1. Social media design
Quali sono le scelte necessarie a impostare
una strategia di comunicazione
sui social media
2. Chi siamo
Dino Amenduni, di Bari, classe 1984, è uno dei
quattro soci dell'agenzia di comunicazione Proforma
(www.proformaweb.it), di cui è strategic planner e
consulente politico.
Cura due laboratori universitari in comunicazione
politica presso le università di Perugia e Bologna.
Fa parte dello staff del Festival Internazionale del
Giornalismo di Perugia (www.journalismfest.com).
Collabora con Valigia Blu (www.valigiablu.it).
Tutte le presentazioni di Proforma sono
disponibili gratuitamente all’indirizzo
www.slideshare.net/proformaweb
3. Chi siamo
Michela Tota
Content strategist per professione, (aspirante)
fumettista per passione.
Da 15 anni collabora con l’Agenzia di comunicazione
Proforma gestendo i progetti dei clienti e
partecipando alla costruzione delle strategie digitali.
Esperta di comunicazione applicata al mondo del
retail, scrive per un magazine dedicato alla
Distribuzione Moderna “Professione Promoter”.
Nel tempo libero racconta le avventure dei suoi amici
a 4 zampe: Milla (la gatta) & Billa (il San Bernardo).
4. Chi siamo
Vincenzo Napolitano
Mi occupo di analisi strategica e comunicazione
istituzionale per le aziende e comunicazione politica
per parlamentari e consiglieri regionali.
5. Chi siamo
Daniele Magliocca
Media planner e responsabile social media di
Proforma, cura Viralmente, una pagina Facebook
dedicata al mondo della comunicazione non
convenzionale.
6. Premessa
Oggi la stragrande maggioranza dei mittenti professionali ha
interesse a comunicare sui social media. Una delle sfide più
complicate è rappresentata dalla ricerca e dalla
produzione di contenuti originali, inediti e spendibili. Davanti
ad una produzione giornaliera di contenuti imponenti, fra
notizie, editoriali, foto, video, approfondimenti tematici,
podcast, dirette, rubriche, è facile perdersi in un giacimento
enorme di contenuti dal potenziale altissimo.
L’azione e la reazione ai contenuti che si legano alle nostre
attività di comunicazione rappresentano il terreno su cui
coltiviamo la nostra reputazione.
7. Perché comunicare bene con i social?
Comunicare bene sui social è fondamentale per la
reputazione e la credibilità del proprio ruolo
professionale e della propria azienda. Possiamo costruire
strategie e scrivere per conto di un politico o di Ministero,
possiamo “far parlare” un’azienda, possiamo lavorare alla
diffusione dei contenuti di personalità pubbliche in vari settori.
In ogni caso dobbiamo pensare a comunicare al meglio delle
nostre possibilità. Ma cosa vuol dire “comunicare bene”?
Vuol dire elaborare un proprio tono di voce, curare la
produzione dei contenuti che pubblichiamo, selezionare le
informazioni da condividere (quelle utili per chi pensiamo
possa essere interessato a seguirci), decidere su quale social
media è meglio distribuire ogni contenuto e farlo in maniera
chiara.
8. La ricetta per comunicare bene
“Comunicare bene” vuol dire comunicare con i tempi e i
contenuti giusti, sulla piattaforma migliore, con un
linguaggio coerente con i nostri valori.
I contenuti che abbiamo a disposizione sono tantissimi, sta a
noi decidere quando e come condividerli, facendo una scelta
ponderata di cosa pubblicare, dove e come.
Dobbiamo cercare il giusto equilibrio: le risorse che
abbiamo a disposizione e i contenuti che siamo in grado di
produrre vanno messi a sistema, tenendo presente il nostro
pubblico, le opportunità di comunicazione da sfruttare e i
risultati che ci interessano.
Nelle slide che seguono capiremo quali sono gli step da
seguire per impostare una strategia di comunicazione
efficace.
9. In principio era il brief
Cosa fare prima di iniziare: brief,
analisi di scenario e definizione obiettivi.
10. In principio era il BRIEF
• Chi siamo?
• Qual è l’obiettivo che vogliamo raggiungere?
• A chi parliamo?
• Qual è il nostro tono di voce?
• Qual è la nostra unique selling proposition?
• Ci sono delle linee guida per l’utilizzo del marchio?
• Che budget abbiamo a disposizione?
Il brief è il documento necessario per la costruzione di una
strategia efficace che dovrà in ogni caso essere completata da
una approfondita analisi di scenario.
11. #ilSuggerimento
Una metodologia utile
per rappresentare la
sintesi dell’analisi fatta
e la direzione da
seguire, è la Swot
Analysis.
L’analisi di SCENARIO
Una volta raccolte le informazioni di base, proviamo a
completare il quadro rispondendo ad altre 4 domande:
● Qual è il nostro mercato di riferimento?
● Quali sono i principali attori in questo mercato?
● Qual è il nostro posizionamento rispetto ai competitor?
● Come è percepito il nostro brand?
Questa analisi ci permetterà di individuare criticità e punti di
forza, eventuali problemi reputazionali e, soprattutto, stabilire
la direzione da seguire per raggiungere gli obiettivi prefissati.
13. La costruzione del FUNNEL
Una volta definito il punto di arrivo si passa alla costruzione del
funnel, ossia quel percorso guidato che condurrà gli utenti a
compiere l’azione desiderata (like alla pagina, contatto per
richiesta informazioni, acquisto di un prodotto, etc).
La costruzione del funnel prevede il coinvolgimento di più
piattaforme social e più strumenti web, che saranno attivati in
modo integrato e armonico, a seconda della fase della
customer journey in cui si trova l’utente e delle specificità di
ciascun canale o strumento.
14. INTERESSE
NOTORIETÀ DECISIONE AZIONE
ONLINE DISPLAY
DIGITAL PR
INFLUENCER
PAID CONTENT
SEARCH
SOCIAL MEDIA
LANDING PAGE
EMAIL MKTG
PAID ADV
( REMARKETING,
COUPON)
COMPARATORI (ES.
GOOGLE SHOPPING,
TROVAPREZZI)
ONLINE STORE
MOBILE APP
La customer JOURNEY: i touch point
Nel funnel l’utente interagirà con diversi punti di contatto che, dialogando tra loro, assolveranno al bisogno di
informazione (primo approccio), di curiosità verso l’oggetto dell’attività, di valutazione e poi, finalmente di
azione. In ognuna di queste fasi l’utente può perdere interesse e abbandonare il percorso, per questo nella
strategia è prevista un’azione di recupero: il remarketing, una o più azioni di pubblicità rivolte a chi ha già
interagito con il nostro funnel.
15. Dalla digital strategy alla web strategy
L’analisi della Customer Journey dell’utente ci consentirà
di impostare una strategia che coinvolgerà sia strumenti
digital sia strumenti web. Gli strumenti digital hanno
infatti il compito di attrarre gli utenti verso i luoghi in cui
dovranno compiere un’azione: chiedere informazioni,
acquistare un prodotto, lasciare una recensione etc. Gli
strumenti web invece rappresentano il luogo in cui l’azione
stessa deve essere compiuta.
Gli strumenti web più utilizzati sono:
● landing page (in cui dovranno essere inserite delle lead
form per l’acquisizione dei contatti)
● comparatori di prezzo (trovaprezzo, google shopping)
che mettono a confronto le offerte dei vari store online
● online store e mobile app tramite i quali gli utenti
potranno scegliere e mettere nel carrello i prodotti
desiderati.
16. Fig. 3 - Utenza complessiva di social network, piattaforme digitali, servizi di messaggistica: un
confronto tra la popolazione complessiva e i giovani (val. %)
Fonte: indagine Censis, 2021
Un ecosistema, quattro strategie
Non tutti i social sono uguali e non tutti i social
assolvono alla stessa funzione. Prima di scegliere
quale social usare è necessario chiedersi a chi si
vuole parlare o qual è l’obiettivo.
Facebook = disintermediazione
Twitter = reintermediazione
TikTok e YouTube = parlare alla generazione Z
Instagram = storytelling multimediale
17. Facebook
Facebook è il luogo della disintermediazione,
è lo strumento teoricamente ideale per
comunicare ai cittadini senza la mediazione
giornalistica.
Perché la disintermediazione sia reale, è
necessario che il flusso di comunicazione sia
bidirezionale: non solo dai mittenti ai destinatari
ma anche dai destinatari ai mittenti, che
dovrebbero dunque interagire con i commenti in
entrata (e il feedback deve avere valore reale. Se
si prende un impegno su una bacheca social, ha
un valore pubblico almeno dal punto di vista
simbolico).
18. Twitter
Twitter è il luogo della reintermediazione.
Strumento amato dai grandi nodi dell’informazione
italiana, può rappresentare un’alternativa rapida ed
efficace ai comunicati stampa (e in alcuni casi
persino alle conferenze stampa).
19. TikTok
Sebbene TikTok stia facendo registrare trend di
crescita molto veloci, soprattutto sul target degli
under 30, non è ancora considerato ideale per
veicolare la comunicazione
politica/istituzionale/corporate poiché chi lo
utilizza (a meno che non lo faccia abitualmente, e
utilizzando gli stessi codici linguistici di chi
frequenta la piattaforma) potrebbe risultare ancora
un “corpo estraneo”.
In tal caso l’intento strumentale/propagandistico
dell’operazione potrebbe essere troppo esplicito e
dunque l’utilizzo di questa piattaforma potrebbe
risultare persino controproducente.
20. YouTube
Essere presenti su YouTube significa presidiare non
soltanto la piattaforma di condivisione video più
utilizzata al mondo, ma anche un vero e proprio
motore di ricerca sul quale gli utenti cercano video
attraverso l’utilizzo di parole chiave.
Oltre che una ricca fonte di intrattenimento
YouTube, è diventato un importante mezzo di
informazione.
21. Instagram
Instagram è lo strumento ideale per chi vuole
comunicare l’attività istituzionale in termini
narrativi, nel medio/lungo periodo, attraverso
contenuti di tipo visuale (foto e video).
Instagram inoltre, ha il vantaggio di avere una massa
critica mediamente più giovane rispetto a Facebook,
quindi permette anche di interagire con un
pubblico meno attento alla comunicazione
istituzionale/corporate e quindi più difficile da
intercettare attraverso le modalità più tradizionali.
22. SEARCH / ENTERTAINMENT ENGAGEMENT / NETWORK IBRIDE
YouTube - Google - Pinterest -
Spotify
Facebook - LinkedIn - Twitter Instagram - TikTok
Età: Boomers / Millennials /Gen Z Età: Boomers, millennials Età: Gen Z
Utilizzati per cercare contenuti
specifici (es. tutorial), per svago
(musica) o per trarre ispirazione (es.
immagini o video di influencer)
Utilizzati per interagire con altri utenti
o per condividere contenuti.
Interessante l’uso dei gruppi che
isolano utenti che condividono gli
stessi interessi.
Utilizzati sia per creare e
condividere contenuti, sia per
trarre ispirazione.
Consigliati per influenzare pubblici
e fare social selling.
Consigliati per fare influencer
marketing o networking.
Consigliati per social selling e per
influencer marketing.
Quale canale scegliere? E perchè?
25. Cosa si può fare con i social media?
Ogni piattaforma social mette a disposizione una vasta scelta
di strumenti e funzionalità che, a seconda degli obiettivi della
propria strategia, possono essere attivati per comunicare con il
target di riferimento e, successivamente, per monitorare
l’efficacia dei risultati raggiunti.
26. Facebook
• Facebook è il social media più utilizzato al mondo, con circa 2
miliardi e mezzo di iscritti.
• Permette agli utenti di interagire tra loro e condividere
momenti delle loro vite personali.
• Non solo, è anche un’ottima vetrina per le aziende e i brand
che vogliono comunicare con i loro clienti potenziali o che
vogliono ampliare la loro audience.
27. “A cosa stai pensando?”: creare un post Facebook
La distribuzione dei contenuti su Facebook ha caratteristiche
diverse da quelle di Twitter. Su questo social non ci sono limiti
di spazio e questo significa che possiamo
approfondire maggiormente il contenuto di un post.
Quando condividiamo una notizia su Facebook dobbiamo
essere più esaustivi rispetto a Twitter, ma bisogna in ogni
caso usare testi accattivanti ma sempre con un tono di
voce coerente con l’immagine e il ruolo del mittente.
screen di
ansa???
28. Foto e Video: nativo è meglio
Anche gli occhi vogliono la loro parte e quindi è utile curare le
immagini e i video sulla pagina Facebook. Possiamo
pubblicare foto native quando l’elemento visivo ha rilevanza
per la notizia. Pubblicare video in formato nativo è
consigliabile in tutte le circostanze in cui l’impatto diretto del
video può generare attenzione, mentre un ulteriore click per
consultare quel contenuto sul sito può disincentivare alla
fruizione.
L’incremento dei formati nativi, con una particolare
attenzione per la selezione dei contenuti, incide
positivamente sull’engagement dei lettori e massimizza
la fruizione dei contenuti multimediali.
screen di
ansa???
29. Come si caricano i video nativi
Per caricare un video
nativo su Facebook,
apriamo Creator Studio
e clicchiamo su “Carica
un video”.
30. Come si caricano i video nativi
Una volta caricato il video aggiungiamo il
titolo e la descrizione. Attenzione:
il titolo non compare sulla pagina
Facebook, quindi bisogna inserirlo
anche nella descrizione.
La descrizione è ciò che appare nel post una
volta pubblicato il video.
31. Cancellare il link nel post
dopo che è apparsa l’anteprima dell’articolo
Alcuni contenuti possono essere accompagnati
da un link che rimanda a un sito. Pensiamo per
esempio ad una comunicazione istituzionale, ad
un articolo del nostro sito, ad un’intervista ad un
nostro cliente. Ogni volta che copiamo un link,
Facebook crea un’anteprima grafica della notizia.
Dopo che l’anteprima dell’articolo è comparsa,
prima di pubblicare il post è opportuno
cancellare il link (l’anteprima rimane, così come il
click sulla notizia riporta comunque al sito
individuato).
Quando il link non viene cancellato il post può
apparire poco professionale agli occhi di chi
frequenta questo social network.
screen di
ansa???
32. Quando bisogna lasciare il link nel post
Quando pubblichiamo la notizia insieme a immagini o
video nativi e vogliamo rimandare alla notizia sul sito, il link
va inserito nella didascalia.
In questo modo c’è la possibilità di concentrare l’attenzione di
chi ci segue sui social sia sulle immagini o sul video, sia sulla
notizia che rimanda al link di un sito.
Questo meccanismo funziona alla perfezione se i contenuti
del sito servono ad approfondire la notizia, rispetto al
contenuto caricato in formato nativo.
screen di
ansa???
33. Hashtag su Facebook: meglio di no
Ma gli hashtag servono su Facebook?
No, Facebook è molto diverso da Twitter e non è
necessario inserire hashtag all’interno della
didascalia.
Anche in questo caso, un post pieno di hashtag
appare poco professionale agli occhi di chi
frequenta questo social network.
screen di
ansa???
34. I tag
Su Facebook, come su Twitter, possiamo taggare
persone o pagine di cui stiamo parlando: così
facendo la persona o la pagina che tagghiamo
riceverà una notifica. Il tag funziona anche da link
per i lettori, che saranno indirizzati verso quel profilo.
A tal proposito, è sempre fortemente consigliato un
controllo preventivo del tag rispetto alla
pubblicazione.
Un consiglio: non bisogna taggare
indiscriminatamente, ma decidere quali tag sono
opportuni per il contenuto che stiamo
pubblicando.
screen di
ansa???
35. Quando e come postare
Facebook non premia la quantità, ma la qualità dei nostri
contenuti. Sembrerebbe un’ovvietà, ma è una cosa a cui
dobbiamo fare particolare attenzione: pubblicare tantissimi
post non giova al coinvolgimento dei nostri utenti e questo
incide negativamente sulla possibilità che gli stessi utenti
incrocino altri contenuti nella propria homepage di Facebook.
L’algoritmo di FB infatti dà priorità ai contenuti che
generano engagement (mi piace, commenti,
condivisioni).
Troppi contenuti con bassa attivazione degli utenti
rischiano dunque di generare l’effetto contrario a quello
desiderato. Sarebbe utile, come già detto, diversificare la
distribuzione dei contenuti e scegliere che cosa
pubblicare su Facebook. Non tutto quello che
condividiamo su Twitter deve per forza essere pubblicato su
Facebook. Come abbiamo già detto, i social network hanno
una grammatica peculiare per ciascuno.
36. Posso modificare un post?
Sì, possiamo modificare tutti i contenuti che pubblichiamo
sulla pagina Facebook.
Come? In due modi:
• da Creator Studio andiamo sulla Libreria di contenuti, e una
volta identificato il post da editare clicchiamo sui tre pallini e
poi su modifica post;
• dalla pagina Facebook di riferimento, troviamo la
pubblicazione, clicchiamo sui tre pallini e poi su modifica
post. Ricordiamo che per modificare una gallery
fotografica bisogna per forza usare Creator Studio.
screen di
ansa???
37. Instagram
lnstagram è un prodotto di Facebook. È un social media
basato sulla condivisione di foto e di video. Come nel caso
di Twitter, si tratta di un social asimmetrico (può non esserci
reciprocità nel follow).
Una conseguenza di questo è che il numero dei follower può
essere considerato da alcuni come una misura del successo di
un account - se più persone hanno scelto di seguire un profilo
vuol dire che è migliore (sbagliato!).
Questa convinzione, come nel caso di Twitter, ha dato vita a un
mercato di compravendita di falsi follower: una pratica che
sconsigliamo in quanto può danneggiare la reputazione di
un brand e che non apporta nessun beneficio reale.
38. screen di
ansa???
Feed di Instagram
Quando parliamo di “feed” intendiamo i post che appaiono
nella pagina principale e quelli che vediamo nella nostra
pagina di profilo. La qualità delle immagini su Instagram è di
massima importanza. Per questo è necessario selezionare
sempre gli scatti più belli e suggestivi per attirare l’attenzione
degli utenti.
Quando è possibile possiamo creare anche delle gallery
con più foto, questo ci aiuterà ad aumentare
l’engagement.
39. Come cambiamo account
Su Instagram è possibile operare uno switch di
account quando vogliamo.
Andiamo sulla pagina del profilo, in alto a destra vedremo il
tag [nome] del nostro profilo, ci clicchiamo sopra e subito si
aprirà una finestra con i profili che gestiamo.
40. L’importanza delle immagini
Su Instagram la vera protagonista è la foto, quindi
cerchiamo di scegliere il più possibile foto belle e che riescano
ad attirare l’attenzione dei nostri utenti.
Le foto devono raccontare la notizia.
41. I video su Instagram
Quando scegliamo di pubblicare un video
sul profilo Instagram, dobbiamo ricordarci che
il formato ideale per i video (e per la
copertina) è 9:16, ossia il formato verticale.
Il video si può anche pubblicare in formato
orizzontale, ma la sua performance potrebbe essere
peggiore rispetto a un video verticale. Consigliamo
di scegliere, quando è possibile, un video verticale.
Una volta caricato il video, aggiungiamo
l’immagine, la didascalia, il titolo e poi
pubblichiamo.
Instagram è un social pensato per gli
smartphone, ma abbiamo la possibilità di
pubblicare anche da desktop, utilizzando
Creator Studio.
42. Storie Instagram
Le Storie ci permettono di raccontare in
tempo reale notizie o informazioni
importanti. Per esempio: un evento
importante, o notizie che fanno riferimento alle
materie correlate al nostro lavoro.
Le Storie durano 24h e poi svaniscono; per
conservare i contenuti che riteniamo importanti
ci viene in aiuto la raccolta delle storie in
evidenza, dove possiamo eventualmente
suddividerle per tematica.
43. scorrere
da sinistra
verso destra
Come pubblichiamo le storie?
Abbiamo tre opzioni:
● andare sull’immagine del profilo
e toccare la tua immagine;
● dalla home puoi far scorrere il dito
da sinistra verso destra;
● sempre dalla home, in alto verso destra si trova
un tasto +, una volta cliccato si aprirà una piccola
finestra con diverse opzioni tra cui Storia.
44. Il Link nelle storie
I link nelle storie sono una possibilità in più per dare
approfondimenti utili ad arricchire il contenuto che
proponiamo ai nostri utenti.
Dopo aver caricato l’immagine seguiamo questi passaggi:
1. clicchiamo sull’icona ADESIVI
e immediatamente verrà aperta una finestra
con diverse opzioni;
2. scegliamo il LINK;
3. tocchiamo il campo di testo
dove c’è scritto URL e incolliamo il link;
4. controlliamo che il link sia corretto e
pubblichiamo la storia.
45. Il Link nelle storie
Il formato ottimale per la Storia è quello verticale, proprio
perché sono dei contenuti fruibili da smartphone.
Spesso però succede di avere solamente foto orizzontali.
Possiamo ovviare al problema facendo zoom sulla foto fino
a che questa non occuperà tutto lo schermo. Non tutte le
foto si prestano, ma in molti casi può essere una
soluzione.
Ricordiamoci di raccontare al nostro pubblico una notizia o
un contenuto interessante, scrivendo un testo semplice ed
efficace.
46. Hashtag su Instagram
Come per Facebook, anche per Instagram
vale lo stesso consiglio: non è necessario
inserire gli hashtag nella didascalia.
47. Esempio di commento nascosto
domenica 7 febbraio 2021
La community e la moderazione
Ricordiamoci sempre di controllare i
commenti ai post per evitare
spiacevoli sorprese, come commenti
violenti e insulti.
Curare la community è fondamentale
per tutelare la propria reputazione e
creare un ambiente ospitale per i
lettori.
Consigliamo sempre di rimuovere i
commenti offensivi e impropri; se
necessario, è utile bloccare gli account
responsabili.
48. I reel, su Instagram (e su Facebook)
I Reel sono la risposta di Mark Zuckerberg a TikTok.
Il successo di TikTok ha infatti spinto Instagram a
‘copiare’ alcuni dei suoi formati vincenti, anche nel
tentativo di non perdere la fascia più bassa della
popolazione.. I Reel sono contenuti video in formato
verticale (9:16) della durata di 15, 30, 60 e (da luglio
2022) 90 secondi.
In realtà si possono pubblicare video dalla durata
massima di 15 minuti, ma sono meno ‘spinti’
dall’algoritmo di Instagram, che privilegia la brevità dei
contenuti.
49. I reel, su Instagram (e su Facebook)
Da luglio 2022 tutti i video Instagram sono trasformati in Reel,
compresi quelli pubblicati in precedenza.
É evidente che questi formati di video brevi e creativi siano in rapida
ascesa e la scelta di traslare tutti i video brevi in Reel dovrebbe
portare (nelle intenzioni di chi ha valutato questa scelta) numerosi
benefici a Instagram, dato che favorirebbe una maggiore e più
uniforme circolazione dei contenuti.
I Reel di Instagram sono diventati rapidamente molto popolari,
tanto che, durante l'annuncio dei risultati del quarto trimestre 2021 lo
stesso Zuckerberg aveva affermato che i Reel rappresentano il
formato in più rapida crescita nelle sue piattaforme. Secondo i dati
infatti il tempo trascorso dagli utenti a guardare questa tipologia
di video breve è più che raddoppiato rispetto allo scorso anno.
50. I reel, su Instagram (e su Facebook)
A differenza degli altri contenuti, questo formato possiede una
pagina “Esplora” dedicata. Questa indicazione è molto importante:
significa che i Reel vengono visti in un luogo preciso all’interno della
piattaforma in cui è probabile che gli utenti abbiano l’audio attivo e
quindi l’argomento del video è molto rilevante e fa la differenza. I
Reel aumentano il traffico cioè i dati di interazione dell’utente
con un dato contenuto e hanno la funzione di attirare un pubblico
che arriva dall’esterno, quindi potenzialmente “nuovo” e che non
segue per forza i nostri account.
La circostanza per cui i Reel appaiono nella sezione ‘Esplora’ di
Instagram ha proprio questa finalità, e questo orientamento
all’esterno permette che un Reel diventi virale. Quando si pubblica
un Reel non ci si deve concentrare sui ‘mi piace’ o sui commenti,
quanto piuttosto sulle visualizzazioni. Più un contenuto è visto, più
funziona, più Instagram lo mostra a un alto numero di utenti.
51. I carousel
I carousel sono post che possono contenere fino a 10 elementi, fra
foto e video. Sono uno dei formati più interessanti del momento per
le strategie social di un buon social media manager. Anche se è
possibile realizzarli già da tempo, negli ultimi tempi, assieme ai reel,
hanno scalato rapidamente posizioni nella strategia di Meta,
ottenendo risultati importanti sotto il profilo della reach e
dell’engagement, rispetto ai normali post.
Con questo tipo di formato, la strategia a monte è ancora più
importante, perché con i carousel si può raccontare una storia e
approfondire contenuti (facendo attenzione a non strafare), senza
perdere in immediatezza. Per questo è bene pianificare al meglio il
tipo di messaggio che si vuole lanciare, la costruzione del racconto
del prodotto che vogliamo proporre e le modalità di coinvolgimento
dell’utente, per invogliarlo a scorrere le foto e i video, che sono le vere
e proprie tappe del nostro racconto.
52. I carousel
Qualche esempio?
Immaginate di essere un brand di cosmetica e di voler
lanciare un nuovo rossetto: con un carousel, potete
inserire le foto di particolari della confezione, un
dettaglio sul colore, una sezione del lettering, fino alla
foto totale del prodotto e al video con l’unboxing.
I carousel sono utili anche per mostrare un processo
creativo. Dagli account di un foodblogger potete
alternare le videoricette ai carousel che mostrano le
preparazioni della linea, l’assemblaggio degli ingredienti,
le cotture e il risultato finale, con un video con l’assaggio.
53. Twitter
Twitter è il social network preferito di molti giornalisti e
creatori di contenuti. È caratterizzato dalla brevità, con
un limite che diventa il suo valore distintivo: massimo
280 caratteri.
Su Twitter è possibile anche affrontare argomenti
complessi: è necessario strutturare il discorso
in blocchi da 280 caratteri. Con l’aiuto di video, foto,
link possiamo parlare praticamente di qualsiasi cosa.
NB: l’utilizzo di link all’interno del tweet riduce il
numero di caratteri a disposizione. A prescindere
dalla sua lunghezza ogni link occupa sempre 23
caratteri.
54. Pubblicare gli stessi Tweet serve?
Quando abbiamo la necessità di approfondire su Twitter un
argomento o ci sono degli aggiornamenti su un evento o un
contenuto che abbiamo diffuso, non sempre è necessario
pubblicare un nuovo tweet con lo stesso link o con la stessa
foto, o con lo stesso testo aggiornato..
Se si tratta di informazioni importanti possiamo aggiornare i
lettori aggiungendo un tweet collegato al primo tweet che
abbiamo condiviso.
Per fare tweet “concatenati” ci basta rispondere nei
commenti sotto al tweet a cui vogliamo agganciarci,
cliccando il fumetto Rispondi.
55. Foto e video: nativo è meglio
Il contenuto visivo è importante anche su Twitter.
Dobbiamo valorizzarlo il più possibile: pubblicare belle
foto e video nativi è la scelta migliore.
Rispetto a un link che porta ad una gallery o ad un
video pubblicato su un sito esterno, un tweet
multimediale nativo massimizza la fruizione
dei contenuti da parte dei lettori, dato che gli
algoritmi delle piattaforme danno priorità ai
contenuti caricati lì, a discapito dei contenuti esterni.
56. Come si caricano i video nativi
Per caricare un video nativo su Twitter
scriviamo il testo del nostro tweet e
clicchiamo sull’icona con le “montagne”.
57. Hashtag: meglio non esagerare
Gli hashtag su Twitter sono usati spontaneamente
dagli utenti per indicare una parola chiave all’interno
del messaggio. Aiutano a tenere traccia degli
argomenti discussi su Twitter e per le ricerche
all’interno del motore di ricerca integrato.
Se un hashtag è in trend, possiamo utilizzare un
hashtag dedicato per inserirci in quella
conversazione (attenzione: non tutti gli argomenti che
diventano trend sono hashtag).
È bene ridurre al minimo essenziale l’uso di hashtag:
questo migliora la leggibilità del tweet, che appare
più pulito e professionale. Questo significa usare
gli hashtag quando sono necessari. Ad esempio, per
raccontare un evento che ha un hashtag ufficiale o per
diffondere opportunamente alcune informazioni.
58. TikTok
TikTok è un social network che consente la creazione di
brevi clip di durata variabile (dai 15 secondi ai 10 minuti), la
modifica della velocità di riproduzione, l’aggiunta di filtri ed
effetti sonori e visuali particolari ai video.
Questa piattaforma, sviluppata da un’azienda cinese, ha
rivoluzionato il mondo dei social network e la sensazione è
che la comunicazione istituzionale, politica e commerciale
debba ancora pienamente metabolizzare le novità di
formati e di linguaggio, come abbiamo già spiegato nelle
slide precedenti.
Gli stessi strumenti commerciali messi a disposizione da
TikTok hanno caratteristiche (e termini) non ancora
esplorate fino in fondo da una fetta consistente di soggetti
potenzialmente interessati.
Il suggerimento migliore, in questi casi, è quello di tenere
presente le caratteristiche di TikTok e di sperimentare.
60. 1. Digital PR
Le Digital PR sono uno strumento molto utile che
permette di creare buzz positivo attraverso il
coinvolgimento di opinion leader (blogger) o la
creazione di accordi editoriali con i siti web attivi sui
temi di interesse.
61. 1. Digital PR
COME ATTIVARE UNA CAMPAGNA DI DIGITAL PR
• Individuare i siti web o blog più attivi sui temi di
interesse.
• Scegliere il tipo di contenuto (branded content,
intervista, recensione, etc).
• Costruire una pagina di atterraggio per i link di
ritorno con informazioni puntuali sul tema in oggetto
(link building).
• Monitorare il sentiment e l’engagement generato
dalle attività.
• Tracciare i link con Google Analytics.
62. 2. Influencer marketing
L’influencer marketing è una declinazione delle digital
PR che sfrutta la popolarità dei creator per
influenzare positivamente gli utenti.
Sebbene non esclusivo, l’ambiente preferenziale è
rappresentato dai social media.
L’influencer marketing è uno strumento molto efficace a
patto che:
● la fanbase degli influencer sia in linea con il target
della campagna
● i valori e lo stile di vita degli influencer selezionati
siano coerenti con il brand di cui diverrà ambassador.
63. 2. Influencer marketing
LE 5 COSE DA FARE PER ATTIVARE UNA
CAMPAGNA DI INFLUENCER MARKETING
• Selezionare dai database gli influencer o creator
più in linea in base a criteri quali: tema, piattaforma
social, numero di follower e numero di interazione dei
profili.
• Scegliere il tipo di contenuto (foto, articolo, podcast,
recensione).
• Predisporre la pagina di atterraggio a cui i post
devono puntare.
• Monitorare l’engagement dei post (ed
eventualmente sostenere il post con una campagna
ads).
• Tracciare gli accessi alla pagina di atterraggio con
Google Analytics.
64. 3. Link building
La link building è una tecnica di ottenimento e/o acquisto di link in
ingresso (i cosiddetti backlinks). Viene utilizzata per ottimizzare il
posizionamento di un sito lato seo.
65. 3. Link building
COME FARE LINK BUILDING
● Ottenere link da conoscenti che gestiscono blog o
siti
● Inserire contenuti e sito all’interno di web
directories è una delle pratiche classiche. Per
ottenere risultati è però consigliabile scegliere
directory che non si limitino a includere il sito nei
propri elenchi ma che siano di nicchia e forniscano
informazioni utili agli utenti.
● Individuare “broken links” all’interno di siti e
chiedere aI webmaster di sostituire il link ”rotto” con
uno al proprio sito
● Puntare su contenuti di qualità, originali e utili per
guadagnare backlinks spontanei (la cosiddetta Link
Earning)
66. Quanto siamo affidabili agli
occhi del nostro pubblico?
Tre cose da fare per monitorare efficacemente la reputazione online (e offline)
67. 1. Ascoltare
Il primo passo per una gestione efficace della reputazione è l’ascolto di quello che
si dice in rete.
Un servizio di rassegna stampa, associato all’analisi del sentiment online permette
di monitorare ciò che si dice sulla stampa, sui social media e sul web.
I 5 CONSIGLI PER UNA BUONA MAPPATURA
• Individuare le parole chiave e gli hashtag legati alle tue attività.
• Individuare gli attori/stakeholders più attivi sul web.
• Individuare i “luoghi” (es. le piattaforme social) più attivi sui tuoi temi.
• Organizzare la rassegna stampa in sezioni legate alle parole chiave di tuo
interesse.
• Strutturare la rassegna in ordine di priorità, con un abstract che permetterà così di
avere una “mappa” con cui ottenere un’analisi del sentiment più immediata e
intuitiva.
68. 2. Informare
Il web è un luogo aperto in cui tutti possono dare il proprio contributo.
Per questo è indispensabile che gli utenti trovino una fonte certa e
affidabile di informazioni, laddove le stanno cercando.
I 5 CONSIGLI PER UNA BUONA CONTENT STRATEGY
• Individuare i tuoi target di riferimento.
• Aprire profili social solo sulle piattaforme più usate dal tuo target
(e solo se si ha la certezza di poterli gestire con costanza e qualità).
• Individuare e coinvolgere gli opinion leader con un’attività di
media relation.
• Attivare le digital PR scrivendo contenuti chiari e puntuali sui siti
più letti dal tuo pubblico.
• Scrivere contenuti che danno risposte legate ai temi e alle parole
chiave ricercate dagli utenti.
69. 3. Verificare
Il monitoraggio dei risultati è il passo più importante per la misurazione della
reputazione online.
Avere indicatori precisi in grado di far comprendere come si sta evolvendo il
sentiment del pubblico darà la possibilità di intervenire e orientare le opinioni
lavorando sulla content strategy.
I 5 CONSIGLI PER UNA BUONA MISURAZIONE
• Misurare il coinvolgimento (reazioni ottenute dai post condivisi).
• Monitorare la copertura (numero di persone raggiunte dai contenuti).
• Tracciare le menzioni (favorevoli, neutre o ostili).
• Monitorare le community più attive e misurare l’andamento del sentiment al
loro interno.
• Tracciare le visite al proprio sito (attraverso strumenti come Google
Analytics, soprattutto in relazione alle attività di Digital PR).
70. Perché è importante fare
advertising sui social media?
Come rendere più efficaci le campagne adv sui social media
71. Pianificare con i Business Manager
Ogni piattaforma social dispone di un Business
Manager, ovvero una dashboard che consente di
pianificare campagne digital selezionando gli utenti in
base a criteri di targetizzazione ben definiti.
72. Pianificare con i Business Manager
COSA SI PUÒ FARE CON IL BUSINESS MANAGER
• Impostare l’obiettivo della campagna (notorietà,
considerazione*, conversione).
• Definire il target in base a criteri quali: età, sesso,
area geografica e interessi.
• Scegliere i posizionamenti (feed, stories, reels, etc).
• Impostare il budget e la durata della campagna.
• Monitorare la campagna in base ai KPI di interesse.
* è la fase in cui si cerca di spingere le persone che hanno acquisito
consapevolezza di un brand/Organizzazione a compiere un’azione (visitare il
sito, lasciare i propri dati, scaricare un’app, etc).
73. Pianificare con i Business Manager - Alcuni esempi di
sponsorizzazione
Sponsorizzazione video del Ministero della Salute con
obiettivo notorietà.
● Età - fascia definita
● Genere - tutti
● Interessi, comportamenti, dati demografici - nessuno
● Copertura - Italia
● Budget - medio-alto
● Durata - breve
● Posizionamento - FB/IG feed, stories, reel
74. Pianificare con i Business Manager - Alcuni esempi di
sponsorizzazione
Sponsorizzazione Video Trans Adriatic
Pipeline con obiettivo notorietà.
● Età - fascia definita
● Genere - tutti
● Interessi - Specifici
● Copertura - Puglia con esclusioni
● Budget - medio-basso
● Durata - breve
● Posizionamento - FB Feed
75. Pianificare con i Business Manager - Alcuni esempi di
sponsorizzazione
Sponsorizzazione webcard Università degli
Studi di Bari con obiettivo considerazione
● Età - fascia definita
● Genere - tutti
● Interessi, comportamenti, dati
demografici - nessuno
● Copertura - Puglia e regioni confinanti
● Budget - medio-basso
● Durata - medio-lunga
● Posizionamento - FB/IG feed, stories
77. La strategia CREATIVA - I contenuti
Come per i contenuti, ogni social ha il suo stile che va
rispettato se si vuole attrarre l’attenzione del target.
Per fare un esempio, TikTok è il social più adatto per
veicolare contenuti video o brevissimi tutorial pensati
per un target di giovanissimi.
Se si sceglie di pianificare su questo social è
indispensabile esserci con contenuti coerenti con le
aspettative degli utenti.
78. YOUTUBE FACEBOOK TWITTER INSTAGRAM TIK TOK LINKEDIN PINTEREST
●VIDEO ●IMMAGINI
●VIDEO
●CAROUSEL
●SONDAGGI
●STORIES
●REEL
●TWEET
●IMMAGINI
●VIDEO
●IMMAGINI
●VIDEO
●CAROUSEL
●SONDAGGI
●STORIES
●REEL
●VIDEO ●IMMAGINI
●VIDEO
●ARTICOLI
●IMMAGINI
●VIDEO
La strategia CREATIVA - I contenuti
87. Il piano EDITORIALE
Il Piano Editoriale (PED) è il menabò dei contenuti
pubblicati da un brand o un’organizzazione nei diversi
spazi presidiati. L’obiettivo del PED è quello di stimolare
l’interesse e la partecipazione degli utenti attraverso un
ricco calendario di uscite.
I 5 consigli per costruire un piano editoriale efficace:
● Prevedi contenuti adeguati al target da coinvolgere,
equilibrando valore ed engagement.
● Alterna contenuti di vario tipo (Immagini, video, card,
sondaggi, etc.)
● Differenzia i contenuti a seconda del social e del
canale.
● Affianca ai contenuti organici anche post
sponsorizzati.
● Tieni d’occhio l’attualità per integrare il piano con
contenuti instant.
88. #ToolKit
Affinché un piano editoriale si traduca in un calendario editoriale
di uscite, occorrono metodo e precisione. È pertanto utile
affidarsi a strumenti in grado di facilitarne la gestione e la
condivisione.
Esempi di tool per la gestione dei calendari editoriali
● Excel: è un tool sempreverde e di facile utilizzo per la
costruzione di calendari editoriali;
● Google Drive: ha il vantaggio di permettere
(gratuitamente) la condivisione di documenti (fogli e
presentazioni di google) tra i collaboratori;
● Trello: utile per la gestione di progetti, flussi di lavoro e
monitoraggio dei task.
● SquidHub: piattaforma ideale per la gestione di progetti e
collaborazioni, che permette di avere un quadro
d’insieme.
● Google Calendar: collegato a strumenti di collaborazione
come Slack e a un documento di Google Drive, permette
di attivare alert automatizzati
91. Analisi dei DATI
Le campagne digital richiedono un monitoraggio
regolare e ottimizzazioni costanti per mantenere
sempre alte le performance dell’investimento.
Il digital è infatti un ambiente molto fluttuante e non è
detto che un canale impostato all’inizio della campagna,
mantenga alte le sue performance.
Spesso è necessario spostare i budget su altri canali,
oppure cambiare la creatività o i copypost che non
generano le interazioni desiderate.
#ilSuggerimento
L’ errore da evitare è misurare
i risultati in base a quanti lead
generano anziché misurare
l’impatto sul fatturato. Una
campagna che genera molto
traffico ma converte poco in
termini di vendite non è una
campagna di successo!
93. Social Media TEAM
Quali sono le figure professionali necessarie in un Team Digital?
● Strategist: si occupa dell’analisi di scenario, della definizione degli
obiettivi, del budget e della creazione del piano editoriale.
● Social media manager: si occupa della gestione dei contenuti
(soprattutto organici) dei canali e delle community.
● Creator: crea contenuti per i social (video, card, meme, etc). La sua
figura può essere interna a una agenzia o indipendente.
● Digital Planner: si occupa del settaggio delle campagne paid.
● Analyst: si occupa dell’analisi e delle ottimizzazioni delle campagne
paid, fornisce dati allo strategist per la costruzione delle strategie,
elabora report per la condivisione dei risultati con il cliente.
95. La reputazione come moltiplicatore di efficacia
● La reputazione è il valore più prezioso di qualsiasi mittente, in
qualsiasi contesto.
Più dei soldi, più delle reti, più della qualità dei prodotti/servizi a
disposizione (certo, queste variabili aiutano a costruire una buona
comunicazione).
● Uno scivolone che danneggia la reputazione può fare molto male se
non si adottano contromisure (corollario: un solo errore può
richiedere mesi, se non anni, per essere recuperato).
● ‘Less is more’, ma anche ‘be the first’.
Meglio evitare atti di comunicazione controversi, soprattutto se non
necessari. Anche l’algoritmo di Facebook tende sempre più a
privilegiare la qualità e la capacità di generare interazioni, piuttosto
che la quantità. Allo stesso tempo, quando scoppia un piccolo fuoco,
bisogna reagire nel più breve tempo possibile per evitare che si
trasformi in un incendio di dimensioni irreversibili.
96. Non confermo e non smentisco
Il primo tweet della CIA: come trasformare un problema di reputazione in un
elemento di autoironia
97. “Non possiamo né confermare né smentire che
questo sia il nostro primo tweet.”
Non confermo e non smentisco
Il primo tweet della CIA (6 giugno 2014)
ha permesso all’account Twitter di
superare i 300mila followers nelle prime
ore dopo la sua apertura.
(approfondimento qui)
98. Non confermo e non smentisco
Cosa possiamo imparare da questa storia
1. È inutile far finta che non si abbia una reputazione
pubblica (positiva o negativa che sia), anche perché la
sua omissione sarebbe comunque ‘punita’ con lo
svelamento della verità, specie online. A questo punto
è meglio gestire la propria immagine in prima
persona piuttosto che farsi costruire la reputazione
dagli altri.
2. Quando si temono problemi di reputazione (e la CIA,
su Twitter, era quasi certa di averne) è più sensato
anticipare la prima mossa: quel tweet poteva essere
utilizzato come risposta ironica dai follower a un
tweet più istituzionale della
CIA, e avrebbe generato un effetto completamente
diverso.
99. Nike: walk in my shoes
La rottura di una scarpa e la ricostruzione del patto di fiducia
100. Nike: walk in my shoes
20 febbraio 2019: Zion Williamson,
stella di Duke University (basket
universitario, successivamente prima
scelta NBA) ha subito un infortunio
al ginocchio dopo la rottura di una
sua calzatura sportiva della Nike
poco prima dell’inizio di una partita
molto attesa contro North Carolina.
Il titolo Nike ha perso l’1.7% alla Borsa
di New York il giorno successivo, con
una perdita di valore di 1.1 miliardi di
dollari.
101. Nike: walk in my shoes
La Nike ha pubblicato
immediatamente un comunicato
stampa annunciando l’intenzione di
investigare sull’accaduto.
Un gruppo di lavoro della Nike
si è recato subito sul luogo
dell’incidente e poi raggiunge lo
stabilimento in Cina in cui la scarpa è
stata prodotta.
Un mese dopo Williamson torna in campo
con una scarpa personalizzata, realizzata
dall’azienda dopo questa indagine interna. Il
giocatore la definisce “incredibile”,
ringraziando la Nike per averla realizzata.
102. Nike: walk in my shoes
Cosa possiamo imparare da questa storia
Più grande l’azienda, più globale è la sua reputazione.
Perché tanta attenzione per un paio di scarpe?
Perché anche un episodio isolato, una singola anomalia
rappresenta una minaccia alla reputazione di un’intera
azienda, soprattutto se quell’episodio ha una grande
esposizione mediatica.
Il fatto che il problema non sia stato sistemico non
basta per poterlo archiviare a ‘incidente’.
103. Nike: walk in my shoes
Cosa possiamo imparare da questa storia
La proattività paga.
La presa in carico della responsabilità dell’accaduto, la
risposta tempestiva (dichiarazione) e l’assoluta volontà di
capire la ragione del problema, per non farlo più capitare,
dimostra serietà da parte dell’azienda e allo stesso
tempo una grande partecipazione emotiva.
104. Nike: walk in my shoes
Cosa possiamo imparare da questa storia
Da crisi a opportunità, da testimonial negativo a
positivo. Nike riesce a trasformare una situazione
negativa in positiva prima di tutto perché è Zion
Williamson, la vittima del malfunzionamento della scarpa,
a ringraziare la Nike per quello che ha fatto. In questo
modo il cerchio si chiude e la riuscita dell’operazione è
certificata da un attore terzo (e non solo dall’azienda), il
che rende tutto più credibile.
105. KFC: dov’è il mio pollo?
Aumentare l’assertività in caso di crisi prolungate
106. KFC: dov’è il mio pollo?
Nel 2018 molti ristoranti britannici della catena
Kentucky Fried Chicken sono stati costretti a
chiudere a causa di un crollo
del sistema logistico, che impedì il corretto rifornimento
di polli ai punti vendita finali.
Proprio KFC aveva annunciato la difficoltà attraverso
un tweet in cui ha preso l’impegno di aggiornare
costantemente i consumatori sull’evoluzione della
situazione.
107. KFC: dov’è il mio pollo?
Una volta annunciata la crisi in prima persona, KFC ha
creato anche un hashtag (#wheresmychicken - dov’è il
mio pollo) che è servito come collettore di informazioni
dall’azienda ai consumatori, e viceversa.
Consapevoli del fatto che una simile crisi logistica non
poteva essere risolta in pochi giorni, gli account social
di KFC hanno costantemente informato in merito ai
passi necessari per risolvere il problema e gli eventuali
intoppi nel processo. È stata creata anche una pagina
Internet specifica per pubblicare le risposte alle
domande più frequenti su ciò che stava accadendo.
108. KFC: dov’è il mio pollo?
KFC ha inoltre realizzato una campagna autoironica sui
media tradizionali per scusarsi per l’accaduto e per
ribadire la possibilità di reperire informazioni sulle
strategie messe in campo per risolvere il problema.
109. KFC: dov’è il mio pollo?
Cosa possiamo imparare da questa storia
La gestione di una crisi reputazionale è un processo. In
situazioni di difficoltà non basta informare dell’inizio di un
problema e poi della sua avvenuta risoluzione: è
fondamentale, soprattutto in casi che richiedono
tempo, informare costantemente gli stakeholder su
cosa sta succedendo nel percorso e offrire qualsiasi
ulteriore richiesta di chiarimento. Questo genere di
assertività rassicura gli interlocutori e per paradosso offre
più tempo e più calma per gestire il problema che ha
generato la crisi.
110. KFC: dov’è il mio pollo?
Cosa possiamo imparare da questa storia
Servono piani anticipati per gestire al meglio
situazioni del genere.
È evidente che una crisi che mette in ginocchio
un’azienda può essere in qualche modo ‘prevista’,
se si è al corrente che il proprio modello di
business dipende in modo così nevralgico da
poche variabili. Sapere in anticipo cosa serve
fare in casi del genere comporta un enorme
risparmio di tempo nell’affrontare la crisi, con
una conseguente riduzione del danno potenziale
a livello reputazionale.
111. KFC: dov’è il mio pollo?
Cosa possiamo imparare da questa storia
Una strategia crossmediale può far
accrescere le potenzialità di riuscita.
Non tutti i consumatori di KFC sono
obbligati a seguire gli aggiornamenti
sulla crisi, ma possono sentirsi rincuorati
nel sapere che c’è la possibilità di
informarsi in qualsiasi momento su
quello che sta accadendo. Parlare a un
pubblico vasto dal punto di vista
socio-demografico attraverso una
campagna non-digitale (che comunica
lo sforzo online) permette di ridurre il
possibile sentiment negativo su canali
non interattivi e contenere il
passaparola offline sull’accaduto.
113. Starbucks: caffè corretto
Nell’aprile 2018 due uomini si sono recati all’interno di
uno Starbucks di Philadelphia (Stati Uniti) per
incontrare un amico. Dopo aver chiesto di usare
il bagno sono stati arrestati senza motivo per
trespassing (violazione fisica di una proprietà) dopo una
segnalazione del responsabile del punto vendita.
Il video dell’arresto è diventato presto virale,
anche perché le due persone arrestate erano afro-
americane. L’hashtag #boycottStarbucks è finito nei
principali trend sui social media.
(approfondimento qui e qui)
114. Starbucks: caffè corretto
● L’amministratore delegato di Starbucks si è esposto
in prima persona e ha definito l’episodio
“biasimevole”, scusandosi con i due uomini per
l’accaduto e dichiarando che l’azienda poteva fare
meglio di così, ma che aveva bisogno di imparare
dall’accaduto.
● Nel mese successivo Starbucks ha organizzato un
processo di formazione su politiche di inclusione
sociale che riguardò 175.000 dipendenti e che
portò anche alla chiusura temporanea di 8.000
punti vendita per coinvolgere il maggior numero
di persone possibile.
115. Gli obiettivi di quel processo di formazione sono stati
l’introduzione di specifiche politiche di gestione di casi
del genere, il rinnovamento dei valori aziendali a cui
attenersi e l’ascolto del parere di lavoratrici e lavoratori,
per capire se l’azienda avesse fatto tutto il possibile
per evitare l’accaduto.
Starbucks ha attribuito l’errore a una cattiva
comunicazione interna dell’azienda,
non scaricando dunque la responsabilità
al manager del punto vendita di Philadelphia.
Starbucks: caffè corretto
116. Cosa possiamo imparare da questa storia
La ricerca del capro espiatorio non è efficace nella
gestione della reputazione. Un’azienda che dà la
sensazione di voler affrontare una crisi punendo uno
degli ultimi anelli della catena sta comunicando
di non voler davvero risolvere un problema
reputazionale complessivo ma solo di volersi liberare al
più presto di una polemica.
Starbucks: caffè corretto
117. Più alta sarà la posizione di chi prende in carico il
problema, più credibile sarà considerata
la risposta a livello aziendale.
In una situazione del genere le risposte sono spesso
affidate ai dirigenti di area (per esempio, a chi
è a capo delle risorse umane). Questa soluzione
sembrerà comunque eccessivamente ‘burocratica’ e,
ancora una volta, non metterà del tutto a riparo il brand
dalla controversia. Se è l’amministratore delegato a
parlare, come in questo caso, l’opinione pubblica sarà
cosciente che l’azienda nella sua totalità ha preso in
carico il problema.
Starbucks: caffè corretto
118. Un problema locale può essere la spia
di un malfunzionamento globale.
Ciò che è accaduto nello Starbucks di Philadelphia
è avvenuto, come dichiarato, per procedure inadatte di
comunicazione interna.
Agire tempestivamente a livello di procedure
aziendali e formazione è il modo migliore per evitare
che altri casi simili avvengano: ciò rappresenterebbe
un moltiplicatore negativo della crisi a livello
reputazionale, la cui risoluzione diventerebbe a quel
punto ancora più complessa, se non addirittura
impossibile.
Starbucks: caffè corretto
119. Trasformare una crisi in
un’opportunità in 45 minuti
Il caso di Antonio Decaro alle Amministrative 2019 a Bari
120. la segnalazione
Trasformare una crisi
in un’opportunità in 45 minuti
Nella chat di coordinamento strategico della campagna
elettorale (curata da Proforma) è arrivata questa
segnalazione a poco più di tre settimane dalle elezioni:
una preside, candidata in una lista civica che sostiene
Decaro ha distribuito materiale elettorale nelle classi
della sua scuola.
La prima reazione è stata di sconcerto.
121. Poi è subentrata la cautela. Sempre
meglio informarsi bene, per evitare
boomerang comunicativi.
Il sindaco è intervenuto e ha
dettato la linea.
È stata preparata una bozza
di dichiarazione.
la linea
l’elaborazione
la cautela
Trasformare una crisi
in un’opportunità in 45 minuti
122. un’ora spesa bene
Trasformare una crisi
in un’opportunità in 45 minuti
Tutti i media hanno riportato la
notizia negativa come una
vittoria di Antonio Decaro.
La tempestività dell’intervento ha
evitato una potenziale crisi.
123. Trasformare una crisi
in un’opportunità in 45 minuti
Cosa possiamo imparare da questa storia
Il tempismo e il coraggio possono
spegnere una crisi di comunicazione
sul nascere.
La stessa dichiarazione di Decaro, anche solo
posticipata di 24 ore, non avrebbe generato
lo stesso effetto positivo (a partire dal tono
dei titoli dei quotidiani che hanno commentato
la notizia).
124. Trasformare una crisi
in un’opportunità in 45 minuti
L’interpretazione corretta della catena di
comando è cruciale nella scelta sul da farsi.
La decisione improvvida è relativa a una singola
candidata di una lista civica. In teoria, Decaro
avrebbe potuto chiedere le sue scuse senza
intervenire. Ma dato che la lista civica era legata al
sindaco, lui ne era ‘garante politico’ e quindi una
scelta infelice di una persona da lui scelta poteva
essergli direttamente attribuita. Per questo è stato
corretto intervenire in prima persona.
125. Trasformare una crisi
in un’opportunità in 45 minuti
I social media sono un ‘focus group
informale’.
La notizia è giunta all’attenzione di Decaro
attraverso una segnalazione di alcuni utenti
sulla sua pagina Facebook: aver verificato
tempestivamente l’attendibilità di quella
notizia ha permesso una risposta più pronta.
Analizzare costantemente il sentiment online
può spesso aiutare a prevenire situazioni di
pericolo prima che diventino di dominio
pubblico a controllare meglio il messaggio da
dare all’esterno.
127. Barilla: nuova pasta per nuove famiglie
“Abbiamo una cultura differente. Non farei mai spot
per i gay, la nostra è una famiglia tradizionale”.
Così, nel 2013, ai microfoni de La Zanzara, programma di
punta di Radio24, Guido Barilla ha risposto ad una
domanda del conduttore sulla possibilità che Barilla
produca una campagna pubblicitaria che veda come
protagonista una famiglia omosessuale.
L’imprenditore parmigiano ha aggiunto inoltre un
ulteriore carico: chi non è d’accordo può mangiare la
pasta di un’altra marca.
Nel giro di breve tempo l’hashtag #boicottaBarilla
ha raggiunto grandi picchi di utilizzo.
128. Barilla: nuova pasta per nuove famiglie
Le dichiarazioni di Barilla sono diventate
un’occasione di comunicazione anche per i
competitor:
● Buitoni ha scritto sui suoi account social “A
Casa Buitoni c’è posto per tutti”
● Garofalo scrive “Le uniche famiglie che non
sono Garofalo sono quelle che non amano
la buona pasta”, ma anche Ikea, Misura e
altri marchi partecipano a questo dibattito,
che è un’occasione per farsi notare e per
ribadire i propri valori, distanti da quelli
dimostrati da un competitor.
129. Barilla: nuova pasta per nuove famiglie
La polemica ha superato presto i confini nazionali
(Barilla controlla il 30% del mercato della pasta
negli Stati Uniti): Harvard ha disdetto
le commesse di pasta Barilla per le sue
mense; la vicepresidente della Commissione
Europea Neelie Kroes ha dichiarato: “Signor
Barilla, molti dei miei migliori amici
compravano la sua pasta”.
Barilla, a quel punto, ha usato il proprio
account Twitter ufficiale per riportare le
parole di scuse del presidente della società.
130. Barilla: nuova pasta per nuove famiglie
Alle scuse Barilla ha fatto seguire una serie di azioni di
profonda trasformazione delle proprie politiche di inclusione.
È stato nominato un diversity & inclusion board
dell’azienda, diretto da esponenti di associazioni che si
occupano di diritti.
L’azienda ha organizzato training sulla diversità con la
partecipazione di migliaia di dipendenti; negli Stati
Uniti Barilla ha donato cospicue quantità di ricavi alla
Tyler Clementi Foundation, un’organizzazione contro il
bullismo formata dalle famiglie degli studenti gay della
Rutgers University che si sono suicidati; ha coinvolto
alcuni attivisti LGBT come consulenti nel suo board,
come David Mixner che dirà al Washington Post: “È lo
sforzo più completo per rimediare a una gaffe al quale
abbia mai preso parte”.
131. Barilla: nuova pasta per nuove famiglie
Barilla ha aderito a Parks, un’associazione composta
esclusivamente da datori di lavoro che vogliono “realizzare al
massimo le opportunità di business legate allo
sviluppo di strategie rispettose della diversità” e
riceverà un “punteggio perfetto” dalla Human Rights
Campaign.
Secondo Deena Fidas, responsabile di questo programma
nella Human Rights Campaign “È piuttosto inusuale, per
un’azienda, passare da un estremo all’altro nel giro di un
anno. Alcune persone potranno speculare sulle motivazioni
di Barilla: alla fine, però, è un fatto che la società abbia
adottato pratiche inclusive nei confronti degli omosessuali
che solo un anno fa erano inesistenti”.
132. Barilla: nuova pasta per nuove famiglie
Cosa possiamo imparare da questa storia
Le scuse, in molti casi, non bastano.
La frase di Guido Barilla sarebbe apparsa
come un’inevitabile toppa dopo un enorme
danno,
oltre che piuttosto insincera dato il livello di nettezza della
dichiarazione originaria, se Barilla non avesse messo in
campo strategie aziendali che andassero nella direzione
rappresentata dalla frase di scuse.
133. Barilla: nuova pasta per nuove famiglie
Cosa possiamo imparare da questa storia
Più grande è una crisi, più tempo potrebbe servire per
risolverla. Esiste una sorta di rapporto di proporzionalità
diretta tra l’ampiezza del danno reputazionale (anche in
termini ‘geografici’) e il tempo necessario per rimarginarlo.
Chiunque si trovi a gestire una situazione di crollo della
propria immagine di brand deve mettere in conto la
necessità di generare uno sforzo profondo e duraturo per
poter porre rimedio al problema iniziale. Le soluzioni di breve
termine appaiono (molto spesso, giustamente) come rimedi
tattici, non sentiti, mentre l’azienda continua invece a essere
a lungo esposta sui media, sui social e più in generale sul
mercato, nell’attesa della contraddizione successiva.
134. Barilla: nuova pasta per nuove famiglie
Cosa possiamo imparare da questa storia
Non è mai troppo tardi per risolvere una crisi.
Le dichiarazioni a valle della crisi reputazionale, anche
se a distanza di oltre un anno dalle frasi di
Guido Barilla, certificano la buona fede dell’azienda e
chiudono, nei fatti, la falla reputazionale.
Se è vero che serve tempo per gestire un tale incidente, è
altrettanto vero che nessun problema reputazionale è
davvero irrisolvibile, se si ha la volontà di farsene carico.
135. La Molisana: brutta abissina
Il coraggio di scelte controverse, la paura di ritirarle
136. La Molisana: brutta abissina
L’azienda La Molisana ha rivendicato così l’ingresso sul mercato di
nuovi formati di pasta:
“Produciamo ogni giorno cento referenze di pasta [...] tra queste
le Classiche, 60 formati di paste lunghe, corte e cortissime, tra cui
le Abissine rigate 25, un formato che è già “storytelling”.
Negli anni Trenta l’Italia celebra la stagione del
colonialismo con nuovi formati di pasta: Tripoline,
Bengasi, Assabesi e Abissine. La pasta di semola diventa
elemento aggregante?
Perché no! [...] Di sicuro sapore littorio, il nome delle Abissine
Rigate all’estero si trasforma in “shells”, ovvero conchiglie. Una
forma morbida e accogliente.”
La reazione online è stata piuttosto omogenea: questi
formati di pasta, e come sono stati descritti,
rappresentano un’apologia di fascismo.
137. La Molisana: brutta abissina
L’azienda, che evidentemente non si aspettava
questa reazione, ha gestito la crisi in modo incoerente: ha
cancellato la descrizione dei formati di pasta
dal proprio sito Internet ma non il prodotto dagli
scaffali, non si è scusata ma ha incolpato l’agenzia di
comunicazione per i testi presenti sul proprio sito.
Le ‘scuse’ sono apparse più come un tentativo di allontanare i
riflettori dall’azienda che come la presa in carico delle
conseguenze delle proprie scelte. E così, nonostante i passi
indietro, “La Molisana” è oggi percepita (tra chi ha interagito con
quella polemica) come l’azienda che ha realizzato ‘la pasta fascista’.
Nonostante i passi indietro, il problema reputazionale non è stato
risolto.
(approfondimento qui e qui)
138. La Molisana: brutta abissina
Cosa possiamo imparare da questa storia
Una strategia commerciale ‘forte’ va ben ponderata
sin dall’inizio, e se si decide di incarnarla va difesa,
spiegata, mantenuta nel tempo.
È difficile ritenere sostenibile uno storytelling che
ammicca
al fascismo, ma in generale non ha senso adottare
scelte coraggiose se poi si decide di ritirarle alla
prima critica. Chi corre un rischio dovrebbe anche
considerare le possibili conseguenze di quei rischi e
gestirle nel tempo, spiegarle fino a renderle accettabili.
139. La Molisana: brutta abissina
Cosa possiamo imparare da questa storia
Non esistono le mezze scuse.
Quando il lancio di un prodotto genera una tale
attivazione da parte dell’opinione pubblica, c’è qualcosa
di anomalo (sarebbe vero anche in caso di successo
assoluto; stiamo parlando di un formato di pasta). Dato
che si sta parlando di un’anomalia, serve la maggiore
capacità strategica possibile, che è fatta di coerenza,
sostenibilità temporale delle proprie posizioni e
consapevolezza che una crisi mal gestita può lasciare
strascichi. In questo caso La Molisana ha avuto un
atteggiamento ambivalente: non ha né difeso la sua
scelta né l’ha sconfessata su tutta la linea, e in questo
modo ha scontentato sia chi la riteneva azzeccata sia
chi l’ha criticata.
140. Gli hashtag sono proprietà
degli utenti
Tra le scelte di comunicazione e la reazione degli utenti
c’è la variabile R (la reputazione) che ne orienta i risultati
141. Gli hashtag sono proprietà degli utenti
Nel 2012 Trenitalia ha lanciato #meetFS,
una campagna di coinvolgimento degli utenti.
L’hashtag è stato però “ribaltato” dagli utenti,
che lo hanno utilizzato per comunicare
i disservizi della compagnia ferroviaria.
(approfondimento qui)
142. Gli hashtag sono proprietà degli utenti
Cosa possiamo imparare da questa storia
Se un’azienda, soprattutto con problemi di reputazione
digitale, decide di lanciare una campagna online
e decide di farlo con un hashtag, i comunicatori
devono porsi la domanda giusta prima di iniziare.
E la domanda giusta non è “Cosa vuole comunicare
l’azienda ai consumatori?” ma “Cosa vorranno
comunicare i consumatori all’azienda?”.
143. Gli hashtag sono proprietà degli utenti
I meccanismi di coinvolgimento sono più
“sicuri” se regolati all’interno di azioni
specifiche.
Una campagna basata sulla totale libertà
espressiva da parte dei destinatari equivale a
cedere il controllo dei risultati alla volontà
della community, e questo genererà un ritorno
positivo solo se si ha un’ottima reputazione di
base.
144. Amazon: dici a me?
Negare l’evidenza peggiora la situazione
145. Amazon: dici a me?
Amazon, da anni al centro di polemiche per la compressione
dei diritti dei propri lavoratori, ha cercato nel tempo di
difendersi e rilanciare. Un tweet di Dave Clark (alto dirigente
dell’azienda) del marzo 2021 è stato realizzato proprio in
replica a queste polemiche e sottolineava le “politiche
progressiste” di Amazon all’interno dei propri luoghi di lavoro.
Questo tweet, in seguito cancellato dall’autore, ha
generato la risposta di Mark Pocan, parlamentare del
Partito Repubblicano degli Stati Uniti, il quale ha riportato
una delle polemiche pi
note: il fatto che alcuni lavoratori fossero costretti a
urinare in bottiglie di plastica per non perdere tempo.
146. Amazon: dici a me?
Amazon ha provato ad archiviare queste accuse
come inverosimili, ma esistono numerosi report
e inchieste giornalistiche che nel tempo ne hanno
dimostrato l’attendibilità. Amazon a sua volta
sarebbe al corrente di casi conclamati di persone
obbligate a urinare nelle bottiglie.
Di fatto, il tentativo di tamponare una crisi
reputazionale (il tweet di Clark) ha generato
l’effetto opposto a quello desiderato.
(approfondimento qui)
147. Amazon: dici a me?
Cosa possiamo imparare da questa storia
L’approccio muscolare non paga.
Amazon ha provato a intraprendere una ‘battaglia
reputazionale’, provando a mettere l’opinione
pubblica nelle condizioni di dover scegliere di
chi fidarsi tra due mittenti (dirigente di Amazon vs
deputato repubblicano, azienda vs sindacati e media)
senza entrare nel merito. La battaglia però non
poteva funzionare perché la reputazione di Amazon
non sempre è sufficiente e perché
gli approfondimenti nel merito della polemica
erano già stati tanti, e di segno contrario.
148. Amazon: dici a me?
Non si può rispondere a una polemica
sul problema A parlando della soluzione B.
L’accusa rivolta ad Amazon era molto precisa e odiosa.
Per questi motivi richiedeva una risposta nel merito.
Parlare di altre, pur meritevoli, politiche aziendali per
mostrarsi “bravi” non ridurrà la pressione
reputazionale ma potrebbe, per paradosso,
aumentarla ulteriormente perché potrebbe apparire
come il tentativo di distrarre l’opinione pubblica
rispetto al problema, e questo potrebbe sembrare
persino peggio rispetto alla scelta di non rilasciare
nessuna dichiarazione.
149. Amazon: dici a me?
Una simile strategia è dannosa anche a
livello interno.
Le polemiche su Amazon nascono da lamentele di chi
ci lavora. Se un alto dirigente dell’azienda considera
“bufale” quelle dichiarazioni, incarnate dai media
o dalla politica, sta di fatto delegittimando i propri
lavoratori e lavoratrici.
151. Corollario
1. L’autoironia è uno strumento spesso efficace di gestione della reputazione digitale, sia per chi
ha problemi consolidati di reputazione, sia per chi si imbatte in errori di comunicazione. Questa
regola ha però un’eccezione importante: durante le tragedie non si scherza.
1. Investimenti (di tempo, di risorse umane, economiche) di lungo periodo sulla gestione delle proprie
comunità digitali possono tornare enormemente utili quando si tratta di gestire una crisi di
comunicazione: avere una comunità fidelizzata e una base di utenti larga può aiutare a
trasformare un problema in un’opportunità.
1. Comunicazione di crisi = CIAONE agli orari di ufficio canonici
1. Prima di lanciare un hashtag, assicurati che la scelta non sia un boomerang per la tua
comunicazione (non è indispensabile lanciare un hashtag, tra le altre cose. Il mondo andrà avanti
ugualmente)
2. Errare social non est. Social media management = regola di Chuck Palahniuk: “Non importa quanto
lavori duro, o quanto diventi in gamba. Sarai sempre e soltanto ricordato per quell’unica scelta
sbagliata.”