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FNOMCeO
Medico Capo Equipe Chirurgica
CORTE DI CASSAZIONE PENALE - Addebito per colpa per violazione della regola
prudenziale di informare e rendere edotti i sanitari subentranti a fine turno della situazione del
paziente. La responsabilità del medico è da ricondurre alla posizione di garanzia derivante
dall'essere egli il primo esecutore dell'intervento, capo dell'equipe chirurgica, posizione che non é
limitata all'ambito strettamente operatorio, ma estesa al contesto post operatorio. (Sentenza n.
51730/14)
FATTO: Con sentenza del 23/4/2013 la Corte d'Appello di Torino, rideterminando la pena inflitta,
confermava nel resto la sentenza del giudice di primo grado che aveva dichiarato T.P. e S.M.
responsabili del reato di lesioni colpose perché, secondo l'imputazione, nelle rispettive qualità di
medico chirurgo esecutore dell'intervento chirurgico di plastica addominale sul paziente I.B. e di
infermiera professionale preposta all'assistenza postoperatoria del medesimo paziente, per colpa
cagionavano al predetto l'aggravamento della complicanza emorragica insorta - senza colpa - a
seguito del predetto intervento chirurgico, facendo insorgere shock emorragico e concreto pericolo
per la vita del paziente. Al medico, il quale operava in regime di libera professione quale primo
operatore di una equipe medica esterna presso la casa di cura ---- s.r.l., struttura medica complessa
dotata di uno stabile presidio medico e infermieristico convenzionata con il SSN, si rimproverava
che, dopo l'esecuzione dell'intervento e dopo aver personalmente constatato che il paziente
lamentava forti dolori, pur se aspecifici, ancorché fosse nota la possibile insorgenza di complicanza
emorragica in conseguenza del tipo d'intervento (in presenza, tra l'altro, di condizioni soggettive -
cardiopatia con pregresso infarto del miocardio - annotate nel referto di visita cardiologica inserito
in cartella clinica, che lo esponevano a rischio di gravi conseguenze in caso di emorragia) di aver
omesso di impartire adeguate istruzioni al personale di assistenza, nonché di assicurarsi che fosse
disposta adeguata vigilanza postoperatoria sul paziente nel corso della notte e, inoltre, a fronte
dell'insorgenza di ulteriori sintomi tali da indurre il sospetto di insorgenza della complicanza, dopo
aver visitato il paziente, di aver lasciato la clinica comunicando che sarebbe tornato l'indomani. In
seguito il dott. T., avvisato dal collega che aveva visitato il paziente, non formulava alcun sospetto
di complicanza e non allertava il personale medico e paramedico del possibile pericolo. Cosicché il
paziente, per il progressivo aggravarsi delle sue condizioni veniva ricoverato alle 13.15 nel reparto
di terapia intensiva in stato di shock con importante ipotensione ed era sottoposto a nuovo
intervento di revisione chirurgica, cui seguiva l'arresto dell'emorragia.
DIRITTO: La Corte d’Appello di Torino respingeva gli assunti difensivi del medico, fondati sul
rilievo che nella qualità di esterno egli aveva fatto affidamento sul controllo che la clinica doveva
garantire rispetto a rischi emorragici del decorso operatorio normali e prevedibili. I giudici del
merito, di primo e secondo grado, rilevavano che la responsabilità del T. era da ricondurre alla
posizione di garanzia derivante dall'essere egli il primo esecutore dell'intervento, capo dell'equipe
chirurgica, posizione che non era limitata all'ambito strettamente operatorio, ma estesa al contesto
post operatorio, alle esposte considerazioni aggiungendosi che il T. all'atto della contro visita
pomeridiana aveva constatato che il paziente lamentava forti dolori, elemento che avrebbe dovuto
porre in allarme rispetto alla complicanza emorragica. A tale ultimo proposito correttamente la
Corte evidenzia una situazione meritevole di attento controllo, pur se ancora non evoluta in un
quadro emorragico conclamato, in ogni caso rilevante in una prospettiva di doverosa comunicazione
al personale subentrante, e ciò ancor più ove si consideri la inidoneità della struttura ospedaliera ad
assicurare assistenza e vigilanza adeguate nel decorso operatorio, evincibile dallo stesso
comportamento dell'infermiera. La Corte di Cassazione, alla luce delle argomentazioni svolte in
sentenza, che pongono in evidenza la rilevanza dell'omessa informazione in relazione alle
condizioni del paziente, alle peculiarità dell'atto operatorio ed ai sintomi constatati in sede di visita
pomeridiana, nel corso della quale il paziente aveva accusato forti dolori, ha rigettato il ricorso del
medico. A cura di Marcello Fontana- Settore Legislativo FNOMCeO
Cassazione Penale Sentenza n. 51730/14
Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 23/4/2013 la Corte d'Appello di Torino, rideterminando la
pena inflitta, confermava nel resto la sentenza del giudice di primo grado che
aveva dichiarato T.P. e S.M. responsabili del reato di lesioni colpose perché,
secondo l'imputazione, nelle rispettive qualità di medico chirurgo esecutore
dell'intervento chirurgico di plastica addominale sul paziente I.B. e di
infermiera professionale preposta all'assistenza postoperatoria del medesimo
paziente, per colpa cagionavano al predetto l'aggravamento della complicanza
emorragica insorta - senza colpa - a seguito del predetto intervento chirurgico,
facendo insorgere shock emorragico e concreto pericolo per la vita del
paziente.
2. Al medico, il quale operava in regime di libera professione quale primo
operatore di una equipe medica esterna presso la casa di cura ---- s.r.l.,
struttura medica complessa dotata di uno stabile presidio medico e
infermieristico convenzionata con il SSN, si rimproverava che, dopo
l'esecuzione dell'intervento e dopo aver personalmente constatato che il
paziente lamentava forti dolori, pur se aspecifici, ancorché fosse nota la
possibile insorgenza di complicanza emorragica in conseguenza del tipo
d'intervento (in presenza, tra l'altro, di condizioni soggettive - cardiopatia con
pregresso infarto del miocardio - annotate nel referto di visita cardiologica
inserito in cartella clinica, che lo esponevano a rischio di gravi conseguenze in
caso di emorragia) di aver omesso di impartire adeguate istruzioni al personale
di assistenza, nonché di assicurarsi che fosse disposta adeguata vigilanza
postoperatoria sul paziente nel corso della notte e, inoltre, a fronte
dell'insorgenza di ulteriori sintomi tali da indurre il sospetto di insorgenza della
complicanza, dopo aver visitato il paziente, di aver lasciato la clinica
comunicando che sarebbe tornato l'indomani.
3. All'infermiera, addetta all'assistenza del paziente nel corso della notte, si
rimproverava che, pur rilevando che lo stesso non aveva riposato e aveva
lamentato dolore, e pur avendo ricevuto numerose richieste di soccorso dal
paziente medesimo, il quale misurava una pressione arteriosa di 90/60, aveva
omesso di avvisare il personale medico di guardia, tanto che il paziente era
visitato alle 10,00 del giorno successivo da altro medico, quando presentava
forte calo pressorio (60/40) e addome rigido e dolente. In seguito il dott. T.,
avvisato dal collega che aveva visitato il paziente, non formulava alcun
sospetto di complicanza e non allertava il personale medico e paramedico del
possibile pericolo. Cosicchè il paziente, per il progressivo aggravarsi delle sue
condizioni veniva ricoverato alle 13.15 nel reparto di terapia intensiva in stato
di shock con importante ipotensione ed era sottoposto a nuovo intervento di
revisione chirurgica, cui seguiva l'arresto dell'emorragia.
4. La Corte respingeva gli assunti difensivi del medico, fondati sul rilievo che
nella qualità di esterno egli aveva fatto affidamento sul controllo che la clinica
doveva garantire rispetto a rischi emorragici del decorso operatorio normali e
prevedibili. Rilevavano in proposito i giudici del merito, di primo e secondo
grado, che la responsabilità del T. era da ricondurre alla posizione di garanzia
derivante dall'essere egli il primo esecutore dell'intervento, capo dell'equipe
chirurgica, posizione che non era limitata all'ambito strettamente operatorio,
ma estesa al contesto post operatorio, alle esposte considerazioni
aggiungendosi che il T. all'atto della contro visita pomeridiana aveva
constatato che il paziente lamentava forti dolori, elemento che avrebbe dovuto
porre in allarme rispetto alla complicanza emorragica. Quanto agli effetti della
disciplina introdotta con la L. n. 189 del 2012, art. 3, rilevavano che la
responsabilità a carico del T. non attiene all'imperizia ma alla negligenza
comportamentale successiva all'operazione, talchè prescindeva dal grado di
colpa.
5. La Corte respingeva, altresì, gli argomenti difensivi svolti dalla V., secondo
cui la mancata richiesta di intervento del medico di guardia non sarebbe stata
circostanza idonea a determinare la non controllabilità dello shock emorragico
con rischio di morte;
che sul fatto avrebbero influito cause preesistenti aventi determinante efficacia
causale, quale la somministrazione di farmaci (Toradol) aventi
controindicazioni con la situazione del paziente;
che il chirurgo non aveva avvisato e indicato il rischio specifico di emorragia a
carico del paziente; che per assicurare adeguata assistenza avrebbe dovuto
essere associata a un numero inferiore di pazienti; che il personale
infermieristico a lei subentrato aveva omesso di rilevare la gravità della
situazione. Osservavano in proposito i giudici del merito che rientra nei compiti
dell'infermiere il controllo del decorso della convalescenza del paziente, così da
consentire un tempestivo intervento del medico.
Da ciò discendeva la responsabilità dell'infermiere, indipendentemente
dall'autonomia decisionale del medesimo. In relazione a detta valutazione,
riconosciuta la rilevanza causale della condotta dell'infermiera rispetto
all'evento, restavano irrilevanti eventuali comportamenti concorrenti successivi
in applicazione degli ordinari principi in tema di relazione causale, non valendo
a elidere il nesso di causalità eventuali negligenze dei sanitari non integranti
fatti imprevedibili e sviluppi atipici.
6. Avverso la sentenza propongono ricorso per cassazione gli imputati.
7. T. rileva: 1) manifesta contraddittorietà della motivazione poiché la
sentenza, imperniata sull'addebito di non aver lasciato specifiche disposizioni
precauzionali ai sanitari subentranti nell'assistenza del paziente, non aveva
tenuto conto delle specifiche e pregnanti direttive impartite dall'imputato al
personale di assistenza del reparto all'atto del passaggio delle consegne; 2)
erronea applicazione della legge penale (art. 40 cpv. c.p.) con riferimento
all'estensione della posizione di garanzia, in relazione al principio
dell'affidamento e all'esigibilità della condotta. Osserva che manca del tutto la
spiegazione della fonte dell'obbligo giuridico di avvertire i sanitari subentranti
di un rischio noto e intercettabile con perizia e diligenza ordinarie.
Rileva che l'obbligo di specifica segnalazione di determinate condizioni del
paziente si impone ogniqualvolta la sua assistenza/vigilanza sia demandata a
soggetto non qualificato a riconoscerle e a comprenderle autonomamente,
talché l'adozione di cautele preventive non è esigibile a fronte di un rischio che
non sia ancora concreto, ma soltanto generalizzato, astratto e eventuale.
Evidenzia, inoltre, che correttamente l'imputato ha fatto affidamento
sull'adeguata presa in carico di un paziente ordinario dopo un intervento
chirurgico ordinario, ben riuscito e, al momento del passaggio delle consegne,
scevro solo anche da possibili sospetti di sopravvenuta insorgenza di
complicanze; 3) inosservanza della legge penale (art. 41 c.p.) e correlata
mancanza contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Rileva che,
anche seguendo le generiche indicazioni della Corte d'Appello, secondo cui il
ricorrente avrebbe dovuto informare i sanitari che gli subentravano circa le
concrete condizioni del paziente, non è dato rinvenire alcun nesso di causa fra
la presunta omissione e l'evento, tanto è vero che già il Tribunale, in sede di
giudizio contro fattuale, aveva individuato come causa dell'evento il
comportamento dell'infermiera.
7. A sua volta la S. deduce: 1) inosservanza di norme processuali e nullità
della sentenza di primo grado per mancanza di motivazione. Rileva che la
sentenza di primo grado è affetta ictu oculi di nullità ex art. 178 c.p.p., lett. c)
per assoluta carenza di motivazione, poichè il giudice di prime cure ha
acriticamente assunto le elaborazioni tecniche dei consulenti senza nemmeno
fornire motivazione in ordine agli aspetti di incertezza giuridica che emergono
delle operazioni peritali. Rileva che il giudice di primo grado ha omesso ogni
valutazione in ordine ai numerosi temi in contestazione della ipotesi
accusatoria e delle risultanze peritali e che la Corte d'Appello non aveva poteri
di redigere la motivazione mancante, ma avrebbe dovuto disporre una nuova
celebrazione del processo di 1^ grado; 2) inosservanza delle norme
processuali, mancanza di motivazione in ordine alla invocata applicazione della
L. n. 189 del 2012, art. 3 e erronea applicazione di tale norma; 3)
contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla
sussistenza del rapporto di causalità ex artt. 40 e 41 c.p. Osserva che il giudice
di merito avrebbe dovuto individuare con precisione il momento iniziale del
processo che ha condotto allo shock emorragico con rischio morte e che dalla
lettura della sentenza emerge come non vi sia certezza alcuna in ordine al
momento in cui sia insorta la predetta complicanza, atteso che il paziente
manifestava sintomi aspecifici, con il conseguente residuare del ragionevole
dubbio sulla reale efficacia condizionante della condotta omissiva attribuita alla
ricorrente; 4) contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con
riferimento all'elemento soggettivo del reato.
Rileva che per sussista una responsabilità ex art. 40 c.p., comma 2 è
necessario che l'evento sia concretamente prevedibile ed evitabile
dall'infermiere e che non possa esigersi dal personale infermieristico la
competenza e la immediata riconoscibilità di una situazione di pericolo che non
si manifesta con sintomi specifici.
Osserva che nel caso in esame la responsabilità dell'imputata è fondata sulla
base dell'accertata posizione di controllo dell'infermiere nei confronti del
paziente, senza il necessario approfondimento in ordine alla riconoscibilità
anche in relazione alle conoscenze tecniche dell'infermiere e alle indicazioni
ricevute dal medico riguardo alla situazione di pericolo.
Motivi della decisione
1. Il ricorso proposto dal T. è infondato e va rigettato.
2. In relazione al primo motivo si osserva che nessuna contraddittorietà logica
è ravvisabile tra l'addebito di colpa fondato sulla violazione della regola
prudenziale di informare e rendere edotti i sanitari subentranti a fine turno
della situazione del paziente e le indicazioni istruttorie riguardo alle direttive in
concreto impartite dall'imputato al personale di assistenza del reparto all'atto
del passaggio delle consegne. Nel diario infermieristico relativo al giorno
successivo all'intervento, riportato nel ricorso, si leggono, infatti, le seguenti
indicazioni:
"monitoraggio parametri vitali - non mobilizzare senza ordine medico".
In esse, pertanto, non si evidenzia in alcun modo il rischio emorragico
correlato, oltre che alla natura dell'intervento, anche alle peculiari condizioni
del paziente. Ne consegue che il rilievo formulato non vale a esonerare il
medico dall'addebito di colpa per omessa informativa.
3. Il secondo motivo è del pari infondato alla luce delle argomentazioni svolte
in sentenza, che pongono in evidenza la rilevanza dell'omessa informazione in
relazione alle condizioni del paziente, alle peculiarità dell'atto operatorio ed ai
sintomi constatati in sede di visita pomeridiana, nel corso della quale il
paziente aveva accusato forti dolori. A tale ultimo proposito correttamente la
Corte evidenzia una situazione meritevole di attento controllo, pur se ancora
non evoluta in un quadro emorragico conclamato, in ogni caso rilevante in una
prospettiva di doverosa comunicazione al personale subentrante, e ciò ancor
più ove si consideri la inidoneità della struttura ospedaliera ad assicurare
assistenza e vigilanza adeguate nel decorso operatorio, evincibile dallo stesso
comportamento dell'infermiera.
4. Allo stesso modo è infondato il terzo motivo di ricorso.
Posto che indiscutibilmente l'evento è causalmente riconducibile all'intervento
eseguito dal T., la censura si limita ad attribuire la causa dello stesso alla
condotta dell'infermiera, condotta che, in realtà, andrebbe eventualmente ad
aggiungersi alla primaria responsabilità del medico, senza eliderla.
Ne discende l'irrilevanza, a fronte della grave negligenza attribuita al medico,
dell'eventuale esistenza di comportamenti colposi concorrenti riferibili ad altri.
5. Venendo all'esame della posizione dell'infermiera, va preliminarmente
evidenziata l'estrema genericità del primo motivo di ricorso, con il quale non si
formulano censure specifiche al contenuto della sentenza impugnata.
6. Quanto agli altri motivi, primo nell'ordine logico viene in considerazione
quello attinente alla dedotta contraddittorietà e manifesta illogicità della
motivazione con riferimento alla sussistenza del rapporto di causalità.
Il motivo è fondato. Ed invero, pur assumendo sussistente la condotta colposa
dell'infermiera, con riferimento alla quale correttamente la sentenza impugnata
pone in risalto il dovere di segnalazione al medico di ogni peggioramento del
paziente, deve rilevarsi che, tuttavia, manca nella motivazione l'individuazione,
anche mediante l'elaborazione del necessario giudizio controfattuale, del
momento in cui, in ragione della grave negligenza, ebbe a verificarsi l'evento
emorragico. Residua, pertanto, allo stato, il ragionevole dubbio riguardo alla
reale efficacia condizionante della condotta omissiva attribuita alla ricorrente in
relazione al determinarsi dell'evento. Tale lacuna dovrà essere colmata dai
giudici del rinvio mediante valutazione degli elementi disponibili offerti
dall'istruttoria, oppure mediante ammissione, ove occorra, di ulteriori
opportuni accertamenti.
7. Per tutte le ragioni indicate va rigettato il ricorso del T. e la sentenza va
annullata con rinvio con riguardo alla posizione della S., affinchè il giudice del
merito possa sopperire alla carenza evidenziata e accedere a un giudizio
adeguato riguardo alla sussistenza del nesso causale, indispensabile ai fini del
vaglio in ordine alla responsabilità della predetta imputata.
Al rigetto del ricorso consegue per il T. la condanna al pagamento delle spese
processuali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso di T.P. che condanna al pagamento delle spese
processuali. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di S.M. e rinvia per
nuovo esame alla Corte d'Appello di Torino.
Così deciso in Roma, il 8 luglio 2014.
Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2014
	
  

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Diritto legali problemi a fine turno informare chi subentra

  • 1. FNOMCeO Medico Capo Equipe Chirurgica CORTE DI CASSAZIONE PENALE - Addebito per colpa per violazione della regola prudenziale di informare e rendere edotti i sanitari subentranti a fine turno della situazione del paziente. La responsabilità del medico è da ricondurre alla posizione di garanzia derivante dall'essere egli il primo esecutore dell'intervento, capo dell'equipe chirurgica, posizione che non é limitata all'ambito strettamente operatorio, ma estesa al contesto post operatorio. (Sentenza n. 51730/14) FATTO: Con sentenza del 23/4/2013 la Corte d'Appello di Torino, rideterminando la pena inflitta, confermava nel resto la sentenza del giudice di primo grado che aveva dichiarato T.P. e S.M. responsabili del reato di lesioni colpose perché, secondo l'imputazione, nelle rispettive qualità di medico chirurgo esecutore dell'intervento chirurgico di plastica addominale sul paziente I.B. e di infermiera professionale preposta all'assistenza postoperatoria del medesimo paziente, per colpa cagionavano al predetto l'aggravamento della complicanza emorragica insorta - senza colpa - a seguito del predetto intervento chirurgico, facendo insorgere shock emorragico e concreto pericolo per la vita del paziente. Al medico, il quale operava in regime di libera professione quale primo operatore di una equipe medica esterna presso la casa di cura ---- s.r.l., struttura medica complessa dotata di uno stabile presidio medico e infermieristico convenzionata con il SSN, si rimproverava che, dopo l'esecuzione dell'intervento e dopo aver personalmente constatato che il paziente lamentava forti dolori, pur se aspecifici, ancorché fosse nota la possibile insorgenza di complicanza emorragica in conseguenza del tipo d'intervento (in presenza, tra l'altro, di condizioni soggettive - cardiopatia con pregresso infarto del miocardio - annotate nel referto di visita cardiologica inserito in cartella clinica, che lo esponevano a rischio di gravi conseguenze in caso di emorragia) di aver omesso di impartire adeguate istruzioni al personale di assistenza, nonché di assicurarsi che fosse disposta adeguata vigilanza postoperatoria sul paziente nel corso della notte e, inoltre, a fronte dell'insorgenza di ulteriori sintomi tali da indurre il sospetto di insorgenza della complicanza, dopo aver visitato il paziente, di aver lasciato la clinica comunicando che sarebbe tornato l'indomani. In seguito il dott. T., avvisato dal collega che aveva visitato il paziente, non formulava alcun sospetto di complicanza e non allertava il personale medico e paramedico del possibile pericolo. Cosicché il paziente, per il progressivo aggravarsi delle sue condizioni veniva ricoverato alle 13.15 nel reparto di terapia intensiva in stato di shock con importante ipotensione ed era sottoposto a nuovo intervento di revisione chirurgica, cui seguiva l'arresto dell'emorragia. DIRITTO: La Corte d’Appello di Torino respingeva gli assunti difensivi del medico, fondati sul rilievo che nella qualità di esterno egli aveva fatto affidamento sul controllo che la clinica doveva garantire rispetto a rischi emorragici del decorso operatorio normali e prevedibili. I giudici del merito, di primo e secondo grado, rilevavano che la responsabilità del T. era da ricondurre alla posizione di garanzia derivante dall'essere egli il primo esecutore dell'intervento, capo dell'equipe chirurgica, posizione che non era limitata all'ambito strettamente operatorio, ma estesa al contesto post operatorio, alle esposte considerazioni aggiungendosi che il T. all'atto della contro visita pomeridiana aveva constatato che il paziente lamentava forti dolori, elemento che avrebbe dovuto porre in allarme rispetto alla complicanza emorragica. A tale ultimo proposito correttamente la Corte evidenzia una situazione meritevole di attento controllo, pur se ancora non evoluta in un quadro emorragico conclamato, in ogni caso rilevante in una prospettiva di doverosa comunicazione al personale subentrante, e ciò ancor più ove si consideri la inidoneità della struttura ospedaliera ad assicurare assistenza e vigilanza adeguate nel decorso operatorio, evincibile dallo stesso comportamento dell'infermiera. La Corte di Cassazione, alla luce delle argomentazioni svolte in sentenza, che pongono in evidenza la rilevanza dell'omessa informazione in relazione alle
  • 2. condizioni del paziente, alle peculiarità dell'atto operatorio ed ai sintomi constatati in sede di visita pomeridiana, nel corso della quale il paziente aveva accusato forti dolori, ha rigettato il ricorso del medico. A cura di Marcello Fontana- Settore Legislativo FNOMCeO
  • 3. Cassazione Penale Sentenza n. 51730/14 Svolgimento del processo 1. Con sentenza del 23/4/2013 la Corte d'Appello di Torino, rideterminando la pena inflitta, confermava nel resto la sentenza del giudice di primo grado che aveva dichiarato T.P. e S.M. responsabili del reato di lesioni colpose perché, secondo l'imputazione, nelle rispettive qualità di medico chirurgo esecutore dell'intervento chirurgico di plastica addominale sul paziente I.B. e di infermiera professionale preposta all'assistenza postoperatoria del medesimo paziente, per colpa cagionavano al predetto l'aggravamento della complicanza emorragica insorta - senza colpa - a seguito del predetto intervento chirurgico, facendo insorgere shock emorragico e concreto pericolo per la vita del paziente. 2. Al medico, il quale operava in regime di libera professione quale primo operatore di una equipe medica esterna presso la casa di cura ---- s.r.l., struttura medica complessa dotata di uno stabile presidio medico e infermieristico convenzionata con il SSN, si rimproverava che, dopo l'esecuzione dell'intervento e dopo aver personalmente constatato che il paziente lamentava forti dolori, pur se aspecifici, ancorché fosse nota la possibile insorgenza di complicanza emorragica in conseguenza del tipo d'intervento (in presenza, tra l'altro, di condizioni soggettive - cardiopatia con pregresso infarto del miocardio - annotate nel referto di visita cardiologica inserito in cartella clinica, che lo esponevano a rischio di gravi conseguenze in caso di emorragia) di aver omesso di impartire adeguate istruzioni al personale di assistenza, nonché di assicurarsi che fosse disposta adeguata vigilanza postoperatoria sul paziente nel corso della notte e, inoltre, a fronte dell'insorgenza di ulteriori sintomi tali da indurre il sospetto di insorgenza della complicanza, dopo aver visitato il paziente, di aver lasciato la clinica comunicando che sarebbe tornato l'indomani. 3. All'infermiera, addetta all'assistenza del paziente nel corso della notte, si rimproverava che, pur rilevando che lo stesso non aveva riposato e aveva lamentato dolore, e pur avendo ricevuto numerose richieste di soccorso dal paziente medesimo, il quale misurava una pressione arteriosa di 90/60, aveva omesso di avvisare il personale medico di guardia, tanto che il paziente era visitato alle 10,00 del giorno successivo da altro medico, quando presentava forte calo pressorio (60/40) e addome rigido e dolente. In seguito il dott. T., avvisato dal collega che aveva visitato il paziente, non formulava alcun sospetto di complicanza e non allertava il personale medico e paramedico del possibile pericolo. Cosicchè il paziente, per il progressivo aggravarsi delle sue condizioni veniva ricoverato alle 13.15 nel reparto di terapia intensiva in stato di shock con importante ipotensione ed era sottoposto a nuovo intervento di
  • 4. revisione chirurgica, cui seguiva l'arresto dell'emorragia. 4. La Corte respingeva gli assunti difensivi del medico, fondati sul rilievo che nella qualità di esterno egli aveva fatto affidamento sul controllo che la clinica doveva garantire rispetto a rischi emorragici del decorso operatorio normali e prevedibili. Rilevavano in proposito i giudici del merito, di primo e secondo grado, che la responsabilità del T. era da ricondurre alla posizione di garanzia derivante dall'essere egli il primo esecutore dell'intervento, capo dell'equipe chirurgica, posizione che non era limitata all'ambito strettamente operatorio, ma estesa al contesto post operatorio, alle esposte considerazioni aggiungendosi che il T. all'atto della contro visita pomeridiana aveva constatato che il paziente lamentava forti dolori, elemento che avrebbe dovuto porre in allarme rispetto alla complicanza emorragica. Quanto agli effetti della disciplina introdotta con la L. n. 189 del 2012, art. 3, rilevavano che la responsabilità a carico del T. non attiene all'imperizia ma alla negligenza comportamentale successiva all'operazione, talchè prescindeva dal grado di colpa. 5. La Corte respingeva, altresì, gli argomenti difensivi svolti dalla V., secondo cui la mancata richiesta di intervento del medico di guardia non sarebbe stata circostanza idonea a determinare la non controllabilità dello shock emorragico con rischio di morte; che sul fatto avrebbero influito cause preesistenti aventi determinante efficacia causale, quale la somministrazione di farmaci (Toradol) aventi controindicazioni con la situazione del paziente; che il chirurgo non aveva avvisato e indicato il rischio specifico di emorragia a carico del paziente; che per assicurare adeguata assistenza avrebbe dovuto essere associata a un numero inferiore di pazienti; che il personale infermieristico a lei subentrato aveva omesso di rilevare la gravità della situazione. Osservavano in proposito i giudici del merito che rientra nei compiti dell'infermiere il controllo del decorso della convalescenza del paziente, così da consentire un tempestivo intervento del medico. Da ciò discendeva la responsabilità dell'infermiere, indipendentemente dall'autonomia decisionale del medesimo. In relazione a detta valutazione, riconosciuta la rilevanza causale della condotta dell'infermiera rispetto all'evento, restavano irrilevanti eventuali comportamenti concorrenti successivi in applicazione degli ordinari principi in tema di relazione causale, non valendo a elidere il nesso di causalità eventuali negligenze dei sanitari non integranti fatti imprevedibili e sviluppi atipici. 6. Avverso la sentenza propongono ricorso per cassazione gli imputati. 7. T. rileva: 1) manifesta contraddittorietà della motivazione poiché la sentenza, imperniata sull'addebito di non aver lasciato specifiche disposizioni precauzionali ai sanitari subentranti nell'assistenza del paziente, non aveva tenuto conto delle specifiche e pregnanti direttive impartite dall'imputato al
  • 5. personale di assistenza del reparto all'atto del passaggio delle consegne; 2) erronea applicazione della legge penale (art. 40 cpv. c.p.) con riferimento all'estensione della posizione di garanzia, in relazione al principio dell'affidamento e all'esigibilità della condotta. Osserva che manca del tutto la spiegazione della fonte dell'obbligo giuridico di avvertire i sanitari subentranti di un rischio noto e intercettabile con perizia e diligenza ordinarie. Rileva che l'obbligo di specifica segnalazione di determinate condizioni del paziente si impone ogniqualvolta la sua assistenza/vigilanza sia demandata a soggetto non qualificato a riconoscerle e a comprenderle autonomamente, talché l'adozione di cautele preventive non è esigibile a fronte di un rischio che non sia ancora concreto, ma soltanto generalizzato, astratto e eventuale. Evidenzia, inoltre, che correttamente l'imputato ha fatto affidamento sull'adeguata presa in carico di un paziente ordinario dopo un intervento chirurgico ordinario, ben riuscito e, al momento del passaggio delle consegne, scevro solo anche da possibili sospetti di sopravvenuta insorgenza di complicanze; 3) inosservanza della legge penale (art. 41 c.p.) e correlata mancanza contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Rileva che, anche seguendo le generiche indicazioni della Corte d'Appello, secondo cui il ricorrente avrebbe dovuto informare i sanitari che gli subentravano circa le concrete condizioni del paziente, non è dato rinvenire alcun nesso di causa fra la presunta omissione e l'evento, tanto è vero che già il Tribunale, in sede di giudizio contro fattuale, aveva individuato come causa dell'evento il comportamento dell'infermiera. 7. A sua volta la S. deduce: 1) inosservanza di norme processuali e nullità della sentenza di primo grado per mancanza di motivazione. Rileva che la sentenza di primo grado è affetta ictu oculi di nullità ex art. 178 c.p.p., lett. c) per assoluta carenza di motivazione, poichè il giudice di prime cure ha acriticamente assunto le elaborazioni tecniche dei consulenti senza nemmeno fornire motivazione in ordine agli aspetti di incertezza giuridica che emergono delle operazioni peritali. Rileva che il giudice di primo grado ha omesso ogni valutazione in ordine ai numerosi temi in contestazione della ipotesi accusatoria e delle risultanze peritali e che la Corte d'Appello non aveva poteri di redigere la motivazione mancante, ma avrebbe dovuto disporre una nuova celebrazione del processo di 1^ grado; 2) inosservanza delle norme processuali, mancanza di motivazione in ordine alla invocata applicazione della L. n. 189 del 2012, art. 3 e erronea applicazione di tale norma; 3) contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla sussistenza del rapporto di causalità ex artt. 40 e 41 c.p. Osserva che il giudice di merito avrebbe dovuto individuare con precisione il momento iniziale del processo che ha condotto allo shock emorragico con rischio morte e che dalla lettura della sentenza emerge come non vi sia certezza alcuna in ordine al momento in cui sia insorta la predetta complicanza, atteso che il paziente manifestava sintomi aspecifici, con il conseguente residuare del ragionevole dubbio sulla reale efficacia condizionante della condotta omissiva attribuita alla ricorrente; 4) contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con
  • 6. riferimento all'elemento soggettivo del reato. Rileva che per sussista una responsabilità ex art. 40 c.p., comma 2 è necessario che l'evento sia concretamente prevedibile ed evitabile dall'infermiere e che non possa esigersi dal personale infermieristico la competenza e la immediata riconoscibilità di una situazione di pericolo che non si manifesta con sintomi specifici. Osserva che nel caso in esame la responsabilità dell'imputata è fondata sulla base dell'accertata posizione di controllo dell'infermiere nei confronti del paziente, senza il necessario approfondimento in ordine alla riconoscibilità anche in relazione alle conoscenze tecniche dell'infermiere e alle indicazioni ricevute dal medico riguardo alla situazione di pericolo. Motivi della decisione 1. Il ricorso proposto dal T. è infondato e va rigettato. 2. In relazione al primo motivo si osserva che nessuna contraddittorietà logica è ravvisabile tra l'addebito di colpa fondato sulla violazione della regola prudenziale di informare e rendere edotti i sanitari subentranti a fine turno della situazione del paziente e le indicazioni istruttorie riguardo alle direttive in concreto impartite dall'imputato al personale di assistenza del reparto all'atto del passaggio delle consegne. Nel diario infermieristico relativo al giorno successivo all'intervento, riportato nel ricorso, si leggono, infatti, le seguenti indicazioni: "monitoraggio parametri vitali - non mobilizzare senza ordine medico". In esse, pertanto, non si evidenzia in alcun modo il rischio emorragico correlato, oltre che alla natura dell'intervento, anche alle peculiari condizioni del paziente. Ne consegue che il rilievo formulato non vale a esonerare il medico dall'addebito di colpa per omessa informativa. 3. Il secondo motivo è del pari infondato alla luce delle argomentazioni svolte in sentenza, che pongono in evidenza la rilevanza dell'omessa informazione in relazione alle condizioni del paziente, alle peculiarità dell'atto operatorio ed ai sintomi constatati in sede di visita pomeridiana, nel corso della quale il paziente aveva accusato forti dolori. A tale ultimo proposito correttamente la Corte evidenzia una situazione meritevole di attento controllo, pur se ancora non evoluta in un quadro emorragico conclamato, in ogni caso rilevante in una prospettiva di doverosa comunicazione al personale subentrante, e ciò ancor più ove si consideri la inidoneità della struttura ospedaliera ad assicurare
  • 7. assistenza e vigilanza adeguate nel decorso operatorio, evincibile dallo stesso comportamento dell'infermiera. 4. Allo stesso modo è infondato il terzo motivo di ricorso. Posto che indiscutibilmente l'evento è causalmente riconducibile all'intervento eseguito dal T., la censura si limita ad attribuire la causa dello stesso alla condotta dell'infermiera, condotta che, in realtà, andrebbe eventualmente ad aggiungersi alla primaria responsabilità del medico, senza eliderla. Ne discende l'irrilevanza, a fronte della grave negligenza attribuita al medico, dell'eventuale esistenza di comportamenti colposi concorrenti riferibili ad altri. 5. Venendo all'esame della posizione dell'infermiera, va preliminarmente evidenziata l'estrema genericità del primo motivo di ricorso, con il quale non si formulano censure specifiche al contenuto della sentenza impugnata. 6. Quanto agli altri motivi, primo nell'ordine logico viene in considerazione quello attinente alla dedotta contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla sussistenza del rapporto di causalità. Il motivo è fondato. Ed invero, pur assumendo sussistente la condotta colposa dell'infermiera, con riferimento alla quale correttamente la sentenza impugnata pone in risalto il dovere di segnalazione al medico di ogni peggioramento del paziente, deve rilevarsi che, tuttavia, manca nella motivazione l'individuazione, anche mediante l'elaborazione del necessario giudizio controfattuale, del momento in cui, in ragione della grave negligenza, ebbe a verificarsi l'evento emorragico. Residua, pertanto, allo stato, il ragionevole dubbio riguardo alla reale efficacia condizionante della condotta omissiva attribuita alla ricorrente in relazione al determinarsi dell'evento. Tale lacuna dovrà essere colmata dai giudici del rinvio mediante valutazione degli elementi disponibili offerti dall'istruttoria, oppure mediante ammissione, ove occorra, di ulteriori opportuni accertamenti. 7. Per tutte le ragioni indicate va rigettato il ricorso del T. e la sentenza va annullata con rinvio con riguardo alla posizione della S., affinchè il giudice del merito possa sopperire alla carenza evidenziata e accedere a un giudizio adeguato riguardo alla sussistenza del nesso causale, indispensabile ai fini del vaglio in ordine alla responsabilità della predetta imputata. Al rigetto del ricorso consegue per il T. la condanna al pagamento delle spese processuali. P.Q.M.
  • 8. La Corte rigetta il ricorso di T.P. che condanna al pagamento delle spese processuali. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di S.M. e rinvia per nuovo esame alla Corte d'Appello di Torino. Così deciso in Roma, il 8 luglio 2014. Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2014