1. Raffaello Sanzio
Urbino, 28.03.1483 - Roma, 6.4.1520
Giorgio Rizzo
Classe 3^ E
L.S. Seguenza
Messina
…dal quale la natura credette di essere vinta…
2. VITA
Raffaello Santi o Sanzio (dal latino
Sanctii), nasce, secondo Vasari il 28
marzo del 1483 o secondo altre fonti,
il 6 aprile, figlio unico di Giovanni
Santi e Magia di Battista.
Suo padre è un uomo di ingegno,
anch’egli pittore di corte, che offre al
figlio, fin da bambino l’accesso al
Palazzo Ducale e alle opere di cui è
ricchissimo.
Giovanissimo apprende addirittura la
tecnica dell’affresco che metterà in
evidenza nell’opera «Madonna di
Casa Santi» (1498), realizzata,
appunto nella casa di famiglia.
3. Probabilmente, Raffaello prese lezioni dal
Perugino, secondo Vasari dopo la morte
del padre, ma molto più probabilmente
alternando le due botteghe.
Nel 1494, alla morte del padre, ne
eredita la bottega dove lavoreranno
anche Evangelista da Pian de Mileto e
Timoteo Viti.
Forse la prima opera influenzata dal
Perugino fu la Pala di Fano (1497) di cui
realizza la predella e forse alcuni degli
affreschi del Collegio del Cambio a
Perugia (1498 e segg.)
Nel 1499 di trasferisce a Città di Castello,
dove realizza lo «Stendardo della SS.
Trinità»
4. Tra il 1499 e il 1504 la fama di Raffaello si diffonde a tutta l’Umbria e realizza
la «Pala Colonna» e la «Pala degli Oddi».
Nel 1501-2 realizza la magnifica «Resurrezione» (oggi al Museo dell’Arte di San
Paolo del Brasile). In questa opera, Roberto Longhi ha voluto vedere gli influssi
del Pinturicchio, soprattutto nel paesaggio, nella ricchezza delle vesti e nei
particolari del sarcofago.
5. Nel 1503, Raffaello intraprende diversi
viaggi: a Siena, dove collaborò col già
anziano Pinturicchio, probabilmente agli
affreschi della Libreria Piccolomini (foto),
che non completò abbandonandoli per
recarsi a Firenze, dove ammirerà alcune
opere di Leonardo, tra cui sicuramente il
cartone della mai realizzata Battaglia di
Anghiari); e, naturalmente, a Roma.
L’ultima opera dell’età giovanile di
Raffaello è «Lo Sposalizio della Vergine»
(1504). L’artista copiò un dipinto analogo
del Perugino ma alleggerì il tempio sullo
sfondo che fa da fulcro all’intera
composizione.
6. Dal 1504 al 1508 Raffaello soggiorna a Firenze; questo periodo è di fondamentale
importanza nella sua formazione perché gli permette di approfondire lo studio dei
modelli quattrocenteschi (Masaccio, Donatello,) nonché di Leonardo e Michelangelo.
Dal primo apprese i principi compositivi per creare gruppi di figure strutturati
plasticamente nello spazio, mentre sorvolò sulle complesse allusioni e implicazioni
simboliche, sostituendo anche l'"indefinito" psicologico a sentimenti più spontanei e
naturali. Da Michelangelo invece assimilò il chiaroscuro plastico, la ricchezza
cromatica, il senso dinamico delle figure. Sono di questo periodo la «Madonna del
Cardellino» (olio su tavola, oggi Uffizi) e la «Madonna Bridgewater» (olio su tavola
oggi alla National Gallery of Scotland).
7. Dal 1509 al 1520, Raffaello vive a Roma. Vi giungerà pare su suggerimento di
Donato Bramante a Giulio II, impegnato in un profondo rinnovamento della
Città, tanto da richiamare i migliori artisti, tra cui Michelangelo. Giunto a Roma,
Raffaello, 25 anni, affianca altri artisti impegnati nell’affresco delle «Stanze»
papali. Papa Giulio apprezzò tanto la Stanza della Segnatura (foto) che affidò al
pittore urbinate il completamento delle Stanze anche a costo di distruggere gli
affreschi già realizzati da altri.
8. Pur continuando a lavorare per il Vaticano, Raffaello accetterà altre commissioni,
ma solo da personaggi di spicco che potranno permettersi di allontanarlo, a tratti
dal Vaticano. Tra questi, ricordiamo Agostino Ghigi, banchiere senese, che affiderà
all’urbinate gli affreschi di Villa Farnesina dell’architetto Peruzzi. Tra questi
ricordiamo soprattutto il «Trionfo di Galatea» (foto 1). Da ricordare che Raffaello
curò anche il progetto architettonico della famosa «Cappella Ghigi» in S. Maria
del Popolo , occupandosi anche dei progetti delle statue del Lorenzetto e
completate poi dal Bernini.
9. A parte gli affreschi, il periodo romano di Raffaello è caratterizzato anche dai
numerosi ritratti commissionatigli dai nobili di Roma. Tra questi il «Ritratto di
Baldassar Castiglione», in cui riesce a realizzare la comunione spirituale tra effigiato
ed effigiante, incarnando l’ideale di perfezione estetica ricercata dalle corti della
Capitale. Ancora più famoso del primo è il «ritratto di Giulio II».
Qui le innovazioni si fanno più evidenti, con un punto di vista diagonale e
leggermente dall'alto, studiato come se lo spettatore si trovasse in piedi accanto al
papa. La sua malinconica pensosità, espressione della grave situazione politica
vissuta dal Vaticano in quel momento (1512) , introduce un elemento psicologico,
fino ad allora estraneo alla ritrattistica ufficiale. In pratica lo spettatore è come se si
trovasse al cospetto del pontefice, senza alcun distacco fisico o psicologico.
10. Del periodo romano, caratterizzato da
numerossime commissioni che non è
possibile ricordare tutte, dobbiamo solo
sottileare il ritratto della «Fornarina», forse
un’amante del pittore. La donna seminuda
dipinta, è ritratta a seno scoperto, celata
appena da un velo che regge al petto con
la mano destra e da un manto rosso che
copre le gambe. Ritratta di tre quarti verso
sinistra, la donna guarda a destra, oltre lo
spettatore, e il bracciale con la firma
dell'artista che porta sul braccio sembra
un pegno d’amore.
In testa porta un turbante fatto di una seta
dorata a righe verdi e azzurre annodata
tra i capelli, con una spilla composta di
due pietre incastonate con perla
pendente, L'effigie è di fresca
immediatezza, con una sensualità dolce e
rotonda, amplificata dalla luce diretta e
fredda che proviene da sinistra,
inondandola, e risaltata dallo sfondo
scuro.
11. A volte di Raffaello si tende a dimenticare l’attività di architetto. Ricordiano che nel
Rinascimento non c’era una distinzione netta tra l’attività di pittore, scultore e
architetto. Dell’attività di architetto di Raffaello vanno ricordate, a parte la Cappella
Chigi, il progetto della navata longitudinale della Basilica di San Pietro che si
innesta nella crociera del Bramante. Per questa Raffaello usa una nuova tecnica, la
proiezione ortogonale. Nel 1520 Antonio da Sangallo mise in luce gli errori del
progetto.
Ricordiamo ancora Palazzo Rucellai, Palazzo Alberini, Palazzo Vidoni. Ma forse
l’opera più famosa è Villa Madama a Monte Mario. L’mpostazione rinascimentale
della villa venne rielaborata alla luce della lezione dell'antico, con forme imponenti
e una particolare attenzione all'integrazione tra edificio e ambiente naturale
circostante. Attorno al cortile centrale circolare si dovevano dipartire una serie di
assi visivi o di percorso, in un susseguirsi di logge, saloni, ambienti di servizio e
locali termali, fino al giardino alle pendici del monte, con ippodromo, teatro, stalle
per duecento cavalli, fontane e giochi d'acqua. Delicatamente calibrata è la
decorazione, in cui si fondono affreschi e stucchi ispirati alla Domus Aurea e ad altri
resti archeologici scoperti in quell'epoca
L'opera venne sospesa all'epoca di Clemente VII e danneggiata durante il Sacco di
Roma.
RAFFELLO ARCHITETTO
13. L’ultima opera di Raffaello è la
«Trasfigurazione», (tempera grassa
su tavola, Pinacoteca Vaticana).
Opera dinamica e innovativa, con
uno sfolgorante uso della luce,
mostra due zone circolari
sovrapposte, legate da molteplici
rimandi di mimica e gesti. Forza
drammatica è sprigionata dal
contrasto tra la composizione
simmetrica della parte superiore e la
concitata gestualità e le dissonanze
di quella inferiore, raccordandosi
però sull'asse verticale fino
all'epifania divina, che scioglie tutti i
drammi.
14. Raffaello muore a Roma all’età di 37 anni lasciando numerose opere
incompiute.
La sua scomparsa fu salutata dal commosso cordoglio dell'intera corte
pontificia. Il suo corpo fu sepolto nel Pantheon, come egli stesso aveva
richiesto. In seguito, le sue spoglie furono riesumate, e fu realizzato un calco
del suo teschio, tuttora esposto e conservato nella sua casa natale. Il più
recente contributo sulla sepoltura di Raffaello, affiancata poi a quella di
Annibale Carracci, sostiene una interpretazione in chiave filo-francese
dell'intera rifondazione tombale seicentesca, ad opera di Carlo Maratti e
Gianpietro Bellori.
Forse Antonio Tebaldeo, un poeta amico di Raffaello, o più probabilmente il
grande umanista Pietro Bembo compose per lui l'epitaffio inciso sulla sua
tomba, il cui distico finale così recita:
ILLE HIC EST RAPHAEL TIMUIT QUO SOSPITE VINCI
RERUM MAGNA PARENS ET MORIENTE MORI
«Qui è quel Raffaello, dal quale la natura credette di essere vinta, quando era
vivo, e di morire quando egli moriva»