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CARLO TRIONFI
                                                             Lavoro psicologico e procedimento penale




       L’intervento della giustizia in adolescenza avviene solitamente come scelta estrema in risposta ad agiti
e comportamenti trasgressivi reiterati o ad agiti antisociali violenti. Quando il contesto ambientale (familiare
e sociale) in cui si trova inserito l’adolescente non è in grado di fornire o promuovere risposte di
contenimento efficaci, si pone l’esigenza di intervenire tramite l’azione penale. L’interrogativo che ci
poniamo in questo intervento è il seguente: è possibile offrire un intervento psicologico, caratterizzato da un
attenzione agli affetti e al pensiero con adolescenti antisociali inseriti in un contesto, come quello penale,
anch’esso fortemente caratterizzato dall’azione?
       Vorrei procedere illustrando a titolo di esempio un caso clinico per poi proporvi alcune risposte al
quesito.
       Qualche tempo fa mi è capitato di leggere sul giornale un articolo sull’aumento della delinquenza
minorile. Affianco a questo articolo e a riprova di quanto teorizzato veniva riportato un fatto di cronaca.
L’articolo titolava circa così: “Minorenne immigrato rapina a volto scoperto tre banche in una notte”. Si
narrava di un giovane di 15 anni che in ventiquattro ore avrebbe rapinato tre sportelli bancari procurandosi
qualche centinaio di euro per essere poi fermato dalla polizia e tradotto in carcere. Nel mio lavoro al IPM
Beccaria di Milano ho avuto occasione di conoscere direttamente questo ragazzo. Mi soffermo qualche
minuto su questo caso per darvi un esempio concreto del tipo di intervento che si svolge all’interno dei
servizi della giustizia minorile.
       Vedo Cosimo dopo alcune settimane che si trova in Beccaria. E’ educato e adeguato alla situazione di
colloquio, anche se il suo umore è depresso: sembra spaesato, rassegnato e con una scarsa fiducia in se stesso
e nella possibilità di risolvere i suoi problemi.
       Descrive la sua situazione personale e familiare come connotata da molta sfortuna: il padre è morto di
morte violenta quando lui era ancora piccolo, la madre, una donna forte, l’unico pilastro della famiglia, si è
ammalata di tumore qualche anno fa. Per cercare delle cure l’intera famiglia si è trasferita a Milano. Un anno
fa la madre è morta. Trapiantata in una realtà differente e difficile la famiglia si è stretta intorno alla figura
della madre fino alla sua morte. Mancata la madre nessuno si è più preso cura di Cosimo che anche
legalmente è risultato in stato di abbandono. Dopo qualche mese Cosimo ha abbandonato la scuola. Si è
trovato a vivere ospite da uno o dall’altro fratello senza una fissa dimora. La situazione di disgregazione del
nucleo sembra aver favorito il contatto di Cosimo con il mondo delinquenziale suggerendo questa come
unico luogo alternativo di sviluppo e di appartenenza. Spesso la causa dei problemi viene attribuita alla sorte
contrastante e di conseguenza così anche la loro risoluzione viene rimessa nelle mani della sorte.
Emotivamente condivido con Cosimo la sensazione di malasorte e scompare la rappresentazione che mi ero
fatto inizialmente di un ragazzo violento , anche se non posso non pensare al momento del reato e
all’aggressività della rapina, di quel gesto ripetuto tre volte.
       Cerco di comprendere i motivi di questo gesto che sembra aver avuto carattere improvviso e
impulsivo. Cosimo stesso non se ne dà spiegazione, afferma solo che aveva bisogno di soldi. Sostiene di
essere rimasto l’unico dei fratelli ancora senza un lavoro. Dopo qualche colloquio finalmente Cosimo mi
comunica quale era il suo progetto: mi racconta che in vista dell’anniversario della morte della madre aveva
intenzione di recarsi al suo paese di origine in Basilicata per visitare la tomba della madre, ma che non aveva
i soldi per farlo. Nella descrizione della sua vicenda familiare emerge come lui sia sempre stato considerato
dalla madre stessa come poco coraggioso e incapace di cavarsela da solo. Con Cosimo arriviamo a
condividere l’idea che in realtà il suo viaggio aveva per lui valore dimostrativo: presentarsi di fronte alla
tomba della madre e di fronte alla famiglia della madre con molto denaro (nella sua intenzione c’era l’idea di
portare un grande regalo sulla tomba della madre e di andare a stare per diverso tempo in alberghi di lusso)
in modo da dimostrare di aver acquisito una sua forza di essersi finalmente riscattato abbandonando
l’immagine infantile dipendente e impotente. Il gesto antisociale sembra poter essere visto come un tentativo
illusorio di ritrovare davanti a se stessi e davanti ai propri affetti la propria potenza e di poter così accedere
finalmente ad un riconoscimento di adultità da parte dell’intera famiglia.
        In questa fase di valutazione ho avuto modo di condividere questa ipotesi con l’equipe di trattamento
formata da educatori, assistenti sociali, insegnanti e agenti di polizia. Bisognava ora formulare un intervento
che rispondesse ai bisogni di Cosimo. Quelli che lo avevano spinto a delinquere: il bisogno di appartenenza
alla famiglia e di riconoscimento e quello di acquisizione di un senso di potere nel gestire la realtà senza
venire trascinati dalla malasorte. L’assistente sociale riferisce all’equipe che una sorella di Cosimo sarebbe
forse pronta ad accoglierlo in casa e ad assumersene la tutela legale. Si inizia un lungo lavoro di ripresa della
relazione fra Cosimo e la sorella, attraverso colloqui congiunti. La ripresa della relazione con la sorella
solleva molto Cosimo che finalmente appare meno depresso e pronto a dedicarsi alle attività scolastiche e
lavorative che gli vengono proposte all’interno del carcere. Dopo due anni di detenzione il TM offre a
Cosimo la possibilità di uscire dal carcere con una misura alternativa alla detenzione. Viene richiesto il
collocamento presso la sorella, e la frequenza di un corso di meccanica. Fra le prescrizioni che Cosimo deve
rispettare vi è la prosecuzione dell’intervento psicologico e sociale. Uscito dal carcere Cosimo, dopo qualche
mese chiede un permesso speciale al TM per andare a visitare la tomba della madre insieme alla sorella.
        Questo caso mette in chiara evidenza alcune caratteristiche centrali presenti negli adolescenti che
commettono reati e mostra alcune strategie di intervento:
        Innanzitutto i ragazzi che commettono reati, come Cosimo, hanno:
                 1)        difficoltà a dare un senso agli eventi della loro vita. Spesso sono confusi e hanno la
          sensazione appresa che la vita offra loro esperienze relazionali e sociali senza senso, slegate fra loro
          e disorganizzate. C’è una sfiducia appresa rispetto alla coerenza della realtà e della rappresentazione
          sociale. La realtà viene compresa, ma non viene rappresentata come coerente, soddisfacente o dotata
          di senso. Spesso questo vissuto è conseguenza di vissuti traumatici. (eventuale accenno allo stile di
          attaccamento disorganizzante).
                 2)        Difficoltà a percepirsi come soggetti attivi delle proprie intenzioni e a percepire le
          proprie azioni come capaci di modificare l’ambiente sociale (sense of agency). Questo disorganizza
          il comportamento nella misura in cui si ha la sensazione che le proprie azioni non abbiano mai
          alcuna conseguenza, sia in termini positivi di modifica delle relazioni in senso evolutivo sia in
          termini negativi rispetto alle azioni antisociali: non viene chiaramente percepito il danno,
          conseguenza dell’azione antisociale.
             Queste due caratteristiche qualificano quello che si potrebbe definire come “disturbo della
     responsabilità”. Il riconoscimento della propria responsabilità in un evento è strettamente legato alla
     capacità di vivere la realtà sociale come coerente e alla fiducia di poter avere un effetto sulla realtà
     sociale. In mancanza di questo sentimento l’adolescente non sembra in grado di cogliere affettivamente
     il valore negativo delle sue azioni antisociali, in quanto ha appreso l’impressione che le sue azioni non
     modificano l’ambiente e la realtà. Spesso il reato, come nel nostro caso è interpretabile come tentativo
     estremo, talvolta come agito coattivo, per combattere tale senso di incompetenza e di inefficacacia.
             Anche la responsabilità rispetto alla propria sorte non viene riconosciuta come appartenete a se
     stessi in quanto non viene colta la possibilità di poter modificare con le proprie azioni la propria sorte.
             E’ quanto riporta Cosimo quando parla del destino avverso, della malasorte, nel nostro caso.
L’intervento istituzionale con adolescenti sottoposti a procedimento penale può essere visto come
    un processo che riabilita il senso di responsabilità.
           A tal fine è innanzitutto necessario avviare un percorso valutativo in grado di fornire un’ipotesi,
    un significato alle azioni antisociali dell’adolescente e di cogliere i suoi bisogni riconoscendoli.
           Il valore principale dell’intervento valutativo all’interno dei servizi della giustizia è quello di dare
    un senso alle azioni dell’adolescente riconoscendole come tentativi di risposta ad un bisogno profondo,
    come abbiamo cercato di fare nell’intervento sopra citato.
           Lo psicologo, più di ogni altra figura professionale impegnata nel lavoro nei servizi della giustizia,
    ha la capacità e il mandato per comprendere il significato profondo del gesto delinquenziale, per cogliere
    quali siano i bisogni, le spinte profonde che hanno portato quel adolescente, in quel momento della sua
    vita a compiere un’azione antisociale.
           La comprensione dei bisogni alla base del reato (i criminogenic needs) è fondamentale per
    impostare un buon intervento riabilitativo (diapositiva sul successo degli interventi centrati sui
    criminogenic needs).
           Due momenti decisivi per la messa a punto dell’intervento riabilitativo sono:
                1)        La riunione dell’equipe di trattamento
                2)        l’udienza penale.
                1)        Nel momento di riunione dell’equipe lo psicologo ha l’occasione di condividere con
         agli altri operatori le sue ipotesi favorendo anche negli altri operatori la comprensione del senso del
         percorso evolutivo dell’adolescente e del suo percorso all’interno dei servizi della giustizia minorile.
                2)        All’interno dell’udienza penale le osservazioni psicologiche, insieme a quelle
         educative e sociali aiutano il giudice a decidere in merito all’applicazione della misura penale.
           E’ possibile così mettere a punto delle strategie di intervento attraverso risposte riabilitative di
    carattere penale, sociale, educativo e psicologico. Tali risposte dal forte valore simbolico devono essere
    in grado di fornire un continuo rispecchiamento ambientale coerente e stabile in cui l’adolescente possa
    sentirsi riconosciuto nei suoi bisogni e possa essere aiutato a ritrovare la fiducia nella capacità di
    modificare la sua sorte attraverso le sue stesse azioni sociali. L’equipe di trattamento che riflette sulle
    azioni di un adolescente può essere così in grado di offrirgli attraverso il sistema penale e con l’aiuto del
    giudice del TM, delle risposte altamente simbolizzate e coerenti che lo potranno aiutare a riabilitare il
    suo senso di responsabilità sociale. Tali risposte devono essere strettamente correlate con i bisogni
    dell’adolescente, rimandando inesorabilmente all’adolescente la sensazione che i suoi bisogni profondi
    (non le sue richieste) sono stati finalmente ascoltati. Così nel caso presentato si è cercato di formulare un
    intervento attivo di riattivazione delle relazioni familiari per rispondere al bisogno di Cosimo di
    appartenenza familiare e abbiamo favorito la riattivazione di competenze lavorative attraverso
    l’inserimento in un corso di meccanica per offrire a Cosimo un senso di competenza e di efficacia.

             Esiste, a mio parere, anche un altro livello a cui agisce il rispecchiamento da parte dell’ambiente
     istituzionale.
        Se un primo livello (di cui abbiamo parlato) è legato alla formulazione di un progetto individuale, un
secondo livello attiene al riconoscimento stesso da parte dell’istituzione dei bisogni, dei diritti e dei doveri
condivisi da tutti gli adolescenti sottoposto a procedimento penale. Questo secondo livello di riconoscimento
di cui ci andiamo ora ad occupare è uguale per tutti gli adolescenti sottoposti a procedimento penale e
dipende da come l’istituzione vede questi ragazzi, quali bisogni essenziali riconosce loro; ha un carattere
ambientale ed e funzionale alla riabilitazione di aspetti del sé generali legati all’individuo come portatore di
diritti e di doveri e a caratteristiche legate all’età evolutiva in cui si trovano questi adolescenti.
        Questo secondo livello di intervento risulta fondamentale in quanto spesso nella storia di questi
ragazzi i diritti fondamentali non sono stati riconosciuti amplificando così in modo traumatico la sensazione
di incoerenza e di impotenza appresa.
Per comprendere meglio a che cosa mi riferisco posso fare appello ad alcune Raccomandazioni
relative al trattamento dei minori sottoposti a procedimento penale che sono state emanate dal Comitato
Europeo per i Problemi Criminali Minorili.
                 1)       Il minore come soggetto di diritti. Il minore, prima di essere portatore di doveri
         sociali è soggetto di diritti particolari che vogliono tutelare il suo stato di fragilità e il suo sviluppo.
         L’art. 40 della Convenzione sui diritti del Fanciullo sottolinea il diritto ad essere inserito nella
         società e ad essere educato per poter svolgere un ruolo costruttivo al suo interno. Devono essere
         quindi favorite le risposte integrative.
                 2)       La privazione della libertà come ultima ratio. Ne consegue che la detenzione deve
         essere uno strumento utilizzato soltanto in casi di forte pericolosità sociale in quanto priva
         l’adolescente della libertà e non favorisce l’integrazione sociale. Inoltre l’efficacia della misura della
         detenzione è dubbia e quindi va limitata il più possibile. (inserire slide sulla ricerca sull’efficacia
         degli interventi). L’integrazione sociale rimane come obiettivo fondamentale della riabilitazione
         dell’adolescente che ha commesso un reato. La privazione della libertà personale, anche se talvolta è
         necessaria, è di per sé mortificante e, perlomeno inizialmente, amplifica il vissuto depressivo
         favorendo un senso di impotenza. Soltanto la significazione di tale limitazione come di una misura
         temporanea simbolizzata come sosta obbligatoria in cui viene limitato fisicamente l’agito
         danneggiante e aggressivo al fine di una comprensione della propria situazione personale e in vista di
         una ripresa evolutiva consente all’adolescente di vivere tale misura come riabilitativa.
                 3)       La necessità di una giustizia specializzata. La legislazione italiana distingue la
         giustizia da applicare agli adulti da quella specializzata per i minorenni. Questo è simbolizzato
         istituzionalmente dalla presenza del Tribunale per i Minorenni. Questa istituzione, che è
         universalmente riconosciuta come una conquista sociale importante sembra oggi scontata, ma
         dobbiamo ricordare che è stata introdotta soltanto da pochi decenni (1934) e che in altri paesi, anche
         appartenenti al mondo occidentale non esiste! La presenza di un procedimento penale particolare per
         i minorenni e di un’istituzione specifica con personale specializzato rimanda all’adolescente
         l’immagine di essere speciale, gli riconosce uno stato diverso caratterizzato da una particolare
         attenzione all’individuo e al momento evolutivo in cui si trova. Per esempio il procedimento penale
         minorile si caratterizza per la possibilità di giudicare la pena non soltanto in base al reato, ma
         specialmente in base all’individuo e al suo momento evolutivo con l’attenzione particolare a favorire
         la continuità educativa.
            Diviene molto importante sottolineare oggi questi fattori ambientali che sottendono all’idea che la
    società ha dell’adolescente antisociale come di un soggetto in crisi evolutiva da riabilitare favorendo la
    sua integrazione sociale e non come un soggetto pericoloso da isolare ed estromettere.
            Ci sono paesi in cui negli ultimi anni l’idea stessa di adolescente antisociale sembra essersi
    pericolosamente modificata portando, anche sotto la spinta dei media ad una recrudescenza delle pene.
            Il sistema penale negli Stati Uniti e in Gran Bretagna.
            Negli Stati Uniti quasi tutti gli stati hanno modificato la legislazione penale minorile per
    rispondere al forte incremento di crimini violenti che si è presentato fra il 1989 e il 1993. Tali modifiche
    erano nell’ordine di:
                 1)       sottrarre un numero sempre maggiore di minori al giudizio speciale della giustizia
         minorile per sottoporli al giudizio del tribunale ordinario (unificando le procedure e le sentenze per i
         reati gravi, permettendo l’intervento del tribunale ordinario in casi particolari, trasferendo minorenni
         in strutture detentive per adulti).
                 2)       Aumentare la severità del procedimento penale minorile, favorendo la detenzione e
         le pene prolungate.
                 3)       Burocratizzare e depersonalizzare i procedimenti penali minorili.
                 4)       Diminuire l’età di imputabilità e di responsabilità penale che in alcuni stati
         attualmente è di 10 anni. (Youth on Trial, Grisso)
Anche in Inghilterra, nel 2000 il governo ha fatto della lotta alla delinquenza minorile una delle
sue 5 priorità riformando il sistema penale nella direzione di una recrudescenza delle pene:
            1)        l’età di imputabilità è stata abbassata a 10 anni.
            2)        sono state introdotte misure di sorveglianza o prescrittive non solo per i minori autori
     di reato, ma anche per quelli a rischio (coprifuoco, controlli personali frequenti, eccetera). Si esce
     così dal principio della legalità per imporre misure penali a minori che non sono soggetti penali.
       L’idea di fondo di questo genere di interventi sembra essere quella di migliorare i rapporti
all’interno della comunità criminalizzando certi comportamenti che non si riesce a gestire. Il rischio
sembra essere quello di offrire all’adolescente o al bambino attraverso misure penali adottate
precocemente un rispecchiamento identitario criminale inadeguato che potrebbe rendergli più difficile
superare le difficoltà che lo portano ad avere comportamenti inadeguati.
       Fortunatamente in Italia, la legislazione riconosce, invece, nel procedimento penale minorile la
centralità del minore come soggetto di diritti e l’importanza della valutazione psicologica per tutti i
minori autori di reato e una valenza altamente riabilitativa della pena che avrebbe la funzione prevalente
di reintegrare socialmente l’adolescente. (dpr 448/88).
       E’ questa cornice legislativa che ci offre il terreno per poter intervenire con l’adolescente
sottoposto a procedimento penale cercando per lui percorsi di recupero maturativo alternativi a quelli
delinqunziali e abbassando così il rischio che commetta nuovi reati.

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Carlo Trionfi - Lavoro psicologico e procedimento penale

  • 1. CARLO TRIONFI Lavoro psicologico e procedimento penale L’intervento della giustizia in adolescenza avviene solitamente come scelta estrema in risposta ad agiti e comportamenti trasgressivi reiterati o ad agiti antisociali violenti. Quando il contesto ambientale (familiare e sociale) in cui si trova inserito l’adolescente non è in grado di fornire o promuovere risposte di contenimento efficaci, si pone l’esigenza di intervenire tramite l’azione penale. L’interrogativo che ci poniamo in questo intervento è il seguente: è possibile offrire un intervento psicologico, caratterizzato da un attenzione agli affetti e al pensiero con adolescenti antisociali inseriti in un contesto, come quello penale, anch’esso fortemente caratterizzato dall’azione? Vorrei procedere illustrando a titolo di esempio un caso clinico per poi proporvi alcune risposte al quesito. Qualche tempo fa mi è capitato di leggere sul giornale un articolo sull’aumento della delinquenza minorile. Affianco a questo articolo e a riprova di quanto teorizzato veniva riportato un fatto di cronaca. L’articolo titolava circa così: “Minorenne immigrato rapina a volto scoperto tre banche in una notte”. Si narrava di un giovane di 15 anni che in ventiquattro ore avrebbe rapinato tre sportelli bancari procurandosi qualche centinaio di euro per essere poi fermato dalla polizia e tradotto in carcere. Nel mio lavoro al IPM Beccaria di Milano ho avuto occasione di conoscere direttamente questo ragazzo. Mi soffermo qualche minuto su questo caso per darvi un esempio concreto del tipo di intervento che si svolge all’interno dei servizi della giustizia minorile. Vedo Cosimo dopo alcune settimane che si trova in Beccaria. E’ educato e adeguato alla situazione di colloquio, anche se il suo umore è depresso: sembra spaesato, rassegnato e con una scarsa fiducia in se stesso e nella possibilità di risolvere i suoi problemi. Descrive la sua situazione personale e familiare come connotata da molta sfortuna: il padre è morto di morte violenta quando lui era ancora piccolo, la madre, una donna forte, l’unico pilastro della famiglia, si è ammalata di tumore qualche anno fa. Per cercare delle cure l’intera famiglia si è trasferita a Milano. Un anno fa la madre è morta. Trapiantata in una realtà differente e difficile la famiglia si è stretta intorno alla figura della madre fino alla sua morte. Mancata la madre nessuno si è più preso cura di Cosimo che anche legalmente è risultato in stato di abbandono. Dopo qualche mese Cosimo ha abbandonato la scuola. Si è trovato a vivere ospite da uno o dall’altro fratello senza una fissa dimora. La situazione di disgregazione del nucleo sembra aver favorito il contatto di Cosimo con il mondo delinquenziale suggerendo questa come unico luogo alternativo di sviluppo e di appartenenza. Spesso la causa dei problemi viene attribuita alla sorte contrastante e di conseguenza così anche la loro risoluzione viene rimessa nelle mani della sorte. Emotivamente condivido con Cosimo la sensazione di malasorte e scompare la rappresentazione che mi ero fatto inizialmente di un ragazzo violento , anche se non posso non pensare al momento del reato e all’aggressività della rapina, di quel gesto ripetuto tre volte. Cerco di comprendere i motivi di questo gesto che sembra aver avuto carattere improvviso e impulsivo. Cosimo stesso non se ne dà spiegazione, afferma solo che aveva bisogno di soldi. Sostiene di essere rimasto l’unico dei fratelli ancora senza un lavoro. Dopo qualche colloquio finalmente Cosimo mi comunica quale era il suo progetto: mi racconta che in vista dell’anniversario della morte della madre aveva
  • 2. intenzione di recarsi al suo paese di origine in Basilicata per visitare la tomba della madre, ma che non aveva i soldi per farlo. Nella descrizione della sua vicenda familiare emerge come lui sia sempre stato considerato dalla madre stessa come poco coraggioso e incapace di cavarsela da solo. Con Cosimo arriviamo a condividere l’idea che in realtà il suo viaggio aveva per lui valore dimostrativo: presentarsi di fronte alla tomba della madre e di fronte alla famiglia della madre con molto denaro (nella sua intenzione c’era l’idea di portare un grande regalo sulla tomba della madre e di andare a stare per diverso tempo in alberghi di lusso) in modo da dimostrare di aver acquisito una sua forza di essersi finalmente riscattato abbandonando l’immagine infantile dipendente e impotente. Il gesto antisociale sembra poter essere visto come un tentativo illusorio di ritrovare davanti a se stessi e davanti ai propri affetti la propria potenza e di poter così accedere finalmente ad un riconoscimento di adultità da parte dell’intera famiglia. In questa fase di valutazione ho avuto modo di condividere questa ipotesi con l’equipe di trattamento formata da educatori, assistenti sociali, insegnanti e agenti di polizia. Bisognava ora formulare un intervento che rispondesse ai bisogni di Cosimo. Quelli che lo avevano spinto a delinquere: il bisogno di appartenenza alla famiglia e di riconoscimento e quello di acquisizione di un senso di potere nel gestire la realtà senza venire trascinati dalla malasorte. L’assistente sociale riferisce all’equipe che una sorella di Cosimo sarebbe forse pronta ad accoglierlo in casa e ad assumersene la tutela legale. Si inizia un lungo lavoro di ripresa della relazione fra Cosimo e la sorella, attraverso colloqui congiunti. La ripresa della relazione con la sorella solleva molto Cosimo che finalmente appare meno depresso e pronto a dedicarsi alle attività scolastiche e lavorative che gli vengono proposte all’interno del carcere. Dopo due anni di detenzione il TM offre a Cosimo la possibilità di uscire dal carcere con una misura alternativa alla detenzione. Viene richiesto il collocamento presso la sorella, e la frequenza di un corso di meccanica. Fra le prescrizioni che Cosimo deve rispettare vi è la prosecuzione dell’intervento psicologico e sociale. Uscito dal carcere Cosimo, dopo qualche mese chiede un permesso speciale al TM per andare a visitare la tomba della madre insieme alla sorella. Questo caso mette in chiara evidenza alcune caratteristiche centrali presenti negli adolescenti che commettono reati e mostra alcune strategie di intervento: Innanzitutto i ragazzi che commettono reati, come Cosimo, hanno: 1) difficoltà a dare un senso agli eventi della loro vita. Spesso sono confusi e hanno la sensazione appresa che la vita offra loro esperienze relazionali e sociali senza senso, slegate fra loro e disorganizzate. C’è una sfiducia appresa rispetto alla coerenza della realtà e della rappresentazione sociale. La realtà viene compresa, ma non viene rappresentata come coerente, soddisfacente o dotata di senso. Spesso questo vissuto è conseguenza di vissuti traumatici. (eventuale accenno allo stile di attaccamento disorganizzante). 2) Difficoltà a percepirsi come soggetti attivi delle proprie intenzioni e a percepire le proprie azioni come capaci di modificare l’ambiente sociale (sense of agency). Questo disorganizza il comportamento nella misura in cui si ha la sensazione che le proprie azioni non abbiano mai alcuna conseguenza, sia in termini positivi di modifica delle relazioni in senso evolutivo sia in termini negativi rispetto alle azioni antisociali: non viene chiaramente percepito il danno, conseguenza dell’azione antisociale. Queste due caratteristiche qualificano quello che si potrebbe definire come “disturbo della responsabilità”. Il riconoscimento della propria responsabilità in un evento è strettamente legato alla capacità di vivere la realtà sociale come coerente e alla fiducia di poter avere un effetto sulla realtà sociale. In mancanza di questo sentimento l’adolescente non sembra in grado di cogliere affettivamente il valore negativo delle sue azioni antisociali, in quanto ha appreso l’impressione che le sue azioni non modificano l’ambiente e la realtà. Spesso il reato, come nel nostro caso è interpretabile come tentativo estremo, talvolta come agito coattivo, per combattere tale senso di incompetenza e di inefficacacia. Anche la responsabilità rispetto alla propria sorte non viene riconosciuta come appartenete a se stessi in quanto non viene colta la possibilità di poter modificare con le proprie azioni la propria sorte. E’ quanto riporta Cosimo quando parla del destino avverso, della malasorte, nel nostro caso.
  • 3. L’intervento istituzionale con adolescenti sottoposti a procedimento penale può essere visto come un processo che riabilita il senso di responsabilità. A tal fine è innanzitutto necessario avviare un percorso valutativo in grado di fornire un’ipotesi, un significato alle azioni antisociali dell’adolescente e di cogliere i suoi bisogni riconoscendoli. Il valore principale dell’intervento valutativo all’interno dei servizi della giustizia è quello di dare un senso alle azioni dell’adolescente riconoscendole come tentativi di risposta ad un bisogno profondo, come abbiamo cercato di fare nell’intervento sopra citato. Lo psicologo, più di ogni altra figura professionale impegnata nel lavoro nei servizi della giustizia, ha la capacità e il mandato per comprendere il significato profondo del gesto delinquenziale, per cogliere quali siano i bisogni, le spinte profonde che hanno portato quel adolescente, in quel momento della sua vita a compiere un’azione antisociale. La comprensione dei bisogni alla base del reato (i criminogenic needs) è fondamentale per impostare un buon intervento riabilitativo (diapositiva sul successo degli interventi centrati sui criminogenic needs). Due momenti decisivi per la messa a punto dell’intervento riabilitativo sono: 1) La riunione dell’equipe di trattamento 2) l’udienza penale. 1) Nel momento di riunione dell’equipe lo psicologo ha l’occasione di condividere con agli altri operatori le sue ipotesi favorendo anche negli altri operatori la comprensione del senso del percorso evolutivo dell’adolescente e del suo percorso all’interno dei servizi della giustizia minorile. 2) All’interno dell’udienza penale le osservazioni psicologiche, insieme a quelle educative e sociali aiutano il giudice a decidere in merito all’applicazione della misura penale. E’ possibile così mettere a punto delle strategie di intervento attraverso risposte riabilitative di carattere penale, sociale, educativo e psicologico. Tali risposte dal forte valore simbolico devono essere in grado di fornire un continuo rispecchiamento ambientale coerente e stabile in cui l’adolescente possa sentirsi riconosciuto nei suoi bisogni e possa essere aiutato a ritrovare la fiducia nella capacità di modificare la sua sorte attraverso le sue stesse azioni sociali. L’equipe di trattamento che riflette sulle azioni di un adolescente può essere così in grado di offrirgli attraverso il sistema penale e con l’aiuto del giudice del TM, delle risposte altamente simbolizzate e coerenti che lo potranno aiutare a riabilitare il suo senso di responsabilità sociale. Tali risposte devono essere strettamente correlate con i bisogni dell’adolescente, rimandando inesorabilmente all’adolescente la sensazione che i suoi bisogni profondi (non le sue richieste) sono stati finalmente ascoltati. Così nel caso presentato si è cercato di formulare un intervento attivo di riattivazione delle relazioni familiari per rispondere al bisogno di Cosimo di appartenenza familiare e abbiamo favorito la riattivazione di competenze lavorative attraverso l’inserimento in un corso di meccanica per offrire a Cosimo un senso di competenza e di efficacia. Esiste, a mio parere, anche un altro livello a cui agisce il rispecchiamento da parte dell’ambiente istituzionale. Se un primo livello (di cui abbiamo parlato) è legato alla formulazione di un progetto individuale, un secondo livello attiene al riconoscimento stesso da parte dell’istituzione dei bisogni, dei diritti e dei doveri condivisi da tutti gli adolescenti sottoposto a procedimento penale. Questo secondo livello di riconoscimento di cui ci andiamo ora ad occupare è uguale per tutti gli adolescenti sottoposti a procedimento penale e dipende da come l’istituzione vede questi ragazzi, quali bisogni essenziali riconosce loro; ha un carattere ambientale ed e funzionale alla riabilitazione di aspetti del sé generali legati all’individuo come portatore di diritti e di doveri e a caratteristiche legate all’età evolutiva in cui si trovano questi adolescenti. Questo secondo livello di intervento risulta fondamentale in quanto spesso nella storia di questi ragazzi i diritti fondamentali non sono stati riconosciuti amplificando così in modo traumatico la sensazione di incoerenza e di impotenza appresa.
  • 4. Per comprendere meglio a che cosa mi riferisco posso fare appello ad alcune Raccomandazioni relative al trattamento dei minori sottoposti a procedimento penale che sono state emanate dal Comitato Europeo per i Problemi Criminali Minorili. 1) Il minore come soggetto di diritti. Il minore, prima di essere portatore di doveri sociali è soggetto di diritti particolari che vogliono tutelare il suo stato di fragilità e il suo sviluppo. L’art. 40 della Convenzione sui diritti del Fanciullo sottolinea il diritto ad essere inserito nella società e ad essere educato per poter svolgere un ruolo costruttivo al suo interno. Devono essere quindi favorite le risposte integrative. 2) La privazione della libertà come ultima ratio. Ne consegue che la detenzione deve essere uno strumento utilizzato soltanto in casi di forte pericolosità sociale in quanto priva l’adolescente della libertà e non favorisce l’integrazione sociale. Inoltre l’efficacia della misura della detenzione è dubbia e quindi va limitata il più possibile. (inserire slide sulla ricerca sull’efficacia degli interventi). L’integrazione sociale rimane come obiettivo fondamentale della riabilitazione dell’adolescente che ha commesso un reato. La privazione della libertà personale, anche se talvolta è necessaria, è di per sé mortificante e, perlomeno inizialmente, amplifica il vissuto depressivo favorendo un senso di impotenza. Soltanto la significazione di tale limitazione come di una misura temporanea simbolizzata come sosta obbligatoria in cui viene limitato fisicamente l’agito danneggiante e aggressivo al fine di una comprensione della propria situazione personale e in vista di una ripresa evolutiva consente all’adolescente di vivere tale misura come riabilitativa. 3) La necessità di una giustizia specializzata. La legislazione italiana distingue la giustizia da applicare agli adulti da quella specializzata per i minorenni. Questo è simbolizzato istituzionalmente dalla presenza del Tribunale per i Minorenni. Questa istituzione, che è universalmente riconosciuta come una conquista sociale importante sembra oggi scontata, ma dobbiamo ricordare che è stata introdotta soltanto da pochi decenni (1934) e che in altri paesi, anche appartenenti al mondo occidentale non esiste! La presenza di un procedimento penale particolare per i minorenni e di un’istituzione specifica con personale specializzato rimanda all’adolescente l’immagine di essere speciale, gli riconosce uno stato diverso caratterizzato da una particolare attenzione all’individuo e al momento evolutivo in cui si trova. Per esempio il procedimento penale minorile si caratterizza per la possibilità di giudicare la pena non soltanto in base al reato, ma specialmente in base all’individuo e al suo momento evolutivo con l’attenzione particolare a favorire la continuità educativa. Diviene molto importante sottolineare oggi questi fattori ambientali che sottendono all’idea che la società ha dell’adolescente antisociale come di un soggetto in crisi evolutiva da riabilitare favorendo la sua integrazione sociale e non come un soggetto pericoloso da isolare ed estromettere. Ci sono paesi in cui negli ultimi anni l’idea stessa di adolescente antisociale sembra essersi pericolosamente modificata portando, anche sotto la spinta dei media ad una recrudescenza delle pene. Il sistema penale negli Stati Uniti e in Gran Bretagna. Negli Stati Uniti quasi tutti gli stati hanno modificato la legislazione penale minorile per rispondere al forte incremento di crimini violenti che si è presentato fra il 1989 e il 1993. Tali modifiche erano nell’ordine di: 1) sottrarre un numero sempre maggiore di minori al giudizio speciale della giustizia minorile per sottoporli al giudizio del tribunale ordinario (unificando le procedure e le sentenze per i reati gravi, permettendo l’intervento del tribunale ordinario in casi particolari, trasferendo minorenni in strutture detentive per adulti). 2) Aumentare la severità del procedimento penale minorile, favorendo la detenzione e le pene prolungate. 3) Burocratizzare e depersonalizzare i procedimenti penali minorili. 4) Diminuire l’età di imputabilità e di responsabilità penale che in alcuni stati attualmente è di 10 anni. (Youth on Trial, Grisso)
  • 5. Anche in Inghilterra, nel 2000 il governo ha fatto della lotta alla delinquenza minorile una delle sue 5 priorità riformando il sistema penale nella direzione di una recrudescenza delle pene: 1) l’età di imputabilità è stata abbassata a 10 anni. 2) sono state introdotte misure di sorveglianza o prescrittive non solo per i minori autori di reato, ma anche per quelli a rischio (coprifuoco, controlli personali frequenti, eccetera). Si esce così dal principio della legalità per imporre misure penali a minori che non sono soggetti penali. L’idea di fondo di questo genere di interventi sembra essere quella di migliorare i rapporti all’interno della comunità criminalizzando certi comportamenti che non si riesce a gestire. Il rischio sembra essere quello di offrire all’adolescente o al bambino attraverso misure penali adottate precocemente un rispecchiamento identitario criminale inadeguato che potrebbe rendergli più difficile superare le difficoltà che lo portano ad avere comportamenti inadeguati. Fortunatamente in Italia, la legislazione riconosce, invece, nel procedimento penale minorile la centralità del minore come soggetto di diritti e l’importanza della valutazione psicologica per tutti i minori autori di reato e una valenza altamente riabilitativa della pena che avrebbe la funzione prevalente di reintegrare socialmente l’adolescente. (dpr 448/88). E’ questa cornice legislativa che ci offre il terreno per poter intervenire con l’adolescente sottoposto a procedimento penale cercando per lui percorsi di recupero maturativo alternativi a quelli delinqunziali e abbassando così il rischio che commetta nuovi reati.