The Design Funnel
L.Galli
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L.Galli The Design Funnel
Elaboration Reduction
Oppurtunity-seeking:
Decision-making: from
from singular to multiples
broad to specific
Design Process
Starting Focal
point point
Bill Buxton 2007, Sketching User Experiences; Paul Laseau 1980, Graphic Thinking for Architects and Designers
L.Galli The Design Funnel
Design methods are like toothbrushes.
Everyone uses them,
but no one likes to use someone else’s
[Zimmerman 2011]
John Zimmerman quoted by Steve Harrison and Deborah Tatar 2011, On Methods, in Interactions
L.Galli The Design Funnel
Divergence Transformation Convergence
John Chris Jones 1970-1992, Design Methods
L.Galli The Design Funnel
Methodology should not be a fixed track to a fixed
destination but a conversation about everything
that could be made of happen
[Jones 1970-1992]
John Chris Jones 1970-1992, Design Methods
L.Galli The Design Funnel
Bill Buxton (2007) Sketching User Experiences, Morgan Kaufmann
Steve Harrison and Deborah Tatar (2011), On Methods in Interactions vol. XVIII.2
John Chris Jones (1970-1992) Design Methods, Wiley
Paul Laseau (1980) Graphic Thinking for Architects and Designers,Van Nostrand
Reinhold Company
Editor's Notes
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Mi guardo bene dal fare equivalenze tra Internet e file sharing -- Internet è tante cose diverse, tutte assieme.\n\nUn altro fenomeno d’importanza capitale è ovviamente quello dei social networks (pur sempre condivisione di qualcosa).\n\nPIù di dieci anni fa collaborai a un libro intitolato con una certa preveggenza Spettatori nella rete. \nCi avevamo visto giusto direi. I contenuti della televisione guadagnano visibilità e alimentano anche i vari ambienti sociali in Rete (“la parte abitata della Rete” come ha detto bene un autore italiano, Sergio Maistrello).\n\nQui si citano a mo’ di esempio servizi e sviluppi molto differenti tra loro, ma tutti complici nello smuovere le forme del consumo (o dobbiamo dire della partecipazione?): \n- YouTube e Faceebook, dove il video del party convive con lo spezzone proveniente dalla TV (e con modelli anche qui diversi: non c’è solo YouTube, ma anche Hulu.com., JV controllata direttamente dai broadcasters), per discutere o riprendere quel che si è perso con la catch-up TV\n- i widget come estensioni interattive dello schermo televisivo (un grande produttore è stato in campagna sul tema proprio in queste settimane, con una raffica di loghi di servizi Internet in buona evidenza); \n- i “tre schermi”, ossia lo schermo del computer e quello del telefono accanto a quello della TV -- forse dovremmo dire quattro con gli iPad ora in circolazione (e poi lo stesso schermo del TV cambia con il 3D)\n\nLe produzioni circolano tra i diversi ambienti; mantengono una struttura magari tradizionale sul “primo schermo”, quello della TV ma si estendono a cicli di relazione e interazione più ampi (anche dietro, nelle strutture e nel business della produzione); alcuni di questi cicli sono attesi e desiderati (che so, la discussione e i like sulla fan page), altri sono pur sempre previsti ma meno desiderati (il Torrent dell’episodio andato in onda negli Stat Uniti già in circolazione prima che la stagione inizi in Italia). Etc.\n
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Mi guardo bene dal fare equivalenze tra Internet e file sharing -- Internet è tante cose diverse, tutte assieme.\n\nUn altro fenomeno d’importanza capitale è ovviamente quello dei social networks (pur sempre condivisione di qualcosa).\n\nPIù di dieci anni fa collaborai a un libro intitolato con una certa preveggenza Spettatori nella rete. \nCi avevamo visto giusto direi. I contenuti della televisione guadagnano visibilità e alimentano anche i vari ambienti sociali in Rete (“la parte abitata della Rete” come ha detto bene un autore italiano, Sergio Maistrello).\n\nQui si citano a mo’ di esempio servizi e sviluppi molto differenti tra loro, ma tutti complici nello smuovere le forme del consumo (o dobbiamo dire della partecipazione?): \n- YouTube e Faceebook, dove il video del party convive con lo spezzone proveniente dalla TV (e con modelli anche qui diversi: non c’è solo YouTube, ma anche Hulu.com., JV controllata direttamente dai broadcasters), per discutere o riprendere quel che si è perso con la catch-up TV\n- i widget come estensioni interattive dello schermo televisivo (un grande produttore è stato in campagna sul tema proprio in queste settimane, con una raffica di loghi di servizi Internet in buona evidenza); \n- i “tre schermi”, ossia lo schermo del computer e quello del telefono accanto a quello della TV -- forse dovremmo dire quattro con gli iPad ora in circolazione (e poi lo stesso schermo del TV cambia con il 3D)\n\nLe produzioni circolano tra i diversi ambienti; mantengono una struttura magari tradizionale sul “primo schermo”, quello della TV ma si estendono a cicli di relazione e interazione più ampi (anche dietro, nelle strutture e nel business della produzione); alcuni di questi cicli sono attesi e desiderati (che so, la discussione e i like sulla fan page), altri sono pur sempre previsti ma meno desiderati (il Torrent dell’episodio andato in onda negli Stat Uniti già in circolazione prima che la stagione inizi in Italia). Etc.\n
Questi sono esempi tratti da una mia breve ricognizione - nulla di sistematico si intende, solo un breve giro di prova guidato dal criterio di rinvenire studi e ricerche sugli utenti di servizi del genere.\n\nQualcosa si trova, ma direi poco, certo di grande qualità ma insomma direi che siamo agli inizi. \n\nQui si leggono i titoli di una dozzina di articoli scientifici pubblicati nel 2009 (molti legati a EuroITV, una delle conferenze più specializzate sull'argomento).\n\nC'è sicuramente molto lavoro da fare.\n\nNon azzardo paragoni con gli sfozi e i denari che sono spesi ogni anno per capire cosa guardano gli spettatori, gli spettatori della TV dei film, degli show e delle serie. L'audience d'altro canto è ancora moneta sonante, moneta importante.\n