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LA BIBBIA
GENESI
ABRAMO ISACCO GIACOBBE
Capitoli 12- 36
ABRAMO e i PATRIARCHI
INTRODUZIONE GENERALE
I capitoli di Genesi 12-50
possono essere considerati
un’opera unica, essi sono
narrazioni sull’origine del
mondo e dell’umanità, ma
costituiscono anche le
“radici” del popolo ebraico.
Sono una proiezione di quello
che il popolo ebraico pensa di
se stesso, del suo rapporto
con gli altri popoli e con Dio.
Le vicende narrate nei cap. 12-50 riguardano un lasso
di tempo di circa 150 anni (1850- 1725 a. C.).
I racconti vengono messi per iscritto dalle diverse
tradizioni: nascono, così, dei "cicli narrativi".
Ogni tradizione accentua un particolare aspetto
dell'esperienza di un particolare Patriarca,
presentandolo già come modello per la vita della
comunità. Tre sono i cicli principali:
1) Abramo, Padre dei credenti nel Dio unico, amico del
Signore e intercessore. Il ciclo ruota intorno alla coppia
(Abramo e Sara) e ai figli (Isacco e Ismaele) 12-25,18.
2) Giacobbe, capostipite del popolo ebraico. Il ciclo ruota
attorno ai fratelli (Esaù e Giacobbe, Lia e Rachele) ed è
preceduto dal ciclo matriarcale di Rebecca). 25,19-37,1.
3) Giuseppe, racconto parabolico che ha lo scopo di
illustrare la figura del vero sapiente e di collegare il
tempo dei Patriarchi con quello dell’uscita del popolo
ebreo dall’Egitto.
GENERE LETTERARIO
Alla fine, si ha il racconto di un
gruppo che, raccontando del proprio
passato e dei padri, racconta in
realtà se stesso e definisce la propria
identità. All’interno della categoria
generale di “racconti patriarcali” si
possono trovare generi letterari
secondari come storia romanzata,
racconto sapienziale, ecc.
È difficile unificare Gen 12-50 sotto un unico
genere letterario. Tuttavia, per tentare una
risposta più precisa, si deve tener conto del fatto
che molto di questo materiale narrativo venne
trasmesso in forma orale o solo parzialmente
scritta.
Ciò significa che questi racconti assumono
una particolare figura di “memoria” che
definiamo memoria fondatrice, ovvero un
patto simbolico condiviso da un gruppo e molto
diverso dal ricordo individuale. Quest’ultimo è
circoscritto al massimo a tre generazioni, mentre
la memoria fondatrice ha a che fare con eventi
che interessano la storia di un intero gruppo di
persone. I contorni precisi dell’evento del passato
sfumano, i personaggi si sovrappongono (o
perché portano lo stesso nome,o perché il
personaggio maggiore assorbe in sé i ricordi di
personaggi minori), gli eventi si unificano.
ABRAMO È UN PERSONAGGIO STORICO?
Più si va avanti negli anni e più gli studi, basati su ricerche
archeologiche, si fanno precisi: portando alla luce archivi di antiche
città- stato medio-orientali (come Mari, Nuzi ed Ebla) si possono
conoscere meglio i tempi in cui vissero i patriarchi.
Ad esempio era diffuso a quel tempo l’uso di adottare il figlio
avuto da una schiava, come fa Abramo con Ismaele.
Certamente Abramo è esistito.
Il racconto biblico riporta racconti tramandati oralmente e quindi
soggetti a cambiamenti col passare degli anni, tuttavia un nucleo
storico c’è: si parla di una persona che ha fatto un’esperienza di
Dio molto forte e significativa e ha risposto alla chiamata di Dio
con grande fede, un uomo vissuto nel II millennio a. C.
Il testo che stiamo leggendo è stato redatto definitivamente nel IV secolo a. C. e riflette la
storia, le problematiche e gli interrogativi di Israele a quell’epoca; inoltre testimonia le varie
riletture fatte fino ad allora. Anche dopo il IV secolo è stato oggetto di reinterpretazioni da
parte del Giudaismo (termine che indica il popolo ebraico dopo l’esilio), e poi anche
reinterpretato e attualizzato da parte dei Padri della Chiesa.
M. Caravaggio: Abramo
sacrifica Isacco, part.
Con l’entrata in scena di Abramo, il racconto biblico si concentra sulla sua figura di
antenato, padre e modello di fede per il popolo ebraico. Il nome “Abramo”
ricorre anche in testi babilonesi e significa: “Il Padre (Dio) è esaltato”.
Il fratello di Abramo fu Nacor, dalla cui famiglia sia Isacco che Giacobbe presero le
loro mogli e da cui venne pure Aran, il padre di Lot, che morì prima di suo padre.
Anche i figli di Eber furono adoratori di falsi dei. Gli eredi della terra promessa
devono ricordare da quale terra provengono e che la loro natura è corrotta e
peccaminosa.
27Questa è la discendenza di Terach:
Terach generò Abram, Nacor e Aran;
Aran generò Lot.
28Aran poi morì alla presenza di suo padre
Terach nella sua terra natale, in Ur dei Caldei.
29Abram e Nacor presero moglie; la moglie
di Abram si chiamava Sarài e la moglie di
Nacor Milca, che era figlia di Aran, padre di
Milca e padre di Isca.
30Sarài era sterile e non aveva figli. (Gen 11, 27-30)
ABRAM
Di Abramo si dice molto poco: i vv. 27-32 ci
informano solo sulla sua famiglia e su suo
padre Terach. Ma già scopriamo due
particolari interessanti, da non dimenticare:
1- Sarai, moglie di Abramo, era sterile,
2- Terach aveva già deciso di emigrare da Ur
dei Caldei a Carran, cioè dal sud della
Mesopotamia a nord, verso l'Anatolia, e da
qui aveva deciso di dirigersi verso la terra di
Canaan, la futura terra promessa.
31Poi Terach prese Abram, suo figlio, e
Lot, figlio di Aran, figlio cioè di suo figlio, e
Sarài sua nuora, moglie di Abram suo
figlio, e uscì con loro da Ur dei Caldei per
andare nella terra di Canaan. Arrivarono
fino a Carran e vi si stabilirono. 32La vita
di Terach fu di duecentocinque anni;
Terach morì a Carran. (Gen 11, 31-32)La ziqqurat di Ur
TERACH PRESE ABRAM, SUO FIGLIO
“Ur dei Caldei”, città della
Mesopotamia, era sulla sponda
dell’Eufrate; questa città è fatta
risalire alla I dinastia di “Ur” (3000-
2500 a.C.), e si colloca al centro di
una civiltà che ha conosciuto un
grande splendore, testimoniato dai
molti oggetti d’oro ritrovati nelle
tombe e dalle grandi costruzioni a
terrazze (“ziqqurat”).
5Abram prese la moglie
Sarài e Lot, figlio di suo fratello, e tutti
i beni che avevano acquistati in Carran
e tutte le persone che lì si erano
procurate e si incamminarono
verso la terra di Canaan.
Arrivarono nella terra di Canaan 6e
Abram la attraversò fino alla località di
Sichem, presso la Quercia di Morè.
Nella terra si trovavano allora i
Cananei. (Gen 12, 4-6)
La figura di Abramo rimarrà all’interno della Bibbia e della Tradizione come un
grande segno di fede, e il suo pellegrinaggio verso la terra di Canaan ne sarà
emblema. La lettera agli Ebrei, 8-9 canterà così il viaggio del Patriarca biblico:
“Per fede Abramo, chiamato da Dio, obbedì, partendo per un luogo che doveva
ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava... Per fede soggiornò nella terra
promessa, abitando sotto le tende...”.
ABRAM partì
4Allora Abram partì, come gli aveva
ordinato il Signore, e con lui partì Lot.
Abram aveva settantacinque anni
quando lasciò Carran.
La vicenda di Abramo si apre con il racconto della sua “vocazione”.
Questo racconto è attribuito alla tradizione Jahvista ed è molto sobrio, essenziale,
quasi in stile militare, con un comando secco e un’esecuzione senza obiezioni. L’obbedienza
pronta di Abramo viene ad interrompere e a dare una svolta positiva al quadro fosco di
ribellioni e violenze dei primi 11 capitoli. Allo stesso modo la benedizione-promessa di Dio
annulla quella maledizione -castigo che sembrava gravare sull’umanità.
Con Abramo inizia un cammino di “benedizione” che trasforma la storia umana in
storia della salvezza.
Dio prende l’iniziativa ed entra in dialogo con Abramo.
A differenza dei molti dèi adorati da suo padre e dalla sua parentela, Abramo inizia a
conoscere e a rapportarsi con un Dio personale, che parla con l’uomo, che gli fa
dei doni, delle proposte e gli chiede obbedienza.
La novità di Abramo
è nella rivelazione di Dio,
un movimento dall’alto
verso il basso,
rivelazione che sarà totale
in Gesù
LA VOCAZIONE DI ABRAMO
La chiamata di Abramo è presentata
in maniera drammatica, è Dio che
prende l’iniziativa e lancia ad Abramo un
ordine: “Vattene dalla tua terra».
12 1Il Signore disse ad Abram:
«Vattene dalla tua terra,
dalla tua parentela
e dalla casa di tuo padre,
verso la terra che io ti indicherò».
(Gen 12, 4-6)
Dio chiede ad Abram:
- la più completa rottura con il passato
pagano,
- un crescente distacco personale dal
proprio clan (v. 1b) ,
- l’emigrazione verso una terra ignota
scelta da Dio (v. 1c).
Quello che Abramo deve fare è espressa
nell’imperativo lek-leka = vattene.
Questo verbo può essere letto con
diverse sfumature di significato:
va’ per te, cioè per il tuo bene lascia il
tuo passato;
va’ verso di te, cioè verso la scoperta del
mio progetto su di te, verso la tua
vocazione autentica.
Miniatura del Codice Pallavicino,
sec. XV. Lodi, Biblioteca comunale.
Abramo è considerato dai cristiani, dagli
ebrei e dai musulmani il prototipo della fede
in Dio.
Abramo è il primo Patriarca che ci introduce
nella storia del rapporto di Dio con un uomo
particolare, e della risposta di quell’uomo alla
chiamata di Dio.
In realtà sarebbe più corretto parlare di
Abramo e Sara come padre e madre dei
credenti, perché tutti e due sono stati
coinvolti dalla chiamata di Dio. Pur nel
contesto della mentalità patriarcale del
tempo, al centro del ciclo di Abramo c’è la
coppia, con un posto rilevante, nel bene e nel
male, di Sara. Solo attraverso di lei, come
madre, passa la promessa.
In Abramo e Sara saranno benedette tutte le
nazioni della terra!
La risposta di Abramo fu effettiva, non
verbale. Mosè e Geremia, invece,
opporranno obiezioni alla vocazione
divina; Mosè dirà a Dio: “Chi sono io per
andare dal Faraone?”, e Geremia: “Ecco
io non so parlare, perché sono giovane”.
Abramo, invece, è l’emblema della fede
pura e assoluta, che non cerca segni e
conferme, e lascia alle spalle la terra, la
parentela e la casa del padre.
LA RISPOSTA DI ABRAMO
L’ITINERARIO DI
ABRAMO
Secondo la tradizione
Sacerdotale, Abramo emigra
da Carran (cittadina non
lontana da Ur e sede del suo
clan) per dirigersi nel paese di
Canaan: la “terra promessa”.
Secondo la tradizione Jahwista, invece, Abramo compie quasi un pellegrinaggio in
Canaan, toccando i santuari che poi influenzeranno la storia biblica: Sichem, è un
villaggio situato al centro del paese di Canaan; Betel, è nelle vicinanze del territorio
su cui sorgerà Gerusalemme; Mamre, è un villaggio vicino a Ebron, contraddistinto
da una quercia famosa. E il Negheb (“sud” o “deserto”) ultima tappa della sua
peregrinazione, è la zona deserta che confina con la penisola del Sinai, dividendo
Canaan dall’Egitto; a Negheb fu conservata la tradizione Jahwista. La ricompensa
per Abramo sarà la benedizione divina per lui stesso e per i suoi discendenti.
Tutte le vicende raccontate in
questi capitoli si svolgono
all’interno di quel territorio,
chiamato la «mezzaluna fertile»,
che va dalla Mesopotamia
all’Egitto, passando per la Siria, il
Libano e la Palestina.
La mezzaluna fertile è stata la culla di
antiche civiltà, da quella sumerica a quella
egiziana, da quella elamita a quella hittita e
tante altre.
In rosso sono indicate le vie commerciali e
militari che nel secondo millennio a.C.
permettevano gli spostamenti in tutta l’area.
LA
MEZZALUNA
FERTILE
2Farò di te una grande nazione
e ti benedirò,
renderò grande il tuo nome
e possa tu essere una benedizione.
3Benedirò coloro che ti benediranno
e coloro che ti malediranno maledirò,
e in te si diranno benedette
tutte le famiglie della terra». (Gen 12, 2-3)
Nelle parole che Dio gli rivolge è scandito per ben 5 volte il termine “benedire”.
In Abramo, sorgente della benedizione divina, tutti i popoli della terra troveranno
salvezza. Abramo è quasi l’antidoto a tutte le maledizioni che incombevano
sull’umanità e costellavano i capitoli precedenti della Genesi, a partire dal peccato
del cap. 3. Tre sono le promesse che Dio fa ad Abramo:
il dono della terra (“la terra che io ti mostrerò”);
la discendenza (“farò di te una grande nazione”);
la benedizione (“e in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra“).
IN TE SI DIRANNO BENEDETTE
TUTTE LE FAMIGLIE DELLA TERRA
7Il Signore apparve ad Abram e gli disse:
«Alla tua discendenza io darò questa
terra».
Allora Abram costruì in quel luogo
un altare al Signore che gli era apparso.
8Di là passò sulle montagne a oriente
di Betel e piantò la tenda, avendo Betel
ad occidente e Ai ad oriente.
Lì costruì un altare al Signore
e invocò il nome del Signore.
9Poi Abram levò la tenda per andare
ad accamparsi nel Negheb. (Gen 12, 7-9)
Abram, che aveva a quel punto 75 anni e non
era ancora riuscito ad avere figli a causa della
sterilità di Sara, obbedì: radunò la carovana
delle sue greggi e i suoi servi e partì, lasciando
Carran, con sua moglie e il nipote Lot. Quando
arrivò nel paese di Canaan, o Palestina, nei
pressi di Sichem, Dio gli apparve in un luogo
chiamato Betel ("Casa-di-Dio") e gli fece la
promessa che quella terra sarebbe
appartenuta alla sua discendenza.
Era nei pressi dell’oasi di Gerico, una terra
ancora oggi molto fertile, nei tempi antichi
ancora più ricca e desiderabile. Abram costruì
un altare al Signore, riconoscendo la sacralità
del luogo dove Dio gli era apparso.
LA TERRA PROMESSA
10Venne una carestia nella terra e
Abram scese in Egitto per
soggiornarvi, perché la carestia
gravava su quella terra.
(Gen 12, 10)
Gen 12,1-9 racconta l’inizio della storia del popolo di Israele.
A questo episodio di chiamata segue uno spostamento geografico: l’Egitto. Abramo è
l'inizio di un nuovo ordine mondiale e universale, che non si basa sui confini, su una
distinzione tra un popolo ed un altro, ma su di una chiamata. Abramo è pertanto il
punto di riferimento di una nuova concezione della vita e del rapporto con Dio;
la situazione di Abramo e dei patriarchi viene assunta dagli autori biblici, dalla
riflessione d'Israele, come luogo di manifestazione di un disegno di Dio nella storia
umana.
ABRAM SCESE IN EGITTO
Abramo, Isacco e Giacobbe. Basilica dell’Annunziata, Firenze
11Quando fu sul punto di entrare in
Egitto, disse alla moglie Sarài:
«Vedi, io so che tu sei donna di aspetto
avvenente. 12Quando gli Egiziani ti
vedranno, penseranno: “Costei è sua
moglie”, e mi uccideranno, mentre
lasceranno te in vita.
13Di’, dunque, che tu sei mia sorella,
perché io sia trattato bene per causa tua
e io viva grazie a te».
(Gen 12, 11-13)
DI’, DUNQUE, CHE TU SEI MIA
SORELLA
Il quadro d’insieme dell'intera
storia di Abramo, così come la
leggiamo, sembra proporre la
fede nella promessa di Dio, che si
mantiene fedele attraverso
l'obbedienza di Abramo, ma
anche nonostante Abramo che
mette in pericolo Sara e ritiene di
dover realizzare in qualche modo
la propria discendenza.
Secondo la cronologia della tradizione
sacerdotale (P), Sara avrebbe 65 anni; ma
probabilmente è più giovane, se Abramo teme
che qualcuno, vedendola così bella, possa
arrivare ad ucciderlo per sottrargliela; quindi la
fa passare per sua sorella (secondo Gen.20,12,
ella era effettivamente una sua sorellastra).
14Quando Abram arrivò in Egitto, gli Egiziani videro
che la donna era molto
avvenente. 15La osservarono gli ufficiali del faraone
e ne fecero le lodi al faraone;
così la donna fu presa e condotta nella casa del
faraone. 16A causa di lei, egli trattò bene Abram,
che ricevette greggi e armenti e asini, schiavi e
schiave, asine e cammelli. (Gen 12, 14-16)
Le vicende di Abramo e dei patriarchi si intrecciano
con quelle delle popolazioni semitiche vissute tra il
XVIII e il XVII sec. a.C. Di esse accettano gli usi e le
consuetudini, come testimonia il comportamento di
Abramo che, in Egitto, fa passare la moglie per sorella.
Questo episodio verrà ripreso altre due volte, sia pure
con varianti: nel cap. 20 e nel cap. 26 (per Isacco e
Rebecca). E’ un esempio adatto a illustrare le diverse
angolature sotto cui le varie tradizioni riprendono lo
stesso evento.
LA DONNA FU PRESA E CONDOTTA NELLA
CASA DEL FARAONE
Il movente è la carestia,
ma dentro questa
difficoltà si scopre che la
promessa è in qualche
modo messa alla prova.
Si nasconde
nell’atteggiamento di
Abramo un’ ambivalenza
tra furbizia e fede.
Siamo in un contesto culturale molto maschilista,
in cui la moglie era considerata proprietà del
marito che poteva disporre di lei come voleva.
Inoltre, a discolpa di Abram, possiamo dire che,
temendo che senza di lui non potesse realizzarsi
la promessa di Dio di una discendenza, cerca di
salvarsi con questo sotterfugio.
17Ma il Signore colpì il faraone e la sua
casa con grandi calamità, per il
fatto di Sarài, moglie di Abram.
18Allora il faraone convocò Abram e gli
disse: «Che mi hai fatto? Perché non mi
hai dichiarato che era tua moglie?
19Perché hai detto: “È mia sorella”, così
che io me la sono presa in moglie? E ora
eccoti tua moglie: prendila e vattene!».
20Poi il faraone diede disposizioni su di lui
ad alcuni uomini, che lo allontanarono
insieme con la moglie e tutti i suoi averi.
(Gen 12, 17-20)
Ma Dio interviene colpendo il faraone e la
sua casa con grandi piaghe, finché questi
capisce e restituisce Sarai ad Abram,
facendoli accompagnare alla frontiera
perché lascino immediatamente il suo
paese.
Dio interviene per salvare Abram e Sarai in
difficoltà, così come al tempo della
schiavitù sarebbe intervenuto mediante
Mosè per liberare gli Ebrei dagli Egiziani: è
ancora una retroproiezione di questa
vicenda.
Jahvè non lascia naufragare la sua opera:
l’uomo cerca di arrabattarsi in tutti modi
per cavarsela, ma poi è Dio che lo salva e
non lo punisce per un’azione negativa
perché comprende la sua debolezza.
IL SIGNORE COLPÌ IL FARAONE
Riflessioni e commenti Abram per salvarsi mette in pericolo Sara. Come
giustificare questo suo comportamento?
Giovanni: si possono considerare, nella vicenda, due aspetti negativi:
Abram prostituisce la moglie; Abram mette in dubbio la protezione di Dio con la paura di
essere ucciso. Ma ci sono anche degli elementi che lo possono giustificare: Abram tiene alla
propria vita perché sente pesare su di sé la responsabilità di tutto il suo clan. E’ in una terra
straniera, non ha alcun diritto, la sua gente può essere in grave pericolo. Inoltre egli non
conosce il disegno di Dio, sta facendo un percorso di crescita nella sua fede e nella sua
vocazione, non è un uomo perfetto. Certo che, dicendo a Sara di presentarsi come sorella, la
espone al pericolo di essere portata nell’harem del Faraone, luogo da dove non sarebbe più
uscita, compromettendo così il disegno di Dio …
Don Sandro: Abramo fece passare la moglie per sorella perché questo gli era
consentito dalla consuetudine tribale. Ciò potrebbe evocare, forse, l’antico
diritto degli Hurriti (popolazione della Mesopotamia), che permetteva di
adottare la moglie come sorella, così che potesse godere gli stessi diritti del
marito su tutta la proprietà. Abramo, tuttavia, non prevedeva che questa
«furbizia» avrebbe avuto conseguenze catastrofiche facendo entrare sua
moglie nell’harem del Faraone, perdendola dunque per sempre.
A questo punto interviene Dio facendo comprendere al Faraone che è stato
commesso un «abominio» che deve essere superato.
Ancora una volta l’intervento di Dio rende possibile la realizzazione della
promessa nonostante il comportamento ambiguo di Abramo, che pure è il
Padre dei credenti.
A – Dio dice ad Abramo: «Vattene dalla tua patria».
Il fatto è che il cristiano è fondamentalmente un pellegrino (cfr 1^ Pt 1,17 e 2,11),
e quindi non può attaccarsi a nulla di quaggiù, perché tende alla vita eterna …
«La voce di Dio è come un grido potente che squarcia il silenzio nella notte: vai,
esci! E non scende a patti con le nostre lungaggini».
(G. Balconi, Scintille nel canneto, pag 14-15).
PER IL NOSTRO SPIRITO
B – Gen 12,4° «Allora Abramo partì come gli aveva ordinato il Signore».
L’obbedire di Abramo è un obbedire alla Parola. La fede è obbedienza alla Parola di Dio.
E Abramo è nostro padre nella fede.
Chiediamoci: che spazio ha la Parola nella mia vita, nel mio quotidiano?
C – Dio benedice più volte Abramo: «In te si diranno benedette tutte le genti».
Dunque anche noi siamo portatori della benedizione di Abramo e benedizione significa vita,
fecondità, positività. Siamo davvero benedizione per gli altri?
Allora Dio ci benedice = Dio «dice bene di noi», è contento di noi.
Anche noi «bene-diciamo» = «diciamo bene» degli altri?
D –Riguardo all’episodio di Abramo e Sara in Egitto:
Abramo, pure prototipo del credente, è comunque un uomo limitato, ansioso, che
ricorre a dei sotterfugi per garantirsi l’incolumità davanti al pericolo e ai potenti.
Abramo è un uomo con tutti i limiti della condizione umana.
E noi, siamo consapevoli che Dio ci sceglie e ci chiama così come siamo?
1Dall’Egitto Abram risalì nel Negheb, con
la moglie e tutti i suoi averi; Lot era con lui.
2Abram era molto ricco in bestiame,
argento e oro.
3Abram si spostò
a tappe dal Negheb fino a Betel,
fino al luogo dov’era già prima la sua tenda,
tra Betel e Ai, 4il luogo dove prima
aveva costruito l’altare:
lì Abram invocò il nome del Signore.
(Gen 13, 1-4)
Abram fa ritorno in terra di Canaan. I vv. 3-4, infatti, richiamano alla memoria gli ambienti
e la geografia incontrati in 12,8: «di là passò sulle montagne a oriente di Betel e piantò la
tenda, avendo Betel ad occidente ed Ai ad oriente».
È importante, in questi vv., l’esplicita segnalazione della presenza di Lot, dal momento che
nel precedente episodio del soggiorno della coppia patriarcale in Egitto mai se ne era fatta
menzione. Il nuovo ingresso in Canaan, a differenza del primo, avviene da sud, ovvero dal
Negheb. Abram è molto ricco: oltre ai beni di proprietà famigliare portati con sé nella sua
emigrazione verso Canaan, possiede anche i generosi doni dei quali il Faraone lo ha
ricolmato.
ABRAMO DIVENTA
UN RICCO SEMINOMADE
5Ma anche Lot, che accompagnava
Abram, aveva greggi e armenti
e tende, 6° il territorio non consentiva
che abitassero insieme, perché avevano
beni troppo grandi e non potevano
abitare insieme.
7Per questo sorse una lite tra i
mandriani di Abram e i mandriani di
Lot. I Cananei e i Perizziti
abitavano allora nella terra.
(Gen 13, 5-7)
In Canaan, Abramo e il suo clan non sono più nomadi, ma
neppure ancora sedentari: sono seminomadi che vanno
pian piano stabilendosi nel territorio. Per le tribù nomadi
e seminomadi tutto ciò che è sotto il cielo è un bene da
godere; per le popolazioni sedentarie, invece, la proprietà
ha confini ben precisi e riconosciuti, chi li viola viene
maledetto: “Maledetto colui che sposta i confini del suo
prossimo” (Deut. 27,17). Sorgono così le prime
controversie tra i servi di Abramo e di Lot.
SORSE UNA LITE
Degna di nota, tra i nomi
delle antiche popolazioni che
occupavano, prima di Israele,
la terra di Canaan, è anche la
menzione del popolo
“perizzita”, che al v. 7 viene
ad aggiungersi al popolo
“cananeo” già segnalato in
12,6. Questi nomi anticipano
liste più complete rinvenibili
in altri passi di Genesi.
8Abram disse a Lot: «Non vi sia
discordia tra me e te,
tra i miei mandriani e i tuoi,
perché noi siamo fratelli.
9Non sta forse davanti a te tutto il
territorio? Separati da me.
Se tu vai a sinistra, io andrò a destra;
se tu vai a destra, io andrò a sinistra».
(Gen 13, 8-9)
“Uno a destra e l’altro a sinistra” non significa avere un
atteggiamento di discordia o malevolenza.
Abramo richiama il dovere di conservare un atteggiamento
fraterno. Il termine “siamo fratelli” del versetto 8 è da
intendersi nel senso più ampio, ricordando che Lot non era
fratello di carne di Abramo. “Uno a destra e l’altro a
sinistra” significa essere comunque pronti a intervenire in
caso di bisogno (Genesi 14,11-16).
NON VI SIA DISCORDIA
L’ enorme abbondanza di
ricchezze e di proprietà crea
problemi di convivenza tra i
due parenti. Il principale
sembra consistere nella
necessità di rinvenire più
ampie zone di pascolo al
fine di poter soddisfare le
esigenze di ristoro delle loro
rispettive mandrie.
Partenza di Abramo e di Lot, mosaico, 432-440 d.C.,
Roma, S. Maria Maggiore.
10Allora Lot alzò gli occhi e vide che tutta la valle
del Giordano era un luogo irrigato da ogni parte
– prima che il Signore distruggesse Sòdoma e Gomorra –
come il giardino del Signore,
come la terra d’Egitto fino a Soar.
11Lot scelse per sé tutta la valle del Giordano
e trasportò le tende verso oriente.
Così si separarono l’uno dall’altro:
12Abram si stabilì nella terra di Canaan
e Lot si stabilì nelle città della valle
e piantò le tende vicino a Sòdoma.
13Ora gli uomini di Sòdoma erano malvagi
e peccavano molto contro il Signore. (Gen 13, 10-13)
Lot decide di orientarsi verso la valle del Giordano, verso una terra fertile e ben irrigata, una
terra che sembra richiamare esplicitamente il “giardino di Yhwh” , ovvero il giardino di Eden.
Tale impressione, tuttavia, si dimostrerà presto effimera e passeggera: sono proprio i due
commenti del narratore (redattore) ad anticipare e far presagire al lettore il triste futuro che in
breve sarebbe toccato in sorte a due grandi città, Sodoma e Gomorra e, di conseguenza,
l’insensatezza della scelta di Lot.
Abramo non sceglie la terra, si accontenta della zona montagnosa presso Ebròn.
SI SEPARARONO
Riflessioni e commenti L’atteggiamento di Abramo nell’episodio della separazione
con Lot è in sintonia con il suo comportamento in Egitto? Ha
agito secondo una sapienza umana o si è fidato di Dio?
Zita e Luisa: Abramo sembra un personaggio diverso, più forte nella fede.
Annamaria: ha più fiducia in Dio, certo che l’aiuterà a scegliere per il meglio.
Giovanni: le ricchezze portano spesso a grandi contrasti, in questo caso
sono i servi che litigano tra loro, mentre Abramo non si lascia coinvolgere
e si separa da Lot in modo pacifico, anche perché non sapeva ancora
quale porzione di terra Dio gli avrebbe destinato.
Don Sandro: Dio aveva già promesso tutta la terra di Canaan ad Abramo (cfr vv. 12,7.)
Ma, Lot sceglie veramente la parte migliore, o solo in apparenza? Se leggiamo con attenzione
il testo, sono proprio i due commenti del narratore (vv. 10 e 13), ad anticipare e far presagire
al lettore l’imminente distruzione di Sodoma e Gomorra, a causa della “malvagità” dei loro
abitanti e quindi a far capire che la scelta di Lot non avrebbe avuto un buon esito.
Cesare: confrontando i due capitoli, il 12 e il 13, si nota una progressione
di Abramo nella fede e nella fiducia in Dio.
Luigino: la fede di Abramo è grande, quasi da fanatico, mentre il suo carattere è quello di
un debole, visto il suo comportamento.
Don Sandro: Dio sa cosa nasconde il cuore dell’uomo, Egli non sceglie in base
ai criteri dell’apparenza, della bellezza, ecc., Dio guarda in profondità e
conosce quale risposta di fede gli darà Abramo.
La funzione dell’intero episodio è quella
di introdurre una situazione di conflitto tra
Abram e Lot, al fine di separare le loro
vite e i loro stessi destini.
Essendo Abram senza figli a causa della
sterilità di Sara, Lot, il suo parente più
prossimo, dovrebbe, a buona ragione,
essere ritenuto l’unico vero erede del
Patriarca, essendo egli partito con lui nella
loro migrazione da Ur dei Caldei, la loro
patria di origine.
FUNZIONE
dell’episodio della separazione
tra Abramo e Lot
Non Lot, tuttavia, avrebbe dovuto continuare la discendenza di Abram, ma solo un figlio
legittimo di quest’ultimo, un figlio promesso da Dio.
Da Lot, negli anni successivi alla separazione, nasceranno altri popoli: i Moabiti e gli
Ammoniti.
Bartolo di Fredi, Abramo e Lot si separano
nella terra di Canaan, 1367
14Allora il Signore disse ad Abram, dopo che Lot
si era separato da lui: «Alza
gli occhi e, dal luogo dove tu stai, spingi lo
sguardo verso il settentrione e il
mezzogiorno, verso l’oriente e l’occidente.
15Tutta la terra che tu vedi, io la darò a te
e alla tua discendenza per sempre.
(Gen 13, 14-15)
Abramo non si sceglie la terra,
accetta ciò che rimane ed è
costretto a stabilirsi e a pascolare
nella misera porzione di terreno
che circonda le querce di Mamrè,
presso Ebròn, cittadina a sud di
Gerusalemme.
Qui Abramo acquisterà la caverna
di Makpelàh per seppellirvi la
moglie Sara e per esservi poi
anch’egli sepolto.
I toponimi
I toponimi di Mamrè e di Hebròn , a sud
della terra di Canaan, sono particolarmente
associati al ciclo di Abramo. È anche in
quell’ambito geografico, del resto, che si
contestualizza la cosiddetta “caverna di
Makpelàh”, ovvero la porzione di territorio
di Canaan che Abram aveva acquistato da
Ephròn, figlio di Sohar, assieme al campo
che la comprendeva, e che venne usata
come tomba di famiglia.
ALZA GLI OCCHI
16Renderò la tua discendenza come la
polvere della terra: se uno può contare la
polvere della terra, potrà contare anche i
tuoi discendenti. 17Àlzati, percorri la
terra in lungo e in largo, perché io la darò
a te».18Poi Abram si spostò con le sue
tende e andò a stabilirsi alle querce di
Mamre, che sono ad Ebron, e vi costruì
un altare al Signore.
(Gen 13, 16-18)
Rilancio della promessa
Effettuata la separazione (cfr. vv.11-13), nei vv.
14-17 Yhwh si rivolge ad Abram per riprendere,
ampliare ed enfatizzare la promessa di
possesso della terra nella quale egli era già
andato ad abitare, così come era già stata
espressa in 12,7. Anche la promessa di una
numerosa discendenza viene ribadita e ancor
più accentuata.
COME LA POLVERE
DELLA TERRA
I vv. 14-17 sembrano essere un’aggiunta
redazionale all’episodio narrato nel
capitolo 13. Assieme ad altri elementi di
natura più tecnica, il fatto stesso che
Abram non sembri affatto obbedire al
comando ricevuto da Dio, quello cioè di
percorrere il territorio “in lungo e in largo”,
ma vada direttamente a stabilirsi presso le
querce di Mamrè, in Hebròn, spezza la
stretta logica del racconto e mostra forse
l’estraneità dei vv.14-17 alla trama
originaria.
Don Sandro: i criteri della forza, della bellezza e dell’apparenza, in
genere sono scartati da Dio quando Egli opera le sue scelte. Il Signore
sceglie colui che gli dà il suo cuore, e poi porta avanti il suo progetto
fino alla piena realizzazione, nonostante la debolezza e gli errori della
persona eletta.
Possiamo confrontare molti brani della Scrittura che ci parlano dei
criteri di elezione da parte di Dio:
1Sam16,7; 1 Re, 8,39; Sal 147, 10-11; Pr 16,2; Is 55, 8-9; Lc 16,15; Gv 7-
24; 1 Pt 3, 3-4.
Riflessione:
Qual è il rapporto tra elezione (predestinazione) di Dio,
giustizia di Dio e libertà dell’uomo?
L’elezione priva l’uomo della sua libertà?
Ognuno di noi ha la propria chiamata, l’importante è
scoprire il proprio ruolo e realizzare il disegno di Dio.
PER IL NOSTRO SPIRITO
Il testo presenta, inoltre, numerose glosse che
hanno lo scopo di chiarire il significato di nomi di
luogo difficili da contestualizzare all’epoca della
redazione, ad esempio: “il re di Bela, ovvero So’àr”,
“nella valle di Siddim, ovvero il Mare Salato”, ecc.
Anche per questo il capitolo 14 dà l’impressione di
essere stato inserito, quasi sicuramente, in epoca
più tarda rispetto agli altri capitoli sui Patriarchi.
5Nell’anno quattordicesimo arrivarono
Chedorlaòmer e i re che erano con lui
e sconfissero i Refaìm ad Astarot-Karnàim,
gli Zuzìm ad Am, gli Emìm a Save-Kiriatàim
6e gli Urriti sulle montagne di Seir fino a
El-Paran, che è presso il deserto.
7Poi mutarono direzione e vennero a
En-Mispàt, cioè Kades, e devastarono tutto
il territorio degli Amaleciti e anche degli
Amorrei che abitavano a Casesòn-Tamar.
(Gen 14, 5-7)
LA GUERRA
ABRÀM, IL GUERRIERO TRA I GUERRIERI
Il capitolo 14 è da sempre ritenuto,
per stile e per contenuti, un’isola di
testo molto distante dal resto delle
narrazioni del libro della Genesi:
si è improvvisamente immersi in
un’atmosfera di guerra,
di scontri e di battaglie che niente
hanno a che fare con il clima
famigliare e relativamente modesto
dei racconti patriarcali.
All’interno del capitolo 14
trovano spazio vari episodi,
anche di natura e
provenienza eterogenee,
attualmente riuniti a
formare un unico racconto.
È infatti possibile identificare
almeno
tre scene diverse:
A. La campagna di quattro re dell’est contro una
coalizione di cinque re dell’ovest (vv.1-11)
B. Il rapimento di Lot e il conseguente riscatto di
Abram (vv.12-17, 21-24)
C. L’incontro tra Abram e Malkìsèdeq, re di Shalèm
e sacerdote del Dio Altissimo (vv.18-20).
CHIAVE DI LETTURA DI TUTTO IL CAPITOLO
È LA BENEDIZIONE DI DIO SU ABRAMO,
SALVEZZA PER TUTTA L’UMANITÀ
Stendardo di Ur, lato
della guerra. Nella
fascia inferiore si
vedono i carri Sumeri
trainati da onagri che
travolgono i nemici
sconfitti. 2500
a.C. circa, British
Museum di Londra.
GLI EPISODI DEL CAPITOLO 14
8Allora il re di Sòdoma, il re di Gomorra,
il re di Adma, il re di Seboìm e il re di Bela,
cioè Soar, uscirono e si schierarono
a battaglia nella valle di Siddìm,
contro di essi, 9cioè contro Chedorlaòmer
re dell’Elam, Tidal re di Goìm, Amrafèl re
di Sinar e Ariòc re di Ellasàr: quattro re
contro cinque. (Gen 14, 8-9)
In questa prima unità di testo
vengono sostanzialmente riportati
due diversi resoconti di battaglie,
nelle quali Kedorlaomer e i suoi
alleati hanno sempre la meglio
sulle popolazioni insorte contro il
loro dominio. Da osservare che le
città del Mar Morto erano
governate da “sceicchi” locali, che
a loro volta erano spesso vassalli
dei più potenti Re mesopotamici
(Elam e Babilonia). Gli elamiti
erano molto potenti in Babilonia:
furono essi a conquistare e
saccheggiare la città di Ur.
Fino ad oggi non è stato possibile
rinvenire alcuna fonte extrabiblica
che permetta di smentire o
confortare la narrazione degli
scontri militari offerta da questo
capitolo, né è stato possibile
identificare i nove Re.
QUATTRO CONTRO CINQUE
10La valle di Siddìm era piena di
pozzi di bitume; messi in fuga,
il re di Sòdoma e il re di Gomorra
vi caddero dentro, mentre gli altri
fuggirono sulla montagna.
11Gli invasori presero tutti i beni di
Sòdoma e Gomorra e tutti i loro
viveri e se ne andarono.
12Prima di andarsene catturarono
anche Lot, figlio del fratello
di Abram, e i suoi beni:
egli risiedeva appunto a Sòdoma.
(Gen. 14,10-12 )
Anche oggi la zona attorno al Mar Morto,
è costellata di simili pozzi, dovuti alla
particolare situazione geologica del
territorio, posto a 400 m. sotto il livello
del mare.
I vassalli più importanti, cioè i Re delle
città più rilevanti della regione di Sodoma
e Gomorra, vengono pesantemente
sconfitti. In occasione del rastrellamento
compiuto dai vincitori viene coinvolto
anche Lot, il nipote di Abramo che aveva
scelto proprio quest’area per stabilirvisi.
CATTURARONO ANCHE LOT
14Quando Abram seppe che suo fratello
era stato preso prigioniero, organizzò i
suoi uomini esperti nelle armi, schiavi
nati nella sua casa, in numero di
trecentodiciotto, e si diede
all’inseguimento fino a Dan. 15Fece delle
squadre, lui e i suoi servi, contro di loro,
li sconfisse di notte e li inseguì
fino a Coba, a settentrione di Damasco.
16Recuperò così tutti i beni e anche Lot
suo fratello, i suoi beni, con le donne e il
popolo.
(Gen. 14,14-16 )
L’attenzione si concentrerà a poco a poco
ancora una volta attorno alla figura di Abramo.
Ciò che emerge dall’intero episodio è, in ultima
analisi, il suo grande valore e l’insuperabile sua
forza anche contro un dispiegamento di mezzi
assai più efficienti dei suoi.
Abram non solo riesce a liberare suo
nipote, ma recupera anche tutto il resto
dei suoi beni, delle sue donne e del suo
popolo (cfr. v. 16).
Solo qui, in tutta la scrittura, compaiono i
nomi di persona Mamrè, Anèr ed Eshkòl,
di provenienza amorrita; essi sono gli
unici ad essere menzionati tra i
trecentodiciotto servitori guerrieri che
combatterono al fianco di Abramo.
ABRAMO LIBERA LOT
S. Marco, Venezia, cupola di Abramo: Abramo arma i propri
servi per liberare Lot
17Quando Abram fu di ritorno, dopo la sconfitta di
Chedorlaòmer e dei re che
erano con lui, il re di Sòdoma gli uscì incontro nella
valle di Save, cioè la valle del Re. 18Intanto
Melchìsedek, re di Salem, offrì pane e vino:
era sacerdote del Dio altissimo 19e benedisse Abram
con queste parole: «Sia benedetto Abram dal Dio
altissimo, creatore del cielo e della terra,
20e benedetto sia il Dio altissimo,
che ti ha messo in mano i tuoi nemici».
Ed egli diede a lui la decima di tutto. (Gen. 14,17-20 ) Melchisedek offre pane e vino. Mosaico di S.
Maria Maggiore, Roma, 432-440 d.C.
MELkÌSEDEQ, RE DI SALEM, OFFRÌ
PANE E VINO
Melkisedeq (il mio re è giustizia) è il primo sacerdote a essere menzionato nella
Scrittura. Egli è anche re della città di Shalèm, nome attribuito dalla letteratura
giudaica alla città di Gerusalemme, di cui quel nome sarebbe stata una antica
denominazione. Egli offre ad Abramo “pane e vino”, un pasto degno di un re (1Sm
16,20). Oltre ad essere re, Melkisedeq è sacerdote di El ‘Eljôn, il Dio Altissimo.
Abramo incontra Melchisedek,
mosaico di S. Marco, Venezia
La figura di Melkisedeq non è preparata da
alcun tipo di introduzione e non sarà più
evocata dalla Scrittura Ebraica se non nel
Salmo 110,4: “Tu sei sacerdote per sempre
al modo di Melchisedek” (v.4), affermando
così un particolare sacerdozio del sovrano
ebraico. La mancanza di una genealogia
ascendente e discendente, così importante
per chi avanzava pretese regali e
sacerdotali, verrà interpretata in chiave
messianica (in ambito giudaico), e
come prefigurazione del sacerdozio di
Cristo (in ambito cristiano). In Ebrei 7,3
si legge: “Egli senza padre e senza madre,
senza genealogia, senza principio di giorni
né fine di vita, fatto simile al Figlio di Dio,
rimane sacerdote in eterno”.
La tradizione cristiana, poi, ha letto
liberamente il gesto di Melchisedek
alla luce dell’Eucaristia.
In cambio della benedizione ricevuta, Abram
dona a Melkisedeq la decima del suo bottino
di guerra.
La consuetudine del pagamento della decima
di quanto si possiede viene menzionata in
molti passi del Pentateuco, ad es. in Lev.
27,30-32, in Num. 18,21,24, in Deut. 12, 11-
17 ed anche in passi del Nuovo Testamento
come Mt 23,23, Lc 11,42, ecc..
MELCHISEDEK
21Il re di Sòdoma disse ad Abram:
«Dammi le persone;
i beni prendili per te».
22Ma Abram disse al re di Sòdoma:
«Alzo la mano davanti al Signore,
il Dio altissimo, creatore del cielo e
della terra: 23né un filo né un
legaccio di sandalo, niente io
prenderò di ciò che è tuo; non
potrai dire: io ho arricchito Abram.
24Per me niente,
se non quello che i servi hanno
mangiato; quanto a ciò che spetta
agli uomini che sono venuti con
me, Aner, Escol e Mamre, essi
stessi
si prendano la loro parte».
(Gen. 14,21-24)
Dall’insieme del racconto si riesce facilmente a
intuire che l’autore sacro vuole esaltare la
figura di Abramo, presentandolo come un
principe potente, benedetto da Dio, vincitore
dei grandi Re d’Oriente.
Il Patriarca, andando contro le consuetudini del
tempo, non pretende per sé alcuna
ricompensa per aver aiutato il Re di Sodoma,
ma lascia nel contempo liberi i suoi
collaboratori di prendere la propria parte.
ABRAMO TORNA A MAMRE
S. Marco, Venezia, cupola di Abramo: Abramo e il re di Sodoma
Riflessioni e commenti 1 - Il numero 318 ha un significato?
2 - Perché Abramo rifiuta i beni del re di Sodoma,
andando contro le usanze del tempo?
Luigino: in greco il numero 318 viene scritto con le lettere IHT. IH = 18 e T = 300. Nelle prime
due lettere, quindi, abbiamo un'allusione al nome di Gesù, nell'ultima un'allusione alla croce.
Sant'Ambrogio, parlando del Concilio di Nicea, dice: "Non è per caso né per decisione umana
che 318 vescovi furono riuniti in concilio, ma veramente per provare la presenza del segno
della Passione e del Nome di Gesù: la croce con 300 Padri, ed il Nome di Gesù con 18».
Cesare: Abramo non accetta i beni del re di Sodoma perché vuole prendere le distanze
da un popolo lontano da Dio per la sua malvagità.
Emanuela: per il re di Sodoma le persone sono più importanti delle cose, sono necessarie per
la difesa e l’esistenza stessa del suo popolo, per questo ne chiede la restituzione, mentre è
disposto a lasciare le cose.
Don Sandro: Abramo restituisce tutto, persone e cose, non vuole alcun contatto con un popolo
lontano da Dio per la sua malvagità. Il Patriarca, benedetto dal Dio altissimo, diviene
strumento di benedizione per tutta l’umanità. Questa è la chiave del racconto del capitolo 14°.
Quanto ai numeri della Bibbia sono state fatte molte ipotesi di lettura e di interpretazione, sia
dagli esegeti ebrei (cabala), sia in ambiente cristiano; i Padri della Chiesa ne danno spesso una
lettura tipologica, come, ad esempio, fa S. Ambrogio con il numero 318. Analogamente alcuni
Padri interpretano, ad esempio, il «facciamo» del 1° capitolo di Genesi riferendolo alla Trinità.
PER IL NOSTRO SPIRITO
Se noi restiamo dentro
al progetto di Dio
e ci fidiamo di Lui,
sicuramente
Egli guiderà il nostro
cammino
verso un esito positivo
per noi e per gli altri.
Abramo, mosaico del XIII sec.,
Basilica di S. Marco, Venezia
Riflessioni e commenti Il Dio altissimo di Abramo è lo stesso di Melkisedeq?
Luigino: Melkisedeq, quando incontra Abramo, gli offre pane e vino: è un segno di ospitalità
del re di Shalem verso il condottiero vittorioso. Melkisedeq è anche sacerdote ma questo è
ininfluente nel suo rapporto con il patriarca, tanto è vero che quest’ultimo gli corrisponde le
decime del bottino in segno di riconoscenza per aver usufruito del territorio del suo regno. Il
Dio altissimo non si distingue da altri dei adorati in quelle regioni.
Giovanni: al cap. 9, 9 di Genesi, Dio dà a Noè la promessa: è possibile che Melkisedeq
faccia parte della stirpe di Noè, e, perciò, abbia lo stesso Dio di Abramo.
Giuseppe: a quel tempo era ancora diffuso in quelle regioni il politeismo, così il fatto che
Melkisedeq accetti un Dio solo, creatore del cielo e della terra, lo pone su un piano superiore
rispetto alle concezioni del tempo. Io penso che egli venerasse lo stesso Dio di Abramo.
Don Sandro: un po’ tutte le ipotesi possono essere legittime, dobbiamo, però, considerare
che l’episodio di Melkisedeq è stato caricato di significati dalla lettura tipologica in ambito
ebraico e cristiano. I dati obiettivi sono, in realtà, scarni.
Adriana: per la prima volta c’è un dialogo tra Dio e Abram, prima solo Dio parlava e Abram
ascoltava in silenzio. Qui si passa ad un’altra fase , cambia anche il lessico, è «la Parola» che si
rivolge ad Abram ed Abram risponde. Melkisedeq ed Abram appartengono a tribù diverse,
non hanno lo stesso Dio. Ambedue chiamano, però, il Signore con il nome di Dio Altissimo.
Don Sandro: la rivelazione del nome, Yhwh, avviene al cap 3 dell’Esodo; in Genesi Melkisedeq
usa uno dei nomi che anche le culture circostanti usavano per indicare Dio. “El-‘Eljon”, che
significa “Dio Altissimo”, era un titolo divino noto anche in Fenicia e che lo stesso Abramo
applicherà al Signore (v. 22). Non ci sono elementi decisivi per dire di più.
Il CAPITOLO 15 è costituito da due pannelli
giustapposti che costituiscono la narrazione.
Tra le due parti si notano discrepanze che fanno
pensare ad un lavoro redazionale che ha unito
racconti di epoche diverse.
A - (vv 1-6)
La reiterazione della
promessa divina ad
Abram di un figlio e
della terra. (cfr. cap 12)
B - (vv 7- 31)
L’alleanza (Berit)
stipulata da Yhwh
con Abramo .
LA PROMESSA DI YHWH
E LA SUA ALLEANZA
Tutto, nel testo del capitolo, ruota attorno alla
manifestazione della parola di Yhwh che si rivolge
ad Abram in forma di visione (mahazeh) (v1).
Il testo del capitolo 15 è da ritenersi alquanto recente,
redatto, probabilmente, in epoca postesilica (o post-
sacerdotale), successivamente alla composizione
dell’Esodo. Alcuni studiosi ipotizzano che si possa
individuare nel capitolo 15 della Genesi una nuova
Tradizione, accanto a quelle già note: Jahwista e
Sacerdotale. Essa è convenzionalmente chiamata
“Elohista”, perché usa come nome divino “Elohim”.
S. Marco, Venezia
Visione di Abramo, 1230 ca.
1Dopo tali fatti, fu rivolta ad Abram, in visione,
questa parola del Signore
(gen 15,1)
a) L’espressione “la parola di Yhwh fu rivolta a”
è tipica del linguaggio profetico.
Nella Scrittura si adopera questa espressione per 100 volte
nei testi profetici, fa eccezione solo il re Salomone.
b) Inoltre, Abramo incontra Dio in “visione”: non si tratta di
un sogno o di un’estasi ma di un’esperienza superiore
rispetto a quella quotidiana e umana.
LA PROMESSA
Anche attraverso questa semplice introduzione ai contenuti dell’intero capitolo si continua
dunque a vedere come la figura di Abram sia stata considerata
precorritrice di istituzioni e di realtà che solo successivamente sarebbero state
istituite. In questo caso, infatti, Abram diventa, in nuce, il padre di tutti i profeti
che saranno suscitati in Israele nel corso della sua storia.
«Non temere, Abram. Io sono il
tuo scudo; la tua ricompensa sarà
molto grande». (Gen 15,1)
L’espressione “non Temere” compare molte altre
volte nella Scrittura come un invito che Dio rivolge
alla sua creatura perché si affidi a Lui, senza
affannarsi a cercare alcun tipo di sicurezza umana.
(Gen 21,17; 46,3; Dt 1.21;20,3; Mt 1,20; in Mr 5,36, ecc).
Il termine “scudo” molte altre volte descrive la
protezione esercitata da Dio nei confronti del suo
popolo e, in genere, dei suoi fedeli
(Dt 33,29, 2Sam 22.3.31.36; Sal 3,4;18,3, ecc).
L’immagine di Dio come “ricompensa“ o salario per
il suo fedele è generalmente assai meno impiegata
(Is 40,10; 62,11).
NON TEMERE
S. Marco, Venezia
Cupola di Abramo, 1230 ca.
2Rispose Abram: «Signore Dio, che cosa
mi darai? Io me ne vado senza figli e
l’erede della mia casa è Elièzer di
Damasco». 3Soggiunse Abram: «Ecco, a
me non hai dato discendenza e un mio
domestico sarà mio erede». 4Ed ecco, gli
fu rivolta questa parola dal Signore:
«Non sarà costui il tuo erede, ma
uno nato da te sarà il tuo erede».
(Gen 15, 1-4)
CRISI DI ABRAMO
Nonostante le reiterate assicurazioni da parte di Dio, Abram, aggravato dall’accrescersi
dell’età (85 anni) e dalla sterilità della moglie Sarai, si trova sempre senza la presenza di un
figlio che possa dare un minimo di credibilità alle promesse di Dio circa la sua numerosa
discendenza.
Secondo un uso attestato da alcuni testi del II millennio a.C., una coppia che non aveva figli,
poteva adottare un servo o uno schiavo, nominandolo erede: così anche Abramo, secondo gli
usi correnti, sembra avere in animo di nominare come erede il suo maggiordomo, Eliezer di
Damasco.
ME NE VADO SENZA FIGLI
S. Marco, Venezia, Cupola di Abramo, 1230ca.
5Poi lo condusse fuori
e gli disse:
«Guarda in cielo e
conta le stelle, se
riesci a contarle»;
e soggiunse: «Tale sarà
la tua discendenza».
Al di là dei progetti di Abram e della totale mancanza di riscontri
reali, Dio continua a promettergli una discendenza assai
abbondante.
L’immagine del numero incalcolabile delle stelle, associato
all’innumerevole discendenza, si riscontra anche in altri
luoghi della scrittura, accomunati tra loro da un’epoca di
composizione assai recente (cfr. Gen 22,17; 26,4; Es 32,13; 1Cor
27,23, ecc).
CONTA LE STELLE
(Gen 15, 5)
6Egli credette al Signore,
che glielo accreditò come giustizia.
Attraverso il suo silenzio (v 6) Abram
viene costituito come il primo
credente di tutto Israele.
Il verbo aman è lo stesso che dà origine
all’ Amen con cui concludiamo le nostre
preghiere e significa “appoggiarsi a...”,
“fidarsi di...”.
Il patriarca si fida di Dio e a lui
consegna se stesso e il suo futuro.
Per questo Abramo è stato considerato
nella tradizione ebraica, cristiana e
musulmana, come “padre dei credenti”.
EGLI CREDETTE
(Gen 15, 6)
7E gli disse: «Io sono il Signore,
che ti ho fatto uscire da Ur dei Caldei
Per darti in possesso questa terra».
IO SONO IL SIGNORE
Proprio grazie a questo espediente lessicale, ad Abram, attraverso la sua partenza da Ur
verso la terra promessa da Dio, viene fatto sperimentare, nel simbolo e nella figura, l’esodo
verso la libertà che saranno chiamati a vivere, in futuro, i suoi discendenti.
Anche di questa fondamentale esperienza per Israele, quindi, Abram diviene
l’antesignano e il precursore.
(Gen 15,7)
L’ALLEANZA INCONDIZIONATA DI YHWH
Dio si presenta al Patriarca come Yhwh, colui
che l’ha fatto uscire dalla sua patria per
donargli la terra di cui ora è ospite (v 7).
Il verbo “far uscire” ricorda la definizione di
Dio come colui che ha liberato il suo popolo
“facendolo uscire” dall’Egitto.
8Rispose: «Signore Dio, come potrò
sapere che ne avrò il possesso?».
9Gli disse: «Prendimi una giovenca di
tre anni, una capra di tre anni, un ariete
di tre anni, una tortora e un colombo».
10Andò a prendere tutti questi animali,
li divise in due e collocò ogni metà di
fronte all’altra; non divise però gli
uccelli. 11Gli uccelli rapaci calarono su
quei cadaveri, ma Abram li scacciò.
(Gen 15, 8-11)
Al v 9 si inaugura il rituale di alleanza che terminerà solo
alla fine dell’episodio. Dio chiede ad Abram di procurarsi cinque
animali che, di sua iniziativa, con l’eccezione dei due volatili, il
patriarca inizia a dividere.
Tutti questi animali si troveranno spesso menzionati nei riti
celebrati all’interno della tenda del convegno nel deserto e,
successivamente, nelle liturgie officiate nel tempio vero e
proprio.
IL RITO DI ALLEANZA
Normalmente, per la
conclusione di
un’alleanza, era
sufficiente un solo
animale. Anche in questo
frangente, quindi, proprio
attraverso l’uso di tutti
questi animali, Abram
viene reso precursore
di realtà – in questo
caso della liturgia e del
culto ufficiali di Israele
– che saranno istituiti solo
in tempi successivi.
Creta, sarcofago
affrescato, circa
1400 a.C: il toro
sacrificato durante
una cerimonia sacra
12Mentre il sole stava per tramontare,
un torpore cadde su Abram,
ed ecco terrore e grande oscurità lo assalirono.
(Gen 15, 12)
UN TORPORE CADDE SU ABRAM
Il termine ebraico “tardemah” = “sonno”
è lo stesso che descrive il torpore
di Adamo alla vigilia della creazione della
donna (Gen. 2,21).
Questa esperienza è collegata con
una grande manifestazione di
Dio, chiamata dagli studiosi
“teofania” (manifestazione),
che avviene mentre l’uomo si trova in uno
stato “passivo”, (il sonno), per
sottolineare la priorità dell’azione di
Dio.
Ma, sopraggiunta la notte, un “sonno
profondo” cade su Abram, che si
accorge di essere di fronte ad una
apparizione divina, misteriosa.
13Allora il Signore disse ad Abram:
«Sappi che i tuoi discendenti saranno
forestieri in una terra non loro;
saranno fatti schiavi e saranno
oppressi per quattrocento anni.
14Ma la nazione che essi avranno
servito, la giudicherò io: dopo, essi
usciranno con grandi ricchezze.
15Quanto a te, andrai in
pace presso i tuoi padri; sarai sepolto
dopo una vecchiaia felice. 16Alla
quarta generazione torneranno qui,
perché l’iniquità degli Amorrei non ha
ancora raggiunto il colmo».
(Gen 15, 13-14)
Dopo la predizione della lunga
schiavitù di Israele in terra d’Egitto, Dio
annuncia fin da ora il suo terribile
giudizio nei confronti degli oppressori.
Il suo popolo andrà invece verso la
libertà ricolmo di ricchezze.
05.02.2015: Uno spaccato della vita degli ebrei durante
l’esilio a Babilonia: lo testimoniano 110 tavolette di
argilla in mostra per la prima volta al «Museo delle
terre della Bibbia» di Gerusalemme. Grazie all'uso
babilonese di scrivere la data su ogni documento, in
base al re in quel momento sul trono, gli archeologi -
secondo quanto reso noto dal museo - hanno fatto
risalire le argille tra il 572 e il 477 prima di Cristo.
I TUOI DISCENDENTI
SARANNO FORESTIERI
IN UNA TERRA NON LORO
17Quando, tramontato il sole, si era fatto buio fitto, ecco un braciere
fumante e una fiaccola ardente passare in mezzo agli animali divisi.
(Gen 15, 17)
Nel Pentateuco, il termine “berit”,
(alleanza), è usato per descrivere sia
accordi tra i singoli patriarchi e re o
potenti locali, sia il patto tra un
uomo, in questo caso Abram, e Dio.
Al v. 17 solo Yhwh passa tra gli
animali divisi, Lui solo, dunque, si
impegna a rispettare l’alleanza.
Abram aderisce al patto con la sua
fede.
Nell’Antico Oriente, quando si stipulava un patto o
un’alleanza fra due parti (re o tribù), si compiva anche
un rito simbolico.
Tale rito consisteva nel tagliare in due parti uno o più
animali; in mezzo agli animali squartati e posti su due
file, passavano i contraenti del patto.
Il significato era imprecatorio: il trasgressore del patto
avrebbe fatto la stessa fine di quegli animali. Da questa
pratica deriva l’espressione ebraica “stipulare
un’alleanza”, letteralmente «tagliare un’alleanza».
IL SIGNORE PASSÒ
18In quel giorno
il Signore concluse quest’alleanza con Abram
«Alla tua discendenza io do questa terra, dal fiume d’Egitto
al grande fiume, il fiume Eufrate; 19la terra dove abitano
i Keniti, i Kenizziti, i Kadmoniti, 20gli Ittiti, i Perizziti, i Refaìm,
21gli Amorrei, i Cananei, i Gergesei e i Gebusei».
(Gen 15, 18-21)
IL SIGNORE CONCLUSE QUESTA
ALLEANZA CON ABRAM
Dopo un annunzio della storia futura di
Israele (la schiavitù d’Egitto e l’Esodo),
Yhwh assicura al Abram una lunga vita e gli
promette che i suoi discendenti faranno
ritorno nella terra di Canaan - ove Abram si
trova come straniero residente. I confini,
tuttavia, al v 18 risultano decisamente
molto più vasti di quelli che effettivamente
costituiranno la terra del popolo eletto.
Il Signore passa in mezzo agli animali
divisi, sotto il simbolo del fuoco (forno e
fiaccola), tema caro alla Bibbia.
E’ lui solo ad impegnarsi solennemente
nei confronti di Abramo, e questo è
affermato per ricordarci che l’alleanza è
soprattutto dono che nasce dalla libera
e gratuita iniziativa divina.
PER IL NOSTRO SPIRITO
Abramo, mosaico del
XIII sec., Basilica di S.
Marco, Venezia
Anche nella nostra vita,
a volte sperimentiamo la crisi,
non vediamo avverarsi la promessa di Dio.
La malattia, il fallimento, il lutto, il buio della fede
ci fanno allontanare dalla fiducia in Dio.
È in questo momento che il Signore
rilancia:
«Guarda le stelle».
Mettiamoci allora in ascolto per ricevere la
promessa di Dio, e concludere come Abramo
che «credette».
CAPITOLO 16: LA NASCITA DI ISMAELE
Il capitolo 16 si
sviluppa in
tre scene distinte:
versetti 1-6
La tentazione: Abram accetta la
proposta di Sarai e si unisce ad Agar,
che rimane incinta di lui.
Versetti 7-14
L’angelo del Signore parla ad
Agar in fuga dalla padrona e le
preannuncia una numerosa
discendenza.
Versetti 15-16
La nascita di Ismaele, figlio
di Abram e della schiava Agar.
Sono due donne le attrici
principali di questa storia:
Sarai, moglie di Abram,
Agar, serva di Sarai.
1Sarài, moglie di Abram,
non gli aveva dato figli.
Avendo però una schiava egiziana chiamata
Agar, 2Sarài disse ad Abram:
«Ecco, il Signore mi ha impedito di aver
prole; unisciti alla mia schiava: forse da
lei potrò avere figli».
(Gen 16,1-2)
UNISCITI ALLA MIA SCHIAVA
Nonostante le ferme e inequivocabili
assicurazioni divine , più volte reiterate, circa la
nascita di un suo figlio legittimo, Abram ancora
non ha eredi.
Egli cede alla tentazione di risolvere il suo
problema da solo, ascoltando la proposta di
Sarai: la sua fede si dimostra ancora una
volta fragile, Abramo cessa di riporre fiducia
nella promessa di Dio per ricorrere alle astuzie e
agli espedienti calcolati dell’uomo.
L’episodio non è da noi giudicabile dal
punto di vista morale, perché la pratica
della maternità vicaria, attraverso la
serva della moglie di un uomo, era
nella prassi famigliare del Vicino
Oriente Antico (Codice di Hammurabi e
altri). Il figlio sarebbe stato considerato
discendente della coppia ufficiale, mentre
la madre sarebbe rimasta nel suo ruolo di
serva.
Abram ascoltò l’invito di Sarài.
3Così, al termine di dieci anni da quando
Abram abitava nella terra di Canaan,
Sarài, moglie di Abram,
prese Agar l’Egiziana, sua schiava,
e la diede in moglie ad Abram, suo marito.
4Egli si unì ad Agar, che restò incinta.
Ma, quando essa si accorse
di essere incinta,
la sua padrona non contò più nulla per lei.
(Gen 16,1-2)
EGLI SI UNÌ AD AGAR,
CHE RESTÒ INCINTA.
La mancanza di figli, in quel contesto culturale, era ritenuta un grave disonore, dal
momento che essa avrebbe reso impossibile la continuazione della discendenza.
La generazione di prole, del resto, costituiva anche un motivo di sicura realizzazione e di
benedizione per una donna. È probabilmente anche per tutto questo che tra Sarai e Agar,
subito dopo il concepimento del figlio da parte di quest’ultima, sorsero conflitti generati, da
una parte, da un sentimento di riscatto e di rivalsa, dall’altra da gelosia e invidia.
5Allora Sarài disse ad Abram: «L’offesa a me
fatta ricada su di te! Io ti ho messo in grembo
la mia schiava, ma da quando si è accorta
d’essere incinta, io non conto più niente per lei.
Il Signore sia giudice tra me e te!».
6Abram disse a Sarài:
«Ecco, la tua schiava è in mano tua:
trattala come ti piace». (Gen 16,5-6a)
Abram, dimostrandosi sempre favorevole alle
richieste di Sarai, le permette di decidere la
punizione per Agar.
Al riguardo, già l’antico codice di Ur-Nammu, in
lingua sumerica, degli inizi del II millennio a. C.,
codifica una punizione verso la serva che abbia
avuto l’ardire di equipararsi alla sua padrona
rivolgendole anche parole di disprezzo: per
condanna le si dovrebbe strofinare sulla bocca
una notevole quantità di sale.
ECCO, LA TUA SCHIAVA È IN MANO TUA
IL VERSETTO 6
«È in mano tua» nella versione CEI del
1974, è stato tradotto: «è in tuo
potere».
Alla lettera, dall’ebraico, la seconda
parte del v. 6 si traduce: «falle il bene
ai tuoi occhi».
La differenza, seppur minima, di
traduzione, a volte può gettare una
luce diversa sui fatti narrati.
Sarài allora la maltrattò, tanto che
quella fuggì dalla sua presenza.
(Gen 16, 6b)
La fuga di Agar, per Abram e Sarai è una perdita anche
in senso economico: secondo il Codice di Ur-Nammu,
un antico codice sumero (2000 a. C.), una schiava
poteva valere circa cinque sicli d’argento, quanto 125
litri d’olio o 15 kg di lana.
Il v. 6 chiude la prima scena dell’episodio con un
bilancio decisamente negativo:
Sarai perde la sua serva,
Abram la madre del suo primogenito,
Agar la famiglia che la ospita.
HAGAR FUGGÌ
I due frammenti del codice di
Ur-Nammu conservati al Museo
archeologico di Istambul.
«L‘angelo del Signore» appare per la prima volta in
questo brano della Genesi. Poi appare anche ad
Abramo per impedirgli di sacrificare Isacco (Gen
22,11-18), a Mosè al pruno ardente (Es 3,2), a
Balaam (Num 2,22-35), ad Israele (Giudici 2,1-4), e
molte altre volte, sia nell’Antico che nel Nuovo
Testamento.
È difficile parlare con certezza
dell'identità di questo angelo, anche
perché nei diversi brani elencati nel
paragrafo precedente è descritto in
modi diversi.
La risposta più probabile è che
l'espressione "l'angelo del Signore" si
riferisca a diverse persone, e bisogna
decidere in ogni caso dal contesto.
L’ANGELO DEL SIGNORE
(Gen 16,7)
7La trovò l’angelo del Signore
presso una sorgente d’acqua
nel deserto
Beato
Angelico,
Angelo
annunciante.
Annamaria: l’angelo nella Genesi non era ancora definito come
persona, è un inviato di Dio.
Riflessioni e commenti
Emanuela: ci sono alcune ipotesi, non una conclusione definitiva:
a) Dio stesso, b) un angelo, c) Gesù Cristo.
Ma il Pentateuco è anche la Bibbia ebraica e gli Ebrei non
accettano Gesù, forse per loro angelo si può riferire al Messia?
Don Sandro: Alcuni esegeti, esaminando le varie espressioni bibliche nelle diverse circostanze
in cui appare, deducono che l'angelo del Signore è il Figlio, cioè Gesù prima della sua
incarnazione. Il fatto che sia descritto come angelo non è un problema, perché la parola angelo
vuol dire inviato o messaggero, e forse il testo usa la parola per descrivere il suo ruolo e non la
sua identità. Quest’ultima conclusione è possibile, ma non è abbastanza chiara nella Bibbia per
esserne certi. L'altra possibilità è che l'angelo del Signore, nei diversi brani, si riferisca a figure
diverse (Dio stesso, un angelo speciale, o un angelo normale).
Chi è l'angelo del Signore?
Giovanni: angelo significa messaggero, è una forma secondo cui Dio si manifesta
al suo popolo. Alcuni esegeti dicono che sia Dio stesso, perché non è chiamato
«cherubino» o con altri nomi specifici, ma, genericamente, angelo.
Luigino: un ambasciatore di Dio, che parla in suo nome; rappresenta Dio che
non può figurare in un colloquio diretto con l’essere umano.
7La trovò l’angelo del Signore
presso una sorgente d’acqua
nel deserto,
la sorgente sulla strada di Sur,
8e le disse: «Agar, schiava di Sarài, da
dove vieni e dove vai?». Rispose:
«Fuggo dalla presenza della mia
padrona Sarài».
(Gen 16,7-8)
La seconda scena del racconto si apre con
Hagar, l’egiziana, in fuga dalla sua padrona:
essa è ritratta nel deserto presso una
sorgente, su una delle vie in direzione della
sua patria di origine.
SULLA STRADA DI SUR
Secondo le indicazioni che dà il testo biblico,
questa località si trova nel deserto del
Negheb, a sud della Palestina, lungo una
delle vie commerciali che portavano in
Egitto,”la strada dl Sur”.
Tiepolo, Palazzo Patriarcale di Udine, Agar e l’angelo
I vv. 9-12 contengono un triplice discorso
dell’angelo ad Agar, con tre identiche
introduzioni ai vv. 9,10,11.
Il discorso originario, tuttavia, dovrebbe
individuarsi solo nei vv. 11 e 12, ovvero
nell’oracolo dedicato alla nascita e alle
future sorti del bambino, mentre i due
precedenti dovrebbero, con forte
probabilità, attribuirsi a successivi
inserimenti di origine redazionale.
9Le disse l’angelo del Signore: «Ritorna dalla tua
padrona e restale sottomessa».
10Le disse ancora l’angelo del Signore:
«Moltiplicherò la tua discendenza e non si potrà
contarla, tanto sarà numerosa».
11Soggiunse poi l’angelo del Signore: «Ecco, sei
incinta: partorirai un figlio e lo chiamerai Ismaele,
perché il Signore ha udito il tuo lamento.
LE DISSE L’ANGELO DEL SIGNORE
La promessa alla schiava Agar di moltiplicare la sua
discendenza,è simile a quella che Dio fa ad Abramo.
Questo significa, per il popolo di Israele , che Dio
non ha confini, Egli manifesta sollecitudine per
tutti i suoi figli.
Ancora più interessante è questa considerazione se
la attribuiamo ad una origine redazionale, perché
mostra che il popolo ebraico, appena uscito dalla
pesante schiavitù babilonese durata 400 anni, ha
fiducia in un Dio paziente e misericordioso.
Cupola di Abramo, S. Marco, Venezia, part.
12Egli sarà come un asino
selvatico;
la sua mano sarà contro tutti
e la mano di tutti contro di lui,
e abiterà di fronte a tutti i suoi
fratelli».
(Gen 16,7-8)
Tre cose dice l’angelo ad Agar, legate l’una all’altra:
la prima è di tornare da Sarai ed esserle sottomessa.
La seconda è la promessa di una discendenza
numerosa, proprio come ad Abram.
La terza è l’attuazione della promessa: Agar partorirà
un figlio, Ismaele (lett. Dio ascolta).
Asino selvatico in ebraico significa «selvatico uomo»
ed indica un uomo libero, che vive a contatto con la
natura. La descrizione vuole probabilmente alludere ai
popoli nomadi che vivevano nell’Arabia (Araba Felix).
COME UN ASINO SELVATICO
Riflessioni e commenti
«Egli sarà come un asino selvatico»:
che cosa significa?
Annamaria: onagro, asino selvatico, significa
persona indipendente, come i nomadi nel
deserto.
Don Sandro: il testo ha avuto traduzioni diverse:
Bibbia dei 70: «eremos antropos», uomo dei
campi;
Vulgata: «ferus homo»;
Targum: «ribelle»;
Testo masoretico: «uomo della steppa».
CEI 1974 «onagro»;
CEI del 2008 «asino selvatico».
Particolare decorativo della Porta di Ishtar,
uno degli ingressi di Babilonia. VI sec. a.C.
La traduzione della CEI 1974 (onagro) e quella CEI del 2008 (asino selvatico) non sono molto
felici, perché non traducono anche la parola «uomo» che nell’ebraico c’è e che precisa
meglio il concetto. Più vicina al testo originale è la traduzione «uomo della steppa», non
una interpretazione negativa, ma, piuttosto, nostalgica della vita libera dei nomadi.
13Agar, al Signore che le aveva parlato,
diede questo nome:
«Tu sei il Dio della visione»,
perché diceva: «Non ho forse visto qui
colui che mi vede?». 14Per questo il pozzo
si chiamò
pozzo di Lacai-Roì; è appunto quello
che si trova tra Kades e Bered.
(Gen 16,13-14)
L’annunzio dell’angelo viene ambientato presso un pozzo e una località che, forse, erano un
santuario noto ai tempi della stesura del racconto.
Si cerca, allora di giustificarne il culto e spiegarne il nome “Lacai-Roi”.
La spiegazione viene data collegando “Roi” al verbo ebraico “raah, che significa “vedere”;
infatti il culto è associato ad una visione di Dio.
IL DIO DELLA VISIONE
Guercino: L’ Angelo appare ad Agar
15Agar partorì ad Abram un figlio e
Abram chiamò Ismaele il figlio
che Agar gli aveva partorito.
16Abram aveva ottantasei anni quando
Agar gli partorì Ismaele.
(Gen 16, 15- 16)
Il racconto della nascita di un figlio ad Abramo dalla schiava Agar, è
basato su uno schema che incontreremo altrove nella Bibbia.
Appare innanzitutto un “angelo” che delinea la grandezza del figlio
che sta per nascere.
Il nome “Ismaele” deriva dal verbo ebraico “shama” = “ascol-
tare” e da “El” = Dio”. Si preannunzia, così, il futuro del
bambino, capostipite di un popolo forte e nomade (gli
Ismaeliti) che vivrà nel deserto, in frequente conflitto con i
“sedentari”. La tradizione vedrà in Ismaele il progenitore degli Arabi.
PARTORÌ AD ABRAM UN FIGLIO
Quando Agar partorì
Ismaele Abram
aveva ottantasei
anni.
Il numero 86 nella
cabala ebraica indica
il nome di Dio,
ELOHIM.
Mosaico della cupola di Abramo, S. Marco, Venezia
PER IL NOSTRO SPIRITO
IL TRAVAGLIO DELLA FEDE
Abramo, il Padre della fede, va in crisi
molte volte, è soggetto alla debolezza
come ognuno di noi.
Abramo è ciascuno di noi.
Dobbiamo prendere coscienza che
la Fede è un dono divino
da accogliere
contro tutte le evidenze umane.
Il suo percorso non è mai concluso.
Dio ama tutti i suoi figli
e per ciascuno di noi prepara una strada
che ci riporti continuamente a Lui,
nonostante tutti i nostri errori.
CAPITOLO 17
La stipulazione dell’alleanza
nel segno della circoncisione
L’intero capitolo è di matrice
sacerdotale, è solenne, severo,
simmetrico. È stato scritto,
probabilmente, nel post-esilio,
tra il VI e il IV secolo a. C.
Dio ripropone ad Abramo l’alleanza
rinnovandogli e precisandogli le
promesse:
la discendenza numerosa,
la terra di Canaan,
il figlio della promessa.
Si tratta di un’alleanza bilaterale,
Abramo dovrà rispondere con la fedeltà
suggellata dal segno della
circoncisione.
17 1Quando Abram ebbe novantanove anni,
il Signore gli apparve
e gli disse:
«Io sono Dio l’Onnipotente»
(Gen, 17,1)
IL SIGNORE GLI
APPARVE
Al versetto 1 Yhwh si presenta ad Abram con il
titolo di “El-Sadday”. Il significato di questo nome
è stato variamente interpretato:
La Settanta: Pantocrator
CEI 1974: Dio onnipotente (aggettivo)
CEI 2008: L’Onnipotente (sostantivo)
Vulgata: Deus omnipotens
La traduzione attualmente più seguita lo dice
proveniente dall’accadico «Sadu», e lo traduce
con «Dio della Montagna».
Dopo un intervallo temporale di 13
anni, la sterilità di Sara si è andata
confermando sempre più e il vero e
unico erede di Abram sembra il figlio
nato dalla schiava Agar.
Ma Dio irrompe di nuovo sulla
scena, riproponendo e definendo in
modo sempre più fermo la sua
alleanza e le sue promesse.
Cammina davanti a me
e sii integro.
2Porrò la mia alleanza tra me e te
e ti renderò molto,
molto numeroso».
(Gen, 17,2)
CAMMINA DAVANTI A ME
Il Signore chiede ad Abramo esplicitamente:
“Cammina davanti a me “ (lett.: “davanti al
mio volto”). Il suo comportamento deve
somigliare a quello di Enoch e di Noè, che
”camminavano con Dio” (Gen 5,24; 6,9).
Inoltre aggiunge: “Sii integro“. Anche in
questo caso Abramo deve somigliare a Noè.
“Integro ”è una parola usata spesso in testi
rituali: l'animale sacrificale doveva essere
integro, “senza difetto” (Lv 1,3.10).
“Alleanza”, in ebraico “Berit”, è un concetto
teologico molto importante nell’A. T.
L’idea di un rapporto di vicinanza e solidarietà
tra Dio e l’uomo era già apparso nel cap. 9
della Genesi, con Noè (9, 8-17); là il segno di
questo fatto era stato “l’arcobaleno”. Dopo,
l’alleanza era riapparsa nella scena degli
animali squartati (Gen. 15, 7-21); ora è
formulata in maniera rigorosa e ripetuta e
viene suggellata dal segno della circoncisione.
3Subito Abram si prostrò con il viso a
terra e Dio parlò con lui:
4«Quanto a me, ecco, la mia alleanza è
con te: diventerai padre di una
moltitudine di nazioni.
5Non ti chiamerai più Abram,
ma ti chiamerai Abramo,
perché padre di una moltitudine
di nazioni ti renderò.
(Gen, 17,3-5)
L’intenzione di Dio è quella di stabilire
un’alleanza perenne (berit) con
Abram e, attraverso di lui, con tutta la
sua discendenza a venire, in modo che
l’altra parte contraente, oltre a Dio, non
sia il solo Abram, ma tutte le future
generazioni da lui discese.
TI CHIAMERAI ABRAMO
Per indicare la svolta che sta avvenendo,
Abramo - che finora era stato chiamato “Abram”
(Il Padre Dio è sublime) - riceve il nome nuovo di
“Abraham” (ab= padre e hamom = moltitudine)
“Padre di una moltitudine”.
Mutare il nome nell’Antico Oriente significa
anche mutare il destino e la vocazione. Nella
Bibbia il cambiamento è spesso collegato ad una
nuova missione che il Signore affida all’uomo
(“Non ti chiamerai più Pietro, ma “Cefa”).
Riflessioni e commenti
Il nome indica l’identità di una persona. Cosa
significa il cambiamento del nome?
Don Sandro: anche ai nostri giorni in alcune circostanze
è d’uso cambiare il nome, ad esempio le monache e il
Papa … lo fanno per esprimere la nuova missione che
inizia, per il Papa è di solito un nome programmatico.
Ma nel Battesimo noi abbiamo ricevuto un nome
molto più importante della consacrazione religiosa
(Vaticano II), il nome che ci qualifica come figli di Dio e
salvati.
Giuseppe: il nome del
Battesimo è quello che ci
inserisce nella Chiesa,
che ci fa riconoscere
come Cristiani.
Giovanni: Abramo accoglie
da parte di Dio una specie di
battesimo, la circoncisione,
che gli dà una missione e lo
rende protagonista di un
percorso di salvezza per
tutta l’umanità.
Vera: Abram e Abramo,
secondo alcuni autori,
sono due forme dello
stesso nome.Cattedrale di Otranto, mosaico pavimentale,
1163 e il 1165.
6E ti renderò molto, molto fecondo; ti farò
diventare nazioni e da te usciranno
dei re. 7Stabilirò la mia alleanza con te e con
la tua discendenza dopo di te, di
generazione in generazione,
come alleanza perenne,
per essere il Dio tuo
e della tua discendenza dopo di te».
(Gen, 17, 6-7)
Abramo diventa padre di una moltitudine di
nazioni e anche di re, è chiamato ad avere un ruolo
universale (12,3). Dio aveva detto che avrebbe
moltiplicato Abramo “grandemente” (12,2), qui
afferma: “E ti renderò fecondo assai assai” (17,6).
Yhwh riprende i due verbi “moltiplicare” e “rendere
fecondo” (parah) che aveva rivolto all'umanità
all'inizio della creazione (1,28) e a Noè dopo il
diluvio, dunque all'inizio della nuova creazione
(9,1.7).
PER ESSERE IL DIO TUO
Abramo è chiamato ad essere il
prototipo umano di una nuova epoca
nella storia del mondo e, nella
fattispecie, di un nuovo rapporto tra Dio
e il popolo che da lui stesso discenderà.
Un grande privilegio è legato a questa
alleanza:
“Sarò il loro Dio” (v. 8).
(Settanta: ”sarò per loro Dio”; Vulgata:
”sarò loro Dio”)
La redazione sacerdotale, nel post-esilio,
riconferma: «Dio è il nostro Dio».
Questo dà al popolo fiducia e speranza.
8La terra dove sei forestiero,
tutta la terra di Canaan,
la darò in possesso per sempre a te
e alla tua discendenza dopo di te;
sarò il loro Dio».
(Gen, 17, 8)
Nel confermare la sua promessa di un figlio, Dio
approfondisce e precisa anche la promessa di
una terra: nonostante Egli l’abbia più volte
assicurata ad Abramo e, attraverso di lui ai suoi
discendenti, è solo in 17,8 che essa viene
esplicitamente fatta coincidere con la
“terra di Canaan”.
Yhwh “darà” questa terra ad Abramo e alla sua
discendenza in proprietà perenne (v. 8), come
aveva promesso precedentemente (12,7; 13,15;
15,18).
LA TERRA DI CANAAN
Le colline della Giudea viste dai contrafforti di Moab.
Canaan tra le grandi potenze nell'800 a.C.
9Disse Dio ad Abramo: «Da parte tua devi
osservare la mia alleanza, tu e la tua
discendenza dopo di te, di generazione in
generazione. 10Questa è la mia alleanza che
dovete osservare, alleanza tra me
e voi e la tua discendenza dopo di te:
sia circonciso tra voi ogni maschio.
11Vi lascerete circoncidere la carne del
vostro prepuzio e ciò sarà il segno
dell’alleanza tra me e voi.
(Gen, 17, 9-11)
VI LASCERETE CIRCONCIDERE
La Scrittura, oltre alla circoncisione di
Abramo, di Ismaele e di tutti i maschi della
sua casa, ricorda esplicitamente, tra le altre,
la circoncisione di Isacco, di Mosè e di suo
figlio Ghersom, di tutto il popolo entrato
nella terra promessa, di Achior, comandante
degli Ammoniti, di Giovanni il Battista, di
Gesù stesso.
Dio promette ad Abramo una
discendenza e una terra, chiedendo
in cambio, attraverso un segno
concreto, la fedeltà del patriarca e
della sua discendenza.
In tutto il cap. 17, per 14 volte (numero
simbolico che dice pienezza, totalità, il
due volte sette è considerato un numero
perfetto), risuona la parola “alleanza”,
vocabolo che ricorre 287 volte nella
Bibbia.
12Quando avrà otto giorni,
sarà circonciso tra voi ogni maschio di
generazione in generazione, sia quello nato
in casa sia quello comprato con denaro da
qualunque straniero che non sia della tua
stirpe. 14Il maschio non circonciso, di cui cioè
non sarà stata circoncisa la carne del
prepuzio, sia eliminato dal suo popolo:
ha violato la mia alleanza».
(Gen, 17, 12-14)
Mentre nell’episodio degli animali squartati
(Gen. 15, 7-21), Dio aveva proposto un’alleanza
unilaterale, (solo Dio si impegnava ad
osservarla, Abramo doveva solo credere), ora
Yhwh chiede in cambio un rito da osservare
perennemente, da Abramo e da tutta la sua
discendenza: la circoncisione. Nell’ebraismo
questo rito è conosciuto anche oggi col nome di
b’rit milà, ovvero alleanza della circoncisione.
Diversi popoli praticavano la circoncisione
per ragioni igieniche e ad essa, quindi, è
legata la nozione di purità e di fertilità.
Per gli Ebrei essa assume un significato
simbolico, simile all'azione di passare in
mezzo alle parti degli animali divisi (c. 15)
e diventa un segno visibile di
appartenenza al popolo dell'alleanza,
(v. 11), così come l'arcobaleno fu il segno
dell'alleanza con Noè.
L'ottavo giorno ricorda il Riposo di Dio,
dopo i sette giorni della Creazione (Gen 1).
SARÀ CIRCONCISO TRA VOI OGNI MASCHIO
15Dio aggiunse ad Abramo:
«Quanto a Sarài tua moglie,
non la chiamerai più Sarài, ma Sara.
16Io la benedirò e anche da lei
ti darò un figlio;
la benedirò e diventerà nazioni,
e re di popoli nasceranno da lei».
(Gen, 17, 15-16)
La stessa sorte sarà riservata anche alla
moglie, la madre del futuro figlio della
promessa, essa pure interessata, per la
prima volta, dalla stipulazione di
un’alleanza con Dio: non più Sarai, bensì
Sara. Con questo espediente si afferma con
forza la radicalità del cambiamento che
questa alleanza di Dio produrrà nei suoi
contraenti umani.
NON LA CHIAMERAI PIÙ SARAI
MA SARA
È singolare il fatto che Yhwh comunichi
questo non a Sara, ma ad Abramo. Come
Abramo, Sara riceve una benedizione con
una portata dapprima immediata, poi più
universale. La benedizione immediata è
una sorpresa totale: “un figlio ti darò da
lei”: Dio gli fa adesso capire che la sua
discendenza non sarà il risultato di
iniziative umane, ma il frutto di una
promessa.
Riflessioni e commenti
La circoncisione, così importante per gli Ebrei, è
diventata con il tempo un vuoto formalismo. Succede
qualcosa di simile anche a noi cristiani?
Giovanni: Il Profeta Geremia (4,4) e il Deuteronomio (10,10)
richiamano il significato spirituale di questo gesto parlando
della “circoncisione del cuore” e non solo del “prepuzio
virile”. Anche S. Paolo parla di circoncisione del cuore.
Rolando: il Battesimo lava il
peccato originale.
La circoncisione ha perso
significato quando è arrivato
Gesù Cristo e la predicazione a
tutto il mondo. il Battesimo è la
circoncisione del cristiano.
Don Sandro: con il passare dei millenni, il Battesimo rischia di
divenire un formalismo vuoto, staccato da una scelta di vita, sterile
perché il contesto non aiuta la crescita nella fede. Che senso ha
dare il Battesimo quando non c’è un contesto famigliare cristiano?
Alcune confessioni cristiane battezzano da adulti. Nel Cattolicesimo
è in atto una riflessione sul da farsi per dare slancio alla fede.
Emanuela: ai nostri giorni
anche per gli ebrei la
circoncisione ha perso il
carattere religioso per
diventare solo un rito di
appartenenza all’ebraismo.
Luigino: un tempo si battezzavano i bambini per
il terrore che se fossero morti senza il Battesimo
sarebbero andati nel limbo. Forse è da rivedere
tutto il concetto di peccato originale.
Don Sandro: il limbo è una figura teologica
inventata per esprimere la speranza della
salvezza universale, per chiunque non
ponga ostacoli a Dio.
Luciano: ci vuole ancora il
Battesimo per essere salvati?
Un islamico, chi non conosce
Cristo si può salvare?
Don Sandro: Cristo attira a sé tutti, non solo i cristiani, tutta
l’umanità che non pone ostacoli: il cristiano è «incorporato»
con i sacramenti, ma si salva anche chi è «ordinato» a Gesù
Cristo pur senza conoscerlo.
IO SARÒ IL VOSTRO DIO
E VOI IL MIO POPOLO
«In lui voi siete stati anche circoncisi
non mediante una circoncisione fatta da mano
d’uomo con la spogliazione del corpo di carne,
ma con la circoncisione di Cristo:
con lui sepolti nel battesimo,
con lui siete anche risorti
mediante la fede nella potenza di Dio,
che lo ha risuscitato dai morti». (Col 2, 11-13)
circoncisione del cuore
è appartenere a Dio
PER IL NOSTRO SPIRITO
Il capitolo 18 è sostanzialmente
accomunato al capitolo 19 dal
tema della distruzione di Sodoma
e Gomorra.
I testi di questi capitoli, costituiti da
narrazioni abbastanza eterogenee per
stile e contenuti, paiono appartenere
a epoche abbastanza recenti, post-
esiliche, anche se riportano
tradizioni molto più antiche.
La quasi totalità di questi due capitoli si occupa di
eventi occorsi in un lasso di tempo inferiore alle
ventiquattro ore: dal primo pomeriggio del primo
giorno all’alba del giorno successivo.
Capitolo 18
Il capitolo 18 è formato da due parti:
1 - apparizione del Signore ad Abramo alle
querce di Mamre. (vv. 1-15).
Il v. 16 funge da transizione tra il primo e il
secondo episodio.
2 – intercessione di Abramo per salvare le
città di Sodoma e Gomorra. (vv. 17-23).
È una narrazione di grande suggestione, ambientata
sotto le tende del deserto. Sappiamo già che
Abramo risiede nella zona di Ebron, presso le querce
di Mamre (Gen. 13,18). E’ su questo sfondo che ora
la tradizione Jahwista sviluppa il racconto che tanta
eco ha avuto nella storia dell’era cristiana.
S. Vitale, Ravenna.
I tre angeli apparsi
ad Abramo.
L’episodio dei tre personaggi misteriosi che si
profilano davanti alla tenda di Abramo, è stato
interpretato liberamente da molti Padri della
Chiesa in riferimento al mistero della Trinità.
Questo perché nel testo si parla di tre uomini,
ma Abramo (v.3) parla rivolgendosi ad uno solo
(“Abramo vide tre uomini e ne adorò uno solo”,
dice S. Ambrogio).
Il testo, però, così com’è, vuole invece solo
raccontare una “teofania” (manifestazione di
Dio) collegata alla promessa di un figlio fatta ad
Abramo, attraverso messaggeri divini; infatti lo
stile (Jahwista) è antropomorfico, cioè una
raffigurazione di Dio sotto spoglie umane, ciò è
confermato dal fatto che Abramo (v.3) si rivolge
a loro come se fossero un’unica figura (“Mio
signore, non passare oltre senza fermarti”).
TEOFANIA
La tradizione giudaica identifica i tre
uomini visti da Abramo con figure
celesti: gli angeli Michele, Gabriele e
Raffaele.
Andrej Rublev: la Trinità
1Poi il Signore apparve a lui
alle Querce di Mamre,
mentre egli sedeva all’ingresso della tenda
nell’ora più calda del giorno.
2Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini
stavano in piedi presso di lui.
(Gen 18,1-2)
IL SIGNORE APPARVE ALLE
QUERCE DI MAMRE
È la terza volta che “il Signore
apparve a lui” (lett.: “si fa vedere”)
(cfr.:12,7; 17,1).
Il versetto 1 serve da titolo al
racconto e rivela al lettore che
l'avvenimento è un'apparizione
divina, cosa che Abramo e Sara
scoprono soltanto gradualmente.
Sebbene il lettore sia informato sin dagli inizi che gli
ospiti che Abramo si accinge ad accogliere
costituiscono, in realtà, la presenza stessa di Yhwh,
Abramo, nel mondo del racconto, rimane del tutto
escluso da questa informazione.
Egli, infatti, non vede avvicinarsi che “tre uomini”:
questi visitatori gli sembrano esseri umani, la loro
apparenza non ha nulla di speciale.
Duomo di Parma: Abramo e i tre angeli
Appena li vide, corse loro incontro
dall’ingresso della tenda e si prostrò
fino a terra, 3dicendo:
«Mio signore, se ho trovato grazia ai tuoi
occhi, non passare oltre
senza fermarti dal tuo servo.
4Si vada a prendere un po’ d’acqua,
lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l’albero.
5Andrò a prendere un boccone di pane
e ristoratevi; dopo potrete proseguire,
perché è ben per questo
che voi siete passati dal vostro servo».
Quelli dissero: «Fa’ pure come hai detto».
(Gen 18,3-5)
Abramo e i tre angeli, Duomo di Monreale, sec. XII
Il testo presenta la particolarità di descrivere
determinate azioni non soltanto mediante verbi
coniugati al plurale, bensì anche al singolare,
come se, nella loro totalità, i tre uomini non
costituissero che un’unica personalità.
Ci troviamo continuamente di fronte a un
doppio senso: si può intendere tutto
come se i visitatori fossero uomini, ma
anche come se fossero Dio. Abramo
crede di parlare a degli uomini, ma il
lettore, che conosce la vera identità dei
visitatori, sa che egli parla a Dio.
MIO SIGNORE
Riflessioni e commenti Come interpretare l’apparizione dei «tre uomini»
alle querce di Mamre?
Giovanni: sarà chiarito nel cap. 19 che si tratta del Signore accompagnato da due
angeli, quelli che vanno a Sodoma mentre Dio resta con Abramo. Il Signore è
rappresentato in modo antropomorfico. D’altronde forse la soluzione si trova nella
frase: «c’è forse qualcosa di impossibile a Dio?»
Emanuela: il dubbio sorge perché i verbi a volte sono al singolare e a volte al
plurale. Se si interpreta in chiave cristologica si intravede la presenza della Trinità.
In chiave teologica si può pensare a Dio accompagnato da due angeli.
Don Sandro: nel versetto 1 il redattore dà la chiave didascalica del racconto: il
Signore appare accompagnato dalla sua corte angelica. Abramo vede tre uomini, non
distingue Yhwh dagli altri due, ma intuisce poco alla volta che si tratta di una visione.
Annamaria: i Padri della Chiesa con una lettura simbolica, non basata sul testo,
vedono nell’episodio l’annuncio della Trinità.
Giorgia: si tratta di antropomorfismo, Dio si manifesta attraverso queste tre figure.
Luigino: Dio si presenta con due angeli. Al v. 17 si parla del Signore mentre «diceva tra
sé»: come si sono potuti azzardare, i redattori, a interpretare il pensiero di Dio?
Rolando: all’inizio Abramo si prostra, questo è tipico del saluto orientale, dove
l’ospite è sempre trattato con estrema deferenza. Non è necessariamente
adorazione di Dio.
Riflessioni e commenti
Don Sandro: parlare di antropomorfismo sembra essere un po’ generico,
l’interpretazione trinitaria è stata elaborata successivamente, dai Padri della chiesa.
L’interpretazione più corretta è che si tratti di Dio con la sua corte.
Durante il racconto la natura dei tre personaggi emerge da alcuni indizi:
1. se erano solo dei passanti come potevano conoscere che Sara era la moglie di Abramo?
2. come potevano sapere che Sara stava ridendo dentro di sé?
3. la promessa del figlio può essere fatta solo dalla divinità.
Si tratta quindi di una teofania, una manifestazione divina espressa con un linguaggio
comprensibile all’epoca del racconto.
Come interpretare l’apparizione dei «tre uomini»
alle querce di Mamre?
Il riso di Sara. Sara ride e viene benedetta,
Zaccaria ride e viene castigato. Perché?
Giuseppe: Izchaq – Isacco vuol dire “ride”.
Ora ride Dio: il nome Isacco sottintende
infatti un soggetto e questi non può
essere che Dio: Dio-ride.
Don Sandro: i Targum cambiano il verbo
«rise» con: « si rallegrò» e «si meravigliò».
Giovanni: Sara, come donna, non è ammessa al
dialogo e al banchetto ma sta all’ingresso della
tenda, pronta al servizio. La reazione di Sara è,
quindi, molto comprensibile, lei non sa che si
tratta di una visita di Dio, pensa che quei
visitatori siano uomini di passaggio.
6Allora Abramo andò in fretta nella tenda,
da Sara, e disse: «Presto, tre sea di fior di farina,
impastala e fanne focacce».
7All’armento corse lui stesso, Abramo;
prese un vitello tenero e buono e lo diede
al servo, che si affrettò a prepararlo.
8Prese panna e latte fresco insieme con il vitello,
che aveva preparato, e li porse loro.
Così, mentre egli stava in piedi presso di loro
sotto l’albero, quelli mangiarono.
(Gen 18,6-8)
La narrazione è inizialmente tutta contrassegnata
dalla sontuosa ospitalità che è offerta da Abramo,
secondo i canoni dell’accoglienza cordiale riservata
all’ospite in Oriente. “Staia”, in ebraico “seah” indica
una misura di capacità usata per i solidi, che può
equivalere a 7 o anche a 12 litri circa. “Il latte” usato
era soprattutto quello di pecora o di capra; “fresco”,
cioè appena munto, veniva usato come bevanda
dissetante.
Il v. 6 presenta la glossa di un tardivo
redattore, che aggiunge a «farina»
«fior di farina», un tipo di farina
usato per le offerte legate al culto.
Con questa inserzione, quindi, il
redattore ha implicitamente voluto
suggerire al suo lettore che Abramo
avesse intuito la sacralità dei suoi
ospiti.
TRE SEA DI FIOR DI FARINA
S. Maria Maggiore: visita del Signore ad Abramo.
9Poi gli dissero: «Dov’è Sara, tua moglie?».
Rispose: «È là nella tenda».
10Riprese: «Tornerò da te fra un anno a questa
data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio».
Intanto Sara stava ad ascoltare
all’ingresso della tenda, dietro di lui.
11Abramo e Sara erano vecchi, avanti negli anni;
era cessato a Sara ciò che avviene regolarmente
alle donne. 12Allora Sara rise dentro di sé e disse:
«Avvizzita come sono, dovrei provare il piacere,
mentre il mio signore è vecchio!».
(Gen 18, 9-12)
SARA RISE DENTRO DI SÉ
Abramo ormai vecchio (100 anni)
e Sara in menopausa, rimangono
scettici di fronte a quell’annunzio
così circostanziato (“tra un anno
Sara avrà un figlio”). Sara che,
come donna, non è ammessa al
dialogo e al banchetto ma sta
all’ingresso della tenda, pronta al
servizio, all’udire quelle parole
“ride”.
In questo modo si vuole nuovamente sottolineare
l’impossibilità umana rispetto alla realizzazione della
promessa divina, più volte reiterata, di un legittimo
discendente di Abramo e di Sara. Il nome del figlio
annunciato da questa promessa, come già in 17,17, è
legato all’azione di un sorriso: là da parte di Abramo,
qui di Sara. In Gen. 21,6 quel nome sarà interpretato
come “un sorriso del Signore” .
Abramo e i tre angeli, Duomo di Monreale, part.
13Ma il Signore disse ad Abramo:
«Perché Sara ha riso dicendo: “Potrò
davvero partorire, mentre
sono vecchia”? 14C’è forse qualche
cosa d’impossibile per il Signore? Al
tempo fissato tornerò da te tra un
anno e Sara avrà un figlio».
15Allora Sara negò: «Non ho
riso!», perché aveva paura;
ma egli disse: «Sì, hai proprio riso».
(Gen 18, 13-15)
A questo punto si profila in quegli uomini il volto del Signore che interpella la donna sulla
sua incredulità: “C’è forse qualche cosa che sia impossibile per il Signore?” (v.14).
Si assiste, allora, a una schermaglia tra il Signore e Sara proprio attorno a quel riso che
esprimeva il dubbio umano. Ritorna, quindi, il simbolo del “ridere” incredulo, che
avevamo già incontrato nel capitolo precedente, là messo sulle labbra di Abramo (17,17).
Tutto questo prepara il significato che si attribuirà al nome “Isacco” (dal verbo ebraico
“Sahaq”= “Dio ride”), il figlio che alla fine nascerà a Sara e ad Abramo.
C’È FORSE QUALCHE COSA
D’IMPOSSIBILE PER IL SIGNORE?
Marc Chagall: visita dei tre angeli ad aAbramo
16Quegli uomini si alzarono e andarono a
contemplare Sòdoma dall’alto, mentre
Abramo li accompagnava per congedarli.
17Il Signore diceva: «Devo io
tenere nascosto ad Abramo quello che sto
per fare, 18mentre Abramo dovrà
diventare una nazione grande e potente e
in lui si diranno benedette tutte le
nazioni della terra? 19Infatti io l’ho scelto,
perché egli obblighi i suoi figli e la sua
famiglia dopo di lui a osservare la via del
Signore e ad agire con giustizia e diritto,
perché il Signore compia per Abramo
quanto gli ha promesso». (Gen 18, 16-19)
Attraverso le considerazioni interiori
espresse da Yhwh, riguardo ai doveri di
Abramo nei confronti della sua futura
discendenza, viene espressa una
sensibilità diversa rispetto a quanto
dichiarato in Gen 17. Infatti al dovere di
osservare la circoncisione, in 18,19, si
aggiunge il dovere di insegnare “ai suoi
figli e alla sua casa dopo di lui”
l’osservanza della “via di Yhwh”.
Nel v. 18 trova spazio il ricordo della benedizione
legata alla persona di Abramo, per mezzo della
quale le “nazioni della terra” potranno dirsi
benedette (cfr. 12,3), così come si rinnova la
promessa, da parte di Yhwh, di far diventare lo
stesso Abramo una grande nazione.
L’INTERCESSIONE DI ABRAMO
PER SODOMA.
20Disse allora il Signore:
«Il grido di Sòdoma e Gomorra è troppo
grande e il loro peccato è molto grave.
21Voglio scendere a vedere se proprio
hanno fatto tutto il male di cui è giunto il
grido fino a me; lo voglio sapere!».
22Quegli uomini partirono di là e andarono
verso Sòdoma, mentre Abramo stava
ancora alla presenza del Signore.
(Gen 18, 20-22)
La scena si carica improvvisamente di tensione e di
paura. Il Signore decide di rivelare al suo fedele
Abramo ciò che egli sta per compiere nei confronti
degli abitanti malvagi e corrotti di quella regione.
Dalle città di Sodoma e Gomorra sale a Dio come
un grido di peccato e di ingiustizia.
Con un’immagine umana si presenta allora il
Signore in ispezione: egli la compie attraverso due
dei visitatori che Abramo aveva appena ospitato.
Qui il testo chiarisce un po’ il mistero:
gli uomini se ne vanno e il Signore
resta. I tre visitatori sono, dunque,
Yhwh accompagnato da due angeli.
La confusione apparente illustra, a
suo modo, la difficoltà di parlare del
contatto tra il mondo divino e il
mondo umano. Il credente non può
ricorrere che a delle immagini.
VOGLIO SCENDERE A VEDERE
23Abramo gli si avvicinò e gli disse:
«Davvero sterminerai il giusto con l’empio? 24Forse vi
sono cinquanta giusti nella città: davvero li vuoi
sopprimere? E non perdonerai a quel luogo per
riguardo ai cinquanta giusti che vi si trovano?
25Lontano da te il far morire il giusto con
l’empio, così che il giusto sia trattato come l’empio;
lontano da te! Forse il giudice di tutta la terra non
praticherà la giustizia?».
26Rispose il Signore: «Se a Sòdoma
troverò cinquanta giusti nell’ambito della città,
per riguardo a loro perdonerò
a tutto quel luogo». (Gen 18, 23-26)
La volontà, da parte di Yhwh, di confidare ad una
creatura i suoi intimi progetti è particolarmente legata
all’istituzione profetica. Del resto, sarà lo stesso Yhwh,
in Gen 20,7, a parlare di Abramo qualificandolo
espressamente come “profeta”. Per la prima volta,
inoltre, nella Scrittura viene riportato un dialogo così
lungo ed articolato tra l’uomo e il suo Dio.
Questi versetti dipingono Abramo
come il primo orante intercessore
della storia di Israele, prerogativa,
questa, legata più che altro alle
figure dei profeti (Mosè, Samuele,
Geremia, Amos, ecc.).
A differenza degli altri profeti,
tuttavia, Abramo non intercede a
favore della propria discendenza,
bensì per Sodoma, la città
straniera e peccatrice, nei cui
suburbi il suo nipote Lot era
andato ad abitare.
PER RIGUARDO A LORO PERDONERÒ
31Riprese: «Vedi come ardisco parlare al mio
Signore! Forse là se ne troveranno venti».
Rispose: «Non la distruggerò per riguardo a quei
venti». 32Riprese: «Non si adiri il mio Signore,
se parlo ancora una volta sola: forse là se ne
troveranno dieci». Rispose: «Non la distruggerò
per riguardo a quei dieci».
33Come ebbe finito di parlare con Abramo,
il Signore se ne andò e Abramo
ritornò alla sua abitazione.
(Gen 18, 31-33)
L’intercessione di Abramo per gli abitanti di
Sodoma si ferma ad una presunta presenza,
nella loro città, di almeno 10 giusti, per
riguardo dei quali Dio si è impegnato a
desistere dalla sua volontà di distruzione.
Nel capitolo 19, 4-9, verremo a sapere che
tra gli uomini della città non c’era neppure
un giusto.
Nella concezione degli antichi il numero 10
indica il più piccolo dei gruppi. Nella tradizione
giudaica “dieci” è il numero minimo di uomini
richiesto per poter celebrare la preghiera
liturgica. Dall’altro lato, invece, si marca il
progressivo ardire di Abramo: “ Vedi come
ardisco parlare... Non si adiri il mio Signore... Il
mio Signore non voglia irritarsi...”.
Distruzione di Sodoma e Gomorra, affresco
russo del 1662
IL SIGNORE SE NE ANDÒ
PER IL NOSTRO SPIRITO
La grande fede di Abramo e il suo rispetto verso Dio si concretizzano in
un’ospitalità pronta e sontuosa.
Viene così proposto quell’aspetto della fede, che sarà poi ampiamente
sviluppato in tutta la Bibbia, che si traduce nell’ospitalità verso il parente,
l’amico, il connazionale, il pellegrino, il povero, il perseguitato, lo straniero.
L’ospitalità diventa un modo concreto di vivere il rapporto con Dio
e un modo di rinsaldare i legami di solidarietà con i fratelli.
Gesù rilancerà con forza questo messaggio, facendone uno dei segni del
Regno e il metro di misura della fedeltà al Vangelo (Lc 10,38; Mt 10,40).
E’ un aspetto della fede divenuto oggi d’attualità in Occidente in questi
tempi d’immigrazione e di nuove povertà.
La preghiera di intercessione di Abramo sarà seguita dalle preghiere di altri
intercessori come Mosè, Geremia, Gesù.
Davanti a Dio ha maggiore peso la cattiveria di molti o la bontà di pochi?
Come spesso si dirà nella Bibbia,
Dio è pronto a dare più importanza al bene, anche se minoritario,
perché la sua Giustizia è Amore.
CAPITOLO 19
Si compone di due parti distinte:
A. (vv. 1-29) L’OSPITALITÀ DI LOT E LA
DISTRUZIONE DI SODOMA E
GOMORRA
B. (vv. 30-38) ORIGINE DEI MOABITI E
DEGLI AMMONITI
La situazione ricorda il comportamento
dell'umanità al momento del diluvio (Gen 6,5),
mentre Noè era “giusto” (Gen 6,9), come deve
esserlo Abramo.
Tutti e due i racconti narrano una distruzione
terribile causata dai peccati umani, alla quale
sfugge, salvata da Dio, una sola persona con la
sua famiglia.
L’obiettivo del narratore biblico si
sposta nella città di Sodoma, che la
tradizione ha collocato sulla costa
sud-occidentale del Mar Morto.
Il testo è incentrato su Lot, e Abramo
scompare quasi completamente dalla
storia, per riapparire soltanto alla
fine.
Formella della vetrata della cattedrale di Canterbury
1I due angeli arrivarono a Sòdoma sul far della sera,
mentre Lot stava seduto alla porta di Sòdoma.
Non appena li ebbe visti, Lot si alzò, andò loro incontro e
si prostrò con la faccia a terra. 2E disse: «Miei signori,
venite in casa del vostro servo: vi passerete la notte,
vi laverete i piedi e poi, domattina, per tempo, ve ne
andrete per la vostra strada».
Quelli risposero: «No, passeremo la notte sulla piazza».
3Ma egli insistette tanto che vennero da lui ed entrarono
nella sua casa. Egli preparò per loro un banchetto,
fece cuocere pani azzimi e così mangiarono.
(Gen19, 1-3) M. Chagall: La discesa verso Sodoma
I personaggi che giungono quella sera a Sodoma, davanti alla casa di Lot,
divenuto ormai un cittadino e non più nomade, sono ora “due angeli”.
Si svela, così, il valore di quei tre uomini che erano prima apparsi ad
Abramo: essi rappresentano, in entrambi i casi, dei messaggeri di Dio.
All’episodio della visita dei tre ospiti ad Abramo fa ora eco il racconto
dell’accoglienza dei due messaggeri angelici da parte di Lot.
Il racconto presenta così molte somiglianze con i testi precedenti riguardanti
Abramo e somiglia ugualmente al racconto del diluvio (Gen 6,5 - 9,17).
I DUE ANGELI
4Non si erano ancora coricati, quand’ecco gli
uomini della città, cioè gli abitanti di Sòdoma,
si affollarono attorno alla casa, giovani e
vecchi, tutto il popolo al completo.
5Chiamarono Lot e gli dissero:
«Dove sono quegli uomini che sono entrati
da te questa notte? Falli uscire da noi, perché
possiamo abusarne!». (Gen 19, 4-5)
Il verbo ebraico qui tradotto con «abusare»,
letteralmente equivale a «conoscere» , che significa
«avere rapporti sessuali». Lo stesso verbo è usato in
Genesi 4, 1; 17; 25. Per questo il versetto 5 lascia
percepire che il peccato degli abitanti di Sodoma sia legato
all’esercizio dell’omosessualità.
Questo comportamento riceve un’esplicita condanna
anche in Lv 18,22;20,13; Rm 1,26-27; 1Cor, 6-9; 1Tm, 1-10.
FALLI USCIRE DA NOI,
PERCHÉ POSSIAMO ABUSARNE!
“Il delitto degli abitanti di
Sodoma è di ordine teologico e
sociale oltre che sessuale:
infatti esso è una violazione
della legge sacra e
fondamentale dell’ospitalità ed
è anche un’esplicita condanna
dei culti cananei della fertilità
che comprendevano
l’omosessualità sacra”
(G. Ravasi, La Bibbia, Edizioni Paoline,
1990).
Genesi, Abramo, Isacco, Giacobbe
Genesi, Abramo, Isacco, Giacobbe
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Genesi, Abramo, Isacco, Giacobbe

  • 1. LA BIBBIA GENESI ABRAMO ISACCO GIACOBBE Capitoli 12- 36
  • 2. ABRAMO e i PATRIARCHI INTRODUZIONE GENERALE I capitoli di Genesi 12-50 possono essere considerati un’opera unica, essi sono narrazioni sull’origine del mondo e dell’umanità, ma costituiscono anche le “radici” del popolo ebraico. Sono una proiezione di quello che il popolo ebraico pensa di se stesso, del suo rapporto con gli altri popoli e con Dio. Le vicende narrate nei cap. 12-50 riguardano un lasso di tempo di circa 150 anni (1850- 1725 a. C.). I racconti vengono messi per iscritto dalle diverse tradizioni: nascono, così, dei "cicli narrativi". Ogni tradizione accentua un particolare aspetto dell'esperienza di un particolare Patriarca, presentandolo già come modello per la vita della comunità. Tre sono i cicli principali: 1) Abramo, Padre dei credenti nel Dio unico, amico del Signore e intercessore. Il ciclo ruota intorno alla coppia (Abramo e Sara) e ai figli (Isacco e Ismaele) 12-25,18. 2) Giacobbe, capostipite del popolo ebraico. Il ciclo ruota attorno ai fratelli (Esaù e Giacobbe, Lia e Rachele) ed è preceduto dal ciclo matriarcale di Rebecca). 25,19-37,1. 3) Giuseppe, racconto parabolico che ha lo scopo di illustrare la figura del vero sapiente e di collegare il tempo dei Patriarchi con quello dell’uscita del popolo ebreo dall’Egitto.
  • 3. GENERE LETTERARIO Alla fine, si ha il racconto di un gruppo che, raccontando del proprio passato e dei padri, racconta in realtà se stesso e definisce la propria identità. All’interno della categoria generale di “racconti patriarcali” si possono trovare generi letterari secondari come storia romanzata, racconto sapienziale, ecc. È difficile unificare Gen 12-50 sotto un unico genere letterario. Tuttavia, per tentare una risposta più precisa, si deve tener conto del fatto che molto di questo materiale narrativo venne trasmesso in forma orale o solo parzialmente scritta. Ciò significa che questi racconti assumono una particolare figura di “memoria” che definiamo memoria fondatrice, ovvero un patto simbolico condiviso da un gruppo e molto diverso dal ricordo individuale. Quest’ultimo è circoscritto al massimo a tre generazioni, mentre la memoria fondatrice ha a che fare con eventi che interessano la storia di un intero gruppo di persone. I contorni precisi dell’evento del passato sfumano, i personaggi si sovrappongono (o perché portano lo stesso nome,o perché il personaggio maggiore assorbe in sé i ricordi di personaggi minori), gli eventi si unificano.
  • 4. ABRAMO È UN PERSONAGGIO STORICO? Più si va avanti negli anni e più gli studi, basati su ricerche archeologiche, si fanno precisi: portando alla luce archivi di antiche città- stato medio-orientali (come Mari, Nuzi ed Ebla) si possono conoscere meglio i tempi in cui vissero i patriarchi. Ad esempio era diffuso a quel tempo l’uso di adottare il figlio avuto da una schiava, come fa Abramo con Ismaele. Certamente Abramo è esistito. Il racconto biblico riporta racconti tramandati oralmente e quindi soggetti a cambiamenti col passare degli anni, tuttavia un nucleo storico c’è: si parla di una persona che ha fatto un’esperienza di Dio molto forte e significativa e ha risposto alla chiamata di Dio con grande fede, un uomo vissuto nel II millennio a. C. Il testo che stiamo leggendo è stato redatto definitivamente nel IV secolo a. C. e riflette la storia, le problematiche e gli interrogativi di Israele a quell’epoca; inoltre testimonia le varie riletture fatte fino ad allora. Anche dopo il IV secolo è stato oggetto di reinterpretazioni da parte del Giudaismo (termine che indica il popolo ebraico dopo l’esilio), e poi anche reinterpretato e attualizzato da parte dei Padri della Chiesa. M. Caravaggio: Abramo sacrifica Isacco, part.
  • 5. Con l’entrata in scena di Abramo, il racconto biblico si concentra sulla sua figura di antenato, padre e modello di fede per il popolo ebraico. Il nome “Abramo” ricorre anche in testi babilonesi e significa: “Il Padre (Dio) è esaltato”. Il fratello di Abramo fu Nacor, dalla cui famiglia sia Isacco che Giacobbe presero le loro mogli e da cui venne pure Aran, il padre di Lot, che morì prima di suo padre. Anche i figli di Eber furono adoratori di falsi dei. Gli eredi della terra promessa devono ricordare da quale terra provengono e che la loro natura è corrotta e peccaminosa. 27Questa è la discendenza di Terach: Terach generò Abram, Nacor e Aran; Aran generò Lot. 28Aran poi morì alla presenza di suo padre Terach nella sua terra natale, in Ur dei Caldei. 29Abram e Nacor presero moglie; la moglie di Abram si chiamava Sarài e la moglie di Nacor Milca, che era figlia di Aran, padre di Milca e padre di Isca. 30Sarài era sterile e non aveva figli. (Gen 11, 27-30) ABRAM
  • 6. Di Abramo si dice molto poco: i vv. 27-32 ci informano solo sulla sua famiglia e su suo padre Terach. Ma già scopriamo due particolari interessanti, da non dimenticare: 1- Sarai, moglie di Abramo, era sterile, 2- Terach aveva già deciso di emigrare da Ur dei Caldei a Carran, cioè dal sud della Mesopotamia a nord, verso l'Anatolia, e da qui aveva deciso di dirigersi verso la terra di Canaan, la futura terra promessa. 31Poi Terach prese Abram, suo figlio, e Lot, figlio di Aran, figlio cioè di suo figlio, e Sarài sua nuora, moglie di Abram suo figlio, e uscì con loro da Ur dei Caldei per andare nella terra di Canaan. Arrivarono fino a Carran e vi si stabilirono. 32La vita di Terach fu di duecentocinque anni; Terach morì a Carran. (Gen 11, 31-32)La ziqqurat di Ur TERACH PRESE ABRAM, SUO FIGLIO “Ur dei Caldei”, città della Mesopotamia, era sulla sponda dell’Eufrate; questa città è fatta risalire alla I dinastia di “Ur” (3000- 2500 a.C.), e si colloca al centro di una civiltà che ha conosciuto un grande splendore, testimoniato dai molti oggetti d’oro ritrovati nelle tombe e dalle grandi costruzioni a terrazze (“ziqqurat”).
  • 7. 5Abram prese la moglie Sarài e Lot, figlio di suo fratello, e tutti i beni che avevano acquistati in Carran e tutte le persone che lì si erano procurate e si incamminarono verso la terra di Canaan. Arrivarono nella terra di Canaan 6e Abram la attraversò fino alla località di Sichem, presso la Quercia di Morè. Nella terra si trovavano allora i Cananei. (Gen 12, 4-6) La figura di Abramo rimarrà all’interno della Bibbia e della Tradizione come un grande segno di fede, e il suo pellegrinaggio verso la terra di Canaan ne sarà emblema. La lettera agli Ebrei, 8-9 canterà così il viaggio del Patriarca biblico: “Per fede Abramo, chiamato da Dio, obbedì, partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava... Per fede soggiornò nella terra promessa, abitando sotto le tende...”. ABRAM partì 4Allora Abram partì, come gli aveva ordinato il Signore, e con lui partì Lot. Abram aveva settantacinque anni quando lasciò Carran.
  • 8. La vicenda di Abramo si apre con il racconto della sua “vocazione”. Questo racconto è attribuito alla tradizione Jahvista ed è molto sobrio, essenziale, quasi in stile militare, con un comando secco e un’esecuzione senza obiezioni. L’obbedienza pronta di Abramo viene ad interrompere e a dare una svolta positiva al quadro fosco di ribellioni e violenze dei primi 11 capitoli. Allo stesso modo la benedizione-promessa di Dio annulla quella maledizione -castigo che sembrava gravare sull’umanità. Con Abramo inizia un cammino di “benedizione” che trasforma la storia umana in storia della salvezza. Dio prende l’iniziativa ed entra in dialogo con Abramo. A differenza dei molti dèi adorati da suo padre e dalla sua parentela, Abramo inizia a conoscere e a rapportarsi con un Dio personale, che parla con l’uomo, che gli fa dei doni, delle proposte e gli chiede obbedienza. La novità di Abramo è nella rivelazione di Dio, un movimento dall’alto verso il basso, rivelazione che sarà totale in Gesù
  • 9. LA VOCAZIONE DI ABRAMO La chiamata di Abramo è presentata in maniera drammatica, è Dio che prende l’iniziativa e lancia ad Abramo un ordine: “Vattene dalla tua terra». 12 1Il Signore disse ad Abram: «Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò». (Gen 12, 4-6) Dio chiede ad Abram: - la più completa rottura con il passato pagano, - un crescente distacco personale dal proprio clan (v. 1b) , - l’emigrazione verso una terra ignota scelta da Dio (v. 1c). Quello che Abramo deve fare è espressa nell’imperativo lek-leka = vattene. Questo verbo può essere letto con diverse sfumature di significato: va’ per te, cioè per il tuo bene lascia il tuo passato; va’ verso di te, cioè verso la scoperta del mio progetto su di te, verso la tua vocazione autentica.
  • 10. Miniatura del Codice Pallavicino, sec. XV. Lodi, Biblioteca comunale. Abramo è considerato dai cristiani, dagli ebrei e dai musulmani il prototipo della fede in Dio. Abramo è il primo Patriarca che ci introduce nella storia del rapporto di Dio con un uomo particolare, e della risposta di quell’uomo alla chiamata di Dio. In realtà sarebbe più corretto parlare di Abramo e Sara come padre e madre dei credenti, perché tutti e due sono stati coinvolti dalla chiamata di Dio. Pur nel contesto della mentalità patriarcale del tempo, al centro del ciclo di Abramo c’è la coppia, con un posto rilevante, nel bene e nel male, di Sara. Solo attraverso di lei, come madre, passa la promessa. In Abramo e Sara saranno benedette tutte le nazioni della terra! La risposta di Abramo fu effettiva, non verbale. Mosè e Geremia, invece, opporranno obiezioni alla vocazione divina; Mosè dirà a Dio: “Chi sono io per andare dal Faraone?”, e Geremia: “Ecco io non so parlare, perché sono giovane”. Abramo, invece, è l’emblema della fede pura e assoluta, che non cerca segni e conferme, e lascia alle spalle la terra, la parentela e la casa del padre. LA RISPOSTA DI ABRAMO
  • 11. L’ITINERARIO DI ABRAMO Secondo la tradizione Sacerdotale, Abramo emigra da Carran (cittadina non lontana da Ur e sede del suo clan) per dirigersi nel paese di Canaan: la “terra promessa”. Secondo la tradizione Jahwista, invece, Abramo compie quasi un pellegrinaggio in Canaan, toccando i santuari che poi influenzeranno la storia biblica: Sichem, è un villaggio situato al centro del paese di Canaan; Betel, è nelle vicinanze del territorio su cui sorgerà Gerusalemme; Mamre, è un villaggio vicino a Ebron, contraddistinto da una quercia famosa. E il Negheb (“sud” o “deserto”) ultima tappa della sua peregrinazione, è la zona deserta che confina con la penisola del Sinai, dividendo Canaan dall’Egitto; a Negheb fu conservata la tradizione Jahwista. La ricompensa per Abramo sarà la benedizione divina per lui stesso e per i suoi discendenti.
  • 12. Tutte le vicende raccontate in questi capitoli si svolgono all’interno di quel territorio, chiamato la «mezzaluna fertile», che va dalla Mesopotamia all’Egitto, passando per la Siria, il Libano e la Palestina. La mezzaluna fertile è stata la culla di antiche civiltà, da quella sumerica a quella egiziana, da quella elamita a quella hittita e tante altre. In rosso sono indicate le vie commerciali e militari che nel secondo millennio a.C. permettevano gli spostamenti in tutta l’area. LA MEZZALUNA FERTILE
  • 13. 2Farò di te una grande nazione e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e possa tu essere una benedizione. 3Benedirò coloro che ti benediranno e coloro che ti malediranno maledirò, e in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra». (Gen 12, 2-3) Nelle parole che Dio gli rivolge è scandito per ben 5 volte il termine “benedire”. In Abramo, sorgente della benedizione divina, tutti i popoli della terra troveranno salvezza. Abramo è quasi l’antidoto a tutte le maledizioni che incombevano sull’umanità e costellavano i capitoli precedenti della Genesi, a partire dal peccato del cap. 3. Tre sono le promesse che Dio fa ad Abramo: il dono della terra (“la terra che io ti mostrerò”); la discendenza (“farò di te una grande nazione”); la benedizione (“e in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra“). IN TE SI DIRANNO BENEDETTE TUTTE LE FAMIGLIE DELLA TERRA
  • 14. 7Il Signore apparve ad Abram e gli disse: «Alla tua discendenza io darò questa terra». Allora Abram costruì in quel luogo un altare al Signore che gli era apparso. 8Di là passò sulle montagne a oriente di Betel e piantò la tenda, avendo Betel ad occidente e Ai ad oriente. Lì costruì un altare al Signore e invocò il nome del Signore. 9Poi Abram levò la tenda per andare ad accamparsi nel Negheb. (Gen 12, 7-9) Abram, che aveva a quel punto 75 anni e non era ancora riuscito ad avere figli a causa della sterilità di Sara, obbedì: radunò la carovana delle sue greggi e i suoi servi e partì, lasciando Carran, con sua moglie e il nipote Lot. Quando arrivò nel paese di Canaan, o Palestina, nei pressi di Sichem, Dio gli apparve in un luogo chiamato Betel ("Casa-di-Dio") e gli fece la promessa che quella terra sarebbe appartenuta alla sua discendenza. Era nei pressi dell’oasi di Gerico, una terra ancora oggi molto fertile, nei tempi antichi ancora più ricca e desiderabile. Abram costruì un altare al Signore, riconoscendo la sacralità del luogo dove Dio gli era apparso. LA TERRA PROMESSA
  • 15. 10Venne una carestia nella terra e Abram scese in Egitto per soggiornarvi, perché la carestia gravava su quella terra. (Gen 12, 10) Gen 12,1-9 racconta l’inizio della storia del popolo di Israele. A questo episodio di chiamata segue uno spostamento geografico: l’Egitto. Abramo è l'inizio di un nuovo ordine mondiale e universale, che non si basa sui confini, su una distinzione tra un popolo ed un altro, ma su di una chiamata. Abramo è pertanto il punto di riferimento di una nuova concezione della vita e del rapporto con Dio; la situazione di Abramo e dei patriarchi viene assunta dagli autori biblici, dalla riflessione d'Israele, come luogo di manifestazione di un disegno di Dio nella storia umana. ABRAM SCESE IN EGITTO Abramo, Isacco e Giacobbe. Basilica dell’Annunziata, Firenze
  • 16. 11Quando fu sul punto di entrare in Egitto, disse alla moglie Sarài: «Vedi, io so che tu sei donna di aspetto avvenente. 12Quando gli Egiziani ti vedranno, penseranno: “Costei è sua moglie”, e mi uccideranno, mentre lasceranno te in vita. 13Di’, dunque, che tu sei mia sorella, perché io sia trattato bene per causa tua e io viva grazie a te». (Gen 12, 11-13) DI’, DUNQUE, CHE TU SEI MIA SORELLA Il quadro d’insieme dell'intera storia di Abramo, così come la leggiamo, sembra proporre la fede nella promessa di Dio, che si mantiene fedele attraverso l'obbedienza di Abramo, ma anche nonostante Abramo che mette in pericolo Sara e ritiene di dover realizzare in qualche modo la propria discendenza. Secondo la cronologia della tradizione sacerdotale (P), Sara avrebbe 65 anni; ma probabilmente è più giovane, se Abramo teme che qualcuno, vedendola così bella, possa arrivare ad ucciderlo per sottrargliela; quindi la fa passare per sua sorella (secondo Gen.20,12, ella era effettivamente una sua sorellastra).
  • 17. 14Quando Abram arrivò in Egitto, gli Egiziani videro che la donna era molto avvenente. 15La osservarono gli ufficiali del faraone e ne fecero le lodi al faraone; così la donna fu presa e condotta nella casa del faraone. 16A causa di lei, egli trattò bene Abram, che ricevette greggi e armenti e asini, schiavi e schiave, asine e cammelli. (Gen 12, 14-16) Le vicende di Abramo e dei patriarchi si intrecciano con quelle delle popolazioni semitiche vissute tra il XVIII e il XVII sec. a.C. Di esse accettano gli usi e le consuetudini, come testimonia il comportamento di Abramo che, in Egitto, fa passare la moglie per sorella. Questo episodio verrà ripreso altre due volte, sia pure con varianti: nel cap. 20 e nel cap. 26 (per Isacco e Rebecca). E’ un esempio adatto a illustrare le diverse angolature sotto cui le varie tradizioni riprendono lo stesso evento. LA DONNA FU PRESA E CONDOTTA NELLA CASA DEL FARAONE Il movente è la carestia, ma dentro questa difficoltà si scopre che la promessa è in qualche modo messa alla prova. Si nasconde nell’atteggiamento di Abramo un’ ambivalenza tra furbizia e fede.
  • 18. Siamo in un contesto culturale molto maschilista, in cui la moglie era considerata proprietà del marito che poteva disporre di lei come voleva. Inoltre, a discolpa di Abram, possiamo dire che, temendo che senza di lui non potesse realizzarsi la promessa di Dio di una discendenza, cerca di salvarsi con questo sotterfugio. 17Ma il Signore colpì il faraone e la sua casa con grandi calamità, per il fatto di Sarài, moglie di Abram. 18Allora il faraone convocò Abram e gli disse: «Che mi hai fatto? Perché non mi hai dichiarato che era tua moglie? 19Perché hai detto: “È mia sorella”, così che io me la sono presa in moglie? E ora eccoti tua moglie: prendila e vattene!». 20Poi il faraone diede disposizioni su di lui ad alcuni uomini, che lo allontanarono insieme con la moglie e tutti i suoi averi. (Gen 12, 17-20) Ma Dio interviene colpendo il faraone e la sua casa con grandi piaghe, finché questi capisce e restituisce Sarai ad Abram, facendoli accompagnare alla frontiera perché lascino immediatamente il suo paese. Dio interviene per salvare Abram e Sarai in difficoltà, così come al tempo della schiavitù sarebbe intervenuto mediante Mosè per liberare gli Ebrei dagli Egiziani: è ancora una retroproiezione di questa vicenda. Jahvè non lascia naufragare la sua opera: l’uomo cerca di arrabattarsi in tutti modi per cavarsela, ma poi è Dio che lo salva e non lo punisce per un’azione negativa perché comprende la sua debolezza. IL SIGNORE COLPÌ IL FARAONE
  • 19. Riflessioni e commenti Abram per salvarsi mette in pericolo Sara. Come giustificare questo suo comportamento? Giovanni: si possono considerare, nella vicenda, due aspetti negativi: Abram prostituisce la moglie; Abram mette in dubbio la protezione di Dio con la paura di essere ucciso. Ma ci sono anche degli elementi che lo possono giustificare: Abram tiene alla propria vita perché sente pesare su di sé la responsabilità di tutto il suo clan. E’ in una terra straniera, non ha alcun diritto, la sua gente può essere in grave pericolo. Inoltre egli non conosce il disegno di Dio, sta facendo un percorso di crescita nella sua fede e nella sua vocazione, non è un uomo perfetto. Certo che, dicendo a Sara di presentarsi come sorella, la espone al pericolo di essere portata nell’harem del Faraone, luogo da dove non sarebbe più uscita, compromettendo così il disegno di Dio … Don Sandro: Abramo fece passare la moglie per sorella perché questo gli era consentito dalla consuetudine tribale. Ciò potrebbe evocare, forse, l’antico diritto degli Hurriti (popolazione della Mesopotamia), che permetteva di adottare la moglie come sorella, così che potesse godere gli stessi diritti del marito su tutta la proprietà. Abramo, tuttavia, non prevedeva che questa «furbizia» avrebbe avuto conseguenze catastrofiche facendo entrare sua moglie nell’harem del Faraone, perdendola dunque per sempre. A questo punto interviene Dio facendo comprendere al Faraone che è stato commesso un «abominio» che deve essere superato. Ancora una volta l’intervento di Dio rende possibile la realizzazione della promessa nonostante il comportamento ambiguo di Abramo, che pure è il Padre dei credenti.
  • 20. A – Dio dice ad Abramo: «Vattene dalla tua patria». Il fatto è che il cristiano è fondamentalmente un pellegrino (cfr 1^ Pt 1,17 e 2,11), e quindi non può attaccarsi a nulla di quaggiù, perché tende alla vita eterna … «La voce di Dio è come un grido potente che squarcia il silenzio nella notte: vai, esci! E non scende a patti con le nostre lungaggini». (G. Balconi, Scintille nel canneto, pag 14-15). PER IL NOSTRO SPIRITO B – Gen 12,4° «Allora Abramo partì come gli aveva ordinato il Signore». L’obbedire di Abramo è un obbedire alla Parola. La fede è obbedienza alla Parola di Dio. E Abramo è nostro padre nella fede. Chiediamoci: che spazio ha la Parola nella mia vita, nel mio quotidiano? C – Dio benedice più volte Abramo: «In te si diranno benedette tutte le genti». Dunque anche noi siamo portatori della benedizione di Abramo e benedizione significa vita, fecondità, positività. Siamo davvero benedizione per gli altri? Allora Dio ci benedice = Dio «dice bene di noi», è contento di noi. Anche noi «bene-diciamo» = «diciamo bene» degli altri? D –Riguardo all’episodio di Abramo e Sara in Egitto: Abramo, pure prototipo del credente, è comunque un uomo limitato, ansioso, che ricorre a dei sotterfugi per garantirsi l’incolumità davanti al pericolo e ai potenti. Abramo è un uomo con tutti i limiti della condizione umana. E noi, siamo consapevoli che Dio ci sceglie e ci chiama così come siamo?
  • 21. 1Dall’Egitto Abram risalì nel Negheb, con la moglie e tutti i suoi averi; Lot era con lui. 2Abram era molto ricco in bestiame, argento e oro. 3Abram si spostò a tappe dal Negheb fino a Betel, fino al luogo dov’era già prima la sua tenda, tra Betel e Ai, 4il luogo dove prima aveva costruito l’altare: lì Abram invocò il nome del Signore. (Gen 13, 1-4) Abram fa ritorno in terra di Canaan. I vv. 3-4, infatti, richiamano alla memoria gli ambienti e la geografia incontrati in 12,8: «di là passò sulle montagne a oriente di Betel e piantò la tenda, avendo Betel ad occidente ed Ai ad oriente». È importante, in questi vv., l’esplicita segnalazione della presenza di Lot, dal momento che nel precedente episodio del soggiorno della coppia patriarcale in Egitto mai se ne era fatta menzione. Il nuovo ingresso in Canaan, a differenza del primo, avviene da sud, ovvero dal Negheb. Abram è molto ricco: oltre ai beni di proprietà famigliare portati con sé nella sua emigrazione verso Canaan, possiede anche i generosi doni dei quali il Faraone lo ha ricolmato. ABRAMO DIVENTA UN RICCO SEMINOMADE
  • 22. 5Ma anche Lot, che accompagnava Abram, aveva greggi e armenti e tende, 6° il territorio non consentiva che abitassero insieme, perché avevano beni troppo grandi e non potevano abitare insieme. 7Per questo sorse una lite tra i mandriani di Abram e i mandriani di Lot. I Cananei e i Perizziti abitavano allora nella terra. (Gen 13, 5-7) In Canaan, Abramo e il suo clan non sono più nomadi, ma neppure ancora sedentari: sono seminomadi che vanno pian piano stabilendosi nel territorio. Per le tribù nomadi e seminomadi tutto ciò che è sotto il cielo è un bene da godere; per le popolazioni sedentarie, invece, la proprietà ha confini ben precisi e riconosciuti, chi li viola viene maledetto: “Maledetto colui che sposta i confini del suo prossimo” (Deut. 27,17). Sorgono così le prime controversie tra i servi di Abramo e di Lot. SORSE UNA LITE Degna di nota, tra i nomi delle antiche popolazioni che occupavano, prima di Israele, la terra di Canaan, è anche la menzione del popolo “perizzita”, che al v. 7 viene ad aggiungersi al popolo “cananeo” già segnalato in 12,6. Questi nomi anticipano liste più complete rinvenibili in altri passi di Genesi.
  • 23. 8Abram disse a Lot: «Non vi sia discordia tra me e te, tra i miei mandriani e i tuoi, perché noi siamo fratelli. 9Non sta forse davanti a te tutto il territorio? Separati da me. Se tu vai a sinistra, io andrò a destra; se tu vai a destra, io andrò a sinistra». (Gen 13, 8-9) “Uno a destra e l’altro a sinistra” non significa avere un atteggiamento di discordia o malevolenza. Abramo richiama il dovere di conservare un atteggiamento fraterno. Il termine “siamo fratelli” del versetto 8 è da intendersi nel senso più ampio, ricordando che Lot non era fratello di carne di Abramo. “Uno a destra e l’altro a sinistra” significa essere comunque pronti a intervenire in caso di bisogno (Genesi 14,11-16). NON VI SIA DISCORDIA L’ enorme abbondanza di ricchezze e di proprietà crea problemi di convivenza tra i due parenti. Il principale sembra consistere nella necessità di rinvenire più ampie zone di pascolo al fine di poter soddisfare le esigenze di ristoro delle loro rispettive mandrie. Partenza di Abramo e di Lot, mosaico, 432-440 d.C., Roma, S. Maria Maggiore.
  • 24. 10Allora Lot alzò gli occhi e vide che tutta la valle del Giordano era un luogo irrigato da ogni parte – prima che il Signore distruggesse Sòdoma e Gomorra – come il giardino del Signore, come la terra d’Egitto fino a Soar. 11Lot scelse per sé tutta la valle del Giordano e trasportò le tende verso oriente. Così si separarono l’uno dall’altro: 12Abram si stabilì nella terra di Canaan e Lot si stabilì nelle città della valle e piantò le tende vicino a Sòdoma. 13Ora gli uomini di Sòdoma erano malvagi e peccavano molto contro il Signore. (Gen 13, 10-13) Lot decide di orientarsi verso la valle del Giordano, verso una terra fertile e ben irrigata, una terra che sembra richiamare esplicitamente il “giardino di Yhwh” , ovvero il giardino di Eden. Tale impressione, tuttavia, si dimostrerà presto effimera e passeggera: sono proprio i due commenti del narratore (redattore) ad anticipare e far presagire al lettore il triste futuro che in breve sarebbe toccato in sorte a due grandi città, Sodoma e Gomorra e, di conseguenza, l’insensatezza della scelta di Lot. Abramo non sceglie la terra, si accontenta della zona montagnosa presso Ebròn. SI SEPARARONO
  • 25. Riflessioni e commenti L’atteggiamento di Abramo nell’episodio della separazione con Lot è in sintonia con il suo comportamento in Egitto? Ha agito secondo una sapienza umana o si è fidato di Dio? Zita e Luisa: Abramo sembra un personaggio diverso, più forte nella fede. Annamaria: ha più fiducia in Dio, certo che l’aiuterà a scegliere per il meglio. Giovanni: le ricchezze portano spesso a grandi contrasti, in questo caso sono i servi che litigano tra loro, mentre Abramo non si lascia coinvolgere e si separa da Lot in modo pacifico, anche perché non sapeva ancora quale porzione di terra Dio gli avrebbe destinato. Don Sandro: Dio aveva già promesso tutta la terra di Canaan ad Abramo (cfr vv. 12,7.) Ma, Lot sceglie veramente la parte migliore, o solo in apparenza? Se leggiamo con attenzione il testo, sono proprio i due commenti del narratore (vv. 10 e 13), ad anticipare e far presagire al lettore l’imminente distruzione di Sodoma e Gomorra, a causa della “malvagità” dei loro abitanti e quindi a far capire che la scelta di Lot non avrebbe avuto un buon esito. Cesare: confrontando i due capitoli, il 12 e il 13, si nota una progressione di Abramo nella fede e nella fiducia in Dio. Luigino: la fede di Abramo è grande, quasi da fanatico, mentre il suo carattere è quello di un debole, visto il suo comportamento. Don Sandro: Dio sa cosa nasconde il cuore dell’uomo, Egli non sceglie in base ai criteri dell’apparenza, della bellezza, ecc., Dio guarda in profondità e conosce quale risposta di fede gli darà Abramo.
  • 26. La funzione dell’intero episodio è quella di introdurre una situazione di conflitto tra Abram e Lot, al fine di separare le loro vite e i loro stessi destini. Essendo Abram senza figli a causa della sterilità di Sara, Lot, il suo parente più prossimo, dovrebbe, a buona ragione, essere ritenuto l’unico vero erede del Patriarca, essendo egli partito con lui nella loro migrazione da Ur dei Caldei, la loro patria di origine. FUNZIONE dell’episodio della separazione tra Abramo e Lot Non Lot, tuttavia, avrebbe dovuto continuare la discendenza di Abram, ma solo un figlio legittimo di quest’ultimo, un figlio promesso da Dio. Da Lot, negli anni successivi alla separazione, nasceranno altri popoli: i Moabiti e gli Ammoniti. Bartolo di Fredi, Abramo e Lot si separano nella terra di Canaan, 1367
  • 27. 14Allora il Signore disse ad Abram, dopo che Lot si era separato da lui: «Alza gli occhi e, dal luogo dove tu stai, spingi lo sguardo verso il settentrione e il mezzogiorno, verso l’oriente e l’occidente. 15Tutta la terra che tu vedi, io la darò a te e alla tua discendenza per sempre. (Gen 13, 14-15) Abramo non si sceglie la terra, accetta ciò che rimane ed è costretto a stabilirsi e a pascolare nella misera porzione di terreno che circonda le querce di Mamrè, presso Ebròn, cittadina a sud di Gerusalemme. Qui Abramo acquisterà la caverna di Makpelàh per seppellirvi la moglie Sara e per esservi poi anch’egli sepolto. I toponimi I toponimi di Mamrè e di Hebròn , a sud della terra di Canaan, sono particolarmente associati al ciclo di Abramo. È anche in quell’ambito geografico, del resto, che si contestualizza la cosiddetta “caverna di Makpelàh”, ovvero la porzione di territorio di Canaan che Abram aveva acquistato da Ephròn, figlio di Sohar, assieme al campo che la comprendeva, e che venne usata come tomba di famiglia. ALZA GLI OCCHI
  • 28. 16Renderò la tua discendenza come la polvere della terra: se uno può contare la polvere della terra, potrà contare anche i tuoi discendenti. 17Àlzati, percorri la terra in lungo e in largo, perché io la darò a te».18Poi Abram si spostò con le sue tende e andò a stabilirsi alle querce di Mamre, che sono ad Ebron, e vi costruì un altare al Signore. (Gen 13, 16-18) Rilancio della promessa Effettuata la separazione (cfr. vv.11-13), nei vv. 14-17 Yhwh si rivolge ad Abram per riprendere, ampliare ed enfatizzare la promessa di possesso della terra nella quale egli era già andato ad abitare, così come era già stata espressa in 12,7. Anche la promessa di una numerosa discendenza viene ribadita e ancor più accentuata. COME LA POLVERE DELLA TERRA I vv. 14-17 sembrano essere un’aggiunta redazionale all’episodio narrato nel capitolo 13. Assieme ad altri elementi di natura più tecnica, il fatto stesso che Abram non sembri affatto obbedire al comando ricevuto da Dio, quello cioè di percorrere il territorio “in lungo e in largo”, ma vada direttamente a stabilirsi presso le querce di Mamrè, in Hebròn, spezza la stretta logica del racconto e mostra forse l’estraneità dei vv.14-17 alla trama originaria.
  • 29. Don Sandro: i criteri della forza, della bellezza e dell’apparenza, in genere sono scartati da Dio quando Egli opera le sue scelte. Il Signore sceglie colui che gli dà il suo cuore, e poi porta avanti il suo progetto fino alla piena realizzazione, nonostante la debolezza e gli errori della persona eletta. Possiamo confrontare molti brani della Scrittura che ci parlano dei criteri di elezione da parte di Dio: 1Sam16,7; 1 Re, 8,39; Sal 147, 10-11; Pr 16,2; Is 55, 8-9; Lc 16,15; Gv 7- 24; 1 Pt 3, 3-4. Riflessione: Qual è il rapporto tra elezione (predestinazione) di Dio, giustizia di Dio e libertà dell’uomo? L’elezione priva l’uomo della sua libertà? Ognuno di noi ha la propria chiamata, l’importante è scoprire il proprio ruolo e realizzare il disegno di Dio. PER IL NOSTRO SPIRITO
  • 30. Il testo presenta, inoltre, numerose glosse che hanno lo scopo di chiarire il significato di nomi di luogo difficili da contestualizzare all’epoca della redazione, ad esempio: “il re di Bela, ovvero So’àr”, “nella valle di Siddim, ovvero il Mare Salato”, ecc. Anche per questo il capitolo 14 dà l’impressione di essere stato inserito, quasi sicuramente, in epoca più tarda rispetto agli altri capitoli sui Patriarchi. 5Nell’anno quattordicesimo arrivarono Chedorlaòmer e i re che erano con lui e sconfissero i Refaìm ad Astarot-Karnàim, gli Zuzìm ad Am, gli Emìm a Save-Kiriatàim 6e gli Urriti sulle montagne di Seir fino a El-Paran, che è presso il deserto. 7Poi mutarono direzione e vennero a En-Mispàt, cioè Kades, e devastarono tutto il territorio degli Amaleciti e anche degli Amorrei che abitavano a Casesòn-Tamar. (Gen 14, 5-7) LA GUERRA ABRÀM, IL GUERRIERO TRA I GUERRIERI Il capitolo 14 è da sempre ritenuto, per stile e per contenuti, un’isola di testo molto distante dal resto delle narrazioni del libro della Genesi: si è improvvisamente immersi in un’atmosfera di guerra, di scontri e di battaglie che niente hanno a che fare con il clima famigliare e relativamente modesto dei racconti patriarcali.
  • 31. All’interno del capitolo 14 trovano spazio vari episodi, anche di natura e provenienza eterogenee, attualmente riuniti a formare un unico racconto. È infatti possibile identificare almeno tre scene diverse: A. La campagna di quattro re dell’est contro una coalizione di cinque re dell’ovest (vv.1-11) B. Il rapimento di Lot e il conseguente riscatto di Abram (vv.12-17, 21-24) C. L’incontro tra Abram e Malkìsèdeq, re di Shalèm e sacerdote del Dio Altissimo (vv.18-20). CHIAVE DI LETTURA DI TUTTO IL CAPITOLO È LA BENEDIZIONE DI DIO SU ABRAMO, SALVEZZA PER TUTTA L’UMANITÀ Stendardo di Ur, lato della guerra. Nella fascia inferiore si vedono i carri Sumeri trainati da onagri che travolgono i nemici sconfitti. 2500 a.C. circa, British Museum di Londra. GLI EPISODI DEL CAPITOLO 14
  • 32. 8Allora il re di Sòdoma, il re di Gomorra, il re di Adma, il re di Seboìm e il re di Bela, cioè Soar, uscirono e si schierarono a battaglia nella valle di Siddìm, contro di essi, 9cioè contro Chedorlaòmer re dell’Elam, Tidal re di Goìm, Amrafèl re di Sinar e Ariòc re di Ellasàr: quattro re contro cinque. (Gen 14, 8-9) In questa prima unità di testo vengono sostanzialmente riportati due diversi resoconti di battaglie, nelle quali Kedorlaomer e i suoi alleati hanno sempre la meglio sulle popolazioni insorte contro il loro dominio. Da osservare che le città del Mar Morto erano governate da “sceicchi” locali, che a loro volta erano spesso vassalli dei più potenti Re mesopotamici (Elam e Babilonia). Gli elamiti erano molto potenti in Babilonia: furono essi a conquistare e saccheggiare la città di Ur. Fino ad oggi non è stato possibile rinvenire alcuna fonte extrabiblica che permetta di smentire o confortare la narrazione degli scontri militari offerta da questo capitolo, né è stato possibile identificare i nove Re. QUATTRO CONTRO CINQUE
  • 33. 10La valle di Siddìm era piena di pozzi di bitume; messi in fuga, il re di Sòdoma e il re di Gomorra vi caddero dentro, mentre gli altri fuggirono sulla montagna. 11Gli invasori presero tutti i beni di Sòdoma e Gomorra e tutti i loro viveri e se ne andarono. 12Prima di andarsene catturarono anche Lot, figlio del fratello di Abram, e i suoi beni: egli risiedeva appunto a Sòdoma. (Gen. 14,10-12 ) Anche oggi la zona attorno al Mar Morto, è costellata di simili pozzi, dovuti alla particolare situazione geologica del territorio, posto a 400 m. sotto il livello del mare. I vassalli più importanti, cioè i Re delle città più rilevanti della regione di Sodoma e Gomorra, vengono pesantemente sconfitti. In occasione del rastrellamento compiuto dai vincitori viene coinvolto anche Lot, il nipote di Abramo che aveva scelto proprio quest’area per stabilirvisi. CATTURARONO ANCHE LOT
  • 34. 14Quando Abram seppe che suo fratello era stato preso prigioniero, organizzò i suoi uomini esperti nelle armi, schiavi nati nella sua casa, in numero di trecentodiciotto, e si diede all’inseguimento fino a Dan. 15Fece delle squadre, lui e i suoi servi, contro di loro, li sconfisse di notte e li inseguì fino a Coba, a settentrione di Damasco. 16Recuperò così tutti i beni e anche Lot suo fratello, i suoi beni, con le donne e il popolo. (Gen. 14,14-16 ) L’attenzione si concentrerà a poco a poco ancora una volta attorno alla figura di Abramo. Ciò che emerge dall’intero episodio è, in ultima analisi, il suo grande valore e l’insuperabile sua forza anche contro un dispiegamento di mezzi assai più efficienti dei suoi. Abram non solo riesce a liberare suo nipote, ma recupera anche tutto il resto dei suoi beni, delle sue donne e del suo popolo (cfr. v. 16). Solo qui, in tutta la scrittura, compaiono i nomi di persona Mamrè, Anèr ed Eshkòl, di provenienza amorrita; essi sono gli unici ad essere menzionati tra i trecentodiciotto servitori guerrieri che combatterono al fianco di Abramo. ABRAMO LIBERA LOT S. Marco, Venezia, cupola di Abramo: Abramo arma i propri servi per liberare Lot
  • 35. 17Quando Abram fu di ritorno, dopo la sconfitta di Chedorlaòmer e dei re che erano con lui, il re di Sòdoma gli uscì incontro nella valle di Save, cioè la valle del Re. 18Intanto Melchìsedek, re di Salem, offrì pane e vino: era sacerdote del Dio altissimo 19e benedisse Abram con queste parole: «Sia benedetto Abram dal Dio altissimo, creatore del cielo e della terra, 20e benedetto sia il Dio altissimo, che ti ha messo in mano i tuoi nemici». Ed egli diede a lui la decima di tutto. (Gen. 14,17-20 ) Melchisedek offre pane e vino. Mosaico di S. Maria Maggiore, Roma, 432-440 d.C. MELkÌSEDEQ, RE DI SALEM, OFFRÌ PANE E VINO Melkisedeq (il mio re è giustizia) è il primo sacerdote a essere menzionato nella Scrittura. Egli è anche re della città di Shalèm, nome attribuito dalla letteratura giudaica alla città di Gerusalemme, di cui quel nome sarebbe stata una antica denominazione. Egli offre ad Abramo “pane e vino”, un pasto degno di un re (1Sm 16,20). Oltre ad essere re, Melkisedeq è sacerdote di El ‘Eljôn, il Dio Altissimo.
  • 36. Abramo incontra Melchisedek, mosaico di S. Marco, Venezia La figura di Melkisedeq non è preparata da alcun tipo di introduzione e non sarà più evocata dalla Scrittura Ebraica se non nel Salmo 110,4: “Tu sei sacerdote per sempre al modo di Melchisedek” (v.4), affermando così un particolare sacerdozio del sovrano ebraico. La mancanza di una genealogia ascendente e discendente, così importante per chi avanzava pretese regali e sacerdotali, verrà interpretata in chiave messianica (in ambito giudaico), e come prefigurazione del sacerdozio di Cristo (in ambito cristiano). In Ebrei 7,3 si legge: “Egli senza padre e senza madre, senza genealogia, senza principio di giorni né fine di vita, fatto simile al Figlio di Dio, rimane sacerdote in eterno”. La tradizione cristiana, poi, ha letto liberamente il gesto di Melchisedek alla luce dell’Eucaristia. In cambio della benedizione ricevuta, Abram dona a Melkisedeq la decima del suo bottino di guerra. La consuetudine del pagamento della decima di quanto si possiede viene menzionata in molti passi del Pentateuco, ad es. in Lev. 27,30-32, in Num. 18,21,24, in Deut. 12, 11- 17 ed anche in passi del Nuovo Testamento come Mt 23,23, Lc 11,42, ecc.. MELCHISEDEK
  • 37. 21Il re di Sòdoma disse ad Abram: «Dammi le persone; i beni prendili per te». 22Ma Abram disse al re di Sòdoma: «Alzo la mano davanti al Signore, il Dio altissimo, creatore del cielo e della terra: 23né un filo né un legaccio di sandalo, niente io prenderò di ciò che è tuo; non potrai dire: io ho arricchito Abram. 24Per me niente, se non quello che i servi hanno mangiato; quanto a ciò che spetta agli uomini che sono venuti con me, Aner, Escol e Mamre, essi stessi si prendano la loro parte». (Gen. 14,21-24) Dall’insieme del racconto si riesce facilmente a intuire che l’autore sacro vuole esaltare la figura di Abramo, presentandolo come un principe potente, benedetto da Dio, vincitore dei grandi Re d’Oriente. Il Patriarca, andando contro le consuetudini del tempo, non pretende per sé alcuna ricompensa per aver aiutato il Re di Sodoma, ma lascia nel contempo liberi i suoi collaboratori di prendere la propria parte. ABRAMO TORNA A MAMRE S. Marco, Venezia, cupola di Abramo: Abramo e il re di Sodoma
  • 38. Riflessioni e commenti 1 - Il numero 318 ha un significato? 2 - Perché Abramo rifiuta i beni del re di Sodoma, andando contro le usanze del tempo? Luigino: in greco il numero 318 viene scritto con le lettere IHT. IH = 18 e T = 300. Nelle prime due lettere, quindi, abbiamo un'allusione al nome di Gesù, nell'ultima un'allusione alla croce. Sant'Ambrogio, parlando del Concilio di Nicea, dice: "Non è per caso né per decisione umana che 318 vescovi furono riuniti in concilio, ma veramente per provare la presenza del segno della Passione e del Nome di Gesù: la croce con 300 Padri, ed il Nome di Gesù con 18». Cesare: Abramo non accetta i beni del re di Sodoma perché vuole prendere le distanze da un popolo lontano da Dio per la sua malvagità. Emanuela: per il re di Sodoma le persone sono più importanti delle cose, sono necessarie per la difesa e l’esistenza stessa del suo popolo, per questo ne chiede la restituzione, mentre è disposto a lasciare le cose. Don Sandro: Abramo restituisce tutto, persone e cose, non vuole alcun contatto con un popolo lontano da Dio per la sua malvagità. Il Patriarca, benedetto dal Dio altissimo, diviene strumento di benedizione per tutta l’umanità. Questa è la chiave del racconto del capitolo 14°. Quanto ai numeri della Bibbia sono state fatte molte ipotesi di lettura e di interpretazione, sia dagli esegeti ebrei (cabala), sia in ambiente cristiano; i Padri della Chiesa ne danno spesso una lettura tipologica, come, ad esempio, fa S. Ambrogio con il numero 318. Analogamente alcuni Padri interpretano, ad esempio, il «facciamo» del 1° capitolo di Genesi riferendolo alla Trinità.
  • 39.
  • 40. PER IL NOSTRO SPIRITO Se noi restiamo dentro al progetto di Dio e ci fidiamo di Lui, sicuramente Egli guiderà il nostro cammino verso un esito positivo per noi e per gli altri. Abramo, mosaico del XIII sec., Basilica di S. Marco, Venezia
  • 41. Riflessioni e commenti Il Dio altissimo di Abramo è lo stesso di Melkisedeq? Luigino: Melkisedeq, quando incontra Abramo, gli offre pane e vino: è un segno di ospitalità del re di Shalem verso il condottiero vittorioso. Melkisedeq è anche sacerdote ma questo è ininfluente nel suo rapporto con il patriarca, tanto è vero che quest’ultimo gli corrisponde le decime del bottino in segno di riconoscenza per aver usufruito del territorio del suo regno. Il Dio altissimo non si distingue da altri dei adorati in quelle regioni. Giovanni: al cap. 9, 9 di Genesi, Dio dà a Noè la promessa: è possibile che Melkisedeq faccia parte della stirpe di Noè, e, perciò, abbia lo stesso Dio di Abramo. Giuseppe: a quel tempo era ancora diffuso in quelle regioni il politeismo, così il fatto che Melkisedeq accetti un Dio solo, creatore del cielo e della terra, lo pone su un piano superiore rispetto alle concezioni del tempo. Io penso che egli venerasse lo stesso Dio di Abramo. Don Sandro: un po’ tutte le ipotesi possono essere legittime, dobbiamo, però, considerare che l’episodio di Melkisedeq è stato caricato di significati dalla lettura tipologica in ambito ebraico e cristiano. I dati obiettivi sono, in realtà, scarni. Adriana: per la prima volta c’è un dialogo tra Dio e Abram, prima solo Dio parlava e Abram ascoltava in silenzio. Qui si passa ad un’altra fase , cambia anche il lessico, è «la Parola» che si rivolge ad Abram ed Abram risponde. Melkisedeq ed Abram appartengono a tribù diverse, non hanno lo stesso Dio. Ambedue chiamano, però, il Signore con il nome di Dio Altissimo. Don Sandro: la rivelazione del nome, Yhwh, avviene al cap 3 dell’Esodo; in Genesi Melkisedeq usa uno dei nomi che anche le culture circostanti usavano per indicare Dio. “El-‘Eljon”, che significa “Dio Altissimo”, era un titolo divino noto anche in Fenicia e che lo stesso Abramo applicherà al Signore (v. 22). Non ci sono elementi decisivi per dire di più.
  • 42. Il CAPITOLO 15 è costituito da due pannelli giustapposti che costituiscono la narrazione. Tra le due parti si notano discrepanze che fanno pensare ad un lavoro redazionale che ha unito racconti di epoche diverse. A - (vv 1-6) La reiterazione della promessa divina ad Abram di un figlio e della terra. (cfr. cap 12) B - (vv 7- 31) L’alleanza (Berit) stipulata da Yhwh con Abramo . LA PROMESSA DI YHWH E LA SUA ALLEANZA Tutto, nel testo del capitolo, ruota attorno alla manifestazione della parola di Yhwh che si rivolge ad Abram in forma di visione (mahazeh) (v1). Il testo del capitolo 15 è da ritenersi alquanto recente, redatto, probabilmente, in epoca postesilica (o post- sacerdotale), successivamente alla composizione dell’Esodo. Alcuni studiosi ipotizzano che si possa individuare nel capitolo 15 della Genesi una nuova Tradizione, accanto a quelle già note: Jahwista e Sacerdotale. Essa è convenzionalmente chiamata “Elohista”, perché usa come nome divino “Elohim”.
  • 43. S. Marco, Venezia Visione di Abramo, 1230 ca. 1Dopo tali fatti, fu rivolta ad Abram, in visione, questa parola del Signore (gen 15,1) a) L’espressione “la parola di Yhwh fu rivolta a” è tipica del linguaggio profetico. Nella Scrittura si adopera questa espressione per 100 volte nei testi profetici, fa eccezione solo il re Salomone. b) Inoltre, Abramo incontra Dio in “visione”: non si tratta di un sogno o di un’estasi ma di un’esperienza superiore rispetto a quella quotidiana e umana. LA PROMESSA Anche attraverso questa semplice introduzione ai contenuti dell’intero capitolo si continua dunque a vedere come la figura di Abram sia stata considerata precorritrice di istituzioni e di realtà che solo successivamente sarebbero state istituite. In questo caso, infatti, Abram diventa, in nuce, il padre di tutti i profeti che saranno suscitati in Israele nel corso della sua storia.
  • 44. «Non temere, Abram. Io sono il tuo scudo; la tua ricompensa sarà molto grande». (Gen 15,1) L’espressione “non Temere” compare molte altre volte nella Scrittura come un invito che Dio rivolge alla sua creatura perché si affidi a Lui, senza affannarsi a cercare alcun tipo di sicurezza umana. (Gen 21,17; 46,3; Dt 1.21;20,3; Mt 1,20; in Mr 5,36, ecc). Il termine “scudo” molte altre volte descrive la protezione esercitata da Dio nei confronti del suo popolo e, in genere, dei suoi fedeli (Dt 33,29, 2Sam 22.3.31.36; Sal 3,4;18,3, ecc). L’immagine di Dio come “ricompensa“ o salario per il suo fedele è generalmente assai meno impiegata (Is 40,10; 62,11). NON TEMERE S. Marco, Venezia Cupola di Abramo, 1230 ca.
  • 45. 2Rispose Abram: «Signore Dio, che cosa mi darai? Io me ne vado senza figli e l’erede della mia casa è Elièzer di Damasco». 3Soggiunse Abram: «Ecco, a me non hai dato discendenza e un mio domestico sarà mio erede». 4Ed ecco, gli fu rivolta questa parola dal Signore: «Non sarà costui il tuo erede, ma uno nato da te sarà il tuo erede». (Gen 15, 1-4) CRISI DI ABRAMO Nonostante le reiterate assicurazioni da parte di Dio, Abram, aggravato dall’accrescersi dell’età (85 anni) e dalla sterilità della moglie Sarai, si trova sempre senza la presenza di un figlio che possa dare un minimo di credibilità alle promesse di Dio circa la sua numerosa discendenza. Secondo un uso attestato da alcuni testi del II millennio a.C., una coppia che non aveva figli, poteva adottare un servo o uno schiavo, nominandolo erede: così anche Abramo, secondo gli usi correnti, sembra avere in animo di nominare come erede il suo maggiordomo, Eliezer di Damasco. ME NE VADO SENZA FIGLI S. Marco, Venezia, Cupola di Abramo, 1230ca.
  • 46. 5Poi lo condusse fuori e gli disse: «Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle»; e soggiunse: «Tale sarà la tua discendenza». Al di là dei progetti di Abram e della totale mancanza di riscontri reali, Dio continua a promettergli una discendenza assai abbondante. L’immagine del numero incalcolabile delle stelle, associato all’innumerevole discendenza, si riscontra anche in altri luoghi della scrittura, accomunati tra loro da un’epoca di composizione assai recente (cfr. Gen 22,17; 26,4; Es 32,13; 1Cor 27,23, ecc). CONTA LE STELLE (Gen 15, 5)
  • 47. 6Egli credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia. Attraverso il suo silenzio (v 6) Abram viene costituito come il primo credente di tutto Israele. Il verbo aman è lo stesso che dà origine all’ Amen con cui concludiamo le nostre preghiere e significa “appoggiarsi a...”, “fidarsi di...”. Il patriarca si fida di Dio e a lui consegna se stesso e il suo futuro. Per questo Abramo è stato considerato nella tradizione ebraica, cristiana e musulmana, come “padre dei credenti”. EGLI CREDETTE (Gen 15, 6)
  • 48. 7E gli disse: «Io sono il Signore, che ti ho fatto uscire da Ur dei Caldei Per darti in possesso questa terra». IO SONO IL SIGNORE Proprio grazie a questo espediente lessicale, ad Abram, attraverso la sua partenza da Ur verso la terra promessa da Dio, viene fatto sperimentare, nel simbolo e nella figura, l’esodo verso la libertà che saranno chiamati a vivere, in futuro, i suoi discendenti. Anche di questa fondamentale esperienza per Israele, quindi, Abram diviene l’antesignano e il precursore. (Gen 15,7) L’ALLEANZA INCONDIZIONATA DI YHWH Dio si presenta al Patriarca come Yhwh, colui che l’ha fatto uscire dalla sua patria per donargli la terra di cui ora è ospite (v 7). Il verbo “far uscire” ricorda la definizione di Dio come colui che ha liberato il suo popolo “facendolo uscire” dall’Egitto.
  • 49. 8Rispose: «Signore Dio, come potrò sapere che ne avrò il possesso?». 9Gli disse: «Prendimi una giovenca di tre anni, una capra di tre anni, un ariete di tre anni, una tortora e un colombo». 10Andò a prendere tutti questi animali, li divise in due e collocò ogni metà di fronte all’altra; non divise però gli uccelli. 11Gli uccelli rapaci calarono su quei cadaveri, ma Abram li scacciò. (Gen 15, 8-11) Al v 9 si inaugura il rituale di alleanza che terminerà solo alla fine dell’episodio. Dio chiede ad Abram di procurarsi cinque animali che, di sua iniziativa, con l’eccezione dei due volatili, il patriarca inizia a dividere. Tutti questi animali si troveranno spesso menzionati nei riti celebrati all’interno della tenda del convegno nel deserto e, successivamente, nelle liturgie officiate nel tempio vero e proprio. IL RITO DI ALLEANZA Normalmente, per la conclusione di un’alleanza, era sufficiente un solo animale. Anche in questo frangente, quindi, proprio attraverso l’uso di tutti questi animali, Abram viene reso precursore di realtà – in questo caso della liturgia e del culto ufficiali di Israele – che saranno istituiti solo in tempi successivi. Creta, sarcofago affrescato, circa 1400 a.C: il toro sacrificato durante una cerimonia sacra
  • 50. 12Mentre il sole stava per tramontare, un torpore cadde su Abram, ed ecco terrore e grande oscurità lo assalirono. (Gen 15, 12) UN TORPORE CADDE SU ABRAM Il termine ebraico “tardemah” = “sonno” è lo stesso che descrive il torpore di Adamo alla vigilia della creazione della donna (Gen. 2,21). Questa esperienza è collegata con una grande manifestazione di Dio, chiamata dagli studiosi “teofania” (manifestazione), che avviene mentre l’uomo si trova in uno stato “passivo”, (il sonno), per sottolineare la priorità dell’azione di Dio. Ma, sopraggiunta la notte, un “sonno profondo” cade su Abram, che si accorge di essere di fronte ad una apparizione divina, misteriosa.
  • 51. 13Allora il Signore disse ad Abram: «Sappi che i tuoi discendenti saranno forestieri in una terra non loro; saranno fatti schiavi e saranno oppressi per quattrocento anni. 14Ma la nazione che essi avranno servito, la giudicherò io: dopo, essi usciranno con grandi ricchezze. 15Quanto a te, andrai in pace presso i tuoi padri; sarai sepolto dopo una vecchiaia felice. 16Alla quarta generazione torneranno qui, perché l’iniquità degli Amorrei non ha ancora raggiunto il colmo». (Gen 15, 13-14) Dopo la predizione della lunga schiavitù di Israele in terra d’Egitto, Dio annuncia fin da ora il suo terribile giudizio nei confronti degli oppressori. Il suo popolo andrà invece verso la libertà ricolmo di ricchezze. 05.02.2015: Uno spaccato della vita degli ebrei durante l’esilio a Babilonia: lo testimoniano 110 tavolette di argilla in mostra per la prima volta al «Museo delle terre della Bibbia» di Gerusalemme. Grazie all'uso babilonese di scrivere la data su ogni documento, in base al re in quel momento sul trono, gli archeologi - secondo quanto reso noto dal museo - hanno fatto risalire le argille tra il 572 e il 477 prima di Cristo. I TUOI DISCENDENTI SARANNO FORESTIERI IN UNA TERRA NON LORO
  • 52. 17Quando, tramontato il sole, si era fatto buio fitto, ecco un braciere fumante e una fiaccola ardente passare in mezzo agli animali divisi. (Gen 15, 17) Nel Pentateuco, il termine “berit”, (alleanza), è usato per descrivere sia accordi tra i singoli patriarchi e re o potenti locali, sia il patto tra un uomo, in questo caso Abram, e Dio. Al v. 17 solo Yhwh passa tra gli animali divisi, Lui solo, dunque, si impegna a rispettare l’alleanza. Abram aderisce al patto con la sua fede. Nell’Antico Oriente, quando si stipulava un patto o un’alleanza fra due parti (re o tribù), si compiva anche un rito simbolico. Tale rito consisteva nel tagliare in due parti uno o più animali; in mezzo agli animali squartati e posti su due file, passavano i contraenti del patto. Il significato era imprecatorio: il trasgressore del patto avrebbe fatto la stessa fine di quegli animali. Da questa pratica deriva l’espressione ebraica “stipulare un’alleanza”, letteralmente «tagliare un’alleanza». IL SIGNORE PASSÒ
  • 53. 18In quel giorno il Signore concluse quest’alleanza con Abram «Alla tua discendenza io do questa terra, dal fiume d’Egitto al grande fiume, il fiume Eufrate; 19la terra dove abitano i Keniti, i Kenizziti, i Kadmoniti, 20gli Ittiti, i Perizziti, i Refaìm, 21gli Amorrei, i Cananei, i Gergesei e i Gebusei». (Gen 15, 18-21) IL SIGNORE CONCLUSE QUESTA ALLEANZA CON ABRAM Dopo un annunzio della storia futura di Israele (la schiavitù d’Egitto e l’Esodo), Yhwh assicura al Abram una lunga vita e gli promette che i suoi discendenti faranno ritorno nella terra di Canaan - ove Abram si trova come straniero residente. I confini, tuttavia, al v 18 risultano decisamente molto più vasti di quelli che effettivamente costituiranno la terra del popolo eletto. Il Signore passa in mezzo agli animali divisi, sotto il simbolo del fuoco (forno e fiaccola), tema caro alla Bibbia. E’ lui solo ad impegnarsi solennemente nei confronti di Abramo, e questo è affermato per ricordarci che l’alleanza è soprattutto dono che nasce dalla libera e gratuita iniziativa divina.
  • 54. PER IL NOSTRO SPIRITO Abramo, mosaico del XIII sec., Basilica di S. Marco, Venezia Anche nella nostra vita, a volte sperimentiamo la crisi, non vediamo avverarsi la promessa di Dio. La malattia, il fallimento, il lutto, il buio della fede ci fanno allontanare dalla fiducia in Dio. È in questo momento che il Signore rilancia: «Guarda le stelle». Mettiamoci allora in ascolto per ricevere la promessa di Dio, e concludere come Abramo che «credette».
  • 55. CAPITOLO 16: LA NASCITA DI ISMAELE Il capitolo 16 si sviluppa in tre scene distinte: versetti 1-6 La tentazione: Abram accetta la proposta di Sarai e si unisce ad Agar, che rimane incinta di lui. Versetti 7-14 L’angelo del Signore parla ad Agar in fuga dalla padrona e le preannuncia una numerosa discendenza. Versetti 15-16 La nascita di Ismaele, figlio di Abram e della schiava Agar. Sono due donne le attrici principali di questa storia: Sarai, moglie di Abram, Agar, serva di Sarai.
  • 56. 1Sarài, moglie di Abram, non gli aveva dato figli. Avendo però una schiava egiziana chiamata Agar, 2Sarài disse ad Abram: «Ecco, il Signore mi ha impedito di aver prole; unisciti alla mia schiava: forse da lei potrò avere figli». (Gen 16,1-2) UNISCITI ALLA MIA SCHIAVA Nonostante le ferme e inequivocabili assicurazioni divine , più volte reiterate, circa la nascita di un suo figlio legittimo, Abram ancora non ha eredi. Egli cede alla tentazione di risolvere il suo problema da solo, ascoltando la proposta di Sarai: la sua fede si dimostra ancora una volta fragile, Abramo cessa di riporre fiducia nella promessa di Dio per ricorrere alle astuzie e agli espedienti calcolati dell’uomo. L’episodio non è da noi giudicabile dal punto di vista morale, perché la pratica della maternità vicaria, attraverso la serva della moglie di un uomo, era nella prassi famigliare del Vicino Oriente Antico (Codice di Hammurabi e altri). Il figlio sarebbe stato considerato discendente della coppia ufficiale, mentre la madre sarebbe rimasta nel suo ruolo di serva.
  • 57. Abram ascoltò l’invito di Sarài. 3Così, al termine di dieci anni da quando Abram abitava nella terra di Canaan, Sarài, moglie di Abram, prese Agar l’Egiziana, sua schiava, e la diede in moglie ad Abram, suo marito. 4Egli si unì ad Agar, che restò incinta. Ma, quando essa si accorse di essere incinta, la sua padrona non contò più nulla per lei. (Gen 16,1-2) EGLI SI UNÌ AD AGAR, CHE RESTÒ INCINTA. La mancanza di figli, in quel contesto culturale, era ritenuta un grave disonore, dal momento che essa avrebbe reso impossibile la continuazione della discendenza. La generazione di prole, del resto, costituiva anche un motivo di sicura realizzazione e di benedizione per una donna. È probabilmente anche per tutto questo che tra Sarai e Agar, subito dopo il concepimento del figlio da parte di quest’ultima, sorsero conflitti generati, da una parte, da un sentimento di riscatto e di rivalsa, dall’altra da gelosia e invidia.
  • 58. 5Allora Sarài disse ad Abram: «L’offesa a me fatta ricada su di te! Io ti ho messo in grembo la mia schiava, ma da quando si è accorta d’essere incinta, io non conto più niente per lei. Il Signore sia giudice tra me e te!». 6Abram disse a Sarài: «Ecco, la tua schiava è in mano tua: trattala come ti piace». (Gen 16,5-6a) Abram, dimostrandosi sempre favorevole alle richieste di Sarai, le permette di decidere la punizione per Agar. Al riguardo, già l’antico codice di Ur-Nammu, in lingua sumerica, degli inizi del II millennio a. C., codifica una punizione verso la serva che abbia avuto l’ardire di equipararsi alla sua padrona rivolgendole anche parole di disprezzo: per condanna le si dovrebbe strofinare sulla bocca una notevole quantità di sale. ECCO, LA TUA SCHIAVA È IN MANO TUA IL VERSETTO 6 «È in mano tua» nella versione CEI del 1974, è stato tradotto: «è in tuo potere». Alla lettera, dall’ebraico, la seconda parte del v. 6 si traduce: «falle il bene ai tuoi occhi». La differenza, seppur minima, di traduzione, a volte può gettare una luce diversa sui fatti narrati.
  • 59. Sarài allora la maltrattò, tanto che quella fuggì dalla sua presenza. (Gen 16, 6b) La fuga di Agar, per Abram e Sarai è una perdita anche in senso economico: secondo il Codice di Ur-Nammu, un antico codice sumero (2000 a. C.), una schiava poteva valere circa cinque sicli d’argento, quanto 125 litri d’olio o 15 kg di lana. Il v. 6 chiude la prima scena dell’episodio con un bilancio decisamente negativo: Sarai perde la sua serva, Abram la madre del suo primogenito, Agar la famiglia che la ospita. HAGAR FUGGÌ I due frammenti del codice di Ur-Nammu conservati al Museo archeologico di Istambul.
  • 60. «L‘angelo del Signore» appare per la prima volta in questo brano della Genesi. Poi appare anche ad Abramo per impedirgli di sacrificare Isacco (Gen 22,11-18), a Mosè al pruno ardente (Es 3,2), a Balaam (Num 2,22-35), ad Israele (Giudici 2,1-4), e molte altre volte, sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento. È difficile parlare con certezza dell'identità di questo angelo, anche perché nei diversi brani elencati nel paragrafo precedente è descritto in modi diversi. La risposta più probabile è che l'espressione "l'angelo del Signore" si riferisca a diverse persone, e bisogna decidere in ogni caso dal contesto. L’ANGELO DEL SIGNORE (Gen 16,7) 7La trovò l’angelo del Signore presso una sorgente d’acqua nel deserto Beato Angelico, Angelo annunciante.
  • 61. Annamaria: l’angelo nella Genesi non era ancora definito come persona, è un inviato di Dio. Riflessioni e commenti Emanuela: ci sono alcune ipotesi, non una conclusione definitiva: a) Dio stesso, b) un angelo, c) Gesù Cristo. Ma il Pentateuco è anche la Bibbia ebraica e gli Ebrei non accettano Gesù, forse per loro angelo si può riferire al Messia? Don Sandro: Alcuni esegeti, esaminando le varie espressioni bibliche nelle diverse circostanze in cui appare, deducono che l'angelo del Signore è il Figlio, cioè Gesù prima della sua incarnazione. Il fatto che sia descritto come angelo non è un problema, perché la parola angelo vuol dire inviato o messaggero, e forse il testo usa la parola per descrivere il suo ruolo e non la sua identità. Quest’ultima conclusione è possibile, ma non è abbastanza chiara nella Bibbia per esserne certi. L'altra possibilità è che l'angelo del Signore, nei diversi brani, si riferisca a figure diverse (Dio stesso, un angelo speciale, o un angelo normale). Chi è l'angelo del Signore? Giovanni: angelo significa messaggero, è una forma secondo cui Dio si manifesta al suo popolo. Alcuni esegeti dicono che sia Dio stesso, perché non è chiamato «cherubino» o con altri nomi specifici, ma, genericamente, angelo. Luigino: un ambasciatore di Dio, che parla in suo nome; rappresenta Dio che non può figurare in un colloquio diretto con l’essere umano.
  • 62. 7La trovò l’angelo del Signore presso una sorgente d’acqua nel deserto, la sorgente sulla strada di Sur, 8e le disse: «Agar, schiava di Sarài, da dove vieni e dove vai?». Rispose: «Fuggo dalla presenza della mia padrona Sarài». (Gen 16,7-8) La seconda scena del racconto si apre con Hagar, l’egiziana, in fuga dalla sua padrona: essa è ritratta nel deserto presso una sorgente, su una delle vie in direzione della sua patria di origine. SULLA STRADA DI SUR Secondo le indicazioni che dà il testo biblico, questa località si trova nel deserto del Negheb, a sud della Palestina, lungo una delle vie commerciali che portavano in Egitto,”la strada dl Sur”. Tiepolo, Palazzo Patriarcale di Udine, Agar e l’angelo
  • 63. I vv. 9-12 contengono un triplice discorso dell’angelo ad Agar, con tre identiche introduzioni ai vv. 9,10,11. Il discorso originario, tuttavia, dovrebbe individuarsi solo nei vv. 11 e 12, ovvero nell’oracolo dedicato alla nascita e alle future sorti del bambino, mentre i due precedenti dovrebbero, con forte probabilità, attribuirsi a successivi inserimenti di origine redazionale. 9Le disse l’angelo del Signore: «Ritorna dalla tua padrona e restale sottomessa». 10Le disse ancora l’angelo del Signore: «Moltiplicherò la tua discendenza e non si potrà contarla, tanto sarà numerosa». 11Soggiunse poi l’angelo del Signore: «Ecco, sei incinta: partorirai un figlio e lo chiamerai Ismaele, perché il Signore ha udito il tuo lamento. LE DISSE L’ANGELO DEL SIGNORE La promessa alla schiava Agar di moltiplicare la sua discendenza,è simile a quella che Dio fa ad Abramo. Questo significa, per il popolo di Israele , che Dio non ha confini, Egli manifesta sollecitudine per tutti i suoi figli. Ancora più interessante è questa considerazione se la attribuiamo ad una origine redazionale, perché mostra che il popolo ebraico, appena uscito dalla pesante schiavitù babilonese durata 400 anni, ha fiducia in un Dio paziente e misericordioso. Cupola di Abramo, S. Marco, Venezia, part.
  • 64. 12Egli sarà come un asino selvatico; la sua mano sarà contro tutti e la mano di tutti contro di lui, e abiterà di fronte a tutti i suoi fratelli». (Gen 16,7-8) Tre cose dice l’angelo ad Agar, legate l’una all’altra: la prima è di tornare da Sarai ed esserle sottomessa. La seconda è la promessa di una discendenza numerosa, proprio come ad Abram. La terza è l’attuazione della promessa: Agar partorirà un figlio, Ismaele (lett. Dio ascolta). Asino selvatico in ebraico significa «selvatico uomo» ed indica un uomo libero, che vive a contatto con la natura. La descrizione vuole probabilmente alludere ai popoli nomadi che vivevano nell’Arabia (Araba Felix). COME UN ASINO SELVATICO
  • 65. Riflessioni e commenti «Egli sarà come un asino selvatico»: che cosa significa? Annamaria: onagro, asino selvatico, significa persona indipendente, come i nomadi nel deserto. Don Sandro: il testo ha avuto traduzioni diverse: Bibbia dei 70: «eremos antropos», uomo dei campi; Vulgata: «ferus homo»; Targum: «ribelle»; Testo masoretico: «uomo della steppa». CEI 1974 «onagro»; CEI del 2008 «asino selvatico». Particolare decorativo della Porta di Ishtar, uno degli ingressi di Babilonia. VI sec. a.C. La traduzione della CEI 1974 (onagro) e quella CEI del 2008 (asino selvatico) non sono molto felici, perché non traducono anche la parola «uomo» che nell’ebraico c’è e che precisa meglio il concetto. Più vicina al testo originale è la traduzione «uomo della steppa», non una interpretazione negativa, ma, piuttosto, nostalgica della vita libera dei nomadi.
  • 66. 13Agar, al Signore che le aveva parlato, diede questo nome: «Tu sei il Dio della visione», perché diceva: «Non ho forse visto qui colui che mi vede?». 14Per questo il pozzo si chiamò pozzo di Lacai-Roì; è appunto quello che si trova tra Kades e Bered. (Gen 16,13-14) L’annunzio dell’angelo viene ambientato presso un pozzo e una località che, forse, erano un santuario noto ai tempi della stesura del racconto. Si cerca, allora di giustificarne il culto e spiegarne il nome “Lacai-Roi”. La spiegazione viene data collegando “Roi” al verbo ebraico “raah, che significa “vedere”; infatti il culto è associato ad una visione di Dio. IL DIO DELLA VISIONE Guercino: L’ Angelo appare ad Agar
  • 67. 15Agar partorì ad Abram un figlio e Abram chiamò Ismaele il figlio che Agar gli aveva partorito. 16Abram aveva ottantasei anni quando Agar gli partorì Ismaele. (Gen 16, 15- 16) Il racconto della nascita di un figlio ad Abramo dalla schiava Agar, è basato su uno schema che incontreremo altrove nella Bibbia. Appare innanzitutto un “angelo” che delinea la grandezza del figlio che sta per nascere. Il nome “Ismaele” deriva dal verbo ebraico “shama” = “ascol- tare” e da “El” = Dio”. Si preannunzia, così, il futuro del bambino, capostipite di un popolo forte e nomade (gli Ismaeliti) che vivrà nel deserto, in frequente conflitto con i “sedentari”. La tradizione vedrà in Ismaele il progenitore degli Arabi. PARTORÌ AD ABRAM UN FIGLIO Quando Agar partorì Ismaele Abram aveva ottantasei anni. Il numero 86 nella cabala ebraica indica il nome di Dio, ELOHIM. Mosaico della cupola di Abramo, S. Marco, Venezia
  • 68. PER IL NOSTRO SPIRITO IL TRAVAGLIO DELLA FEDE Abramo, il Padre della fede, va in crisi molte volte, è soggetto alla debolezza come ognuno di noi. Abramo è ciascuno di noi. Dobbiamo prendere coscienza che la Fede è un dono divino da accogliere contro tutte le evidenze umane. Il suo percorso non è mai concluso. Dio ama tutti i suoi figli e per ciascuno di noi prepara una strada che ci riporti continuamente a Lui, nonostante tutti i nostri errori.
  • 69. CAPITOLO 17 La stipulazione dell’alleanza nel segno della circoncisione L’intero capitolo è di matrice sacerdotale, è solenne, severo, simmetrico. È stato scritto, probabilmente, nel post-esilio, tra il VI e il IV secolo a. C. Dio ripropone ad Abramo l’alleanza rinnovandogli e precisandogli le promesse: la discendenza numerosa, la terra di Canaan, il figlio della promessa. Si tratta di un’alleanza bilaterale, Abramo dovrà rispondere con la fedeltà suggellata dal segno della circoncisione.
  • 70. 17 1Quando Abram ebbe novantanove anni, il Signore gli apparve e gli disse: «Io sono Dio l’Onnipotente» (Gen, 17,1) IL SIGNORE GLI APPARVE Al versetto 1 Yhwh si presenta ad Abram con il titolo di “El-Sadday”. Il significato di questo nome è stato variamente interpretato: La Settanta: Pantocrator CEI 1974: Dio onnipotente (aggettivo) CEI 2008: L’Onnipotente (sostantivo) Vulgata: Deus omnipotens La traduzione attualmente più seguita lo dice proveniente dall’accadico «Sadu», e lo traduce con «Dio della Montagna». Dopo un intervallo temporale di 13 anni, la sterilità di Sara si è andata confermando sempre più e il vero e unico erede di Abram sembra il figlio nato dalla schiava Agar. Ma Dio irrompe di nuovo sulla scena, riproponendo e definendo in modo sempre più fermo la sua alleanza e le sue promesse.
  • 71. Cammina davanti a me e sii integro. 2Porrò la mia alleanza tra me e te e ti renderò molto, molto numeroso». (Gen, 17,2) CAMMINA DAVANTI A ME Il Signore chiede ad Abramo esplicitamente: “Cammina davanti a me “ (lett.: “davanti al mio volto”). Il suo comportamento deve somigliare a quello di Enoch e di Noè, che ”camminavano con Dio” (Gen 5,24; 6,9). Inoltre aggiunge: “Sii integro“. Anche in questo caso Abramo deve somigliare a Noè. “Integro ”è una parola usata spesso in testi rituali: l'animale sacrificale doveva essere integro, “senza difetto” (Lv 1,3.10). “Alleanza”, in ebraico “Berit”, è un concetto teologico molto importante nell’A. T. L’idea di un rapporto di vicinanza e solidarietà tra Dio e l’uomo era già apparso nel cap. 9 della Genesi, con Noè (9, 8-17); là il segno di questo fatto era stato “l’arcobaleno”. Dopo, l’alleanza era riapparsa nella scena degli animali squartati (Gen. 15, 7-21); ora è formulata in maniera rigorosa e ripetuta e viene suggellata dal segno della circoncisione.
  • 72. 3Subito Abram si prostrò con il viso a terra e Dio parlò con lui: 4«Quanto a me, ecco, la mia alleanza è con te: diventerai padre di una moltitudine di nazioni. 5Non ti chiamerai più Abram, ma ti chiamerai Abramo, perché padre di una moltitudine di nazioni ti renderò. (Gen, 17,3-5) L’intenzione di Dio è quella di stabilire un’alleanza perenne (berit) con Abram e, attraverso di lui, con tutta la sua discendenza a venire, in modo che l’altra parte contraente, oltre a Dio, non sia il solo Abram, ma tutte le future generazioni da lui discese. TI CHIAMERAI ABRAMO Per indicare la svolta che sta avvenendo, Abramo - che finora era stato chiamato “Abram” (Il Padre Dio è sublime) - riceve il nome nuovo di “Abraham” (ab= padre e hamom = moltitudine) “Padre di una moltitudine”. Mutare il nome nell’Antico Oriente significa anche mutare il destino e la vocazione. Nella Bibbia il cambiamento è spesso collegato ad una nuova missione che il Signore affida all’uomo (“Non ti chiamerai più Pietro, ma “Cefa”).
  • 73. Riflessioni e commenti Il nome indica l’identità di una persona. Cosa significa il cambiamento del nome? Don Sandro: anche ai nostri giorni in alcune circostanze è d’uso cambiare il nome, ad esempio le monache e il Papa … lo fanno per esprimere la nuova missione che inizia, per il Papa è di solito un nome programmatico. Ma nel Battesimo noi abbiamo ricevuto un nome molto più importante della consacrazione religiosa (Vaticano II), il nome che ci qualifica come figli di Dio e salvati. Giuseppe: il nome del Battesimo è quello che ci inserisce nella Chiesa, che ci fa riconoscere come Cristiani. Giovanni: Abramo accoglie da parte di Dio una specie di battesimo, la circoncisione, che gli dà una missione e lo rende protagonista di un percorso di salvezza per tutta l’umanità. Vera: Abram e Abramo, secondo alcuni autori, sono due forme dello stesso nome.Cattedrale di Otranto, mosaico pavimentale, 1163 e il 1165.
  • 74. 6E ti renderò molto, molto fecondo; ti farò diventare nazioni e da te usciranno dei re. 7Stabilirò la mia alleanza con te e con la tua discendenza dopo di te, di generazione in generazione, come alleanza perenne, per essere il Dio tuo e della tua discendenza dopo di te». (Gen, 17, 6-7) Abramo diventa padre di una moltitudine di nazioni e anche di re, è chiamato ad avere un ruolo universale (12,3). Dio aveva detto che avrebbe moltiplicato Abramo “grandemente” (12,2), qui afferma: “E ti renderò fecondo assai assai” (17,6). Yhwh riprende i due verbi “moltiplicare” e “rendere fecondo” (parah) che aveva rivolto all'umanità all'inizio della creazione (1,28) e a Noè dopo il diluvio, dunque all'inizio della nuova creazione (9,1.7). PER ESSERE IL DIO TUO Abramo è chiamato ad essere il prototipo umano di una nuova epoca nella storia del mondo e, nella fattispecie, di un nuovo rapporto tra Dio e il popolo che da lui stesso discenderà. Un grande privilegio è legato a questa alleanza: “Sarò il loro Dio” (v. 8). (Settanta: ”sarò per loro Dio”; Vulgata: ”sarò loro Dio”) La redazione sacerdotale, nel post-esilio, riconferma: «Dio è il nostro Dio». Questo dà al popolo fiducia e speranza.
  • 75. 8La terra dove sei forestiero, tutta la terra di Canaan, la darò in possesso per sempre a te e alla tua discendenza dopo di te; sarò il loro Dio». (Gen, 17, 8) Nel confermare la sua promessa di un figlio, Dio approfondisce e precisa anche la promessa di una terra: nonostante Egli l’abbia più volte assicurata ad Abramo e, attraverso di lui ai suoi discendenti, è solo in 17,8 che essa viene esplicitamente fatta coincidere con la “terra di Canaan”. Yhwh “darà” questa terra ad Abramo e alla sua discendenza in proprietà perenne (v. 8), come aveva promesso precedentemente (12,7; 13,15; 15,18). LA TERRA DI CANAAN Le colline della Giudea viste dai contrafforti di Moab. Canaan tra le grandi potenze nell'800 a.C.
  • 76. 9Disse Dio ad Abramo: «Da parte tua devi osservare la mia alleanza, tu e la tua discendenza dopo di te, di generazione in generazione. 10Questa è la mia alleanza che dovete osservare, alleanza tra me e voi e la tua discendenza dopo di te: sia circonciso tra voi ogni maschio. 11Vi lascerete circoncidere la carne del vostro prepuzio e ciò sarà il segno dell’alleanza tra me e voi. (Gen, 17, 9-11) VI LASCERETE CIRCONCIDERE La Scrittura, oltre alla circoncisione di Abramo, di Ismaele e di tutti i maschi della sua casa, ricorda esplicitamente, tra le altre, la circoncisione di Isacco, di Mosè e di suo figlio Ghersom, di tutto il popolo entrato nella terra promessa, di Achior, comandante degli Ammoniti, di Giovanni il Battista, di Gesù stesso. Dio promette ad Abramo una discendenza e una terra, chiedendo in cambio, attraverso un segno concreto, la fedeltà del patriarca e della sua discendenza. In tutto il cap. 17, per 14 volte (numero simbolico che dice pienezza, totalità, il due volte sette è considerato un numero perfetto), risuona la parola “alleanza”, vocabolo che ricorre 287 volte nella Bibbia.
  • 77. 12Quando avrà otto giorni, sarà circonciso tra voi ogni maschio di generazione in generazione, sia quello nato in casa sia quello comprato con denaro da qualunque straniero che non sia della tua stirpe. 14Il maschio non circonciso, di cui cioè non sarà stata circoncisa la carne del prepuzio, sia eliminato dal suo popolo: ha violato la mia alleanza». (Gen, 17, 12-14) Mentre nell’episodio degli animali squartati (Gen. 15, 7-21), Dio aveva proposto un’alleanza unilaterale, (solo Dio si impegnava ad osservarla, Abramo doveva solo credere), ora Yhwh chiede in cambio un rito da osservare perennemente, da Abramo e da tutta la sua discendenza: la circoncisione. Nell’ebraismo questo rito è conosciuto anche oggi col nome di b’rit milà, ovvero alleanza della circoncisione. Diversi popoli praticavano la circoncisione per ragioni igieniche e ad essa, quindi, è legata la nozione di purità e di fertilità. Per gli Ebrei essa assume un significato simbolico, simile all'azione di passare in mezzo alle parti degli animali divisi (c. 15) e diventa un segno visibile di appartenenza al popolo dell'alleanza, (v. 11), così come l'arcobaleno fu il segno dell'alleanza con Noè. L'ottavo giorno ricorda il Riposo di Dio, dopo i sette giorni della Creazione (Gen 1). SARÀ CIRCONCISO TRA VOI OGNI MASCHIO
  • 78. 15Dio aggiunse ad Abramo: «Quanto a Sarài tua moglie, non la chiamerai più Sarài, ma Sara. 16Io la benedirò e anche da lei ti darò un figlio; la benedirò e diventerà nazioni, e re di popoli nasceranno da lei». (Gen, 17, 15-16) La stessa sorte sarà riservata anche alla moglie, la madre del futuro figlio della promessa, essa pure interessata, per la prima volta, dalla stipulazione di un’alleanza con Dio: non più Sarai, bensì Sara. Con questo espediente si afferma con forza la radicalità del cambiamento che questa alleanza di Dio produrrà nei suoi contraenti umani. NON LA CHIAMERAI PIÙ SARAI MA SARA È singolare il fatto che Yhwh comunichi questo non a Sara, ma ad Abramo. Come Abramo, Sara riceve una benedizione con una portata dapprima immediata, poi più universale. La benedizione immediata è una sorpresa totale: “un figlio ti darò da lei”: Dio gli fa adesso capire che la sua discendenza non sarà il risultato di iniziative umane, ma il frutto di una promessa.
  • 79. Riflessioni e commenti La circoncisione, così importante per gli Ebrei, è diventata con il tempo un vuoto formalismo. Succede qualcosa di simile anche a noi cristiani? Giovanni: Il Profeta Geremia (4,4) e il Deuteronomio (10,10) richiamano il significato spirituale di questo gesto parlando della “circoncisione del cuore” e non solo del “prepuzio virile”. Anche S. Paolo parla di circoncisione del cuore. Rolando: il Battesimo lava il peccato originale. La circoncisione ha perso significato quando è arrivato Gesù Cristo e la predicazione a tutto il mondo. il Battesimo è la circoncisione del cristiano. Don Sandro: con il passare dei millenni, il Battesimo rischia di divenire un formalismo vuoto, staccato da una scelta di vita, sterile perché il contesto non aiuta la crescita nella fede. Che senso ha dare il Battesimo quando non c’è un contesto famigliare cristiano? Alcune confessioni cristiane battezzano da adulti. Nel Cattolicesimo è in atto una riflessione sul da farsi per dare slancio alla fede. Emanuela: ai nostri giorni anche per gli ebrei la circoncisione ha perso il carattere religioso per diventare solo un rito di appartenenza all’ebraismo. Luigino: un tempo si battezzavano i bambini per il terrore che se fossero morti senza il Battesimo sarebbero andati nel limbo. Forse è da rivedere tutto il concetto di peccato originale. Don Sandro: il limbo è una figura teologica inventata per esprimere la speranza della salvezza universale, per chiunque non ponga ostacoli a Dio. Luciano: ci vuole ancora il Battesimo per essere salvati? Un islamico, chi non conosce Cristo si può salvare? Don Sandro: Cristo attira a sé tutti, non solo i cristiani, tutta l’umanità che non pone ostacoli: il cristiano è «incorporato» con i sacramenti, ma si salva anche chi è «ordinato» a Gesù Cristo pur senza conoscerlo.
  • 80. IO SARÒ IL VOSTRO DIO E VOI IL MIO POPOLO «In lui voi siete stati anche circoncisi non mediante una circoncisione fatta da mano d’uomo con la spogliazione del corpo di carne, ma con la circoncisione di Cristo: con lui sepolti nel battesimo, con lui siete anche risorti mediante la fede nella potenza di Dio, che lo ha risuscitato dai morti». (Col 2, 11-13) circoncisione del cuore è appartenere a Dio PER IL NOSTRO SPIRITO
  • 81. Il capitolo 18 è sostanzialmente accomunato al capitolo 19 dal tema della distruzione di Sodoma e Gomorra. I testi di questi capitoli, costituiti da narrazioni abbastanza eterogenee per stile e contenuti, paiono appartenere a epoche abbastanza recenti, post- esiliche, anche se riportano tradizioni molto più antiche. La quasi totalità di questi due capitoli si occupa di eventi occorsi in un lasso di tempo inferiore alle ventiquattro ore: dal primo pomeriggio del primo giorno all’alba del giorno successivo. Capitolo 18 Il capitolo 18 è formato da due parti: 1 - apparizione del Signore ad Abramo alle querce di Mamre. (vv. 1-15). Il v. 16 funge da transizione tra il primo e il secondo episodio. 2 – intercessione di Abramo per salvare le città di Sodoma e Gomorra. (vv. 17-23). È una narrazione di grande suggestione, ambientata sotto le tende del deserto. Sappiamo già che Abramo risiede nella zona di Ebron, presso le querce di Mamre (Gen. 13,18). E’ su questo sfondo che ora la tradizione Jahwista sviluppa il racconto che tanta eco ha avuto nella storia dell’era cristiana. S. Vitale, Ravenna. I tre angeli apparsi ad Abramo.
  • 82. L’episodio dei tre personaggi misteriosi che si profilano davanti alla tenda di Abramo, è stato interpretato liberamente da molti Padri della Chiesa in riferimento al mistero della Trinità. Questo perché nel testo si parla di tre uomini, ma Abramo (v.3) parla rivolgendosi ad uno solo (“Abramo vide tre uomini e ne adorò uno solo”, dice S. Ambrogio). Il testo, però, così com’è, vuole invece solo raccontare una “teofania” (manifestazione di Dio) collegata alla promessa di un figlio fatta ad Abramo, attraverso messaggeri divini; infatti lo stile (Jahwista) è antropomorfico, cioè una raffigurazione di Dio sotto spoglie umane, ciò è confermato dal fatto che Abramo (v.3) si rivolge a loro come se fossero un’unica figura (“Mio signore, non passare oltre senza fermarti”). TEOFANIA La tradizione giudaica identifica i tre uomini visti da Abramo con figure celesti: gli angeli Michele, Gabriele e Raffaele. Andrej Rublev: la Trinità
  • 83. 1Poi il Signore apparve a lui alle Querce di Mamre, mentre egli sedeva all’ingresso della tenda nell’ora più calda del giorno. 2Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui. (Gen 18,1-2) IL SIGNORE APPARVE ALLE QUERCE DI MAMRE È la terza volta che “il Signore apparve a lui” (lett.: “si fa vedere”) (cfr.:12,7; 17,1). Il versetto 1 serve da titolo al racconto e rivela al lettore che l'avvenimento è un'apparizione divina, cosa che Abramo e Sara scoprono soltanto gradualmente. Sebbene il lettore sia informato sin dagli inizi che gli ospiti che Abramo si accinge ad accogliere costituiscono, in realtà, la presenza stessa di Yhwh, Abramo, nel mondo del racconto, rimane del tutto escluso da questa informazione. Egli, infatti, non vede avvicinarsi che “tre uomini”: questi visitatori gli sembrano esseri umani, la loro apparenza non ha nulla di speciale. Duomo di Parma: Abramo e i tre angeli
  • 84. Appena li vide, corse loro incontro dall’ingresso della tenda e si prostrò fino a terra, 3dicendo: «Mio signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passare oltre senza fermarti dal tuo servo. 4Si vada a prendere un po’ d’acqua, lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l’albero. 5Andrò a prendere un boccone di pane e ristoratevi; dopo potrete proseguire, perché è ben per questo che voi siete passati dal vostro servo». Quelli dissero: «Fa’ pure come hai detto». (Gen 18,3-5) Abramo e i tre angeli, Duomo di Monreale, sec. XII Il testo presenta la particolarità di descrivere determinate azioni non soltanto mediante verbi coniugati al plurale, bensì anche al singolare, come se, nella loro totalità, i tre uomini non costituissero che un’unica personalità. Ci troviamo continuamente di fronte a un doppio senso: si può intendere tutto come se i visitatori fossero uomini, ma anche come se fossero Dio. Abramo crede di parlare a degli uomini, ma il lettore, che conosce la vera identità dei visitatori, sa che egli parla a Dio. MIO SIGNORE
  • 85. Riflessioni e commenti Come interpretare l’apparizione dei «tre uomini» alle querce di Mamre? Giovanni: sarà chiarito nel cap. 19 che si tratta del Signore accompagnato da due angeli, quelli che vanno a Sodoma mentre Dio resta con Abramo. Il Signore è rappresentato in modo antropomorfico. D’altronde forse la soluzione si trova nella frase: «c’è forse qualcosa di impossibile a Dio?» Emanuela: il dubbio sorge perché i verbi a volte sono al singolare e a volte al plurale. Se si interpreta in chiave cristologica si intravede la presenza della Trinità. In chiave teologica si può pensare a Dio accompagnato da due angeli. Don Sandro: nel versetto 1 il redattore dà la chiave didascalica del racconto: il Signore appare accompagnato dalla sua corte angelica. Abramo vede tre uomini, non distingue Yhwh dagli altri due, ma intuisce poco alla volta che si tratta di una visione. Annamaria: i Padri della Chiesa con una lettura simbolica, non basata sul testo, vedono nell’episodio l’annuncio della Trinità. Giorgia: si tratta di antropomorfismo, Dio si manifesta attraverso queste tre figure. Luigino: Dio si presenta con due angeli. Al v. 17 si parla del Signore mentre «diceva tra sé»: come si sono potuti azzardare, i redattori, a interpretare il pensiero di Dio? Rolando: all’inizio Abramo si prostra, questo è tipico del saluto orientale, dove l’ospite è sempre trattato con estrema deferenza. Non è necessariamente adorazione di Dio.
  • 86. Riflessioni e commenti Don Sandro: parlare di antropomorfismo sembra essere un po’ generico, l’interpretazione trinitaria è stata elaborata successivamente, dai Padri della chiesa. L’interpretazione più corretta è che si tratti di Dio con la sua corte. Durante il racconto la natura dei tre personaggi emerge da alcuni indizi: 1. se erano solo dei passanti come potevano conoscere che Sara era la moglie di Abramo? 2. come potevano sapere che Sara stava ridendo dentro di sé? 3. la promessa del figlio può essere fatta solo dalla divinità. Si tratta quindi di una teofania, una manifestazione divina espressa con un linguaggio comprensibile all’epoca del racconto. Come interpretare l’apparizione dei «tre uomini» alle querce di Mamre? Il riso di Sara. Sara ride e viene benedetta, Zaccaria ride e viene castigato. Perché? Giuseppe: Izchaq – Isacco vuol dire “ride”. Ora ride Dio: il nome Isacco sottintende infatti un soggetto e questi non può essere che Dio: Dio-ride. Don Sandro: i Targum cambiano il verbo «rise» con: « si rallegrò» e «si meravigliò». Giovanni: Sara, come donna, non è ammessa al dialogo e al banchetto ma sta all’ingresso della tenda, pronta al servizio. La reazione di Sara è, quindi, molto comprensibile, lei non sa che si tratta di una visita di Dio, pensa che quei visitatori siano uomini di passaggio.
  • 87. 6Allora Abramo andò in fretta nella tenda, da Sara, e disse: «Presto, tre sea di fior di farina, impastala e fanne focacce». 7All’armento corse lui stesso, Abramo; prese un vitello tenero e buono e lo diede al servo, che si affrettò a prepararlo. 8Prese panna e latte fresco insieme con il vitello, che aveva preparato, e li porse loro. Così, mentre egli stava in piedi presso di loro sotto l’albero, quelli mangiarono. (Gen 18,6-8) La narrazione è inizialmente tutta contrassegnata dalla sontuosa ospitalità che è offerta da Abramo, secondo i canoni dell’accoglienza cordiale riservata all’ospite in Oriente. “Staia”, in ebraico “seah” indica una misura di capacità usata per i solidi, che può equivalere a 7 o anche a 12 litri circa. “Il latte” usato era soprattutto quello di pecora o di capra; “fresco”, cioè appena munto, veniva usato come bevanda dissetante. Il v. 6 presenta la glossa di un tardivo redattore, che aggiunge a «farina» «fior di farina», un tipo di farina usato per le offerte legate al culto. Con questa inserzione, quindi, il redattore ha implicitamente voluto suggerire al suo lettore che Abramo avesse intuito la sacralità dei suoi ospiti. TRE SEA DI FIOR DI FARINA S. Maria Maggiore: visita del Signore ad Abramo.
  • 88. 9Poi gli dissero: «Dov’è Sara, tua moglie?». Rispose: «È là nella tenda». 10Riprese: «Tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio». Intanto Sara stava ad ascoltare all’ingresso della tenda, dietro di lui. 11Abramo e Sara erano vecchi, avanti negli anni; era cessato a Sara ciò che avviene regolarmente alle donne. 12Allora Sara rise dentro di sé e disse: «Avvizzita come sono, dovrei provare il piacere, mentre il mio signore è vecchio!». (Gen 18, 9-12) SARA RISE DENTRO DI SÉ Abramo ormai vecchio (100 anni) e Sara in menopausa, rimangono scettici di fronte a quell’annunzio così circostanziato (“tra un anno Sara avrà un figlio”). Sara che, come donna, non è ammessa al dialogo e al banchetto ma sta all’ingresso della tenda, pronta al servizio, all’udire quelle parole “ride”. In questo modo si vuole nuovamente sottolineare l’impossibilità umana rispetto alla realizzazione della promessa divina, più volte reiterata, di un legittimo discendente di Abramo e di Sara. Il nome del figlio annunciato da questa promessa, come già in 17,17, è legato all’azione di un sorriso: là da parte di Abramo, qui di Sara. In Gen. 21,6 quel nome sarà interpretato come “un sorriso del Signore” . Abramo e i tre angeli, Duomo di Monreale, part.
  • 89. 13Ma il Signore disse ad Abramo: «Perché Sara ha riso dicendo: “Potrò davvero partorire, mentre sono vecchia”? 14C’è forse qualche cosa d’impossibile per il Signore? Al tempo fissato tornerò da te tra un anno e Sara avrà un figlio». 15Allora Sara negò: «Non ho riso!», perché aveva paura; ma egli disse: «Sì, hai proprio riso». (Gen 18, 13-15) A questo punto si profila in quegli uomini il volto del Signore che interpella la donna sulla sua incredulità: “C’è forse qualche cosa che sia impossibile per il Signore?” (v.14). Si assiste, allora, a una schermaglia tra il Signore e Sara proprio attorno a quel riso che esprimeva il dubbio umano. Ritorna, quindi, il simbolo del “ridere” incredulo, che avevamo già incontrato nel capitolo precedente, là messo sulle labbra di Abramo (17,17). Tutto questo prepara il significato che si attribuirà al nome “Isacco” (dal verbo ebraico “Sahaq”= “Dio ride”), il figlio che alla fine nascerà a Sara e ad Abramo. C’È FORSE QUALCHE COSA D’IMPOSSIBILE PER IL SIGNORE? Marc Chagall: visita dei tre angeli ad aAbramo
  • 90. 16Quegli uomini si alzarono e andarono a contemplare Sòdoma dall’alto, mentre Abramo li accompagnava per congedarli. 17Il Signore diceva: «Devo io tenere nascosto ad Abramo quello che sto per fare, 18mentre Abramo dovrà diventare una nazione grande e potente e in lui si diranno benedette tutte le nazioni della terra? 19Infatti io l’ho scelto, perché egli obblighi i suoi figli e la sua famiglia dopo di lui a osservare la via del Signore e ad agire con giustizia e diritto, perché il Signore compia per Abramo quanto gli ha promesso». (Gen 18, 16-19) Attraverso le considerazioni interiori espresse da Yhwh, riguardo ai doveri di Abramo nei confronti della sua futura discendenza, viene espressa una sensibilità diversa rispetto a quanto dichiarato in Gen 17. Infatti al dovere di osservare la circoncisione, in 18,19, si aggiunge il dovere di insegnare “ai suoi figli e alla sua casa dopo di lui” l’osservanza della “via di Yhwh”. Nel v. 18 trova spazio il ricordo della benedizione legata alla persona di Abramo, per mezzo della quale le “nazioni della terra” potranno dirsi benedette (cfr. 12,3), così come si rinnova la promessa, da parte di Yhwh, di far diventare lo stesso Abramo una grande nazione. L’INTERCESSIONE DI ABRAMO PER SODOMA.
  • 91. 20Disse allora il Signore: «Il grido di Sòdoma e Gomorra è troppo grande e il loro peccato è molto grave. 21Voglio scendere a vedere se proprio hanno fatto tutto il male di cui è giunto il grido fino a me; lo voglio sapere!». 22Quegli uomini partirono di là e andarono verso Sòdoma, mentre Abramo stava ancora alla presenza del Signore. (Gen 18, 20-22) La scena si carica improvvisamente di tensione e di paura. Il Signore decide di rivelare al suo fedele Abramo ciò che egli sta per compiere nei confronti degli abitanti malvagi e corrotti di quella regione. Dalle città di Sodoma e Gomorra sale a Dio come un grido di peccato e di ingiustizia. Con un’immagine umana si presenta allora il Signore in ispezione: egli la compie attraverso due dei visitatori che Abramo aveva appena ospitato. Qui il testo chiarisce un po’ il mistero: gli uomini se ne vanno e il Signore resta. I tre visitatori sono, dunque, Yhwh accompagnato da due angeli. La confusione apparente illustra, a suo modo, la difficoltà di parlare del contatto tra il mondo divino e il mondo umano. Il credente non può ricorrere che a delle immagini. VOGLIO SCENDERE A VEDERE
  • 92. 23Abramo gli si avvicinò e gli disse: «Davvero sterminerai il giusto con l’empio? 24Forse vi sono cinquanta giusti nella città: davvero li vuoi sopprimere? E non perdonerai a quel luogo per riguardo ai cinquanta giusti che vi si trovano? 25Lontano da te il far morire il giusto con l’empio, così che il giusto sia trattato come l’empio; lontano da te! Forse il giudice di tutta la terra non praticherà la giustizia?». 26Rispose il Signore: «Se a Sòdoma troverò cinquanta giusti nell’ambito della città, per riguardo a loro perdonerò a tutto quel luogo». (Gen 18, 23-26) La volontà, da parte di Yhwh, di confidare ad una creatura i suoi intimi progetti è particolarmente legata all’istituzione profetica. Del resto, sarà lo stesso Yhwh, in Gen 20,7, a parlare di Abramo qualificandolo espressamente come “profeta”. Per la prima volta, inoltre, nella Scrittura viene riportato un dialogo così lungo ed articolato tra l’uomo e il suo Dio. Questi versetti dipingono Abramo come il primo orante intercessore della storia di Israele, prerogativa, questa, legata più che altro alle figure dei profeti (Mosè, Samuele, Geremia, Amos, ecc.). A differenza degli altri profeti, tuttavia, Abramo non intercede a favore della propria discendenza, bensì per Sodoma, la città straniera e peccatrice, nei cui suburbi il suo nipote Lot era andato ad abitare. PER RIGUARDO A LORO PERDONERÒ
  • 93. 31Riprese: «Vedi come ardisco parlare al mio Signore! Forse là se ne troveranno venti». Rispose: «Non la distruggerò per riguardo a quei venti». 32Riprese: «Non si adiri il mio Signore, se parlo ancora una volta sola: forse là se ne troveranno dieci». Rispose: «Non la distruggerò per riguardo a quei dieci». 33Come ebbe finito di parlare con Abramo, il Signore se ne andò e Abramo ritornò alla sua abitazione. (Gen 18, 31-33) L’intercessione di Abramo per gli abitanti di Sodoma si ferma ad una presunta presenza, nella loro città, di almeno 10 giusti, per riguardo dei quali Dio si è impegnato a desistere dalla sua volontà di distruzione. Nel capitolo 19, 4-9, verremo a sapere che tra gli uomini della città non c’era neppure un giusto. Nella concezione degli antichi il numero 10 indica il più piccolo dei gruppi. Nella tradizione giudaica “dieci” è il numero minimo di uomini richiesto per poter celebrare la preghiera liturgica. Dall’altro lato, invece, si marca il progressivo ardire di Abramo: “ Vedi come ardisco parlare... Non si adiri il mio Signore... Il mio Signore non voglia irritarsi...”. Distruzione di Sodoma e Gomorra, affresco russo del 1662 IL SIGNORE SE NE ANDÒ
  • 94. PER IL NOSTRO SPIRITO La grande fede di Abramo e il suo rispetto verso Dio si concretizzano in un’ospitalità pronta e sontuosa. Viene così proposto quell’aspetto della fede, che sarà poi ampiamente sviluppato in tutta la Bibbia, che si traduce nell’ospitalità verso il parente, l’amico, il connazionale, il pellegrino, il povero, il perseguitato, lo straniero. L’ospitalità diventa un modo concreto di vivere il rapporto con Dio e un modo di rinsaldare i legami di solidarietà con i fratelli. Gesù rilancerà con forza questo messaggio, facendone uno dei segni del Regno e il metro di misura della fedeltà al Vangelo (Lc 10,38; Mt 10,40). E’ un aspetto della fede divenuto oggi d’attualità in Occidente in questi tempi d’immigrazione e di nuove povertà. La preghiera di intercessione di Abramo sarà seguita dalle preghiere di altri intercessori come Mosè, Geremia, Gesù. Davanti a Dio ha maggiore peso la cattiveria di molti o la bontà di pochi? Come spesso si dirà nella Bibbia, Dio è pronto a dare più importanza al bene, anche se minoritario, perché la sua Giustizia è Amore.
  • 95. CAPITOLO 19 Si compone di due parti distinte: A. (vv. 1-29) L’OSPITALITÀ DI LOT E LA DISTRUZIONE DI SODOMA E GOMORRA B. (vv. 30-38) ORIGINE DEI MOABITI E DEGLI AMMONITI La situazione ricorda il comportamento dell'umanità al momento del diluvio (Gen 6,5), mentre Noè era “giusto” (Gen 6,9), come deve esserlo Abramo. Tutti e due i racconti narrano una distruzione terribile causata dai peccati umani, alla quale sfugge, salvata da Dio, una sola persona con la sua famiglia. L’obiettivo del narratore biblico si sposta nella città di Sodoma, che la tradizione ha collocato sulla costa sud-occidentale del Mar Morto. Il testo è incentrato su Lot, e Abramo scompare quasi completamente dalla storia, per riapparire soltanto alla fine. Formella della vetrata della cattedrale di Canterbury
  • 96. 1I due angeli arrivarono a Sòdoma sul far della sera, mentre Lot stava seduto alla porta di Sòdoma. Non appena li ebbe visti, Lot si alzò, andò loro incontro e si prostrò con la faccia a terra. 2E disse: «Miei signori, venite in casa del vostro servo: vi passerete la notte, vi laverete i piedi e poi, domattina, per tempo, ve ne andrete per la vostra strada». Quelli risposero: «No, passeremo la notte sulla piazza». 3Ma egli insistette tanto che vennero da lui ed entrarono nella sua casa. Egli preparò per loro un banchetto, fece cuocere pani azzimi e così mangiarono. (Gen19, 1-3) M. Chagall: La discesa verso Sodoma I personaggi che giungono quella sera a Sodoma, davanti alla casa di Lot, divenuto ormai un cittadino e non più nomade, sono ora “due angeli”. Si svela, così, il valore di quei tre uomini che erano prima apparsi ad Abramo: essi rappresentano, in entrambi i casi, dei messaggeri di Dio. All’episodio della visita dei tre ospiti ad Abramo fa ora eco il racconto dell’accoglienza dei due messaggeri angelici da parte di Lot. Il racconto presenta così molte somiglianze con i testi precedenti riguardanti Abramo e somiglia ugualmente al racconto del diluvio (Gen 6,5 - 9,17). I DUE ANGELI
  • 97. 4Non si erano ancora coricati, quand’ecco gli uomini della città, cioè gli abitanti di Sòdoma, si affollarono attorno alla casa, giovani e vecchi, tutto il popolo al completo. 5Chiamarono Lot e gli dissero: «Dove sono quegli uomini che sono entrati da te questa notte? Falli uscire da noi, perché possiamo abusarne!». (Gen 19, 4-5) Il verbo ebraico qui tradotto con «abusare», letteralmente equivale a «conoscere» , che significa «avere rapporti sessuali». Lo stesso verbo è usato in Genesi 4, 1; 17; 25. Per questo il versetto 5 lascia percepire che il peccato degli abitanti di Sodoma sia legato all’esercizio dell’omosessualità. Questo comportamento riceve un’esplicita condanna anche in Lv 18,22;20,13; Rm 1,26-27; 1Cor, 6-9; 1Tm, 1-10. FALLI USCIRE DA NOI, PERCHÉ POSSIAMO ABUSARNE! “Il delitto degli abitanti di Sodoma è di ordine teologico e sociale oltre che sessuale: infatti esso è una violazione della legge sacra e fondamentale dell’ospitalità ed è anche un’esplicita condanna dei culti cananei della fertilità che comprendevano l’omosessualità sacra” (G. Ravasi, La Bibbia, Edizioni Paoline, 1990).