1. REPENTÌNA o arrepentìna è un canto amebeo, quindi improvvisato, avente specifiche forme metriche che lo rendono autonomo
rispetto alla tradizione de su mutettu campidanésu (vediEnciclopedia della Musica Sarda XIV, 152-163, 174-177). La sua tradizione è
racchiusa in Trexenta-Marmilla ed aree limitrofe, oltreché nel Guspinese, e l’accompagnamento attuale avviene con la fisarmonica. Si
distingue dalle altre tradizioni poetiche per l’evidente incedere ritmico della voce che organizza i propri versi su una pulsazione ben
identificabile.
S’arrepentìna è una famiglia di forme metriche caratterizzata da gradi crescenti di difficoltà. S’articola in 4 sezioni: esórdiu (che inizia
con un mutettu di saluto e prosegue con una currentìna); su tema (in cui ogni cantore esordisce con una currentìna e dichiara il tema
che gli è stato imposto di cantare); al termine dell’ultima arrepentìna del tema, il poeta di turno invoca sas duìnas, in cui i poeti
s’alternano ogni due versi in una lunga currentìna; altermine de sas duìnas c’è su finali, in cui i poeti propongono una prima currentìna
e un certo numero di arrepentìnas. Si può notare quindi che in s’arrepentìna si usano tre forme metriche: s’arrepentìna propriamente
detta, sa currentìna e sa duìna.
Scrive Andrea Deplano: «Laddove, in molte parti dell’isola, si parli di cantu, allora sa repentìna è indicata come ‘piccola
improvvisazione’, considerata dal lat. repente ‘improvvisamente’. Sa repentina è il modo d’improvvisare cantando con
accompagnamento musicale della fisarmonica. Ciò non la rende antica ma, poiché nella Sardegna centrale esiste su cantu a sa
kitarrìna (sopravvive in Mandrolisai mentre in Barbagia è accompagnato da organetto diatonico), credo che la fisarmonica sia un
semplice adeguamento di strumento musicale.
Caratteristica formale de sa repentina è che con essa non si possano affrontare temi di impegno culturale, com’è nelle sfide in ottave
tra poeti logudoresi, o com’è nelle sfide tra cantadoris campidanesi.
Su verso ottosillabo essa ha ritmo serrato, dato dalla brevità del metro usato per canti di circa 5 minuti.
Con metro più lungo si ha un ritmo stentato ma si possono affrontare certami più lunghi. Fino alla gara tra due o tre aèdi chiamata
gara a s’arrepentìna (con protesiiniziale). Non c’è una durata prestabilita della cantàda. Un improvvisatore canta fin che crede di poter
affrontare un tema ma l’obbligo della retrogradazione ciclica dei versi improvvisati non consente uno sviluppo organico dei contenuti.
La grande attrazione della repentina risiede nella capacità dell’aèdo d’improvvisare e divertire gli astanti.»
Rende meravigliati e increduli questo nome italico-latino usato nella profonda Sardegna, certamente da antiche età, come nulla fosse.
Il lat. repente ‘all’istante’ ha la base etimologica nel lat. rapiō ‘porto via, distacco con violenza’; da cui rapax, rapidus, ecc. La produttiva
radice latina ha base etimologica nell’accadico rappum ‘hoop, clamp, gancio, morsetto’ < sum. raba ‘clamp’. E va bene.
Ma repentìna, nel senso indicato da Deplano, può invece avere base etimologica nel sum. ri ‘to cast, throw dow n, pour out’ + pendu
‘spot, macchia’. Questa ricostruzione lascerebbe intendere che ri-pendu +suff. mediterraneo -ìna un tempo ebbe, forse, il significato di
‘lancio uno spot, infango, denigro (l’avversario)’.
Però è del tutto probabile che la base etimologica debba agganciarsi tout court ad arrepentìna; col che scoveremmo la costruzione
iniziale nel sumerico arre ‘jest, scherzo, scherno’ + pendu ‘spot, punto, macchia’; questa ricostruzione (ma anche, in certo modo, la
precedente ri-pendu) lascia intendere che arre-pendu + suff. -ìna nei tempi arcaici indicasse una formula antropologica di recita
scanzonata e impetuosa, la stessa che nelLazio ebbero i Fescennìni, che furono recite amebee improvvisate da danzatori sfrenati, dal
dialogo sboccato e licenzioso, che furono opere protoletterarie d’arte drammatica. Nel Lazio i Fescennini scomparvero per intervento
del Vaticano, in Sardegna l’arcaica arrepentìna scomparve evidentemente per intervento del clero bizantino, trasformandosi lentamente
nelle forme castigatissime che oggi scopriamo nelle gare poetiche marmillesi.