in vivo. I meccanismi ipotizzati sono
principalmente tre: 1) danneggiamento indiretto del DNA attraverso la
formazione di radicali liberi (Cohen et al, 1993); 2) danni ossidativi sul DNA
direttamente mediati dal cromo VI (Sugden et al, 2000); e 3) formazione di
addotti fra il DNA e il cromo VI (Zhitkovich, 2005).
Una volta entrato nella cellula il cromo VI viene ridotto a cromo III
dall’enzima cellulare glutatione (Petrilli et al, 1978; Debetto et al, 1988)
portando alla formazione di diverse molecole di radicali liberi. Tali
molecole, come noto, sono poi in grado di attaccare, danneggiandole,
molte strutture cellulari fra cui lo stesso DNA e quindi di introdurre
mutazioni e/o rotture nella doppia elica (Wiegand et al, 1985). A questo si
aggiunga che in particolare il cromo III ha dimostrato una buona tendenza
a formare addotti con alcune basi del DNA (Wetterhahn et al, 1989;
Blankenship et al, 1997; Zhitkovich, 2005) e la formazione di legami
crociati DNA-proteine (DPC = DNA-Protein Crosslinks) (ATSDR, 2000).
60
La formazione di addotti con il DNA è in grado di portare
all’insorgenza di mutazioni, rotture nei filamenti, formazione di DPC,
aberrazioni cromosomiche e scambio di cromatidi fratelli (IARC, 1990;
EPA, 1998; ATSDR, 2000).
E. 5 Il giudizio sul pericolo concreto per la salute pubblica
Acqua di falda ipoteticamente attinta dal pozzo G11, realizzato all’interno
del perimetro aziendale
Si ricorda che, fra le cognizioni scientifiche condivise a livello
internazionale, vi sono le concentrazioni di cromo VI che hanno prodotto
effetti tossici da ingestione: effetti acuti si sono osservati con valori fra 50
e 70 mg/Kg; effetti subacuti (quali gastrite, nefrotossicità, epatossicità e
disturbi gastrointestinali meno gravi) sono stati osservati a dosi stimate
nell’ordine di 0,57 mg/Kgpc/die (Zhang e Xilin 1987), ossia 570 μg/Kg/die.
Ipotizzando un consumo giornaliero minimo di 2 l d’acqua (tale è il
consumo giornaliero al quale fa riferimento U.S. EPA) proveniente dal
Pozzo G11 nella concentrazione massima del 7.11.2005 (26.000 μg/l),
l’utilizzo costante del Pozzo G11 porterebbe a stimare un’ingestione
giornaliera minima di 52.000 μg di cromo VI. Si tratterebbe di un consumo
giornaliero 247 volte superiore al consumo giornaliero ammissibile
(prendendo il riferimento condiviso del valore di Reference Dose previsto
da U.S. EPA) di 210 μg.2
Inoltre è evidente che si va ben al di là del valore
di 39.900 μg/die3
(ottenuto moltiplicando i 570 μg/kg/die x 70 Kg di p.c.
dell’adulto tipo), che è la soglia oltre la quale sono conosciuti effetti tossici
subacuti da ingestione. Sussiste, pertanto, non solo il pericolo, ma l’alta
probabilità del danno4
.
Ipotizzando, conformemente alla normativa vigente nel nostro Paese
(Direttiva 98/83 EC del 3.11.98), un consumo giornaliero medio di 3 litri
della stessa acqua, si conclude che l’utilizzo costante del Pozzo G11 porta
a stimare un’ingestione giornaliera media di 78.000 μg/l di cromo VI5
. Si
tratterebbe di un consumo giornaliero 371 volte superiore al consumo
giornaliero ammissibile di 210 μg6
. Inoltre si tratta del doppio del valore di
2
52.000 μg/l : 210 μg/l = 247
3
570 μg/kg/die x 70 Kg di p.c. dell’adulto tipo = 39.900 μg/die
4
Nel nostro caso si avrebbe: 52.000 μg/die x 70 kg = 3.640.000 μg/die
5
26.000 μg/l x 3 l = 78.000 μg/l
6
78.000 μg/l : 210 μg/l = 371 circa
61
39.900 μg/die (ottenuto moltiplicando i 570 μg/kg/die x 70 Kg di p.c.
dell’adulto tipo), che è la soglia oltre la quale sono conosciuti effetti tossici
subacuti da ingestione.
Sussiste, pertanto, non solo il pericolo, ma l’alta probabilità del
danno.
Fra le altre cognizioni scientifiche, vi sono le concentrazioni di cromo
VI di cui si conoscono gli effetti immunologici da contatto: la reazione
cutanea si determina in soggetti già sensibilizzati al cromo VI per
concentrazioni superiori a 35 mg/l. La concentrazione massima di cromo
VI in G11 il 7.11.2005, pari a 26 mg/l, è nello stesso ordine di grandezza
della concentrazione provatamente dannosa e non molto lontana da quel
limite. Il pericolo, dunque, sussiste.
Altro dato della letteratura scientifica condiviso sono le evidenze
sperimentali circa l’assorbimento cutaneo di entità estremamente
contenute di cromo VI in soggetti volontari immersi in acqua con cromo VI
ad una concentrazione estremamente elevata (22 mg/l per 3 h: Corbett et
al., 1997).
In caso di esposizione da contatto con l’acqua contaminata da 26
mg/l di cromo VI (corrispondenti alla concentrazione superficiale in G11 il
7.11.2005) si verificherebbe, quindi, un assorbimento cutaneo di una
sostanza pacificamente cancerogena e pacificamente ad azione
genotossica, ossia capace di provocare alterazioni del corredo genetico,
per la quale (e maggiormente perché genotossica) non v’è dose soglia.
Infine, fra le cognizioni scientifiche condivise in tema di
cancerogenesi, v’è quella per cui la risposta cancerogena è funzione della
dose espositiva.
E’ indiscusso, inoltre, che “livelli non bassi” di esposizione per
inalazione a cromo VI sono causa di cancro polmonare.
Con riferimento all’anzidetta dose di 26 mg/l presenti in G11 il
7.11.2005, premesso che una prolungata esposizione per inalazione
causerebbe il rischio di cancro al polmone, vi sarebbe anche il rischio di
contrarre altre patologie cancerose per effetto dell’ingestione di acqua
contaminata.
In proposito non è necessario discutere, qui, la validità degli studi di
Zhang, perché il dato quantitativo è assorbente.
62
Considerato che anche soltanto il 2% del cromo VI ingerito sfugga alla
barriera riducente della saliva e del succo gastrico (per le evidenze
sperimentali circa la non illimitata capacità riducente della acidità gastrica
dello stomaco si vedano US-EPA 1998, Paustenbach et al. 1996), “è
plausibile”, sulla base delle evidenze scientifiche in punto farmacocinetica
e genotossicità del cromo VI, che un eccesso rilevante di cromo VI
rispetto alla ADI possa superare le capacità riducenti dello stomaco, e
quindi produrre in quella sede il cancro, in analogia a quanto
succederebbe nel polmone.
Acqua di falda attinta da pozzi privati
Va rilevato che le concentrazioni di cromo VI nei pozzi privati sono
spesso superiori ai limiti di legge, per quantità che, nel biennio aprile
2002-aprile 2004, sono arrivate ad oltre cinque volte il limite anzidetto.
(Nelle acque destinate al consumo umano la legislazione nazionale
prevede in 50 μg/l il limite massimo consentito di cromo totale, anche se
al 100% nella sua forma esavalente).
Alcuni esempi diretti possono essere effettuati calcolando i valori di
assunzione di cromo VI sulla base delle rilevazioni dell’ARPAV effettuate
in data 26/03/2002 (pozzo n° 233 di M. O.), 15/07/2002, 24/07/2002 e
30/07/2002.
A livello internazionale l’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente
Statunitense (EPA, Environmental Protection Agency) ha stabilito nel 1996
un livello di 5 μg/Kg/die per ingestione come riferimento al di sotto del
quale non si registrano effetti avversi per la salute.
A tale livello si farà riferimento nel seguito, anche se nel 1998 esso
fu portato dall’EPA a 3 μg/Kg/die.
L’EPA ha introdotto altresì il concetto di Reference Dose (RfD),
definendolo come la stima numerica dell’esposizione giornaliera per via
orale della popolazione generale, inclusi i sottogruppi sensibili (bambini,
anziani, gestanti, immunodepressi) che non è in grado di causare effetti
avversi per la salute durante il corso dell’intera vita.
In generale si può affermare che, sempre sulla base dell’ipotesi
dell’adulto di peso medio di 70 kg, il livello di rischio per la rilevazione di
effetti tossici si debba calcolare come segue:
63
RfD = concentrazione di cromo VI x consumo medio giornaliero di acqua =
350 μg
dove:
- RfD : dose di riferimento per il cromo VI. Un individuo adulto del peso
medio di riferimento di 70 kg può assumere fino a 350 μg/die di cromo
VI senza che gli vengano rilevati effetti avversi.
- concentrazione di cromo VI = quantità di cromo VI misurata nell’acqua,
espressa in μg/l;
- consumo medio giornaliero di acqua = assunzione giornaliera di acqua,
espressa in litri: nel nostro caso = 3, così come indicato dalla Direttiva
98/83 CE del 03/11/1998.
Questo significa che, considerando un individuo adulto del peso
medio di riferimento di 70 Kg, il limite massimo di assunzione di cromo VI
in termini di rilevazione di effetti tossici è di 350 μg/die.
Facendo pertanto riferimento che l’adulto medio di 70 Kg di peso
assume mediamente 3 l/die di acqua nel periodo estivo si ottengono i
seguenti valori in base alla formula sopra esposta:
- 26/03/2002: Assunzione giornaliera = (275 μg/l) x 3 l = 825 μg > 350 μg
- 15/07/2002: Assunzione giornaliera = (215 μg/l) x 3 l = 645 μg > 350 μg
- 24/07/2002: Assunzione giornaliera = (220 μg/l) x 3 l = 660 μg > 350 μg
- 30/07/2002: Assunzione giornaliera = (215 μg/l) x 3 l = 645 μg > 350 μg
Il che equivale a dire che chi ha usato o ha rischiato di usare l’acqua
di questi pozzi come fonte di liquidi, ipotizzando un consumo medio
giornaliero di 3 l/die, ha assorbito o ha rischiato di assorbire fino a 825 μg
di cromo VI, ossia più del doppio del limite stabilito per gli effetti tossici, se
si considera il riferimento universale dell’adulto di 70 Kg.
Su questa base si può affermare che nel biennio aprile 2002 - aprile
2004, si sono verificati almeno 20 superamenti accertati dei limiti di legge,
fra i quali 5-7 superamenti accertati dei limiti per la manifestazione di
effetti tossici, e un generale elevato livello di rischio per quanto riguarda
possibili effetti cancerogeni dell’esposizione a cromo VI.
Il livello di rischio cancerogeno deve essere quantificato come alto
rispetto ai meccanismi di induzione degli effetti cancerogeni e al concetto
di soglia come limite “socialmente tollerabile” e non come equazione
64
matematica, ancor meno in presenza di una sostanza ad azione anche
genotossica. Il dato sopra esposto va, inoltre, valutato alla luce
dell’esposizione della popolazione infantile, di quella anziana, dei soggetti
immunodepressi, delle donne gravide.
Nel primo caso, infatti, a fronte di un consumo di acqua non così
dissimile da quello adulto, il peso corporeo è spesso molto più ridotto e il
raggiungimento dei livelli di soglia più rapido.
Gli anziani invece rappresentano una fascia di popolazione a rischio a
causa della ridotta efficacia delle funzioni metaboliche. Basti pensare che i
dati di cancerogenesi umana attestano che l’80% dei tumori si verificano
in ultrasessantacinquenni.
2. NICKEL
A. Presenza in natura, produzione e uso
Il nickel è un elemento naturale che fa parte del gruppo VIIIA della
serie dei metalli di transizione della tavola periodica degli elementi.
Complessivamente costituisce, in termini di peso, il quinto elemento più
diffuso dell’intero pianeta e si presenta nella sola forma ionica di (2+
) in
condizioni ambientali standard.
Viene estratto dalla garnierite, dalla pirrotite nickelifera e dagli
“speiss” nickeliferi. I procedimenti di estrazione sono piuttosto complessi
e variano con la natura del minerale da trattare; in ogni caso si ottiene
l’ossido da cui si ricava il metallo per riduzione con carbone di legna
oppure con vapore acqueo a 350 – 400 °C.
L’estrazione di nickel nel 2002 ammontava, a livello mondiale, a
1.340.000 tonnellate (Kuck, 2002). La seconda sorgente di nickel deriva dal
riciclaggio di materiali che lo contengono. Da questa fonte, secondo dati
che risalgono al 1988, sono stati prodotti in quell’anno 54.712 tonnellate
(ATSDR, 2005a)
Il nickel viene principalmente utilizzato nelle leghe metalliche per le
sue caratteristiche di resistenza alla corrosione e al calore e per la durezza
e la solidità che ad esse conferisce (IARC, 1990; ATSDR, 2005a). A seconda
del tipo di utilizzo, le leghe contenenti nickel possono anche contenere
rame, cromo, ferro, molibdeno, argento e zinco. Le leghe di nickel sono
principalmente utilizzate nell’industria metalmeccanica navale e
65
petrolchimica, come agente anticorrosivo, nella costruzione di motori per
le turbine, per la produzione di magneti e per la produzione di posateria. A
seconda del tipo di uso, il nickel viene utilizzato nelle forme iniziali di
ossido, idrossido, solfato o sale (IARC, 1990; ATSDR, 2005a).
B. Diffusione nell’ambiente ed esposizione della popolazione generale
I valori di concentrazione del nickel che naturalmente sono presenti
nel terreno variano notevolmente a seconda delle aree geografiche e della
tipologia del terreno. Le concentrazioni tipiche riportate vanno da 4 a 80
g/g (ATSDR, 2005a).
Acque continentali e marine incontaminate contengono mediamente
circa 0.3 g/l di nickel (Barceloux, 1999).
Le concentrazioni di nickel nell’acqua da bere normalmente vanno da
0.55 a 25 g/l con valori medi fra 2 e 4,3 g/l (FDA, 2000).
Le concentrazioni di nickel in atmosfera in aree remote, rurali e
urbane degli Stati Uniti sono risultate rispettivamente nei seguenti range:
0,01-60, 0,6-78 e 1-328 ng/m3
(Schroeder et al, 1987). Secondo una
valutazione della Environmental Protection Agency (EPA) nel 1996 il valore
medio di concentrazione di nickel nell’aria sarebbe stato di 2,22 ng/m3
(EPA, 2003).In ambiente domestico sono state determinate concentrazioni
di nickel nell’aria al di sotto di 10 ng/m3
da diversi autori (ATSDR, 2005a).
Anche per il nickel l’esposizione della popolazione generale può
avvenire attraverso le tre principali vie: cutanea, inalatoria e ingestiva.
L’inalazione è di gran lunga la più importante ed è dovuta alle emissioni di
nickel in atmosfera ad opera delle principali attività produttive umane.
Data la scarsa solubilità dei composti del nickel, la possibilità che esso
possa entrare a contatto con la cute o possa essere ingerito risulta poco
probabile. Una tale evenienza potrebbe essere possibile solo in seguito a
massicci inquinamenti diretti di acque per uso umano oppure, in vicinanza
di una falda, a sversamenti tali da saturare completamente il terreno
portando a una migrazione del nickel in falda.
In un recente studio condotto dalla National Academy of Sciences
(NAS) americana, l’assunzione media di nickel nei due sessi al di sopra dei
18 anni di età è risultata compresa fra i valori di 101 e 162 g/die; questo
range è di 136-140 g/die negli uomini e di 107-109 g/die nelle donne. I
valori salgono a 121 e 162 g/die nelle donne durante il periodo della
gravidanza e dell’allattamento (NAS, 2002). Si valuta inoltre che
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Qto 113 Inquinamento da metalli pesanti

  • 1. 1 OMERO NEGRISOLO Inquinamento da metalli pesanti: il caso della valle del Brenta QUADERNI TEMATICI DELL’ONA QTO n. 113
  • 2. 2
  • 3. 3 QUADERNI TEMATICI DELL’ONA QTO 113 Omero Negrisolo Inquinamento da metalli pesanti: il caso della valle del Brenta Editore: Osservatorio Nazionale sull’Amianto – ONA Onlus Tutti i diritti sono riservati a norma di legge e a norma delle convenzioni internazionali Prima edizione: 30 Settembre 2015 ISBN 978-88-99182-09-0
  • 4. 4 Curatore: dott. Michele Rucco, Segretario Generale dell’Osservatorio Nazionale sull’Amianto – ONA Onlus. ©Osservatorio Nazionale sull’Amianto – ONA Onlus Proprietà letteraria riservata ISBN 978-88-99182-09-0 Osservatorio Nazionale sull’Amianto – ONA Onlus Via Crescenzio, 2 – 00193 – Roma http://osservatorioamianto.jimdo.com/ Email osservatorioamianto@gmail.com Copyright © 2015 by Osservatorio Nazionale sull’Amianto – ONA Onlus, Roma. Sono vietate in tutti i Paesi la traduzione, la riproduzione, la memorizzazione elettronica e l’adattamento, anche parziali, con qualsiasi mezzo effettuate, per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale senza la specifica autorizzazione dell’Editore. Le fotocopie e le stampe per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% del volume.
  • 5. 5 INDICE PREFAZIONE 8 INTRODUZIONE 9 I. LO SCENARIO DELL’INQUINAMENTO DA CROMO ESAVALENTE, NICKEL e PIOMBO 1. Dati generali A. L’area interessata A.1 Inquadramento geografico e geologico A.2 Idrogeologia A.3 Il territorio B. La fonte inquinante 2. Le fasi dell’accertamento della sorgente dell’inquinamento della falda acquifera del conoide del Brenta 3. L’azienda ed il suo insediamento 4. La dimensione dell’inquinamento ambientale A. Suolo B. Acque della falda freatica C. Nota sulla mobilità di cromo VI, cromo III e nickel nel terreno e nelle acque D. Modalità d’inquinamento del terreno e della falda entro l’area dello stabilimento 5. Popolazione esposta 12 12 12 12 13 14 16 18 24 30 30 31 32 34 41 II. LA CANCEROGENESI 1. La dimensione epidemiologica dei tumori 2. Gli agenti cancerogeni e le situazioni in cui possono essere presenti 3. Le caratteristiche dell’azione degli agenti cancerogeni 43 43 43 44 III. I POTENZIALI RISCHI PER LA SALUTE DELL’ESPOSIZIONE PER VIA CUTANEA, INALATORIA E ORALE A CROMO VI, NICKEL E PIOMBO 1. CROMO A. Presenza in natura, produzione e uso 46 46 46
  • 6. 6 B. Diffusione nell’ambiente ed esposizione della popolazione generale C. Tossicocinetica C.1. Via cutanea C.2. Via inalatoria C.3. Via ingestiva D. Tossicità acuta e cronica D.1. Via cutanea D.2. Via inalatoria D.3. Via ingestiva E. Cancerogenicità E.1. Via cutanea E.2. Via inalatoria E.3. Via ingestiva E.4. Altri dati rilevanti per la cancerogenesi E.4.1. Effetti riproduttivi E.4.2. Genotossicità E.5. Il giudizio sul pericolo concreto per la salute pubblica 2. NIKEL A. Presenza in natura, produzione e uso B. Diffusione nell’ambiente ed esposizione della popolazione generale C. Tossicocinetica C.1. Via cutanea C.2. Via inalatoria C.3. Via ingestiva D. Tossicità acuta e cronica D.1. Via cutanea D.2. Via inalatoria D.3. Via ingestiva E. Cancerogenicità E.1. Via cutanea E.2. Via inalatoria E.3. Via ingestiva E.4. Altri dati rilevanti per la cancerogenesi E.4.1. Effetti riproduttivi E.4.2. Genotossicità 47 48 48 49 50 51 51 52 53 53 53 53 55 58 58 59 60 64 64 65 66 66 66 67 67 67 68 69 70 70 71 71 72 72 72
  • 7. 7 E.5. Il giudizio sul pericolo concreto per la salute pubblica 3. PIOMBO A. Presenza in natura, produzione e uso B. Diffusione nell’ambiente ed esposizione della popolazione generale C. Tossicocinetica C.1. Via cutanea C.2. Via inalatoria C.3. Via ingestiva D. Tossicità acuta e cronica E. Cancerogenicità E.1. Altri dati rilevanti per la cancerogenesi E.1.1. Effetti riproduttivi E.1.2. Genotossicità E.2. Il giudizio sul pericolo concreto per la salute pubblica 72 74 74 74 75 75 76 76 78 80 81 81 82 82 IV. CENNI SULLA NORMATIVA RIGUARDO AI LIVELLI DI CROMO VI, NICKEL E PIOMBO AMMESSI NELLE ACQUE E NEL SUOLO 1. Acque destinate ad uso umano 2. Acque destinate allo scarico in pubblica fognatura o al convogliamento ad impianti di depurazione 3. Suolo, sottosuolo e acque sotterranee 84 84 84 85 V. VALUTAZIONI CONCLUSIVE SUI POTENZIALI RISCHI PER LA SALUTE DELL’ESPOSIZIONE PER VIA CUTANEA, INALATORIA E ORALE A CROMO VI, NICKEL E PIOMBO 86 Appendice 1. Acronimi e definizioni 2. Tabelle 89 90 97 Bibliografia 102
  • 8. 8 PREFAZIONE L’inquinamento ambientale che trae origine dalle attività produttive è un argomento che ormai da lungo tempo viene affrontato in diverse sedi, non sempre con i dovuti approfondimenti e la dovuta cognizione di causa, la cui assenza lascia aperta la porta, da un lato, per una interpretazione riduzionista operata da parte dei responsabili e dei loro sodali, e, dall’altro, per atteggiamenti molto spesso troppo condizionati dall’emotività con difficoltà ad avere una chiara comprensione della situazione. Questo lavoro va in direzione opposta: partendo dall’analisi svolta per la Procura di Padova che ha accertato la massiva contaminazione ambientale da metalli pesanti dell’alta valle del Brenta, i dati relativi sono stati rielaborati e rapportati ai potenziali rischi per la salute derivanti dall’esposizione per via cutanea, inalatoria e orale a cromo esavalente, cromo trivalente, nickel e piombo, liberati nell’ambiente da un insediamento produttivo. L’accuratezza, la precisione, le fonti documentali e i riscontri pratici utilizzati per indagare l’entità del fenomeno inquinante e la cancerogenicità dei prodotti chimici interessati, costituiscono un punto di riferimento per ogni approccio teso ad evidenziare la potenziale criticità per la salute delle persone in situazioni del genere. L’obiettivo della pubblicazione, quindi, è proprio quello di fornire l’indicazione dell’approccio corretto, basato su un metodo razionale ed efficace, per indagare in maniera scientifica fenomeni che, purtroppo, si fanno sempre più numerosi e che coinvolgono il destino di tantissime persone. Roma, 30 luglio 2015 Michele Rucco Segretario Generale dell’ONA Onlus
  • 9. 9 INTRODUZIONE La massiva contaminazione da cromo esavalente, cromo trivalente, nickel e piombo delle matrici suolo ed acqua sotterranea nella zona compresa nei comuni di Tezze sul Brenta (VI), Cittadella e Fontaniva (PD), che costituisce l’oggetto del presente lavoro, è stata scoperta nel 2001 e la sua conoscenza si è progressivamente arricchita nel corso degli anni 2002 – 2006. Dapprima la contaminazione è stata accertata dalle autorità amministrative competenti (fra queste: Dipartimenti Provinciali ARPAV di Vicenza e Padova, coordinati dall’Osservatorio Regionale Acque – ORAC – dell’ ARPAV regionale; Comuni di Tezze sul Brenta, Cittadella, Fontaniva, Rosà; Provincia di Vicenza; Società “Brenta Servizi” S.p.A.; Consorzio Pedemenontano Brenta; CNR – “Grandi Masse”; APAT; Regione del Veneto), quindi le indagini sono state coordinate dalla Procura della Repubblica e dalla Polizia Giudiziaria di Padova e sono proseguite anche dopo l’esercizio dell’azione penale, nel corso di quasi tre anni di dibattimento presso il Tribunale di Padova, sezione staccata di Cittadella. L’istruttoria è stata frequentemente arricchita con l’apporto di importanti indagini integrative ex art. 430 Codice di Procedura Penale: dati, referti analitici, documentazione rinvenuta o formatasi a posteriori, sopralluoghi, esecuzione di trincee conoscitive, carotaggi, nuovi pozzi piezometrici. Il complesso insieme delle indagini ha accertato che l’inquinamento era stato causato da uno stabilimento di Tezze sul Brenta (VI): l’insediamento “Alfa”, con attività di galvanica (di seguito indicato con “galvanica Alfa”). I risultati di queste indagini, svolte in buona parte dal sottoscritto e dal collega F.B. dell’ARPAV - sede territoriale di Bassano del Grappa - e la cui rilevanza è stata evidenziata anche dai mass-media regionali e nazionali, sono stati rielaborati e riportati in questa opera, rapportandoli
  • 10. 10 ai potenziali rischi per la salute derivanti dall’esposizione per via cutanea, inalatoria e orale a tali prodotti chimici. L’entità di questo fenomeno inquinante (si sono rilevati livelli di concentrazione di tali elementi nell’acqua e nel suolo spaventosamente superiori ai limiti consentiti dalla legge) e la cancerogenicità di simili prodotti in relazione all’elevato numero di persone esposte all’inquinamento, ha evidenziato la potenziale criticità per la salute delle persone che vivono in quei luoghi (soprattutto insorgenze tumorali e disturbi di tipo neurologico su bambini e anziani), le cui reali conseguenze potrebbero essere valutate solo mediante un’adeguata indagine epidemiologica. Nella stesura del presente lavoro si è quindi iniziato con la ricostruzione dello scenario espositivo dell’inquinamento da cromo esavalente, nickel e piombo, basandosi soprattutto sui documenti giudiziari formatisi grazie all’attività di polizia giudiziaria del sottoscritto e del collega F.B., nonché grazie all’attività amministrativa attuata dalle autorità competenti; documenti presenti nel fascicolo del Pubblico Ministero di Padova e nel fascicolo del Giudice del dibattimento del Tribunale di Padova, sede staccata di Cittadella. Si è quindi proceduto con le acquisizioni sulla cancerogenesi in relazione a tale fenomeno e alla disamina dei potenziali rischi per la salute dell’esposizione per via cutanea, inalatoria e orale a cromo, nickel e piombo, effettuate attingendo alla copiosa letteratura in materia pubblicata soprattutto in area anglosassone. E’ stata quindi la volta dell’analisi della normativa vigente negli ultimi 40 anni riguardante i livelli di questi elementi ammessi nelle acque e nel suolo ed infine si è proceduto alla stesura di alcune valutazioni conclusive sui potenziali rischi per la salute causati dall’esposizione per via cutanea, inalatoria e orale a cromo esavalente, nickel e piombo. Il lavoro è articolato in 5 punti: I. lo scenario espositivo dell’inquinamento da cromo VI, nickel e piombo oggetto della presente ricerca:
  • 11. 11  area interessata dal fatto (inquadramento geografico e geologico, idrogeologia, territorio),  la fonte inquinante; II. acquisizioni sulla cancerogenesi utili ai fini del presente lavoro; III. i potenziali rischi per la salute dell’esposizione per via cutanea, inalatoria e orale a cromo VI, nickel e piombo; IV. cenni sulla normativa riguardante i livelli di cromo VI, nickel e piombo ammessi nelle acque e nel suolo; V. valutazioni conclusive sui potenziali rischi per la salute dell’esposizione per via cutanea, inalatoria e orale a cromo VI, nickel e piombo. Nella stesura del presente elaborato ci si è avvalsi delle seguenti fonti: 1. dati e documentazione sullo scenario espositivo desunti: - dall’indagine di Polizia Giudiziaria attuata dallo scrivente e dal Tecnico della Prevenzione ARPAV F. B. nel Procedimento Penale n. 2210/2002, assegnato al Pubblico Ministero P. F. della Procura della Repubblica di PADOVA; - dalla perizia dei Consulenti Tecnici (Dr. L. V., Ing. S. C., P. Ind. E. S.) nominati dal Giudice del Tribunale di Padova, sezione staccata di Cittadella, - dalla sentenza n. 140/06 del Giudice del Tribunale di Padova, sezione staccata di Cittadella, passata in “giudicato”, - dai documenti contenuti nel fascicolo formatosi durante tutto il dibattimento del citato Giudice, 2. dati della letteratura sulle conoscenze generali dei meccanismi della cancerogenesi e sui rischi per la salute, con particolare riguardo a quelli cancerogeni, dell’esposizione a cromo VI, nickel e piombo; 3. normativa in tema di esposizione a cromo VI, nickel e piombo.
  • 12. 12 I. LO SCENARIO ESPOSITIVO DELL’INQUINAMENTO DA CROMO VI, NICKEL E PIOMBO 1. DATI GENERALI L’accertamento dell’inquinamento della falda acquifera del conoide del Brenta con cromo VI, nickel e piombo è avvenuto nel 2002 in seguito all’effettuazione di campionamenti sulle acque per uso umano di pozzi privati e comunali attuati nei comuni di Tezze sul Brenta (VI), Fontaniva (PD) e Cittadella (PD) e su pozzi sentinella realizzati dal 2002 al 2006 all’interno e all’esterno del sito sorgente dell’inquinamento. Va precisato che gli sforamenti dei limiti di legge sulle acque per uso umano dei pozzi privati e comunali sono avvenuti solo relativamente ai valori di cromo VI. Il dato è perfettamente concorde con le caratteristiche dei tre metalli nel caso di episodi di inquinamento per percolamento come quello in oggetto: nickel e piombo infatti, una volta dispersi nel terreno, tendono a formare composti con un bassissimo indice di solubilità, mentre il cromo, principalmente nella sua forma esavalente, risulta particolarmente solubile in acqua. Il cromo trivalente si comporta invece come nickel e piombo e questo giustifica la pressoché totale coincidenza dei livelli di cromo totale con quelli di cromo esavalente nelle acque campionate. Dal punto di vista idrogeologico, l’identificazione della fonte inquinante e la sua caratterizzazione sono state effettuate con i rilievi delle concentrazioni del cromo VI nelle acque dei pozzi campionati. A. L’AREA INTERESSATA DAL FATTO A.1. Inquadramento geografico e geologico E’ necessario premettere alcune informazioni di base pacificamente acquisite con tutta l’attività amministrativa e giudiziaria. Il territorio interessato dal fatto oggetto del presente lavoro è compreso nei Comuni di Cittadella (Padova), Fontaniva (Padova) ed in parte Tezze sul Brenta (Vicenza). Tale area è situata nella porzione centrale del territorio della Regione Veneto, in corrispondenza del passaggio tra l’Alta e la Media Pianura
  • 13. 13 Veneta. L’Alta Pianura è formata da una serie di conoidi alluvionali ghiaiosi, depositatisi in corrispondenza dello sbocco in valle dei grossi corsi d’acqua, che, sovrapponendosi ed intersecandosi tra loro, hanno creato un unico deposito in cui circola una falda di tipo freatico (acquifero indifferenziato) che inizia a monte, a ridosso dei rilievi. Scendendo verso la media pianura il sottosuolo è costituito da materiali progressivamente più fini, costituiti da ghiaie minute con livelli sabbiosi e componenti limose e argillose le quali diventano sempre più frequenti da monte a valle. In prossimità di Fontaniva prevalgono sedimenti a granulometria molto sottile con conseguente passaggio dal sistema indifferenziato (“monofalda”) a quello multifalde in pressione, rappresentato da una porzione di territorio a sviluppo est-ovest, larga anche qualche chilometro e variabile nel tempo, denominata “fascia delle risorgive”. La falda si avvicina progressivamente alla superficie del suolo fino ad emergere, anche a causa della presenza delle sottostanti lenti argillose, formando le tipiche sorgenti di pianura dette appunto risorgive (o fontanili). Esse costituiscono il “troppo pieno” della falda freatica dell’alta Pianura Veneta, e finché resteranno attive assicureranno la disponibilità idrica al sistema differenziato posto a valle. I dati geofisici dell’AGIP Mineraria hanno permesso di stabilire che in prossimità del Comune di Cittadella il materasso alluvionale raggiunge, ed in alcuni casi supera, spessori di 600 metri. A.2. Idrogeologia L’acquifero indifferenziato presente nel sottosuolo è alimentato dall’infiltrazione diretta delle precipitazioni efficaci, dai contributi idrici derivanti dalle irrigazioni e soprattutto dalle dispersioni del fiume Brenta. L’area interessata dal processo è situata a circa tre chilometri ad Est del fiume stesso. L’influenza delle dispersioni del corso d’acqua sull’andamento dei livelli freatici è molto forte, tale da condizionare il regime della falda freatica, che è caratterizzata, nel corso di un anno idrologico, da due fasi di piena (primavera ed autunno) e due fasi di magra (inverno ed estate). Il tratto disperdente del Fiume Brenta è compreso approssimativamente tra Bassano del Grappa e circa un chilometro a
  • 14. 14 monte del limite settentrionale (superiore) della fascia delle risorgive. Il fiume Brenta disperde una portata media annua di circa 10 -12 m3 /s. Utilizzando i dati idrogeologici prodotti nel corso dello studio dell’episodio inquinante, e quelli relativi ai pozzi della rete di monitoraggio delle acque sotterranee della Regione Veneto e dell’Area di Ricarica del Bacino Scolante in Laguna di Venezia, sono state realizzate varie carte isofreatiche. Dall’analisi dettagliata delle cartografie ottenute si sono tratte alcune osservazioni: - la direzione di deflusso media delle acque sotterranee è NO-SE, tendenzialmente NNO-SSE nella porzione meridionale del Comune di Cittadella, con componente maggiormente N-S nei periodi di magra, ed E-O in quelli di piena; - il comportamento disperdente del fiume Brenta nell’area di ricarica è evidenziato dalla morfologia conica e divergente delle isofreatiche, e il comportamento drenante a sud delle risorgive è evidenziato dalla morfologia conica e convergente delle isofreatiche; - la diminuzione del gradiente idraulico a partire dalla porzione settentrionale dell’area scendendo verso il comune di Fontaniva è visibile dalla minore spaziatura delle isofreatiche. A.3. Il territorio L’area interessata dall’inquinamento è posta a valle di una zona industriale situata in località Stroppari in Comune di Tezze sul Brenta (Vicenza); più a Nord inoltre esistono altre aree industriali, e precisamente nei Comuni di Cartigliano, Rosà e Bassano del Grappa. In questi territori esistono tra l’altro alcune aziende che utilizzano il cromo nel loro ciclo produttivo, sia nella forma trivalente (concerie) sia in quella esavalente (galvaniche e laboratori orafi). Considerati i grandi volumi d’acqua presenti nel sottosuolo e l’ottima qualità della stessa, nel territorio esaminato sono presenti da tempo immemorabile numerosi punti di attingimento di acqua potabile. Va ricordato, al proposito, che solo l’acqua piovana non è dello Stato. Chiunque pertanto può realizzare un pozzo da falda per uso domestico liberamente e gratuitamente, salvo l’obbligo di denuncia. Già il
  • 15. 15 Testo Unico sulle Acque Pubbliche del 1933 prevedeva l’obbligo di denuncia al Genio Civile; attualmente la materia è trasferita alla competenza regionale. I pozzi privati censiti o comunque segnalati sono 2.500/3.000 nel Cittadellese, circa 2.000 nel territorio di Fontaniva. Le derivazioni ad uso industriale sono, invece, soggette a concessione. E’ importante evidenziare che buona parte della popolazione ha prelevato fino al 2001, ed in alcune aree preleva tutt’ora, direttamente dal proprio pozzo, acqua a scopo potabile. L’acqua è prelevata generalmente da profondità variabili tra 15 e 30 metri dal piano campagna (p.c.), per quanto riguarda i pozzi di vecchia costruzione e circa 50 metri dal p.c. per quelli terebrati di recente. L’acqua usata a scopo potabile è prelevata sia dall’acquifero indifferenziato (Cittadella e Tezze sul Brenta) sia dall’acquifero differenziato (Fontaniva); in quest’ultimo caso si sta abbandonando l’uso della falda superficiale in quanto inquinata, preferendo il prelievo dalla falda artesiana profonda, di ottima qualità e protetta dagli strati superiori d’argilla. A causa dell’elevata permeabilità dei terreni alluvionali, l’acquifero indifferenziato è molto vulnerabile: pertanto qualsiasi sostanza sversata in superficie è libera di percolare in profondità.
  • 16. 16 B. LA FONTE INQUINANTE La causa della contaminazione è stata individuata all’interno del perimetro aziendale della galvanica “Alfa”; il “focal point” si trova nel sottosuolo e nella falda sottostante tale perimetro. Il focal point può essere rappresentato come “un’enorme pastiglia” di cromo VI ed altri metalli pesanti (soprattutto nickel e cromo III) formatasi sotto l’insediamento produttivo da ultimo denominato galvanica “Alfa”, nella zona industriale di Tezze sul Brenta (VI), in Via ****. Le dimensioni della “pastiglia” sono state concretamente definite solo nel 2005: è un tronco di cono di matrice ghiaiosa e sabbiosa, con la base minore rivolta verso l’alto, la cui altezza raggiunge i 22 - 25 metri. La “pastiglia” comprende tutto il materasso litoideo alluvionale dal piano campagna fino alla “tavola d’acqua”, ossia il limite superiore della falda acquifera sotterranea, posto a circa 22 - 25 metri sotto il livello del suolo. Gli ioni di cromo VI, disciolti dall’acqua di processo o di origine meteorica, attraversano il materasso ghiaioso e sabbioso alluvionale, senza essere in nessun modo sequestrati, e la loro velocità di diffusione nella matrice liquida è molto elevata. Di contro, la diffusione dello ione nickel bivalente e piombo bivalente nelle matrici ambientali, solida e liquida, è di molto inferiore; analogamente per lo ione cromo trivalente. Ciò causa il quasi totale “sequestro” degli ioni di nickel bivalente, piombo bivalente e cromo trivalente nella matrice solida costituita dal materasso litoideo alluvionale esistente sotto il perimetro aziendale della Galvanica “Alfa”. La falda acquifera non mantiene un livello di altezza costante: la “tavola d’acqua” si alza o si abbassa con escursioni che facilmente raggiungono il mezzo metro anche nel breve tempo “geologico” di due settimane; ne consegue che può verificarsi una escursione annua del livello di falda anche di 5 metri. Si attua pertanto il “periodico dilavamento della pastiglia di cromo VI”, con conseguente rilascio dalla stessa di ioni di tale sostanza; gli ioni vengono poi trasportati dallo scorrimento della falda da Nord - Nord Ovest verso Sud – Sud Est. Questa è la spiegazione dei rilevamenti di cromo VI nella acque attinte da pozzi privati nei comuni di Cittadella, Fontaniva, Tezze sul Brenta.
  • 17. 17 La galvanica “Alfa” nel contesto del bacino scolante in laguna di Venezia Fino alla cessazione dell’attività produttiva, al dilavamento del materasso litoideo contribuiva l’eluizione negli strati del sottosuolo dei fluidi comunque provenienti dalle fasi di lavorazione, manutenzione, depurazione, e da eventuali incidenti legati alla conduzione degli impianti. Episodi analoghi si sono verificati in precedenza, come risulta dagli atti processuali svolti a Cittadella presso la sezione staccata del Tribunale di Padova, oltre che da una pubblicazione CNR del 1999: risulta che il sito della Galvanica “Alfa” è stato fonte di altri eventi analoghi dal 1974, all’80, all’86, all’89, al ‘93, al ’94.
  • 18. 18 2. LE FASI DELL’ACCERTAMENTO DELLA SORGENTE DELL’INQUINAMENTO DELLA FALDA ACQUIFERA DEL CONOIDE DEL BRENTA L’indagine per l’accertamento della sorgente dell’inquinamento da cromo VI della falda acquifera, condotta in coordinamento da Procura della Repubblica di Padova, ARPAV e Regione Veneto, ha inizio nel 2002. Il procedimento viene avviato principalmente a seguito di due episodi: - l’inquinamento da cromo VI di un pozzo privato nel comune di Cittadella segnalato nel giugno 2001; - la successiva campagna di campionamenti condotta da ARPAV su complessivi 106 pozzi nei comuni di Tezze sul Brenta, Fontaniva e Cittadella dall’estate 2001 al marzo 2002. I valori superiori ai limiti di legge per 29 dei pozzi campioni hanno consentito di definire area e entità della contaminazione. La Procura della Repubblica di Padova ha avviato così una serie di indagini per identificare l’origine dell’inquinamento. Sulla base dei dati forniti da ARPAV, è stato identificato il conoide inquinato e l’area del possibile “focal point” all’origine della contaminazione, ai confini fra i comuni di Rosà e Tezze sul Brenta. Ricostruita la storia antropica della zona, se ne è studiata la sua idrogeologia. In seguito sono state ricercate, individuate e mappate le attività artigianali ed industriali, con particolare riguardo per quelle che usavano nel loro ciclo produttivo dei composti contenenti cromo VI. In questa fase, è stato ispezionato anche l’insediamento produttivo gestito dalla società “Alfa”, con attività galvanica, che presentava un elevato livello di degrado di strutture e macchinari e, all’interno del suo perimetro aziendale, una palese contaminazione delle superfici scoperte esterne alle strutture edilizie con sostanze chimiche. In particolare, nei mesi di marzo e aprile 2002 si è constatata la presenza e la contaminazione da cromo VI (tra l’altro per la presenza di cristalli di colore giallo su pavimentazioni interne ed esterne al capannone produttivo) e da nickel (per la colorazione verdognola di liquami fuoriuscenti da sacchi usati per lo stoccaggio dei fanghi, prodotti dall’impianto interno al fine di trattare i reflui).
  • 19. 19 La Regione Veneto stabiliva a questo punto di realizzare, entro il termine del 2002, una serie di piezometri, (denominati “pozzi Pz”), ossia di pozzi ricavati con trivellazione del terreno (terebrazione), a monte (uno) e a valle dell’azienda (da subito tre) per meglio valutare la situazione di inquinamento delle acque (cfr. allegati 2, 3 e 4). Particolarmente interessante e rappresentativa è la trasformazione antropica ed urbanistica, da agricola ad artigianale-industriale, avvenuta negli ultimi decenni nella zona dove insiste la galvanica “Alfa”. A seguito del fallimento della galvanica “Alfa” alla fine del 2003, sono stati realizzati alcuni piezometri all’interno del perimetro aziendale (denominati “Pozzi G”) che hanno consentito anche, attraverso l’analisi delle carote di terreno, di valutare il grado di inquinamento del suolo sottostante la fabbrica. Il monitoraggio veniva integrato con la realizzazione di alcune vere e proprie trincee che contribuirono anch’esse, sempre attraverso l’analisi del terreno asportato, di quello di fondo e delle pareti, a valutare l’inquinamento di cui sopra. Ulteriori piezometri sono stati successivamente terebrati negli anni che seguirono, fino al 2006, sia all’interno del perimetro aziendale, sia all’esterno, nelle sue immediate vicinanze.
  • 20. 20 Numero pozzo Comune Via Profondità colonna metri da pc Acquifero 200 Cittadella Battistei, 133 Freatico 233 Cittadella Pani 25,0 Freatico 233bis** Cittadella Pani 66,0 Freatico 234 Cittadella Ponte Gobbo 16,0 Freatico 202 Cittadella Campagna Tron 30,0 Freatico 193 Cittadella Campagna Tron 18,0 Freatico 180 Cittadella Del Tron 20,0 Freatico 1154 Cittadella Postumia di Ponente 20,0 Freatico N1154* Cittadella Postumia di Ponente 26,0 Freatico 178 Cittadella Valliera 30,0 Freatico 143 Cittadella Casaretta 30,0 Freatico 198 Cittadella Casaretta 17,5 Freatico 237 Cittadella Giusti 30,0 Freatico 146 Cittadella Fontanivese 30,0 Freatico 172 Cittadella Casaretta 25,0 Freatico 175 Cittadella Lazzaretto 20,0 Freatico 173 Cittadella Lazzaretto 20,0 Freatico 203 Cittadella Muri d'Orsato 20,0 Freatico 2 Fontaniva Marconi 25,0 Freatico 1 Fontaniva Marconi 18,0 Freatico 13 Fontaniva Carducci 15,0 Freatico 3 Fontaniva Chiesa 14,0 Freatico 4 Fontaniva Dante 18,0 Freatico 5 Fontaniva Kennedy 15,0 Freatico 6 Fontaniva Ciliegi 18,0 Freatico 196 Cittadella Pieve 15,0 Freatico 8 Fontaniva Sant'Antonio 14,0 Freatico 7 Fontaniva Della Riva 20,0 Freatico 11 Fontaniva Boschetti 15,0 Freatico 12 Fontaniva Contrà Beggio 43,0 Artesiano 10 Fontaniva Montagnola 16,0 Freatico 9 Fontaniva Cultura 43,5 Artesiano Tabella 1. Anagrafica dei pozzi utilizzati per il monitoraggio periodico. *Il pozzo 1154, è stato sostituito, a partire dal 02 Aprile 2002, dal Pozzo N1154. **Il pozzo 233, è stato sostituito, a partire dal 13 maggio 2002, dal Pozzo 233bis. Nel corso della campagna di monitoraggio avvenuta alla fine di Marzo, allo scopo di approffondire le conoscenze nell’area posta a nord dei pozzi 234 e 202, sono stati effettuati dei sopralluoghi mirati all’individuazione di nuovi pozzi da inserire nel controllo periodico. Le ricerche effettuate hanno permesso di individuare un pozzo freatico, sito a Tezze sul Brenta (M2002), realizzato alla profondità di 35 metri dal p.c.; il giorno 22 Marzo 2002 sono stati riscontrati 140 μg/l di cromo esavalente.
  • 21. 21 Foto aeree dal 1955 fino all’anno 2000 della zona industriale di Tezze sul Brenta, luogo in cui si insedierà la galvanica “Alfa”. Tezze sul Brenta (VI). Volo 6 luglio 1955 Tezze sul Brenta (VI). Volo 31 luglio 1967
  • 22. 22 Tezze sul Brenta (VI). Concessione 12 ottobre 1981 Tezze sul Brenta (VI). Concessione 2 luglio 1990
  • 24. 24 3. L’AZIENDA ED IL SUO INSEDIAMENTO Lo stabilimento industriale in cui ha operato la galvanica “Alfa” è stato realizzato agli inizi degli anni ’70 in Via *****, nel comune di Tezze sul Brenta in una zona a vocazione prettamente agricola. L’area in questione si trova al confine fra quattro comuni situati in due province diverse: Tezze sul Brenta e Rosà nel vicentino e Fontaniva e Cittadella in provincia di Padova. I due comuni del padovano si trovano rispettivamente a sud e a sud-est del complesso industriale. Nel 1974 ha avuto inizio l’attività produttiva della cromatura di elementi di arredamento da parte dell’azienda denominata “Cromatura Beta” la cui ragione sociale, nel febbraio 1975, è stata convertita in” Gamma”. Quest’ultima nel 1995, in seguito alla contrazione della propria area di mercato, ha smantellato la sua attività cedendo il settore della cromatura alla “Galvanica Alfa”. La “Galvanica Alfa” ha gestito gli impianti galvanici “ex-Gamma” fino al suo fallimento, nel 2003. L’attività della “Cromatura Beta” e della “Gamma” riguardava in particolare: la lavorazione metalmeccanica di materiali ferrosi, come taglio, piegatura e saldatura; la pulitura e smerigliatura dei semilavorati; nickelatura, cromatura, ottonatura e argentatura dei prodotti, quindi finitura con applicazione di vernici trasparenti e successiva cottura in forni. La galvanica “Alfa”, in seguito alla riduzione dell’attività ha svolto dalla fine degli anni ’90 le sole fasi di nickelatura e cromatura. Dal momento dell’entrata in attività dell’azienda sono stati eseguiti controlli, da parte di diversi enti preposti, sulle caratteristiche delle acque di scarico. Da tali indagini sono emerse numerose irregolarità, in violazioni alle leggi al tempo vigenti. Tali irregolarità sono elencate nella Tabella 1. Da quel che si evince dalla documentazione agli atti del Tribunale, fino al 1986 l’azienda ha scaricato i reflui prodotti dall’attività nella “Roggia Brotta”, un corso d’acqua superficiale che scorre a margine della strada comunale (Via *****), a sud dell’insediamento produttivo, roggia che riceveva e riceve ancor oggi gli scarichi delle acque meteoriche di tutta la zona industriale. E’ altresì risultato che la condotta non era stata realizzata con tratto di tubatura continua, bensì i tratti stessi erano (e sono) opportunamente distanziati di alcuni centimetri al fine di creare delle “feritoie” attraverso le quali le acque piovane (e non) veicolate potessero agevolmente
  • 25. 25 disperdersi nel terreno ghiaioso sabbioso circostante e sottostante, andando più agevolmente a rimpinguare il sottostante acquifero indifferenziato. Successivamente lo scarico dell’azienda è stato collegato ad un ramo di rete fognaria, nel frattempo predisposto e realizzato, che convogliava e convoglia le acque ad un impianto di depurazione consortile. Dopo il 1999 e fino alla chiusura dell’attività nel 2003, non sono state riscontrate dalle autorità competenti altre violazioni dei parametri delle leggi vigenti per quanto concerne le acque di scarico (cfr. Tabella 1). Va evidenziato e sottolineato che, contestualmente a quanto riportato in Tabella 1, esistono tracce documentate di episodi di inquinamento da cromo VI delle acque di falda che attraversano gli abitati dei comuni a valle. L’evento sicuramente più eclatante risale all’ anno 1977 quando, in seguito al campionamento su 53 pozzi privati nei comuni di Cittadella e Fontaniva in provincia di Padova, l’ autorità sanitaria di allora (poi USL 19) ha rilevato superamenti del limite di legge per le acque potabili riguardo al cromo VI. Tale episodio si è esaurito spontaneamente nel gennaio 1978. Di particolare interesse risulta il fatto che il conoide inquinato al tempo descritto, è molto simile a quello identificato dai campionamenti che ARPAV ha effettuato dal 2002 in avanti. Altri episodi successivi simili, ma meno circostanziati, risalgono: - al periodo 1980-81, in cui venivano coinvolti i comuni di Galliera Veneta (PD), ad est di Cittadella, e Tombolo (PD) a sud-est di Cittadella, - al periodo 1983-84, in cui furono interessati i territori in prossimità del fiume Brenta, a nord di Fontaniva.
  • 26. 26 Alla distribuzione dell’acqua per la popolazione coinvolta dall’inquinamento di cromo VI provvedono con autobotti i militari del “Pordoi” e del “Valles”, come evidenzia la foto recuperata da un quotidiano del 1977.
  • 27. 27 20 Febbraio 1980 : Comune di Tezze sul Brenta “Autorizzazione provvisoria, per la durata di tre mesi dalla data della presente, allo scarico nella Roggia Brotta dei rifiuti liquidi provenienti dalle lavorazioni dell’ insediamento produttivo”.
  • 30. 30 4. LA DIMENSIONE DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE Complessivamente, le indagini condotte dallo scrivente in stretta collaborazione con il Tecnico di Prevenzione F. B. (in forza al Dipartimento Provinciale ARPAV di Vicenza, sede di Bassano del Grappa) e la perizia dei Consulenti Tecnici nominati dal Giudice P. C., hanno consentito di dare una dimensione all’entità dell’inquinamento, sia per quanto riguarda il suolo in corrispondenza dell’insediamento industriale, sia per quanto riguarda le acque della falda freatica nell’area interessata. A. SUOLO Si è giunti alla conclusione che la contaminazione prodotta dall’attività di cromatura/nickelatura ha determinato la formazione di una “pastiglia” di terreno inquinato, principalmente da cromo VI, cromo III e nickel, al di sotto dell’azienda. Essa è stata descritta come una forma tronco-conica con la base minore rivolta verso l’alto e con una profondità di circa 25 metri. I livelli di concentrazione di cromo VI, nickel e piombo riscontrati nel terreno sottostante l’azienda sono riassunti nella Tabella 2. Alte concentrazioni di nickel sono state rilevate in carote ottenute da piezometri realizzati nelle adiacenze del perimetro aziendale. Anche l’analisi del terreno prelevato ad una profondità di 20-50 cm durante la realizzazione delle trincee, ha consentito di evidenziare livelli di cromo VI, cromo totale e nickel nettamente superiori ai parametri di legge in quasi tutti i campioni. Va rilevato inoltre che l’analisi dei fanghi di depurazione (cfr. Tabella 3), delle acque di dilavamento e di quelle dei pozzetti per la raccolta delle acque meteoriche hanno rivelato concentrazioni di cromo VI, cromo totale, nickel e piombo al di sopra dei limiti di legge. L’analisi delle carote di terreno dei piezometri realizzati a varie distanze dall’azienda, nei comuni di Fontaniva e Cittadella, non ha evidenziato superamenti dei limiti di legge da parte degli inquinanti ricercati. Il dato è concorde con l’assenza, in queste aree, di un percolamento dei contaminanti dal piano di campagna alla sottostante falda e con l’alta solubilità del cromo VI che, seppure transitando attraverso aree di terreno non contaminate, non si àncora alla matrice solida.
  • 31. 31 B. ACQUE DELLA FALDA FREATICA L’analisi della documentazione agli atti consente di ricavare una “fotografia” dell’andamento quantitativo e temporale dell’inquinamento della falda freatica a valle dell’insediamento industriale. Dalla relazione del Dottor F. M. dell’Osservatorio Regionale per le Acque (ORAC) dell’ARPAV, si evince la criticità degli andamenti temporali del livello della falda. La falda freatica del conoide del Brenta è infatti alimentata per la maggior parte dallo stesso fiume Brenta che nelle zone pedemontane cede acqua alla falda stessa dal proprio letto per infiltrazione del terreno ghiaioso. Durante la stagione invernale le temperature rigide non consentono lo scioglimento di nevai e ghiacciai e la portata del fiume è relativamente diminuita e così anche il livello della falda è molto basso. Nella stagione calda, lo scioglimento dei nevai e dei ghiacciai aumenta la portata del fiume e quindi il livello delle acque di falda. Durante i periodi di innalzamento della falda freatica la “pastiglia” di terreno contaminato viene transitata dall’acqua in scorrimento. I contaminanti con più alto livello di solubilità, principalmente il cromo VI, vengono quindi dilavati dal terreno impregnato e trasportati a valle dove vengono ritrovati nelle acque dei pozzi per uso umano e nei pozzi sentinella terebrati negli anni precedenti. Dai numerosi pozzi campionati nel periodo 2002-2005 al fine di quantificare e poi monitorare gli andamenti dell’inquinamento da cromo VI delle acque per uso umano, sono stati raccolti i dati che poi sono stati riportati nelle specifiche relazioni peritali sullo stato idrogeologico della falda. I superamenti dei limiti di legge sono stati numerosi, fino a raggiungere un valore massimo di cromo VI di 275 g/l rilevato nel pozzo di Via Pani in comune di Cittadella (PD). Complessivamente, il valore medio delle misurazioni delle concentrazioni di cromo VI effettuate è risultato di 100 g/l per i campioni con valori al di sopra del limite di legge. Va sottolineato che l’analisi delle portate e della traiettoria della falda effettuata dai geologi interpellati, ha condotto alla definizione di uno
  • 32. 32 scenario secondo il quale si può presupporre che in passato i livelli di concentrazione di cromo VI hanno raggiunto valori anche superiori 500 g/l. Per quanto riguarda nickel e piombo, nonostante siano scarsamente solubili, essi erano presenti a concentrazioni al di sopra dei parametri di legge nei “pozzi sentinella” terebrati all’interno dell’azienda (i pozzi “G”). Il fenomeno è indicativo dell’altissimo livello di inquinamento del terreno in quest’area. Il nickel e il piombo hanno infatti raggiunto concentrazioni tali da saturare la capacità del terreno di trattenerli sotto forma di composti insolubili. C. NOTA SULLA MOBILITA’ DI CROMO VI, CROMO III E NICKEL NEL TERRENO E NELLE ACQUE Il cromo VI ha una mobilità molto superiore rispetto al cromo III, in quanto il cromo VI è molto solubile in acqua, mentre il cromo III è praticamente insolubile e perciò si blocca facilmente nel terreno. Di conseguenza è più facile trovare nelle acque di falda la presenza di cromo VI. In un ambiente neutro o tendente al basico, come il terreno o l’acqua di falda, il cromo nella valenza bassa (cromo III) è insolubile, perché, avendo un comportamento metallico, tende a formare idrossidi, che non sono solubili in acqua; per trovarlo in forma solubile bisognerebbe essere in ambiente acido. Anche il nickel in ambiente neutro o basico tende a formare idrossidi poco solubili: gli studi sulla mobilità dei metalli in suoli contaminati evidenziano che il nickel è uno dei metalli meno mobili. Per tale motivo, anche se il terreno è inquinato sia da nickel sia da cromo VI, nella falda si rilevano alte concentrazioni di cromo VI e basse quantità di nickel.
  • 33. 33
  • 34. 34 D. MODALITA’ DI INQUINAMENTO DEL TERRENO E DELLA FALDA ENTRO L’AREA DELLO STABILIMENTO Le trincee e i carotaggi eseguiti nel sito hanno evidenziato la presenza di cromo nel terreno dalla superficie fino al livello più volte raggiunto e superato dalla superficie della falda nelle sue periodiche oscillazioni. Nello stabilimento la zona più inquinata comprende i piezometri G9, G11, G5, G10, G8 e G7. Visti i valori del G11 può affermarsi, inoltre, che la parte notevolmente più inquinata è quella che comprende la linea galvanica attiva fino alla dismissione dell’impianto (G8, G10 e G7). Gli inquinanti, nel caso specifico cromo e nickel, si sono infiltrati e propagati nella porzione insatura di sottosuolo per le perdite che si sono verificate ripetutamente nelle vasche dei bagni galvanici. Nel fondo delle vasche dei bagni di cromo, così come nella vasca dei concentrati, sono stati osservati dopo il loro svuotamento dei rattoppi di resina, per la chiusura di fenditure e di zone dove la soletta di fondo vasca si era disgregata per l’azione delle soluzioni. Un’altra importante e costante via di dispersione e penetrazione del cromo VI nel terreno, è rappresentata dai gocciolamenti, dai pezzi in lavorazione al pavimento, nei passaggi dall’una all’altra vasca di elettrodeposizione – durante le fasi della cromatura – e dall’una all’altra vasca di lavaggio – a cromatura avvenuta. Va evidenziato che i gocciolamenti in parola sono soluzioni acquose di acido cromico, classificato come “molto tossico per inalazione” ai sensi del 29° Adeguamento al Progresso Tecnico della direttiva 67/548/EEC (T+; R26; direttiva “Seveso”), oltre che – come tutti i composti del cromo VI – cancerogeno di categoria 2 e pericoloso per l’ambiente acquatico (N; R50/53). Il riscontro analitico dei percolamenti proviene dai risultati dei carotaggi.
  • 36. 36
  • 37. 37 La propagazione della soluzione contenente cromo, dunque, è un dato di evidenza sperimentale incontrovertibile. Essa può essere avvenuta secondo due modalità, in funzione della composizione tessiturale del terreno: - propagazione dalla superficie alla falda secondo un percorso verticale o sub verticale (si ha propagazione prevalentemente verticale quando il terreno ha una composizione omogenea e non ci sono livelli o lenti di terreno a minore permeabilità); - propagazione con andamento verticale e laterale. E’ il caso più frequente ed è quanto si verifica nel sito in esame (nella sua propagazione verticale verso la falda l’inquinante subisce delle deviazioni laterali in corrispondenza di strati di terreno a minor permeabilità, nel caso specifico livelli a tessitura fine e strati addensati e talora cementati (livelli conglomeratici). Il flusso inquinante, infatti, tende a deviare orizzontalmente quando incontra livelli poco permeabili dato che la permeabilità orizzontale è maggiore di quella verticale. L’ampiezza dello spostamento può essere considerevole ed è in funzione all’estensione e alla continuità dello strato meno permeabile o impermeabile, che impedisce il percorso verticale. Nel caso del sito della Galvanica “Alfa” le stratigrafie dei sondaggi hanno mostrato una situazione di discreta non omogeneità in tutta l’area con livelli a granulometria medio-fine e frequenti lenti conglomeratiche a debole grado di cementazione. E’ quindi ragionevole pensare che la propagazione del flusso inquinante segua tragitti diversi dalla verticalità, raggiungendo la falda dopo aver seguito vie preferenziali di scorrimento in rapporto alla costituzione del terreno.
  • 38. 38
  • 39. 39 Galvanica “Alfa”. Particolare di materiale impregnato da cromo VI Galvanica “Alfa”. Sasso posizionato alcuni metri sotto la vasca del cromo. Galvanica “Alfa”. Particolare di materiale già costituente la platea cementizia impregnato da cromo VI
  • 40. 40 Galvanica “Alfa”. Sezione di un sasso del peso di circa 5 kg prelevato alcuni metri sotto la vasca del cromo VI Un sasso proveniente dal primo metro dell’insaturo contaminato, lo si è immerso in acqua bidistillata. Esso ha continuato a rilasciare per circa 6 mesi cromo VI fino a raggiungere una concentrazione nel solvente di circa 158.000 microgrammi/litro.
  • 41. 41 Prelevato poi lo stesso sasso e riposto in un secondo recipiente contenente un altro litro di acqua bidistillata, esso ha continuato a rilasciare cromo VI: - dopo 19 giorni di immersione la concentraz di cromo Vi nella soluzione era di 2.000 microgrammi/litro; - dopo 39 giorni era di 4.000 microgrammi/litro; - dopo 83 giorni era di 6.150 microgrammi/litro; - dopo 346 giorni era di 10.500 microgrammi/litro. D. POPOLAZIONE ESPOSTA La contaminazione delle acque di falda ha comportato, fino ai primi anni ’90, l’esposizione della popolazione del territorio interessato. I residenti delle aree interessate sono stati potenzialmente esposti in via principale: 1. al cromo VI per via ingestiva a causa della sua diffusa presenza nell’acqua; 2. al cromo VI per contatto con l’acqua attinta e utilizzata per scopi igienico sanitari, per allevamento animali domestici, per irrigazione di colture ed ortaggi. Si è inoltre sicuramente verificata un’ importante esposizione della popolazione lavorativa a cromo VI, nickel e piombo per contatto, ingestione e inalazione a causa del quotidiano utilizzo per scopi produttivi di soluzioni acquose contenenti i suddetti metalli, nonché con le matrici ambientali particolarmente inquinate presenti all’interno del perimetro successivo capitolo aziendale. Ne è conseguita pertanto la concreta possibilità di “contaminazioni incrociate”, ad esempio tra i lavoratori/maestranze e i loro familiari a causa anche solo degli indumenti di lavoro imbrattati/contaminati). In via secondaria, si è altresì verificata un’esposizione a nickel e piombo nella popolazione per i motivi elencati nel successivo capitolo V. Un ordine di grandezza della popolazione potenzialmente coinvolta è data dal numero dei residenti dei tre comuni che, al 2001, era la seguente:  Tezze sul Brenta (VI): 10.405 abitanti.  Fontaniva (PD): 7.460 abitanti.  Cittadella (PD): 18.743 abitanti.
  • 42. 42 Nel considerare la popolazione esposta va prestata una particolare attenzione alle fasce a maggior rischio. Bambini, anziani, gestanti e immunodepressi sono notoriamente i gruppi più deboli in quanto altamente sensibili ad agenti chimici e fisici con effetti a breve e lungo termine per la salute.
  • 43. 43 II. LA CANGEROGENESI 1. LA DIMENSIONE EPIDEMIOLOGICA DEI TUMORI I tumori rappresentano oggi il più grave problema di sanità pubblica: essi infatti sono responsabili, nei paesi industrializzati, di oltre il 30% della mortalità. I tumori non colpiscono soltanto le fasce più anziane della popolazione, in quanto costituiscono la prima causa di morte nella fascia dell'età produttiva. L'incidenza dei tumori è cresciuta gradualmente, ma costantemente, negli ultimi decenni. La ragione di tale incremento dipende da tre fattori essenziali: 1) l'invecchiamento della popolazione; 2) l'aumento della diffusione (per tipologia e quantità) di agenti cancerogeni nell'ambiente di lavoro e di vita generale; 3) l'inizio della esposizione ad essi in età sempre più giovani (per alcune tipologie addirittura fin dalla vita embrionale-perinatale-neonatale). Se l’incidenza non diminuirà, la mortalità per cancro non potrà subire modifiche sostanziali. 2. GLI AGENTI CANCEROGENI E LE SITUAZIONI IN CUI POSSONO ESSERE PRESENTI Gli agenti che hanno maggiore rilevanza nella induzione di tumori nell'uomo sono di tipo fisico e chimico ed hanno una origine prevalentemente artificiale. Essi sono il prodotto delle attività produttive e consumistiche dell'era industriale: sono cioè l'effetto dei nostri modelli di sviluppo. Gli agenti cancerogeni sono presenti nei minerali che vengono superficializzati (carbone, minerali radioattivi, fibre, ecc.); nel petrolio; nelle fasi di produzione, trasporto ed utilizzo dell'energia (fossile, nucleare, elettrica, ecc.); nella produzione di beni di consumo vari, i quali hanno avuto un grande impulso con lo sviluppo dell'industria chimica e petrolchimica; nei prodotti che vengono utilizzati in agricoltura (in particolare i pesticidi) e nell'industria alimentare (conservanti, additivi, coloranti, ecc.); nelle scorie (rifiuti solidi urbani, industriali, ecc.).
  • 44. 44 3. LE CARATTERISTICHE DELL’AZIONE DEGLI AGENTI CANCEROGENI Il processo di cancerogenesi presenta alcune caratteristiche peculiari: a. gli effetti degli agenti cancerogeni sulle cellule sono in larga misura irreversibili, e il processo neoplastico può pertanto continuare a svilupparsi anche quando l'esposizione agli agenti cancerogeni è stata interrotta; b. non esiste una dose senza effetto (effetto stocastico); c. esiste un rapporto fra entità dell'esposizione ed entità della risposta neoplastica; d. agenti cancerogeni, anche di natura diversa, possono avere effetti additivi e moltiplicativi sulla risposta neoplastica (sincancerogenesi). Con il termine “effetto moltiplicativo” (o sincancerogenesi) si intende descrivere una risposta cancerogena, indotta da due o più agenti cancerogeni, tale da determinare (rispetto all'entità dell'effetto cancerogeno di ciascun agente) una più alta incidenza di tumori, oppure un periodo di latenza (cioè il tempo intercorso tra l'inizio dell'esposizione e l'insorgenza del tumore) più abbreviato, o infine un più elevato numero di tumori nell'organo/tessuto bersaglio predestinato. e. L'effetto sincancerogenetico può riguardare un solo organo/tessuto quando gli agenti cancerogeni considerati hanno lo stesso organotropismo, oppure può riguardare più organi e tessuti se gli agenti cancerogeni considerati hanno diverso organotropismo; f. appare sempre più evidente, sulla base di indagini epidemiologiche più precise e di saggi sperimentali più adeguati (soprattutto quelli che non prevedono sacrifici a tempi arbitrari, in genere dopo due anni, ma l'osservazione degli animali fino a morte spontanea) che la maggior parte degli agenti cancerogeni, pur potendo avere dei tessuti ed organi bersaglio, hanno in realtà effetti cancerogeni multipotenti, cioè la capacità di indurre tumori di vario tipo in molte sedi anatomiche; g. tra l'inizio dell'esposizione ad un agente cancerogeno e l'insorgenza delle neoplasie da esso provocate, intercorre un periodo di latenza (incubazione) più o meno lungo, caratterizzato quasi sempre dall'assenza di alterazioni clinicamente e patologicamente rilevabili,
  • 45. 45 che tuttavia si può considerare come la dimensione temporale nella quale si attuano e si sviluppano alterazioni "minime", che costituiscono lo stadio critico, ma forse più importante, del processo neoplastico. Il problema del potenziale cancerogeno ambientale e professionale e dei suoi effetti va valutato tenendo in considerazione, oltre che il numero e la quantità degli agenti cancerogeni immessi nell'ambiente, anche le suddette caratteristiche degli effetti cancerogeni e del processo neoplastico, ed in particolare le infinite possibilità di sincancerogenesi. Oggi, in termini scientifici e per le conseguenti implicazioni di sanità pubblica, non è corretto valutare i rischi cancerogeni in termini di singoli agenti cancerogeni e singoli tumori specifici in organi "bersaglio": bisogna invece considerare, innanzitutto, il rischio totale ("total risk") e la risposta totale ("total burden"), intesa quest'ultima come la totalità dei tumori maligni osservati. Le ricadute di questa nuova impostazione sulle valutazioni, regolamentazione e strategie di controllo e di sanità pubblica sono pertanto assai considerevoli.
  • 46. 46 III. I POTENZIALI RISCHI PER LA SALUTE DELL’ESPOSIZIONE PER VIA CUTANEA, INALATORIA E ORALE A CROMO VI, NICKEL E PIOMBO 1. CROMO A. Presenza in natura, produzione e uso Il cromo è un elemento naturale che fa parte del gruppo VI della serie dei metalli di transizione della tavola periodica degli elementi. Si presenta in diversi stati di ossidazione che vanno da 2 a 6+ . La forma elementare del cromo con stato di ossidazione 0 non esiste in natura. Le forme più rappresentate sono quelle con stato di ossidazione 2+ (II), 3+ (III) e 6+ (VI). Lo ione cromo più stabile è il III, seguito dal VI e dal II, che tende ad essere rapidamente ossidato a cromo III. Il cromo VI viene naturalmente ridotto alla forma III in presenza di materiale organico ossidabile. Tuttavia la carenza di tale materiale nelle acque, conferisce al cromo VI una buona stabilità quando disciolto in questa matrice (EPA, 1984). Il cromo VI è tuttavia molto raro in natura in quanto si e si trova: - nel minerale crocoite, un cromato di piombo (PbCrO4) (Hurlbut Jr., 1971), - nel minerale cromite, un bicromato ferroso (FeCr2O4), - come prodotto antropogenico (EPA, 1984). I composti del cromo III sono normalmente poco solubili in acqua mentre alcuni composti del cromo VI lo sono molto di più, come ad esempio quelli contenenti ammonio e metalli alcalini come sodio e potassio. L’estrazione di cromo nel 2005 ammontava, a livello mondiale, a circa 18.000.000 tonnellate (USGS, 2005a). Una seconda fonte di produzione di cromo proviene dal riciclaggio di materiali che lo contengono in leghe di varia natura; nei soli Stati Uniti, nel 2005, la produzione da questa sorgente ammontava a 170.000 tonnellate (USGS, 2005a). Il cromo è soprattutto utilizzato nell’industria metallurgica, chimica e dei refrattari: esso viene infatti usato per la produzione di acciai, per la
  • 47. 47 placcatura di leghe ferrose e per la produzione di leghe non ferrose, principalmente per la sua resistenza alla ruggine e la sua brillantezza (IARC, 1990; ATSDR, 2000). La caratteristica di inalterabilità alle alte temperature inoltre lo rende materiale di elezione per i rivestimenti di forni e fornaci, mentre le sue caratteristiche ioniche ne hanno favorito un largo impiego nell’industria dei pigmenti e del trattamento delle pelli (IARC, 1990; ATSDR, 2000). Per l’uomo il cromo nella sua forma III costituisce un micronutriente che svolge un ruolo fondamentale principalmente nel metabolismo del glucosio (potenziando l’effetto dell’insulina), ma anche di grassi e proteine. Il cromo III picolinato viene anche utilizzato come integratore della dieta (Broadhurst et al, 1997). B. Diffusione nell’ambiente ed esposizione della popolazione generale Le concentrazioni naturali di cromo nel suolo sono correlate alla tipologia del terreno. In aree ricche di basalti, serpentini, rocce ultramafiche e fosforiti, le concentrazioni di cromo possono arrivare ad alcune migliaia di mg/kg (Merian, 1984), mentre in suoli di origine granitica o sabbiosa le concentrazioni sono molto più basse (Swaine et al, 1960). Negli Stati Uniti sono state rilevate concentrazioni da 1 a 2.000 mg/kg con un valore mediano di 37 mg/kg (USGS, 1984). In Canada analoghi studi hanno fornito un range da 5 a 1.500 mg/kg con una media di 43 mg/kg (Cary, 1982). Nelle acque dell’oceano le concentrazioni medie di cromo sono attorno a 0,3 g/l (Cary, 1982), molto inferiori rispetto ai 5 g/l dei laghi (Borg, 1987) e ai 10 g/l dei fiumi (Eckel et al, 1988). La concentrazione di cromo totale a livello atmosferico negli Stati Uniti è tipicamente fra 0,005 e 2,6 ng/m3 in aree remote (ATSDR, 2000); al di sotto dei 10 ng/m3 nelle zone rurali e di 10-30 ng/m3 nelle aree urbane (EPA, 1990). I livelli di cromo nell’ambiente domestico sono invece stati analizzati in diverse indagini che hanno fornito valori da 0,1 a oltre 80 ng/m3 in relazione alla distanza da siti industriali dove veniva utilizzato il cromo (ATSDR, 2000). Diversi studi si sono anche occupati della valutazione delle concentrazioni di cromo nelle acque potabili. Pur soffrendo di varie limitazioni dovute a volte a strumentazioni di misura non perfettamente idonee o a metodi analitici non del tutto appropriati, si può ritenere che il
  • 48. 48 cromo sia presente a concentrazioni comprese in un range fra 0,4 e 8,0 g/l con un valor medio di 1,8 g/l (Greathouse et al, 1978). L’esposizione a cromo della popolazione generale può avvenire attraverso le tre principali vie: cutanea, inalatoria e ingestiva. Il contatto cutaneo si verifica in seguito all’esposizione ad alte concentrazioni di cromo nell’aria o al contatto con acque contenenti elevati livelli di cromo (ATSDR, 2000). L’esposizione per via inalatoria è sostanzialmente dovuta alle emissioni di cromo in atmosfera ad opera delle principali attività produttive umane. L’ingestione di cromo è invece principalmente da ricondurre alla dispersione dell’elemento o dei suoi composti nelle acque potabili, principalmente in forma VI, dalle stesse fonti industriali e secondariamente dalla piogge che sono in grado di intercettare le particelle presenti nell’aria e veicolarle nelle falde acquifere attraverso la percolazione nel terreno. C. Tossicocinetica C. 1 Via cutanea Uno studio sperimentale sull’uomo ha dimostrato che, applicando sulla cute di volontari dischetti di carta da filtro imbevuti con soluzioni di cromo VI, lo ione metallico può entrare nel circolo sanguigno (Wahlberg, 1970). La quantità di cromo VI assorbita dipende dalla concentrazione della soluzione di partenza e raggiunge il livello di plateau dopo 5 h dall’applicazione (Liden et al, 1979). La quantità di cromo VI assorbita può raggiungere 1,1 g/cm2 /h per soluzioni di partenza 0,01 M di cromato di sodio (520 mg/l di cromo VI) (Baranowska-Dutkiewicz, 1981). Lo studio di casi clinici su individui trattati con soluzioni di cromo VI per curare le lesioni cutanee prodotte dalla scabbia, ha dimostrato l’elevata capacità del cromo VI di penetrare la cute danneggiata ed entrare nel circolo sanguigno (Brieger, 1920). Il cromo VI può inoltre penetrare facilmente l’epidermide umana incisa (Mali et al, 1963). In letteratura sono riportati numerosi casi clinici di donne esposte a cromo VI sotto varie forme e a varie concentrazioni per via cutanea: essi hanno evidenziato effetti tossici per cuore, stomaco, muscoli e reni oltre che a carico del sangue (ATSDR, 2000). Questi dati inducono a ritenere che i suddetti organi e tessuti siano le principali sedi di accumulo dello ione metallico dopo la sua penetrazione nell’organismo umano attraverso la cute.
  • 49. 49 Studi sperimentali sull’animale (guinea pig) hanno ulteriormente dimostrato che l’applicazione cutanea di soluzioni di cromo VI determina una penetrazione del metallo attraverso la cute. Utilizzando l’isotopo radioattivo 51 Cr è stata rilevata la successiva distribuzione del Cr nelle forme III e VI nel sangue, milza, midollo osseo, linfonodi, reni, oltre che la presenza nelle urine (Wahlberg et al, 1965). C. 2 Via inalatoria Diversi studi hanno dimostrato la presenza di cromo nelle urine di lavoratori esposti per via inalatoria in ambiente di lavoro (Gylseth et al, 1977; Randall et al, 1987; Mancuso, 1997). Il dato testimonia la capacità del polmone di assorbire il cromo VI che viene quindi distribuito al circolo sanguigno ed escreto. L’analisi autoptica dei tessuti di lavoratori giapponesi occupati nell’industria delle cromature ha consentito di rilevare alti livelli di cromo VI nei linfonodi, polmone, milza, fegato, reni e cuore (Teraoka, 1981). In uno studio su lavoratrici russe di una fabbrica per la produzione di cromati è stata rilevata la presenza di cromo VI nei feti e nei neonati. Il monitoraggio delle suddette donne durante e dopo la gravidanza aveva infatti evidenziato livelli significativamente elevati di cromo nel sangue e nelle urine delle madri durante la gravidanza, e quindi nel cordone ombelicale, nella placenta e nel latte. Alti livelli di cromo sono inoltre stati rilevati in feti abortiti dopo 12 settimane dall’inizio della gravidanza (Shmitova, 1980). Uno studio per valutare il grado di assorbimento del dicromato di potassio (cromo VI) e del tricloruro di cromo (cromo III) è stato condotto su ratti trattati per via inalatoria alle concentrazioni rispettivamente di 0, 7, 3 e 15,9 mg/m3 o 0,8 e 10,7 mg/m3 per la durata di 2 e 6 h. La clearance polmonare è risultata dipendente, per ambedue le forme ioniche del cromo, dalla dimensione delle particelle disperse in aria. In generale però l’assorbimento del cromo VI è di circa tre volte più rapido del cromo III (Suzuki et al, 1984). La concentrazione di cromo è stata misurata nei linfociti, nel sangue e nelle urine di gruppi di ratti Wistar trattati per instillazione intratracheale con 0,44 mg/kg pc di sodio dicromato (cromo VI) o cromo acetato (cromo III). Le concentrazioni del cromo VI rispetto al cromo III valutate a 6, 30 e 72 h dalla somministrazione, sono risultate 4 volte superiori nel sangue, 7 volte superiori nei linfociti, mentre nelle urine le concentrazioni di cromo
  • 50. 50 VI era circa la metà del cromo III. Il picco delle concentrazioni è stato rilevato a 6 h dal trattamento mentre a 72 h i livelli risultavano già molto ridotti. (Gao et al, 1993). C. 3 Via ingestiva Diversi studi sperimentali sull’animale e sull’uomo, condotti soprattutto nel passato, attestano che l’ambiente fortemente riducente dello stomaco generato dalla presenza di succhi gastrici con un elevato livello di acidità è in grado di ridurre il cromo dalla sua forma VI (6+ ) a quella III (3+ ), limitando in questo modo il pronto assorbimento del cromo nella sua forma VI, la più tossica (Visek et al, 1953; MacKenzie et al, 1959; Donaldson Jr et al, 1966; Henderson et al, 1979). Il cromo III non è infatti in grado di attraversare la membrana cellulare se non per diffusione, un fenomeno che avviene molto lentamente. Il cromo VI per contro è in grado di superare efficacemente la barriera cellulare attraverso il canale per il trasporto di anioni, utilizzato anche per il passaggio di solfati e fosfati (De Flora, 2000). La quantità di cromo VI che sfugge all’effetto riducente dei succhi gastrici è quantificata in un 2-10% sia nell’uomo che nell’animale, in dipendenza del cibo ingerito (ATSDR, 2000). In uno studio, condotto su volontari di sesso maschile, i quali avevano assunto 5 mg di cromo VI in acqua o in succo d’arancia, è stato evidenziato: 1) i livelli di cromo esavalente nei globuli rossi erano rispettivamente di 5,5 g/l (quando ridotto nel succo d’arancia) e di 18 g/l senza succo d’arancia; 2) i livelli di cromo nel plasma erano 2,2 g/l (in succo d’arancia) e 26 g/l senza succo d’arancia; e 3) i livelli di cromo nelle urine erano 24 g/g di creatinina con succo d’arancia e 209 g/g di creatinina senza succo (Kerger et al, 1996; Costa et al, 1997). Ciò vuol dire che la mucosa gastrica non era altrettanto efficiente quanto il succo d’arancia nel ridurre il cromo da esavalente a trivalente. Diversi studi sperimentali evidenziano che il cromo VI, una volta superata la barriera della mucosa gastrica, diffonde in vari organi e tessuti. Topi trattati con potassio dicromato (cromo VI) nell’acqua da bere alle dosi di 4,4, 5,0 e 14,2 mg/kg pc/die per 1 anno, hanno dimostrato un accumulo del composto in vari tessuti (Maruyama, 1982). La distribuzione del cromo VI nell’organismo è stata riscontrata in uno studio condotto su ratti Fisher e topi C57BL/6J, trattati con cromato di potassio somministrato con l’acqua da bere alla dose di 8 mg/kg pc/die per 4 e 8 settimane. Lo studio ha evidenziato accumulo di cromo VI in
  • 51. 51 fegato, reni milza polmoni, cuore e sangue in concentrazioni diverse a seconda della specie (Kargacin et al, 1993). Da questi dati risulta quindi che la capacità riducente dello stomaco è limitata e quindi che il cromo VI è in grado di superare la mucosa gastrica e di accumularsi come tale nei vari distretti corporei. Viceversa De Flora, in studi condotti alla fine degli anni ’90, sosteneva che era praticamente impossibile che il cromo VI ingerito potesse provocare effetti dannosi per la salute, proprio per l’efficiente capacità riducente della acidità gastrica combinata con l’altrettanto efficiente capacità riducente dei globuli rossi nel caso in cui il cromo VI fosse riuscito a superare la barriera della mucosa dello stomaco (De Flora et al, 1997; De Flora, 2000). Secondo Zhitkovich invece (2005), i risultati degli studi di De Flora sovrastimavano l’efficienza riducente del cromo VI da parte dei succhi gastrici, probabilmente per alcuni limiti intrinseci alla metodologia analitica utilizzata. D. Tossicità acuta e cronica D. 1 Via cutanea Nell’ambito del trattamento utilizzato nel passato per la cura delle lesioni cutanee prodotte dalla scabbia con soluzioni di cromato di potassio (cromo VI) sono stati riscontrati effetti cardiovascolari con alterazioni del battito cardiaco, vomito, albuminuria e poliuria. In individui deceduti a seguito del trattamento sono state descritte degenerazioni del tessuto cardiaco, iperemia della mucosa gastrica e necrosi tubulare (Brieger, 1920). Studi su lavoratori esposti per contatto a cromo VI aerodisperso hanno dimostrato l’insorgenza di lesioni cutanee anche in individui esposti a concentrazioni di 1 g/m3 (Pastides et al, 1994). In lavoratori esposti a cromo VI per via cutanea sono stati osservati effetti irritativi e ulcerativi dell’epidermide, oltre che risposte allergiche come eczemi e dermatiti (Fregert, 1975; Peltonen et al, 1983; Eun et al, 1990). Gli stessi effetti sono stati osservati anche in persone che avevano fatto uso frequente di detergenti e sbiancanti contenenti composti a base di cromo VI (Wahba et al, 1979). Complessivamente si può affermare che sono stati descritti diversi casi clinici in cui sono stati riportati effetti tossici per lo stomaco, cuore, muscoli e reni in individui esposti per via epidermica a cromo VI. Ciò
  • 52. 52 suggerisce l’ipotesi di una distribuzione preferenziale per questi organi (ATSDR, 2000). L’applicazione di diversi composti a base di cromo VI ad una concentrazione finale variabile da 42 a 55 mg/kg pc ha prodotto infiammazione della cute, edema e necrosi (Gad et al, 1986). Sensibilizzazione dell’epidermide è stata indotta nel topo con una soluzione all’1% di potassio dicromato (cromo VI = 0,35%) applicata per 50 volte sull’addome depilato. L’applicazione al dotto uditivo della stessa soluzione ha prodotto risultati analoghi determinando un aumento dello spessore del padiglione auricolare e infiltrazione di leucociti neutrofili evidenziata all’esame istologico (Mor et al, 1988). D. 2 Via inalatoria Esiste una vastissima letteratura epidemiologica, riportata in monografie di varie agenzie internazionali, nelle quali sono riassunti studi sugli effetti tossici dell’esposizione a cromo VI per via inalatoria (IARC, 1990; EPA, 1998; ATSDR, 2000). Dispnea, tosse, iperemia della mucosa nasale, prurito nasofaringeo, associati anche ad episodi di reattività cutanea con casi di eritemi ed eczemi, sono fra i sintomi più comuni registrati pure a livelli espositivi piuttosto bassi. Sintomatologie di questo tipo sono infatti state descritte inoltre al di sotto del limite massimo di 100 g/m3 permesso in ambiente di lavoro (PEL – Permissibile Exposure Level) stabilito dal National Institute for Occupational Health and Safety (NIOSH), l’Occupational Safety and Health Administration (OSHA) e l’American Conference of Governmental Industrial Hygienists (ACGIH). Analogamente a quanto si verifica nell’uomo, irritazioni e infiammazioni dell’epitelio bronchiale e delle mucose nasali, modificazioni transitorie delle attività enzimatiche della fosfatasi alcalina sono state riscontrate in animali sperimentali esposti per via inalatoria a composti del cromo VI (IARC, 1990; EPA, 1998; ATSDR, 2000). Studi recenti dimostrerebbero che il cromo VI avrebbe effetti tossici sul sistema nervoso. In uno studio epidemiologico condotto su diverse migliaia di lavoratori dell’industria del cromo è stato osservato un eccesso di decessi, rispetto agli attesi, per cause di origine nervosa (Gibb et al, 2000). Alcuni studi sperimentali hanno dimostrato che il cromo VI può penetrare il sistema nervoso centrale (Travacio et al, 2000; Travacio et al, 2001; Ueno et al, 2001).
  • 53. 53 D. 3 Via ingestiva Sintomatologie quali nausea, vomito, dolori addominali, diarrea e ulcerazioni gastriche sono state riportate in lavoratori esposti a cromo VI nell’ambiente di lavoro (Lucas et al, 1975; Sterekhova et al, 1978), a seguito di ingestione di alimenti contaminati (Partington, 1950) e di ingestione di acqua potabile contaminata (Zhang et al, 1987). In uno studio su ratti trattati con cromato di potassio (cromo VI) alla dose di 13,5 mg/kg pc/die per 20 giorni è stato riscontrato un iperaccumulo di lipidi nel fegato (Kumar et al, 1982) e alterazione della funzionalità epatica (Kumar et al, 1985). Ratti trattati per gavaggio con 13,5 mg/kg pc/die di cromo VI per 20 giorni hanno mostrato un aumento di fosfolipidi e trigliceridi in diverse aree del parenchima renale rispetto al gruppo di controllo e l’inibizione dell’attività funzionale di alcuni enzimi di membrana (Kumar et al, 1984). Riduzione dell’attività motoria e dell’equilibrio è stata descritta in ratti a cui è stata somministrata la dose di 98 mg/kg pc/die per 28 giorni (Diaz-Mayans et al, 1986). E. Cancerogenicità La International Agency for Research on Cancer (IARC) dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS o WHO: World Health Organization) ha classificato nel 1990 il cromo VI e i suoi composti nel Gruppo I, cancerogeni per l’uomo (IARC, 1990). E. 1 Via cutanea Non risultano essere stati condotti studi epidemiologici adeguati per valutare gli effetti a lungo termine dell’esposizione per via cutanea a cromo VI e alle sue soluzioni/miscele nell’uomo (IARC, 1990; EPA, 1998; ATSDR, 2000). Gli studi sperimentali disponibili riguardano invece principalmente la determinazione degli effetti tossici acuti e cronici dell’applicazione di soluzioni di cromo VI sulla cute depilata di ratti, topi e conigli (IARC, 1990; EPA, 1998; ATSDR, 2000). E. 2 Via inalatoria Il primo studio epidemiologico che attesta la cancerogenicità del cromo per via inalatoria risale al 1948, quando su una coorte di lavoratori occupati in 7 diverse aziende per la produzione di cromati è stato riportato
  • 54. 54 un aumento statisticamente significativo della mortalità per tumore al polmone (Machle et al, 1948). A questo studio ne sono seguiti numerosi altri di tipo epidemiologico, principalmente condotti su coorti di lavoratori esposti nei vari settori lavorativi in cui il cromo viene utilizzato nella forma esavalente. Fra questi settori rientrano: la produzione di cromati, produzione e uso di pigmenti a base di cromo VI, la cromatura, la saldatura degli acciai e produzione di leghe ferrocromiche. Tali studi epidemiologici sinotizzati in varie monografie (IARC, 1990; EPA, 1998; ATSDR, 2000), hanno confermato la cancerogenicità del cromo VI sull’uomo, soprattutto per quanto riguarda il polmone. Recentemente sono stati pubblicati i risultati di una ulteriore indagine epidemiologica molto ampia condotta su 2.357 lavoratori di un’azienda di produzione di cromati. I livelli dell’esposizione a cromo VI toccavano un massimo di 100 g/m3 , coincidente con il PEL (Permissible Exposure Level) stabilito da NIOSH, OSHA e ACGIH. L’indagine ha mostrato una chiara correlazione tra aumentata incidenza di tumori del polmone ed esposizione a cromo (Gibb et al, 2000). Oltre all’aumento del rischio di carcinoma polmonare in lavoratori esposti a cromo VI, in altre revisioni di studi epidemiologici è stato evidenziato un aumento del rischio di tumori dello stomaco, del rene, della prostata e della vescica (Cohen et al, 1993) oltre che di linfomi di Hodgkin e leucemie (Costa et al, 1997). Gli effetti dell’esposizione ambientale a cromo VI sono stati molto meno indagati. Il primo studio epidemiologico risale al 1980 ed è stato condotto sulle popolazioni residenti in prossimità di due fonderie svedesi per la produzione di leghe ferrocromiche. Le concentrazioni atmosferiche medie di cromo VI vicino ai due insediamenti industriali sono risultate nel range dai 100 ai 400 ng/m3 . La mortalità per tumore del polmone nell’area ha avuto un picco di 253 casi per milione rispetto ai 194 attesi nella popolazione dell’intera regione (Axelsson et al, 1980). I primi dati in animali sperimentali risalgono al 1971. L’esposizione di 136 topi C57BL/6 per sesso e per gruppo a concentrazioni da 0 a 13 mg/m3 di polveri di cromato di calcio per 5 h/die, 5 giorni/settimana per 18 mesi seguiti da 12 mesi di osservazione, ha evidenziato un aumento statisticamente significativo dell’incidenza di tumori del polmone nel gruppo esposto alla concentrazione di 4,3 mg/m3 (Nettesheim et al, 1971).
  • 55. 55 In uno studio condotto su 13 gruppi di 40 ratti Sprague-Dawley per sesso, trattati con dicromato di sodio per instillazione tracheale a dosi che vanno da 0 (gruppo di controllo) a 12,5 mg/kg pc, in una unica somministrazione o frazionata su 5 giorni, e osservati per oltre 30 mesi, è stato dimostrato un aumento dell’incidenza di tumori polmonari nei ratti trattati con la più alta dose (Steinhoff et al, 1983). Gruppi di 20 ratti Wistar sono stati trattati con aerosol di cromato di sodio alle concentrazioni calcolate di cromo VI di 0, 0,025, 0,05 e 0,1 mg/m3 per 22 h/die, 7 giorni/settimana per 18 mesi. Un gruppo aggiuntivo è stato trattato con le stesse modalità utilizzando ossido di cromo VI/III pirolizzato con una concentrazione finale di cromo VI calcolata in 0,063 mg/m3 . Tre tumori del polmone e uno del laringe sono stati osservati nel gruppo trattato con l’alta dose di cromato di sodio e 1 in quello trattato con ossido di cromo VI/III (Glaser et al, 1986). In definitiva risulta da tempo consolidata l’evidenza che il cromo VI inalato risulta cancerogeno per il polmone sia sulla base di studi epidemiologici che sperimentali. Studi più recenti hanno dimostrato anche che il cromo VI inalato può arrivare, attraverso l’apparato circolatorio, ad altri organi aumentando anche in quelle sedi il rischio di cancro. E. 3 Via ingestiva Per quanto a conoscenza, in letteratura esiste un solo studio epidemiologico programmato per valutare i rischi cancerogeni del cromo VI ingerito attraverso l’acqua da bere: quello condotto da Zhang e Li (1987) su una popolazione di circa 10.000 persone residenti in un’area rurale della Cina contaminata da cromo VI rilasciato nell’ambiente da una fonderia di prodotti a base di cromo. La fonderia fu attivata nel 1965 e contemporaneamente iniziò anche la produzione di grandi quantità di rifiuti industriali smaltiti nell’ambiente circostante, al di fuori di un adeguato sistema di controllo. Ciò è durato fino all’inizio degli anni ’80 (Zhang et al, 1987). A partire dal 1965, l’acqua da bere prelevata da pozzi vicini all’area della fabbrica cominciò ad assumere un colore giallo a causa della contaminazione da cromo. Si scoprì che tale contaminazione si estendeva alla quasi totalità dei pozzi compresi in un’area di oltre 45 km2 . La concentrazione di cromo VI raggiungeva livelli fino a 20.000 g/l. Una sorveglianza medica iniziata nel 1965 mise in evidenza una elevata morbilità fra i residenti caratterizzata da ulcerazioni della mucosa
  • 56. 56 del cavo orale, diarrea, vomito e dolori allo stomaco, tutti i sintomi associati alla esposizione a cromo. Nella loro pubblicazione Zhang e Li (1997) rilevarono che l’incidenza di tumori fra le popolazioni residenti nel periodo 1965-78 nei villaggi con più alte concentrazioni di cromo VI nell’acqua da bere prelevata dai pozzi contaminati era inferiore rispetto a quella della popolazione che viveva in villaggi meno contaminati1 . Poiché non risultavano chiari i diversi livelli espositivi delle popolazioni esposte a cromo VI nell’acqua da bere, l’Office of Environmental Health Hazards Assessment (OEHHA) dell’EPA dello stato 1 Nel 2000 in U.S.A. l’interpretazione di Julia Roberts portò alla ribalta la storia di Erin Brockovich e il caso della Pacific Gas & Electric (PG&E), l’azienda chimica che ha usato per anni il cromo esavalente come antiruggine senza avere un sistema di smaltimento adeguato e inquinando le falde acquifere. Nella zona, in seguito all’esposizione a questo agente cancerogeno, è aumentata l’incidenza dei tumori e molti cittadini sono morti. Il film è stato tratto da una storia vera che ha sconvolto l’America. Dopo 6 anni di distanza dall’uscita del film si ritornò a parlare di questo caso sulle pagine della rivista The Scientist. L’Environmental Working Group ha ufficialmente chiesto alla Society of Toxicology di ammonire uno dei suoi membri: Dennis PAUSTENBACH, reo di aver collaborato ad una ricerca che è stata pubblicata nel 1997 nella quale si dichiarava che il Cromo VI non era una sostanza cancerogena. In particolare, lo studio era stato condotto da due ricercatori, Jian Dong ZHANG e ShuKun LI, su una popolazione rurale cinese esposta al cromo esavalente a causa della vicinanza di un’industria di lavorazione acciaio: uno scenario, dunque, simile a quello che si sarebbe verificato dopo alcuni anni negli Stati Uniti. A questo lavoro aveva partecipato anche, in qualità di collaboratore, PAUSTENBACH. La ricerca fu pubblicata sul Journal of Occupational and Environmental Medicine. Questo lavoro era stato finanziato anche dalla PG&E, ma gli autori non hanno dichiarato il conflitto di interesse. Questa ricerca è stata usata dai legali della PG&E durante la causa come prova della non colpevolezza della società. E’ storia che invece la PG&E è stata riconosciuta colpevole e costretta a risarcire le vittime. Nel 2006, a nove anni di distanza, l’Environmental Working Group nella persona del suo vicepresidente Richard WILES ha denunciato Dennis PAUSTENBACH per “attività fraudolenta” richiedendo la censura sulla ricerca pubblicata. L’evoluzione di questa storia, al di la delle aule del tribunale e delle sale cinematografiche, è singolare: si chiede un richiamo ufficiale ad un tossicologo accusato di essersi fatto corrompere; una sorta di tribunale scientifico che ripudia uno scienziato per un comportamento scorretto. Quello scienziato, Dennis PAUSTENBACH è il presidente e fondatore della ChemRisk ed è stato chiamato dall’amministrazione BUSH al National Center for Environmental Health dei CDC di Atlanta. (http://it.health.yahoo.net/print.asp?id=16409)
  • 57. 57 della California ha rielaborato i dati, aggregando la mortalità per cancro fra la popolazione dei villaggi contaminati da cromo VI, in modo da costituire una singola popolazione di esposti. I tassi di mortalità per tutti i tipi di tumore, per il tumore del polmone, e per il tumore dello stomaco fra le popolazioni esposte erano confrontati con i tassi della provincia di cui i villaggi erano parte. I risultati di questa rielaborazione sono stati anticipati in una recente pubblicazione (Sedman et al, 2006). Da essa risulta un aumento non statisticamente significativo del rischio relativo per tutti i tumori; un aumento statisticamente significativo del rischio relativo di cancro dello stomaco; il rischio relativo per il cancro del polmone era pure elevato ma con minore significatività statistica. Come rilevato dagli autori, lo studio pubblicato da Zhang e Li soffre di importanti limitazioni: 1) la mancanza di dati sulle esposizioni individuali; 2) la mancanza di dati sui livelli di contaminazione atmosferica da cromo VI; e soprattutto 3) il periodo ancora troppo breve di osservazione, 13 anni. Nonostante tutto ciò, come affermano gli Autori, non può essere sottostimato l’aumento del rischio per i tumori del polmone e dello stomaco. Altri studi epidemiologici hanno evidenziato un aumento, in alcuni casi statisticamente significativo, della mortalità per neoplasie gastrointestinali in ambienti lavorativi dove la dispersione aerea di cromo VI e di altri inquinanti era così elevata da determinarne anche una parziale ingestione (IARC, 1990; ATSDR, 2000). La cancerogenicità del cromo VI assunto per via ingestiva con l’acqua da bere è stata studiata in due esperimenti condotti su topi. Il primo esperimento (Borneff et al, 1968) è stato eseguito su tre generazioni di topi HMRI maschi e femmine, esposti per tutta la vita a vari regimi di trattamento. Un gruppo di 120 femmine e 10 maschi è stato trattato con 1 mg/die (500 ppm) di cromato di potassio in acqua da bere (contenente 3% di detergente domestico). Un uguale numero di animali è stato trattato con acqua contenente 3% di detergente domestico. In aggiunta, due gruppi di 120 femmine e 10 maschi hanno ricevuto benzo-a- pirene da solo e benzo-a-pirene più 500 ppm di cromato di potassio in acqua da bere. Complessivamente lo studio comprendeva 4 gruppi sperimentali. Gli animali sono stati accoppiati dopo 6 settimane di trattamento (F0). Due topi per sesso/gruppo di ogni nidiata sono stati selezionati dalla prima generazione (F1) ed accoppiati per dare origine alla
  • 58. 58 seconda generazione F2. La generazione F2 ha ricevuto lo stesso trattamento di F0 e F1. Durante la sperimentazione si è verificata una epidemia che ha drasticamente ridotto la popolazione animale senza però pregiudicare la potenza statistica dello studio. Aggregando i tumori dello stomaco maligni e benigni delle tre generazioni, sono stati osservati due carcinomi e nove papillomi nelle femmine delle generazioni trattate con cromato di potassio. Nessun tumore maligno dello stomaco è stato trovato nel gruppo di controllo. L’aumento dell’incidenza dei tumori maligni e benigni aggregati nelle femmine trattate con cromo (11/66) era statisticamente significativo rispetto al controllo (2/79). Il riferimento all’ipotesi che i tumori del prestomaco siano stati causati dall’infezione virale verificatasi durante il corso dello studio, risulta in verità alquanto bizzarra dal momento che né tra i maschi né nel gruppo di controllo è stato riscontrato un analogo effetto. In un altro studio condotto da Davidson et al, (2004), gruppi di topi SK1-hrBR (20 per gruppo) sono stati esposti a cromato di potassio somministrato a varie dosi con l’acqua da bere e/o a raggi UV e osservati fino a 224 giorni di età per quanto riguarda l’insorgenza di tumori cutanei. Nessun tumore cutaneo è apparso negli animali trattati con solo cromo VI. L’associazione dell’esposizione a raggi UV e cromo VI ha provocato invece un aumento dei tumori cutanei dose-correlato con l’aumentare delle concentrazioni di cromo VI. Gli Autori concludono che poiché molte persone possono essere esposte simultaneamente a raggi solari UV e cromo VI presente nell’acqua da bere, i risultati di questo studio non possono essere sottostimati. Il limite delle concentrazioni di cromo nell’acqua da bere ancora oggi utilizzato sia in Italia che dall’EPA, è di 50 g/l e si basa sui risultati del sopraccitato studio di Borneff et al, 1968 (ATSDR, 2000). L’Agency for Toxic Substances and Disease Registry (ATSDR) del Department of Health and Human Services (DHHS) del governo statunitense ha stabilito un limite massimo di assunzione giornaliera di cromo VI e III per via ingestiva di 210 g, corrispondenti ad un valore di 3 g/kg pc/die per un adulto di 70 kg come livello di rischio minimo (Minimal Risk Level – MRL). La determinazione del valore di riferimento viene definita necessaria a causa della dispersione di cromo da siti di
  • 59. 59 stoccaggio di rifiuti tossici, l’assenza di dati scientifici soddisfacenti e il fatto che il cromo è un nutriente essenziale (ATSDR, 2000). E. 4 Altri dati rilevanti per la cancerogenesi E.4.1 Effetti riproduttivi Studi sperimentali su ratti e topi hanno evidenziato alcuni effetti tossici del cromo VI sullo sviluppo dei feti. Un esperimento condotto trattando gruppi di topi Swiss femmine con le dosi di 0, 52, 98 e 169 mg/kg pc/die di cromo VI sotto forma di cromato di potassio, somministrato nell’acqua da bere 20 giorni prima dell’accoppiamento, ha prodotto nei feti: diminuzione del numero e del peso, comparsa di petecchie emorragiche subepidermiche, riduzione dell’ossificazione, deformità e riduzione della lunghezza della coda (Junaid et al, 1996a; Junaid et al, 1996b). Dati simili sono stati ottenuti in diversi altri studi sperimentali condotti con modalità analoghe. Altri studi sperimentali su ratti e topi hanno dimostrato inoltre l’effetto del cromo VI su comportamenti sessuali, fertilità maschile, con riduzione di numero e funzionalità degli spermatozoi e, per quanto riguarda il sesso femminile, riduzione di numero e funzionalità dei follicoli (ATSDR, 2000). E.4.2 Genotossicità Gli effetti genotossici del cromo VI sono stati valutati attraverso numerosi studi in vitro e in vivo. I meccanismi ipotizzati sono principalmente tre: 1) danneggiamento indiretto del DNA attraverso la formazione di radicali liberi (Cohen et al, 1993); 2) danni ossidativi sul DNA direttamente mediati dal cromo VI (Sugden et al, 2000); e 3) formazione di addotti fra il DNA e il cromo VI (Zhitkovich, 2005). Una volta entrato nella cellula il cromo VI viene ridotto a cromo III dall’enzima cellulare glutatione (Petrilli et al, 1978; Debetto et al, 1988) portando alla formazione di diverse molecole di radicali liberi. Tali molecole, come noto, sono poi in grado di attaccare, danneggiandole, molte strutture cellulari fra cui lo stesso DNA e quindi di introdurre mutazioni e/o rotture nella doppia elica (Wiegand et al, 1985). A questo si aggiunga che in particolare il cromo III ha dimostrato una buona tendenza a formare addotti con alcune basi del DNA (Wetterhahn et al, 1989; Blankenship et al, 1997; Zhitkovich, 2005) e la formazione di legami crociati DNA-proteine (DPC = DNA-Protein Crosslinks) (ATSDR, 2000).
  • 60. 60 La formazione di addotti con il DNA è in grado di portare all’insorgenza di mutazioni, rotture nei filamenti, formazione di DPC, aberrazioni cromosomiche e scambio di cromatidi fratelli (IARC, 1990; EPA, 1998; ATSDR, 2000). E. 5 Il giudizio sul pericolo concreto per la salute pubblica Acqua di falda ipoteticamente attinta dal pozzo G11, realizzato all’interno del perimetro aziendale Si ricorda che, fra le cognizioni scientifiche condivise a livello internazionale, vi sono le concentrazioni di cromo VI che hanno prodotto effetti tossici da ingestione: effetti acuti si sono osservati con valori fra 50 e 70 mg/Kg; effetti subacuti (quali gastrite, nefrotossicità, epatossicità e disturbi gastrointestinali meno gravi) sono stati osservati a dosi stimate nell’ordine di 0,57 mg/Kgpc/die (Zhang e Xilin 1987), ossia 570 μg/Kg/die. Ipotizzando un consumo giornaliero minimo di 2 l d’acqua (tale è il consumo giornaliero al quale fa riferimento U.S. EPA) proveniente dal Pozzo G11 nella concentrazione massima del 7.11.2005 (26.000 μg/l), l’utilizzo costante del Pozzo G11 porterebbe a stimare un’ingestione giornaliera minima di 52.000 μg di cromo VI. Si tratterebbe di un consumo giornaliero 247 volte superiore al consumo giornaliero ammissibile (prendendo il riferimento condiviso del valore di Reference Dose previsto da U.S. EPA) di 210 μg.2 Inoltre è evidente che si va ben al di là del valore di 39.900 μg/die3 (ottenuto moltiplicando i 570 μg/kg/die x 70 Kg di p.c. dell’adulto tipo), che è la soglia oltre la quale sono conosciuti effetti tossici subacuti da ingestione. Sussiste, pertanto, non solo il pericolo, ma l’alta probabilità del danno4 . Ipotizzando, conformemente alla normativa vigente nel nostro Paese (Direttiva 98/83 EC del 3.11.98), un consumo giornaliero medio di 3 litri della stessa acqua, si conclude che l’utilizzo costante del Pozzo G11 porta a stimare un’ingestione giornaliera media di 78.000 μg/l di cromo VI5 . Si tratterebbe di un consumo giornaliero 371 volte superiore al consumo giornaliero ammissibile di 210 μg6 . Inoltre si tratta del doppio del valore di 2 52.000 μg/l : 210 μg/l = 247 3 570 μg/kg/die x 70 Kg di p.c. dell’adulto tipo = 39.900 μg/die 4 Nel nostro caso si avrebbe: 52.000 μg/die x 70 kg = 3.640.000 μg/die 5 26.000 μg/l x 3 l = 78.000 μg/l 6 78.000 μg/l : 210 μg/l = 371 circa
  • 61. 61 39.900 μg/die (ottenuto moltiplicando i 570 μg/kg/die x 70 Kg di p.c. dell’adulto tipo), che è la soglia oltre la quale sono conosciuti effetti tossici subacuti da ingestione. Sussiste, pertanto, non solo il pericolo, ma l’alta probabilità del danno. Fra le altre cognizioni scientifiche, vi sono le concentrazioni di cromo VI di cui si conoscono gli effetti immunologici da contatto: la reazione cutanea si determina in soggetti già sensibilizzati al cromo VI per concentrazioni superiori a 35 mg/l. La concentrazione massima di cromo VI in G11 il 7.11.2005, pari a 26 mg/l, è nello stesso ordine di grandezza della concentrazione provatamente dannosa e non molto lontana da quel limite. Il pericolo, dunque, sussiste. Altro dato della letteratura scientifica condiviso sono le evidenze sperimentali circa l’assorbimento cutaneo di entità estremamente contenute di cromo VI in soggetti volontari immersi in acqua con cromo VI ad una concentrazione estremamente elevata (22 mg/l per 3 h: Corbett et al., 1997). In caso di esposizione da contatto con l’acqua contaminata da 26 mg/l di cromo VI (corrispondenti alla concentrazione superficiale in G11 il 7.11.2005) si verificherebbe, quindi, un assorbimento cutaneo di una sostanza pacificamente cancerogena e pacificamente ad azione genotossica, ossia capace di provocare alterazioni del corredo genetico, per la quale (e maggiormente perché genotossica) non v’è dose soglia. Infine, fra le cognizioni scientifiche condivise in tema di cancerogenesi, v’è quella per cui la risposta cancerogena è funzione della dose espositiva. E’ indiscusso, inoltre, che “livelli non bassi” di esposizione per inalazione a cromo VI sono causa di cancro polmonare. Con riferimento all’anzidetta dose di 26 mg/l presenti in G11 il 7.11.2005, premesso che una prolungata esposizione per inalazione causerebbe il rischio di cancro al polmone, vi sarebbe anche il rischio di contrarre altre patologie cancerose per effetto dell’ingestione di acqua contaminata. In proposito non è necessario discutere, qui, la validità degli studi di Zhang, perché il dato quantitativo è assorbente.
  • 62. 62 Considerato che anche soltanto il 2% del cromo VI ingerito sfugga alla barriera riducente della saliva e del succo gastrico (per le evidenze sperimentali circa la non illimitata capacità riducente della acidità gastrica dello stomaco si vedano US-EPA 1998, Paustenbach et al. 1996), “è plausibile”, sulla base delle evidenze scientifiche in punto farmacocinetica e genotossicità del cromo VI, che un eccesso rilevante di cromo VI rispetto alla ADI possa superare le capacità riducenti dello stomaco, e quindi produrre in quella sede il cancro, in analogia a quanto succederebbe nel polmone. Acqua di falda attinta da pozzi privati Va rilevato che le concentrazioni di cromo VI nei pozzi privati sono spesso superiori ai limiti di legge, per quantità che, nel biennio aprile 2002-aprile 2004, sono arrivate ad oltre cinque volte il limite anzidetto. (Nelle acque destinate al consumo umano la legislazione nazionale prevede in 50 μg/l il limite massimo consentito di cromo totale, anche se al 100% nella sua forma esavalente). Alcuni esempi diretti possono essere effettuati calcolando i valori di assunzione di cromo VI sulla base delle rilevazioni dell’ARPAV effettuate in data 26/03/2002 (pozzo n° 233 di M. O.), 15/07/2002, 24/07/2002 e 30/07/2002. A livello internazionale l’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente Statunitense (EPA, Environmental Protection Agency) ha stabilito nel 1996 un livello di 5 μg/Kg/die per ingestione come riferimento al di sotto del quale non si registrano effetti avversi per la salute. A tale livello si farà riferimento nel seguito, anche se nel 1998 esso fu portato dall’EPA a 3 μg/Kg/die. L’EPA ha introdotto altresì il concetto di Reference Dose (RfD), definendolo come la stima numerica dell’esposizione giornaliera per via orale della popolazione generale, inclusi i sottogruppi sensibili (bambini, anziani, gestanti, immunodepressi) che non è in grado di causare effetti avversi per la salute durante il corso dell’intera vita. In generale si può affermare che, sempre sulla base dell’ipotesi dell’adulto di peso medio di 70 kg, il livello di rischio per la rilevazione di effetti tossici si debba calcolare come segue:
  • 63. 63 RfD = concentrazione di cromo VI x consumo medio giornaliero di acqua = 350 μg dove: - RfD : dose di riferimento per il cromo VI. Un individuo adulto del peso medio di riferimento di 70 kg può assumere fino a 350 μg/die di cromo VI senza che gli vengano rilevati effetti avversi. - concentrazione di cromo VI = quantità di cromo VI misurata nell’acqua, espressa in μg/l; - consumo medio giornaliero di acqua = assunzione giornaliera di acqua, espressa in litri: nel nostro caso = 3, così come indicato dalla Direttiva 98/83 CE del 03/11/1998. Questo significa che, considerando un individuo adulto del peso medio di riferimento di 70 Kg, il limite massimo di assunzione di cromo VI in termini di rilevazione di effetti tossici è di 350 μg/die. Facendo pertanto riferimento che l’adulto medio di 70 Kg di peso assume mediamente 3 l/die di acqua nel periodo estivo si ottengono i seguenti valori in base alla formula sopra esposta: - 26/03/2002: Assunzione giornaliera = (275 μg/l) x 3 l = 825 μg > 350 μg - 15/07/2002: Assunzione giornaliera = (215 μg/l) x 3 l = 645 μg > 350 μg - 24/07/2002: Assunzione giornaliera = (220 μg/l) x 3 l = 660 μg > 350 μg - 30/07/2002: Assunzione giornaliera = (215 μg/l) x 3 l = 645 μg > 350 μg Il che equivale a dire che chi ha usato o ha rischiato di usare l’acqua di questi pozzi come fonte di liquidi, ipotizzando un consumo medio giornaliero di 3 l/die, ha assorbito o ha rischiato di assorbire fino a 825 μg di cromo VI, ossia più del doppio del limite stabilito per gli effetti tossici, se si considera il riferimento universale dell’adulto di 70 Kg. Su questa base si può affermare che nel biennio aprile 2002 - aprile 2004, si sono verificati almeno 20 superamenti accertati dei limiti di legge, fra i quali 5-7 superamenti accertati dei limiti per la manifestazione di effetti tossici, e un generale elevato livello di rischio per quanto riguarda possibili effetti cancerogeni dell’esposizione a cromo VI. Il livello di rischio cancerogeno deve essere quantificato come alto rispetto ai meccanismi di induzione degli effetti cancerogeni e al concetto di soglia come limite “socialmente tollerabile” e non come equazione
  • 64. 64 matematica, ancor meno in presenza di una sostanza ad azione anche genotossica. Il dato sopra esposto va, inoltre, valutato alla luce dell’esposizione della popolazione infantile, di quella anziana, dei soggetti immunodepressi, delle donne gravide. Nel primo caso, infatti, a fronte di un consumo di acqua non così dissimile da quello adulto, il peso corporeo è spesso molto più ridotto e il raggiungimento dei livelli di soglia più rapido. Gli anziani invece rappresentano una fascia di popolazione a rischio a causa della ridotta efficacia delle funzioni metaboliche. Basti pensare che i dati di cancerogenesi umana attestano che l’80% dei tumori si verificano in ultrasessantacinquenni. 2. NICKEL A. Presenza in natura, produzione e uso Il nickel è un elemento naturale che fa parte del gruppo VIIIA della serie dei metalli di transizione della tavola periodica degli elementi. Complessivamente costituisce, in termini di peso, il quinto elemento più diffuso dell’intero pianeta e si presenta nella sola forma ionica di (2+ ) in condizioni ambientali standard. Viene estratto dalla garnierite, dalla pirrotite nickelifera e dagli “speiss” nickeliferi. I procedimenti di estrazione sono piuttosto complessi e variano con la natura del minerale da trattare; in ogni caso si ottiene l’ossido da cui si ricava il metallo per riduzione con carbone di legna oppure con vapore acqueo a 350 – 400 °C. L’estrazione di nickel nel 2002 ammontava, a livello mondiale, a 1.340.000 tonnellate (Kuck, 2002). La seconda sorgente di nickel deriva dal riciclaggio di materiali che lo contengono. Da questa fonte, secondo dati che risalgono al 1988, sono stati prodotti in quell’anno 54.712 tonnellate (ATSDR, 2005a) Il nickel viene principalmente utilizzato nelle leghe metalliche per le sue caratteristiche di resistenza alla corrosione e al calore e per la durezza e la solidità che ad esse conferisce (IARC, 1990; ATSDR, 2005a). A seconda del tipo di utilizzo, le leghe contenenti nickel possono anche contenere rame, cromo, ferro, molibdeno, argento e zinco. Le leghe di nickel sono principalmente utilizzate nell’industria metalmeccanica navale e
  • 65. 65 petrolchimica, come agente anticorrosivo, nella costruzione di motori per le turbine, per la produzione di magneti e per la produzione di posateria. A seconda del tipo di uso, il nickel viene utilizzato nelle forme iniziali di ossido, idrossido, solfato o sale (IARC, 1990; ATSDR, 2005a). B. Diffusione nell’ambiente ed esposizione della popolazione generale I valori di concentrazione del nickel che naturalmente sono presenti nel terreno variano notevolmente a seconda delle aree geografiche e della tipologia del terreno. Le concentrazioni tipiche riportate vanno da 4 a 80 g/g (ATSDR, 2005a). Acque continentali e marine incontaminate contengono mediamente circa 0.3 g/l di nickel (Barceloux, 1999). Le concentrazioni di nickel nell’acqua da bere normalmente vanno da 0.55 a 25 g/l con valori medi fra 2 e 4,3 g/l (FDA, 2000). Le concentrazioni di nickel in atmosfera in aree remote, rurali e urbane degli Stati Uniti sono risultate rispettivamente nei seguenti range: 0,01-60, 0,6-78 e 1-328 ng/m3 (Schroeder et al, 1987). Secondo una valutazione della Environmental Protection Agency (EPA) nel 1996 il valore medio di concentrazione di nickel nell’aria sarebbe stato di 2,22 ng/m3 (EPA, 2003).In ambiente domestico sono state determinate concentrazioni di nickel nell’aria al di sotto di 10 ng/m3 da diversi autori (ATSDR, 2005a). Anche per il nickel l’esposizione della popolazione generale può avvenire attraverso le tre principali vie: cutanea, inalatoria e ingestiva. L’inalazione è di gran lunga la più importante ed è dovuta alle emissioni di nickel in atmosfera ad opera delle principali attività produttive umane. Data la scarsa solubilità dei composti del nickel, la possibilità che esso possa entrare a contatto con la cute o possa essere ingerito risulta poco probabile. Una tale evenienza potrebbe essere possibile solo in seguito a massicci inquinamenti diretti di acque per uso umano oppure, in vicinanza di una falda, a sversamenti tali da saturare completamente il terreno portando a una migrazione del nickel in falda. In un recente studio condotto dalla National Academy of Sciences (NAS) americana, l’assunzione media di nickel nei due sessi al di sopra dei 18 anni di età è risultata compresa fra i valori di 101 e 162 g/die; questo range è di 136-140 g/die negli uomini e di 107-109 g/die nelle donne. I valori salgono a 121 e 162 g/die nelle donne durante il periodo della gravidanza e dell’allattamento (NAS, 2002). Si valuta inoltre che