1. Marcella Boschi
Master MICRI – Master in International Relation and Communication 2013/2014
La geopolitica di ieri e di oggi
La geopolitica è una branca nata nell’Ottocento ma che è tuttora priva di una definizione univoca.
Quel che è certo, però, è che tutte le definizioni moderne che le sono state attribuite hanno in comune
il concetto di interrelazione tra geografia – includendo soprattutto quella umana - storia e politica.
Nei secoli precedenti, la geopolitica era ausilio delle strategie belliche in quanto identificata come la
vera e propria ‘scienza della guerra’, in cui geografia e politica erano intrecciate dall’idea che la
prima servisse alla seconda per la conquista e l’assoggettamento di territori da parte dei potenti Stati
nazionali, seguendo quindi le linee della prima definizione di geopolitica data nel 1899 da Rudolf
Kjellen e la cui applicazione possiamo ritrovare da parte di Stati come ad esempio la Prussia di
Bismarck, che aspirava a conquistare un posto di preminenza e prestigio nei giochi politici europei
una volta riuniti i territori di lingua tedesca sotto un unico complesso. L’uso di strategie politiche era
arma assolutamente indispensabile per l’organizzazione dei piani bellici dell’epoca e, ancora oggi,
esso rappresenta una preminente necessità per gli Stati, se non la più importante. La geopolitica,
intesa oggi come studio del prodotto delle interrelazioni di vari aspetti come quelli sopra citati, è
praticamente indispensabile per gli equilibri mondiali che si fanno inopinabilmente sempre più
complessi, articolati, delicati e che necessitano di una gestione molto scrupolosa e attenta.
Se si accetta che il mondo è sempre e in costante cambiamento non si può non prevedere che le varie
discipline, così come la geopolitica stessa, mutino di conseguenza e non si asserviscano a vecchie
logiche. Come ho affermato nell’incipit del paragrafo, geopolitica è oggi guardare ad un determinato
spazio e all’umanità ivi insediatasi e che si conferisce un sistema politico e di regole che la rendono
particolare, senza dimenticare come la storia e le sue vicissitudini portino tale umanità a relazionarsi
all’interno di quello stesso spazio e soprattutto tenendo ben presente che il prodotto finale di tutte
queste componenti non può essere visto a prescindere da uno di questi. In virtù di ciò si potrebbe
quindi azzardare ad affermare che tutto questo è conoscenza, che permette a chi vi accede di poter
fare un uso di questa per molteplici scopi e dato il contesto globale in cui siamo può divenire
strumento atto ad avviare attività di cooperazione internazionale o, più tristemente, accurata
pianificazione di operazioni belliche.
2. Volendo trovare una similitudine tra i due concetti di geopolitica accennati, quello di cui sopra e
quello coniato da Kjellen, si potrebbe pensare che entrambi condividano l’idea che attraverso questa
disciplina si possa conoscere il proprio nemico/amico/vicino ed interagire con questo a seconda degli
scopi che lo Stato persegue. Ma se guardiamo all’aspetto bellico della questione, cosa accade se, con
l’evolversi delle dinamiche mondiali, si evolvono anche le stesse guerre e i nemici contro cui si
combatte all’interno di esse?
Nella guerra che aveva come scopo finale l’unificazione tedesca, a prescindere dai suoi vari passaggi
particolari ben noti, il cancelliere von Bismark era cosciente dell’entità della minaccia ai propri
obiettivi in quanto aveva modo di circoscriverla territorialmente dato che questa lo circondava
geograficamente, trattandosi di paesi confinanti con la Prussia o comunque in importante prossimità;
egli aveva strumenti e modi per poter conoscere le particolarità dei territori ed il modus operandi
degli eserciti nemici o, quantomeno, avendo un continuo scontro diretto e fisico con questi, vi era
ampio margine per pianificare più esatte ed efficaci strategie difensive e/o d’attacco.
Se nel caso bismarkiano questo ha prodotto l’effetto auspicato, possiamo effettivamente dire lo stesso
per quanto riguarda la guerra che maggiormente ha segnato il primo decennio del nuovo millennio,
ossia la guerra preventiva iniziata e perpetrata da George W. Bush in Afghanistan ed esportata poi
in altri paesi con la motivazione poco convincente di voler combattere il terrorismo esportando la
democrazia?
Cosa è effettivamente cambiato se partiamo dall’assunto di base che i due metodi geopolitici possono
avere dei punti in comune? La risposta è nel cambiamento di uno dei protagonisti: il nemico.
Durante il processo che portò all’unificazione territoriale tedesca, Bismark poteva interfacciarsi con
dei nemici territorializzati, ossia presenti in un dato territorio, contrariamente a quanto avviene nella
guerra preventiva, in quanto, se non vi fosse il propagare di rappresaglie, attentati ed eventi
catastrofici di vario genere e che quindi testimoniano di fatto l’operato dei terroristi, sembrerebbe
quasi combattere contro un fantasma, un qualcosa di reale ma che sembra più aleggiare su di noi
piuttosto che presenziare in carne ed ossa, riuscendo allo stesso tempo ad esserci e a non esserci.
In questo sta il più grande vantaggio dei nemici della guerra del mio tempo, mio e della mia
generazione: essere compatto, unito, profondamente intrecciato, ma a-territorializzato; è ovunque,
ma fondamentalmente sito da nessuna parte in particolare. E’ proprio il suo essere deterritorializzato
che crea i presupposti per la sua stessa affermazione e diffusione. Si pensi a quante cellule e/o gruppi
di matrice terroristica nascono ed operano all’interno dei paesi che contro quelle cellule invece
combattono, sedendosi al tavolo di coloro che fanno di tale guerra al terrorismo una bandiera
democratica (molte cellule nascono, infatti, all’interno degli stessi USA).
3. A ciò si aggiungano i centri di addestramento e gestione finanziaria delle organizzazioni terroristiche,
accertati in paesi senza ombra di dubbio tra i più caotici tra cui l’Afghanistan e che grazie anche a
Stati musulmani conservatori che li finanziano riescono nella costruzione di una massiccia rete
capace di incastonare le numerosissime cellule operative e, talvolta, anche di ritessersi laddove gli
Stati occidentali creano un foro, una vittoria. Se perseguiamo nell’idea di un nemico a-territoriale e
quindi non presente in un unico territorio bisogna giustificare la compattezza di questi nuclei e il loro
costante traffico di comunicazioni con il progresso tecnologico, con il costante ‘rimpicciolirsi’ del
mondo grazie alla costituzione di una fitta, fittissima rete di comunicazioni che utilizza qualsivoglia
canale per arrivare al destinatario, prediligendo sistemi di comunicazioni di massa il cui massiccio
uso è di fondamentale importanza per fertilizzare il terreno delle adesioni da guadagnare con la
propaganda. Questo non voglia certo spingere l’idea che la guerra al terrorismo non abbia prodotto
ottimi risultati, ma è anche importante comprendere come il nemico sia effettivamente diverso e
organizzato in modo scrupoloso e capillare e come si senta quindi sempre più impellente la necessità
di modellare gli studi e le strategie per poter seguire in maniera ravvicinata tali trasformazioni.
In sostanza, con il mutare dei tempi e degli equilibri, mutano tutti i tipi di relazioni, conflittuali e
non, tra gli uomini provocando un’evoluzione dalla quale non si può prescindere. Per poter
comprendere al meglio questi mutamenti e per potersi porre di conseguenza ad essi è importante che
la geopolitica guardi ad un’ulteriore evoluzione, che non contempli delle scorciatoie come quella di
affrontare il terrorismo scagliandovi contro esclusivamente la forza militare, in quanto gli effetti
potrebbero essere ben più deleteri di quelli finora sperimentati; al contrario, grazie ai suoi intrecci di
conoscenze trasversali e di varia natura, questa branca potrebbe effettivamente vedersi utilizzata
come strumento per conoscere l’altro - le sue relazioni con gli spazi e la politica - ed arrivare ad un
punto d’incontro con esso scoraggiando il terrorismo, riducendolo in termini di capacità di attrazione
e dando a se stessa una nuova e forse più completa definizione accademica.