SlideShare a Scribd company logo
1 of 9
Download to read offline
POLITICA MONETARIA
      Analisi macroeconomica ed operativa del
       fenomeno del cosiddetto “Euro Forte”

Introduzione

Lettura degli operatori finanziari: sopravvalutazione
dell’euro, e guerra monetaria

Crisi economica Italiana : analisi economico-monetaria
La strong-stagflazione: inflazione, recessione ed euro forte
Introduzione
Nel 1999, l’euro è stato introdotto per il raggiungimento di una maggiore stabilità e per perseguire
l’obiettivo di un benessere diffuso nell’area Europea. Oggi, l’entusiasmo che ha seguito il passaggio
alla moneta unica ha lasciato posto alla delusione, e recenti sondaggi spingono alle stesse
constatazioni : numerosi europei hanno nostalgia della loro moneta nazionale. I politici se la
prendono di continuo con la forza dell’euro, che è indicato come la causa principale dei mali di cui
soffrono molte economie europee che crescono a fatica. E’ tuttavia opportuno moderare questa
posizione allarmista, analizzando i punti forti e le debolezze della moneta unica.
L’Unione europea effettua un terzo dei suoi scambi con il mondo esterno e la sua economia è
pertanto influenzata dall’evoluzione dei tassi di cambio delle principali valute internazionali. Tra il
primo gennaio 1999, data di introduzione della moneta unica e l’autunno 2000, il tasso di cambio
dell’euro è passato da 1,18 a 0,83 $. La valuta europea si è poi notevolmente rafforzata rispetto al
biglietto verde. Al di là delle discussioni sugli effetti inflazionistici del passaggio alla moneta unica
e della crisi di fiducia che investe attualmente quest’ultima, numerosi politici e industriali europei
sono oggi preoccupati della forza della moneta europea rispetto alle principali valute internazionali.
Le opinioni divergono sugli effetti di un euro forte e sul comportamento da tenersi in materia di
politica del cambio. La serenità tedesca si scontra con le paure francesi. Senza affrontare il ruolo
dell’euro nel dinamismo economico europeo, l’obbiettivo è qui di gettare un po’ di luce sulle cause
e gli effetti dell’evoluzione del tasso di cambio della moneta europea.
Per quel che concerne i rischi, è chiaro che un euro forte riduce la competitività delle imprese del
vecchio continente a fronte dei loro concorrenti giapponesi e di oltre-Atlantico. In effetti, quando la
moneta unica è forte, il prezzo pagato per i prodotti europei è relativamente più alto di quello per i
prodotti di altri paesi. Per conservare le proprie quote di mercato, numerose imprese esportatrici
europee sono così spinte a ridurre i prezzi, ciò che incide negativamente sulle loro prospettive di
profitto.
Le imprese che fatturano in dollari vedono invece il loro margine di profitto direttamente eroso
dall’ascesa dell’euro. Così la forza dell’euro, se dovesse perdurare, rischierebbe secondo alcuni
specialisti di danneggiare la crescita della zona euro e di condurre in prospettiva ad un nuovo
aumento della disoccupazione. Studi econometrici hanno stabilito che un apprezzamento della
moneta europea del 10% rispetto al biglietto verde riduce il tasso di crescita della zona euro di un
valore compreso tra 0,5 e 1%.
A livello dei vantaggi, il primo sta certo nel miglioramento delle ragioni di scambio per la zona
euro. Dato che i prezzi delle principali materie prime sono espressi in dollari, l’Europa ha
notevolmente ridotto il costo dei suoi approvvigionamenti in questi ultimi anni. L’incidenza
sull’economia europea dei ripetuti rialzi del prezzo del greggio è stata così ampiamente limitata
dalla forza dell’euro.
Un secondo vantaggio è rappresentato dal fatto che un euro forte sostiene previsioni positive
sull’evoluzione delle condizioni monetarie nella zona euro e sull’andamento del tasso di cambio
medio dell’euro rispetto al dollaro. Ciò si traduce in un livello generale dei tassi d’interesse nella
zona euro inferiore a quello della zona dollaro e rende pertanto l’ambiente economico europeo più
favorevole per gli investimenti. Riassumendo, un euro forte è più proficuo per gli investitori
stranieri. Secondo alcuni, l’euro forte crea così una dinamica positiva ove basso tasso d’interesse,
risparmio disponibile e previsioni verso un miglioramento delle ragioni di scambio favoriscono gli
investimenti e dunque la crescita. Infine, la caduta del biglietto verde rispetto all’euro rende
quest’ultimo più attraente per numerosi paesi in cerca di impieghi precauzionali e risulta in
conseguenza favorevole all’investimento nella zona euro. Del resto, la forza e la stabilità dell’euro
concorrerebbero sul lungo periodo a un suo utilizzo come moneta di riserva e di scambio a livello
internazionale (ruolo attualmente ricoperto dal dollaro) ; ciò limiterebbe le fluttuazioni dei costi di
approvvigionamento energetico e sarebbe certo proficuo per la zona euro. L’impiego massiccio
dell’euro nelle transazioni internazionali potrebbe dover prima passare per un delicato periodo di
transizione, ma risulterebbe benefico a lungo termine. Siamo tuttavia ancora lontani
dall’obbiettivo : al contrario di quanto sostenuto da numerosi scritti, non ci sarebbe una sostituzione
di attivi in dollari con attivi in euro nelle riserve di cambio mondiali. Il dollaro resterebbe così
tuttora la prima moneta di riserva mondiale (65%). Certamente la quota dell’euro nelle riserve delle
banche centrali è aumentata questi ultimi anni (sino al 25%), ma ciò sarebbe dovuto principalmente
all’apprezzamento della moneta unica rispetto al biglietto verde sul mercato dei cambi. Si può
rilevare, per contro, che l’euro sarebbe divenuto la valuta di riferimento per le transazioni in
contanti (circolerebbero più euro che dollari sul pianeta), il che indicherebbe la fiducia acquisita a
livello internazionale dalla moneta unica. Un euro forte ha dunque pregi e difetti e non vi sono
argomenti che siano unicamente a favore di un apprezzamento o di un deprezzamento della moneta
unica. Quello su cui numerosi economisti concordano è la necessità di mantenere una relativa
stabilità dei cambi e di non oltrepassare una soglia, arbitrariamente fissata da alcuni intorno a 1,4$
per 1€.




Lettura degli operatori finanziari: sopravvalutazione dell’euro, e guerra
monetaria



Big Mac Index

Big Mac index mette a confronto il valore di uno stesso bene in paesi che hanno valuta diversa. L’obiettivo
dell’analisi è capire se dal punto di vista fondamentale una moneta sia sopra/sotto valutata dal mercato.
In base all’analisi il valore dell’Euro sarebbe 0,97 dollari, quindi un corso molto più basso rispetto ai livelli
attuali, 1,22.Pertanto l’euro, in base a tali assunti è sopravvalutato rispetto al dollaro del 20%
Analisi quantitativa Barclays

Secondo le analisi quantitativa di Barclay, lo scambio Euro-Dollaro è sopravvalutato. Gli analisti
hanno confrontato la quotazione attuale con il Fair Value (valore intrinseco).Il modello restituisce
un valore fondamentale del cambio molto più basso di quanto battuto in questo momento sul
mercato forex. Nella matrice che restituisce il valore finale Barclays tiene conto di tutti i fattori che
possono influenzare il tasso di cambio. Il modello tiene conto dello spread dei tassi di interesse sulla
parte a brevissimo della curva dei rendimenti, sulla scadenza da 3 mesi e a 1 anno, delle differenze
dei rendimenti dei mercati azionari e infine del prezzo del petrolio.
L’ipercomprato sull’Euro-Dollaro, oltre che sui modelli quantitativi, è segnalato anche dal mercato
delle opzioni. Il sentiment è estremamente positivo segnala la volatilità implicita.
La discesa dell’Euro nei confronti del biglietto verde potrebbe essere favorita anche dalle posizione
nette sul mercato dei derivati. “Vi è una netta prevalenza di posizioni short”, hanno spiegato dalla
banca inglese.
I nuovi target ribassisti per l’Euro-Dollaro potrebbero essere ostacolati solo da un leggero
ipervenduto di medio periodo.
Guerra monetaria
L'andamento attuale non tradisce tanto "la forza" dell'euro quanto la debolezza, voluta o subita,
delle altre valute. In effetti, in Giappone, il nuovo governo conservatore del primo ministro Shinzo
Abe ha deciso di perseguire una politica aggressiva di deprezzamento dello yen per rilanciare
l'economia del paese. Il cambiamento annunciato a capo della Banca centrale del Giappone
conferma questa politica, i cui effetti hanno già cominciato a farsi sentire. un deprezzamento dello
yen del 12%. Il governo giapponese non ha fatto mistero del suo obiettivo di arrivare a un
deprezzamento almeno del 20% della sua moneta, e per questo è disposto a sacrificare quel po' di
indipendenza che resta della Banca Centrale del Giappone.




Gli Stati Uniti hanno registrato un 4 ° trimestre 2012 molto deludente, con una crescita zero e un
lieve aumento del tasso di disoccupazione, che attualmente è al 7,9%. La Banca Centrale degli Stati
Uniti è di nuovo in manovra, e si prevedono di nuovo massicci acquisti di debito pubblico e privato.
Non è quindi sorprendente che il dollaro sia sceso nei confronti dell'euro. Ma, dal momento che il
dollaro è anche in concorrenza con lo yen, a causa degli scambi tra gli Stati Uniti e il Giappone, nel
corso delle ultime tre settimane il fenomeno della caduta del dollaro tende ad aumentare.
Fenomeni simili si osservano con la sterlina, e cosa un po' più sorprendente, con il franco svizzero.
Per il tasso di cambio tra la sterlina e l'euro, anche in questo caso è chiaro che ragioni economiche
(la stagnazione dell'economia britannica) spingono dirigenti della Banca d'Inghilterra a cercare un
deprezzamento della valuta. Il caso svizzero è interessante per il fatto che in questo paese le autorità
monetarie hanno fatto di tutto per evitare l'apprezzamento della moneta, ma non hanno cercato di
deprezzarla.




Si può quindi considerare il franco svizzero il metro di misura. Ora, si dà un apprezzamento
dell'euro solo del 3%, mentre è molto superiore al 10% rispetto alle altre valute. In altre parole, non
è tanto l'euro ad essere più forte del dollaro, quanto lo yen e la sterlina ad essere deboli. Lo scarto
tra l'apprezzamento dell'euro con queste valute e con lo Franco svizzero lo testimonia.
Crisi economica Italiana : analisi economico-monetaria

L'euro è erroneamente visto come la causa della crisi mediterranea, e la politica monetaria estrema
di uscire dall'euro è vista come la soluzione. Gli attuali problemi sono interamente dovuti a
politiche fiscali sbagliate sia nel passato che nel presente. La soluzione sta in riforme di natura
fiscale, anche se estreme.
Per giustificare il titolo basterebbe notare che durante questi 12 anni dell’euro i due paesi
dell’eurozona che hanno perso meno quote di export nel totale mondiale sono proprio la Spagna e
l’Italia. Ma la situazione è sempre più drastica, e il pessimismo crescente per l’Italia sta fomentando
tra l’opinione pubblica ricette di politica economica sempre meno lucide. In parte questo è dovuto
ad un gioco di credibilità che tenta di fuorviare le colpe ad elementi esterni (i subprime, gli
speculatori, le banche, le agenzie di rating) per celare con il mantello dell’ottimismo le debolezze
interne che sono alla vera base della crisi. In parte però i facili rimedi oggi in auge sono dovuti ad
una confusione sulle dinamiche della crisi e sulla differenza tra politiche fiscali e monetarie
Ci sono almeno tre luoghi comuni sull’euro. Il primo riguarda la convinzione che la politica
monetaria può funzionare solo se sotto il diretto controllo dei governi di ogni stato. Il fatto è che
una banca centrale, anche se praticasse il rimedio estremo di stampar moneta in maniera massiccia,
non creerebbe ricchezza e non stimolerebbe la crescita. Avere più euro in circolazione, o lire e
dracme, non affronta per niente il vero problema di questa crisi. Il problema odierno è di debito
pubblico, di poca crescita, e di un mercato finanziario che considera sempre più rischioso fare
credito a certi stati.
Il secondo luogo comune considera il peccato originale nel cambio euro-lira sbagliato in partenza
che ha causato un decennio intero di crescita anemica per l’Italia. E’ importante sottolineare che il
cambio di quasi 2000 lire per euro era dovuto anche al fatto che lo stato italiano aveva anche allora
un enorme debito pubblico.I 2,5 milioni di miliardi di lire di debito nel 1999 sono diventati “solo”
1300 miliardi di euro, anziché 2500 miliardi di euro se il cambio fosse stato, per fare un esempio,
1000 lire per euro. L’euro ha costretto lo stato italiano a guardare in faccia i propri problemi
strutturali privandolo della scorciatoia della svalutazione, cosa che comunque non sarebbe stata
concessa all’infinito in un mercato unico come quello europeo.
Il terzo luogo comune riguarda l’inevitabile uscita dall’euro “per evitare il default” della Grecia o
dell’Italia. Un eventuale default e la permanenza della Grecia e dell’Italia nell’euro sono due cose
separate. Dal punto di vista degli altri paesi europei, l’unica conseguenza avversa per loro sarebbe
se la BCE decidesse di monetizzare il debito greco e italiano. Questo spalmerebbe il peso del debito
pubblico greco e italiano a tutta l’Europa tramite un euro svalutato e più inflazione per tutti. In
assenza di questa politica monetaria europea non c’è alcun motivo nel credere che l’uscita dall’euro
avvenga per “espulsione”. Dal punto di vista del paese in difficoltà (Grecia o Italia), si può discutere
se far parte dell’euro convenga o no, ma questo non è pertinente con la crisi attuale. Uscire
dall’euro servirebbe a ripagare i propri creditori (i detentori dei titoli di stato) in dracme o in lire
svalutate. Si avrà pertanto maggiore difficoltà a trovare finanziatori del deficit pubblico in futuro.
È vero che l’attuale crisi ha le sue radici in uno shock esterno. La crisi finanziaria del 2008 e 2009
non è nata in Italia o in Grecia, ma l’atrofizzarsi dell’economia globale ha ridotto le entrate fiscali
per tutti i paesi, e gli stati fiscalmente più deboli, e cioè con un debito pubblico maggiore, si sono
trovati in prima linea.
Bisogna inoltre tener conto che con la globalizzazione la competizione si è fatta globale.
I timidi tentativi di riforma del mercato del lavoro, delle privatizzazioni, o la recente promessa di
ripagare i debiti che lo stato ha verso le imprese aiutano solo in maniera marginale. Se non si tocca
il vero problema di competitività che ha l’Italia e che ormai ha messo in ginocchio troppe imprese è
impensabile parlare di politiche monetarie “miracolose”.




La strong-stagflazione: inflazione, recessione ed euro forte
Ci sono in esecuzione degli scenari di stagflazione. Tutto ciò potrebbe vedere gli investitori
rivolgersi alle strategie che hanno storicamente fatto bene in quel periodo, tra cui le scommesse su
aziende più piccole, quelle che sono relativamente a buon mercato, così come quelle con un
bilancio particolarmente forte. L’inflazione nella zona euro è di circa il 2%, in linea con gli obiettivi
della banca centrale e lontano dalle due cifre dei precedenti periodi di stagflazione. Mentre le
aspettative di inflazione restano ancorate, la volatilità su questi livelli è aumentata, il che suggerisce
la convinzione del mercato che la capacità che hanno banche centrali di controllare l’inflazione
viene erosa. Tenuto conto delle prospettive di crescita debole, con la zona euro che dovrebbe
raggiungere la sua “flatline” il prossimo anno dopo la contrazione dello 0,5% nel 2012, e con la
disoccupazione nella regione in doppia cifra, alcuni intravedono un possibile e lungo periodo di
stagflazione.
La stagflazione è stata citata come una preoccupazione da parte dei gestori di fondi globali
interpellati da Bank of America e Merrill Lynch, mentre la Banca d’Inghilterra ha avvertito che la
Gran Bretagna si sta affacciando verso un mix “sgradevole” di una ripresa debole e di inflazione
elevata. L’impatto sull’inflazione dei miliardi di nuovi fondi è stato riconosciuto da parte della
Federal Reserve. E ‘impegnata a mantenere i tassi di interesse costanti fino a che la disoccupazione
non scende almeno al 6,5%, e fino a quando l’inflazione non romperà la soglia del 2,5% dove le
aspettative di inflazione più ampie sono state contenute. Mentre stagflazione può colpire la
domanda per i titoli azionari, l’inflazione è in grado di supportare le scorte, a condizione che sia
accompagnata da una crescita.
Un’analisi utile per capire il fenomeno della stagflazione in europa,ed in particolare in italia, può
essere quella di prendere in esame il ratio tra l’indice dei prezzi al consumo e l’indice del Pil Reale
Dal 1996 al 2010, Il Pil italiano è quello cresciuto di meno a confronto con Francia, Germania,
Regno Unito e Spagna. La dinamica del Pil è rappresentata con le linee a tratteggio, fatto pari
all'unità il Pil del 1996. Le serie sono quelle Eurostat, concatenate e ai cambi del 2000.
Se l'indice dei prezzi al consumo (l'armonizzato europeo) è rapportato all'indice del Pil, la posizione
dell'Italia si contraddistingue ancora. Si tratta dell'unico Paese per il quale questo ratio resta
praticamente sempre sopra l'unità, mostrando anzi una chiara tendenza alla divaricazione dal 1996
in poi. Per Francia, Regno Unito e Spagna, il ratio è sempre inferiore all'unità lungo tutti gli anni di
osservazione, pur mostrando un forte aumento a partire dal 2008, a cavallo con la crisi economica.
Per la Germania, il ratio è inferiore all'unità sino al 2007 compreso, per poi superare l'unità dal 2008
in poi, attestandosi poco sopra l'unità nel 2010.
In questo grafico sono riassunte le due caratteristiche che segnano il sistema Italia da oltre un
quindicennio: bassa crescita lungo un continuo trend inflazionistico.
Questo binomio ci parla di una strisciante stagflazione che, per la durata e le radici messe nel
sistema economico italiano, ha assunto di fatto quasi una natura fisiologica.
Per rompere questo binomio, le ricette di policy non possono ora fare affidamento su risorse del
bilancio pubblico, che dovrà rispettare condizioni di austerity per ripristinare un sufficiente percorso
convergente del debito pubblico.
Le ricette di policy dovranno necessariamente riguardare riforme "a costo zero", dal ridisegno
dell'architettura dei mercati, alla promozione della concorrenza con riassorbimento di rendite e
sovraprofitti, all'ammodernamento delle professioni e dei mestieri pervasi di regole
corporativistiche. In interventi di questo tipo si può e si deve ricercare il rilancio dell'attività
economica e, nel contempo, il contenimento delle tensioni inflazionistiche.

More Related Content

What's hot

Euro: se stiamo assieme ci sarà un perché!
Euro: se stiamo assieme ci sarà un perché!Euro: se stiamo assieme ci sarà un perché!
Euro: se stiamo assieme ci sarà un perché!Quattrogatti.info
 
Webinar Dicembre 2013 - "Outlook 2014"
Webinar Dicembre 2013 - "Outlook 2014"Webinar Dicembre 2013 - "Outlook 2014"
Webinar Dicembre 2013 - "Outlook 2014"Moneyfarm
 
ECB's Role in the European Monetary Union
ECB's Role in the European Monetary UnionECB's Role in the European Monetary Union
ECB's Role in the European Monetary UnionDavide Vioto
 
Quello che non si dice sull'Italia
Quello che non si dice sull'ItaliaQuello che non si dice sull'Italia
Quello che non si dice sull'ItaliaItaloblog
 
La crisi dell'euro parte prima
La crisi dell'euro parte primaLa crisi dell'euro parte prima
La crisi dell'euro parte primaQuattrogatti.info
 
La crisi dell'Euro e le politiche di intervento: il ruolo delle banche
La crisi dell'Euro e le politiche di intervento: il ruolo delle bancheLa crisi dell'Euro e le politiche di intervento: il ruolo delle banche
La crisi dell'Euro e le politiche di intervento: il ruolo delle bancheQuattrogatti.info
 

What's hot (20)

COMMENTO MERCATI - Settembre 2017
COMMENTO MERCATI - Settembre 2017COMMENTO MERCATI - Settembre 2017
COMMENTO MERCATI - Settembre 2017
 
Commento mensile agosto2018
Commento mensile agosto2018Commento mensile agosto2018
Commento mensile agosto2018
 
Euro: se stiamo assieme ci sarà un perché!
Euro: se stiamo assieme ci sarà un perché!Euro: se stiamo assieme ci sarà un perché!
Euro: se stiamo assieme ci sarà un perché!
 
COMMENTO MERCATI - Luglio 2017
COMMENTO MERCATI - Luglio 2017COMMENTO MERCATI - Luglio 2017
COMMENTO MERCATI - Luglio 2017
 
Webinar Dicembre 2013 - "Outlook 2014"
Webinar Dicembre 2013 - "Outlook 2014"Webinar Dicembre 2013 - "Outlook 2014"
Webinar Dicembre 2013 - "Outlook 2014"
 
L'investitore razionale n.1
L'investitore razionale n.1L'investitore razionale n.1
L'investitore razionale n.1
 
Feb28_11_Borsa&Finanza
Feb28_11_Borsa&FinanzaFeb28_11_Borsa&Finanza
Feb28_11_Borsa&Finanza
 
Commento mercati Ottobre
Commento mercati OttobreCommento mercati Ottobre
Commento mercati Ottobre
 
ECB's Role in the European Monetary Union
ECB's Role in the European Monetary UnionECB's Role in the European Monetary Union
ECB's Role in the European Monetary Union
 
Set19_11_Borsa&Finanza
Set19_11_Borsa&FinanzaSet19_11_Borsa&Finanza
Set19_11_Borsa&Finanza
 
COMMENTO MERCATI - Maggio 2017
COMMENTO MERCATI - Maggio 2017COMMENTO MERCATI - Maggio 2017
COMMENTO MERCATI - Maggio 2017
 
Quello che non si dice sull'Italia
Quello che non si dice sull'ItaliaQuello che non si dice sull'Italia
Quello che non si dice sull'Italia
 
Commento Aprile 2016
Commento Aprile 2016Commento Aprile 2016
Commento Aprile 2016
 
COMMENTO MERCATI - Giugno 2017
COMMENTO MERCATI - Giugno 2017COMMENTO MERCATI - Giugno 2017
COMMENTO MERCATI - Giugno 2017
 
La crisi dell'euro parte prima
La crisi dell'euro parte primaLa crisi dell'euro parte prima
La crisi dell'euro parte prima
 
Europa e crisi Quanta ipocrisia
Europa e crisi Quanta ipocrisiaEuropa e crisi Quanta ipocrisia
Europa e crisi Quanta ipocrisia
 
COMMENTO MERCATI - Ottobre 2017
COMMENTO MERCATI - Ottobre 2017COMMENTO MERCATI - Ottobre 2017
COMMENTO MERCATI - Ottobre 2017
 
COMMENTO MERCATI - Aprile 2017
COMMENTO MERCATI - Aprile 2017COMMENTO MERCATI - Aprile 2017
COMMENTO MERCATI - Aprile 2017
 
COMMENTO MERCATI - Novembre 2016
COMMENTO MERCATI - Novembre 2016COMMENTO MERCATI - Novembre 2016
COMMENTO MERCATI - Novembre 2016
 
La crisi dell'Euro e le politiche di intervento: il ruolo delle banche
La crisi dell'Euro e le politiche di intervento: il ruolo delle bancheLa crisi dell'Euro e le politiche di intervento: il ruolo delle banche
La crisi dell'Euro e le politiche di intervento: il ruolo delle banche
 

Similar to Politica monetaria euro forte, analisi macoreconima e operativa

Brunetta l’unica vera notizia della settimana. la svalutazione dell’euro
Brunetta   l’unica vera notizia della settimana. la svalutazione dell’euroBrunetta   l’unica vera notizia della settimana. la svalutazione dell’euro
Brunetta l’unica vera notizia della settimana. la svalutazione dell’euroForza Italia - Veneto
 
Una guerra valutaria o è un qualcosa di completamente diverso
Una guerra valutaria o è un qualcosa di completamente diversoUna guerra valutaria o è un qualcosa di completamente diverso
Una guerra valutaria o è un qualcosa di completamente diversoHoro Capital
 
Weekly Outlook Deusche Bank-Wealth Management
Weekly Outlook Deusche Bank-Wealth ManagementWeekly Outlook Deusche Bank-Wealth Management
Weekly Outlook Deusche Bank-Wealth ManagementClaudio Candotti
 
WB PERSPECTIVES 21 marzo 2016
WB PERSPECTIVES  21 marzo 2016WB PERSPECTIVES  21 marzo 2016
WB PERSPECTIVES 21 marzo 2016Wlademir Biasia
 
Schroders economia&mercati q2 2013_it
Schroders economia&mercati q2 2013_itSchroders economia&mercati q2 2013_it
Schroders economia&mercati q2 2013_itFabrizio Carcani
 
Cambiare Le Regole A Metà Del Gioco
Cambiare Le Regole A Metà Del GiocoCambiare Le Regole A Metà Del Gioco
Cambiare Le Regole A Metà Del GiocoHoro Capital
 
Editoriale - così il rigore del prof ha messo al tappeto l'economia italiana
Editoriale - così il rigore del prof ha messo al tappeto l'economia italianaEditoriale - così il rigore del prof ha messo al tappeto l'economia italiana
Editoriale - così il rigore del prof ha messo al tappeto l'economia italianapdl-approfondimenti
 
Nel lungo termine saremo tutti nei guai
Nel lungo termine saremo tutti nei guaiNel lungo termine saremo tutti nei guai
Nel lungo termine saremo tutti nei guaiHoro Capital
 
Incontro annuale con il mercato finanziario
Incontro annuale con il mercato finanziarioIncontro annuale con il mercato finanziario
Incontro annuale con il mercato finanziarioFilippo Amendola
 
Allegato editoriale il giornale 27 febbraio
Allegato editoriale il giornale 27 febbraioAllegato editoriale il giornale 27 febbraio
Allegato editoriale il giornale 27 febbraiopdl-approfondimenti
 

Similar to Politica monetaria euro forte, analisi macoreconima e operativa (20)

Brunetta l’unica vera notizia della settimana. la svalutazione dell’euro
Brunetta   l’unica vera notizia della settimana. la svalutazione dell’euroBrunetta   l’unica vera notizia della settimana. la svalutazione dell’euro
Brunetta l’unica vera notizia della settimana. la svalutazione dell’euro
 
Una guerra valutaria o è un qualcosa di completamente diverso
Una guerra valutaria o è un qualcosa di completamente diversoUna guerra valutaria o è un qualcosa di completamente diverso
Una guerra valutaria o è un qualcosa di completamente diverso
 
Weekly Outlook Deusche Bank-Wealth Management
Weekly Outlook Deusche Bank-Wealth ManagementWeekly Outlook Deusche Bank-Wealth Management
Weekly Outlook Deusche Bank-Wealth Management
 
WB PERSPECTIVES 21 marzo 2016
WB PERSPECTIVES  21 marzo 2016WB PERSPECTIVES  21 marzo 2016
WB PERSPECTIVES 21 marzo 2016
 
How the mighty fall
How the mighty fallHow the mighty fall
How the mighty fall
 
Sei anni passati invano
Sei anni passati invanoSei anni passati invano
Sei anni passati invano
 
Schroders economia&mercati q2 2013_it
Schroders economia&mercati q2 2013_itSchroders economia&mercati q2 2013_it
Schroders economia&mercati q2 2013_it
 
Investire in valuta
Investire in valutaInvestire in valuta
Investire in valuta
 
Cambiare Le Regole A Metà Del Gioco
Cambiare Le Regole A Metà Del GiocoCambiare Le Regole A Metà Del Gioco
Cambiare Le Regole A Metà Del Gioco
 
Euro pro-contro
Euro pro-controEuro pro-contro
Euro pro-contro
 
[IT] Column on European High Yield
[IT] Column on European High Yield[IT] Column on European High Yield
[IT] Column on European High Yield
 
2016 12 world excellence
2016 12 world excellence2016 12 world excellence
2016 12 world excellence
 
COMMENTO MERCATI - Febbraio 2017
COMMENTO MERCATI - Febbraio 2017COMMENTO MERCATI - Febbraio 2017
COMMENTO MERCATI - Febbraio 2017
 
COMMENTO MERCATI - Febbraio 2017
COMMENTO MERCATI - Febbraio 2017COMMENTO MERCATI - Febbraio 2017
COMMENTO MERCATI - Febbraio 2017
 
Editoriale - così il rigore del prof ha messo al tappeto l'economia italiana
Editoriale - così il rigore del prof ha messo al tappeto l'economia italianaEditoriale - così il rigore del prof ha messo al tappeto l'economia italiana
Editoriale - così il rigore del prof ha messo al tappeto l'economia italiana
 
Dentro la Matrice
Dentro la MatriceDentro la Matrice
Dentro la Matrice
 
Nel lungo termine saremo tutti nei guai
Nel lungo termine saremo tutti nei guaiNel lungo termine saremo tutti nei guai
Nel lungo termine saremo tutti nei guai
 
COMMENTO MERCATI - Marzo 2017
COMMENTO MERCATI - Marzo 2017COMMENTO MERCATI - Marzo 2017
COMMENTO MERCATI - Marzo 2017
 
Incontro annuale con il mercato finanziario
Incontro annuale con il mercato finanziarioIncontro annuale con il mercato finanziario
Incontro annuale con il mercato finanziario
 
Allegato editoriale il giornale 27 febbraio
Allegato editoriale il giornale 27 febbraioAllegato editoriale il giornale 27 febbraio
Allegato editoriale il giornale 27 febbraio
 

Politica monetaria euro forte, analisi macoreconima e operativa

  • 1. POLITICA MONETARIA Analisi macroeconomica ed operativa del fenomeno del cosiddetto “Euro Forte” Introduzione Lettura degli operatori finanziari: sopravvalutazione dell’euro, e guerra monetaria Crisi economica Italiana : analisi economico-monetaria La strong-stagflazione: inflazione, recessione ed euro forte
  • 2. Introduzione Nel 1999, l’euro è stato introdotto per il raggiungimento di una maggiore stabilità e per perseguire l’obiettivo di un benessere diffuso nell’area Europea. Oggi, l’entusiasmo che ha seguito il passaggio alla moneta unica ha lasciato posto alla delusione, e recenti sondaggi spingono alle stesse constatazioni : numerosi europei hanno nostalgia della loro moneta nazionale. I politici se la prendono di continuo con la forza dell’euro, che è indicato come la causa principale dei mali di cui soffrono molte economie europee che crescono a fatica. E’ tuttavia opportuno moderare questa posizione allarmista, analizzando i punti forti e le debolezze della moneta unica. L’Unione europea effettua un terzo dei suoi scambi con il mondo esterno e la sua economia è pertanto influenzata dall’evoluzione dei tassi di cambio delle principali valute internazionali. Tra il primo gennaio 1999, data di introduzione della moneta unica e l’autunno 2000, il tasso di cambio dell’euro è passato da 1,18 a 0,83 $. La valuta europea si è poi notevolmente rafforzata rispetto al biglietto verde. Al di là delle discussioni sugli effetti inflazionistici del passaggio alla moneta unica e della crisi di fiducia che investe attualmente quest’ultima, numerosi politici e industriali europei sono oggi preoccupati della forza della moneta europea rispetto alle principali valute internazionali. Le opinioni divergono sugli effetti di un euro forte e sul comportamento da tenersi in materia di politica del cambio. La serenità tedesca si scontra con le paure francesi. Senza affrontare il ruolo dell’euro nel dinamismo economico europeo, l’obbiettivo è qui di gettare un po’ di luce sulle cause e gli effetti dell’evoluzione del tasso di cambio della moneta europea. Per quel che concerne i rischi, è chiaro che un euro forte riduce la competitività delle imprese del vecchio continente a fronte dei loro concorrenti giapponesi e di oltre-Atlantico. In effetti, quando la moneta unica è forte, il prezzo pagato per i prodotti europei è relativamente più alto di quello per i prodotti di altri paesi. Per conservare le proprie quote di mercato, numerose imprese esportatrici europee sono così spinte a ridurre i prezzi, ciò che incide negativamente sulle loro prospettive di profitto. Le imprese che fatturano in dollari vedono invece il loro margine di profitto direttamente eroso dall’ascesa dell’euro. Così la forza dell’euro, se dovesse perdurare, rischierebbe secondo alcuni specialisti di danneggiare la crescita della zona euro e di condurre in prospettiva ad un nuovo aumento della disoccupazione. Studi econometrici hanno stabilito che un apprezzamento della moneta europea del 10% rispetto al biglietto verde riduce il tasso di crescita della zona euro di un valore compreso tra 0,5 e 1%. A livello dei vantaggi, il primo sta certo nel miglioramento delle ragioni di scambio per la zona euro. Dato che i prezzi delle principali materie prime sono espressi in dollari, l’Europa ha notevolmente ridotto il costo dei suoi approvvigionamenti in questi ultimi anni. L’incidenza sull’economia europea dei ripetuti rialzi del prezzo del greggio è stata così ampiamente limitata dalla forza dell’euro. Un secondo vantaggio è rappresentato dal fatto che un euro forte sostiene previsioni positive sull’evoluzione delle condizioni monetarie nella zona euro e sull’andamento del tasso di cambio medio dell’euro rispetto al dollaro. Ciò si traduce in un livello generale dei tassi d’interesse nella zona euro inferiore a quello della zona dollaro e rende pertanto l’ambiente economico europeo più favorevole per gli investimenti. Riassumendo, un euro forte è più proficuo per gli investitori stranieri. Secondo alcuni, l’euro forte crea così una dinamica positiva ove basso tasso d’interesse, risparmio disponibile e previsioni verso un miglioramento delle ragioni di scambio favoriscono gli investimenti e dunque la crescita. Infine, la caduta del biglietto verde rispetto all’euro rende quest’ultimo più attraente per numerosi paesi in cerca di impieghi precauzionali e risulta in conseguenza favorevole all’investimento nella zona euro. Del resto, la forza e la stabilità dell’euro concorrerebbero sul lungo periodo a un suo utilizzo come moneta di riserva e di scambio a livello internazionale (ruolo attualmente ricoperto dal dollaro) ; ciò limiterebbe le fluttuazioni dei costi di approvvigionamento energetico e sarebbe certo proficuo per la zona euro. L’impiego massiccio dell’euro nelle transazioni internazionali potrebbe dover prima passare per un delicato periodo di
  • 3. transizione, ma risulterebbe benefico a lungo termine. Siamo tuttavia ancora lontani dall’obbiettivo : al contrario di quanto sostenuto da numerosi scritti, non ci sarebbe una sostituzione di attivi in dollari con attivi in euro nelle riserve di cambio mondiali. Il dollaro resterebbe così tuttora la prima moneta di riserva mondiale (65%). Certamente la quota dell’euro nelle riserve delle banche centrali è aumentata questi ultimi anni (sino al 25%), ma ciò sarebbe dovuto principalmente all’apprezzamento della moneta unica rispetto al biglietto verde sul mercato dei cambi. Si può rilevare, per contro, che l’euro sarebbe divenuto la valuta di riferimento per le transazioni in contanti (circolerebbero più euro che dollari sul pianeta), il che indicherebbe la fiducia acquisita a livello internazionale dalla moneta unica. Un euro forte ha dunque pregi e difetti e non vi sono argomenti che siano unicamente a favore di un apprezzamento o di un deprezzamento della moneta unica. Quello su cui numerosi economisti concordano è la necessità di mantenere una relativa stabilità dei cambi e di non oltrepassare una soglia, arbitrariamente fissata da alcuni intorno a 1,4$ per 1€. Lettura degli operatori finanziari: sopravvalutazione dell’euro, e guerra monetaria Big Mac Index Big Mac index mette a confronto il valore di uno stesso bene in paesi che hanno valuta diversa. L’obiettivo dell’analisi è capire se dal punto di vista fondamentale una moneta sia sopra/sotto valutata dal mercato. In base all’analisi il valore dell’Euro sarebbe 0,97 dollari, quindi un corso molto più basso rispetto ai livelli attuali, 1,22.Pertanto l’euro, in base a tali assunti è sopravvalutato rispetto al dollaro del 20%
  • 4. Analisi quantitativa Barclays Secondo le analisi quantitativa di Barclay, lo scambio Euro-Dollaro è sopravvalutato. Gli analisti hanno confrontato la quotazione attuale con il Fair Value (valore intrinseco).Il modello restituisce un valore fondamentale del cambio molto più basso di quanto battuto in questo momento sul mercato forex. Nella matrice che restituisce il valore finale Barclays tiene conto di tutti i fattori che possono influenzare il tasso di cambio. Il modello tiene conto dello spread dei tassi di interesse sulla parte a brevissimo della curva dei rendimenti, sulla scadenza da 3 mesi e a 1 anno, delle differenze dei rendimenti dei mercati azionari e infine del prezzo del petrolio. L’ipercomprato sull’Euro-Dollaro, oltre che sui modelli quantitativi, è segnalato anche dal mercato delle opzioni. Il sentiment è estremamente positivo segnala la volatilità implicita. La discesa dell’Euro nei confronti del biglietto verde potrebbe essere favorita anche dalle posizione nette sul mercato dei derivati. “Vi è una netta prevalenza di posizioni short”, hanno spiegato dalla banca inglese. I nuovi target ribassisti per l’Euro-Dollaro potrebbero essere ostacolati solo da un leggero ipervenduto di medio periodo.
  • 5. Guerra monetaria L'andamento attuale non tradisce tanto "la forza" dell'euro quanto la debolezza, voluta o subita, delle altre valute. In effetti, in Giappone, il nuovo governo conservatore del primo ministro Shinzo Abe ha deciso di perseguire una politica aggressiva di deprezzamento dello yen per rilanciare l'economia del paese. Il cambiamento annunciato a capo della Banca centrale del Giappone conferma questa politica, i cui effetti hanno già cominciato a farsi sentire. un deprezzamento dello yen del 12%. Il governo giapponese non ha fatto mistero del suo obiettivo di arrivare a un deprezzamento almeno del 20% della sua moneta, e per questo è disposto a sacrificare quel po' di indipendenza che resta della Banca Centrale del Giappone. Gli Stati Uniti hanno registrato un 4 ° trimestre 2012 molto deludente, con una crescita zero e un lieve aumento del tasso di disoccupazione, che attualmente è al 7,9%. La Banca Centrale degli Stati Uniti è di nuovo in manovra, e si prevedono di nuovo massicci acquisti di debito pubblico e privato. Non è quindi sorprendente che il dollaro sia sceso nei confronti dell'euro. Ma, dal momento che il dollaro è anche in concorrenza con lo yen, a causa degli scambi tra gli Stati Uniti e il Giappone, nel corso delle ultime tre settimane il fenomeno della caduta del dollaro tende ad aumentare.
  • 6. Fenomeni simili si osservano con la sterlina, e cosa un po' più sorprendente, con il franco svizzero. Per il tasso di cambio tra la sterlina e l'euro, anche in questo caso è chiaro che ragioni economiche (la stagnazione dell'economia britannica) spingono dirigenti della Banca d'Inghilterra a cercare un deprezzamento della valuta. Il caso svizzero è interessante per il fatto che in questo paese le autorità monetarie hanno fatto di tutto per evitare l'apprezzamento della moneta, ma non hanno cercato di deprezzarla. Si può quindi considerare il franco svizzero il metro di misura. Ora, si dà un apprezzamento dell'euro solo del 3%, mentre è molto superiore al 10% rispetto alle altre valute. In altre parole, non è tanto l'euro ad essere più forte del dollaro, quanto lo yen e la sterlina ad essere deboli. Lo scarto tra l'apprezzamento dell'euro con queste valute e con lo Franco svizzero lo testimonia.
  • 7. Crisi economica Italiana : analisi economico-monetaria L'euro è erroneamente visto come la causa della crisi mediterranea, e la politica monetaria estrema di uscire dall'euro è vista come la soluzione. Gli attuali problemi sono interamente dovuti a politiche fiscali sbagliate sia nel passato che nel presente. La soluzione sta in riforme di natura fiscale, anche se estreme. Per giustificare il titolo basterebbe notare che durante questi 12 anni dell’euro i due paesi dell’eurozona che hanno perso meno quote di export nel totale mondiale sono proprio la Spagna e l’Italia. Ma la situazione è sempre più drastica, e il pessimismo crescente per l’Italia sta fomentando tra l’opinione pubblica ricette di politica economica sempre meno lucide. In parte questo è dovuto ad un gioco di credibilità che tenta di fuorviare le colpe ad elementi esterni (i subprime, gli speculatori, le banche, le agenzie di rating) per celare con il mantello dell’ottimismo le debolezze interne che sono alla vera base della crisi. In parte però i facili rimedi oggi in auge sono dovuti ad una confusione sulle dinamiche della crisi e sulla differenza tra politiche fiscali e monetarie Ci sono almeno tre luoghi comuni sull’euro. Il primo riguarda la convinzione che la politica monetaria può funzionare solo se sotto il diretto controllo dei governi di ogni stato. Il fatto è che una banca centrale, anche se praticasse il rimedio estremo di stampar moneta in maniera massiccia, non creerebbe ricchezza e non stimolerebbe la crescita. Avere più euro in circolazione, o lire e dracme, non affronta per niente il vero problema di questa crisi. Il problema odierno è di debito pubblico, di poca crescita, e di un mercato finanziario che considera sempre più rischioso fare credito a certi stati. Il secondo luogo comune considera il peccato originale nel cambio euro-lira sbagliato in partenza che ha causato un decennio intero di crescita anemica per l’Italia. E’ importante sottolineare che il cambio di quasi 2000 lire per euro era dovuto anche al fatto che lo stato italiano aveva anche allora un enorme debito pubblico.I 2,5 milioni di miliardi di lire di debito nel 1999 sono diventati “solo” 1300 miliardi di euro, anziché 2500 miliardi di euro se il cambio fosse stato, per fare un esempio, 1000 lire per euro. L’euro ha costretto lo stato italiano a guardare in faccia i propri problemi
  • 8. strutturali privandolo della scorciatoia della svalutazione, cosa che comunque non sarebbe stata concessa all’infinito in un mercato unico come quello europeo. Il terzo luogo comune riguarda l’inevitabile uscita dall’euro “per evitare il default” della Grecia o dell’Italia. Un eventuale default e la permanenza della Grecia e dell’Italia nell’euro sono due cose separate. Dal punto di vista degli altri paesi europei, l’unica conseguenza avversa per loro sarebbe se la BCE decidesse di monetizzare il debito greco e italiano. Questo spalmerebbe il peso del debito pubblico greco e italiano a tutta l’Europa tramite un euro svalutato e più inflazione per tutti. In assenza di questa politica monetaria europea non c’è alcun motivo nel credere che l’uscita dall’euro avvenga per “espulsione”. Dal punto di vista del paese in difficoltà (Grecia o Italia), si può discutere se far parte dell’euro convenga o no, ma questo non è pertinente con la crisi attuale. Uscire dall’euro servirebbe a ripagare i propri creditori (i detentori dei titoli di stato) in dracme o in lire svalutate. Si avrà pertanto maggiore difficoltà a trovare finanziatori del deficit pubblico in futuro. È vero che l’attuale crisi ha le sue radici in uno shock esterno. La crisi finanziaria del 2008 e 2009 non è nata in Italia o in Grecia, ma l’atrofizzarsi dell’economia globale ha ridotto le entrate fiscali per tutti i paesi, e gli stati fiscalmente più deboli, e cioè con un debito pubblico maggiore, si sono trovati in prima linea. Bisogna inoltre tener conto che con la globalizzazione la competizione si è fatta globale. I timidi tentativi di riforma del mercato del lavoro, delle privatizzazioni, o la recente promessa di ripagare i debiti che lo stato ha verso le imprese aiutano solo in maniera marginale. Se non si tocca il vero problema di competitività che ha l’Italia e che ormai ha messo in ginocchio troppe imprese è impensabile parlare di politiche monetarie “miracolose”. La strong-stagflazione: inflazione, recessione ed euro forte Ci sono in esecuzione degli scenari di stagflazione. Tutto ciò potrebbe vedere gli investitori rivolgersi alle strategie che hanno storicamente fatto bene in quel periodo, tra cui le scommesse su aziende più piccole, quelle che sono relativamente a buon mercato, così come quelle con un bilancio particolarmente forte. L’inflazione nella zona euro è di circa il 2%, in linea con gli obiettivi della banca centrale e lontano dalle due cifre dei precedenti periodi di stagflazione. Mentre le aspettative di inflazione restano ancorate, la volatilità su questi livelli è aumentata, il che suggerisce la convinzione del mercato che la capacità che hanno banche centrali di controllare l’inflazione viene erosa. Tenuto conto delle prospettive di crescita debole, con la zona euro che dovrebbe raggiungere la sua “flatline” il prossimo anno dopo la contrazione dello 0,5% nel 2012, e con la disoccupazione nella regione in doppia cifra, alcuni intravedono un possibile e lungo periodo di stagflazione. La stagflazione è stata citata come una preoccupazione da parte dei gestori di fondi globali interpellati da Bank of America e Merrill Lynch, mentre la Banca d’Inghilterra ha avvertito che la Gran Bretagna si sta affacciando verso un mix “sgradevole” di una ripresa debole e di inflazione elevata. L’impatto sull’inflazione dei miliardi di nuovi fondi è stato riconosciuto da parte della Federal Reserve. E ‘impegnata a mantenere i tassi di interesse costanti fino a che la disoccupazione non scende almeno al 6,5%, e fino a quando l’inflazione non romperà la soglia del 2,5% dove le aspettative di inflazione più ampie sono state contenute. Mentre stagflazione può colpire la domanda per i titoli azionari, l’inflazione è in grado di supportare le scorte, a condizione che sia accompagnata da una crescita. Un’analisi utile per capire il fenomeno della stagflazione in europa,ed in particolare in italia, può essere quella di prendere in esame il ratio tra l’indice dei prezzi al consumo e l’indice del Pil Reale
  • 9. Dal 1996 al 2010, Il Pil italiano è quello cresciuto di meno a confronto con Francia, Germania, Regno Unito e Spagna. La dinamica del Pil è rappresentata con le linee a tratteggio, fatto pari all'unità il Pil del 1996. Le serie sono quelle Eurostat, concatenate e ai cambi del 2000. Se l'indice dei prezzi al consumo (l'armonizzato europeo) è rapportato all'indice del Pil, la posizione dell'Italia si contraddistingue ancora. Si tratta dell'unico Paese per il quale questo ratio resta praticamente sempre sopra l'unità, mostrando anzi una chiara tendenza alla divaricazione dal 1996 in poi. Per Francia, Regno Unito e Spagna, il ratio è sempre inferiore all'unità lungo tutti gli anni di osservazione, pur mostrando un forte aumento a partire dal 2008, a cavallo con la crisi economica. Per la Germania, il ratio è inferiore all'unità sino al 2007 compreso, per poi superare l'unità dal 2008 in poi, attestandosi poco sopra l'unità nel 2010. In questo grafico sono riassunte le due caratteristiche che segnano il sistema Italia da oltre un quindicennio: bassa crescita lungo un continuo trend inflazionistico. Questo binomio ci parla di una strisciante stagflazione che, per la durata e le radici messe nel sistema economico italiano, ha assunto di fatto quasi una natura fisiologica. Per rompere questo binomio, le ricette di policy non possono ora fare affidamento su risorse del bilancio pubblico, che dovrà rispettare condizioni di austerity per ripristinare un sufficiente percorso convergente del debito pubblico. Le ricette di policy dovranno necessariamente riguardare riforme "a costo zero", dal ridisegno dell'architettura dei mercati, alla promozione della concorrenza con riassorbimento di rendite e sovraprofitti, all'ammodernamento delle professioni e dei mestieri pervasi di regole corporativistiche. In interventi di questo tipo si può e si deve ricercare il rilancio dell'attività economica e, nel contempo, il contenimento delle tensioni inflazionistiche.