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Daniel Quinn
                   Oltre la Civiltà
                      (Beyond Civilization)


Traduzione italiana non ufficiale di Dr. Jackal (nrt_ita@libero.it).
    Le altre opere di Daniel Quinn sono disponibili nel sito:
             NuovaRivoluzioneTribale.uphero.com



                                      Cosa accadrebbe se forgiassimo
                           intenzionalmente le nostre soluzioni sociali
                                          nel fuoco del caos creativo?
                                        (John Briggs e F. David Peat.)


                           Per Rennie,
              e per Hap Veerkamp e C. J. Harper,
         con un ringraziamento speciale ai membri del
        Seminario di Houston 1998, che hanno giocato
         un ruolo cruciale nella stesura di questo libro,
          e soprattutto a Scott Valentine e Sara Walsh.
    Ci avete fatto andare avanti e mi avete mantenuto sano.


    I senzatetto e i giovani stanno rapidamente convergendo nel
  territorio socioeconomico che in questo libro ho definito come
“Oltre la Civiltà”. I senzatetto per la maggior parte ci sono stati
   spinti involontariamente, mentre molti giovani lo desiderano
senza rendersene conto, come fa chiunque voglia di più dalla vita
   che una possibilità di nutrirsi alla mangiatoia in cui il mondo
  sta venendo divorato. È a loro e alle loro speranze che questo
                    libro è dedicato in particolare.
PARTE UNO
                          Individuare il problema

    L'ho sentita, naturalmente, da mio nonno, e lui dal suo, che l'ha sentita
dal suo, e così via, risalendo a centinaia di anni nel passato. Questo
significa che questa storia è molto vecchia. Ma non scomparirà, perché la
offro ai miei figli, e i miei figli la racconteranno ai loro, e così via.
    (Cantastorie gitano Lazaros Harisiadis, citato da Diane Tong in “Gypsy
Folk Tales”.)

   Una favola per cominciare.

    Tanto tempo fa, la vita si evolse su un certo pianeta, producendo molte
diverse organizzazioni sociali – branchi, greggi, stormi, orde e così via.
Una specie i cui membri erano insolitamente intelligenti sviluppò un'orga-
nizzazione sociale unica chiamata “tribù”. Il tribalismo funzionò bene per
loro per milioni di anni, ma a un certo punto decisero di sperimentare una
nuova organizzazione sociale (chiamata “civiltà”) che era gerarchica
anziché tribale. In breve quelli in cima alla gerarchia stavano vivendo nel
lusso, godendosi il meglio di qualunque cosa. Una classe sociale più
grande sotto di loro viveva molto bene e non aveva nulla di cui lamentarsi.
Ma alle masse che vivevano in fondo alla gerarchia la situazione non
piaceva affatto. Lavoravano e vivevano come animali da allevamento,
faticando anche solo per restare in vita.
    “Questo non sta funzionando”, dissero le masse. “Il modo tribale era
migliore. Dovremmo ricominciare a vivere in quel modo.” Ma il sovrano
della gerarchia disse loro: “Ci siamo lasciati alle spalle quella vita primiti-
va per sempre. Non possiamo tornarci.”
    “Se non possiamo tornare indietro”, dissero le masse, “allora andiamo
avanti – verso qualcosa di diverso.”
    “Non può essere fatto”, disse il sovrano, “perché nulla di diverso è
possibile. Niente può andare oltre la civiltà. La civiltà è un'invenzione
definitiva e insuperabile.”
    “Ma nessuna invenzione è mai insuperabile. Il motore a vapore è stato
sorpassato dal motore a scoppio. La radio è stata sorpassata dalla televisio-
ne. Il calcolatore è stato sorpassato dal computer. Perché la civiltà dovreb-
be essere diversa?”
    “Non so perché è diversa”, disse il sovrano, “lo è e basta.”
Ma le masse non ci credettero – e non ci credo neanch'io.

   Un manuale per il cambiamento.

    La mia prima concezione di questo libro era riflessa dal suo titolo
originale: “Il manuale per il cambiamento”. Ci avevo pensato perché non
c'è niente che la gente della nostra cultura desidera di più del cambiamen-
to. Vogliono disperatamente cambiare se stessi e il mondo intorno a loro.
La ragione non è difficile da trovare. Sanno che c'è qualcosa che non va –
in se stessi e nel mondo.
    In Ishmael e negli altri miei libri ho dato alla gente un nuovo modo di
capire che cosa è andato storto. Avevo l'idea – piuttosto ingenua – che
questo sarebbe bastato. Di solito basta. Se sai che cosa c'è che non va in
qualcosa – la tua macchina, il tuo computer, il tuo frigorifero o il tuo
televisore – allora il resto è relativamente semplice. Credevo che sarebbe
stato lo stesso in questo caso, ma naturalmente non è andata così. Ancora e
ancora, letteralmente migliaia di volte, la gente mi ha detto o scritto:
“Capisco che cosa stai dicendo – hai cambiato il modo in cui vedo il
mondo e il nostro posto in esso – ma che cosa dovremmo FARE a riguar-
do?”
    Avrei potuto dire: “Non è ovvio?” Ma ovviamente non è ovvio – nulla
di remotamente simile.
    In questo libro, spero di renderlo ovvio.
    In gioco c'è il futuro dell'umanità.

   Chi sono le persone della “nostra cultura”?

    È facile riconoscere le persone che appartengono alla “nostra” cultura.
Se andate da qualche parte – ovunque nel mondo – dove il cibo è tenuto
sotto chiave, sapete di trovarvi tra popoli della nostra cultura. Possono
essere incredibilmente diversi in materie relativamente superficiali – il
modo in cui si vestono, le loro usanze matrimoniali, le feste che osservano,
e così via. Ma quando si tratta della cosa più fondamentale di tutte,
ottenere il cibo che serve loro per sopravvivere, sono tutti uguali. In questi
luoghi, il cibo è tutto posseduto da qualcuno, e se ne vuoi un po' devi
comprarlo. In questi luoghi è ovvio; la gente della nostra cultura non
conosce altro modo.
    Rendere il cibo un bene da possedere è stata una delle grandi innova-
zioni della nostra cultura. Nessun'altra cultura nella storia ha mai messo il
cibo sotto chiave – e tenerlo lì è la pietra angolare della nostra economia,
perché se il cibo non fosse sotto chiave, chi lavorerebbe?

   Che significa “salvare il mondo”?

    Quando parliamo di salvare il mondo, a che mondo ci stiamo riferen-
do? Non al globo stesso, ovviamente. Ma neanche al mondo biologico – il
mondo della vita. Il mondo della vita, stranamente, non è in pericolo
(nonostante lo siano migliaia e forse persino milioni di specie). Perfino al
massimo della nostra distruttività, non riusciremmo a rendere questo
pianeta privo di vita. Attualmente si stima che fino a duecento specie si
estinguano ogni giorno, grazie a noi. Se continuiamo a uccidere i nostri
vicini a questo ritmo, verrà inevitabilmente il giorno in cui una di quelle
duecento specie sarà la nostra.
    Salvare il mondo non significa nemmeno preservare il mondo nel suo
stato attuale. Potrebbe sembrare una buona idea, ma è anche inattuabile.
Anche se l'intera razza umana svanisse domani, il mondo non resterebbe
com'è oggi. Non saremo mai in grado di fermare il cambiamento su questo
pianeta, in nessun modo.
    Ma se salvare il mondo non significa salvare il mondo della vita o
conservarlo immutato, di che stiamo parlando? Salvare il mondo può
significare solo una cosa: salvarlo in quanto habitat umano. Raggiungere
questo obiettivo significherà (deve significare) salvare il mondo come
habitat per più altre specie possibili. Possiamo salvare il mondo come
habitat umano solo fermando il nostro catastrofico sterminio della comuni-
tà della vita, perché dipendiamo da quella comunità per sopravvivere.

   Vecchie menti con nuovi programmi.

    Nel mio romanzo “The Story of B”, il volume centrale della trilogia
che comincia con “Ishmael” e finisce con “My Ishmael”, ho scritto: “Se il
mondo verrà salvato, non lo sarà da vecchie menti con nuovi programmi,
ma da nuove menti con nessun programma.” Temo che questo sia uno di
quei casi in cui le parole sono chiare ma i pensieri sono sfuggenti. Li
riformulerò. Se continueremo come stiamo facendo ora, non resteremo in
circolazione per molto tempo – alcuni decenni, un secolo al massimo. Se
saremo ancora in giro fra mille anni, sarà perché avremo smesso di
procedere come stiamo facendo ora.
    Come potrà avvenire questo? Come smetteremo di procedere in questo
modo?
    Ecco come le vecchie menti pensano di farci fermare. Pensano di farci
fermare nello stesso modo in cui hanno fermato la povertà, l'abuso di
droghe, il crimine. Con dei programmi. I programmi sono bastoncini
conficcati nel letto del fiume per impedirne lo scorrimento. Lo ostacolano.
Un po'. Ma non fermano mai il flusso, e non cambiano mai la direzione del
fiume.
    Ecco perché posso predire con sicurezza che se il mondo verrà salvato
non lo sarà perché delle vecchie menti avranno inventato dei nuovi
programmi. I programmi non riescono mai a fermare le cose che nascono
per fermare. Nessun programma ha mai eliminato povertà, abuso di droghe
o crimine, e nessun programma li eliminerà mai.
    E nessun programma ci farà mai smettere di distruggere il pianeta.

   Nuove menti con nessun programma.

    Se il mondo verrà salvato, non lo sarà da vecchie menti con nuovi
programmi, ma da nuove menti con nessun programma.
    Perché non nuove menti con nuovi programmi? Perché dovunque trovi
gente che lavora con dei programmi non trovi nuove menti, ma vecchie
menti. I programmi e le vecchie menti sono inscindibili.
    Il fiume che ho nominato prima è il fiume della visione. Il fiume della
visione della nostra cultura ci sta conducendo verso la catastrofe. I
bastoncini piantati nel suo letto possono ostacolarne il flusso, ma noi non
dobbiamo ostacolarlo, dobbiamo deviarlo in una direzione completamente
diversa. Se il fiume della visione della nostra cultura comincerà mai a
portarci lontani dalla catastrofe e verso un futuro sostenibile, allora i
programmi saranno superflui. Quando il fiume scorre dove vuoi, non ci
pianti dei bastoncini per ostacolarlo.

   Vecchie menti pensano:
   Come facciamo a far smettere queste brutte cose?

   Nuove menti pensano:
   Come facciamo a rendere le cose come le vogliamo?

   Nessun programma?

    I programmi permettono di apparire occupati e risoluti mentre si
fallisce. Se i programmi funzionassero davvero come previsto, la società
umana sarebbe il paradiso: i nostri governi funzionerebbero, le nostre
scuole funzionerebbero, i nostri sistemi legali funzionerebbero, i nostri
sistemi giudiziari funzionerebbero, i nostri sistemi penali funzionerebbero,
e così via.
    Quando i programmi falliscono (come fanno invariabilmente), la colpa
viene data alla progettazione scadente, alla mancanza di finanziamenti e di
personale, alla cattiva amministrazione e all'addestramento inadeguato.
Quando i programmi falliscono, vengono rimpiazzati da programmi nuovi
con progettazione migliorata, maggiori finanziamenti e personale, ammini-
strazione superiore e addestramento più minuzioso. Quando anche questi
nuovi programmi falliscono (come fanno invariabilmente), la colpa viene
data alla progettazione scadente, alla mancanza di finanziamenti e di
personale, alla cattiva amministrazione e all'addestramento inadeguato.
    Ecco perché spendiamo sempre di più per i nostri fallimenti ogni anno
che passa. La maggior parte della gente lo accetta piuttosto volentieri,
perché sa che ottiene di più ogni anno: più finanziamenti, più leggi, più
polizia, più prigioni – più di ogni cosa che non ha funzionato l'anno prima,
o quello prima ancora, o quello prima ancora.

   Vecchie menti pensano:
   Se non ha funzionato l'anno scorso, facciamone DI PIÙ quest'anno.

  Nuove menti pensano:
  Se non ha funzionato l'anno scorso, facciamo QUALCOSA DI DIVER-
SO, quest'anno.

   Se non programmi, allora cosa?

    Un uomo era seduto nel bel mezzo del deserto in un aggeggio fatto di
pietre, pezzi di legno e vecchi pneumatici sgonfiati, che stava “guidando”
con impegno come se fosse stato un veicolo in movimento.
    Quando gli chiesero che cosa stesse facendo, l'uomo disse: “Sto
tornando a casa.”
    “Non ci arriverai mai con quell'affare”, gli dissero.
    “Se non con questo, allora con cosa?”, chiese lui.
    Noi siamo come quest'uomo, occupati a cercare di guidare verso il
futuro in una macchina di Rube Goldberg fatta di programmi che non ci ha
mai portato più lontano di quanto il suo mucchio di spazzatura abbia mai
trasportato lui. Perfino dopo aver riconosciuto che i programmi non
funzionano e non hanno mai funzionato, comunque, ci sembra ancora
naturale chiedere: “Se non programmi, allora cosa?”
    Mi piacerebbe riformulare la domanda in questo modo: “Se i program-
mi non funzionano, allora che cosa funziona?” In realtà, ho un modo
ancora migliore di chiederlo: “Che cosa funziona così bene che i program-
mi sono superflui? Che cosa funziona così bene che non verrebbe mai in
mente a nessuno di creare dei programmi per farlo funzionare?”
   La risposta a queste domande è: una visione.

   L'invisibilità del successo.

    Quando le cose funzionano, le forze che le fanno funzionare sono
invisibili. L'universo stesso è un classico esempio di questo. Ci è voluto un
genio straordinario per riconoscere le leggi del moto e della gravitazione
universale che ora ci sembrano quasi noiosamente ovvie. Il genio di
Newton è consistito proprio nel vedere ciò che era così evidente da essere
invisibile. Ogni avanzamento scientifico rende evidente un meccanismo
che era rimasto mascherato dalla sua stessa efficienza. Il motto dei balle-
rini è: non lasciare mai che ti vedano faticare. Quando si tratta delle leggi
dell'universo, il motto diventa: non lasciare mai che ti vedano. Fai in modo
che debbano dedurre la tua esistenza. E in effetti le leggi dell'universo non
sono mai osservabili direttamente, quindi non abbiamo altro modo di
scoprirle che tramite deduzione.
    Ciò che funziona nella comunità della vita è mascherata dal proprio
successo in modo simile. Le leggi basilari dell'ecologia hanno la bellezza e
la semplicità di una favola, ma la loro esistenza cominciò a venire sospet-
tata solo un secolo fa.

   L'invisibilità del successo tribale.

    La gente è affascinata dal motivo per cui un branco di leoni funziona,
per cui un branco di babbuini funziona o per cui uno stormo di oche
funziona, ma spesso è riluttante a imparare perché una tribù di umani
funziona. Gli umani tribali hanno sono esistiti con successo su questo
pianeta per tre milioni di anni prima della nostra Rivoluzione Agricola, e
non hanno meno successo oggi ovunque siano riusciti a sopravvivere
intatti, ma molte persone della nostra cultura questo non vogliono sentirlo.
In effetti, lo negheranno vigorosamente. Se si spiega loro perché un branco
di elefanti funziona, o perché un alveare di api funziona, non avranno
problemi. Ma se si cerca di spiegar loro perché una tribù di umani
funziona, si viene accusati di “idealizzarli”. Dal punto di vista dell'etologia
o della biologia evoluzionistica, comunque, il successo degli umani in
tribù non è un'idealizzazione più di quanto lo sia quello dei bisonti in orde
o delle balene in branchi.
La nostra scusa culturale per il fallimento è che gli umani sono
“naturalmente” difettosi – avidi, egoisti, miopi, violenti e così via, il che
significa che qualunque cosa si provi a fare con loro fallirà. Per convalida-
re questa scusa, la gente vuole che il tribalismo sia un fallimento. Per
questo motivo, alla gente che vuole confermare la nostra mitologia
culturale ogni suggerimento che il tribalismo avesse successo sembra una
minaccia.
    Rendere il successo della vita tribale visibile è il lavoro dei miei altri
libri, e non verrà ripetuto qui.

   Successo vistoso, fonte invisibile.

    La nostra cultura ha avuto un successo vistoso, nel senso che ha
conquistato il mondo. Per la maggior parte della nostra storia, questo
successo è stato percepito come semplicemente inevitabile, la realizzazio-
ne del destino umano. La gente non si interrogava a riguardo più di quanto
si interrogasse sulla gravità. Quando gli europei “scoprirono” il Nuovo
Mondo, considerarono loro sacro dovere conquistarlo. La gente che stava
già vivendo lì era solo fra i piedi, come alberi, rocce e animali selvaggi.
Non avevano un vero motivo per essere lì, come invece noi. Per noi,
conquistare questo emisfero era solo parte del piano generale (presumibil-
mente quello di Dio) che prevedeva che conquistassimo l'intero pianeta.
Non ci ha sorpreso minimamente il fatto che siamo stati in grado di
conquistare questo emisfero (e l'intero pianeta, in realtà). È semplicemente
ciò che doveva succedere, quindi naturalmente è successo. Nessuno
rimane sorpreso quando le nuvole producono pioggia.
    Prima di Newton, la gente non si chiedeva perché gli oggetti senza
sostegno tendessero a cadere al suolo. Immaginavano soltanto che non
potessero fare altro. Dovevano cadere al suolo, e questo era tutto. I nostri
storici sono sempre stati nella stessa situazione quando si è trattato del
nostro tremendo successo culturale. Non si chiedono perché fossimo spinti
a conquistare il mondo. Si dicono semplicemente: che altro avremmo
potuto fare? Dovevamo conquistare il mondo, e questo è tutto.

   La visione è come la gravità.

   Una visione è per una cultura ciò che la gravità è per la materia.
Quando vedete una palla rotolare giù da un tavolo e cadere al suolo,
dovreste pensare: “La gravità è all'opera.” Quando vedete una cultura
comparire ed espandersi in tutte le direzioni fino a ricoprire l'intero
pianeta, dovreste pensare: “Una visione è all'opera.”
    Quando vedete un piccolo gruppo di persone cominciare a comportarsi
in un modo particolare che in seguito si espande in tutto il continente,
dovreste pensare: “Una visione è all'opera, qui.” Se vi dico che il piccolo
gruppo di cui sto parlando era composto da seguaci di un predicatore del
primo secolo di nome Paolo e che il continente era l'Europa, capirete che la
visione era la Cristianità.
    Dozzine o forse perfino centinaia di libri hanno analizzato le ragioni
del successo della Cristianità, ma nessuno di loro è stato scritto prima del
diciannovesimo secolo. Prima del diciannovesimo secolo, sembrava a tutti
che la Cristianità non avesse bisogno di un motivo per avere successo più
di quanto ne avesse la gravità. Era destinata ad avere successo.
    Per esattamente la stessa ragione, nessuno ha mai scritto un libro
analizzando le ragioni dietro il successo della Rivoluzione Industriale. È
perfettamente ovvio per noi che la Rivoluzione Industriale fosse destinata
ad avere successo. Non avrebbe potuto fallire più di quanto una palla che
rotoli giù da un tavolo possa cadere verso il soffitto.
    Questo è il potere della visione.

   La diffusione della visione.

    Ogni visione di diffonde automaticamente, ma non ogni visione si
diffonde nello stesso modo. In un certo senso, il meccanismo di espansione
è la visione.
    Il meccanismo di espansione della nostra cultura è stato la crescita
demografica: cresci, prendi più terra, aumenta la produzione alimentare e
cresci ancora di più. Il meccanismo di diffusione della Cristianità era la
conversione: accetta Gesù, poi fai in modo che lo accettino anche gli altri.
Il meccanismo di espansione della Rivoluzione Industriale era il migliora-
mento: migliora qualcosa, poi rendilo disponibile in modo che altri
possano migliorarlo ancora di più.
    Chiaramente, tutti i meccanismi di diffusione hanno una cosa in
comune: conferiscono benefici a quelli che attuano l'espansione. Quelli che
ottengono più terra, aumentano la produzione alimentare e crescono, sono
ricompensati con ricchezza e potere. Quelli che accettano Gesù e fanno in
modo che altri lo accettino, sono ricompensati con il Paradiso. Quelli che
migliorano qualcosa e lo rendono disponibile perché altri possano miglio-
rarlo ulteriormente sono ricompensati con rispetto, fama e benessere. I
benefici conferiti non dovrebbero, comunque, venire confusi con il mecca-
nismo stesso. La nostra cultura non è stata diffusa da persone che diveniva-
no ricche e potenti, la Cristianità non è stata diffusa da gente che andava in
Paradiso, e la Rivoluzione Industriale non è stata diffusa da gente che
conquistava rispetto, fama e benessere.

   Visione: successo senza programmi.

    Quando un chimico mette dell'acqua in una fialetta e aggiunge del sale,
un angelo arriva e dissolve il sale in particelle cariche chiamate ioni. Dato
che percepiamo l'universo come un'entità che si autogoverna in base a dei
principi internamente consistenti e comprensibili, in questa storia l'angelo
ci sembra completamente superfluo. Quindi lo tagliamo via con il rasoio di
Occam.
    Nonostante gli storici ora stiano indagando sulle ragioni dietro il suc-
cesso della Cristianità, non stanno cercando dei programmi. La Cristianità
ha prosperato nel mondo romano perché la gente di quell'epoca era pronta
per essa, e gli storici non si aspetterebbero di trovare dei programmi al
lavoro lì per promuovere la Cristianità più di quanto i chimici si aspet-
terebbero di trovare degli angeli al lavoro nelle loro fiale. (Si potrebbe
obiettare che l'Editto di Costantino di Milano, che conferì la libertà di culto
ai cristiani, sia stato un programma di supporto, ma in realtà ha solo
autorizzato ciò che due secoli e mezzo di persecuzione non erano riusciti a
fermare, proprio come il ventunesimo emendamento della Costituzione
degli Stati Uniti ha autorizzato ciò che quattordici anni di Proibizionismo
non erano riusciti a fermare.)
    Allo stesso modo, la diffusione della nostra cultura non ha mai dovuto
essere portata avanti da alcun programma. Non ha mai vacillato per un
solo istante, e lo stesso può essere detto per la Rivoluzione Industriale.

   Quando la visione va storta.

   Quando il fiume della visione comincia a portare la gente in una dire-
zione che non gradisce, essa comincia a piantare dei bastoncini per osta-
colarne il flusso. Si tratta dei bastoncini che io chiamo programmi.
   La maggior parte dei programmi assume questa forma: rendi illegale la
cosa che ti sta infastidendo, cattura la gente che la sta facendo e mettila in
galera.

   Vecchie menti pensano:
   Dobbiamo scrivere leggi più severe e più dettagliate.

   Nuove menti pensano:
Nessun comportamento sgradito è mai cessato dopo essere stato reso
illegale.

   Il fatto che programmi di questo tipo falliscano invariabilmente non
preoccupa la maggior parte delle persone.

   Vecchie menti pensano:
   Se non ha funzionato l'anno scorso, facciamone DI PIÙ quest'anno.

  Nuove menti pensano:
  Se non ha funzionato l'anno scorso, facciamo QUALCOSA DI DIVER-
SO, quest'anno.

    Ogni anno, senza eccezioni, rendiamo illegali più cose, catturiamo più
persone che le fanno e ne mettiamo di più in prigione. Il comportamento
reso illegale non scompare mai perché, direttamente o indirettamente, è
supportato dalla potente, invisibile, inarrestabile forza chiamata “visione”.
Questo spiega perché gli ufficiali di polizia sono molto più inclini a diveni-
re criminali di quanto i criminali non lo siano a divenire ufficiali di polizia.
Si chiama “seguire la corrente”.

   I programmi non sono malvagi, sono solo insufficienti.

    Quando qualcuno riceve delle ferite potenzialmente fatali in un
incidente d'auto, i medici nell'ambulanza fanno tutto il possibile per tenerlo
in vita fino all'arrivo in ospedale. Il primo soccorso è essenziale ma da solo
è insufficiente, come sanno tutti. Se alla fine della strada non c'è un ospe-
dale, il paziente morirà, perché l'ambulanza semplicemente non ha le
risorse che ha l'ospedale.
    Lo stesso vale per i programmi. Ci sono molti programmi attivi oggi
che si occupano di alleviare i nostri programmi di morte in modo da
proteggere l'ambiente cosicché non divenga perfino più degradato di
quello che è. Come il primo soccorso dell'ambulanza, questi programmi
sono essenziali ma da soli insufficienti. Sono insufficienti perché sono
fondamentalmente reattivi. Come i medici nell'ambulanza, non possono far
avvenire cose buone, possono solo rendere le cose negative un po' meno
negative. Non creano qualcosa di buono, si limitano a puntare i piedi
contro qualcosa di malvagio.
    Se non c'è un ospedale alla fine della strada, il paziente nell'ambulanza
morirà, perché il primo soccorso (per quanto possa essere utile) semplice-
mente non è in grado di tenerlo in vita indefinitamente. Se alla fine della
strada non c'è una nuova visione per noi, anche noi moriremo, perché i
programmi (per quanto possano essere utili) semplicemente non sono in
grado di tenerci in vita indefinitamente.

   Ma come potremmo andare avanti senza programmi?

    Una volta, nella terra delle gambe spezzate, gli abitanti sentirono delle
voci su un'altra terra molto lontana dove la gente si muoveva liberamente,
perché nessuno aveva le gambe rotte. Si beffarono di queste voci, dicendo:
“Come potrebbe la gente muoversi senza stampelle?”
    Dire che la Rivoluzione Industriale è un esempio grandioso di ciò che
la gente può fare senza programmi è un eufemismo. È un esempio scon-
volgente. Dall'epoca in cui Giambattista della Porta ha sognato il primo
“moderno” motore a vapore, quasi quattrocento anni fa, a oggi, questo
vasto movimento che ha trasformato il mondo è stato portato avanti
unicamente da una visione: migliora qualcosa, poi rendilo disponibile ad
altri perché lo migliorino ancora di più. Non è mai stato necessario un
singolo programma per portare avanti la Rivoluzione Industriale. Invece, è
stata portata avanti dalla fiduciosa realizzazione in milioni di menti che
perfino una piccola nuova idea, perfino una modesta innovazione o miglio-
ramento di qualche invenzione precedente avrebbe potuto migliorare le
loro vite quasi oltre ogni immaginazione. Nel giro di pochi, brevi secoli,
milioni di ordinari cittadini, agendo quasi interamente per interesse perso-
nale, hanno trasformato il mondo diffondendo idee e scoperte e facendo
avanzare quelle idee e quelle scoperte portandole passo dopo passo a
nuove idee e nuove scoperte. Riconoscere tutto questo non rende la
Rivoluzione Industriale un evento benedetto – ma neanche condannarla
come una catastrofe la rende qualcosa di meno della più grande esplosione
di creatività della storia umana.

   Ma come vivremo allora?

    Nessun paradigma è mai in grado di immaginare il successivo. È quasi
impossibile per un paradigma immaginare che ce ne sarà mai un altro. I
popoli del Medioevo non pensavano di essere nel “mezzo” di qualcosa. Per
quanto li riguardava, il modo in cui vivevano era quello in cui la gente
avrebbe vissuto fino alla fine dei tempi. E se anche si fosse riusciti a
persuaderli che una nuova epoca era alle porte, sarebbero stati incapaci di
dirci qualunque cosa a riguardo – e in particolare non avrebbero potuto
dire che cosa l'avrebbe resa nuova. Se fossero stati in grado di descrivere il
Rinascimento nel quattordicesimo secolo, sarebbe stato quello il Rinasci-
mento.
    Noi non siamo diversi. Con tutto il nostro blaterare di nuovi paradigmi
emergenti, per noi è un'assunzione irrefutabile che i nostri lontani discen-
denti saranno esattamente come noi. I loro giocattoli, le loro mode, la loro
musica e cose simili saranno sicuramente diversi, ma siamo sicuri che la
loro mentalità sarà identica – perché non riusciamo a immaginare un'altra
mentalità che le persone possano avere. Ma in realtà, se riusciremo
davvero a sopravvivere qui sarà perché saremo passati a una nuova epoca
tanto differente dalla nostra quanto il Rinascimento lo era dal Medioevo –
e tanto inimmaginabile per noi quanto il Rinascimento lo era nel Medioe-
vo.

   Come possiamo ottenere una visione che non riusciamo a immagi-
nare?

    Come si è sempre fatto: un meme alla volta. Sono consapevole che
questa affermazione richiede una spiegazione. La cosa migliore sarebbe
che leggeste, ma in caso non sia possibile per voi in questo momento,
riassumerò. In breve, i meme sono per le culture ciò che i geni sono per i
corpi.
    Il vostro corpo è un insieme di cellule. Ogni cellula nel vostro corpo
contiene un raggruppamento di tutti i vostri geni, che Dawkins ha
paragonato a un insieme di progetti di costruzione per un corpo umano –
per la precisione, il vostro. Al concepimento, voi eravate una singola
cellula – un singolo insieme dei progetti di costruzione per il vostro corpo,
metà ricevuta da vostra madre e metà da vostro padre. Quest'unica cellula
in seguito si è divisa in due, ognuna delle quali contenente l'insieme
completo dei progetti di costruzione per il vostro corpo. Queste due cellule
si sono poi divise in quattro, le quattro in otto, le otto in sedici, e così via –
e ognuna di esse conteneva l'insieme completo dei progetti di costruzione
per il vostro corpo.
    Una cultura è anch'essa una collezione di cellule, che in questo caso
sono singoli esseri umani. Ognuno di voi (e ognuno dei vostri genitori,
parenti e amici) contiene un insieme completo di meme, che sono i
progetti di costruzione per la nostra cultura. Dawkins ha coniato la parola
meme (che fa rima con theme – tema, argomento) per descrivere ciò che lui
percepiva come l'equivalente culturale del gene.

   La diffusione di geni e meme.
Dawkins suggerisce che i meme si replichino nella “vasca memica”
(ciò che io chiamo “cultura”) in un modo analogo a quello in cui i geni si
replicano nella vasca genetica. Si trasferiscono da mente a mente come i
geni si trasferiscono da corpo a corpo. I geni si trasferiscono da un corpo
all'altro tramite la riproduzione. I meme si trasferiscono da una mente
all'altra tramite la comunicazione: nelle ninne-nanne ascoltate nella culla,
nelle favole, nelle conversazioni dei genitori a tavola, nelle barzellette, nei
cartoni animati, nei fumetti, nei sermoni, nei pettegolezzi, nelle lezioni, nei
libri di testo, nei film, nei romanzi, nei giornali, nelle canzoni, nelle pub-
blicità, e così via.
    Fiumi di inchiostro (sia reale che virtuale) sono stati spesi sui meme di
Dawkins. Alcune autorità li hanno liquidati come non esistenti o privi di
senso. Altri sono arrivati al punto da chiedersi se i meme esistono nei
cervelli come entità fisiche, come i dendriti o le cellule gliali. Lascio che
ne discutano loro.
    Ogni cultura è un insieme di individui, e ogni individuo ha nella sua
testa un completo insieme di valori, concetti, regole e preferenze che, presi
tutti insieme, costituiscono i progetti di costruzione di quella particolare
cultura. Che li si chiami meme o marglefarbs è irrilevante. Non ci può
essere alcun dubbio sulla loro esistenza.

   Piccole percentuali, grandi differenze.

    A meno che non siate genetisti, sarete probabilmente sorpresi di sapere
che ci distinguiamo dagli scimpanzé per una piccolissima percentuale di
geni. Ci aspetteremmo che le cose stessero diversamente. Siamo così
evidentemente diversi dagli scimpanzé che ci aspetteremmo che ci fosse
un abisso genetico tra di noi. Ovviamente i geni che non condividiamo
devono in qualche modo “fare la differenza”. Ma sarebbe un errore
pensare che senza questi geni gli umani sarebbero scimpanzé – o che con
quei geni gli scimpanzé sarebbero umani. Gli umani non sono solo
scimpanzé con dei geni extra, né gli scimpanzé sono umani con geni
mancanti. Nulla nel mondo della genetica (e in nessun altro, per dirla tutta)
è mai così semplice.
    Solo una piccolissima percentuale di meme differenziava il Rinasci-
mento dal Medioevo, ma ovviamente i nuovi meme fecero tutta la diffe-
renza. L'autorità della Chiesa impallidì, emersero nuovi ideali umanisti, lo
sviluppo della pressa per la stampa diede alla gente nuove idee riguardo
ciò che potevano conoscere e su cui potevano riflettere, e così via. Per
ottenere il Rinascimento non è stato necessario cambiare il novanta
percento dei meme del Medioevo – e nemmeno l'ottanta, il sessanta, il
trenta o il venti percento. E i nuovi meme non dovevano cominciare ad
agire tutti in una volta. In effetti, non avrebbero potuto. Il Rinascimento
era pronto per Andrea del Verrocchio molto prima che per Martin Lutero.

   Che meme dobbiamo cambiare?

     A questa domanda è molto più facile rispondere di quanto ci si
aspetterebbe. I meme che dobbiamo cambiare sono quelli letali.
     Richard Dawkins lo ha detto con semplicità irriducibile: “Un gene
letale è uno che uccide il proprio possessore.” Potrebbe sembrarvi ingiusto
o in qualche modo perfino irragionevole che cose come i geni letali
esistano. Potreste anche chiedervi come fanno i geni letali a restare nella
vasca genetica. Se uccidono i loro possessori, perché non vengono
eliminati? La risposta è che i geni con cominciano ad agire tutti insieme.
La maggior parte dei geni, naturalmente, comincia ad agire durante lo
stadio fetale, quando il corpo viene costruito. Altri, altrettanto ovviamente,
rimangono dormienti fino alla pubertà. I geni letali che cominciano ad
agire prima della pubertà sono naturalmente eliminati rapidamente dalla
vasca genetica, perché i loro possessori sono incapaci di trasmetterli
tramite la riproduzione. Anche i geni letali che cominciano ad agire
all'inizio della pubertà tendono a venire eliminati, ma quelli che
cominciano ad avere effetto durante la mezza età o la vecchiaia rimangono
nella vasca genetica, perché i loro possessori sono quasi sempre in grado
di trasmetterli tramite la riproduzione prima di soccombere ai loro effetti
mortali.

   Meme letali.

    Un meme letale è uno che uccide il proprio possessore. Per esempio, i
membri della setta Heaven's Gate possedevano un meme letale che
rendeva loro il suicidio irresistibilmente attraente – ma io non sono molto
interessato a meme che sono letali per gli individui. Sono interessato ai
meme che sono letali per le culture (e per la nostra cultura in particolare).
    I geni letali non cominciano benigni per poi diventare letali. Invece,
cominciano col non avere nessun effetto o con l'averne uno che solo in
seguito diventa letale. Lo stesso vale per i meme letali. Gli antichi
testimoni semiti che osservarono la nascita della nostra cultura videro che i
loro vicini avevano preso dei meme dall'albero della conoscenza degli dei.
Dissero: “I nostri vicini del nord credono di dover dominare il mondo.
Questo meme è benigno negli dei ma è mortale negli umani.” La loro
predizione era accurata, ma non si è realizzata immediatamente. I meme
che ci hanno reso i dominatori del mondo sono letali, ma non avevano un
effetto letale diecimila anni fa – o cinquemila, o duemila. Erano all'opera,
trasformandoci nei dominatori del mondo, ma la loro letalità non è divenu-
ta evidente fino a questo secolo, quando hanno cominciato a trasformarci
nei distruttori del mondo.
    Liberarci di questi meme è una questione di vita o di morte, ma può
essere fatto. Lo so perché è stato fatto – da altri. Molte volte.
PARTE DUE
                         Avvicinandoci al processo

                                        ...è stata sfigurata e abbandonata...
                                             ...il crollo definitivo della città...
                                               Qualunque cosa sia avvenuta...
                                                     ...la città venne distrutta...
                                     Il crollo può essere stato causato da...
                                           ...luoghi sono stati abbandonati...
                                             ...città sono state abbandonate...
                              Past Worlds: The Times Atlas of Archaeology.

   Macchine da sopravvivenza per i geni.

    Ognuno di noi è un miscuglio dei geni ricevuti da nostra madre e da
nostro padre, e naturalmente loro sono miscugli di geni ricevuti dalle loro
madri e dai loro padri. Sapendo questo, tendiamo a pensare ai nostri geni
come alle cose che ci fanno andare avanti, generazione dopo generazione.
Ma ecco un'immagine più vicina alla realtà: se i geni potessero pensare,
penserebbero a noi come a ciò che permette loro di andare avanti,
generazione dopo generazione.
    Dico che questo è più vicino alla realtà perché in effetti noi non soprav-
viviamo come individui, ma i nostri geni sì. Tu e io, come tutte le creature
viventi, siamo abitazioni mobili temporanee per i geni che abbiamo
ricevuto dai nostri genitori, e il nostro lavoro (dal punto di vista dei nostri
geni) è di assicurarci di dare a questi geni una casa nella generazione
successiva – nei nostri figli, naturalmente. Per quanto riguarda i nostri
geni, quando un'unità abitativa temporanea individuale non ha più valore
riproduttivo, è pronta a essere riciclata. Questo dovrebbe mostrarti chiara-
mente qual è la situazione qui. Tendiamo a pensare a noi stessi come ai
VIP del pianeta, i capi, i pezzi grossi, ma in realtà siamo solo veicoli usa e
getta in cui i nostri geni stanno viaggiando verso l'immortalità. “Macchine
da sopravvivenza per i geni” è il nome che Richard Dawkins ha dato a
questi veicoli usa e getta.

   Macchine da sopravvivenza per i meme.

   Allo stesso modo, siamo i veicoli usa e getta in cui i nostri meme
stanno viaggiando verso l'immortalità. Questi meme ci arrivano da ogni
soggetto parlante con cui ci capita di crescere – genitori, parenti, amici,
vicini, insegnanti, predicatori, capi, colleghi e chiunque sia coinvolto nella
produzione di libri di testo, romanzi, fumetti, film, programmi televisivi,
giornali, riviste, siti internet e così via. Tutte queste persone si ripetono
costantemente (e naturalmente ripetono ai loro figli, studenti, impiegati e
così via) i meme che hanno ricevuto durante la loro vita. Tutte queste voci
prese insieme costituiscono la voce di Madre Cultura.
    In caso ci sia bisogno di dirlo, l'immortalità di cui sto parlando qui non
è assoluta. I nostri geni non sopravviveranno alla morte del nostro pianeta,
fra qualche miliardo di anni, e i nostri meme hanno un'aspettativa di vita
molto più bassa.

   La fedeltà della copiatura.

    Diciamo che avete scritto un documento di una pagina al computer e
l'avete stampato. Se ne fate una fotocopia con una buona macchina, avrete
difficoltà a distinguere la copia (che chiameremo A) dall'originale. Ma se
userete A per fare un'altra copia, B, e poi usate B per fare C, e poi usate C
per fare D, e poi usate D per fare E, quest'ultima copia sarà facilmente
distinguibile dall'originale. Questo rende evidente che una piccola parte
dell'originale è andata perduta ogni volta che ne è stata fatta una copia. Tra
una copia e la successiva non è visibile alcuna perdita a occhio nudo, ma
un accumulo di perdite è chiaramente visibile se si confronta l'originale
con la copia E. Questo avviene perché avete usato una macchina copiatrice
analogica.
    Ma se tornate al computer e fate una copia A del documento originale,
poi fate una copia B del file A, una copia C del file B e così via, potreste
continuare a fare copie del documento tutto il giorno, una dopo l'altra, e
alla fine della giornata è molto probabile che non ci sarebbe alcuna diffe-
renza visibile tra il file originale e l'ultima copia. Questo perché avete
usato un meccanismo copiativo digitale anziché analogico. Questa fedeltà
di copiatura è il fondamento stesso della rivoluzione digitale.

   Replicazione genica e memica.

    I geni si replicano con lo stesso tipo di incredibile fedeltà – ma lo
stesso non si può dire dei meme a meno di non aggiungere dei requisiti.
Tra i popoli tribali inalterati (come per esempio quelli nel Nuovo Mondo
prima dell'invasione europea), la trasmissione dei meme da una generazio-
ne all'altra solitamente avviene con fedeltà virtualmente perfetta. Ecco
perché sono convinti di aver vissuto nel loro modo fin dall'inizio dei tempi.
A noi, quindi, le culture tribali sembrano statiche (parola che per noi ha
un'accezione peggiorativa) paragonata alla nostra cultura, che sembra
dinamica (parola che per noi ha un'accezione positiva).
    La nostra cultura è dinamica (per come la percepiamo) perché i nostri
meme sono spesso molto volatili: nascono in una generazione, sono colmi
di potere nella successiva, sono traballanti in quella seguente e poi ridicol-
mente vecchi in quella dopo ancora. Ciononostante, c'è un nucleo centrale
di meme culturalmente fondamentali che abbiamo continuato a trasmettere
con totale fedeltà dalla nascita della nostra cultura, diecimila anni fa, fino
al momento attuale. Identificare questo nucleo di meme fondamentali non
è molto difficile, e sarebbe stato fatto molto tempo fa se qualcuno ci avesse
pensato.

   Il miglior modo di vivere.

    Uno di questi meme fondamentali è che prodursi da soli tutto il proprio
cibo sia il modo migliore di vivere. A eccezione di pochi antropologi (che
sanno perfettamente che è una questione di opinioni), questo meme non
viene mai messo in discussione nella nostra cultura. E quando dico che
alcuni antropologi sanno che è una questione di opinioni, intendo che lo
sanno principalmente per motivi professionali. Come antropologi, sanno
che i Boscimani africani non concorderebbero che produrre tutto il proprio
cibo sia il modo migliore di vivere, né lo farebbero gli Yanomami brasilia-
ni, o gli Alawa australiani, o i Gebusi della Nuova Guinea. Come indivi-
dui, comunque, questi antropologi lo considerano quasi universalmente il
modo migliore di vivere, e lo sceglierebbero senza esitazioni per se stessi
tra tutti gli altri a disposizione. Al di fuori di questa professione, sarebbe
difficile trovare qualcuno nella nostra cultura che non sia convinto che
produrre tutto il nostro cibo tramite l'agricoltura sia il modo migliore di
vivere.
    È impossibile dubitare che questo meme sia entrato nella nostra cultura
nel momento stesso della sua nascita. Non saremmo diventati agricoltori a
tempo pieno se non fossimo stati convinti che fosse il modo migliore di
vivere. Al contrario, è lapalissiano che abbiamo cominciato a produrre
tutto il nostro cibo proprio per la stessa ragione per cui continuiamo a
produrlo ancora oggi – perché ci siamo convinti che è il modo migliore di
vivere.
    Oppure...
Forse gli è solo capitato di cominciare a farlo?

    È allettante immaginare che l'agricoltura rappresenti il percorso di
minor resistenza per gente che cerca di procurarsi di che vivere, ma in
realtà nulla potrebbe essere più lontano dalla verità. Produrre il proprio
cibo rappresenta il percorso di maggior resistenza, e più ne produci,
maggiore la resistenza. È stato stabilito oltre ogni dubbio che c'è una
precisa correlazione tra quanto duramente si deve lavorare per restare in
vita e quanto si è dipendenti dall'agricoltura. Quelli che coltivano di meno
faticano anche di meno, e quelli che coltivano di più faticano di più. La
quantità di energia che ci vuole per mettere ottanta grammi di mais in una
lattina sullo scaffale di un supermercato è quasi incredibile, così come il
tempo che si deve lavorare per produrre quegli ottanta grammi di mais.
    No, i fondatori della nostra cultura non hanno cominciato per caso a
vivere in totale dipendenza dall'agricoltura, hanno dovuto costringersi a
farlo, e il giogo che hanno usato è questo meme: produrre tutto il proprio
cibo è il miglior modo di vivere.
    Nulla di meno sarebbe bastato per fare una cosa simile.

   Forse erano solo affamati?

    Un cacciatore-raccoglitore che necessita di 2.000 calorie al giorno per
vivere deve spenderne solo 400 per ottenerle, perché questa è la proporzio-
ne con cui la caccia-e-raccolta ricompensa gli sforzi – 1 caloria di lavoro
ne dà 5 di cibo. Per contrasto, un agricoltore che necessita di 2.000 calorie
al giorno deve spenderne 1.000 per ottenerle, perché questa è la proporzio-
ne con cui l'agricoltura ricompensa gli sforzi – 1 caloria di lavoro ne dà 2
di cibo.
    Per un individuo affamato, scambiare la caccia-e-raccolta con l'agricol-
tura è come per uno in difficoltà finanziarie scambiare un lavoro che paga
cinque dollari l'ora per uno che ne paga solo due. Non ha assolutamente
senso, e più sei affamato, meno ne ha.
    L'agricoltura è meno efficiente per combattere la fame della caccia-e-
raccolta, ma conferisce indiscutibilmente altri benefici (il più evidente dei
quali è fornire la base per divenire prima stanziali e poi civilizzati), e fu
per ottenere questi vantaggi che i fondatori della nostra cultura finirono per
adottare uno stile di vita di completa dipendenza dall'agricoltura. Da quel
momento, è diventata una questione di fede tra di noi che produrre tutto il
nostro cibo sia il modo migliore di vivere. Avevamo investito in quel
meme, e avremmo protetto quell'investimento a qualunque costo.

   Popoli del Nuovo Mondo che hanno adottato questo meme.

    Non fummo l'unico popolo a riconoscere in tempi antichi i benefici del
produrre tutto il proprio cibo. Tra i popoli più celebri che adottarono
questo meme nel Nuovo Mondo ci furono i Maya, gli Olmechi, il popolo
di Teotihuacàn, gli Hohokam, gli Anasazi, gli Aztechi e gli Inca.
    Ciò che è significativo per il nostro studio di questo meme fondamenta-
le è che, per l'epoca in cui gli Europei arrivarono nel Nuovo Mondo, alla
fine del quindicesimo secolo, solo le più recenti di queste civiltà, gli
Aztechi e gli Inca, lo stavano ancora seguendo.

   I Maya.

    I Maya probabilmente divenirono agricoltori a tempo pieno poco dopo
di noi, ma (come noi) cominciarono a sembrare costruttori di civiltà solo
dopo diversi millenni. Le prime grandi città dello Yucatàn cominciarono a
emergere intorno al 2.000 a.C., insieme alla fondazione del Medio Regno
d'Egitto e perfino in anticipo di un paio di secoli rispetto alla fondazione di
Babilonia.
    I Maya fiorirono per quasi tremila anni. Poi, all'inizio del nono secolo
dell'era comune, le città del sud improvvisamente cominciarono a venire
abbandonate e in breve rimasero deserte. Le città del nord continuarono a
fiorire per qualche tempo sotto il dominio dei Toltec ma crollarono quando
i Toltec persero il potere nel tredicesimo secolo. Mayapàn, a ovest, emerse
a questo punto come l'ultimo avamposto della civiltà Maya, ma anche esso
sarebbe crollato dopo un paio di secoli.
    Questo è all'incirca il tipo di resoconto che si potrebbe trovare in una
normale enciclopedia o in un atlante storico. Anche se comincia parlando
di persone, diventa immediatamente la storia di qualcos'altro, qualcosa
come un grande transatlantico che attraversa il tempo. Trasporta passegge-
ri, questo è certo, ma sono solo zavorra, necessari solo perché senza di loro
la nave si ribalterebbe e affonderebbe immediatamente.

   Gli Olmechi e Teotihuacàn.

   Gli agricoltori Olmechi di Veracruz e Tabasco costruirono grandi centri
cerimoniali, principalmente a San Lorenzo e a La Venta. San Lorenzo, il
più antico, prosperò dal 1.200 al 900 a.C., quando (come si dice) venne
“sfigurato e abbandonato”. La stessa cosa avvenne a La Venta, cinque
secoli dopo. Centri minori continuarono a venire abitati per qualche tempo,
ma la distruzione di La Venta segnò la fine del dominio olmeco dell'area.
    Circa duecento anni dopo, una delle grandi città del mondo antico
cominciò a venire costruita nel Messico centrale. Teotihuacàn era destinata
a diventare la sesta più grande città del mondo per il 500 d.C. Per duecen-
tocinquant'anni prosperò come centro del proprio impero, poi all'improvvi-
so successe la solita cosa. Fu “distrutta” – bruciata e forse perfino “ritual-
mente” spazzata via. Le rovine furono occupate per qualche tempo, ma la
città era morta.

   Gli Hohokam e gli Anasazi.

    Il popolo che occupò le terre deserte del sud dell'Arizona più o meno
dall'epoca di Cristo ci sembra composto da lavoratori infaticabili anziché
da costruttori di civiltà. Le loro imprese più memorabili, cominciate
intorno al 700 d.C., non erano città ma vaste reti di canali di irrigazione
che permettevano loro di coltivare tutto il loro cibo. Singoli canali, larghi
fino a sette metri e profondi fino a quattro metri e mezzo, potevano
estendersi fino a 25 chilometri, e una rete lungo il Salt River collegava 240
chilometri di canali. Il lavoro cominciò a venire abbandonato all'inizio del
quindicesimo secolo, e in pochi decenni i lavoratori divennero gli
Hohokam – “quelli che svanirono”, nel linguaggio degli indiani Pima
dell'area.
    Gli Anasazi occupavano la Regione dei Quattro Angoli, dove l'attuale
Arizona, il Nuovo Messico, lo Utah e il Colorado si incontrano. Prospera-
rono solo brevemente, a partire dal 900 d.C., e non costruirono grandi
città, ma raggiunsero uno stile di vita notevole in piccole città e abitazioni
su delle rupi. Vennero tutte abbandonate subito dopo il 1.300 d.C.

   Cercando gli attori.

    Nello scrivere queste storie condensate ho seguito lo schema comune
per resoconti del genere, cominciando in modo attivo, con persone che
fanno cose, e finendo in modo passivo, con cose che vengono fatte – a
“città”, “insediamenti” o “civiltà”. La fine arriva sempre quando le città
sono “abbandonate”, “distrutte”, “sfigurate”, “bruciate” o “sconsacrate” –
uno non capisce mai da chi. Si rimane con una vaga sensazione di mistero,
come se queste cose fossero avvenute nel Triangolo delle Bermuda o nella
Zona del Crepuscolo.
    Gli autori di questi resoconti sono chiaramente a disagio con la verità,
ossia che queste civiltà sono state distrutte e abbandonate dalle stesse
persone che le avevano costruite. I Maya hanno abbandonato le loro città
di loro volontà – non sono stati rapiti da dischi volanti. Gli Olmechi stessi
hanno distrutto e abbandonato San Lorenzo e La Venta, e Teotihuacàn è
stata bruciata dai suoi stessi cittadini. Un giorno i costruttori di canali del
sud dell'Arizona hanno abbassato gli attrezzi e se ne sono andati, e un altro
giorno gli abitanti di Chaco Canyon e di Mesa Verde hanno fatto lo stesso.
    Tutti questi popoli fecero qualcosa di perfino più oltraggioso che in
resoconti di questo tipo non viene quasi mai nominato. Era già abbastanza
brutto che avessero abbandonato le loro civiltà, ma ciò che fecero dopo è
quasi impensabile: smisero di praticare l'agricoltura. Smisero di produrre
tutto il loro cibo.
    Abbandonarono il miglior stile di vita che esista.

   “Quelli che svanirono”.

    In un senso molto concreto, tutti loro meritano di venir chiamati
Hohokam, questi strani popoli che si sono sfilati le loro magnifiche vesti,
hanno messo da parte gli strumenti che avevano usato per creare immortali
opere d'arte, hanno stracciato i loro progetti per templi e piramidi, hanno
scartato letteratura, matematica e i calendari più avanzati del mondo,
hanno consegnato all'oblio elaborate religioni di stato e interi sistemi
politici... E si sono dispersi in qualunque ambiente fosse a disposizione –
giungle tropicali, pianure lussureggianti o alti deserti. Ovviamente,
nessuno di loro scomparve davvero. Adottarono semplicemente modi
meno appariscenti di procurarsi da vivere, o tramite la raccolta o tramite
qualche miscuglio di raccolta e agricoltura.
    Ma a ogni modo, hanno deliberatamente gettato via quello che ritenia-
mo il miglior stile di vita esistente per qualcosa di inferiore. Sapevano che
cosa stavano facendo, e lo hanno fatto lo stesso... Ancora, e ancora, e
ancora.
    Naturalmente, ci sono delle spiegazioni. Non si può permettere che dei
comportamenti inspiegabili rimangano inspiegabili. L'antropologo Jeremy
A. Sabloff fa notare che sono state proposte dozzine di ipotesi per spiegare
il crollo Maya, “inclusi l'eccessivo sfruttamento del suolo, terremoti,
uragani, cambiamenti climatici, malattie, invasioni di insetti, rivolte
popolari e invasioni militari”, e i Maya non sono un'eccezione. Le stesse
ipotesi (e altre) sono state avanzate per spiegare tutti gli altri crolli. Hanno
tutte qualcosa in comune, come conclude chiaramente il professor Sabloff:
“Nessuna di queste spiegazioni ha dimostrato di essere completamente
soddisfacente.”

   Perché nessuna sarà MAI soddisfacente.

   Nessuna spiegazione simile sarà mai soddisfacente perché tutti
sappiamo queste cose:

   Il suolo può essere impoverito qui, ma non ovunque.
   Terremoti e uragani non durano per sempre.
   Ai cambiamenti climatici si può sfuggire.
   Le malattie fanno il loro corso.
   Le invasioni di insetti vanno e vengono.
   Le rivolte popolari possono venire soppresse – o si può sopravvivere
    a esse.
   Gli invasori possono essere respinti – o assorbiti.

    Non possono essere state cose simili a far rinunciare questi popoli alla
civiltà, perché guardate noi. Queste cose sono semplici inconvenienti
paragonate a ciò che abbiamo affrontato noi – tutte queste cose, più molto
peggio: carestie, guerre di ogni tipo, inquisizione, governi sostenuti da
torture e assassinii, crimine in costante aumento, corruzione, tirannia,
follia, rivoluzioni, genocidi, razzismo, ingiustizie sociali, povertà di massa,
acqua avvelenata, aria inquinata, due guerre mondiali devastanti, la
prospettiva di un olocausto nucleare, guerra batteriologica ed estinzione.
Abbiamo affrontato tutto questo e di più, e mai, nemmeno una volta, siamo
stati tentati di abbandonare la nostra civiltà.
    Doveva esserci qualcos'altro all'opera – o mancante – in questi popoli.
E in effetti c'era qualcos'altro.

   Che differenza fa un ______!

     Due tizi su un aeroplano. Uno cade di sotto, poi un attimo dopo anche
l'altro lo segue. Il primo tizio si spappola al suolo come un pomodoro
maturo. Il secondo atterra in piedi e se ne va. È ovvio che il secondo aveva
qualcosa che il primo non aveva, e ciò che aveva è anch'esso ovvio: un
paracadute.
   Due tizi affrontano un bandito. Uno si prende un proiettile nel petto e
cade a terra morto. L'altro si prende un proiettile nel petto, poi risponde al
fuoco con calma e uccide il bandito. Di nuovo, è ovvio che il secondo
aveva qualcosa che il primo non aveva, e ciò che aveva è ovvio anch'esso:
un giubbotto antiproiettile.
   Due civiltà. Una va avanti per un po', poi magari avviene qualcosa di
brutto (o forse no) e all'improvviso tutti la abbandonano. L'altra civiltà va
avanti per molto di più, sopportando costantemente ogni catastrofe conce-
pibile – ma nessuno si sogna di abbandonarla, nemmeno per un secondo.
   Di nuovo, è ovvio che la seconda civiltà ha qualcosa che la prima non
aveva – ma che cosa abbia non è poi così ovvio.
   Ha un meme.

   Per volere di un meme, una civiltà andò perduta.

    Uno può immaginare quanto disperatamente i pontefici, i potentati, le
dinastie, i principi, i rajah, gli ierofanti, i sacerdoti, le sacerdotesse e le
guardie di palazzo di tutte queste barcollanti civiltà devono aver desiderato
impiantare nelle menti dei loro vacillanti sudditi questo semplicissimo
concetto: la civiltà deve continuare A OGNI COSTO e non deve venire
abbandonata IN NESSUN CASO.
    Va da sé, comunque, che impiantarlo e basta non è sufficiente. Per
avere effetto, un meme deve venire accettato senza discussioni. Non puoi
convincere la gente ad accettare un'idea assurda come questa sul momento.
Devono ascoltarla fin dalla nascita. Deve raggiungerli da ogni direzione ed
essere sepolta in ogni comunicazione, come avviene con noi.
    Tutti questi popoli hanno cominciato col credere che il modo migliore
di vivere fosse di produrre tutto il loro cibo. Perché altrimenti sarebbero
diventati agricoltori a tempo pieno? Hanno cominciato in quel modo e
hanno continuato così per molto tempo. Ma poi cominciarono ad avvenire
delle cose molto prevedibili. Per esempio, i Maya, gli Olmechi e la gente
di Teotihuacàn divennero rigidamente stratificati in élite ricche e potenti e
in masse povere e impotenti, che naturalmente facevano tutto il duro
lavoro che rendeva magnifiche queste civiltà. Le masse sopporteranno una
vita miserabile – lo sappiamo bene! – ma cominceranno inevitabilmente a
divenire irrequiete. Sappiamo anche questo.

   Quando le classi inferiori diventano irrequiete.
La nostra storia è piena di insurrezioni popolari, rivolte, ribellioni,
tumulti, sommosse e rivoluzioni, ma nessuna di esse si è mai conclusa con
la gente che se ne andava via. Questo perché i nostri cittadini sanno che la
civiltà deve continuare a ogni costo e non deve essere abbandonata in
nessun caso. Quindi perderanno il controllo, distruggeranno tutto quello
che vedranno, stermineranno tutte le élite su cui riusciranno a mettere le
mani, incendieranno, stupreranno e devasteranno – ma non se ne andranno
mai semplicemente via.
    Ecco perché il comportamento dei Maya, degli Olmechi e degli altri è
così impenetrabilmente misterioso per i nostri storici. Per loro, sembra
evidente che la civiltà debba continuare a ogni costo e non debba mai
venire abbandonata in nessun caso. Com'è possibile, allora, che i Maya, gli
Olmechi e gli altri non lo sapessero?
    Ma questo è esattamente ciò che mancava nelle menti di questi popoli.
Quando non gradirono più ciò che stavano costruendo, furono in grado di
abbandonarlo, perché non avevano la convinzione che dovesse continuare
a ogni costo e non venire abbandonato in nessun caso.
    Questo meme fa tra noi e loro la stessa differenza che il paracadute
faceva tra i due tizi che cadevano dall'aereo, o che il giubbotto antiproietti-
le faceva tra i due tizi che affrontavano il bandito.

   E riguardo tutti gli altri?

    Non ci sono prove che gli Hohokam e gli Anasazi si fossero stratificati
in classi superiori onnipotenti e classi inferiori impotenti. Ma ci sono delle
prove che gli Hohokam si stessero dirigendo in quella direzione. Piatta-
forme sopraelevate in stile mesoamericano (costruite da chi se non da una
classe inferiore emergente?) stavano cominciando a comparire qui e là,
così come lussuosi campi da gioco (costruiti per chi se non per una classe
superiore emergente?). L'esperimento Anasazi fu il più breve tra tutti
quelli che ho esaminato qui, e la civiltà meno sviluppata (ammesso che
meriti quel nome in primo luogo). Ciononostante, lo stesso vale per tutti.
Quando, per qualunque motivo, non hanno gradito più ciò che stavano
costruendo, sono stati in grado di abbandonarlo, perché non avevano la
convinzione che dovesse continuare a qualunque costo e non essere
abbandonato in nessun caso.
    Ho nominato (ma non discusso) le altre due grandi civiltà del Nuovo
Mondo: gli Inca e gli Aztechi. Il loro sviluppo iniziale e medio ha seguito
il modello dei Maya e degli Olmechi, ma la loro fine non è stata decisa da
loro, visto che vennero distrutti dalle armate spagnole di invasione nel
sedicesimo secolo. Ovviamente è impossibile sapere come avrebbero
potuto continuare se fossero stati lasciati a se stessi, ma la mia opinione è
che (mancando di quel particolare meme) avrebbero seguito l'esempio di
tutti gli altri.

   La fallacia culturale.

    A noi, il meme secondo cui la civiltà deve continuare a ogni costo e
non essere abbandonata in nessun caso sembra intrinseco alla mente
umana – lampante, come che la distanza più breve tra due punti è una linea
retta. Una mente che non possiede questo meme difficilmente ci sembra
umana. Noi immaginiamo che l'umanità sia nata con questo meme nella
mente. L'Homo habilis sapeva che avrebbe dovuto essere civilizzato, ma
non aveva l'intelletto necessario per diventarlo. L'Homo erectus sapeva che
avrebbe dovuto essere civilizzato, ma non aveva le capacità necessarie.
L'Homo sapiens sapeva che avrebbe dovuto essere civilizzato, ma non
riusciva a capire che cosa fosse necessario per diventarlo. L'Homo sapiens
sapiens sapeva che avrebbe dovuto essere civilizzato, aveva l'intelletto e le
capacità necessarie, e cominciò a farlo appena capì che l'agricoltura era ciò
che serviva per diventarlo. Naturalmente sapeva che la civiltà avrebbe
dovuto continuare a ogni costo e non essere abbandonata in nessun caso.
    Cosa c'era di sbagliato, allora, in tutti questi costruttori di civiltà del
Nuovo Mondo? È difficile per noi superare l'idea che ci fosse qualcosa di
molto misterioso in loro. Sapevano (perché è evidente) che la civiltà non
deve essere abbandonata in nessun caso – ma l'abbandonarono comunque.
    Questo è un esempio della Fallacia Culturale, ossia: i meme della
nostra cultura derivano dalla struttura stessa della mente umana, e se non
li hai, allora c'è qualcosa di sbagliato in te.
    Naturalmente, anche questo è un meme.

   L'altro mistero delle “Civiltà Perdute”.

    Il primo mistero dei costruttori di civiltà del Nuovo Mondo è facile da
notare, perché si manifesta come qualcosa che hanno fatto: hanno distrutto
quello che avevano costruito. Il secondo mistero è meno facile da notare,
perché si manifesta solo come qualcosa che non hanno fatto: non hanno
conquistato il mondo.
    All'apice del loro sviluppo, i Maya occupavano un'area non più grande
dell'Arizona. All'epoca in cui noi raggiungemmo lo stesso grado di
sviluppo, avevamo già occupato il medioriente, l'Europa e larga parte
dell'India e del Sud-est asiatico. Nessuno sarebbe stato in grado di opporsi
all'avanzata Maya a nord o a sud della loro terra natia, in Yucatan e
Guatemala, se avessero deciso di compierla. Avrebbero potuto civilizzare
l'intero emisfero nei millenni che ebbero a disposizione – se avessero
deciso di farlo. Stranamente, misteriosamente, non decisero di farlo.
    Gli Olmechi si contentavano di occupare un territorio più piccolo del
Connecticut, e se la loro metropoli Teotihuacàn fosse stata costruita nel
centro di Los Angeles, il suo dominio imperiale sarebbe stato ben più
ridotto dei confini della città.
    Cos'avevano che non andava questi popoli? Che cosa mancava loro che
noi invece avevamo?
    Avanti, provate a indovinare.

   Il meme mancante.

    A differenza dei soldati che li avevano preceduti, i colonizzatori del
Nuovo Mondo non arrivarono portandosi dietro i loro confini nazionali.
Invece, arrivarono portandosi dietro un confine culturale comune. Entro
questo confine, gente dall'Europa, dal Vicino e dal Lontano Oriente
potevano vivere tranquillamente fianco a fianco, perché erano fratelli
culturali. Che venissero dall'Inghilterra, dalla Cina, dalla Turchia, dalla
Russia, dall'Irlanda, dall'Egitto, dalla Tailandia o dalla Danimarca, erano
molto più simili l'uno all'altro di quanto fossero simili ai selvaggi fuori da
quel confine. (E naturalmente non andavano a caccia di schiavi se non
all'esterno di quel confine.)
    Questa non era una particolarità unica del Nuovo Mondo. Era sempre
stato così. Il confine che si espandeva in tutte le direzioni dalla Mezzaluna
Fertile non era uno nazionale, ma culturale. Non furono i soldati a conqui-
stare il Vecchio Mondo, furono gli agricoltori, che insegnarono ai loro
vicini, i quali insegnarono ai loro vicini, che poi insegnarono ai loro, dif-
fondendo il messaggio verso l'esterno in un cerchio in costante espansione
che alla fine comprese tutto tranne lo sconosciuto Nuovo Mondo dall'altra
parte del pianeta.
    Il meme che portammo con noi nel Nuovo Mondo non era nulla di
nuovo. Eravamo stati impegnati a diffonderlo fin dall'inizio: il nostro è
l'unico modo GIUSTO di vivere per le persone, e tutti dovrebbero vivere
come noi. Avendo questo meme, ci siamo resi missionari culturali nel
mondo e, non avendo questo meme, i Maya, gli Olmechi e gli altri non lo
hanno fatto.
Opera sacra.

    Quando Colombo si mise in viaggio verso ovest attraverso l'Atlantico,
non stava cercando un continente vuoto da colonizzare, stava cercando un
percorso per effettuare scambi commerciali con l'Oriente. E se fosse
arrivato davvero in Asia anziché in America, la gente d'Europa avrebbe
detto: “Andiamo a fare affari con questi orientali.” Nessuno si sarebbe
sognato di dire: “Andiamo lì, cacciamo via gli orientali e prendiamoci
l'Asia per noi.” Ma naturalmente Colombo non arrivò in Asia ma in
America, che, per come la vide, non era occupata (a parte da alcuni
selvaggi). Quando i popoli d'Europa lo sentirono, non si dissero: “Andia-
mo a fare affari con questi selvaggi.” Si dissero: “Andiamo lì, cacciamo
via i selvaggi e prendiamoci l'America per noi.” Questa non era avidità ma
piuttosto un loro sacro dovere. Quando un agricoltore disbosca un terreno
e lo mette a coltura non pensa che lo sta sottraendo alla vita selvaggia che
ci abita. Non lo sta rubando, lo sta usando nel modo che Dio aveva inteso
fin dall'inizio. Prima di venire coltivata, quella terra stava andando
sprecata. E questo è il modo in cui i colonizzatori videro il Nuovo Mondo.
I nativi stavano lasciando che andasse sprecato, e portandoglielo via e
cominciando a coltivarlo, loro stavano compiendo un'opera sacra.
    Il Nuovo Mondo non è stato sconfitto dalla spada, ma da un meme.

   Costruttori di piramidi.

     Le orde di lavoratori che costruirono le piramidi mesoamericane non
erano più miserabili di quelle che costruirono le piramidi egizie. I lavora-
tori mesoamericani pensavano semplicemente di avere un'alternativa alla
miseria, che alla fine sfruttarono (andandosene via). Noi non pensavamo di
averla, così continuammo a trascinarci, costruendo uno ziggurat qui, una
Grande Muraglia lì, una bastiglia qua, una linea Maginot là – e così via –
fino al momento attuale, in cui le nostre piramidi non stanno venendo
costruite a Giza o a Saqqara ma piuttosto alla Exxon, alla Du Pont, alla
Coca Cola, alla Proctor & Gamble e a McDonald's.
     Io visito molte classi, e gli studenti in un modo o nell'altro mi fanno
sempre arrivare al punto in cui chiedo quanti di loro non stanno nella pelle
all'idea di uscire e cominciare a lavorare alle piramidi a cui i loro genitori
hanno lavorato tutta la vita – e i loro genitori prima di loro. La domanda li
mette a disagio, perché sanno che dovrebbero essere assolutamente
deliziati dalla prospettiva di andare a girare hamburgers e pompare benzina
e riempire scaffali nel mondo reale. Tutti hanno detto loro che sono i
giovani più fortunati della Terra – genitori, insegnanti, libri di testo – e si
sentono sleali a non essere entusiasti. Ma non lo sono.

   Faraoni.

    Khufu impiegò ventitré anni per costruire la sua Grande Piramide a
Giza, dove millecento blocchi di pietra, ognuno pesante circa due
tonnellate e mezzo, dovevano venire lavorati, spostati e posizionati ogni
giorno durante la stagione di costruzione annuale, lunga circa quattro mesi.
Pochi studiosi di questo evento possono trattenersi dal notare che questo
risultato è un'incredibile testimonianza del controllo di ferro che il faraone
esercitava sui lavoratori egiziani. Io sostengo, al contrario, che il faraone
Khufu non dovette esercitare più controllo sui suoi lavoratori a Giza di
quanto il faraone Bill Gates ne eserciti sui suoi lavoratori alla Microsoft.
Sostengo che i lavoratori egizi, relativamente parlando, hanno ottenuto
dalla costruzione della piramide di Khufu quanto i lavoratori della
Microsoft ottengono dalla costruzione della piramide di Bill Gates (che
sicuramente farebbe apparire quella di Khufu minuscola, per quanto non
sarebbe, naturalmente, fatta di pietra).
    Non è necessario alcun controllo particolare per rendere gli uomini
costruttori di piramidi – se pensano di non avere altra scelta a parte
costruire piramidi. Costruiranno qualunque cosa venga loro detto di
costruire, che si tratti di piramidi, di garage o di programmi di computer.
    Karl Marx aveva capito che i lavoratori senza alternative sono lavorato-
ri in catene. Ma la sua idea di spezzare le catene era di deporre il faraone e
di costruire le piramidi per noi stessi, come se costruire piramidi fosse
qualcosa che non possiamo smettere di fare, ci piace così tanto.

   La soluzione Maya.

    Il meme è tanto forte tra di noi oggi quanto lo era tra i trascinatori di
pietre dell'antico Egitto: la civiltà deve continuare a ogni costo e non
essere abbandonata in nessuna circostanza. Stiamo rendendo il mondo
inabitabile per la nostra stessa specie e precipitando verso l'estinzione, ma
la civiltà deve continuare a ogni costo e non venire abbandonata in nessuna
circostanza.
    Questo meme non era letale nell'Egitto dei faraoni o nella Cina di Han
o nell'Europa medievale, ma è letale per noi. Si tratta letteralmente di noi o
di questo meme. Uno dei due deve andarsene – e presto.
    Ma...
    Ma...
    Ma... Ma sicuramente, signor Quinn, non sta suggerendo che torniamo
a vivere in caverne e a procurarci la cena con una lancia, vero?
    Non ho mai suggerito una cosa simile, neanche remotamente. Data la
nostra situazione, tornare alla vita di caccia-e-raccolta è un'idea ridicola
quanto farci spuntare le ali e volare verso il Paradiso. Possiamo smettere di
costruire piramidi, ma non possiamo tornare nella giungla. La soluzione
Maya per quanto ci riguarda non esiste più, per la semplice ragione che la
giungla stessa non esiste più e che ci sono sei miliardi di noi. Scordatevi di
tornare indietro. Non c'è nessun indietro. Indietro non esiste.
    Ma possiamo comunque abbandonare la piramide.

   Oltre la piramide.

    Se dopo aver abbandonato la piramide non possiamo tornare nella
giungla, che diamine possiamo fare? Ecco come il saggio gorilla di
Ishmael ha risposto alla domanda: “Vi vantate di essere creativi, non è
vero? Be', siate creativi.” Non sorprendentemente, il suo allievo l'ha
liquidata come una non-risposta – e sono sicuro che molti lettori hanno
fatto lo stesso. L'hanno fatto perché nel nostro meme sulla civiltà c'è un
altro meme implicito: la civiltà è l'invenzione DEFINITIVA dall'umanità, e
non potrà mai essere sorpassata. Ecco perché deve essere portata avanti a
ogni costo, perché non ci può essere nessuna invenzione oltre di essa. Se
dovessimo abbandonare la civiltà (gulp!), saremmo finiti!
    Se vorremo avere un futuro, la nostra prima invenzione dovrà essere un
uccisore di meme. Dobbiamo distruggere in noi stessi e nelle persone che
ci circondano il meme che afferma che la civiltà è un'invenzione impossi-
bile da superare. Dopotutto è solo un meme – solo una nozione peculiare
della nostra cultura. Non è una legge fisica, è solo qualcosa che ci è stato
insegnato a credere, che ai nostri genitori è stato insegnato a credere – così
come ai loro genitori, e ai loro genitori prima ancora, risalendo indietro nel
tempo fino a Giza, Ur, Mohenjo-Daro, Cnosso e oltre.
    Dato che non esiste un miglior uccisore di meme che un altro meme,
proviamo questo:

             Qualcosa di meglio della civiltà ci sta aspettando.
Qualcosa di molto meglio – a meno che tu non sia uno di quei rari
individui che adorano trascinare pietre.
PARTE TRE
                        Allontanarsi dalla Piramide


                                            Allontanandomi dalla Piramide
                                     sono uscito per comprare trascendenza
                                             e sono tornato con un telefono.
                                                             Anthony Weir.

                                      Ho ventidue anni e non aspetterò oltre.
                                                            Scott Valentine.


   Organizzazione sociale e selezione naturale.

    Nessuno rimane sorpreso dall'imparare che le api sono organizzate in
un modo che funziona per loro, o che i lupi sono organizzati in un modo
che funziona per loro, o che le balene sono organizzate in un modo che
funziona per loro. La maggior parte della gente capisce in modo generico
che l'organizzazione sociale di ogni specie si è evoluta nello stesso modo
delle altre sue caratteristiche. Organizzazioni inefficaci sono state elimi-
nate nello stesso modo in cui sono stati eliminati tratti fisici inefficaci –
tramite il processo conosciuto come selezione naturale.
    Ma c'è un pregiudizio bizzarro e implicito contro l'idea che lo stesso
processo abbia plasmato l'organizzazione sociale degli esseri umani nei tre
o quattro milioni di anni della sua evoluzione. Nessuno rimane sorpreso
dall'imparare che la forma di un artiglio o un modello di colorazione sia
giunto fino a noi perché funziona per il suo possessore, ma molti sono
riluttanti a considerare l'idea che ogni organizzazione sociale umana possa
essere giunta fino a noi per lo stesso motivo.

   Definizioni ed esempi.

   Stile di vita (o modo di vivere): un modo di procurarsi di che vivere per
gruppi o individui. La caccia-e-raccolta è uno stile di vita. Coltivare tutto il
proprio cibo è uno stile di vita. Mangiare carogne (per esempio tra gli
avvoltoi) è uno stile di vita. La raccolta di cibo (per esempio tra i gorilla) è
uno stile di vita.
Organizzazione sociale: una struttura cooperativa che aiuta un gruppo
ad attuare il proprio stile di vita. Le colonie di termiti sono organizzate in
una gerarchia di tre caste: addetti alla riproduzione (re e regina), lavoratori
e soldati. I cacciatori-raccoglitori umani sono organizzati in tribù.

    Cultura: la totalità di ciò che viene trasmesso da una generazione
all'altra tramite linguaggio ed esempi. Gli Yanomami brasiliani e i
Boscimani africani hanno lo stesso stile di vita (caccia-e-raccolta) e la
stessa organizzazione sociale (tribalismo), ma non la stessa cultura (eccetto
in un senso molto generale).

   La persistenza misteriosa.

    La nostra visione culturale è stata plasmata da persone che erano per-
fettamente soddisfatte della nozione che l'universo che potevano osservare
era nella sua forma finale, ed era comparso in quella forma – in un colpo
solo, per così dire. La storia della creazione della Genesi non ha originato
questa nozione, l'ha solo affermata: Dio aveva fatto il suo lavoro, aveva
visto che non c'era bisogno di miglioramenti, e questo è tutto.
    Non è stato facile per noi abbandonare questa convinzione, e infatti
molti di noi ci si aggrappano ancora inconsciamente perfino quando
parlano di evoluzione. Questo è il motivo per cui la scomparsa delle civiltà
del Nuovo Mondo sembra misteriosa ai nostri storici. Se la loro visione del
mondo fosse fondamentalmente darwiniana anziché aristotelica, capireb-
bero che ciò che stanno osservando in queste scomparse è solamente la
selezione naturale al lavoro, e l'aura di mistero scomparirebbe.
    Difficilmente si può dubitare che durante i nostri tre o quattro milioni
di anni su questo pianeta siano stati fatti migliaia di esperimenti culturali
tra gli umani. I successi sono sopravvissuti – e i fallimenti sono scomparsi,
per la semplice ragione che alla fine non rimaneva più nessuno che volesse
perpetuarli. La gente (solitamente) sopporterà di vivere in modo miserabile
solo per un certo periodo. Non sono i rinunciatari a essere misteriosi e
fuori dall'ordinario, siamo noi, che in qualche modo ci siamo convinti che
dobbiamo persistere nella nostra miseria a qualunque costo e non abbando-
narla nemmeno di fronte alla calamità, quelli misteriosi.

   Alcuni vogliono più dell'adeguatezza.
Prima di divenire agricoltori a tempo pieno, i Maya, gli Olmechi e tutti
gli altri praticavano la caccia-e-raccolta o qualche combinazione di agri-
coltura e raccolta. Il fatto che alla fine siano diventati agricoltori a tempo
pieno non indica forse che non erano perfettamente soddisfatti di questi
stili di vita?
    È esattamente quello che indica.
    A un certo punto, l'idea di produrre tutto il loro cibo con l'agricoltura è
sembrata loro più attraente del modo tradizionale. Questo non significa
necessariamente che odiassero la loro vita precedente, ma di sicuro
significa che hanno ritenuto la vita agricola più promettente. Molto
probabilmente non consideravano il loro avventurarsi nella vita agricola un
esperimento, ma una scelta permanente e irrevocabile. Se è così, questo
non nega il ruolo della selezione naturale in questo processo, ma piuttosto
lo evidenzia. Ognuno di questi popoli ha cominciato con l'abbandonare
uno stile di vita tradizionale per un'innovazione che sembrava loro
promettere maggiori quantità di ciò che desideravano. Quando l'innovazio-
ne ha finito con il dar loro meno di ciò che desideravano, questi popoli
l'hanno abbandonata e hanno ricominciato a vivere nel modo precedente.
L'innovazione aveva fallito il test in ognuno di questi casi.
    Ma questo non indica forse che i loro stili di vita tradizionali erano
meno che perfetti? Certamente. La selezione naturale è un processo che
separa ciò che funziona da ciò che non funziona, non il perfetto dall'im-
perfetto. Nulla di ciò che l'evoluzione porta avanti è perfetto, è solo
dannatamente difficile da migliorare.

   Tribalismo efficace.

    Come ho detto, se fate notare che gli alveari funzionano bene per le api,
o che i branchi funzionano bene per i babbuini e per i lupi, nessuno ci
trova nulla da ridire. Ma se fate notare che la vita tribale funziona bene per
gli umani, non sorprendetevi di venire attaccati con ferocia quasi isterica.
Gli attaccanti non criticheranno mai ciò che avete detto, ma piuttosto cose
che hanno immaginato che abbiate detto, per esempio che la vita tribale è
“perfetta”, o “idilliaca”, o “nobile”, o semplicemente “meravigliosa”. Non
importa che voi non abbiate detto nessuna di queste cose, si indigneranno
come se lo aveste fatto.
    La vita tribale in realtà non è perfetta, idilliaca, nobile o meravigliosa,
ma ovunque sia trovata intatta funziona bene – bene quanto i modi di
vivere di lucertole, procioni, oche o scarabei – con il risultato che i membri
della tribù non sono generalmente furiosi, ribelli, disperati, stressati quasi-
psicopatici dilaniati da crimine, odio e violenza. Ciò che gli antropologi
hanno trovato è che i popoli tribali, lungi dall'essere più nobili, più dolci o
più saggi di noi, sono capaci quanto noi di essere meschini, bruschi, miopi,
egoisti, insensibili, testardi e irascibili. La vita tribale non trasforma le
persone in santi; permette a individui ordinari di vivere insieme con uno
stress minimo anno dopo anno, generazione dopo generazione.

   Cosa ti aspetteresti?

    Dopo tre o quattro milioni di anni di evoluzione umana, cosa ti
aspetteresti se non un'organizzazione sociale che funzioni? Come altro
avrebbe potuto sopravvivere l'Homo habilis, se non in un'organizzazione
sociale efficace? Come altro avrebbe potuto sopravvivere l'Homo erectus,
se non in un'organizzazione sociale efficace? E se la selezione naturale ha
fornito all'Homo habilis ed erectus organizzazioni sociali efficaci, perché
avrebbe dovuto fallire nel fornirne una anche all'Homo sapiens? Gli umani
possono aver provato molte altre organizzazioni sociali in questi tre o
quattro milioni di anni, ma se è così, nessuna di esse è sopravvissuta. In
effetti, sappiamo che gli umani hanno provato altre organizzazioni sociali.
    I Maya ne hanno provata una – e hanno scoperto dopo tremila anni che
non funzionava (almeno non bene quanto il tribalismo). Sono ritornati al
tribalismo.
    Gli Olmechi ne hanno provata una – e hanno scoperto dopo trecento
anni che non funzionava (almeno non bene quanto il tribalismo). Sono
ritornati al tribalismo.
    Gli abitanti di Teotihuacàn ne hanno provata una – e hanno scoperto
dopo cinquecento anni che non funzionava (almeno non bene quanto il
tribalismo). Sono ritornati al tribalismo.
    Gli Hohokam ne hanno provata una – e hanno scoperto dopo mille anni
che non funzionava (almeno non bene quanto il tribalismo). Sono ritornati
al tribalismo.
    Gli Anasazi ne hanno provata una – e hanno scoperto dopo quattrocen-
to anni che non funzionava (almeno non bene quanto il tribalismo). Sono
ritornati al tribalismo.
    Nessuno dei loro esperimenti è sopravvissuto – ma il tribalismo sì. E
questo è ciò in cui consiste la selezione naturale.

   Se ti piace così tanto...
Le persone che non gradiscono ciò che dico mi sfidano spesso in questo
modo: “Se ti piace così tanto la vita tribale, perché non prendi una lancia e
non vai a vivere in una caverna?”
    La vita tribale non consiste di lance, caverne, caccia o raccolta. La
caccia-e-raccolta è uno stile di vita, un'occupazione, un modo di procurarsi
da vivere. Una tribù non è un'occupazione particolare; è un'organizzazione
sociale che rende più facile procurarsi da vivere.
    Dove viene loro ancora permesso, gli zingari vivono in tribù, ma
ovviamente non sono cacciatori-raccoglitori.
    Allo stesso modo, la gente del circo vive in tribù – ma, di nuovo,
ovviamente non sono cacciatori-raccoglitori. Fino a pochi decenni fa,
c'erano molti tipi di spettacoli viaggianti che avevano un'organizzazione
tribale – troupes teatrali, parchi di divertimento, e così via.

   Cosa le persone trovano nella vita tribale.

    Le tribù esistono per i loro membri – per tutti i loro membri, perché
sono tutti percepiti come coinvolti nel successo della tribù. Quando viene
montato il tendone, nessuno nel circo è più importante della squadra di
costruttori. Quando si montano le attrezzature, non c'è nessuno più
importante degli attrezzisti. Quando lo spettacolo comincia, non c'è
nessuno più importante degli artisti, umani e animali. E funziona così in
ogni fase della vita circense.
    Tra i cacciatori-raccoglitori, il successo ovviamente non ha nulla a che
fare con i soldi. Nel circo, naturalmente, tutti sanno che lo spettacolo deve
guadagnare soldi per poter continuare, ma è il circo, non il denaro, che
fornisce di che vivere. Intendo dire che non fanno continuare il circo per
fare soldi; fanno soldi per poter far continuare il circo. (Un artista potrebbe
vederla in questo modo: c'è differenza tra il dipingere per fare soldi e il
fare soldi per poter continuare a dipingere.)
    La tribù è ciò che fornisce loro ciò di cui hanno bisogno, e se la tribù
cessa di esistere, sono tutti nei guai. Tutti vogliono che il proprietario del
circo guadagni soldi, perché se smette di guadagnare, lo spettacolo chiude.
Gli interessi di tutti risiedono nel successo dell'intero spettacolo. Ciò che è
bene per la tribù è bene per tutti i soggetti coinvolti, dal proprietario al
venditore di zucchero filato.
    Utilizzo l'esempio del circo per enfatizzare il fatto che la vita tribale
non è qualcosa che ha funzionato solo tanto tempo fa o solo per i
cacciatori-raccoglitori.

    Esiste davvero una cosa come “il circo”?

    Se esistono cose come il teatro, l'opera e i cinema, perché non potrebbe
esistere una cosa come il circo? Ma è davvero tribale?
    È perché il circo è tribale che ci accorgiamo di quando un particolare
circo cessa di esserlo. La storia del Ringling Bros e del Circo di Barnum &
Bailey è inequivocabilmente la storia di tribù circensi, ma ormai quel
particolare circo è solo una grossa industria, gerarchica come la General
Motors o la United Airlines. Nessuno scambia uno spettacolo come “Ice
Capades”1 per un affare tribale; è cominciato come un'azienda e non è mai
stato nient'altro.
    Molte piccole imprese cominciano in un modo molto tribale, con pochi
soci che vi riversano tutte le loro risorse e ne ricavano solo ciò che è
necessario per sopravvivere, ma questo aspetto tribale scompare rapida-
mente se la compagnia diventa una gerarchia convenzionale. Anche se si
sviluppa tribalmente, con nuovi membri che aumentano i profitti in modo
da poter sopravvivere anche loro, rischia di perdere il suo carattere tribale
se diventa troppo ampia. Raggiunta una certa dimensione, deve smettere di
crescere oppure organizzarsi come una tribù di tribù, che è probabilmente
il modo migliore di considerare il tipo di grande circo che si può vedere in
ogni grande città oggigiorno.
    Una tribù è una coalizione di persone che lavorano insieme come
uguali per vivere. Una tribù di tribù è una coalizione di tribù che lavorano
insieme come uguali per vivere; ogni tribù ha un capo, così come l'intera
coalizione.

    La gente del circo è gente tribale.

    Ciò che i popoli tribali trasmettono alla generazione successiva non è
una fortuna già accumulata, ma piuttosto un sistema affidabile per
procurarsi da vivere. Per questo motivo, la famiglia di birrai Busch è un
clan, ma non una tribù. Ciò che la generazione attuale di Busch ha ricevuto
dalla precedente non è stato un sistema per guadagnarsi da vivere, ma una
fortuna già pronta che verrà passata alla generazione successiva.
    Per contrasto, gli artisti circensi di fama mondiale chiamati “I Grandi
Wallendas” non hanno alcuna compagnia da miliardi di dollari da
1 Spettacolo di pattinaggio sul ghiaccio.
trasmettere alla generazione successiva. Ciò che hanno da trasmettere è un
modo di procurarsi da vivere. Non hanno già di che vivere a disposizione
(come invece August Busch III, che non avrebbe dovuto lavorare neanche
un giorno in vita sua se non avesse voluto). Proprio come ogni generazione
di cacciatori-raccoglitori riceve dalla precedente la conoscenza su come
cacciare e raccogliere (ma deve cacciare e raccogliere da sola per vivere),
ogni generazione di Wallendas riceve dalla precedente la conoscenza e le
tecniche per esibirsi nel circo (ma deve esibirsi da sola per avere di che
vivere).
    In una tribù etnica, non è affatto raro vedere tre o perfino quattro
generazioni lavorare fianco a fianco. La stessa cosa viene osservata in tribù
circensi come i Wallendas, dove nessuno è stupito se la dodicenne Aurelia
Wallenda fa un Cloud Swing con uno zio di quarantasette anni, Alexandre
Sacha Pavlata, un artista circense di sesta generazione.

   “Mi permetto di obiettare!”

    Come molti vedranno l'utilità di considerare il circo una tribù, altri si
scandalizzeranno e la definiranno una falsità e un'idealizzazione assurda.
Verrà precisato, per esempio, che i circhi assumono regolarmente lavorato-
ri esterni che lavorano per un giorno o una settimana e poi se ne vanno.
Questi lavoratori a giornata sono raramente membri della tribù e raramente
lo diventano – tutto perfettamente vero (per quanto non cambi il fatto che
alcuni diventano membri della tribù).
    In circhi molto piccoli, tutto il lavoro viene svolto dallo stesso gruppo
di persone, che preparano l'attrezzatura, si occupano delle bancarelle, si
esibiscono e lavorano con gli animali. In circhi più grandi, comunque, i
capi, gli artisti e i lavoratori vengono visti come appartenenti a diverse
classi sociali, che in teoria (almeno in alcuni circhi) non fraternizzano tra
di loro. Devo interrogarmi, comunque, sulla validità di considerarle “classi
sociali”. È possibile, in una società ordinaria, immaginare che la classe
lavoratrice sogni di spodestare la classe “governante”. Ma questo non
avrebbe senso in un circo. Che cosa ci guadagnerebbero gli artisti circensi
dallo “spodestare” i capi? Che cosa ci guadagnerebbero i lavoratori
circensi dallo “spodestare” gli artisti? Anziché immaginare che il circo sia
diviso in “classi sociali” che in realtà non calzano, credo che abbia più
senso pensarlo come una tribù di tribù, come erano per esempio i Sioux.

   Storie tribali.
Un giorno di luglio del 1986, l'inviato del Chicago Tribune Ron
Grossman viaggiò con “l'ultimo piccolo spettacolo da strada” d'America,
partendo da New Windsor, Illinois, e arrivando a Wataga, a cinquanta
chilometri di distanza. Si trattava del Grande Circo Unito Errante di
Culpepper e Merriweather, che contava sei artisti, un lavoratore, tre capre,
sei cani, altrettanti pony Shetland e due giovani che si erano aggregati,
secondo la gloriosa tradizione di Toby Tyler. Mentre li aiutava a piantare il
tendone di quindici metri per venti nel Parco Wataga, il proprietario e
direttore del circo Red Johnson ricordò la propria storia circense, che era
cominciata quando aveva nove anni.
    “Mia madre mi svegliò una mattina molto presto e andammo a vedere il
Circo dei Fratelli Cole. Mi ricordo di essermi davvero entusiasmato per il
negozio del fabbro”, disse maneggiando un martello da otto chili a colpi
alterni con il clown B. J. Herbert e l'equilibrista Jim Zajack. “Dopo, mi
comprò un libro sul circo per ricordo e all'interno della copertina scrisse:
'Non farti venire strane idee'.”
    “La cosa divertente è che i miei mi dissero la stessa cosa quando mi
regalarono un libro sul circo, un Natale”, disse Zajack. Ma arrivato a
diciassette anni, li aveva estenuati tanto che lasciarono che prendesse
quello che avrebbe dovuto essere un lavoro estivo al Circo dei Fratelli
Franzen. Non tornò più a casa, eccetto quando uno spettacolo chiuse i
battenti.
    “Il circo”, disse a Grossman, “è come una piccola tribù di nomadi. Una
volta entratoci, non ne esci più.”

   “Qui sei parte di qualcosa.”

    Terrel “Cap” Jacobs, un ammaestratore del Culpepper e Merriweather,
ha parlato della natura gerarchica dei circhi più grandi, notando che hanno
lo stesso tipo di “ordine di beccata” della società in generale.
    “Da Ringling, gli artisti pensano di essere troppo superiori per parlare
ai lavoratori. Tutti hanno un lavoro preciso da fare; e dopo lo spettacolo,
tutti tornano al mondo privato della loro roulotte. Qui, siamo una famiglia.
Lavoriamo tutti insieme, ci esibiamo insieme, mangiamo insieme e, sì,
litighiamo e ci urliamo l'un l'altro. Non siamo abbastanza per giocare a
capi e indiani. Dev'essere una democrazia.”
    Ma non sono solo gli spettacoli più piccoli che sperimentano la
democrazia tribale. Nel 1992, David LeBlanc, capotendone (e più tardi
manager operativo) del Big Apple Circus, disse: “Qui hai una comunità
completa. Sono cresciuto in periferia, e non avrei saputo dire i nomi delle
persone che vivevano accanto ai miei genitori, e ci ho vissuto per quindici
anni. Qui non solo vivi nel quartiere, ma lavori anche insieme a tutti gli
altri per uno scopo comune. Sei parte di qualcosa.”
    Dopo aver aiutato una donna dello staff a sradicare un paletto del
tendone particolarmente testardo, LeBlanc disse: “Questa è la mentalità del
circo. Lei ha la mentalità giusta. E sa una cosa? Quello non aveva niente a
che vedere col suo lavoro. Stava solo dando una mano. La gente qui è
disposta a fare qualunque cosa. Nel mondo reale, la gente esige una pausa
di dieci minuti dopo aver lavorato tre ore, ma qui la gente è semplicemente
devota a ciò che fa.”

   L'abbandono del tribalismo.

    La gente non pianta campi per lavorare di meno. Pianta campi perché
vogliono stabilirsi e vivere in un luogo. Un'area usata solo per la raccolta
non contiene abbastanza cibo per sostentare un insediamento permanente.
Per costruire un villaggio, devi piantare alcuni campi – e questo è ciò che
la maggior parte degli aborigeni stanziali fa: pianta alcuni campi. Non
producono tutto il loro cibo. Non ne hanno bisogno.
    Una volta che cominci a convertire tutta la terra circostante in campi
coltivati, cominci a generare enormi eccedenze di cibo, che devono essere
protette dagli elementi e da altre creature – incluse altre persone. Alla fine,
devono venire messi sotto chiave. Nonostante in quel momento questo
fatto non venga riconosciuto, chiudere sotto chiave il cibo segna la fine del
tribalismo e l'inizio di quella vita gerarchica che chiamiamo “civiltà”.
    Appena compaiono i magazzini, qualcuno deve farsi avanti per far loro
la guardia, e questo custode ha bisogno di assistenti, che dipendono
interamente da lui, dato che non si guadagnano più da vivere come
agricoltori. Improvvisamente, compare sulla scena una figura di potere con
il compito di controllare la ricchezza della comunità, circondata da una
corte di vassalli fedeli, pronti a diventare una classe governante di reali e
nobili.
    Questo non avviene tra agricoltori a tempo parziale o tra cacciatori-rac-
coglitori (che non hanno eccedenze di cibo da chiudere sotto chiave).
Avviene solo tra gente che dipende dall'agricoltura per tutto il proprio
sostentamento – gente come i Maya, gli Olmechi, gli Hohokam, e così via.
Dal tribalismo al gerarchismo.

    Ogni civiltà che compare nella storia dal niente (ossia che non emerge
da altre civiltà precedenti) compare con la stessa organizzazione gerarchica
di base, che appaia in Mesopotamia, in Egitto, in India, in Cina o nel
Nuovo Mondo. Come siano arrivate a questo notevole risultato (senza
dubbio tramite qualche procedimento di selezione naturale) sarebbe
argomento di uno studio interessante – ma non il mio. Perché è avvenuto
lo lascio ad altri. Che sia avvenuto è indiscutibile.
    Lo schema generale di questa organizzazione sociale è familiare a tutti
grazie al modello egiziano. Si ha un'organizzazione statale estremamente
centralizzata che concentra in sé tutto il potere economico, militare,
politico e religioso. La casta sovrana, guidata da una divinità vivente sotto
forma di un faraone, di un Inca o di altri monarchi divini, è supportata da
una burocrazia sacerdotale che regola e supervisiona le forze lavoratrici
impiegate (tra le varie cose) per la costruzione di palazzi, complessi
cerimoniali, templi e piramidi.
    La tribù è naturalmente scomparsa da tempo – a questo punto non
esiste più da secoli, se non da millenni.

   Ciò che la gente non gradisce delle gerarchie.

    Per essere giusti, immagino che potrei dividere questo paragrafo in due
sezioni: “Ciò che ai governanti piace delle società gerarchiche” e “Ciò che
chiunque altro non gradisce di esse”. Ma dubito che qualcuno abbia
bisogno di aiuto per capire la prima di queste cose.
    Ciò che la gente (governanti esclusi) non gradisce riguardo le società
gerarchiche, è che non esistono ugualmente per tutti i loro membri.
Forniscono una vita di lusso e piacevolezza incredibile per i governanti e
una vita di povertà e fatica per tutti gli altri. Il modo in cui i governanti
beneficiano del successo della società è enormemente diverso dal modo in
cui ne beneficiano le masse, e piramidi e templi testimoniano l'importanza
dei governanti, non delle masse che li hanno costruiti. E in una società
gerarchica funziona così in ogni ambito.
    La differenza tra il circo e Disney World è che il circo è una tribù e
Disney World è una gerarchia. Disney World ha impiegati, non membri.
Non fornisce di che vivere a questi impiegati, si limita a pagar loro degli
stipendi. Gli impiegati stanno lavorando per se stessi, e se Disney World
non potesse più pagarli, lo abbandonerebbero immediatamente. I proprieta-
ri hanno investito nel suo successo e ne beneficiano. Gli impiegati sono
solo impiegati.
    Ragazzi di tutte le età scappano di casa per unirsi al circo. Nessuno
scappa di casa per unirsi a Disney World.

   Ma le tribù in realtà non sono gerarchiche?

    Questa è una domanda fatta da coloro che odiano l'idea che la vita
tribale funzioni davvero per le persone. La risposta è no, non è questo che
si osserva. Le tribù hanno capi, questo è certo, e a volte capi molto forti,
ma essere il capo non comporta quasi nessun beneficio speciale che sia
negato agli altri membri della tribù. È mai esistita una tribù che è diventata
gerarchica, in cui il capo si è trasformato in un despota? Sono assoluta-
mente sicuro che sia avvenuto, forse migliaia di volte. Ciò che è importan-
te notare è che nessuna tribù del genere è sopravvissuta. La ragione non è
difficile da individuare: alla gente non piace vivere sotto un despota. Di
nuovo, questa è la selezione naturale al lavoro: le tribù governate da un
despota non riescono a tenersi stretti i propri membri e finiscono per
estinguersi.
    Nel circo, tutti vogliono che ci sia un capo che si prenda cura degli
affari, che si assicuri che il circo rimanga sano, che prenda decisioni
difficili su chi deve essere assunto e chi licenziato, che risolva i conflitti,
che stenda i contratti e che abbia a che fare con le autorità locali. Senza un
capo, il circo scomparirebbe molto rapidamente, ma il capo è solo un altro
individuo con un lavoro da fare – e il suo lavoro è fare il capo. Il capo non
è invidiato e nemmeno particolarmente ammirato. Le stelle dello spettaco-
lo ottengono la gloria (e i salari più alti e i vestiti più appariscenti), ma non
sono nulla di remotamente simile a una classe governante.

   Liberarsi della gerarchia sognando.

   Le masse della nostra cultura non sono state meno miserabili delle
masse dei Maya, degli Olmechi e degli altri popoli che hanno abbandonato
la civiltà che abbiamo esaminato. La differenza tra noi e loro è che noi
possediamo (o siamo posseduti da) un complesso di meme che finora ci
hanno totalmente impedito di abbandonare il nostro modo di vivere. Siamo
assolutamente convinti che la civiltà non possa venir superata in nessun
modo e che quindi debba continuare anche a costo di estinguerci.
   Impossibilitati ad andarcene, abbiamo usato tre razionalizzazioni molto
diverse tra loro per rendere sensato il nostro non agire.

   La prima razionalizzazione: giustificarlo.

    Un motivo per cui tendiamo a pensare all'Oriente e all'Occidente come
culturalmente distinti è che gli orientali hanno un diverso modo di raziona-
lizzare la gerarchia sotto cui vivono; per come la vedono, questa gerarchia
deriva dal modo fondamentale di operare dell'universo, che assicura la
realizzazione del karma attraverso la reincarnazione. Per la teoria del
karma, i peccati e le virtù di ognuno vengono puniti o ricompensati in
questa e nelle vite successive. Quindi se sei nato intoccabile a Bhaktapur,
in India, e non hai speranza di ottenere un lavoro migliore della pulizia
delle latrine, non hai nessuno da incolpare se non te stesso. Non hai motivo
di invidiare od odiare i Bramini che ti evitano e ti disprezzano; la loro vita
di felicità e lussi è solo ciò che meritano, così come la tua vita di povertà e
miseria è solo ciò che ti meriti tu.
    In questo modo, la divisione delle persone in classi alte, medie e basse
viene considerata solo giustizia resa manifesta in un universo ordinato
divinamente. Se io sono ricco e ben nutrito e tu sei povero e affamato, è
solo perché le cose devono stare così.
    Il Buddismo sembra offrire sollievo da questa rigida postura di rasse-
gnazione al proprio destino.

   La seconda razionalizzazione: trascenderlo.

    Sia Budda che Gesù assicurarono ai loro ascoltatori che i poveri e gli
oppressi si trovano (o si troveranno) in una situazione migliore dei ricchi e
dei potenti, che troveranno quasi impossibile ottenere la salvazione. I
poveri possono vivere più felicemente, ha detto Budda, senza possedere
nulla e vivendo solo di gioia, come gli dei raggianti. I miti (ossia quelli che
finiscono sempre per costruire le piramidi) erediteranno la Terra, ha detto
Gesù, e il regno di Dio ribalterà sottosopra la gerarchia; il regno di Dio
apparterrà ai poveri, non ai ricchi, e governanti e governati si scambieran-
no di posto, i primi diverranno gli ultimi e gli ultimi saranno i primi. Gesù
e Budda concordano che, contrariamente alle apparenze, la ricchezza non
rende felici le persone. Invece, dice Budda, la ricchezza le rende solo
avide. E i poveri non dovrebbero invidiare i ricchi per i loro tesori, che
sono sempre vulnerabili ai ladri e possono venir mangiati da tarme e
ruggine; invece, dice Gesù, dovrebbero accumulare tesori incorruttibili in
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  • 1. Daniel Quinn Oltre la Civiltà (Beyond Civilization) Traduzione italiana non ufficiale di Dr. Jackal (nrt_ita@libero.it). Le altre opere di Daniel Quinn sono disponibili nel sito: NuovaRivoluzioneTribale.uphero.com Cosa accadrebbe se forgiassimo intenzionalmente le nostre soluzioni sociali nel fuoco del caos creativo? (John Briggs e F. David Peat.) Per Rennie, e per Hap Veerkamp e C. J. Harper, con un ringraziamento speciale ai membri del Seminario di Houston 1998, che hanno giocato un ruolo cruciale nella stesura di questo libro, e soprattutto a Scott Valentine e Sara Walsh. Ci avete fatto andare avanti e mi avete mantenuto sano. I senzatetto e i giovani stanno rapidamente convergendo nel territorio socioeconomico che in questo libro ho definito come “Oltre la Civiltà”. I senzatetto per la maggior parte ci sono stati spinti involontariamente, mentre molti giovani lo desiderano senza rendersene conto, come fa chiunque voglia di più dalla vita che una possibilità di nutrirsi alla mangiatoia in cui il mondo sta venendo divorato. È a loro e alle loro speranze che questo libro è dedicato in particolare.
  • 2. PARTE UNO Individuare il problema L'ho sentita, naturalmente, da mio nonno, e lui dal suo, che l'ha sentita dal suo, e così via, risalendo a centinaia di anni nel passato. Questo significa che questa storia è molto vecchia. Ma non scomparirà, perché la offro ai miei figli, e i miei figli la racconteranno ai loro, e così via. (Cantastorie gitano Lazaros Harisiadis, citato da Diane Tong in “Gypsy Folk Tales”.) Una favola per cominciare. Tanto tempo fa, la vita si evolse su un certo pianeta, producendo molte diverse organizzazioni sociali – branchi, greggi, stormi, orde e così via. Una specie i cui membri erano insolitamente intelligenti sviluppò un'orga- nizzazione sociale unica chiamata “tribù”. Il tribalismo funzionò bene per loro per milioni di anni, ma a un certo punto decisero di sperimentare una nuova organizzazione sociale (chiamata “civiltà”) che era gerarchica anziché tribale. In breve quelli in cima alla gerarchia stavano vivendo nel lusso, godendosi il meglio di qualunque cosa. Una classe sociale più grande sotto di loro viveva molto bene e non aveva nulla di cui lamentarsi. Ma alle masse che vivevano in fondo alla gerarchia la situazione non piaceva affatto. Lavoravano e vivevano come animali da allevamento, faticando anche solo per restare in vita. “Questo non sta funzionando”, dissero le masse. “Il modo tribale era migliore. Dovremmo ricominciare a vivere in quel modo.” Ma il sovrano della gerarchia disse loro: “Ci siamo lasciati alle spalle quella vita primiti- va per sempre. Non possiamo tornarci.” “Se non possiamo tornare indietro”, dissero le masse, “allora andiamo avanti – verso qualcosa di diverso.” “Non può essere fatto”, disse il sovrano, “perché nulla di diverso è possibile. Niente può andare oltre la civiltà. La civiltà è un'invenzione definitiva e insuperabile.” “Ma nessuna invenzione è mai insuperabile. Il motore a vapore è stato sorpassato dal motore a scoppio. La radio è stata sorpassata dalla televisio- ne. Il calcolatore è stato sorpassato dal computer. Perché la civiltà dovreb- be essere diversa?” “Non so perché è diversa”, disse il sovrano, “lo è e basta.”
  • 3. Ma le masse non ci credettero – e non ci credo neanch'io. Un manuale per il cambiamento. La mia prima concezione di questo libro era riflessa dal suo titolo originale: “Il manuale per il cambiamento”. Ci avevo pensato perché non c'è niente che la gente della nostra cultura desidera di più del cambiamen- to. Vogliono disperatamente cambiare se stessi e il mondo intorno a loro. La ragione non è difficile da trovare. Sanno che c'è qualcosa che non va – in se stessi e nel mondo. In Ishmael e negli altri miei libri ho dato alla gente un nuovo modo di capire che cosa è andato storto. Avevo l'idea – piuttosto ingenua – che questo sarebbe bastato. Di solito basta. Se sai che cosa c'è che non va in qualcosa – la tua macchina, il tuo computer, il tuo frigorifero o il tuo televisore – allora il resto è relativamente semplice. Credevo che sarebbe stato lo stesso in questo caso, ma naturalmente non è andata così. Ancora e ancora, letteralmente migliaia di volte, la gente mi ha detto o scritto: “Capisco che cosa stai dicendo – hai cambiato il modo in cui vedo il mondo e il nostro posto in esso – ma che cosa dovremmo FARE a riguar- do?” Avrei potuto dire: “Non è ovvio?” Ma ovviamente non è ovvio – nulla di remotamente simile. In questo libro, spero di renderlo ovvio. In gioco c'è il futuro dell'umanità. Chi sono le persone della “nostra cultura”? È facile riconoscere le persone che appartengono alla “nostra” cultura. Se andate da qualche parte – ovunque nel mondo – dove il cibo è tenuto sotto chiave, sapete di trovarvi tra popoli della nostra cultura. Possono essere incredibilmente diversi in materie relativamente superficiali – il modo in cui si vestono, le loro usanze matrimoniali, le feste che osservano, e così via. Ma quando si tratta della cosa più fondamentale di tutte, ottenere il cibo che serve loro per sopravvivere, sono tutti uguali. In questi luoghi, il cibo è tutto posseduto da qualcuno, e se ne vuoi un po' devi comprarlo. In questi luoghi è ovvio; la gente della nostra cultura non conosce altro modo. Rendere il cibo un bene da possedere è stata una delle grandi innova- zioni della nostra cultura. Nessun'altra cultura nella storia ha mai messo il cibo sotto chiave – e tenerlo lì è la pietra angolare della nostra economia,
  • 4. perché se il cibo non fosse sotto chiave, chi lavorerebbe? Che significa “salvare il mondo”? Quando parliamo di salvare il mondo, a che mondo ci stiamo riferen- do? Non al globo stesso, ovviamente. Ma neanche al mondo biologico – il mondo della vita. Il mondo della vita, stranamente, non è in pericolo (nonostante lo siano migliaia e forse persino milioni di specie). Perfino al massimo della nostra distruttività, non riusciremmo a rendere questo pianeta privo di vita. Attualmente si stima che fino a duecento specie si estinguano ogni giorno, grazie a noi. Se continuiamo a uccidere i nostri vicini a questo ritmo, verrà inevitabilmente il giorno in cui una di quelle duecento specie sarà la nostra. Salvare il mondo non significa nemmeno preservare il mondo nel suo stato attuale. Potrebbe sembrare una buona idea, ma è anche inattuabile. Anche se l'intera razza umana svanisse domani, il mondo non resterebbe com'è oggi. Non saremo mai in grado di fermare il cambiamento su questo pianeta, in nessun modo. Ma se salvare il mondo non significa salvare il mondo della vita o conservarlo immutato, di che stiamo parlando? Salvare il mondo può significare solo una cosa: salvarlo in quanto habitat umano. Raggiungere questo obiettivo significherà (deve significare) salvare il mondo come habitat per più altre specie possibili. Possiamo salvare il mondo come habitat umano solo fermando il nostro catastrofico sterminio della comuni- tà della vita, perché dipendiamo da quella comunità per sopravvivere. Vecchie menti con nuovi programmi. Nel mio romanzo “The Story of B”, il volume centrale della trilogia che comincia con “Ishmael” e finisce con “My Ishmael”, ho scritto: “Se il mondo verrà salvato, non lo sarà da vecchie menti con nuovi programmi, ma da nuove menti con nessun programma.” Temo che questo sia uno di quei casi in cui le parole sono chiare ma i pensieri sono sfuggenti. Li riformulerò. Se continueremo come stiamo facendo ora, non resteremo in circolazione per molto tempo – alcuni decenni, un secolo al massimo. Se saremo ancora in giro fra mille anni, sarà perché avremo smesso di procedere come stiamo facendo ora. Come potrà avvenire questo? Come smetteremo di procedere in questo modo? Ecco come le vecchie menti pensano di farci fermare. Pensano di farci
  • 5. fermare nello stesso modo in cui hanno fermato la povertà, l'abuso di droghe, il crimine. Con dei programmi. I programmi sono bastoncini conficcati nel letto del fiume per impedirne lo scorrimento. Lo ostacolano. Un po'. Ma non fermano mai il flusso, e non cambiano mai la direzione del fiume. Ecco perché posso predire con sicurezza che se il mondo verrà salvato non lo sarà perché delle vecchie menti avranno inventato dei nuovi programmi. I programmi non riescono mai a fermare le cose che nascono per fermare. Nessun programma ha mai eliminato povertà, abuso di droghe o crimine, e nessun programma li eliminerà mai. E nessun programma ci farà mai smettere di distruggere il pianeta. Nuove menti con nessun programma. Se il mondo verrà salvato, non lo sarà da vecchie menti con nuovi programmi, ma da nuove menti con nessun programma. Perché non nuove menti con nuovi programmi? Perché dovunque trovi gente che lavora con dei programmi non trovi nuove menti, ma vecchie menti. I programmi e le vecchie menti sono inscindibili. Il fiume che ho nominato prima è il fiume della visione. Il fiume della visione della nostra cultura ci sta conducendo verso la catastrofe. I bastoncini piantati nel suo letto possono ostacolarne il flusso, ma noi non dobbiamo ostacolarlo, dobbiamo deviarlo in una direzione completamente diversa. Se il fiume della visione della nostra cultura comincerà mai a portarci lontani dalla catastrofe e verso un futuro sostenibile, allora i programmi saranno superflui. Quando il fiume scorre dove vuoi, non ci pianti dei bastoncini per ostacolarlo. Vecchie menti pensano: Come facciamo a far smettere queste brutte cose? Nuove menti pensano: Come facciamo a rendere le cose come le vogliamo? Nessun programma? I programmi permettono di apparire occupati e risoluti mentre si fallisce. Se i programmi funzionassero davvero come previsto, la società umana sarebbe il paradiso: i nostri governi funzionerebbero, le nostre scuole funzionerebbero, i nostri sistemi legali funzionerebbero, i nostri sistemi giudiziari funzionerebbero, i nostri sistemi penali funzionerebbero,
  • 6. e così via. Quando i programmi falliscono (come fanno invariabilmente), la colpa viene data alla progettazione scadente, alla mancanza di finanziamenti e di personale, alla cattiva amministrazione e all'addestramento inadeguato. Quando i programmi falliscono, vengono rimpiazzati da programmi nuovi con progettazione migliorata, maggiori finanziamenti e personale, ammini- strazione superiore e addestramento più minuzioso. Quando anche questi nuovi programmi falliscono (come fanno invariabilmente), la colpa viene data alla progettazione scadente, alla mancanza di finanziamenti e di personale, alla cattiva amministrazione e all'addestramento inadeguato. Ecco perché spendiamo sempre di più per i nostri fallimenti ogni anno che passa. La maggior parte della gente lo accetta piuttosto volentieri, perché sa che ottiene di più ogni anno: più finanziamenti, più leggi, più polizia, più prigioni – più di ogni cosa che non ha funzionato l'anno prima, o quello prima ancora, o quello prima ancora. Vecchie menti pensano: Se non ha funzionato l'anno scorso, facciamone DI PIÙ quest'anno. Nuove menti pensano: Se non ha funzionato l'anno scorso, facciamo QUALCOSA DI DIVER- SO, quest'anno. Se non programmi, allora cosa? Un uomo era seduto nel bel mezzo del deserto in un aggeggio fatto di pietre, pezzi di legno e vecchi pneumatici sgonfiati, che stava “guidando” con impegno come se fosse stato un veicolo in movimento. Quando gli chiesero che cosa stesse facendo, l'uomo disse: “Sto tornando a casa.” “Non ci arriverai mai con quell'affare”, gli dissero. “Se non con questo, allora con cosa?”, chiese lui. Noi siamo come quest'uomo, occupati a cercare di guidare verso il futuro in una macchina di Rube Goldberg fatta di programmi che non ci ha mai portato più lontano di quanto il suo mucchio di spazzatura abbia mai trasportato lui. Perfino dopo aver riconosciuto che i programmi non funzionano e non hanno mai funzionato, comunque, ci sembra ancora naturale chiedere: “Se non programmi, allora cosa?” Mi piacerebbe riformulare la domanda in questo modo: “Se i program- mi non funzionano, allora che cosa funziona?” In realtà, ho un modo
  • 7. ancora migliore di chiederlo: “Che cosa funziona così bene che i program- mi sono superflui? Che cosa funziona così bene che non verrebbe mai in mente a nessuno di creare dei programmi per farlo funzionare?” La risposta a queste domande è: una visione. L'invisibilità del successo. Quando le cose funzionano, le forze che le fanno funzionare sono invisibili. L'universo stesso è un classico esempio di questo. Ci è voluto un genio straordinario per riconoscere le leggi del moto e della gravitazione universale che ora ci sembrano quasi noiosamente ovvie. Il genio di Newton è consistito proprio nel vedere ciò che era così evidente da essere invisibile. Ogni avanzamento scientifico rende evidente un meccanismo che era rimasto mascherato dalla sua stessa efficienza. Il motto dei balle- rini è: non lasciare mai che ti vedano faticare. Quando si tratta delle leggi dell'universo, il motto diventa: non lasciare mai che ti vedano. Fai in modo che debbano dedurre la tua esistenza. E in effetti le leggi dell'universo non sono mai osservabili direttamente, quindi non abbiamo altro modo di scoprirle che tramite deduzione. Ciò che funziona nella comunità della vita è mascherata dal proprio successo in modo simile. Le leggi basilari dell'ecologia hanno la bellezza e la semplicità di una favola, ma la loro esistenza cominciò a venire sospet- tata solo un secolo fa. L'invisibilità del successo tribale. La gente è affascinata dal motivo per cui un branco di leoni funziona, per cui un branco di babbuini funziona o per cui uno stormo di oche funziona, ma spesso è riluttante a imparare perché una tribù di umani funziona. Gli umani tribali hanno sono esistiti con successo su questo pianeta per tre milioni di anni prima della nostra Rivoluzione Agricola, e non hanno meno successo oggi ovunque siano riusciti a sopravvivere intatti, ma molte persone della nostra cultura questo non vogliono sentirlo. In effetti, lo negheranno vigorosamente. Se si spiega loro perché un branco di elefanti funziona, o perché un alveare di api funziona, non avranno problemi. Ma se si cerca di spiegar loro perché una tribù di umani funziona, si viene accusati di “idealizzarli”. Dal punto di vista dell'etologia o della biologia evoluzionistica, comunque, il successo degli umani in tribù non è un'idealizzazione più di quanto lo sia quello dei bisonti in orde o delle balene in branchi.
  • 8. La nostra scusa culturale per il fallimento è che gli umani sono “naturalmente” difettosi – avidi, egoisti, miopi, violenti e così via, il che significa che qualunque cosa si provi a fare con loro fallirà. Per convalida- re questa scusa, la gente vuole che il tribalismo sia un fallimento. Per questo motivo, alla gente che vuole confermare la nostra mitologia culturale ogni suggerimento che il tribalismo avesse successo sembra una minaccia. Rendere il successo della vita tribale visibile è il lavoro dei miei altri libri, e non verrà ripetuto qui. Successo vistoso, fonte invisibile. La nostra cultura ha avuto un successo vistoso, nel senso che ha conquistato il mondo. Per la maggior parte della nostra storia, questo successo è stato percepito come semplicemente inevitabile, la realizzazio- ne del destino umano. La gente non si interrogava a riguardo più di quanto si interrogasse sulla gravità. Quando gli europei “scoprirono” il Nuovo Mondo, considerarono loro sacro dovere conquistarlo. La gente che stava già vivendo lì era solo fra i piedi, come alberi, rocce e animali selvaggi. Non avevano un vero motivo per essere lì, come invece noi. Per noi, conquistare questo emisfero era solo parte del piano generale (presumibil- mente quello di Dio) che prevedeva che conquistassimo l'intero pianeta. Non ci ha sorpreso minimamente il fatto che siamo stati in grado di conquistare questo emisfero (e l'intero pianeta, in realtà). È semplicemente ciò che doveva succedere, quindi naturalmente è successo. Nessuno rimane sorpreso quando le nuvole producono pioggia. Prima di Newton, la gente non si chiedeva perché gli oggetti senza sostegno tendessero a cadere al suolo. Immaginavano soltanto che non potessero fare altro. Dovevano cadere al suolo, e questo era tutto. I nostri storici sono sempre stati nella stessa situazione quando si è trattato del nostro tremendo successo culturale. Non si chiedono perché fossimo spinti a conquistare il mondo. Si dicono semplicemente: che altro avremmo potuto fare? Dovevamo conquistare il mondo, e questo è tutto. La visione è come la gravità. Una visione è per una cultura ciò che la gravità è per la materia. Quando vedete una palla rotolare giù da un tavolo e cadere al suolo, dovreste pensare: “La gravità è all'opera.” Quando vedete una cultura comparire ed espandersi in tutte le direzioni fino a ricoprire l'intero
  • 9. pianeta, dovreste pensare: “Una visione è all'opera.” Quando vedete un piccolo gruppo di persone cominciare a comportarsi in un modo particolare che in seguito si espande in tutto il continente, dovreste pensare: “Una visione è all'opera, qui.” Se vi dico che il piccolo gruppo di cui sto parlando era composto da seguaci di un predicatore del primo secolo di nome Paolo e che il continente era l'Europa, capirete che la visione era la Cristianità. Dozzine o forse perfino centinaia di libri hanno analizzato le ragioni del successo della Cristianità, ma nessuno di loro è stato scritto prima del diciannovesimo secolo. Prima del diciannovesimo secolo, sembrava a tutti che la Cristianità non avesse bisogno di un motivo per avere successo più di quanto ne avesse la gravità. Era destinata ad avere successo. Per esattamente la stessa ragione, nessuno ha mai scritto un libro analizzando le ragioni dietro il successo della Rivoluzione Industriale. È perfettamente ovvio per noi che la Rivoluzione Industriale fosse destinata ad avere successo. Non avrebbe potuto fallire più di quanto una palla che rotoli giù da un tavolo possa cadere verso il soffitto. Questo è il potere della visione. La diffusione della visione. Ogni visione di diffonde automaticamente, ma non ogni visione si diffonde nello stesso modo. In un certo senso, il meccanismo di espansione è la visione. Il meccanismo di espansione della nostra cultura è stato la crescita demografica: cresci, prendi più terra, aumenta la produzione alimentare e cresci ancora di più. Il meccanismo di diffusione della Cristianità era la conversione: accetta Gesù, poi fai in modo che lo accettino anche gli altri. Il meccanismo di espansione della Rivoluzione Industriale era il migliora- mento: migliora qualcosa, poi rendilo disponibile in modo che altri possano migliorarlo ancora di più. Chiaramente, tutti i meccanismi di diffusione hanno una cosa in comune: conferiscono benefici a quelli che attuano l'espansione. Quelli che ottengono più terra, aumentano la produzione alimentare e crescono, sono ricompensati con ricchezza e potere. Quelli che accettano Gesù e fanno in modo che altri lo accettino, sono ricompensati con il Paradiso. Quelli che migliorano qualcosa e lo rendono disponibile perché altri possano miglio- rarlo ulteriormente sono ricompensati con rispetto, fama e benessere. I benefici conferiti non dovrebbero, comunque, venire confusi con il mecca- nismo stesso. La nostra cultura non è stata diffusa da persone che diveniva-
  • 10. no ricche e potenti, la Cristianità non è stata diffusa da gente che andava in Paradiso, e la Rivoluzione Industriale non è stata diffusa da gente che conquistava rispetto, fama e benessere. Visione: successo senza programmi. Quando un chimico mette dell'acqua in una fialetta e aggiunge del sale, un angelo arriva e dissolve il sale in particelle cariche chiamate ioni. Dato che percepiamo l'universo come un'entità che si autogoverna in base a dei principi internamente consistenti e comprensibili, in questa storia l'angelo ci sembra completamente superfluo. Quindi lo tagliamo via con il rasoio di Occam. Nonostante gli storici ora stiano indagando sulle ragioni dietro il suc- cesso della Cristianità, non stanno cercando dei programmi. La Cristianità ha prosperato nel mondo romano perché la gente di quell'epoca era pronta per essa, e gli storici non si aspetterebbero di trovare dei programmi al lavoro lì per promuovere la Cristianità più di quanto i chimici si aspet- terebbero di trovare degli angeli al lavoro nelle loro fiale. (Si potrebbe obiettare che l'Editto di Costantino di Milano, che conferì la libertà di culto ai cristiani, sia stato un programma di supporto, ma in realtà ha solo autorizzato ciò che due secoli e mezzo di persecuzione non erano riusciti a fermare, proprio come il ventunesimo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti ha autorizzato ciò che quattordici anni di Proibizionismo non erano riusciti a fermare.) Allo stesso modo, la diffusione della nostra cultura non ha mai dovuto essere portata avanti da alcun programma. Non ha mai vacillato per un solo istante, e lo stesso può essere detto per la Rivoluzione Industriale. Quando la visione va storta. Quando il fiume della visione comincia a portare la gente in una dire- zione che non gradisce, essa comincia a piantare dei bastoncini per osta- colarne il flusso. Si tratta dei bastoncini che io chiamo programmi. La maggior parte dei programmi assume questa forma: rendi illegale la cosa che ti sta infastidendo, cattura la gente che la sta facendo e mettila in galera. Vecchie menti pensano: Dobbiamo scrivere leggi più severe e più dettagliate. Nuove menti pensano:
  • 11. Nessun comportamento sgradito è mai cessato dopo essere stato reso illegale. Il fatto che programmi di questo tipo falliscano invariabilmente non preoccupa la maggior parte delle persone. Vecchie menti pensano: Se non ha funzionato l'anno scorso, facciamone DI PIÙ quest'anno. Nuove menti pensano: Se non ha funzionato l'anno scorso, facciamo QUALCOSA DI DIVER- SO, quest'anno. Ogni anno, senza eccezioni, rendiamo illegali più cose, catturiamo più persone che le fanno e ne mettiamo di più in prigione. Il comportamento reso illegale non scompare mai perché, direttamente o indirettamente, è supportato dalla potente, invisibile, inarrestabile forza chiamata “visione”. Questo spiega perché gli ufficiali di polizia sono molto più inclini a diveni- re criminali di quanto i criminali non lo siano a divenire ufficiali di polizia. Si chiama “seguire la corrente”. I programmi non sono malvagi, sono solo insufficienti. Quando qualcuno riceve delle ferite potenzialmente fatali in un incidente d'auto, i medici nell'ambulanza fanno tutto il possibile per tenerlo in vita fino all'arrivo in ospedale. Il primo soccorso è essenziale ma da solo è insufficiente, come sanno tutti. Se alla fine della strada non c'è un ospe- dale, il paziente morirà, perché l'ambulanza semplicemente non ha le risorse che ha l'ospedale. Lo stesso vale per i programmi. Ci sono molti programmi attivi oggi che si occupano di alleviare i nostri programmi di morte in modo da proteggere l'ambiente cosicché non divenga perfino più degradato di quello che è. Come il primo soccorso dell'ambulanza, questi programmi sono essenziali ma da soli insufficienti. Sono insufficienti perché sono fondamentalmente reattivi. Come i medici nell'ambulanza, non possono far avvenire cose buone, possono solo rendere le cose negative un po' meno negative. Non creano qualcosa di buono, si limitano a puntare i piedi contro qualcosa di malvagio. Se non c'è un ospedale alla fine della strada, il paziente nell'ambulanza morirà, perché il primo soccorso (per quanto possa essere utile) semplice- mente non è in grado di tenerlo in vita indefinitamente. Se alla fine della
  • 12. strada non c'è una nuova visione per noi, anche noi moriremo, perché i programmi (per quanto possano essere utili) semplicemente non sono in grado di tenerci in vita indefinitamente. Ma come potremmo andare avanti senza programmi? Una volta, nella terra delle gambe spezzate, gli abitanti sentirono delle voci su un'altra terra molto lontana dove la gente si muoveva liberamente, perché nessuno aveva le gambe rotte. Si beffarono di queste voci, dicendo: “Come potrebbe la gente muoversi senza stampelle?” Dire che la Rivoluzione Industriale è un esempio grandioso di ciò che la gente può fare senza programmi è un eufemismo. È un esempio scon- volgente. Dall'epoca in cui Giambattista della Porta ha sognato il primo “moderno” motore a vapore, quasi quattrocento anni fa, a oggi, questo vasto movimento che ha trasformato il mondo è stato portato avanti unicamente da una visione: migliora qualcosa, poi rendilo disponibile ad altri perché lo migliorino ancora di più. Non è mai stato necessario un singolo programma per portare avanti la Rivoluzione Industriale. Invece, è stata portata avanti dalla fiduciosa realizzazione in milioni di menti che perfino una piccola nuova idea, perfino una modesta innovazione o miglio- ramento di qualche invenzione precedente avrebbe potuto migliorare le loro vite quasi oltre ogni immaginazione. Nel giro di pochi, brevi secoli, milioni di ordinari cittadini, agendo quasi interamente per interesse perso- nale, hanno trasformato il mondo diffondendo idee e scoperte e facendo avanzare quelle idee e quelle scoperte portandole passo dopo passo a nuove idee e nuove scoperte. Riconoscere tutto questo non rende la Rivoluzione Industriale un evento benedetto – ma neanche condannarla come una catastrofe la rende qualcosa di meno della più grande esplosione di creatività della storia umana. Ma come vivremo allora? Nessun paradigma è mai in grado di immaginare il successivo. È quasi impossibile per un paradigma immaginare che ce ne sarà mai un altro. I popoli del Medioevo non pensavano di essere nel “mezzo” di qualcosa. Per quanto li riguardava, il modo in cui vivevano era quello in cui la gente avrebbe vissuto fino alla fine dei tempi. E se anche si fosse riusciti a persuaderli che una nuova epoca era alle porte, sarebbero stati incapaci di dirci qualunque cosa a riguardo – e in particolare non avrebbero potuto dire che cosa l'avrebbe resa nuova. Se fossero stati in grado di descrivere il
  • 13. Rinascimento nel quattordicesimo secolo, sarebbe stato quello il Rinasci- mento. Noi non siamo diversi. Con tutto il nostro blaterare di nuovi paradigmi emergenti, per noi è un'assunzione irrefutabile che i nostri lontani discen- denti saranno esattamente come noi. I loro giocattoli, le loro mode, la loro musica e cose simili saranno sicuramente diversi, ma siamo sicuri che la loro mentalità sarà identica – perché non riusciamo a immaginare un'altra mentalità che le persone possano avere. Ma in realtà, se riusciremo davvero a sopravvivere qui sarà perché saremo passati a una nuova epoca tanto differente dalla nostra quanto il Rinascimento lo era dal Medioevo – e tanto inimmaginabile per noi quanto il Rinascimento lo era nel Medioe- vo. Come possiamo ottenere una visione che non riusciamo a immagi- nare? Come si è sempre fatto: un meme alla volta. Sono consapevole che questa affermazione richiede una spiegazione. La cosa migliore sarebbe che leggeste, ma in caso non sia possibile per voi in questo momento, riassumerò. In breve, i meme sono per le culture ciò che i geni sono per i corpi. Il vostro corpo è un insieme di cellule. Ogni cellula nel vostro corpo contiene un raggruppamento di tutti i vostri geni, che Dawkins ha paragonato a un insieme di progetti di costruzione per un corpo umano – per la precisione, il vostro. Al concepimento, voi eravate una singola cellula – un singolo insieme dei progetti di costruzione per il vostro corpo, metà ricevuta da vostra madre e metà da vostro padre. Quest'unica cellula in seguito si è divisa in due, ognuna delle quali contenente l'insieme completo dei progetti di costruzione per il vostro corpo. Queste due cellule si sono poi divise in quattro, le quattro in otto, le otto in sedici, e così via – e ognuna di esse conteneva l'insieme completo dei progetti di costruzione per il vostro corpo. Una cultura è anch'essa una collezione di cellule, che in questo caso sono singoli esseri umani. Ognuno di voi (e ognuno dei vostri genitori, parenti e amici) contiene un insieme completo di meme, che sono i progetti di costruzione per la nostra cultura. Dawkins ha coniato la parola meme (che fa rima con theme – tema, argomento) per descrivere ciò che lui percepiva come l'equivalente culturale del gene. La diffusione di geni e meme.
  • 14. Dawkins suggerisce che i meme si replichino nella “vasca memica” (ciò che io chiamo “cultura”) in un modo analogo a quello in cui i geni si replicano nella vasca genetica. Si trasferiscono da mente a mente come i geni si trasferiscono da corpo a corpo. I geni si trasferiscono da un corpo all'altro tramite la riproduzione. I meme si trasferiscono da una mente all'altra tramite la comunicazione: nelle ninne-nanne ascoltate nella culla, nelle favole, nelle conversazioni dei genitori a tavola, nelle barzellette, nei cartoni animati, nei fumetti, nei sermoni, nei pettegolezzi, nelle lezioni, nei libri di testo, nei film, nei romanzi, nei giornali, nelle canzoni, nelle pub- blicità, e così via. Fiumi di inchiostro (sia reale che virtuale) sono stati spesi sui meme di Dawkins. Alcune autorità li hanno liquidati come non esistenti o privi di senso. Altri sono arrivati al punto da chiedersi se i meme esistono nei cervelli come entità fisiche, come i dendriti o le cellule gliali. Lascio che ne discutano loro. Ogni cultura è un insieme di individui, e ogni individuo ha nella sua testa un completo insieme di valori, concetti, regole e preferenze che, presi tutti insieme, costituiscono i progetti di costruzione di quella particolare cultura. Che li si chiami meme o marglefarbs è irrilevante. Non ci può essere alcun dubbio sulla loro esistenza. Piccole percentuali, grandi differenze. A meno che non siate genetisti, sarete probabilmente sorpresi di sapere che ci distinguiamo dagli scimpanzé per una piccolissima percentuale di geni. Ci aspetteremmo che le cose stessero diversamente. Siamo così evidentemente diversi dagli scimpanzé che ci aspetteremmo che ci fosse un abisso genetico tra di noi. Ovviamente i geni che non condividiamo devono in qualche modo “fare la differenza”. Ma sarebbe un errore pensare che senza questi geni gli umani sarebbero scimpanzé – o che con quei geni gli scimpanzé sarebbero umani. Gli umani non sono solo scimpanzé con dei geni extra, né gli scimpanzé sono umani con geni mancanti. Nulla nel mondo della genetica (e in nessun altro, per dirla tutta) è mai così semplice. Solo una piccolissima percentuale di meme differenziava il Rinasci- mento dal Medioevo, ma ovviamente i nuovi meme fecero tutta la diffe- renza. L'autorità della Chiesa impallidì, emersero nuovi ideali umanisti, lo sviluppo della pressa per la stampa diede alla gente nuove idee riguardo ciò che potevano conoscere e su cui potevano riflettere, e così via. Per
  • 15. ottenere il Rinascimento non è stato necessario cambiare il novanta percento dei meme del Medioevo – e nemmeno l'ottanta, il sessanta, il trenta o il venti percento. E i nuovi meme non dovevano cominciare ad agire tutti in una volta. In effetti, non avrebbero potuto. Il Rinascimento era pronto per Andrea del Verrocchio molto prima che per Martin Lutero. Che meme dobbiamo cambiare? A questa domanda è molto più facile rispondere di quanto ci si aspetterebbe. I meme che dobbiamo cambiare sono quelli letali. Richard Dawkins lo ha detto con semplicità irriducibile: “Un gene letale è uno che uccide il proprio possessore.” Potrebbe sembrarvi ingiusto o in qualche modo perfino irragionevole che cose come i geni letali esistano. Potreste anche chiedervi come fanno i geni letali a restare nella vasca genetica. Se uccidono i loro possessori, perché non vengono eliminati? La risposta è che i geni con cominciano ad agire tutti insieme. La maggior parte dei geni, naturalmente, comincia ad agire durante lo stadio fetale, quando il corpo viene costruito. Altri, altrettanto ovviamente, rimangono dormienti fino alla pubertà. I geni letali che cominciano ad agire prima della pubertà sono naturalmente eliminati rapidamente dalla vasca genetica, perché i loro possessori sono incapaci di trasmetterli tramite la riproduzione. Anche i geni letali che cominciano ad agire all'inizio della pubertà tendono a venire eliminati, ma quelli che cominciano ad avere effetto durante la mezza età o la vecchiaia rimangono nella vasca genetica, perché i loro possessori sono quasi sempre in grado di trasmetterli tramite la riproduzione prima di soccombere ai loro effetti mortali. Meme letali. Un meme letale è uno che uccide il proprio possessore. Per esempio, i membri della setta Heaven's Gate possedevano un meme letale che rendeva loro il suicidio irresistibilmente attraente – ma io non sono molto interessato a meme che sono letali per gli individui. Sono interessato ai meme che sono letali per le culture (e per la nostra cultura in particolare). I geni letali non cominciano benigni per poi diventare letali. Invece, cominciano col non avere nessun effetto o con l'averne uno che solo in seguito diventa letale. Lo stesso vale per i meme letali. Gli antichi testimoni semiti che osservarono la nascita della nostra cultura videro che i loro vicini avevano preso dei meme dall'albero della conoscenza degli dei.
  • 16. Dissero: “I nostri vicini del nord credono di dover dominare il mondo. Questo meme è benigno negli dei ma è mortale negli umani.” La loro predizione era accurata, ma non si è realizzata immediatamente. I meme che ci hanno reso i dominatori del mondo sono letali, ma non avevano un effetto letale diecimila anni fa – o cinquemila, o duemila. Erano all'opera, trasformandoci nei dominatori del mondo, ma la loro letalità non è divenu- ta evidente fino a questo secolo, quando hanno cominciato a trasformarci nei distruttori del mondo. Liberarci di questi meme è una questione di vita o di morte, ma può essere fatto. Lo so perché è stato fatto – da altri. Molte volte.
  • 17. PARTE DUE Avvicinandoci al processo ...è stata sfigurata e abbandonata... ...il crollo definitivo della città... Qualunque cosa sia avvenuta... ...la città venne distrutta... Il crollo può essere stato causato da... ...luoghi sono stati abbandonati... ...città sono state abbandonate... Past Worlds: The Times Atlas of Archaeology. Macchine da sopravvivenza per i geni. Ognuno di noi è un miscuglio dei geni ricevuti da nostra madre e da nostro padre, e naturalmente loro sono miscugli di geni ricevuti dalle loro madri e dai loro padri. Sapendo questo, tendiamo a pensare ai nostri geni come alle cose che ci fanno andare avanti, generazione dopo generazione. Ma ecco un'immagine più vicina alla realtà: se i geni potessero pensare, penserebbero a noi come a ciò che permette loro di andare avanti, generazione dopo generazione. Dico che questo è più vicino alla realtà perché in effetti noi non soprav- viviamo come individui, ma i nostri geni sì. Tu e io, come tutte le creature viventi, siamo abitazioni mobili temporanee per i geni che abbiamo ricevuto dai nostri genitori, e il nostro lavoro (dal punto di vista dei nostri geni) è di assicurarci di dare a questi geni una casa nella generazione successiva – nei nostri figli, naturalmente. Per quanto riguarda i nostri geni, quando un'unità abitativa temporanea individuale non ha più valore riproduttivo, è pronta a essere riciclata. Questo dovrebbe mostrarti chiara- mente qual è la situazione qui. Tendiamo a pensare a noi stessi come ai VIP del pianeta, i capi, i pezzi grossi, ma in realtà siamo solo veicoli usa e getta in cui i nostri geni stanno viaggiando verso l'immortalità. “Macchine da sopravvivenza per i geni” è il nome che Richard Dawkins ha dato a questi veicoli usa e getta. Macchine da sopravvivenza per i meme. Allo stesso modo, siamo i veicoli usa e getta in cui i nostri meme
  • 18. stanno viaggiando verso l'immortalità. Questi meme ci arrivano da ogni soggetto parlante con cui ci capita di crescere – genitori, parenti, amici, vicini, insegnanti, predicatori, capi, colleghi e chiunque sia coinvolto nella produzione di libri di testo, romanzi, fumetti, film, programmi televisivi, giornali, riviste, siti internet e così via. Tutte queste persone si ripetono costantemente (e naturalmente ripetono ai loro figli, studenti, impiegati e così via) i meme che hanno ricevuto durante la loro vita. Tutte queste voci prese insieme costituiscono la voce di Madre Cultura. In caso ci sia bisogno di dirlo, l'immortalità di cui sto parlando qui non è assoluta. I nostri geni non sopravviveranno alla morte del nostro pianeta, fra qualche miliardo di anni, e i nostri meme hanno un'aspettativa di vita molto più bassa. La fedeltà della copiatura. Diciamo che avete scritto un documento di una pagina al computer e l'avete stampato. Se ne fate una fotocopia con una buona macchina, avrete difficoltà a distinguere la copia (che chiameremo A) dall'originale. Ma se userete A per fare un'altra copia, B, e poi usate B per fare C, e poi usate C per fare D, e poi usate D per fare E, quest'ultima copia sarà facilmente distinguibile dall'originale. Questo rende evidente che una piccola parte dell'originale è andata perduta ogni volta che ne è stata fatta una copia. Tra una copia e la successiva non è visibile alcuna perdita a occhio nudo, ma un accumulo di perdite è chiaramente visibile se si confronta l'originale con la copia E. Questo avviene perché avete usato una macchina copiatrice analogica. Ma se tornate al computer e fate una copia A del documento originale, poi fate una copia B del file A, una copia C del file B e così via, potreste continuare a fare copie del documento tutto il giorno, una dopo l'altra, e alla fine della giornata è molto probabile che non ci sarebbe alcuna diffe- renza visibile tra il file originale e l'ultima copia. Questo perché avete usato un meccanismo copiativo digitale anziché analogico. Questa fedeltà di copiatura è il fondamento stesso della rivoluzione digitale. Replicazione genica e memica. I geni si replicano con lo stesso tipo di incredibile fedeltà – ma lo stesso non si può dire dei meme a meno di non aggiungere dei requisiti. Tra i popoli tribali inalterati (come per esempio quelli nel Nuovo Mondo prima dell'invasione europea), la trasmissione dei meme da una generazio-
  • 19. ne all'altra solitamente avviene con fedeltà virtualmente perfetta. Ecco perché sono convinti di aver vissuto nel loro modo fin dall'inizio dei tempi. A noi, quindi, le culture tribali sembrano statiche (parola che per noi ha un'accezione peggiorativa) paragonata alla nostra cultura, che sembra dinamica (parola che per noi ha un'accezione positiva). La nostra cultura è dinamica (per come la percepiamo) perché i nostri meme sono spesso molto volatili: nascono in una generazione, sono colmi di potere nella successiva, sono traballanti in quella seguente e poi ridicol- mente vecchi in quella dopo ancora. Ciononostante, c'è un nucleo centrale di meme culturalmente fondamentali che abbiamo continuato a trasmettere con totale fedeltà dalla nascita della nostra cultura, diecimila anni fa, fino al momento attuale. Identificare questo nucleo di meme fondamentali non è molto difficile, e sarebbe stato fatto molto tempo fa se qualcuno ci avesse pensato. Il miglior modo di vivere. Uno di questi meme fondamentali è che prodursi da soli tutto il proprio cibo sia il modo migliore di vivere. A eccezione di pochi antropologi (che sanno perfettamente che è una questione di opinioni), questo meme non viene mai messo in discussione nella nostra cultura. E quando dico che alcuni antropologi sanno che è una questione di opinioni, intendo che lo sanno principalmente per motivi professionali. Come antropologi, sanno che i Boscimani africani non concorderebbero che produrre tutto il proprio cibo sia il modo migliore di vivere, né lo farebbero gli Yanomami brasilia- ni, o gli Alawa australiani, o i Gebusi della Nuova Guinea. Come indivi- dui, comunque, questi antropologi lo considerano quasi universalmente il modo migliore di vivere, e lo sceglierebbero senza esitazioni per se stessi tra tutti gli altri a disposizione. Al di fuori di questa professione, sarebbe difficile trovare qualcuno nella nostra cultura che non sia convinto che produrre tutto il nostro cibo tramite l'agricoltura sia il modo migliore di vivere. È impossibile dubitare che questo meme sia entrato nella nostra cultura nel momento stesso della sua nascita. Non saremmo diventati agricoltori a tempo pieno se non fossimo stati convinti che fosse il modo migliore di vivere. Al contrario, è lapalissiano che abbiamo cominciato a produrre tutto il nostro cibo proprio per la stessa ragione per cui continuiamo a produrlo ancora oggi – perché ci siamo convinti che è il modo migliore di vivere. Oppure...
  • 20. Forse gli è solo capitato di cominciare a farlo? È allettante immaginare che l'agricoltura rappresenti il percorso di minor resistenza per gente che cerca di procurarsi di che vivere, ma in realtà nulla potrebbe essere più lontano dalla verità. Produrre il proprio cibo rappresenta il percorso di maggior resistenza, e più ne produci, maggiore la resistenza. È stato stabilito oltre ogni dubbio che c'è una precisa correlazione tra quanto duramente si deve lavorare per restare in vita e quanto si è dipendenti dall'agricoltura. Quelli che coltivano di meno faticano anche di meno, e quelli che coltivano di più faticano di più. La quantità di energia che ci vuole per mettere ottanta grammi di mais in una lattina sullo scaffale di un supermercato è quasi incredibile, così come il tempo che si deve lavorare per produrre quegli ottanta grammi di mais. No, i fondatori della nostra cultura non hanno cominciato per caso a vivere in totale dipendenza dall'agricoltura, hanno dovuto costringersi a farlo, e il giogo che hanno usato è questo meme: produrre tutto il proprio cibo è il miglior modo di vivere. Nulla di meno sarebbe bastato per fare una cosa simile. Forse erano solo affamati? Un cacciatore-raccoglitore che necessita di 2.000 calorie al giorno per vivere deve spenderne solo 400 per ottenerle, perché questa è la proporzio- ne con cui la caccia-e-raccolta ricompensa gli sforzi – 1 caloria di lavoro ne dà 5 di cibo. Per contrasto, un agricoltore che necessita di 2.000 calorie al giorno deve spenderne 1.000 per ottenerle, perché questa è la proporzio- ne con cui l'agricoltura ricompensa gli sforzi – 1 caloria di lavoro ne dà 2 di cibo. Per un individuo affamato, scambiare la caccia-e-raccolta con l'agricol- tura è come per uno in difficoltà finanziarie scambiare un lavoro che paga cinque dollari l'ora per uno che ne paga solo due. Non ha assolutamente senso, e più sei affamato, meno ne ha. L'agricoltura è meno efficiente per combattere la fame della caccia-e- raccolta, ma conferisce indiscutibilmente altri benefici (il più evidente dei quali è fornire la base per divenire prima stanziali e poi civilizzati), e fu per ottenere questi vantaggi che i fondatori della nostra cultura finirono per adottare uno stile di vita di completa dipendenza dall'agricoltura. Da quel momento, è diventata una questione di fede tra di noi che produrre tutto il
  • 21. nostro cibo sia il modo migliore di vivere. Avevamo investito in quel meme, e avremmo protetto quell'investimento a qualunque costo. Popoli del Nuovo Mondo che hanno adottato questo meme. Non fummo l'unico popolo a riconoscere in tempi antichi i benefici del produrre tutto il proprio cibo. Tra i popoli più celebri che adottarono questo meme nel Nuovo Mondo ci furono i Maya, gli Olmechi, il popolo di Teotihuacàn, gli Hohokam, gli Anasazi, gli Aztechi e gli Inca. Ciò che è significativo per il nostro studio di questo meme fondamenta- le è che, per l'epoca in cui gli Europei arrivarono nel Nuovo Mondo, alla fine del quindicesimo secolo, solo le più recenti di queste civiltà, gli Aztechi e gli Inca, lo stavano ancora seguendo. I Maya. I Maya probabilmente divenirono agricoltori a tempo pieno poco dopo di noi, ma (come noi) cominciarono a sembrare costruttori di civiltà solo dopo diversi millenni. Le prime grandi città dello Yucatàn cominciarono a emergere intorno al 2.000 a.C., insieme alla fondazione del Medio Regno d'Egitto e perfino in anticipo di un paio di secoli rispetto alla fondazione di Babilonia. I Maya fiorirono per quasi tremila anni. Poi, all'inizio del nono secolo dell'era comune, le città del sud improvvisamente cominciarono a venire abbandonate e in breve rimasero deserte. Le città del nord continuarono a fiorire per qualche tempo sotto il dominio dei Toltec ma crollarono quando i Toltec persero il potere nel tredicesimo secolo. Mayapàn, a ovest, emerse a questo punto come l'ultimo avamposto della civiltà Maya, ma anche esso sarebbe crollato dopo un paio di secoli. Questo è all'incirca il tipo di resoconto che si potrebbe trovare in una normale enciclopedia o in un atlante storico. Anche se comincia parlando di persone, diventa immediatamente la storia di qualcos'altro, qualcosa come un grande transatlantico che attraversa il tempo. Trasporta passegge- ri, questo è certo, ma sono solo zavorra, necessari solo perché senza di loro la nave si ribalterebbe e affonderebbe immediatamente. Gli Olmechi e Teotihuacàn. Gli agricoltori Olmechi di Veracruz e Tabasco costruirono grandi centri
  • 22. cerimoniali, principalmente a San Lorenzo e a La Venta. San Lorenzo, il più antico, prosperò dal 1.200 al 900 a.C., quando (come si dice) venne “sfigurato e abbandonato”. La stessa cosa avvenne a La Venta, cinque secoli dopo. Centri minori continuarono a venire abitati per qualche tempo, ma la distruzione di La Venta segnò la fine del dominio olmeco dell'area. Circa duecento anni dopo, una delle grandi città del mondo antico cominciò a venire costruita nel Messico centrale. Teotihuacàn era destinata a diventare la sesta più grande città del mondo per il 500 d.C. Per duecen- tocinquant'anni prosperò come centro del proprio impero, poi all'improvvi- so successe la solita cosa. Fu “distrutta” – bruciata e forse perfino “ritual- mente” spazzata via. Le rovine furono occupate per qualche tempo, ma la città era morta. Gli Hohokam e gli Anasazi. Il popolo che occupò le terre deserte del sud dell'Arizona più o meno dall'epoca di Cristo ci sembra composto da lavoratori infaticabili anziché da costruttori di civiltà. Le loro imprese più memorabili, cominciate intorno al 700 d.C., non erano città ma vaste reti di canali di irrigazione che permettevano loro di coltivare tutto il loro cibo. Singoli canali, larghi fino a sette metri e profondi fino a quattro metri e mezzo, potevano estendersi fino a 25 chilometri, e una rete lungo il Salt River collegava 240 chilometri di canali. Il lavoro cominciò a venire abbandonato all'inizio del quindicesimo secolo, e in pochi decenni i lavoratori divennero gli Hohokam – “quelli che svanirono”, nel linguaggio degli indiani Pima dell'area. Gli Anasazi occupavano la Regione dei Quattro Angoli, dove l'attuale Arizona, il Nuovo Messico, lo Utah e il Colorado si incontrano. Prospera- rono solo brevemente, a partire dal 900 d.C., e non costruirono grandi città, ma raggiunsero uno stile di vita notevole in piccole città e abitazioni su delle rupi. Vennero tutte abbandonate subito dopo il 1.300 d.C. Cercando gli attori. Nello scrivere queste storie condensate ho seguito lo schema comune per resoconti del genere, cominciando in modo attivo, con persone che fanno cose, e finendo in modo passivo, con cose che vengono fatte – a “città”, “insediamenti” o “civiltà”. La fine arriva sempre quando le città sono “abbandonate”, “distrutte”, “sfigurate”, “bruciate” o “sconsacrate” –
  • 23. uno non capisce mai da chi. Si rimane con una vaga sensazione di mistero, come se queste cose fossero avvenute nel Triangolo delle Bermuda o nella Zona del Crepuscolo. Gli autori di questi resoconti sono chiaramente a disagio con la verità, ossia che queste civiltà sono state distrutte e abbandonate dalle stesse persone che le avevano costruite. I Maya hanno abbandonato le loro città di loro volontà – non sono stati rapiti da dischi volanti. Gli Olmechi stessi hanno distrutto e abbandonato San Lorenzo e La Venta, e Teotihuacàn è stata bruciata dai suoi stessi cittadini. Un giorno i costruttori di canali del sud dell'Arizona hanno abbassato gli attrezzi e se ne sono andati, e un altro giorno gli abitanti di Chaco Canyon e di Mesa Verde hanno fatto lo stesso. Tutti questi popoli fecero qualcosa di perfino più oltraggioso che in resoconti di questo tipo non viene quasi mai nominato. Era già abbastanza brutto che avessero abbandonato le loro civiltà, ma ciò che fecero dopo è quasi impensabile: smisero di praticare l'agricoltura. Smisero di produrre tutto il loro cibo. Abbandonarono il miglior stile di vita che esista. “Quelli che svanirono”. In un senso molto concreto, tutti loro meritano di venir chiamati Hohokam, questi strani popoli che si sono sfilati le loro magnifiche vesti, hanno messo da parte gli strumenti che avevano usato per creare immortali opere d'arte, hanno stracciato i loro progetti per templi e piramidi, hanno scartato letteratura, matematica e i calendari più avanzati del mondo, hanno consegnato all'oblio elaborate religioni di stato e interi sistemi politici... E si sono dispersi in qualunque ambiente fosse a disposizione – giungle tropicali, pianure lussureggianti o alti deserti. Ovviamente, nessuno di loro scomparve davvero. Adottarono semplicemente modi meno appariscenti di procurarsi da vivere, o tramite la raccolta o tramite qualche miscuglio di raccolta e agricoltura. Ma a ogni modo, hanno deliberatamente gettato via quello che ritenia- mo il miglior stile di vita esistente per qualcosa di inferiore. Sapevano che cosa stavano facendo, e lo hanno fatto lo stesso... Ancora, e ancora, e ancora. Naturalmente, ci sono delle spiegazioni. Non si può permettere che dei comportamenti inspiegabili rimangano inspiegabili. L'antropologo Jeremy A. Sabloff fa notare che sono state proposte dozzine di ipotesi per spiegare il crollo Maya, “inclusi l'eccessivo sfruttamento del suolo, terremoti,
  • 24. uragani, cambiamenti climatici, malattie, invasioni di insetti, rivolte popolari e invasioni militari”, e i Maya non sono un'eccezione. Le stesse ipotesi (e altre) sono state avanzate per spiegare tutti gli altri crolli. Hanno tutte qualcosa in comune, come conclude chiaramente il professor Sabloff: “Nessuna di queste spiegazioni ha dimostrato di essere completamente soddisfacente.” Perché nessuna sarà MAI soddisfacente. Nessuna spiegazione simile sarà mai soddisfacente perché tutti sappiamo queste cose:  Il suolo può essere impoverito qui, ma non ovunque.  Terremoti e uragani non durano per sempre.  Ai cambiamenti climatici si può sfuggire.  Le malattie fanno il loro corso.  Le invasioni di insetti vanno e vengono.  Le rivolte popolari possono venire soppresse – o si può sopravvivere a esse.  Gli invasori possono essere respinti – o assorbiti. Non possono essere state cose simili a far rinunciare questi popoli alla civiltà, perché guardate noi. Queste cose sono semplici inconvenienti paragonate a ciò che abbiamo affrontato noi – tutte queste cose, più molto peggio: carestie, guerre di ogni tipo, inquisizione, governi sostenuti da torture e assassinii, crimine in costante aumento, corruzione, tirannia, follia, rivoluzioni, genocidi, razzismo, ingiustizie sociali, povertà di massa, acqua avvelenata, aria inquinata, due guerre mondiali devastanti, la prospettiva di un olocausto nucleare, guerra batteriologica ed estinzione. Abbiamo affrontato tutto questo e di più, e mai, nemmeno una volta, siamo stati tentati di abbandonare la nostra civiltà. Doveva esserci qualcos'altro all'opera – o mancante – in questi popoli. E in effetti c'era qualcos'altro. Che differenza fa un ______! Due tizi su un aeroplano. Uno cade di sotto, poi un attimo dopo anche l'altro lo segue. Il primo tizio si spappola al suolo come un pomodoro maturo. Il secondo atterra in piedi e se ne va. È ovvio che il secondo aveva qualcosa che il primo non aveva, e ciò che aveva è anch'esso ovvio: un
  • 25. paracadute. Due tizi affrontano un bandito. Uno si prende un proiettile nel petto e cade a terra morto. L'altro si prende un proiettile nel petto, poi risponde al fuoco con calma e uccide il bandito. Di nuovo, è ovvio che il secondo aveva qualcosa che il primo non aveva, e ciò che aveva è ovvio anch'esso: un giubbotto antiproiettile. Due civiltà. Una va avanti per un po', poi magari avviene qualcosa di brutto (o forse no) e all'improvviso tutti la abbandonano. L'altra civiltà va avanti per molto di più, sopportando costantemente ogni catastrofe conce- pibile – ma nessuno si sogna di abbandonarla, nemmeno per un secondo. Di nuovo, è ovvio che la seconda civiltà ha qualcosa che la prima non aveva – ma che cosa abbia non è poi così ovvio. Ha un meme. Per volere di un meme, una civiltà andò perduta. Uno può immaginare quanto disperatamente i pontefici, i potentati, le dinastie, i principi, i rajah, gli ierofanti, i sacerdoti, le sacerdotesse e le guardie di palazzo di tutte queste barcollanti civiltà devono aver desiderato impiantare nelle menti dei loro vacillanti sudditi questo semplicissimo concetto: la civiltà deve continuare A OGNI COSTO e non deve venire abbandonata IN NESSUN CASO. Va da sé, comunque, che impiantarlo e basta non è sufficiente. Per avere effetto, un meme deve venire accettato senza discussioni. Non puoi convincere la gente ad accettare un'idea assurda come questa sul momento. Devono ascoltarla fin dalla nascita. Deve raggiungerli da ogni direzione ed essere sepolta in ogni comunicazione, come avviene con noi. Tutti questi popoli hanno cominciato col credere che il modo migliore di vivere fosse di produrre tutto il loro cibo. Perché altrimenti sarebbero diventati agricoltori a tempo pieno? Hanno cominciato in quel modo e hanno continuato così per molto tempo. Ma poi cominciarono ad avvenire delle cose molto prevedibili. Per esempio, i Maya, gli Olmechi e la gente di Teotihuacàn divennero rigidamente stratificati in élite ricche e potenti e in masse povere e impotenti, che naturalmente facevano tutto il duro lavoro che rendeva magnifiche queste civiltà. Le masse sopporteranno una vita miserabile – lo sappiamo bene! – ma cominceranno inevitabilmente a divenire irrequiete. Sappiamo anche questo. Quando le classi inferiori diventano irrequiete.
  • 26. La nostra storia è piena di insurrezioni popolari, rivolte, ribellioni, tumulti, sommosse e rivoluzioni, ma nessuna di esse si è mai conclusa con la gente che se ne andava via. Questo perché i nostri cittadini sanno che la civiltà deve continuare a ogni costo e non deve essere abbandonata in nessun caso. Quindi perderanno il controllo, distruggeranno tutto quello che vedranno, stermineranno tutte le élite su cui riusciranno a mettere le mani, incendieranno, stupreranno e devasteranno – ma non se ne andranno mai semplicemente via. Ecco perché il comportamento dei Maya, degli Olmechi e degli altri è così impenetrabilmente misterioso per i nostri storici. Per loro, sembra evidente che la civiltà debba continuare a ogni costo e non debba mai venire abbandonata in nessun caso. Com'è possibile, allora, che i Maya, gli Olmechi e gli altri non lo sapessero? Ma questo è esattamente ciò che mancava nelle menti di questi popoli. Quando non gradirono più ciò che stavano costruendo, furono in grado di abbandonarlo, perché non avevano la convinzione che dovesse continuare a ogni costo e non venire abbandonato in nessun caso. Questo meme fa tra noi e loro la stessa differenza che il paracadute faceva tra i due tizi che cadevano dall'aereo, o che il giubbotto antiproietti- le faceva tra i due tizi che affrontavano il bandito. E riguardo tutti gli altri? Non ci sono prove che gli Hohokam e gli Anasazi si fossero stratificati in classi superiori onnipotenti e classi inferiori impotenti. Ma ci sono delle prove che gli Hohokam si stessero dirigendo in quella direzione. Piatta- forme sopraelevate in stile mesoamericano (costruite da chi se non da una classe inferiore emergente?) stavano cominciando a comparire qui e là, così come lussuosi campi da gioco (costruiti per chi se non per una classe superiore emergente?). L'esperimento Anasazi fu il più breve tra tutti quelli che ho esaminato qui, e la civiltà meno sviluppata (ammesso che meriti quel nome in primo luogo). Ciononostante, lo stesso vale per tutti. Quando, per qualunque motivo, non hanno gradito più ciò che stavano costruendo, sono stati in grado di abbandonarlo, perché non avevano la convinzione che dovesse continuare a qualunque costo e non essere abbandonato in nessun caso. Ho nominato (ma non discusso) le altre due grandi civiltà del Nuovo Mondo: gli Inca e gli Aztechi. Il loro sviluppo iniziale e medio ha seguito il modello dei Maya e degli Olmechi, ma la loro fine non è stata decisa da loro, visto che vennero distrutti dalle armate spagnole di invasione nel
  • 27. sedicesimo secolo. Ovviamente è impossibile sapere come avrebbero potuto continuare se fossero stati lasciati a se stessi, ma la mia opinione è che (mancando di quel particolare meme) avrebbero seguito l'esempio di tutti gli altri. La fallacia culturale. A noi, il meme secondo cui la civiltà deve continuare a ogni costo e non essere abbandonata in nessun caso sembra intrinseco alla mente umana – lampante, come che la distanza più breve tra due punti è una linea retta. Una mente che non possiede questo meme difficilmente ci sembra umana. Noi immaginiamo che l'umanità sia nata con questo meme nella mente. L'Homo habilis sapeva che avrebbe dovuto essere civilizzato, ma non aveva l'intelletto necessario per diventarlo. L'Homo erectus sapeva che avrebbe dovuto essere civilizzato, ma non aveva le capacità necessarie. L'Homo sapiens sapeva che avrebbe dovuto essere civilizzato, ma non riusciva a capire che cosa fosse necessario per diventarlo. L'Homo sapiens sapiens sapeva che avrebbe dovuto essere civilizzato, aveva l'intelletto e le capacità necessarie, e cominciò a farlo appena capì che l'agricoltura era ciò che serviva per diventarlo. Naturalmente sapeva che la civiltà avrebbe dovuto continuare a ogni costo e non essere abbandonata in nessun caso. Cosa c'era di sbagliato, allora, in tutti questi costruttori di civiltà del Nuovo Mondo? È difficile per noi superare l'idea che ci fosse qualcosa di molto misterioso in loro. Sapevano (perché è evidente) che la civiltà non deve essere abbandonata in nessun caso – ma l'abbandonarono comunque. Questo è un esempio della Fallacia Culturale, ossia: i meme della nostra cultura derivano dalla struttura stessa della mente umana, e se non li hai, allora c'è qualcosa di sbagliato in te. Naturalmente, anche questo è un meme. L'altro mistero delle “Civiltà Perdute”. Il primo mistero dei costruttori di civiltà del Nuovo Mondo è facile da notare, perché si manifesta come qualcosa che hanno fatto: hanno distrutto quello che avevano costruito. Il secondo mistero è meno facile da notare, perché si manifesta solo come qualcosa che non hanno fatto: non hanno conquistato il mondo. All'apice del loro sviluppo, i Maya occupavano un'area non più grande dell'Arizona. All'epoca in cui noi raggiungemmo lo stesso grado di sviluppo, avevamo già occupato il medioriente, l'Europa e larga parte
  • 28. dell'India e del Sud-est asiatico. Nessuno sarebbe stato in grado di opporsi all'avanzata Maya a nord o a sud della loro terra natia, in Yucatan e Guatemala, se avessero deciso di compierla. Avrebbero potuto civilizzare l'intero emisfero nei millenni che ebbero a disposizione – se avessero deciso di farlo. Stranamente, misteriosamente, non decisero di farlo. Gli Olmechi si contentavano di occupare un territorio più piccolo del Connecticut, e se la loro metropoli Teotihuacàn fosse stata costruita nel centro di Los Angeles, il suo dominio imperiale sarebbe stato ben più ridotto dei confini della città. Cos'avevano che non andava questi popoli? Che cosa mancava loro che noi invece avevamo? Avanti, provate a indovinare. Il meme mancante. A differenza dei soldati che li avevano preceduti, i colonizzatori del Nuovo Mondo non arrivarono portandosi dietro i loro confini nazionali. Invece, arrivarono portandosi dietro un confine culturale comune. Entro questo confine, gente dall'Europa, dal Vicino e dal Lontano Oriente potevano vivere tranquillamente fianco a fianco, perché erano fratelli culturali. Che venissero dall'Inghilterra, dalla Cina, dalla Turchia, dalla Russia, dall'Irlanda, dall'Egitto, dalla Tailandia o dalla Danimarca, erano molto più simili l'uno all'altro di quanto fossero simili ai selvaggi fuori da quel confine. (E naturalmente non andavano a caccia di schiavi se non all'esterno di quel confine.) Questa non era una particolarità unica del Nuovo Mondo. Era sempre stato così. Il confine che si espandeva in tutte le direzioni dalla Mezzaluna Fertile non era uno nazionale, ma culturale. Non furono i soldati a conqui- stare il Vecchio Mondo, furono gli agricoltori, che insegnarono ai loro vicini, i quali insegnarono ai loro vicini, che poi insegnarono ai loro, dif- fondendo il messaggio verso l'esterno in un cerchio in costante espansione che alla fine comprese tutto tranne lo sconosciuto Nuovo Mondo dall'altra parte del pianeta. Il meme che portammo con noi nel Nuovo Mondo non era nulla di nuovo. Eravamo stati impegnati a diffonderlo fin dall'inizio: il nostro è l'unico modo GIUSTO di vivere per le persone, e tutti dovrebbero vivere come noi. Avendo questo meme, ci siamo resi missionari culturali nel mondo e, non avendo questo meme, i Maya, gli Olmechi e gli altri non lo hanno fatto.
  • 29. Opera sacra. Quando Colombo si mise in viaggio verso ovest attraverso l'Atlantico, non stava cercando un continente vuoto da colonizzare, stava cercando un percorso per effettuare scambi commerciali con l'Oriente. E se fosse arrivato davvero in Asia anziché in America, la gente d'Europa avrebbe detto: “Andiamo a fare affari con questi orientali.” Nessuno si sarebbe sognato di dire: “Andiamo lì, cacciamo via gli orientali e prendiamoci l'Asia per noi.” Ma naturalmente Colombo non arrivò in Asia ma in America, che, per come la vide, non era occupata (a parte da alcuni selvaggi). Quando i popoli d'Europa lo sentirono, non si dissero: “Andia- mo a fare affari con questi selvaggi.” Si dissero: “Andiamo lì, cacciamo via i selvaggi e prendiamoci l'America per noi.” Questa non era avidità ma piuttosto un loro sacro dovere. Quando un agricoltore disbosca un terreno e lo mette a coltura non pensa che lo sta sottraendo alla vita selvaggia che ci abita. Non lo sta rubando, lo sta usando nel modo che Dio aveva inteso fin dall'inizio. Prima di venire coltivata, quella terra stava andando sprecata. E questo è il modo in cui i colonizzatori videro il Nuovo Mondo. I nativi stavano lasciando che andasse sprecato, e portandoglielo via e cominciando a coltivarlo, loro stavano compiendo un'opera sacra. Il Nuovo Mondo non è stato sconfitto dalla spada, ma da un meme. Costruttori di piramidi. Le orde di lavoratori che costruirono le piramidi mesoamericane non erano più miserabili di quelle che costruirono le piramidi egizie. I lavora- tori mesoamericani pensavano semplicemente di avere un'alternativa alla miseria, che alla fine sfruttarono (andandosene via). Noi non pensavamo di averla, così continuammo a trascinarci, costruendo uno ziggurat qui, una Grande Muraglia lì, una bastiglia qua, una linea Maginot là – e così via – fino al momento attuale, in cui le nostre piramidi non stanno venendo costruite a Giza o a Saqqara ma piuttosto alla Exxon, alla Du Pont, alla Coca Cola, alla Proctor & Gamble e a McDonald's. Io visito molte classi, e gli studenti in un modo o nell'altro mi fanno sempre arrivare al punto in cui chiedo quanti di loro non stanno nella pelle all'idea di uscire e cominciare a lavorare alle piramidi a cui i loro genitori hanno lavorato tutta la vita – e i loro genitori prima di loro. La domanda li mette a disagio, perché sanno che dovrebbero essere assolutamente
  • 30. deliziati dalla prospettiva di andare a girare hamburgers e pompare benzina e riempire scaffali nel mondo reale. Tutti hanno detto loro che sono i giovani più fortunati della Terra – genitori, insegnanti, libri di testo – e si sentono sleali a non essere entusiasti. Ma non lo sono. Faraoni. Khufu impiegò ventitré anni per costruire la sua Grande Piramide a Giza, dove millecento blocchi di pietra, ognuno pesante circa due tonnellate e mezzo, dovevano venire lavorati, spostati e posizionati ogni giorno durante la stagione di costruzione annuale, lunga circa quattro mesi. Pochi studiosi di questo evento possono trattenersi dal notare che questo risultato è un'incredibile testimonianza del controllo di ferro che il faraone esercitava sui lavoratori egiziani. Io sostengo, al contrario, che il faraone Khufu non dovette esercitare più controllo sui suoi lavoratori a Giza di quanto il faraone Bill Gates ne eserciti sui suoi lavoratori alla Microsoft. Sostengo che i lavoratori egizi, relativamente parlando, hanno ottenuto dalla costruzione della piramide di Khufu quanto i lavoratori della Microsoft ottengono dalla costruzione della piramide di Bill Gates (che sicuramente farebbe apparire quella di Khufu minuscola, per quanto non sarebbe, naturalmente, fatta di pietra). Non è necessario alcun controllo particolare per rendere gli uomini costruttori di piramidi – se pensano di non avere altra scelta a parte costruire piramidi. Costruiranno qualunque cosa venga loro detto di costruire, che si tratti di piramidi, di garage o di programmi di computer. Karl Marx aveva capito che i lavoratori senza alternative sono lavorato- ri in catene. Ma la sua idea di spezzare le catene era di deporre il faraone e di costruire le piramidi per noi stessi, come se costruire piramidi fosse qualcosa che non possiamo smettere di fare, ci piace così tanto. La soluzione Maya. Il meme è tanto forte tra di noi oggi quanto lo era tra i trascinatori di pietre dell'antico Egitto: la civiltà deve continuare a ogni costo e non essere abbandonata in nessuna circostanza. Stiamo rendendo il mondo inabitabile per la nostra stessa specie e precipitando verso l'estinzione, ma la civiltà deve continuare a ogni costo e non venire abbandonata in nessuna circostanza. Questo meme non era letale nell'Egitto dei faraoni o nella Cina di Han
  • 31. o nell'Europa medievale, ma è letale per noi. Si tratta letteralmente di noi o di questo meme. Uno dei due deve andarsene – e presto. Ma... Ma... Ma... Ma sicuramente, signor Quinn, non sta suggerendo che torniamo a vivere in caverne e a procurarci la cena con una lancia, vero? Non ho mai suggerito una cosa simile, neanche remotamente. Data la nostra situazione, tornare alla vita di caccia-e-raccolta è un'idea ridicola quanto farci spuntare le ali e volare verso il Paradiso. Possiamo smettere di costruire piramidi, ma non possiamo tornare nella giungla. La soluzione Maya per quanto ci riguarda non esiste più, per la semplice ragione che la giungla stessa non esiste più e che ci sono sei miliardi di noi. Scordatevi di tornare indietro. Non c'è nessun indietro. Indietro non esiste. Ma possiamo comunque abbandonare la piramide. Oltre la piramide. Se dopo aver abbandonato la piramide non possiamo tornare nella giungla, che diamine possiamo fare? Ecco come il saggio gorilla di Ishmael ha risposto alla domanda: “Vi vantate di essere creativi, non è vero? Be', siate creativi.” Non sorprendentemente, il suo allievo l'ha liquidata come una non-risposta – e sono sicuro che molti lettori hanno fatto lo stesso. L'hanno fatto perché nel nostro meme sulla civiltà c'è un altro meme implicito: la civiltà è l'invenzione DEFINITIVA dall'umanità, e non potrà mai essere sorpassata. Ecco perché deve essere portata avanti a ogni costo, perché non ci può essere nessuna invenzione oltre di essa. Se dovessimo abbandonare la civiltà (gulp!), saremmo finiti! Se vorremo avere un futuro, la nostra prima invenzione dovrà essere un uccisore di meme. Dobbiamo distruggere in noi stessi e nelle persone che ci circondano il meme che afferma che la civiltà è un'invenzione impossi- bile da superare. Dopotutto è solo un meme – solo una nozione peculiare della nostra cultura. Non è una legge fisica, è solo qualcosa che ci è stato insegnato a credere, che ai nostri genitori è stato insegnato a credere – così come ai loro genitori, e ai loro genitori prima ancora, risalendo indietro nel tempo fino a Giza, Ur, Mohenjo-Daro, Cnosso e oltre. Dato che non esiste un miglior uccisore di meme che un altro meme, proviamo questo: Qualcosa di meglio della civiltà ci sta aspettando.
  • 32. Qualcosa di molto meglio – a meno che tu non sia uno di quei rari individui che adorano trascinare pietre.
  • 33. PARTE TRE Allontanarsi dalla Piramide Allontanandomi dalla Piramide sono uscito per comprare trascendenza e sono tornato con un telefono. Anthony Weir. Ho ventidue anni e non aspetterò oltre. Scott Valentine. Organizzazione sociale e selezione naturale. Nessuno rimane sorpreso dall'imparare che le api sono organizzate in un modo che funziona per loro, o che i lupi sono organizzati in un modo che funziona per loro, o che le balene sono organizzate in un modo che funziona per loro. La maggior parte della gente capisce in modo generico che l'organizzazione sociale di ogni specie si è evoluta nello stesso modo delle altre sue caratteristiche. Organizzazioni inefficaci sono state elimi- nate nello stesso modo in cui sono stati eliminati tratti fisici inefficaci – tramite il processo conosciuto come selezione naturale. Ma c'è un pregiudizio bizzarro e implicito contro l'idea che lo stesso processo abbia plasmato l'organizzazione sociale degli esseri umani nei tre o quattro milioni di anni della sua evoluzione. Nessuno rimane sorpreso dall'imparare che la forma di un artiglio o un modello di colorazione sia giunto fino a noi perché funziona per il suo possessore, ma molti sono riluttanti a considerare l'idea che ogni organizzazione sociale umana possa essere giunta fino a noi per lo stesso motivo. Definizioni ed esempi. Stile di vita (o modo di vivere): un modo di procurarsi di che vivere per gruppi o individui. La caccia-e-raccolta è uno stile di vita. Coltivare tutto il proprio cibo è uno stile di vita. Mangiare carogne (per esempio tra gli avvoltoi) è uno stile di vita. La raccolta di cibo (per esempio tra i gorilla) è uno stile di vita.
  • 34. Organizzazione sociale: una struttura cooperativa che aiuta un gruppo ad attuare il proprio stile di vita. Le colonie di termiti sono organizzate in una gerarchia di tre caste: addetti alla riproduzione (re e regina), lavoratori e soldati. I cacciatori-raccoglitori umani sono organizzati in tribù. Cultura: la totalità di ciò che viene trasmesso da una generazione all'altra tramite linguaggio ed esempi. Gli Yanomami brasiliani e i Boscimani africani hanno lo stesso stile di vita (caccia-e-raccolta) e la stessa organizzazione sociale (tribalismo), ma non la stessa cultura (eccetto in un senso molto generale). La persistenza misteriosa. La nostra visione culturale è stata plasmata da persone che erano per- fettamente soddisfatte della nozione che l'universo che potevano osservare era nella sua forma finale, ed era comparso in quella forma – in un colpo solo, per così dire. La storia della creazione della Genesi non ha originato questa nozione, l'ha solo affermata: Dio aveva fatto il suo lavoro, aveva visto che non c'era bisogno di miglioramenti, e questo è tutto. Non è stato facile per noi abbandonare questa convinzione, e infatti molti di noi ci si aggrappano ancora inconsciamente perfino quando parlano di evoluzione. Questo è il motivo per cui la scomparsa delle civiltà del Nuovo Mondo sembra misteriosa ai nostri storici. Se la loro visione del mondo fosse fondamentalmente darwiniana anziché aristotelica, capireb- bero che ciò che stanno osservando in queste scomparse è solamente la selezione naturale al lavoro, e l'aura di mistero scomparirebbe. Difficilmente si può dubitare che durante i nostri tre o quattro milioni di anni su questo pianeta siano stati fatti migliaia di esperimenti culturali tra gli umani. I successi sono sopravvissuti – e i fallimenti sono scomparsi, per la semplice ragione che alla fine non rimaneva più nessuno che volesse perpetuarli. La gente (solitamente) sopporterà di vivere in modo miserabile solo per un certo periodo. Non sono i rinunciatari a essere misteriosi e fuori dall'ordinario, siamo noi, che in qualche modo ci siamo convinti che dobbiamo persistere nella nostra miseria a qualunque costo e non abbando- narla nemmeno di fronte alla calamità, quelli misteriosi. Alcuni vogliono più dell'adeguatezza.
  • 35. Prima di divenire agricoltori a tempo pieno, i Maya, gli Olmechi e tutti gli altri praticavano la caccia-e-raccolta o qualche combinazione di agri- coltura e raccolta. Il fatto che alla fine siano diventati agricoltori a tempo pieno non indica forse che non erano perfettamente soddisfatti di questi stili di vita? È esattamente quello che indica. A un certo punto, l'idea di produrre tutto il loro cibo con l'agricoltura è sembrata loro più attraente del modo tradizionale. Questo non significa necessariamente che odiassero la loro vita precedente, ma di sicuro significa che hanno ritenuto la vita agricola più promettente. Molto probabilmente non consideravano il loro avventurarsi nella vita agricola un esperimento, ma una scelta permanente e irrevocabile. Se è così, questo non nega il ruolo della selezione naturale in questo processo, ma piuttosto lo evidenzia. Ognuno di questi popoli ha cominciato con l'abbandonare uno stile di vita tradizionale per un'innovazione che sembrava loro promettere maggiori quantità di ciò che desideravano. Quando l'innovazio- ne ha finito con il dar loro meno di ciò che desideravano, questi popoli l'hanno abbandonata e hanno ricominciato a vivere nel modo precedente. L'innovazione aveva fallito il test in ognuno di questi casi. Ma questo non indica forse che i loro stili di vita tradizionali erano meno che perfetti? Certamente. La selezione naturale è un processo che separa ciò che funziona da ciò che non funziona, non il perfetto dall'im- perfetto. Nulla di ciò che l'evoluzione porta avanti è perfetto, è solo dannatamente difficile da migliorare. Tribalismo efficace. Come ho detto, se fate notare che gli alveari funzionano bene per le api, o che i branchi funzionano bene per i babbuini e per i lupi, nessuno ci trova nulla da ridire. Ma se fate notare che la vita tribale funziona bene per gli umani, non sorprendetevi di venire attaccati con ferocia quasi isterica. Gli attaccanti non criticheranno mai ciò che avete detto, ma piuttosto cose che hanno immaginato che abbiate detto, per esempio che la vita tribale è “perfetta”, o “idilliaca”, o “nobile”, o semplicemente “meravigliosa”. Non importa che voi non abbiate detto nessuna di queste cose, si indigneranno come se lo aveste fatto. La vita tribale in realtà non è perfetta, idilliaca, nobile o meravigliosa, ma ovunque sia trovata intatta funziona bene – bene quanto i modi di vivere di lucertole, procioni, oche o scarabei – con il risultato che i membri
  • 36. della tribù non sono generalmente furiosi, ribelli, disperati, stressati quasi- psicopatici dilaniati da crimine, odio e violenza. Ciò che gli antropologi hanno trovato è che i popoli tribali, lungi dall'essere più nobili, più dolci o più saggi di noi, sono capaci quanto noi di essere meschini, bruschi, miopi, egoisti, insensibili, testardi e irascibili. La vita tribale non trasforma le persone in santi; permette a individui ordinari di vivere insieme con uno stress minimo anno dopo anno, generazione dopo generazione. Cosa ti aspetteresti? Dopo tre o quattro milioni di anni di evoluzione umana, cosa ti aspetteresti se non un'organizzazione sociale che funzioni? Come altro avrebbe potuto sopravvivere l'Homo habilis, se non in un'organizzazione sociale efficace? Come altro avrebbe potuto sopravvivere l'Homo erectus, se non in un'organizzazione sociale efficace? E se la selezione naturale ha fornito all'Homo habilis ed erectus organizzazioni sociali efficaci, perché avrebbe dovuto fallire nel fornirne una anche all'Homo sapiens? Gli umani possono aver provato molte altre organizzazioni sociali in questi tre o quattro milioni di anni, ma se è così, nessuna di esse è sopravvissuta. In effetti, sappiamo che gli umani hanno provato altre organizzazioni sociali. I Maya ne hanno provata una – e hanno scoperto dopo tremila anni che non funzionava (almeno non bene quanto il tribalismo). Sono ritornati al tribalismo. Gli Olmechi ne hanno provata una – e hanno scoperto dopo trecento anni che non funzionava (almeno non bene quanto il tribalismo). Sono ritornati al tribalismo. Gli abitanti di Teotihuacàn ne hanno provata una – e hanno scoperto dopo cinquecento anni che non funzionava (almeno non bene quanto il tribalismo). Sono ritornati al tribalismo. Gli Hohokam ne hanno provata una – e hanno scoperto dopo mille anni che non funzionava (almeno non bene quanto il tribalismo). Sono ritornati al tribalismo. Gli Anasazi ne hanno provata una – e hanno scoperto dopo quattrocen- to anni che non funzionava (almeno non bene quanto il tribalismo). Sono ritornati al tribalismo. Nessuno dei loro esperimenti è sopravvissuto – ma il tribalismo sì. E questo è ciò in cui consiste la selezione naturale. Se ti piace così tanto...
  • 37. Le persone che non gradiscono ciò che dico mi sfidano spesso in questo modo: “Se ti piace così tanto la vita tribale, perché non prendi una lancia e non vai a vivere in una caverna?” La vita tribale non consiste di lance, caverne, caccia o raccolta. La caccia-e-raccolta è uno stile di vita, un'occupazione, un modo di procurarsi da vivere. Una tribù non è un'occupazione particolare; è un'organizzazione sociale che rende più facile procurarsi da vivere. Dove viene loro ancora permesso, gli zingari vivono in tribù, ma ovviamente non sono cacciatori-raccoglitori. Allo stesso modo, la gente del circo vive in tribù – ma, di nuovo, ovviamente non sono cacciatori-raccoglitori. Fino a pochi decenni fa, c'erano molti tipi di spettacoli viaggianti che avevano un'organizzazione tribale – troupes teatrali, parchi di divertimento, e così via. Cosa le persone trovano nella vita tribale. Le tribù esistono per i loro membri – per tutti i loro membri, perché sono tutti percepiti come coinvolti nel successo della tribù. Quando viene montato il tendone, nessuno nel circo è più importante della squadra di costruttori. Quando si montano le attrezzature, non c'è nessuno più importante degli attrezzisti. Quando lo spettacolo comincia, non c'è nessuno più importante degli artisti, umani e animali. E funziona così in ogni fase della vita circense. Tra i cacciatori-raccoglitori, il successo ovviamente non ha nulla a che fare con i soldi. Nel circo, naturalmente, tutti sanno che lo spettacolo deve guadagnare soldi per poter continuare, ma è il circo, non il denaro, che fornisce di che vivere. Intendo dire che non fanno continuare il circo per fare soldi; fanno soldi per poter far continuare il circo. (Un artista potrebbe vederla in questo modo: c'è differenza tra il dipingere per fare soldi e il fare soldi per poter continuare a dipingere.) La tribù è ciò che fornisce loro ciò di cui hanno bisogno, e se la tribù cessa di esistere, sono tutti nei guai. Tutti vogliono che il proprietario del circo guadagni soldi, perché se smette di guadagnare, lo spettacolo chiude. Gli interessi di tutti risiedono nel successo dell'intero spettacolo. Ciò che è bene per la tribù è bene per tutti i soggetti coinvolti, dal proprietario al venditore di zucchero filato. Utilizzo l'esempio del circo per enfatizzare il fatto che la vita tribale non è qualcosa che ha funzionato solo tanto tempo fa o solo per i
  • 38. cacciatori-raccoglitori. Esiste davvero una cosa come “il circo”? Se esistono cose come il teatro, l'opera e i cinema, perché non potrebbe esistere una cosa come il circo? Ma è davvero tribale? È perché il circo è tribale che ci accorgiamo di quando un particolare circo cessa di esserlo. La storia del Ringling Bros e del Circo di Barnum & Bailey è inequivocabilmente la storia di tribù circensi, ma ormai quel particolare circo è solo una grossa industria, gerarchica come la General Motors o la United Airlines. Nessuno scambia uno spettacolo come “Ice Capades”1 per un affare tribale; è cominciato come un'azienda e non è mai stato nient'altro. Molte piccole imprese cominciano in un modo molto tribale, con pochi soci che vi riversano tutte le loro risorse e ne ricavano solo ciò che è necessario per sopravvivere, ma questo aspetto tribale scompare rapida- mente se la compagnia diventa una gerarchia convenzionale. Anche se si sviluppa tribalmente, con nuovi membri che aumentano i profitti in modo da poter sopravvivere anche loro, rischia di perdere il suo carattere tribale se diventa troppo ampia. Raggiunta una certa dimensione, deve smettere di crescere oppure organizzarsi come una tribù di tribù, che è probabilmente il modo migliore di considerare il tipo di grande circo che si può vedere in ogni grande città oggigiorno. Una tribù è una coalizione di persone che lavorano insieme come uguali per vivere. Una tribù di tribù è una coalizione di tribù che lavorano insieme come uguali per vivere; ogni tribù ha un capo, così come l'intera coalizione. La gente del circo è gente tribale. Ciò che i popoli tribali trasmettono alla generazione successiva non è una fortuna già accumulata, ma piuttosto un sistema affidabile per procurarsi da vivere. Per questo motivo, la famiglia di birrai Busch è un clan, ma non una tribù. Ciò che la generazione attuale di Busch ha ricevuto dalla precedente non è stato un sistema per guadagnarsi da vivere, ma una fortuna già pronta che verrà passata alla generazione successiva. Per contrasto, gli artisti circensi di fama mondiale chiamati “I Grandi Wallendas” non hanno alcuna compagnia da miliardi di dollari da 1 Spettacolo di pattinaggio sul ghiaccio.
  • 39. trasmettere alla generazione successiva. Ciò che hanno da trasmettere è un modo di procurarsi da vivere. Non hanno già di che vivere a disposizione (come invece August Busch III, che non avrebbe dovuto lavorare neanche un giorno in vita sua se non avesse voluto). Proprio come ogni generazione di cacciatori-raccoglitori riceve dalla precedente la conoscenza su come cacciare e raccogliere (ma deve cacciare e raccogliere da sola per vivere), ogni generazione di Wallendas riceve dalla precedente la conoscenza e le tecniche per esibirsi nel circo (ma deve esibirsi da sola per avere di che vivere). In una tribù etnica, non è affatto raro vedere tre o perfino quattro generazioni lavorare fianco a fianco. La stessa cosa viene osservata in tribù circensi come i Wallendas, dove nessuno è stupito se la dodicenne Aurelia Wallenda fa un Cloud Swing con uno zio di quarantasette anni, Alexandre Sacha Pavlata, un artista circense di sesta generazione. “Mi permetto di obiettare!” Come molti vedranno l'utilità di considerare il circo una tribù, altri si scandalizzeranno e la definiranno una falsità e un'idealizzazione assurda. Verrà precisato, per esempio, che i circhi assumono regolarmente lavorato- ri esterni che lavorano per un giorno o una settimana e poi se ne vanno. Questi lavoratori a giornata sono raramente membri della tribù e raramente lo diventano – tutto perfettamente vero (per quanto non cambi il fatto che alcuni diventano membri della tribù). In circhi molto piccoli, tutto il lavoro viene svolto dallo stesso gruppo di persone, che preparano l'attrezzatura, si occupano delle bancarelle, si esibiscono e lavorano con gli animali. In circhi più grandi, comunque, i capi, gli artisti e i lavoratori vengono visti come appartenenti a diverse classi sociali, che in teoria (almeno in alcuni circhi) non fraternizzano tra di loro. Devo interrogarmi, comunque, sulla validità di considerarle “classi sociali”. È possibile, in una società ordinaria, immaginare che la classe lavoratrice sogni di spodestare la classe “governante”. Ma questo non avrebbe senso in un circo. Che cosa ci guadagnerebbero gli artisti circensi dallo “spodestare” i capi? Che cosa ci guadagnerebbero i lavoratori circensi dallo “spodestare” gli artisti? Anziché immaginare che il circo sia diviso in “classi sociali” che in realtà non calzano, credo che abbia più senso pensarlo come una tribù di tribù, come erano per esempio i Sioux. Storie tribali.
  • 40. Un giorno di luglio del 1986, l'inviato del Chicago Tribune Ron Grossman viaggiò con “l'ultimo piccolo spettacolo da strada” d'America, partendo da New Windsor, Illinois, e arrivando a Wataga, a cinquanta chilometri di distanza. Si trattava del Grande Circo Unito Errante di Culpepper e Merriweather, che contava sei artisti, un lavoratore, tre capre, sei cani, altrettanti pony Shetland e due giovani che si erano aggregati, secondo la gloriosa tradizione di Toby Tyler. Mentre li aiutava a piantare il tendone di quindici metri per venti nel Parco Wataga, il proprietario e direttore del circo Red Johnson ricordò la propria storia circense, che era cominciata quando aveva nove anni. “Mia madre mi svegliò una mattina molto presto e andammo a vedere il Circo dei Fratelli Cole. Mi ricordo di essermi davvero entusiasmato per il negozio del fabbro”, disse maneggiando un martello da otto chili a colpi alterni con il clown B. J. Herbert e l'equilibrista Jim Zajack. “Dopo, mi comprò un libro sul circo per ricordo e all'interno della copertina scrisse: 'Non farti venire strane idee'.” “La cosa divertente è che i miei mi dissero la stessa cosa quando mi regalarono un libro sul circo, un Natale”, disse Zajack. Ma arrivato a diciassette anni, li aveva estenuati tanto che lasciarono che prendesse quello che avrebbe dovuto essere un lavoro estivo al Circo dei Fratelli Franzen. Non tornò più a casa, eccetto quando uno spettacolo chiuse i battenti. “Il circo”, disse a Grossman, “è come una piccola tribù di nomadi. Una volta entratoci, non ne esci più.” “Qui sei parte di qualcosa.” Terrel “Cap” Jacobs, un ammaestratore del Culpepper e Merriweather, ha parlato della natura gerarchica dei circhi più grandi, notando che hanno lo stesso tipo di “ordine di beccata” della società in generale. “Da Ringling, gli artisti pensano di essere troppo superiori per parlare ai lavoratori. Tutti hanno un lavoro preciso da fare; e dopo lo spettacolo, tutti tornano al mondo privato della loro roulotte. Qui, siamo una famiglia. Lavoriamo tutti insieme, ci esibiamo insieme, mangiamo insieme e, sì, litighiamo e ci urliamo l'un l'altro. Non siamo abbastanza per giocare a capi e indiani. Dev'essere una democrazia.” Ma non sono solo gli spettacoli più piccoli che sperimentano la democrazia tribale. Nel 1992, David LeBlanc, capotendone (e più tardi
  • 41. manager operativo) del Big Apple Circus, disse: “Qui hai una comunità completa. Sono cresciuto in periferia, e non avrei saputo dire i nomi delle persone che vivevano accanto ai miei genitori, e ci ho vissuto per quindici anni. Qui non solo vivi nel quartiere, ma lavori anche insieme a tutti gli altri per uno scopo comune. Sei parte di qualcosa.” Dopo aver aiutato una donna dello staff a sradicare un paletto del tendone particolarmente testardo, LeBlanc disse: “Questa è la mentalità del circo. Lei ha la mentalità giusta. E sa una cosa? Quello non aveva niente a che vedere col suo lavoro. Stava solo dando una mano. La gente qui è disposta a fare qualunque cosa. Nel mondo reale, la gente esige una pausa di dieci minuti dopo aver lavorato tre ore, ma qui la gente è semplicemente devota a ciò che fa.” L'abbandono del tribalismo. La gente non pianta campi per lavorare di meno. Pianta campi perché vogliono stabilirsi e vivere in un luogo. Un'area usata solo per la raccolta non contiene abbastanza cibo per sostentare un insediamento permanente. Per costruire un villaggio, devi piantare alcuni campi – e questo è ciò che la maggior parte degli aborigeni stanziali fa: pianta alcuni campi. Non producono tutto il loro cibo. Non ne hanno bisogno. Una volta che cominci a convertire tutta la terra circostante in campi coltivati, cominci a generare enormi eccedenze di cibo, che devono essere protette dagli elementi e da altre creature – incluse altre persone. Alla fine, devono venire messi sotto chiave. Nonostante in quel momento questo fatto non venga riconosciuto, chiudere sotto chiave il cibo segna la fine del tribalismo e l'inizio di quella vita gerarchica che chiamiamo “civiltà”. Appena compaiono i magazzini, qualcuno deve farsi avanti per far loro la guardia, e questo custode ha bisogno di assistenti, che dipendono interamente da lui, dato che non si guadagnano più da vivere come agricoltori. Improvvisamente, compare sulla scena una figura di potere con il compito di controllare la ricchezza della comunità, circondata da una corte di vassalli fedeli, pronti a diventare una classe governante di reali e nobili. Questo non avviene tra agricoltori a tempo parziale o tra cacciatori-rac- coglitori (che non hanno eccedenze di cibo da chiudere sotto chiave). Avviene solo tra gente che dipende dall'agricoltura per tutto il proprio sostentamento – gente come i Maya, gli Olmechi, gli Hohokam, e così via.
  • 42. Dal tribalismo al gerarchismo. Ogni civiltà che compare nella storia dal niente (ossia che non emerge da altre civiltà precedenti) compare con la stessa organizzazione gerarchica di base, che appaia in Mesopotamia, in Egitto, in India, in Cina o nel Nuovo Mondo. Come siano arrivate a questo notevole risultato (senza dubbio tramite qualche procedimento di selezione naturale) sarebbe argomento di uno studio interessante – ma non il mio. Perché è avvenuto lo lascio ad altri. Che sia avvenuto è indiscutibile. Lo schema generale di questa organizzazione sociale è familiare a tutti grazie al modello egiziano. Si ha un'organizzazione statale estremamente centralizzata che concentra in sé tutto il potere economico, militare, politico e religioso. La casta sovrana, guidata da una divinità vivente sotto forma di un faraone, di un Inca o di altri monarchi divini, è supportata da una burocrazia sacerdotale che regola e supervisiona le forze lavoratrici impiegate (tra le varie cose) per la costruzione di palazzi, complessi cerimoniali, templi e piramidi. La tribù è naturalmente scomparsa da tempo – a questo punto non esiste più da secoli, se non da millenni. Ciò che la gente non gradisce delle gerarchie. Per essere giusti, immagino che potrei dividere questo paragrafo in due sezioni: “Ciò che ai governanti piace delle società gerarchiche” e “Ciò che chiunque altro non gradisce di esse”. Ma dubito che qualcuno abbia bisogno di aiuto per capire la prima di queste cose. Ciò che la gente (governanti esclusi) non gradisce riguardo le società gerarchiche, è che non esistono ugualmente per tutti i loro membri. Forniscono una vita di lusso e piacevolezza incredibile per i governanti e una vita di povertà e fatica per tutti gli altri. Il modo in cui i governanti beneficiano del successo della società è enormemente diverso dal modo in cui ne beneficiano le masse, e piramidi e templi testimoniano l'importanza dei governanti, non delle masse che li hanno costruiti. E in una società gerarchica funziona così in ogni ambito. La differenza tra il circo e Disney World è che il circo è una tribù e Disney World è una gerarchia. Disney World ha impiegati, non membri. Non fornisce di che vivere a questi impiegati, si limita a pagar loro degli stipendi. Gli impiegati stanno lavorando per se stessi, e se Disney World non potesse più pagarli, lo abbandonerebbero immediatamente. I proprieta-
  • 43. ri hanno investito nel suo successo e ne beneficiano. Gli impiegati sono solo impiegati. Ragazzi di tutte le età scappano di casa per unirsi al circo. Nessuno scappa di casa per unirsi a Disney World. Ma le tribù in realtà non sono gerarchiche? Questa è una domanda fatta da coloro che odiano l'idea che la vita tribale funzioni davvero per le persone. La risposta è no, non è questo che si osserva. Le tribù hanno capi, questo è certo, e a volte capi molto forti, ma essere il capo non comporta quasi nessun beneficio speciale che sia negato agli altri membri della tribù. È mai esistita una tribù che è diventata gerarchica, in cui il capo si è trasformato in un despota? Sono assoluta- mente sicuro che sia avvenuto, forse migliaia di volte. Ciò che è importan- te notare è che nessuna tribù del genere è sopravvissuta. La ragione non è difficile da individuare: alla gente non piace vivere sotto un despota. Di nuovo, questa è la selezione naturale al lavoro: le tribù governate da un despota non riescono a tenersi stretti i propri membri e finiscono per estinguersi. Nel circo, tutti vogliono che ci sia un capo che si prenda cura degli affari, che si assicuri che il circo rimanga sano, che prenda decisioni difficili su chi deve essere assunto e chi licenziato, che risolva i conflitti, che stenda i contratti e che abbia a che fare con le autorità locali. Senza un capo, il circo scomparirebbe molto rapidamente, ma il capo è solo un altro individuo con un lavoro da fare – e il suo lavoro è fare il capo. Il capo non è invidiato e nemmeno particolarmente ammirato. Le stelle dello spettaco- lo ottengono la gloria (e i salari più alti e i vestiti più appariscenti), ma non sono nulla di remotamente simile a una classe governante. Liberarsi della gerarchia sognando. Le masse della nostra cultura non sono state meno miserabili delle masse dei Maya, degli Olmechi e degli altri popoli che hanno abbandonato la civiltà che abbiamo esaminato. La differenza tra noi e loro è che noi possediamo (o siamo posseduti da) un complesso di meme che finora ci hanno totalmente impedito di abbandonare il nostro modo di vivere. Siamo assolutamente convinti che la civiltà non possa venir superata in nessun modo e che quindi debba continuare anche a costo di estinguerci. Impossibilitati ad andarcene, abbiamo usato tre razionalizzazioni molto
  • 44. diverse tra loro per rendere sensato il nostro non agire. La prima razionalizzazione: giustificarlo. Un motivo per cui tendiamo a pensare all'Oriente e all'Occidente come culturalmente distinti è che gli orientali hanno un diverso modo di raziona- lizzare la gerarchia sotto cui vivono; per come la vedono, questa gerarchia deriva dal modo fondamentale di operare dell'universo, che assicura la realizzazione del karma attraverso la reincarnazione. Per la teoria del karma, i peccati e le virtù di ognuno vengono puniti o ricompensati in questa e nelle vite successive. Quindi se sei nato intoccabile a Bhaktapur, in India, e non hai speranza di ottenere un lavoro migliore della pulizia delle latrine, non hai nessuno da incolpare se non te stesso. Non hai motivo di invidiare od odiare i Bramini che ti evitano e ti disprezzano; la loro vita di felicità e lussi è solo ciò che meritano, così come la tua vita di povertà e miseria è solo ciò che ti meriti tu. In questo modo, la divisione delle persone in classi alte, medie e basse viene considerata solo giustizia resa manifesta in un universo ordinato divinamente. Se io sono ricco e ben nutrito e tu sei povero e affamato, è solo perché le cose devono stare così. Il Buddismo sembra offrire sollievo da questa rigida postura di rasse- gnazione al proprio destino. La seconda razionalizzazione: trascenderlo. Sia Budda che Gesù assicurarono ai loro ascoltatori che i poveri e gli oppressi si trovano (o si troveranno) in una situazione migliore dei ricchi e dei potenti, che troveranno quasi impossibile ottenere la salvazione. I poveri possono vivere più felicemente, ha detto Budda, senza possedere nulla e vivendo solo di gioia, come gli dei raggianti. I miti (ossia quelli che finiscono sempre per costruire le piramidi) erediteranno la Terra, ha detto Gesù, e il regno di Dio ribalterà sottosopra la gerarchia; il regno di Dio apparterrà ai poveri, non ai ricchi, e governanti e governati si scambieran- no di posto, i primi diverranno gli ultimi e gli ultimi saranno i primi. Gesù e Budda concordano che, contrariamente alle apparenze, la ricchezza non rende felici le persone. Invece, dice Budda, la ricchezza le rende solo avide. E i poveri non dovrebbero invidiare i ricchi per i loro tesori, che sono sempre vulnerabili ai ladri e possono venir mangiati da tarme e ruggine; invece, dice Gesù, dovrebbero accumulare tesori incorruttibili in