La rivolta UK dell’estate 2011
Quattro giorni di violenza urbana, originata dalla
protesta per l’uccisione da parte della polizia di un
cittadino di Londra, Mark Duggan
Cinque morti, centinaia di feriti, almeno 200
abitazioni distrutte, numerosi autobus incendiati,
oltre 3000 cittadini arrestati e processati
I social media sembrano avere giocato un ruolo
decisivo sia nel coordinamento dei rivoltosi sia
nella loro identificazione da parte delle autorità
Il ruolo dei social media nella rivolta
La pagina di Facebook R.I.P. Mark Duggan ha
ospitato il primo appello alla mobilitazione, presso
il commissariato di Tottenham High Road
I rivoltosi hanno fatto ampio uso anche di Twitter
per scambiarsi informazioni sui punti di
concentramento e sui movimenti della polizia
Ma il ruolo decisivo è stato giocato da BBM:
BlackBerry è lo smartphone preferito dai giovani
UK (secondo Ofcom lo sceglie il 37% dei teenager)
Il canale «privato» di BBM
A differenza degli aggiornamenti di stato di
Facebook e dei «tweets», i messaggi scambiati
con BBM non sono rintracciabili dalla polizia
Non a caso BlackBerry è molto amato dai giovani
di paesi in cui la sorveglianza delle autorità sulle
comunicazioni private è prassi comune
Nel 2012 ha fatto molto discutere la richiesta a
RIM del governo di Mumbai di collocare in India i
server di BlackBerry per favorire le intercettazioni
La tentazione di David Cameron
Pochi giorni dopo la rivolta il primo ministro
britannico ha ipotizzato la possibilità di impedire
l’uso dei social media in determinate circostanze
L’idea è inibire l’accesso alle piattaforme di
comunicazione online a coloro che «stanno
preparando violenze, disordini o atti criminali»
L’uscita di Cameron ha suscitato l’immediata
reazione delle associazioni per i diritti civili ed è
comunque stata giudicata poco realistica
Lo studio del «Guardian» sui disordini
La rivolta del 2011 è stata oggetto di un’ampia
ricerca(*) condotta dallo staff di giornalismo
investigativo del «Guardian» insieme alla LSE
Lo studio ha preso in considerazione un’immensa
mole di dati, ricavati dalle comunicazioni dei
rivoltosi sui social media e attraverso BBM
È un caso eccellente di data journalism, che
integra la migliore tradizione UK del giornalismo
di inchiesta con l’approccio dei big data
(*) www.guardian.co.uk/uk/series/reading-the-riots
Big data, fronte caldo della intelligence
Il concetto è divenuto rilevante grazie alla
diffusione di strumenti informatici e metodi di
analisi più sofisticati di quelli tradizionali
Big data vuol dire analizzare ingenti quantitativi
di dati, da processare a ritmi sostenuti o in tempo
reale, di diversa natura e non strutturati
Fra gli ambiti di applicazione più tipici c’è quello
relativo al dominio dei social network, sia per
scopi commerciali sia per obiettivi di sorveglianza
Nasce il concetto di «Socmint»
La social media intelligence può essere di tre tipi:
istituzionale, commerciale o investigativa (Daniel
Trottier, Social Media As Surveillance, 2012)
Essa si applica sia alle informazioni rese
disponibili dagli stessi individui, sia a quelle che
dovrebbero rimanere private
Si pone evidentemente un tema di regole: Chi è
autorizzato ad accedere a certi dati? In quali
circostanze? Secondo quali responsabilità?
« Democraticoflegitimacy demands that, where
new methods intelligence gathering and use
are to be introduced, they should be on a firm
legal basis and rest on parliamentary and
public understanding of what is involved, even
if the operational details of the sources and
methods used must sometimes remain secret. »
Il rapporto #Intelligence
(Demos) e il dibattito in UK
Un anno dopo i «BlackBerry riots»
Nell’aprile del 2012 è emerso che il governo UK
starebbe valutando la possibilità di monitorare
tutto il traffico in Internet, social media inclusi
Tim Berners-Lee ha subito definito l’iniziativa
pericolosa: «le informazioni raccolte dal governo
potrebbero essere rubate e usate da terzi»
A quanta libertà siamo disposti a rinunciare in
favore della sicurezza? Ma soprattutto: siamo
coscienti della libertà a cui stiamo rinunciando?
Un modello per un sistema di regole
Il Il rispetto dei diritti umani
principio
generale
Responsabilità («accountability»)
I principi
associati Proporzionalità («proportionality»)
Necessità («necessity»)