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ERGONOMIA
L’Ergonomia è la scienza che si occupa delle relazioni tra l’uomo e l’ambiente di lavoro con il
fine di pervenire, attraverso la valutazione delle potenzialità e dei limiti delle prestazioni umane,
alla progettazione ed alla realizzazione di sistemi lavorativi, intesi come ambiente fisico
strumentazioni organizzazione e cicli lavorativi, congrui rispetto all’esigenza della tutela della
salute dei lavoratori, fisica e mentale.
La nascita ufficiale dell’Ergonomia risale alla fine degli anni quaranta del XX secolo, periodo
nel quale essa, definendo margini d’intervento più ampi e multidisciplinari della sola Psicologia del
Lavoro, si afferma come Scienza autonoma, che congloba esperienze e conoscenze professionali di
Medicina, dall’Anatomo-fisiologia all’Antropometria ed alla Medicina del Lavoro, di Scienze
tecnico-progettuali, Architettura e Ingegneria, di Scienze umane, Psicologia Antropologia e
Sociologia. K.F.H. Murrel, uno psicologo inglese che è considerato il capostipite della moderna
disciplina ergonomica, nel 1949 introdusse la denominazione d’Ergonomia, derivando il vocabolo
dal greco “Ergon” (lavoro) e “Nomos” (legge), come alternativa a “Human Factor Engineering”.
L’alto valore semantico del vocabolo scelto e il suo “internazionalismo”, che ne rese possibile
l’utilizzazione in tutte le lingue indoeuropee, contribuirono anche dal punto di vista formale alla
diffusione ed allo sviluppo dell’Ergonomia. Già nel 1961, ad appena 12 anni di distanza dalla
fondazione della Società inglese d’Ergonomia, sorsero l’Associazione Internazionale d’Ergonomia
(I.E.A. - International Ergonomics Association) e la Società Italiana d’Ergonomia o S.I.E.
L’evoluzione dell’Ergonomia negli anni è ben evidente nelle variazioni delle definizioni
concettuali ad essa conferite.
Nel primo periodo fu essenziale superare le teorie meccaniciste del Taylorismo, secondo le quali,
nel rapporto lavorativo, la duttilità competeva solo all’uomo, nel senso che questi doveva adattarsi
ai sistemi macchinizzati. Invertendo totalmente i termini del binomio taylorista, si pervenne ad
affermare una maggiore centralità dell’uomo e a definire l’Ergonomia come “la scienza che si
propone di adattare il lavoro all’uomo”. In questa fase, che va dagli inizi sino agli anni sessanta,
l’interesse dell’Ergonomia rimase pressoché confinato nell’ambito del rapporto uomo-macchina.
L’adattamento del lavoro all’uomo fu inteso, soprattutto, come necessità di progettare e costruire
macchine adatte alle caratteristiche del lavoratore, fisico- antropometriche e psicologiche. Negli
anni settanta, per effetto dei cambiamenti socio-politici avvenuti nelle società occidentali e
dell’introduzione di nuove tecnologie, l’Ergonomia superò ogni residua tentazione di riconoscere
nel lavoratore un elemento debole, che andava in ogni modo protetto, per conferire a lui una nuova
e finalmente ampia centralità. L’equità o congruità del lavoro non fu più intesa come adattabilità del
sistema lavorativo alle risorse umane, ma come scambio interattivo tra uomo e lavoro, processo nel
quale proprio le risorse umane diventavano essenziali al funzionamento ed alla resa del sistema..
Accanto all’Ergonomia cognitiva, il cui scopo precipuo era di comprendere la fenomenologia
individuale, nei termini dei processi mentali e delle risposte mentali e motorie agli stimoli
provenienti dal sistema lavorativo, ed a quella fisico-progettuale, esplicitamente diretta alla misura
delle situazioni antiergonomiche (i rischi) ed alla ristrutturazione del lavoro a misura d’uomo,
nasceva l’Ergonomia della comunicazione, con il fine di comprendere i termini dell’interazione tra
uomo e lavoro e di migliorare la comunicazione tra i termini del binomio. La sintesi di questo
processo evolutivo è ben espressa nella definizione della Scienza ergonomica, elaborata dalla I.E.A.
nel 1982: “L’Ergonomia è la disciplina scientifica interessata alla comprensione dell’interazione
tra gli elementi di un sistema (umani e di altro tipo) e la funzione per la quale esso è progettato
(nonché la teoria, i principi, i dati e i metodi che sono applicati nella progettazione). Ciò allo
scopo di ottimizzare la soddisfazione dell’utente e l’insieme delle prestazioni di un sistema”
IL METODO ERGONOMICO
Il raggiungimento del fine di progettare e realizzare ambienti e situazioni di lavoro che,
riconoscendo i limiti dell’uomo, siano in grado di rispettare essi, di modo che non si manifestino
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danni e, parimenti, sia possibile esaltare le potenzialità operative umane, richiede un approccio
metodologico complesso, nel quale si integrano i concetti d’adattamento del lavoro all’uomo,
d’interdisciplinarità, di globalità e di partecipazione dei lavoratori.
Per quanto riguarda l’adattamento del lavoro all’uomo, è necessario che esso sia preliminare e
non cronologicamente differito. In altro modo, il raggiungimento del fine richiede che, già nella
fase progettuale, si organizzi un sistema lavorativo adatto alle esigenze psico-fisiche dei lavoratori,
nel quale siano ragionevolmente non presenti i fattori efficienti a rendere insicuro il lavoro. Senza
escludere l’utilità degli interventi “a posteriori”, in altro modo dei correttivi messi in atto nei
sistemi già organizzati, propri della cosiddetta Ergonomia correttiva, il più naturale e valido
contenuto tecnico-scientifico dell’Ergonomia è, pertanto, di tipo progettuale.
L’interdisciplinarità è uno strumento essenziale al metodo ergonomico, necessario sia alle fasi di
studio, sia a quelle di progettazione. La complementarità tra scienze mediche tecniche ed umane
consente non solo di prevedere l’occorrenza di fenomeni disadattativi o francamente patologici, ma
anche di definirne e delimitarne le cause ed i modi di realizzazione. Parimenti, da questa
complementarità deriva la possibilità di realizzare sistemi di lavoro, strutturali tecnologici ed
organizzativi, efficienti a rispettare le esigenze dei lavoratori.
Strettamente connesso a questo aspetto, è quello relativo alla globalità. Obiettivo fondamentale
dell’Ergonomia è di considerare il lavoratore come uomo globale, in altro modo come sistema
complesso di corpo mente e relazioni sociali, e il sistema lavorativo come interazione uomo-uomo,
uomo-macchine e uomo-ambiente.
La partecipazione dei lavoratori rappresenta un’ulteriore integrazione al concetto
d’interdisciplinarità, giacché essa allarga l’orizzonte concettuale delle discipline scientifiche,
aprendolo alla dimensione oggettiva dell’esperienza sul campo. La partecipazione dei lavoratori alla
progettazione ergonomica non deve essere intesa nell’accezione di fenomeno socio-politico,
analoga alla concertazione di tipo economico-contrattuale. Essa è, invece, diretta a meglio
comprendere le esigenze di coloro che lavorano, a convogliare l’esperienza verso l’identificazione
di soluzioni possibili, a coinvolgere loro nel processo di gestione in sicurezza di quanto elaborato e
realizzato.
LE INTERAZIONI LAVORATIVE: UOMO-AMBIENTE
Nella relazione tra l’uomo ed il proprio ambiente di lavoro, bisogna distinguere tra l’aspetto
fisico, che corrisponde alla situazione ambientale vera e propria ed al carico fisico, e quello
organizzativo, che corrisponde al modo con il quale è organizzato il sistema produttivo e sono
regolati i rapporti interni ad esso. L’organizzazione tecnica del ciclo lavorativo e la dinamica dei
rapporti sono definite, con terminologia specialistica, “Sistema socio-tecnico”.
Nella situazione ambientale, si tratta di considerare l’ambiente nella sua dimensione spaziale,
nelle sue caratteristiche costitutive e nei differenti parametri che lo caratterizzano.
La dimensione spaziale corrisponde alla fruibilità di spazio, sia come valore assoluto (spazio
dell’intero insediamento lavorativo), sia come valore relativo (spazio a disposizione d’ogni singolo
lavoratore). La congruità della dimensione spaziale è essenziale:
 a garantire la sicurezza antinfortunistica (gli incidenti sono maggiormente presenti in
ambienti sovraffollati);
 a contenere l’entità dell’inquinamento chimico-fisico (ad esempio, il raggiungimento di alte
concentrazioni di agenti chimici nell’aria o la sommazione del rumore sono eventi
inversamente proporzionali alla dimensione degli ambienti);
 a contenere il rischio da posture non congrue e movimenti obbligati;
 ad evitare la sensazione soggettiva di costrizione.
Le caratteristiche costitutive degli ambienti di lavoro sono connesse con la somiglianza o
dissomiglianza dell’ambiente fisico di lavoro rispetto alle situazioni naturali. Nella progettazione
ergonomica, e nella valutazione del grado di congruità ergonomica di situazioni già esistenti,
devono essere considerate:
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 le caratteristiche di sviluppo spaziale (strutture a sviluppo verticale o orizzontale, strutture
a livello o interrate);
 la presenza ed il grado di confinamento rispetto all’esterno (strutture aperte, semiaperte,
confinate, sigillate);
 la dimensione ed i tipi di rapporto con l’esterno (finestrature, lucernai, coibentazioni e
isolamenti);
 la “chiarezza e distinzione” dei percorsi d’accesso, d’uscita e di fuga;
 la disposizione di macchinari, arredi tecnici e arredi civili;
 la fruibilità di spazi di ristoro e di spazi a “dimensione naturale” (per esempio, una zona
tenuta a giardino negli insediamenti industriali).
I parametri caratterizzanti sono costituiti dalle condizioni igienico-ambientali di base, in
altro modo tipiche della struttura ambientale e non dipendenti dall’attività produttiva, la cui
congruità è essenziale al raggiungimento del fine del benessere dei lavoratori. Sono ascrivibili a
questa categoria:
 le condizioni microclimatiche
 la presenza e l’entità dei ricambi d’aria
 l’illuminazione, come variabile quantitativa (intensità luminosa) e qualitativa (tipo
d’illuminazione)
 la sonorità, come rumore di fondo e capacità di trasformazione del suono per fenomeni
di risonanza, riverbero o distorsione.
E’ evidente che, nella progettazione ergonomica, è necessario prevedere che tutte queste
condizioni siano non solo congrue, ma anche adeguate a reggere l’impatto delle trasformazioni
determinate dal tipo di attività.
Il carico fisico corrisponde all’energia impiegata dall’uomo per svolgere il proprio compito
lavorativo. Questa è costituita dall’energia meccanica direttamente impegnata, in altro modo di
quella necessaria allo svolgimento delle azioni, e di altre energie di trasformazione (energia termica
dispersa o prodotta per l’adattamento all’ambiente). Il carico fisico è direttamente dipendente dal
tipo di attività espletata (ad esempio, è maggiore nel caso del sollevamento-spostamento di gravi e
nei lavori con sforzi contro resistenze), dal numero e dall’escursione dei movimenti richiesti, dal
consumo energetico per il mantenimento di posizioni statiche (ad esempio, è alto nel caso di
posture non supportate). Anche le condizioni “igieniche” dell’ambiente influenzano il carico fisico,
incrementando o modificando il consumo energetico. Basti citare gli esempi delle attività svolte in
ambienti freddi, che aumentano la produzione e, quindi, il consumo d’energia, e di quelle in
ambienti caldi, nella quali aumenta la dispersione energetica.. Nell’ambito di un’ampia variabilità
del carico fisico nelle diverse attività, dalla quale deriva la necessità di una precisa stima in ciascuna
attività, nel suo proprio ambiente e nella sua specifica organizzazione, si può adottare un criterio di
classificazione, binario e molto generale, che congloba il dato organizzativo (tempi e modi) con il
compito (manualità). Secondo questo criterio, il carico fisico è distinguibile in:
 Eccessivo  l’attività fisica è totalmente dipendente dai modi di produzione e
dall’organizzazione, il lavoro è totalmente manuale, non sono previste pause e l’attività
s’espande per l’intero turno di lavoro, sono presenti picchi di lavoro molto intenso durante
un turno
 Medio  l’attività fisica è parzialmente dipendente dai modi di produzione,
l’organizzazione è in parte modificabile, non sono frequenti picchi di lavoro molto intenso
durante un turno
 Moderato  l’attività fisica è regolata dal lavoratore, l’organizzazione è duttile e adattabile
ad esigenze variabili del lavoratore (tempi e modi), non sono presenti picchi di lavoro molto
intenso durante un turno
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Il sistema socio-tecnico è un modo di considerare l’organizzazione lavorativa come risultante
dell’interazione tra esigenze e dettami tecnologici e vincoli di natura sociale e psicologica.
“Variabili tecnologiche e variabili sociologiche convergono nell’impresa da due universi distinti ed
autonomi, ed il principale problema che si pone è quello di renderli compatibili, senza giungere al
sistematico sacrificio o alla subordinazione dell’uno a vantaggio dell’altro” (Pernigotti, 1976).
Gli elementi dell’organizzazione, essenziali alla valutazione ed alla progettazione ergonomica,
sono:
 l’analisi delle mansioni
 la progettazione dei compiti
 i gruppi di lavoro (meccanismi di selezione, assemblaggio, governo)
 la dinamica delle comunicazioni
 la direzione, il management e l’organizzazione gerarchica
 la programmazione dei tempi e dei ritmi di lavoro
 i progetti di gestione delle risorse umane
 i progetti ed i metodi d’incentivazione, gratificazione, progressione in carriera
LE INTERAZIONI LAVORATIVE: UOMO-MACCHINE
Nell’ambito lavorativo, l’interazione tra uomo e macchine è un processo d’utilità, che ha il fine
di pervenire alla trasformazione di un input in output. Grazie a quest’interazione, da una materia
bruta e indefinita si perviene ad un prodotto con definizioni merceologiche e di destinazione
(un’automobile, in fondo, è l’estrema trasformazione dei metalli presenti nei minerali!), o si
trasformano e s’incanalano le energie per ottenere prestazioni e servizi (dall’estrazione del petrolio
all’accensione della lampadina!).
Oltre alle materie prime, nel processo interattivo uomo-macchina sono implicati tre fattori: gli
strumenti (le macchine), l’energia motrice per azionare esse e l’informazione su come azionarle.
E’ evidente che nei lavori non meccanizzati, i momenti energetici e quelli informativi sono
forniti dall’uomo, mentre nei sistemi macchinizzati non automatici all’uomo compete
l’azionamento e la guida delle macchine, che sono deputate a fornire il solo momento energetico
(ad esempio, una pressa fornisce energia meccanica) o a velocizzare le azioni umane (ad esempio,
una fresa automatica esegue l’asportazione del sovrabbondante più rapidamente di un utensile
manuale). Al più, i sistemi macchinizzati possono ridurre l’entità dell’intervento umano, senza
peraltro modificarne il tipo, in rapporto con la potenzialità di eseguire azioni ripetitive per effetto di
dispositivi meccanici, azionati da differenti energie.
Nell’interazione uomo-macchina, gli elementi costitutivi della congruità ergonomica sono
conessi con:
 la maneggevolezza e la semplicità d’uso
 la chiarezza e l’accessibilità dei comandi
 la sicurezza antinfortunistica
 la disponibilità e l’intelligibilità dei dispositivi d’allarme
 la non determinazione o il contenimento dei rischi accessori (ad esempio, le vibrazioni
meccaniche)
 il contenimento dei rischi collaterali (ad esempio, la termoproduzione o la liberazione di
reflui)
 il contenimento dello sforzo fisico
 il rispetto della congruità posturale e l’evitamento di movimenti coatti o ripetitivi
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Un notevole cambiamento nella ripartizione dei fattori tra uomo e macchina è stato determinato
dall’introduzione dei sistemi informatici. L’abbinamento del calcolatore alla macchina, che ha
trasformato l’automazione elettromeccanica in elettronica, ha introdotto una diversa flessibilità,
nella quale la macchina stessa, grazie ai software, è in grado di esercitare un’autoregolazione delle
proprie funzioni. Nei sistemi elettronici, il ruolo umano tende a collocarsi all’inizio della fase
lavorativa (progettazione e realizzazione del software), sebbene sia molto forte l’esigenza del
controllo, per molti aspetti più complesso che nelle attività elettromeccaniche. Giacché sostituti
dell’intervento diretto dell’uomo sulla macchina, i software non possono che scaturire da attente
analisi dei modi di operare di un lavoratore umano e delle strategie messe in atto per contenere le
variabili di disturbo, dall’organizzazione delle osservazioni e dalla creazione di un programma
consequenziale e quanto osservato. Contrariamente all’interpretazione da senso comune, i sistemi
informatici non escludono l’intervento umano, piuttosto modificano la natura ed i termini di esso.
La rigidità logica dei calcolatori, infatti, non consente di seguire tutte le variazioni, che si possono
determinare in un sistema lavorativo, e di adattarsi ad esse in maniera rapida ed adeguata. Da questo
deriva che il massimo della resa dei sistemi elettronici deriva dalla possibilità di interfacciarsi
costantemente con l’uomo, in altro modo di ricevere dall’uomo le informazioni necessarie ad
adattarsi ai cambiamenti. Nel sistema elettronico è, pertanto, necessario che l’interfaccia tra uomo e
la macchina sia chiara e gestibile, in altro modo che siano facilmente intelligibili i segnali che
provengono dalla macchina e altrettanto facilmente trasmissibili ad essa “gli ordini”.
ANALISI E PROGETTAZIONE ERGONOMICA
Le metodologie del processo di valutazione ergonomica variano secondo che si tratti di
analizzare un sistema lavorativo già in funzione, per valutarne la congruità ed individuare i termini
della ristrutturazione, o di progettare ex-novo un processo produttivo.
Nella conduzione delle analisi ergonomiche, si riconoscono criteri generali e metodologie
specifiche per situazioni particolari. Il presupposto essenziale ad ogni valutazione di congruità
ergonomica è che ciascuna postazione o situazione lavorativa non può essere considerata avulsa
dalla complessità del sistema, cui essa appartiene. Contemporaneamente, non è possibile trasferire
ad una postazione o situazione definita la dimensione ergonomica dell’interezza del sistema
lavorativo.
Utilizziamo un esempio per rendere più chiaro quanto appena espresso.
Esaminiamo il caso di un reparto di un’industria automobilistica, per esempio quella della
pressatura delle scocche. E’ evidente che la congruità ergonomica del reparto è, innanzi tutto,
connessa con le caratteristiche delle macchine (le presse), con il grado d’operatività che esse
richiedono, con la sicurezza oggettiva, che è funzione della presenza di dispositivi d’arresto
automatico e di protezione, con la sicurezza soggettiva, che è funzione della fruibilità e della
percepibilità delle segnalazioni d’allarme. Egualmente influenti sulla congruità sono la situazione
ambientale (ubicazione e struttura del reparto), il grado d’inquinamento chimico-fisico, le
condizioni climatiche, gli obblighi posturali, i movimenti. In rapporto con la specificità delle
lavorazioni e delle apparecchiature utilizzate, queste variabili possono essere peculiari o, in ogni
modo, poco simili a quelle di altre postazioni lavorative, interne alla stessa industria. La
valutazione della rispondenza di essi a criteri ergonomici è essenziale a definire uno stato di
congruità, senza essere, tuttavia, sufficiente. I fattori socio-tecnici, che agiscono sulla congruità
ergonomica generale (tempi di lavoro, modi dell’organizzazione e clima organizzativo,
comunicazioni e management) competono all’intera azienda, anche se possono acquisire valenze
differenti proprio in rapporto con la specificità del reparto. L’analisi della congruità ergonomica
non può prescindere dal considerare essi come parametro assoluto e come condizione relativizzata.
Si comprende, pertanto, che il procedimento analitico è complesso, giacché deve considerare
interazioni, interferenze e reciprocità.
Pur nella variabilità delle situazioni, possono essere considerati metodi generali della valutazione
ergonomica:
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 raccolta dei dati sugli elementi avvertiti come positivi e negativi dai lavoratori impegnati
nelle postazioni o situazioni in esame (interviste guidate, questionari)
 gruppi d’approfondimento (focus-group) con elementi rappresentativi dei lavoratori per
analizzare le emergenze dalla raccolta dati e prospettare soluzioni possibili
 selezione degli elementi salienti
 osservazione diretta delle postazioni, meglio se di tipo partecipato
 analisi di situazioni particolari e ponderabili (per esempio, situazioni posturali, sforzi contro
resistenze, movimenti ripetitivi, inquinamento chimico-fisico)
 rilevazioni antropometriche e sanitarie sui lavoratori operanti nelle aree selezionate
 individuazione dei parametri ergonomici adatti alla situazione in esame
 identificazione delle soluzioni percorribili, normativamente corrette, accessibili sul mercato,
compatibili con le programmazioni economiche
 formazione degli addetti sui corretti modi d’uso della postazione e dei dispositivi di
protezione ed ergonomia.
La progettazione ergonomica si avvale di metodi sperimentali, esclusivamente condotti
sull’uomo.
Gli aspetti essenziali alla progettazione ergonomica, che sono studiati su campioni umani, sono
connessi con la variabilità antropometrica e con gli effetti sul comportamento dell’organizzazione
lavorativa e della tecnologia.
La considerazione delle variabili antropometriche consente di progettare spazi e arredi, macchine
e dispositivi di sicurezza, a misura d’uomo, nel senso della buona adattabilità alla dimensione fisica,
sia nel senso metrico vero e proprio (altezza media, abito costituzionale, escursione dei movimenti),
sia in quello dell’armonizzazione con le strutture esterne, dell’ottimizzazione del consumo
energetico, del contenimento di eventi turbativi.
L’analisi degli effetti sul comportamento delle variabili socio-lavorative scaturisce dall’ipotesi,
avanzata negli anni settanta da molti ricercatori, che la produttività è maggiormente influenzata dal
miglioramento del clima motivazionale che non dall’incremento della tecnologia. Su questa ipotesi
si fonda il “job design”, che può essere sintetizzato bene nel pensiero di Davis come: “la
specificazione di contenuti, di metodi e di relazioni connesse con il compito, che soddisfino
contemporaneamente sia le esigenze organizzative e tecnologiche, sia quelle sociali e personali del
titolare del compito”.
METODOLOGIE DI ANALISI ERGONOMICA
Tra le differenti metodologie analitiche della congruità ergonomica, vanno citati, per
l’affidabilità dei risultati (efficienza ed efficacia del metodo):
1. il metodo A.E.T
2. il metodo O.C.
Il metodo AET – Arbeitswissenschaftliche Erhebeungsverfharen zur Tatigkeitsanaluse (in
italiano, Analisi ergonomica delle attività lavorative) conduce l’analisi del lavoro in sezioni
distinte, complementari e non separabili, costituite da:
analisi del lavoro nei termini del prodotto o servizio, dell’ambiente fisico in cui esso si svolge,
degli strumenti adoperati e del sistema organizzativo
analisi dei compiti e delle relazioni interpersonali intra aziendali
analisi dell’impegno mentale e relazionale (input e output).
La raccolta dei dati è affidata a questionari, ad interviste selettive ed ad osservazioni dirette.
L’elaborazione dei dati è oggi affidata a sistemi informatici (data-base e programmi statistici).
Il metodo O.C. o delle Congruenze organizzative, elaborato da Maggi negli anni ottanta, tende a
misurare la dimensione degli spazi individuali, in altro modo l’azione costrittiva su essi esercitata
dall’organizzazione del lavoro (dimensione psicologico-sociale) e le condizioni efficienti alla
determinazione di danni fisici e mentali (dimensione biomedica). I cardini del processo analitico
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sono i compiti lavorativi, i tempi i modi e i luoghi delle attività, i rischi per la salute connessi, le
informazioni ricevute e le conoscenze possedute sull’oggetto del lavoro e sulla tecnologia.
Il metodo O.C. consente di individuare la sussistenza della costrizione organizzativa, di
misurarne l’entità e di valutare gli effetti sulla salute. Nel metodo, grande rilevanza al fine
dell’ottenimento dei risultati compete alla parte biomedica di valutazione del rischio e di
sorveglianza della salute.
ERGONOMIA E LEGISLAZIONE
Prima del Decreto legislativo 626/94, nella legislazione italiana in tema di protezione della salute
negli ambienti di lavoro erano fatti riferimenti generici alla necessità di non causare danni alla
salute dei Lavoratori (dalla Costituzione della Repubblica, al Codice di Procedura Civile, al DPR
303/1956). Solo con il Decreto 626, l’Ergonomia trova uno spazio legislativo ben definito e, per
molti aspetti, vincolante.
Nell’articolo 3, comma 1, lettera f, il decreto introduce l’obbligo del “rispetto dei principi
ergonomici nella concezione dei posti di lavoro, nella scelta delle attrezzature e nella definizione
dei metodi di lavoro e produzione, anche per attenuare il lavoro monotono e quello ripetitivo”.
Sempre nello stesso Decreto, l’articolo 42, nei commi 1 e 2, obbliga alla conformità ad esigenze
ergonomiche dei dispositivi di protezione individuale, mentre gli articoli 47, al comma 2, e 52, ai
commi 1 e 2, obbligano a considerare le condizioni ergonomiche in attività speciali, rispettivamente
la movimentazione manuale dei carichi e il lavoro al videoterminale.
Nel merito del regime d’obbligatorietà imposto dal Decreto 626, bisogna ricordare che per le
inadempienze e le inosservanze rispetto all’articolo 3 non sono previste sanzioni immediate. Ferma
restante la necessità che il Datore di lavoro provvede a garantire il rispetto dei principi ergonomici,
è lasciato un margine di libertà nella scelta delle misure più idonee, atte a ridurre il rischio da
situazione non ergonomicamente corretta. Ai Servizi di Prevenzione e Protezione ed agli Organi di
Vigilanza è affidato il compito di valutare le scelte e le azioni messe in campo dai Datori di lavoro
per ottemperare al rispetto dei principi di congruità ergonomica.
Il Decreto legislativo 626 rappresenta un notevole avanzamento culturale e socio-politico, nel
momento in cui è esplicitamente riconosciuta la potenzialità patogena di situazioni non
ergonomicamente congrue, dalla quale scaturisce la necessità del rispetto di criteri
ergonomicamente corretti nella progettazione e concezione dei posti di lavoro, nella scelta delle
attrezzature, nella definizione dei metodi di lavoro e di produzione. Nella pratica, tuttavia, le sole
indicazioni del Decreto non sono sufficienti ad un approccio semplice al problema ergonomico.
L’obbligo del rispetto di principi ergonomici nella “concezione dei posti di lavoro” e nella
“definizione dei metodi di lavoro e produzione” è presente nella forma d’enunciazione, alla quale,
nei termini applicativi, fanno certamente difetto la mancanza di indicazioni metodologiche e di
standard di qualità, cui fare riferimento. La conseguenza più immediata è rappresentata dalle
difficoltà che le diverse figure responsabili della congruità ergonomica incontrano nel definire
proprio gli standard di qualità, dal Progettista dei sistemi di lavoro e delle macchine, al Datore di
lavoro, all’Organo di Vigilanza.
Al superamento delle difficoltà applicative si perviene facendo riferimento alle Norme
internazionali ISO e UNI ENV. Da queste si ricavano sia indicazioni circa gli elementi da
considerare per ottemperare al Decreto, sia le linee guida necessarie ad indirizzare i procedimenti
lavorativi e le fasi progettuali.
Le Norme ISO 6385 del 1981 e UNI ENV 26 385, essenziali per definire e delimitare gli ambiti
d’applicazione del Decreto 626, propongono le seguenti definizioni:
 Sistema di lavoro  assieme di persone e attrezzature, che interagiscono nel processo
lavorativo, nello spazio lavorativo e nelle condizioni imposte dal lavoro
 Compito lavorativo  prodotto del sistema lavorativo
 Attrezzature di lavoro attrezzi, macchinari, veicoli, dispositivi e arredi utilizzati nel
sistema lavorativo
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 Processo lavorativo  sequenza spazio-temporale nell’interazione tra persone, attrezzature,
materiali, energie e informazioni
 Spazio di lavoro  spazio tridimensionale (volume) attribuito ad un singolo lavoratore o a
un gruppo per l’espletamento del compito lavorativo
 Ambiente di lavoro  assieme dei fattori e delle condizioni fisiche, chimiche, biologiche,
sociali e relazionali che sono proprie di uno spazio di lavoro.
Le linee guida riguardano la progettazione e la realizzazione di spazi e attrezzature, ambienti di
lavoro e processi.
Il D.P.R. N° 459, del 24 luglio 1996, “Direttive macchine”, individua i requisiti essenziali di
sicurezza e salute nella progettazione e costruzione di macchine. Nell’allegato uno al Decreto, in
diversi punti, sono presenti gli specifici riferimenti e richiami all’Ergonomia.
Ai punti 1e 2, è indicata la necessità del rispetto della congruità ergonomica nell’uso delle
macchine: “Nelle condizioni d’uso previste devono essere ridotti al minimo possibile il disagio, la
fatica e le tensioni psichiche (stress) dell’operatore, tenuto conto dei principi dell’Ergonomia”.
Sempre nell’allegato, sono riportati le indicazioni e gli obblighi nel merito della progettazione e
costruzione dei sistemi di comando, di segnalazione e di allarme. Al punto sette è affermata la
necessità della maneggevolezza e sicurezza d’uso di questi dispositivi: “Le informazioni necessarie
alla guida di una macchina debbono essere chiare e facilmente comprensibili. Esse non devono
essere in quantità tale da accavallarsi nella mente dell’operatore”.
Altri riferimenti a principi ed ad interventi ergonomici sono presenti nei
 Decreto legislativo 493/96: “Prescrizioni minime per la segnaletica di sicurezza e di salute
sui luoghi di lavoro”
 Decreto legislativo 494/96: “Prescrizione minime di sicurezza e di salute da attuare nei
cantieri temporanei e mobili”
 Decreto legislativo 645/96: “Sicurezza e salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere
o in allattamento”.
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  • 1. ERGONOMIA L’Ergonomia è la scienza che si occupa delle relazioni tra l’uomo e l’ambiente di lavoro con il fine di pervenire, attraverso la valutazione delle potenzialità e dei limiti delle prestazioni umane, alla progettazione ed alla realizzazione di sistemi lavorativi, intesi come ambiente fisico strumentazioni organizzazione e cicli lavorativi, congrui rispetto all’esigenza della tutela della salute dei lavoratori, fisica e mentale. La nascita ufficiale dell’Ergonomia risale alla fine degli anni quaranta del XX secolo, periodo nel quale essa, definendo margini d’intervento più ampi e multidisciplinari della sola Psicologia del Lavoro, si afferma come Scienza autonoma, che congloba esperienze e conoscenze professionali di Medicina, dall’Anatomo-fisiologia all’Antropometria ed alla Medicina del Lavoro, di Scienze tecnico-progettuali, Architettura e Ingegneria, di Scienze umane, Psicologia Antropologia e Sociologia. K.F.H. Murrel, uno psicologo inglese che è considerato il capostipite della moderna disciplina ergonomica, nel 1949 introdusse la denominazione d’Ergonomia, derivando il vocabolo dal greco “Ergon” (lavoro) e “Nomos” (legge), come alternativa a “Human Factor Engineering”. L’alto valore semantico del vocabolo scelto e il suo “internazionalismo”, che ne rese possibile l’utilizzazione in tutte le lingue indoeuropee, contribuirono anche dal punto di vista formale alla diffusione ed allo sviluppo dell’Ergonomia. Già nel 1961, ad appena 12 anni di distanza dalla fondazione della Società inglese d’Ergonomia, sorsero l’Associazione Internazionale d’Ergonomia (I.E.A. - International Ergonomics Association) e la Società Italiana d’Ergonomia o S.I.E. L’evoluzione dell’Ergonomia negli anni è ben evidente nelle variazioni delle definizioni concettuali ad essa conferite. Nel primo periodo fu essenziale superare le teorie meccaniciste del Taylorismo, secondo le quali, nel rapporto lavorativo, la duttilità competeva solo all’uomo, nel senso che questi doveva adattarsi ai sistemi macchinizzati. Invertendo totalmente i termini del binomio taylorista, si pervenne ad affermare una maggiore centralità dell’uomo e a definire l’Ergonomia come “la scienza che si propone di adattare il lavoro all’uomo”. In questa fase, che va dagli inizi sino agli anni sessanta, l’interesse dell’Ergonomia rimase pressoché confinato nell’ambito del rapporto uomo-macchina. L’adattamento del lavoro all’uomo fu inteso, soprattutto, come necessità di progettare e costruire macchine adatte alle caratteristiche del lavoratore, fisico- antropometriche e psicologiche. Negli anni settanta, per effetto dei cambiamenti socio-politici avvenuti nelle società occidentali e dell’introduzione di nuove tecnologie, l’Ergonomia superò ogni residua tentazione di riconoscere nel lavoratore un elemento debole, che andava in ogni modo protetto, per conferire a lui una nuova e finalmente ampia centralità. L’equità o congruità del lavoro non fu più intesa come adattabilità del sistema lavorativo alle risorse umane, ma come scambio interattivo tra uomo e lavoro, processo nel quale proprio le risorse umane diventavano essenziali al funzionamento ed alla resa del sistema.. Accanto all’Ergonomia cognitiva, il cui scopo precipuo era di comprendere la fenomenologia individuale, nei termini dei processi mentali e delle risposte mentali e motorie agli stimoli provenienti dal sistema lavorativo, ed a quella fisico-progettuale, esplicitamente diretta alla misura delle situazioni antiergonomiche (i rischi) ed alla ristrutturazione del lavoro a misura d’uomo, nasceva l’Ergonomia della comunicazione, con il fine di comprendere i termini dell’interazione tra uomo e lavoro e di migliorare la comunicazione tra i termini del binomio. La sintesi di questo processo evolutivo è ben espressa nella definizione della Scienza ergonomica, elaborata dalla I.E.A. nel 1982: “L’Ergonomia è la disciplina scientifica interessata alla comprensione dell’interazione tra gli elementi di un sistema (umani e di altro tipo) e la funzione per la quale esso è progettato (nonché la teoria, i principi, i dati e i metodi che sono applicati nella progettazione). Ciò allo scopo di ottimizzare la soddisfazione dell’utente e l’insieme delle prestazioni di un sistema” IL METODO ERGONOMICO Il raggiungimento del fine di progettare e realizzare ambienti e situazioni di lavoro che, riconoscendo i limiti dell’uomo, siano in grado di rispettare essi, di modo che non si manifestino 1
  • 2. danni e, parimenti, sia possibile esaltare le potenzialità operative umane, richiede un approccio metodologico complesso, nel quale si integrano i concetti d’adattamento del lavoro all’uomo, d’interdisciplinarità, di globalità e di partecipazione dei lavoratori. Per quanto riguarda l’adattamento del lavoro all’uomo, è necessario che esso sia preliminare e non cronologicamente differito. In altro modo, il raggiungimento del fine richiede che, già nella fase progettuale, si organizzi un sistema lavorativo adatto alle esigenze psico-fisiche dei lavoratori, nel quale siano ragionevolmente non presenti i fattori efficienti a rendere insicuro il lavoro. Senza escludere l’utilità degli interventi “a posteriori”, in altro modo dei correttivi messi in atto nei sistemi già organizzati, propri della cosiddetta Ergonomia correttiva, il più naturale e valido contenuto tecnico-scientifico dell’Ergonomia è, pertanto, di tipo progettuale. L’interdisciplinarità è uno strumento essenziale al metodo ergonomico, necessario sia alle fasi di studio, sia a quelle di progettazione. La complementarità tra scienze mediche tecniche ed umane consente non solo di prevedere l’occorrenza di fenomeni disadattativi o francamente patologici, ma anche di definirne e delimitarne le cause ed i modi di realizzazione. Parimenti, da questa complementarità deriva la possibilità di realizzare sistemi di lavoro, strutturali tecnologici ed organizzativi, efficienti a rispettare le esigenze dei lavoratori. Strettamente connesso a questo aspetto, è quello relativo alla globalità. Obiettivo fondamentale dell’Ergonomia è di considerare il lavoratore come uomo globale, in altro modo come sistema complesso di corpo mente e relazioni sociali, e il sistema lavorativo come interazione uomo-uomo, uomo-macchine e uomo-ambiente. La partecipazione dei lavoratori rappresenta un’ulteriore integrazione al concetto d’interdisciplinarità, giacché essa allarga l’orizzonte concettuale delle discipline scientifiche, aprendolo alla dimensione oggettiva dell’esperienza sul campo. La partecipazione dei lavoratori alla progettazione ergonomica non deve essere intesa nell’accezione di fenomeno socio-politico, analoga alla concertazione di tipo economico-contrattuale. Essa è, invece, diretta a meglio comprendere le esigenze di coloro che lavorano, a convogliare l’esperienza verso l’identificazione di soluzioni possibili, a coinvolgere loro nel processo di gestione in sicurezza di quanto elaborato e realizzato. LE INTERAZIONI LAVORATIVE: UOMO-AMBIENTE Nella relazione tra l’uomo ed il proprio ambiente di lavoro, bisogna distinguere tra l’aspetto fisico, che corrisponde alla situazione ambientale vera e propria ed al carico fisico, e quello organizzativo, che corrisponde al modo con il quale è organizzato il sistema produttivo e sono regolati i rapporti interni ad esso. L’organizzazione tecnica del ciclo lavorativo e la dinamica dei rapporti sono definite, con terminologia specialistica, “Sistema socio-tecnico”. Nella situazione ambientale, si tratta di considerare l’ambiente nella sua dimensione spaziale, nelle sue caratteristiche costitutive e nei differenti parametri che lo caratterizzano. La dimensione spaziale corrisponde alla fruibilità di spazio, sia come valore assoluto (spazio dell’intero insediamento lavorativo), sia come valore relativo (spazio a disposizione d’ogni singolo lavoratore). La congruità della dimensione spaziale è essenziale:  a garantire la sicurezza antinfortunistica (gli incidenti sono maggiormente presenti in ambienti sovraffollati);  a contenere l’entità dell’inquinamento chimico-fisico (ad esempio, il raggiungimento di alte concentrazioni di agenti chimici nell’aria o la sommazione del rumore sono eventi inversamente proporzionali alla dimensione degli ambienti);  a contenere il rischio da posture non congrue e movimenti obbligati;  ad evitare la sensazione soggettiva di costrizione. Le caratteristiche costitutive degli ambienti di lavoro sono connesse con la somiglianza o dissomiglianza dell’ambiente fisico di lavoro rispetto alle situazioni naturali. Nella progettazione ergonomica, e nella valutazione del grado di congruità ergonomica di situazioni già esistenti, devono essere considerate: 2
  • 3.  le caratteristiche di sviluppo spaziale (strutture a sviluppo verticale o orizzontale, strutture a livello o interrate);  la presenza ed il grado di confinamento rispetto all’esterno (strutture aperte, semiaperte, confinate, sigillate);  la dimensione ed i tipi di rapporto con l’esterno (finestrature, lucernai, coibentazioni e isolamenti);  la “chiarezza e distinzione” dei percorsi d’accesso, d’uscita e di fuga;  la disposizione di macchinari, arredi tecnici e arredi civili;  la fruibilità di spazi di ristoro e di spazi a “dimensione naturale” (per esempio, una zona tenuta a giardino negli insediamenti industriali). I parametri caratterizzanti sono costituiti dalle condizioni igienico-ambientali di base, in altro modo tipiche della struttura ambientale e non dipendenti dall’attività produttiva, la cui congruità è essenziale al raggiungimento del fine del benessere dei lavoratori. Sono ascrivibili a questa categoria:  le condizioni microclimatiche  la presenza e l’entità dei ricambi d’aria  l’illuminazione, come variabile quantitativa (intensità luminosa) e qualitativa (tipo d’illuminazione)  la sonorità, come rumore di fondo e capacità di trasformazione del suono per fenomeni di risonanza, riverbero o distorsione. E’ evidente che, nella progettazione ergonomica, è necessario prevedere che tutte queste condizioni siano non solo congrue, ma anche adeguate a reggere l’impatto delle trasformazioni determinate dal tipo di attività. Il carico fisico corrisponde all’energia impiegata dall’uomo per svolgere il proprio compito lavorativo. Questa è costituita dall’energia meccanica direttamente impegnata, in altro modo di quella necessaria allo svolgimento delle azioni, e di altre energie di trasformazione (energia termica dispersa o prodotta per l’adattamento all’ambiente). Il carico fisico è direttamente dipendente dal tipo di attività espletata (ad esempio, è maggiore nel caso del sollevamento-spostamento di gravi e nei lavori con sforzi contro resistenze), dal numero e dall’escursione dei movimenti richiesti, dal consumo energetico per il mantenimento di posizioni statiche (ad esempio, è alto nel caso di posture non supportate). Anche le condizioni “igieniche” dell’ambiente influenzano il carico fisico, incrementando o modificando il consumo energetico. Basti citare gli esempi delle attività svolte in ambienti freddi, che aumentano la produzione e, quindi, il consumo d’energia, e di quelle in ambienti caldi, nella quali aumenta la dispersione energetica.. Nell’ambito di un’ampia variabilità del carico fisico nelle diverse attività, dalla quale deriva la necessità di una precisa stima in ciascuna attività, nel suo proprio ambiente e nella sua specifica organizzazione, si può adottare un criterio di classificazione, binario e molto generale, che congloba il dato organizzativo (tempi e modi) con il compito (manualità). Secondo questo criterio, il carico fisico è distinguibile in:  Eccessivo  l’attività fisica è totalmente dipendente dai modi di produzione e dall’organizzazione, il lavoro è totalmente manuale, non sono previste pause e l’attività s’espande per l’intero turno di lavoro, sono presenti picchi di lavoro molto intenso durante un turno  Medio  l’attività fisica è parzialmente dipendente dai modi di produzione, l’organizzazione è in parte modificabile, non sono frequenti picchi di lavoro molto intenso durante un turno  Moderato  l’attività fisica è regolata dal lavoratore, l’organizzazione è duttile e adattabile ad esigenze variabili del lavoratore (tempi e modi), non sono presenti picchi di lavoro molto intenso durante un turno 3
  • 4. Il sistema socio-tecnico è un modo di considerare l’organizzazione lavorativa come risultante dell’interazione tra esigenze e dettami tecnologici e vincoli di natura sociale e psicologica. “Variabili tecnologiche e variabili sociologiche convergono nell’impresa da due universi distinti ed autonomi, ed il principale problema che si pone è quello di renderli compatibili, senza giungere al sistematico sacrificio o alla subordinazione dell’uno a vantaggio dell’altro” (Pernigotti, 1976). Gli elementi dell’organizzazione, essenziali alla valutazione ed alla progettazione ergonomica, sono:  l’analisi delle mansioni  la progettazione dei compiti  i gruppi di lavoro (meccanismi di selezione, assemblaggio, governo)  la dinamica delle comunicazioni  la direzione, il management e l’organizzazione gerarchica  la programmazione dei tempi e dei ritmi di lavoro  i progetti di gestione delle risorse umane  i progetti ed i metodi d’incentivazione, gratificazione, progressione in carriera LE INTERAZIONI LAVORATIVE: UOMO-MACCHINE Nell’ambito lavorativo, l’interazione tra uomo e macchine è un processo d’utilità, che ha il fine di pervenire alla trasformazione di un input in output. Grazie a quest’interazione, da una materia bruta e indefinita si perviene ad un prodotto con definizioni merceologiche e di destinazione (un’automobile, in fondo, è l’estrema trasformazione dei metalli presenti nei minerali!), o si trasformano e s’incanalano le energie per ottenere prestazioni e servizi (dall’estrazione del petrolio all’accensione della lampadina!). Oltre alle materie prime, nel processo interattivo uomo-macchina sono implicati tre fattori: gli strumenti (le macchine), l’energia motrice per azionare esse e l’informazione su come azionarle. E’ evidente che nei lavori non meccanizzati, i momenti energetici e quelli informativi sono forniti dall’uomo, mentre nei sistemi macchinizzati non automatici all’uomo compete l’azionamento e la guida delle macchine, che sono deputate a fornire il solo momento energetico (ad esempio, una pressa fornisce energia meccanica) o a velocizzare le azioni umane (ad esempio, una fresa automatica esegue l’asportazione del sovrabbondante più rapidamente di un utensile manuale). Al più, i sistemi macchinizzati possono ridurre l’entità dell’intervento umano, senza peraltro modificarne il tipo, in rapporto con la potenzialità di eseguire azioni ripetitive per effetto di dispositivi meccanici, azionati da differenti energie. Nell’interazione uomo-macchina, gli elementi costitutivi della congruità ergonomica sono conessi con:  la maneggevolezza e la semplicità d’uso  la chiarezza e l’accessibilità dei comandi  la sicurezza antinfortunistica  la disponibilità e l’intelligibilità dei dispositivi d’allarme  la non determinazione o il contenimento dei rischi accessori (ad esempio, le vibrazioni meccaniche)  il contenimento dei rischi collaterali (ad esempio, la termoproduzione o la liberazione di reflui)  il contenimento dello sforzo fisico  il rispetto della congruità posturale e l’evitamento di movimenti coatti o ripetitivi 4
  • 5. Un notevole cambiamento nella ripartizione dei fattori tra uomo e macchina è stato determinato dall’introduzione dei sistemi informatici. L’abbinamento del calcolatore alla macchina, che ha trasformato l’automazione elettromeccanica in elettronica, ha introdotto una diversa flessibilità, nella quale la macchina stessa, grazie ai software, è in grado di esercitare un’autoregolazione delle proprie funzioni. Nei sistemi elettronici, il ruolo umano tende a collocarsi all’inizio della fase lavorativa (progettazione e realizzazione del software), sebbene sia molto forte l’esigenza del controllo, per molti aspetti più complesso che nelle attività elettromeccaniche. Giacché sostituti dell’intervento diretto dell’uomo sulla macchina, i software non possono che scaturire da attente analisi dei modi di operare di un lavoratore umano e delle strategie messe in atto per contenere le variabili di disturbo, dall’organizzazione delle osservazioni e dalla creazione di un programma consequenziale e quanto osservato. Contrariamente all’interpretazione da senso comune, i sistemi informatici non escludono l’intervento umano, piuttosto modificano la natura ed i termini di esso. La rigidità logica dei calcolatori, infatti, non consente di seguire tutte le variazioni, che si possono determinare in un sistema lavorativo, e di adattarsi ad esse in maniera rapida ed adeguata. Da questo deriva che il massimo della resa dei sistemi elettronici deriva dalla possibilità di interfacciarsi costantemente con l’uomo, in altro modo di ricevere dall’uomo le informazioni necessarie ad adattarsi ai cambiamenti. Nel sistema elettronico è, pertanto, necessario che l’interfaccia tra uomo e la macchina sia chiara e gestibile, in altro modo che siano facilmente intelligibili i segnali che provengono dalla macchina e altrettanto facilmente trasmissibili ad essa “gli ordini”. ANALISI E PROGETTAZIONE ERGONOMICA Le metodologie del processo di valutazione ergonomica variano secondo che si tratti di analizzare un sistema lavorativo già in funzione, per valutarne la congruità ed individuare i termini della ristrutturazione, o di progettare ex-novo un processo produttivo. Nella conduzione delle analisi ergonomiche, si riconoscono criteri generali e metodologie specifiche per situazioni particolari. Il presupposto essenziale ad ogni valutazione di congruità ergonomica è che ciascuna postazione o situazione lavorativa non può essere considerata avulsa dalla complessità del sistema, cui essa appartiene. Contemporaneamente, non è possibile trasferire ad una postazione o situazione definita la dimensione ergonomica dell’interezza del sistema lavorativo. Utilizziamo un esempio per rendere più chiaro quanto appena espresso. Esaminiamo il caso di un reparto di un’industria automobilistica, per esempio quella della pressatura delle scocche. E’ evidente che la congruità ergonomica del reparto è, innanzi tutto, connessa con le caratteristiche delle macchine (le presse), con il grado d’operatività che esse richiedono, con la sicurezza oggettiva, che è funzione della presenza di dispositivi d’arresto automatico e di protezione, con la sicurezza soggettiva, che è funzione della fruibilità e della percepibilità delle segnalazioni d’allarme. Egualmente influenti sulla congruità sono la situazione ambientale (ubicazione e struttura del reparto), il grado d’inquinamento chimico-fisico, le condizioni climatiche, gli obblighi posturali, i movimenti. In rapporto con la specificità delle lavorazioni e delle apparecchiature utilizzate, queste variabili possono essere peculiari o, in ogni modo, poco simili a quelle di altre postazioni lavorative, interne alla stessa industria. La valutazione della rispondenza di essi a criteri ergonomici è essenziale a definire uno stato di congruità, senza essere, tuttavia, sufficiente. I fattori socio-tecnici, che agiscono sulla congruità ergonomica generale (tempi di lavoro, modi dell’organizzazione e clima organizzativo, comunicazioni e management) competono all’intera azienda, anche se possono acquisire valenze differenti proprio in rapporto con la specificità del reparto. L’analisi della congruità ergonomica non può prescindere dal considerare essi come parametro assoluto e come condizione relativizzata. Si comprende, pertanto, che il procedimento analitico è complesso, giacché deve considerare interazioni, interferenze e reciprocità. Pur nella variabilità delle situazioni, possono essere considerati metodi generali della valutazione ergonomica: 5
  • 6.  raccolta dei dati sugli elementi avvertiti come positivi e negativi dai lavoratori impegnati nelle postazioni o situazioni in esame (interviste guidate, questionari)  gruppi d’approfondimento (focus-group) con elementi rappresentativi dei lavoratori per analizzare le emergenze dalla raccolta dati e prospettare soluzioni possibili  selezione degli elementi salienti  osservazione diretta delle postazioni, meglio se di tipo partecipato  analisi di situazioni particolari e ponderabili (per esempio, situazioni posturali, sforzi contro resistenze, movimenti ripetitivi, inquinamento chimico-fisico)  rilevazioni antropometriche e sanitarie sui lavoratori operanti nelle aree selezionate  individuazione dei parametri ergonomici adatti alla situazione in esame  identificazione delle soluzioni percorribili, normativamente corrette, accessibili sul mercato, compatibili con le programmazioni economiche  formazione degli addetti sui corretti modi d’uso della postazione e dei dispositivi di protezione ed ergonomia. La progettazione ergonomica si avvale di metodi sperimentali, esclusivamente condotti sull’uomo. Gli aspetti essenziali alla progettazione ergonomica, che sono studiati su campioni umani, sono connessi con la variabilità antropometrica e con gli effetti sul comportamento dell’organizzazione lavorativa e della tecnologia. La considerazione delle variabili antropometriche consente di progettare spazi e arredi, macchine e dispositivi di sicurezza, a misura d’uomo, nel senso della buona adattabilità alla dimensione fisica, sia nel senso metrico vero e proprio (altezza media, abito costituzionale, escursione dei movimenti), sia in quello dell’armonizzazione con le strutture esterne, dell’ottimizzazione del consumo energetico, del contenimento di eventi turbativi. L’analisi degli effetti sul comportamento delle variabili socio-lavorative scaturisce dall’ipotesi, avanzata negli anni settanta da molti ricercatori, che la produttività è maggiormente influenzata dal miglioramento del clima motivazionale che non dall’incremento della tecnologia. Su questa ipotesi si fonda il “job design”, che può essere sintetizzato bene nel pensiero di Davis come: “la specificazione di contenuti, di metodi e di relazioni connesse con il compito, che soddisfino contemporaneamente sia le esigenze organizzative e tecnologiche, sia quelle sociali e personali del titolare del compito”. METODOLOGIE DI ANALISI ERGONOMICA Tra le differenti metodologie analitiche della congruità ergonomica, vanno citati, per l’affidabilità dei risultati (efficienza ed efficacia del metodo): 1. il metodo A.E.T 2. il metodo O.C. Il metodo AET – Arbeitswissenschaftliche Erhebeungsverfharen zur Tatigkeitsanaluse (in italiano, Analisi ergonomica delle attività lavorative) conduce l’analisi del lavoro in sezioni distinte, complementari e non separabili, costituite da: analisi del lavoro nei termini del prodotto o servizio, dell’ambiente fisico in cui esso si svolge, degli strumenti adoperati e del sistema organizzativo analisi dei compiti e delle relazioni interpersonali intra aziendali analisi dell’impegno mentale e relazionale (input e output). La raccolta dei dati è affidata a questionari, ad interviste selettive ed ad osservazioni dirette. L’elaborazione dei dati è oggi affidata a sistemi informatici (data-base e programmi statistici). Il metodo O.C. o delle Congruenze organizzative, elaborato da Maggi negli anni ottanta, tende a misurare la dimensione degli spazi individuali, in altro modo l’azione costrittiva su essi esercitata dall’organizzazione del lavoro (dimensione psicologico-sociale) e le condizioni efficienti alla determinazione di danni fisici e mentali (dimensione biomedica). I cardini del processo analitico 6
  • 7. sono i compiti lavorativi, i tempi i modi e i luoghi delle attività, i rischi per la salute connessi, le informazioni ricevute e le conoscenze possedute sull’oggetto del lavoro e sulla tecnologia. Il metodo O.C. consente di individuare la sussistenza della costrizione organizzativa, di misurarne l’entità e di valutare gli effetti sulla salute. Nel metodo, grande rilevanza al fine dell’ottenimento dei risultati compete alla parte biomedica di valutazione del rischio e di sorveglianza della salute. ERGONOMIA E LEGISLAZIONE Prima del Decreto legislativo 626/94, nella legislazione italiana in tema di protezione della salute negli ambienti di lavoro erano fatti riferimenti generici alla necessità di non causare danni alla salute dei Lavoratori (dalla Costituzione della Repubblica, al Codice di Procedura Civile, al DPR 303/1956). Solo con il Decreto 626, l’Ergonomia trova uno spazio legislativo ben definito e, per molti aspetti, vincolante. Nell’articolo 3, comma 1, lettera f, il decreto introduce l’obbligo del “rispetto dei principi ergonomici nella concezione dei posti di lavoro, nella scelta delle attrezzature e nella definizione dei metodi di lavoro e produzione, anche per attenuare il lavoro monotono e quello ripetitivo”. Sempre nello stesso Decreto, l’articolo 42, nei commi 1 e 2, obbliga alla conformità ad esigenze ergonomiche dei dispositivi di protezione individuale, mentre gli articoli 47, al comma 2, e 52, ai commi 1 e 2, obbligano a considerare le condizioni ergonomiche in attività speciali, rispettivamente la movimentazione manuale dei carichi e il lavoro al videoterminale. Nel merito del regime d’obbligatorietà imposto dal Decreto 626, bisogna ricordare che per le inadempienze e le inosservanze rispetto all’articolo 3 non sono previste sanzioni immediate. Ferma restante la necessità che il Datore di lavoro provvede a garantire il rispetto dei principi ergonomici, è lasciato un margine di libertà nella scelta delle misure più idonee, atte a ridurre il rischio da situazione non ergonomicamente corretta. Ai Servizi di Prevenzione e Protezione ed agli Organi di Vigilanza è affidato il compito di valutare le scelte e le azioni messe in campo dai Datori di lavoro per ottemperare al rispetto dei principi di congruità ergonomica. Il Decreto legislativo 626 rappresenta un notevole avanzamento culturale e socio-politico, nel momento in cui è esplicitamente riconosciuta la potenzialità patogena di situazioni non ergonomicamente congrue, dalla quale scaturisce la necessità del rispetto di criteri ergonomicamente corretti nella progettazione e concezione dei posti di lavoro, nella scelta delle attrezzature, nella definizione dei metodi di lavoro e di produzione. Nella pratica, tuttavia, le sole indicazioni del Decreto non sono sufficienti ad un approccio semplice al problema ergonomico. L’obbligo del rispetto di principi ergonomici nella “concezione dei posti di lavoro” e nella “definizione dei metodi di lavoro e produzione” è presente nella forma d’enunciazione, alla quale, nei termini applicativi, fanno certamente difetto la mancanza di indicazioni metodologiche e di standard di qualità, cui fare riferimento. La conseguenza più immediata è rappresentata dalle difficoltà che le diverse figure responsabili della congruità ergonomica incontrano nel definire proprio gli standard di qualità, dal Progettista dei sistemi di lavoro e delle macchine, al Datore di lavoro, all’Organo di Vigilanza. Al superamento delle difficoltà applicative si perviene facendo riferimento alle Norme internazionali ISO e UNI ENV. Da queste si ricavano sia indicazioni circa gli elementi da considerare per ottemperare al Decreto, sia le linee guida necessarie ad indirizzare i procedimenti lavorativi e le fasi progettuali. Le Norme ISO 6385 del 1981 e UNI ENV 26 385, essenziali per definire e delimitare gli ambiti d’applicazione del Decreto 626, propongono le seguenti definizioni:  Sistema di lavoro  assieme di persone e attrezzature, che interagiscono nel processo lavorativo, nello spazio lavorativo e nelle condizioni imposte dal lavoro  Compito lavorativo  prodotto del sistema lavorativo  Attrezzature di lavoro attrezzi, macchinari, veicoli, dispositivi e arredi utilizzati nel sistema lavorativo 7
  • 8.  Processo lavorativo  sequenza spazio-temporale nell’interazione tra persone, attrezzature, materiali, energie e informazioni  Spazio di lavoro  spazio tridimensionale (volume) attribuito ad un singolo lavoratore o a un gruppo per l’espletamento del compito lavorativo  Ambiente di lavoro  assieme dei fattori e delle condizioni fisiche, chimiche, biologiche, sociali e relazionali che sono proprie di uno spazio di lavoro. Le linee guida riguardano la progettazione e la realizzazione di spazi e attrezzature, ambienti di lavoro e processi. Il D.P.R. N° 459, del 24 luglio 1996, “Direttive macchine”, individua i requisiti essenziali di sicurezza e salute nella progettazione e costruzione di macchine. Nell’allegato uno al Decreto, in diversi punti, sono presenti gli specifici riferimenti e richiami all’Ergonomia. Ai punti 1e 2, è indicata la necessità del rispetto della congruità ergonomica nell’uso delle macchine: “Nelle condizioni d’uso previste devono essere ridotti al minimo possibile il disagio, la fatica e le tensioni psichiche (stress) dell’operatore, tenuto conto dei principi dell’Ergonomia”. Sempre nell’allegato, sono riportati le indicazioni e gli obblighi nel merito della progettazione e costruzione dei sistemi di comando, di segnalazione e di allarme. Al punto sette è affermata la necessità della maneggevolezza e sicurezza d’uso di questi dispositivi: “Le informazioni necessarie alla guida di una macchina debbono essere chiare e facilmente comprensibili. Esse non devono essere in quantità tale da accavallarsi nella mente dell’operatore”. Altri riferimenti a principi ed ad interventi ergonomici sono presenti nei  Decreto legislativo 493/96: “Prescrizioni minime per la segnaletica di sicurezza e di salute sui luoghi di lavoro”  Decreto legislativo 494/96: “Prescrizione minime di sicurezza e di salute da attuare nei cantieri temporanei e mobili”  Decreto legislativo 645/96: “Sicurezza e salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in allattamento”. BIBLIOGRAFIA 1. Bagnara S.: “L’ergonomia copme usabilità del software”, in Ivaldi I. “Ergonomia e lavoro”, Liguori Editore, Napoli, 1999 2. Beevis D.: “Ergonomics costs and benefits revisited”, Appl. Ergon, 2003; 34 (5): 491-496 3. Botha W.E., Bridger R.S.: “Anthropometric variability, equipment usability and muscoloskeletal pain in a group of nurses in the Western Cape”, Appl. Ergon., 1998; 29 (6): 481-490 4. Cail F., Aptel M.: « Biomechanical stresses in computer-aided design an in data entry », Int. J. Occup. Saf. Ergon., 2003; 9 (3): 235-255 5. Canavese G.: “Rassega di trasformazioni nell’organizzazione del lavoro esecutivo”, Servizio Ricerche Sociologiche Olivetti, Ivrea, 1972 6. Chiaromonte F.: “Nuove forme di organizzazione del lavoro”, Edizioni Franco Angeli, Milano, 1985 7. Curwick CC., Reeb-Whitaker CK., Connon CL.: “Reaching managers at an industry association conference: evaluation of ergonomics training”, AAOHN J., 2003; 51 (11): 464- 469 8. Cutilli P.: “Progettare per l’uomo”, in Ivaldi I. “Ergonomia e lavoro”, Liguori Editore, Napoli, 1999 9. Davis L.E.: “The design of jobs”, Industrial Relation, 1966; VI: 25- 74 10. Ebben J.M.: “Improved ergonomisc for standing work”, Occup. Health Saf., 2003; 72 (4): 72-76 11. Feltrin G. : “Analisi del lavoro: criteri e metodi”, in Ambrosi L e Foà V.: “Trattato di Medicina del Lavoro”, UTET, Torino, 1996 8
  • 9. 12. Grandjean E.: “Il lavoro a misura d’uomo”, Edizioni di Comunità, Milano, 1986 13. Grieco A., Azzaroli G., Chiechi L. e al.: “Metdo per l’analisi ergonomica dei posti di lavoro (AET)” , Edizioni Franco Angeli, Milano, 1987 14. Grieco A.: “Ergonomia: esperienze in Italia”, Edizioni Franco Angeli, Milano, 1980 15. Jeong B.Y., Park K.S.: “Sex differences in anthropometry for school furniture design”, Ergonomics, 1990; 33 (12): 1511-1521 16. Karl qvist LK., Harenstam A., Leijon O., Scheele P.: „Excessive phisical demands in modern worklife and characteristics of work and living conditions of persons at risks”, Scand. J. Work Environ. Health, 2003; 29 (5): 363-377 17. Keyserling W.M., Ulin S.S., Lincoln A.E., Bajer S.: “Using multiple information sources to identify opportinities for ergonomic interventions in automotive parts distribution: a case study”, AIHA J., 2003; 64 (5): 690-698 18. Maggi B., Grieco A.: “Il metodo delle congruenze organizzative per lo studio del rapporto tra lavoro organizzato e salute”. Atti del Convegno Nazionale “Aspetti emergenti dei rischi e delle patologie nel settore della metalmeccanica leggera e delle fonderie di seconda fusione”, Poggibinsi, 1986 19. Milanese S., Grimmer K.: “Scool furniture and the user population: an anthropometric perspective”, Ergonomisc, 2004: 47 (4): 416-426 20. Moller T., Mathiassen SE, Franzon H., Kihlberg S.: „Job enlargment and mechanical exposure variability in cyclic assembly work“, Ergonomics, 2004; 47 (1): 19-40 21. Murrel K.F.H.: “Ergonomics: Man in his workin environment”, Chapman & Hall, London, 1965 22. Novaga M.: “Motivazione e ristrutturazione organizzativa del lavoro”, Boll. Psicologia UFF, 1976; LII (58): 133-145 23. Novaga M: “I sistemi sociotecnici”, Edizioni Patron, Bologna, 1978 24. Odescalchi C.P.: “Ergonomia”, Etas Kompass, Milano, 1972 25. Odescalchi C.P.: “L’Ergonomie ou l’adapation du travail a l’homme”, Rev. Synd. Suisee, Bern, 1969 26. Pentikis J., Lopez MS., Thomas RE.: “Ergonomics evaluation of a government office building”, Work, 2002; 18 (2): 123-131 27. Pernigotti P: “Il dibattito internazionale”, in “Nuove vie dell’organizzazione del lavoro”, ISEDI, Milano, 1976 28. Rice A.K.: “Productivity and socia organizzation”, Tavistock, London, 1958 29. Rohmert W., Landau K.: „Das Arbeitswissenschaftliche Erhbeungsverfahren zur Tatigkeitsanalyse (AET)“; H. Huber, Bern-Stuttgart,Wien, 1979 30. Rulli G., Cristofolini A., Bianco R., e al.: “Organizational analysis of hospital work: identification of constraint elements”, Med. Lav., 1995; 86 (1): 3-15 31. Salerno S., Tartaglia R., Grazi S. e al.: “Application of the method of Organizational Congriuencies in substitutin organic solvents with vegetable agents for cleaning of an offeset printing machine”, Int. J. Occup. Saf. Ergon, 1998; 4 (1): 97-106 32. Straker L., Burgess-Limerick R., Pollock C. e al.: “A randomised and control trial of a participative ergonomic intervention to reduce injiuries associated with manual tasks: physical risk and legislative compliance”; Ergonomics, 2004; 47 (2): 166-188 33. Wilkens P.M.: “Preventing work-related misculoskeletal disorders in VTD users: a comprhensive health promotion program”, Work, 2003; 20 (3): 171-178 34. Wiss B.: “Hewlett-Packard cuts ergonomics risks“, Occup. Health Saf, 2003; 72 (9): 199- 200 35. Woonard J: “Industrial organization”, Oxford Univerity, Oxford, 1965 9
  • 10. 10