Carlo Trionfi - L'attività del minotauro nel sistema penale minorile
Carlo Trionfi - Lavoro psicologico e procedimento penale
1. CARLO TRIONFI
Lavoro psicologico e procedimento penale
L’intervento della giustizia in adolescenza avviene solitamente come scelta estrema in risposta ad agiti
e comportamenti trasgressivi reiterati o ad agiti antisociali violenti. Quando il contesto ambientale (familiare
e sociale) in cui si trova inserito l’adolescente non è in grado di fornire o promuovere risposte di
contenimento efficaci, si pone l’esigenza di intervenire tramite l’azione penale. L’interrogativo che ci
poniamo in questo intervento è il seguente: è possibile offrire un intervento psicologico, caratterizzato da un
attenzione agli affetti e al pensiero con adolescenti antisociali inseriti in un contesto, come quello penale,
anch’esso fortemente caratterizzato dall’azione?
Vorrei procedere illustrando a titolo di esempio un caso clinico per poi proporvi alcune risposte al
quesito.
Qualche tempo fa mi è capitato di leggere sul giornale un articolo sull’aumento della delinquenza
minorile. Affianco a questo articolo e a riprova di quanto teorizzato veniva riportato un fatto di cronaca.
L’articolo titolava circa così: “Minorenne immigrato rapina a volto scoperto tre banche in una notte”. Si
narrava di un giovane di 15 anni che in ventiquattro ore avrebbe rapinato tre sportelli bancari procurandosi
qualche centinaio di euro per essere poi fermato dalla polizia e tradotto in carcere. Nel mio lavoro al IPM
Beccaria di Milano ho avuto occasione di conoscere direttamente questo ragazzo. Mi soffermo qualche
minuto su questo caso per darvi un esempio concreto del tipo di intervento che si svolge all’interno dei
servizi della giustizia minorile.
Vedo Cosimo dopo alcune settimane che si trova in Beccaria. E’ educato e adeguato alla situazione di
colloquio, anche se il suo umore è depresso: sembra spaesato, rassegnato e con una scarsa fiducia in se stesso
e nella possibilità di risolvere i suoi problemi.
Descrive la sua situazione personale e familiare come connotata da molta sfortuna: il padre è morto di
morte violenta quando lui era ancora piccolo, la madre, una donna forte, l’unico pilastro della famiglia, si è
ammalata di tumore qualche anno fa. Per cercare delle cure l’intera famiglia si è trasferita a Milano. Un anno
fa la madre è morta. Trapiantata in una realtà differente e difficile la famiglia si è stretta intorno alla figura
della madre fino alla sua morte. Mancata la madre nessuno si è più preso cura di Cosimo che anche
legalmente è risultato in stato di abbandono. Dopo qualche mese Cosimo ha abbandonato la scuola. Si è
trovato a vivere ospite da uno o dall’altro fratello senza una fissa dimora. La situazione di disgregazione del
nucleo sembra aver favorito il contatto di Cosimo con il mondo delinquenziale suggerendo questa come
unico luogo alternativo di sviluppo e di appartenenza. Spesso la causa dei problemi viene attribuita alla sorte
contrastante e di conseguenza così anche la loro risoluzione viene rimessa nelle mani della sorte.
Emotivamente condivido con Cosimo la sensazione di malasorte e scompare la rappresentazione che mi ero
fatto inizialmente di un ragazzo violento , anche se non posso non pensare al momento del reato e
all’aggressività della rapina, di quel gesto ripetuto tre volte.
Cerco di comprendere i motivi di questo gesto che sembra aver avuto carattere improvviso e
impulsivo. Cosimo stesso non se ne dà spiegazione, afferma solo che aveva bisogno di soldi. Sostiene di
essere rimasto l’unico dei fratelli ancora senza un lavoro. Dopo qualche colloquio finalmente Cosimo mi
comunica quale era il suo progetto: mi racconta che in vista dell’anniversario della morte della madre aveva
2. intenzione di recarsi al suo paese di origine in Basilicata per visitare la tomba della madre, ma che non aveva
i soldi per farlo. Nella descrizione della sua vicenda familiare emerge come lui sia sempre stato considerato
dalla madre stessa come poco coraggioso e incapace di cavarsela da solo. Con Cosimo arriviamo a
condividere l’idea che in realtà il suo viaggio aveva per lui valore dimostrativo: presentarsi di fronte alla
tomba della madre e di fronte alla famiglia della madre con molto denaro (nella sua intenzione c’era l’idea di
portare un grande regalo sulla tomba della madre e di andare a stare per diverso tempo in alberghi di lusso)
in modo da dimostrare di aver acquisito una sua forza di essersi finalmente riscattato abbandonando
l’immagine infantile dipendente e impotente. Il gesto antisociale sembra poter essere visto come un tentativo
illusorio di ritrovare davanti a se stessi e davanti ai propri affetti la propria potenza e di poter così accedere
finalmente ad un riconoscimento di adultità da parte dell’intera famiglia.
In questa fase di valutazione ho avuto modo di condividere questa ipotesi con l’equipe di trattamento
formata da educatori, assistenti sociali, insegnanti e agenti di polizia. Bisognava ora formulare un intervento
che rispondesse ai bisogni di Cosimo. Quelli che lo avevano spinto a delinquere: il bisogno di appartenenza
alla famiglia e di riconoscimento e quello di acquisizione di un senso di potere nel gestire la realtà senza
venire trascinati dalla malasorte. L’assistente sociale riferisce all’equipe che una sorella di Cosimo sarebbe
forse pronta ad accoglierlo in casa e ad assumersene la tutela legale. Si inizia un lungo lavoro di ripresa della
relazione fra Cosimo e la sorella, attraverso colloqui congiunti. La ripresa della relazione con la sorella
solleva molto Cosimo che finalmente appare meno depresso e pronto a dedicarsi alle attività scolastiche e
lavorative che gli vengono proposte all’interno del carcere. Dopo due anni di detenzione il TM offre a
Cosimo la possibilità di uscire dal carcere con una misura alternativa alla detenzione. Viene richiesto il
collocamento presso la sorella, e la frequenza di un corso di meccanica. Fra le prescrizioni che Cosimo deve
rispettare vi è la prosecuzione dell’intervento psicologico e sociale. Uscito dal carcere Cosimo, dopo qualche
mese chiede un permesso speciale al TM per andare a visitare la tomba della madre insieme alla sorella.
Questo caso mette in chiara evidenza alcune caratteristiche centrali presenti negli adolescenti che
commettono reati e mostra alcune strategie di intervento:
Innanzitutto i ragazzi che commettono reati, come Cosimo, hanno:
1) difficoltà a dare un senso agli eventi della loro vita. Spesso sono confusi e hanno la
sensazione appresa che la vita offra loro esperienze relazionali e sociali senza senso, slegate fra loro
e disorganizzate. C’è una sfiducia appresa rispetto alla coerenza della realtà e della rappresentazione
sociale. La realtà viene compresa, ma non viene rappresentata come coerente, soddisfacente o dotata
di senso. Spesso questo vissuto è conseguenza di vissuti traumatici. (eventuale accenno allo stile di
attaccamento disorganizzante).
2) Difficoltà a percepirsi come soggetti attivi delle proprie intenzioni e a percepire le
proprie azioni come capaci di modificare l’ambiente sociale (sense of agency). Questo disorganizza
il comportamento nella misura in cui si ha la sensazione che le proprie azioni non abbiano mai
alcuna conseguenza, sia in termini positivi di modifica delle relazioni in senso evolutivo sia in
termini negativi rispetto alle azioni antisociali: non viene chiaramente percepito il danno,
conseguenza dell’azione antisociale.
Queste due caratteristiche qualificano quello che si potrebbe definire come “disturbo della
responsabilità”. Il riconoscimento della propria responsabilità in un evento è strettamente legato alla
capacità di vivere la realtà sociale come coerente e alla fiducia di poter avere un effetto sulla realtà
sociale. In mancanza di questo sentimento l’adolescente non sembra in grado di cogliere affettivamente
il valore negativo delle sue azioni antisociali, in quanto ha appreso l’impressione che le sue azioni non
modificano l’ambiente e la realtà. Spesso il reato, come nel nostro caso è interpretabile come tentativo
estremo, talvolta come agito coattivo, per combattere tale senso di incompetenza e di inefficacacia.
Anche la responsabilità rispetto alla propria sorte non viene riconosciuta come appartenete a se
stessi in quanto non viene colta la possibilità di poter modificare con le proprie azioni la propria sorte.
E’ quanto riporta Cosimo quando parla del destino avverso, della malasorte, nel nostro caso.
3. L’intervento istituzionale con adolescenti sottoposti a procedimento penale può essere visto come
un processo che riabilita il senso di responsabilità.
A tal fine è innanzitutto necessario avviare un percorso valutativo in grado di fornire un’ipotesi,
un significato alle azioni antisociali dell’adolescente e di cogliere i suoi bisogni riconoscendoli.
Il valore principale dell’intervento valutativo all’interno dei servizi della giustizia è quello di dare
un senso alle azioni dell’adolescente riconoscendole come tentativi di risposta ad un bisogno profondo,
come abbiamo cercato di fare nell’intervento sopra citato.
Lo psicologo, più di ogni altra figura professionale impegnata nel lavoro nei servizi della giustizia,
ha la capacità e il mandato per comprendere il significato profondo del gesto delinquenziale, per cogliere
quali siano i bisogni, le spinte profonde che hanno portato quel adolescente, in quel momento della sua
vita a compiere un’azione antisociale.
La comprensione dei bisogni alla base del reato (i criminogenic needs) è fondamentale per
impostare un buon intervento riabilitativo (diapositiva sul successo degli interventi centrati sui
criminogenic needs).
Due momenti decisivi per la messa a punto dell’intervento riabilitativo sono:
1) La riunione dell’equipe di trattamento
2) l’udienza penale.
1) Nel momento di riunione dell’equipe lo psicologo ha l’occasione di condividere con
agli altri operatori le sue ipotesi favorendo anche negli altri operatori la comprensione del senso del
percorso evolutivo dell’adolescente e del suo percorso all’interno dei servizi della giustizia minorile.
2) All’interno dell’udienza penale le osservazioni psicologiche, insieme a quelle
educative e sociali aiutano il giudice a decidere in merito all’applicazione della misura penale.
E’ possibile così mettere a punto delle strategie di intervento attraverso risposte riabilitative di
carattere penale, sociale, educativo e psicologico. Tali risposte dal forte valore simbolico devono essere
in grado di fornire un continuo rispecchiamento ambientale coerente e stabile in cui l’adolescente possa
sentirsi riconosciuto nei suoi bisogni e possa essere aiutato a ritrovare la fiducia nella capacità di
modificare la sua sorte attraverso le sue stesse azioni sociali. L’equipe di trattamento che riflette sulle
azioni di un adolescente può essere così in grado di offrirgli attraverso il sistema penale e con l’aiuto del
giudice del TM, delle risposte altamente simbolizzate e coerenti che lo potranno aiutare a riabilitare il
suo senso di responsabilità sociale. Tali risposte devono essere strettamente correlate con i bisogni
dell’adolescente, rimandando inesorabilmente all’adolescente la sensazione che i suoi bisogni profondi
(non le sue richieste) sono stati finalmente ascoltati. Così nel caso presentato si è cercato di formulare un
intervento attivo di riattivazione delle relazioni familiari per rispondere al bisogno di Cosimo di
appartenenza familiare e abbiamo favorito la riattivazione di competenze lavorative attraverso
l’inserimento in un corso di meccanica per offrire a Cosimo un senso di competenza e di efficacia.
Esiste, a mio parere, anche un altro livello a cui agisce il rispecchiamento da parte dell’ambiente
istituzionale.
Se un primo livello (di cui abbiamo parlato) è legato alla formulazione di un progetto individuale, un
secondo livello attiene al riconoscimento stesso da parte dell’istituzione dei bisogni, dei diritti e dei doveri
condivisi da tutti gli adolescenti sottoposto a procedimento penale. Questo secondo livello di riconoscimento
di cui ci andiamo ora ad occupare è uguale per tutti gli adolescenti sottoposti a procedimento penale e
dipende da come l’istituzione vede questi ragazzi, quali bisogni essenziali riconosce loro; ha un carattere
ambientale ed e funzionale alla riabilitazione di aspetti del sé generali legati all’individuo come portatore di
diritti e di doveri e a caratteristiche legate all’età evolutiva in cui si trovano questi adolescenti.
Questo secondo livello di intervento risulta fondamentale in quanto spesso nella storia di questi
ragazzi i diritti fondamentali non sono stati riconosciuti amplificando così in modo traumatico la sensazione
di incoerenza e di impotenza appresa.
4. Per comprendere meglio a che cosa mi riferisco posso fare appello ad alcune Raccomandazioni
relative al trattamento dei minori sottoposti a procedimento penale che sono state emanate dal Comitato
Europeo per i Problemi Criminali Minorili.
1) Il minore come soggetto di diritti. Il minore, prima di essere portatore di doveri
sociali è soggetto di diritti particolari che vogliono tutelare il suo stato di fragilità e il suo sviluppo.
L’art. 40 della Convenzione sui diritti del Fanciullo sottolinea il diritto ad essere inserito nella
società e ad essere educato per poter svolgere un ruolo costruttivo al suo interno. Devono essere
quindi favorite le risposte integrative.
2) La privazione della libertà come ultima ratio. Ne consegue che la detenzione deve
essere uno strumento utilizzato soltanto in casi di forte pericolosità sociale in quanto priva
l’adolescente della libertà e non favorisce l’integrazione sociale. Inoltre l’efficacia della misura della
detenzione è dubbia e quindi va limitata il più possibile. (inserire slide sulla ricerca sull’efficacia
degli interventi). L’integrazione sociale rimane come obiettivo fondamentale della riabilitazione
dell’adolescente che ha commesso un reato. La privazione della libertà personale, anche se talvolta è
necessaria, è di per sé mortificante e, perlomeno inizialmente, amplifica il vissuto depressivo
favorendo un senso di impotenza. Soltanto la significazione di tale limitazione come di una misura
temporanea simbolizzata come sosta obbligatoria in cui viene limitato fisicamente l’agito
danneggiante e aggressivo al fine di una comprensione della propria situazione personale e in vista di
una ripresa evolutiva consente all’adolescente di vivere tale misura come riabilitativa.
3) La necessità di una giustizia specializzata. La legislazione italiana distingue la
giustizia da applicare agli adulti da quella specializzata per i minorenni. Questo è simbolizzato
istituzionalmente dalla presenza del Tribunale per i Minorenni. Questa istituzione, che è
universalmente riconosciuta come una conquista sociale importante sembra oggi scontata, ma
dobbiamo ricordare che è stata introdotta soltanto da pochi decenni (1934) e che in altri paesi, anche
appartenenti al mondo occidentale non esiste! La presenza di un procedimento penale particolare per
i minorenni e di un’istituzione specifica con personale specializzato rimanda all’adolescente
l’immagine di essere speciale, gli riconosce uno stato diverso caratterizzato da una particolare
attenzione all’individuo e al momento evolutivo in cui si trova. Per esempio il procedimento penale
minorile si caratterizza per la possibilità di giudicare la pena non soltanto in base al reato, ma
specialmente in base all’individuo e al suo momento evolutivo con l’attenzione particolare a favorire
la continuità educativa.
Diviene molto importante sottolineare oggi questi fattori ambientali che sottendono all’idea che la
società ha dell’adolescente antisociale come di un soggetto in crisi evolutiva da riabilitare favorendo la
sua integrazione sociale e non come un soggetto pericoloso da isolare ed estromettere.
Ci sono paesi in cui negli ultimi anni l’idea stessa di adolescente antisociale sembra essersi
pericolosamente modificata portando, anche sotto la spinta dei media ad una recrudescenza delle pene.
Il sistema penale negli Stati Uniti e in Gran Bretagna.
Negli Stati Uniti quasi tutti gli stati hanno modificato la legislazione penale minorile per
rispondere al forte incremento di crimini violenti che si è presentato fra il 1989 e il 1993. Tali modifiche
erano nell’ordine di:
1) sottrarre un numero sempre maggiore di minori al giudizio speciale della giustizia
minorile per sottoporli al giudizio del tribunale ordinario (unificando le procedure e le sentenze per i
reati gravi, permettendo l’intervento del tribunale ordinario in casi particolari, trasferendo minorenni
in strutture detentive per adulti).
2) Aumentare la severità del procedimento penale minorile, favorendo la detenzione e
le pene prolungate.
3) Burocratizzare e depersonalizzare i procedimenti penali minorili.
4) Diminuire l’età di imputabilità e di responsabilità penale che in alcuni stati
attualmente è di 10 anni. (Youth on Trial, Grisso)
5. Anche in Inghilterra, nel 2000 il governo ha fatto della lotta alla delinquenza minorile una delle
sue 5 priorità riformando il sistema penale nella direzione di una recrudescenza delle pene:
1) l’età di imputabilità è stata abbassata a 10 anni.
2) sono state introdotte misure di sorveglianza o prescrittive non solo per i minori autori
di reato, ma anche per quelli a rischio (coprifuoco, controlli personali frequenti, eccetera). Si esce
così dal principio della legalità per imporre misure penali a minori che non sono soggetti penali.
L’idea di fondo di questo genere di interventi sembra essere quella di migliorare i rapporti
all’interno della comunità criminalizzando certi comportamenti che non si riesce a gestire. Il rischio
sembra essere quello di offrire all’adolescente o al bambino attraverso misure penali adottate
precocemente un rispecchiamento identitario criminale inadeguato che potrebbe rendergli più difficile
superare le difficoltà che lo portano ad avere comportamenti inadeguati.
Fortunatamente in Italia, la legislazione riconosce, invece, nel procedimento penale minorile la
centralità del minore come soggetto di diritti e l’importanza della valutazione psicologica per tutti i
minori autori di reato e una valenza altamente riabilitativa della pena che avrebbe la funzione prevalente
di reintegrare socialmente l’adolescente. (dpr 448/88).
E’ questa cornice legislativa che ci offre il terreno per poter intervenire con l’adolescente
sottoposto a procedimento penale cercando per lui percorsi di recupero maturativo alternativi a quelli
delinqunziali e abbassando così il rischio che commetta nuovi reati.