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La comunicazione post-moderna - D. Pitteri
1. La comunicazione d’impresa
Per “comunicazione d’impresa” si intende l’insieme delle attività che devono
essere attuate da un’azienda dal punto di vista comunicativo. La comunicazione
d’impresa si suddivide in tre settori differenti:
• comunicazione interna, considerata poi organizzativa, dato, questo, che è prova
del mutamento del segno della comunicazione, non più solo mero canale di
trasmissione, ma anche valido strumento di connessione;
• comunicazione istituzionale;
• comunicazione commerciale.
In particolare, questi ultimi due ambiti della comunicazione d’impresa,
riferendosi a pubblici esterni all’azienda, costituiscono a loro volta le due componenti
principali della comunicazione esterna all’impresa.
Inizialmente, la comunicazione interna riguardava la trasmissione delle
informazioni tra i vertici dirigenziali e i dipendenti e tra gli stessi dipendenti
dell’azienda. In realtà, il pubblico interno di un’azienda risulta essere estremamente
articolato. Infatti, rientrano tra i pubblici interni: azionisti, i consigli d’amministrazione,
dipendenti, revisori dei conti, consigli dei sindaci, azionisti, fornitori di materiali per la
gestione ordinaria (es. cancelleria), fornitori di servizi (es. pulizia, mensa), aziende
fornitrici (indotto), sindacati (in virtù del fatto che spesso può essercene una
rappresentanza interna all’impresa stessa), consulenti finanziari, consulenti legali,
commercialisti, progettisti, consulenti della comunicazione. Da questa rassegna, appare
alquanto evidente la molteplicità di pubblici interni cui l’azienda deve rivolgersi
instaurando, pertanto, diverse tipologie di relazioni a seconda del tipo di pubblico di
riferimento. Nello specifico, è possibile distinguere tra:
• relazioni informative, attraverso e con pubblici prevalentemente lontani;
• relazioni organizzative, finalizzate alla connessione delle parti interne
dell’azienda.
Gli strumenti mediante i quali è possibile attivare flussi di comunicazione
interna possono essere così distinti: per relazioni del primo tipo, House Organ,
newsletter, email, bacheche, atti a favorire un’efficace diramazione delle informazioni;
per relazioni del secondo tipo, reti intranet, social network appositi.
Augusto Cocorullo 1
La comunicazione esterna, come anticipato, si suddivide a sua volta in
comunicazione istituzionale e comunicazione commerciale. La comunicazione
istituzionale si pone l’obiettivo primario di mantenere su livelli elevati la reputazione
dell’azienda presso una serie di soggetti prossimi o non all’impresa. I pubblici di
riferimento possono essere così distinti: aziende vicine, cittadini, istituzioni, stampa,
stakeholders, gruppi di interesse, sindacati. La buona reputazione di un’impresa presso
suddette tipologie di pubblici favorisce una migliore ricezione dei prodotti aziendali, un
maggiore apprezzamento delle qualità dell’impresa, una più efficace gestione dei
momenti di crisi. In particolare, essendo mutati i criteri di valutazione delle imprese
adottati dai consumatori - non più interessati al mero dato industriale (es. qualità della
merce, prezzo), ma sempre più attenti al codice etico e alla responsabilità sociale
d’impresa -, risulta fondamentale per l’azienda godere di una buona reputazione,
soprattutto per il progressivo aumento dei livelli di concorrenza in molti dei settori
produttivi. Gli strumenti di comunicazione possono essere suddivisi in quattro tipologie:
• media relations, per mantenere relazioni costanti con giornalisti e rappresentanti
degli organi di stampa;
• relazioni pubbliche, prevalentemente rivolte ad enti locali, stakeholders,
associazioni dei consumatori;
• comunicazione mediale, da implementare attraverso i sistemi mediali e mass
mediali;
• attività ed eventi, realizzabili in diverse forme di promozione o
sponsorizzazione.
Infine, la comunicazione commerciale (o di prodotto), che trova il suo esempio
più emblematico nella pubblicità, ha lo scopo di promuovere i prodotti aziendali. La
comunicazione commerciale deve essere calibrata a seconda del tipo di prodotto, dei
pubblici cui si riferisce, e costituisce una delle quattro leve operative del marketing (4P
- Product, Price, Place, Promotion). La pubblicità, elogiando il prodotto cui si riferisce,
e servendosi di un linguaggio promozionale fondato sul piano economico, mira a far
ricordare al consumatore specifiche caratteristiche o qualità di quella merce, riuscendo,
in tal modo, a far ottenere un buon posizionamento sul mercato. Nello specifico, la
comunicazione commerciale si attua attraverso due tipologie di canali:
Augusto Cocorullo 2
• mass media (radio, televisione, ma anche cinema e manifesti), del tipo dunque
“uno-a-molti” e senza feedback;
• strumenti below the line, (volantini, cataloghi); ma anche mediante promotion in
store (direttamente sul soggetto al momento dell’acquisto).
Con l’avvento di internet e la presenza pervasiva del web 2.0, la comunicazione
d’impresa ha subito profonde e radicali trasformazioni, costringendo le aziende ad
adeguarsi al nuovo contesto socio-economico attraverso una modifica sostanziale delle
modalità comunicative fino a quel momento utilizzate. Tra la fine del Novecento e i
primi decenni del nuovo millennio, sono nate nuove forme di “marketing non
convenzionale” che si aggiungono alle precedenti complicando oltremodo il campo di
studi in analisi.
2. Le cinque fasi del consumo: dal dopoguerra ai giorni nostri
Occorre comprendere i motivi per i quali si è verificata un’inversione di
tendenza in termini di determinazione della produzione per opera del consumatore.
Mentre in passato la produzione determinava il consumo, nel contesto contemporaneo è
il consumo a orientare la produzione. Allo scopo di comprendere i fattori che hanno
favorito il delinearsi di tale percorso, è necessario ripercorrere le tappe principali del
processo evolutivo che ha interessato la sfera dei consumi. Il modello, pur presentando
le medesime caratteristiche e la stessa scansione delle fasi nella considerevole varietà di
contesti socio-culturali differenti, tuttavia risulta situarsi in epoche diverse a seconda
dell’area geografica che si considera, proprio per le notevoli differenze che è possibile
registrare in materia di sviluppo economico e industriale.
Nello specifico, negli Stati Uniti, in Francia e in Gran Bretagna, la nascita e lo
sviluppo della grande industria possono collocarsi dal punto di vista cronologico
nell’Ottocento. In Italia, invece, a causa dei numerosi problemi socio-politici, legati
prevalentemente alle guerre mondiali ed ai numerosi conflitti interni al paese, la crescita
economica fu ritardata alquanto. In particolare, al termine della Prima Guerra Mondiale,
nel contesto italiano prese avvio un periodo di forti turbolenze; l’alleanza con la
Germania e l’adozione delle leggi razziali influirono negativamente sullo sviluppo
industriale, nella misura in cui la Lega ONU escluse da commerci proprio quei paesi
Augusto Cocorullo 3
che condividevano idee razziste. Solo dopo la Seconda Guerra Mondiale anche in Italia
si diede inizio ai lavori per lo sviluppo industriale e la crescita economica del paese.
Tra il 13 ed il 14 aprile del 1945 riunitisi a Yalta Churchill, Stalin e Roosevelt, si
decise che l’Europa e il versante atlantico sarebbero stati assegnati agli Stati Uniti che,
di conseguenza, avrebbero dovuto attivarsi al fine di promuovere una rinascita generale
dopo le tragiche vicende belliche da poco conclusesi. Il piano Marshall, appunto, si
proponeva di rilanciare l’economia europea e non solo. In seguito al referendum per la
scelta tra monarchia e repubblica, con la relativa e storica vittoria della seconda
istituzione, eletta l’assemblea Costituente, questa dopo un anno realizzò la Carta
Costituzionale che entrò in vigore il 1° gennaio del 1948 con il primo governo De
Gasperi. Conquistata la fiducia da parte degli Stati Uniti, ed ottenuti i finanziamenti da
parte di questi ultimi, l’Italia diede ufficialmente inizio ai lavori per l’ascesa economica
e lo sviluppo industriale.
Nel periodo del dopoguerra, molte aziende, non avendo subito danni ingenti dal
conflitto, riuscirono a riprendere una normale attività commerciale. Altre, invece,
furono costrette a ricostruire dalle fondamenta la propria struttura produttiva o a
riprendere, variandole, le linee di produzione adottate anche prima della guerra. A tal
proposito, risulta emblematico il caso della Piaggio. Inizialmente, infatti, l’azienda si
occupava della produzione di motori d’aviazione, per questo motivo, in quanto obiettivo
militare, venne distrutta in seguito ai bombardamenti anglo-statunitensi. Nel
dopoguerra, D’Ascanio, ingegnere dell’azienda, con grande spirito innovativo, decise di
istallare il motore degli aerei, con un diverso orientamento, allo scheletro del Paperino
– prototipo progettato nel 1944 e mai commercializzato –, inventando uno dei mezzi di
trasporto più diffuso in assoluto. La Vespa, infatti, venne lanciata sul mercato nel 1947
ed aveva come rivale la Lambretta della Innocenti. Nel 1949, la Piaggio vende un
milione di esemplari in Sud America ed in generale all’estero.
In questo periodo, in Italia, presero forma numerose innovazioni e, in tal senso,
un esempio emblematico è costituito dall’automobile utilitaria della Fiat. La fabbrica
torinese, prediligendo criteri di progettazione di tipo funzionale, inventò suddetta
tipologia di veicolo, rivoluzionando drasticamente il settore dei trasporti, creando quindi
un prodotto adatto alle famiglie e ad un pubblico massificato, nonché indicato per
percorsi brevi e poco agevoli, come, ad esempio, quelli dei centri storici e dei piccoli
Augusto Cocorullo 4
paesi. Tra la fine degli anni ‘40 e l’inizio degli anni ‘50, grazie ad una maggiore
circolazione di denaro, iniziarono a diffondersi le Vespe anche in Italia. Il primo spot
pubblicitario prodotto dalla Piaggio, sancendo definitivamente l’avvio della
motorizzazione di massa, aveva come protagonista una famiglia composta da quattro
persone che, spostandosi appunto in vespa (senza indossare il casco), intendeva
evidenziare il duplice utilizzo cui la Vespa si sarebbe prestata: veicolo per la famiglia e
il tempo libero, ma anche pratico mezzo di trasporto per il lavoratore che aveva
necessità di spostarsi dalla periferia verso la città al fine di raggiungere la propria sede
lavorativa.
In questo stesso periodo, caratterizzato da un diffuso spirito innovativo, nacque
il fotoromanzo che registrò subito un grande successo sia in Italia che all’estero,
soprattutto in Spagna e Francia. Successivamente, Angelo Rizzoli, volendo rilanciare il
settimanale d’attualità Oggi, ne affidò la direzione a Edilio Rusconi, il quale si dedicò
all’ascolto ed alla relativa diffusione delle opinioni di coloro che, nell’ambito del
referendum del 1946, avevano votato per la monarchia. In poche settimane furono
venduti milioni di copie, e lo stesso Rusconi fondò nel 1956 il settimanale Gente
ampliando i confini del pubblico di riferimento. Seguirono i settimanali d’inchiesta,
quali, ad esempio, Europa e il Tempo.
I quotidiani, invece, non ebbero grande diffusione, almeno fino a quando Enrico
Mattei, eroe della Resistenza entrato a Milano tra i partigiani in quel celebre 25 aprile,
compresa l’importanza ricoperta dalla diffusione delle informazioni, decise di rilanciare
questo strumento per la sua battaglia. Allo stesso tempo, nominato commissario
liquidatore dell’Ente Nazionale Idrocarburi (ENI), rilevata l’azienda, sconvolse i
mercati mondiali, implementando politiche di giustizia socio-economica nei riguardi dei
paesi dai quali il petrolio veniva importato, facendo dell’Italia un temibile concorrente
delle altre potenze che, proprio sul commercio del petrolio, fondavano la propria
economia. Per questo motivo, Mattei fu vittima di un attentato nel 1962. Ma prima,
avendo raggiunto livelli di potere estremamente elevati, realizzò di dover disporre di un
canale attraverso il quale diffondere e divulgare il prestigio acquisito, con l’intento di
favorire una circolazione delle informazioni incontaminata e rivolta al vasto pubblico:
nacque così il Giorno. Mattei decise altresì di dedicare una sezione alla cronaca
Augusto Cocorullo 5
sportiva, la cui direzione fu affidata a Brera, costringendo gli altri giornalisti ad
adeguarsi a quel format giornalistico. Nel 1955 il paese era ormai ricostruito.
La sfera del tempo libero subì radicali trasformazioni in termini di tipologie
d’impiego dello stesso e di grado di partecipazione alle attività ricreative da parte della
popolazione. Nello specifico, il cinema ebbe una crescita esponenziale, arrivando a 820
milioni di biglietti venduti, distribuiti su di una popolazione di 40 milioni di individui,
ed all’apertura di 18 mila sale cinematografiche, delle quali molte parrocchiali. Le
pellicole venivano proiettate in prima visione nelle sale di grandi dimensioni e
progressivamente in sale più piccole, restando in circolazione anche per un intero anno.
Negli anni ‘60 si assiste ad un vero e proprio boom economico, favorito dal
continuo ed ininterrotto innalzamento del PIL dal 1947 al 1959 che, a sua volta, fu
determinato dal costituirsi di un forte mercato interno ed un diramato mercato estero.
Altro esempio d’innovazione è collocabile nella Moka, che, ideata da Alfonso
Bialetti nel 1933 prima della Guerra senza riscuotere successo, fu rilanciata nel periodo
del dopoguerra dal figlio Renato, divenendo un oggetto di culto indispensabile per
l’ormai diffuso rito quotidiano del caffè.
Ai fini della comprensione dei mutamenti delle modalità di consumo susseguitisi
nel corso del tempo, risulta fondamentale analizzare le pratiche consumistiche che,
partire dagli anni ‘60, hanno caratterizzato le diverse fasi storiche in termini di tipologie
di prodotti consumati e di motivazioni sottostanti all’assunzione di determinati
comportamenti di consumo.
Nello specifico, nel primo dopoguerra, i consumi erano essenziali, estremamente
moderati e attenti, proprio per l’influenza che le guerre mondiali avevano esercitato
sulla popolazione, a causa della scarsa reperibilità dei beni primari e della povertà
generale derivanti dai conflitti, favorendo l’assunzione da parte dei cittadini di un
atteggiamento moderato e responsabile nei riguardi delle pratiche di consumo. Tuttavia,
una parte consistente del paniere dei consumi tipico di quel periodo riguardava
l’occupazione del tempo libero. Successivamente, i consumi subirono significative e
radicali trasformazioni. L’avvento di alcuni elettrodomestici, infatti, contribuì
notevolmente alla ridefinizione delle abitudini della popolazione, in termini di gestione
familiare e occupazione del tempo libero.
Augusto Cocorullo 6
In particolare, il frigorifero, grazie alla possibilità di conservare i beni deperibili
per archi temporali più lunghi, agevolò in misura considerevole l’approvvigionamento
alimentare, incidendo positivamente sul bilancio delle famiglie e determinando quindi
una maggiore circolazione di denaro da utilizzare per l’acquisto di altri beni
(arredamento, abbigliamento, trasporti, elettrodomestici). Il telefono, invece, non ebbe
stessa pervasiva diffusione: tra il 1936 ed il 1963, il numero di abbonamenti telefonici
restò pressoché invariato. Furono quindi i cosiddetti beni durevoli ad essere interessati
da maggiore diffusione, proprio perché per le famiglie, data l’alta qualità e l’accertata
resistenza, costituivano un valido investimento trasmissibile tra le generazioni, come, ad
esempio, lavatrici e, appunto, frigoriferi, nonché mezzi di trasporto. Il periodo appena
descrittivo viene definito come fase dei consumi obbligati, caratterizzata dalla presenza
di industrie che consentivano alla massa di accedere a determinate tipologie di merci
secondo un percorso, giustappunto, obbligato, comune e legato all’acquisizione
simbolica di un diritto di cittadinanza che avrebbe sancito definitivamente l’uscita
dall’oscuro periodo di crisi. Questa fase di “rinascimento sociale” fu dunque
accompagnato da un comportamento di consumo di tipo collettivo, per il quale tutti i
membri della società avevano accesso agli stessi prodotti secondo il medesimo criterio
di consumo simbolico. Il modello consumistico in analisi evolverà poi in un
comportamento di consumo massificato, con una generale ridefinizione delle abitudini e
delle modalità di esecuzione delle canoniche attività domestiche che determinò una
sempre maggiore differenziazione dei consumi, pertanto, non più obbligati.
A partire dal 1964, però, iniziò un lento declino dell’economia del paese, in
concomitanza con l’istituzionalizzazione della categoria sociale dei giovani, ai quali
venne dedicata una serie di prodotti tra i quali spicca senza dubbio la Vespa 50 della
Piaggio. La fine del periodo di floridità e benessere viene collocata dai sociologi nel
1968, anno di stravolgimenti sociali, moti studenteschi, lotte operaie, movimenti di
liberazione femminile. Il popolo desiderava rivendicare alcuni diritti che, nonostante
l’entrata in vigore della Repubblica, non furono riconosciuti con immediatezza: si parlò
infatti di Costituzione “ritardata”.
In tal senso, esempi emblematici sono costituiti dall’accesso delle donne ai
concorsi pubblici e dalla formazione delle regioni in epoche nettamente successivi
rispetto all’entrata in vigore della Costituzione.
Augusto Cocorullo 7
I giovani, divenendo una realtà sociale dai confini precisi e circoscritti,
modificarono la struttura ideal-tipica della famiglia tradizionale, ritardando i tempi
canonici di formazione di nuovi nuclei familiari a causa di una maggiore propensione
allo studio ed alla formazione culturale che, a sua volta, innescò un movimento di
migrazioni interne.
La fase successiva si caratterizzò per una progressiva differenziazione dei
consumi, aspetto, questo, che ha portato a definire il periodo in questione come epoca
della distinzione: determinati prodotti vengono consumati al fine di distinguere
specifiche categorie di soggetti. Lo status symbol si configurerà come strumento
attraverso il quale poter affermare la propria appartenenza ad una peculiare categoria
sociale, distinta dalle altre non necessariamente in relazione alla sfera economica.
Esempi eloquenti in tal senso possono essere collocati nei seguenti oggetti di consumo:
il noto orologio Rolex, simbolo di ricchezza e potere d’acquisto; i blue-jeans, bandiera
dei giovani rivoluzionari; la poltrona sacco, vessillo dei progressisti. Dunque, si diffuse
un modello consumistico finalizzato non alla differenziazione, ma alla distinzione. In
questo periodo, fiorì l’industria del mobile: la Rinascente, il cui nome fu ideato da
Gabriele d’Annunzio per la catena dei fratelli Bocconi, fu il primo grande magazzino
italiano dedicato al settore dell’abbigliamento e dell’arredamento e presentava al suo
interno una sezione dedicata esclusivamente ai mobili di design. Nel 1954 la Rinascente
fondò il premio Compasso d’Oro, per premiare gli oggetti con il migliore disegno
industriale. Nel 1956 nacque l’Associazione per il Disegno Industriale (ADI).
La fase del consumo finalizzato alla distinzione, seppur orientato in termini di un
certo collettivismo delle pratiche consumistiche stesse, perdurò per tutti gli anni ‘70,
provocando però un aumento del tasso di inflazione al 25% con una connessa
svalutazione monetaria.
Le prime fasi dell’epoca successiva furono caratterizzate da una diffusa crisi
economica e sociale, con la trasformazione di alcuni movimenti di protesta in
organizzazioni terroristiche per contrastare le quali fu utilizzato lo strumento della
bomba, dato, questo, che spiega la definizione di anni di piombo. Nonostante ciò,
furono raggiunti importanti e storici traguardi in materia di diritti dell’individuo, come,
ad esempio, lo Statuto dei lavoratori e la legge sul divorzio. Per tutti gli anni ‘60, come
Augusto Cocorullo 8
precedentemente precisato, le attività d’occupazione del tempo libero si svolgevano
prevalentemente al di fuori delle mura domestiche.
A partire dal 1954, in Italia, con l’avvento della televisione, si iniziò ad assistere
ad un progressivo stravolgimento dello scenario. Nel 1957 fu lanciato il noto
programma Carosello, che sancisce l’ingresso ufficiale della pubblicità nella
programmazione televisiva, e, in quello stesso anno, si abbonarono circa 300 mila utenti
su di una popolazione complessiva di 44 milioni di persone: il televisore era presente
prevalentemente in bar, esercizi pubblici e parrocchie, ben poco diffuso nelle abitazioni
private. Nel 1954 si iniziò a mandare in onda il Festival di Sanremo, le cui prime tre
edizioni non furono quindi trasmesse essendo nato nel 1951. Il fenomeno televisivo si
affermò in tutta la sua pervasività solo tra il 1965/66.
A partire dal 1973, quando ormai tutte le famiglie possedevano almeno un
apparecchio televisivo ed il cinema continuava a riscuotere successo, si attestò una
nuova tendenza da parte della popolazione che, al fine di non gravare in maniera
eccessiva sul bilancio familiare, e per il timore di subire furti o rapine in quell’epoca
dilaganti, iniziò a trascorrere sempre più tempo all’interno delle proprie abitazioni,
aumentando progressivamente una nuova tipologia di consumo. In tal senso, la nascita
della televisione commerciale tra il 1986 e il 1987, sancì definitivamente l’affermarsi di
suddetta tendenza, con una drastica riduzione della percentuale di affluenza alle sale
cinematografiche. La politica dell’Austerity che caratterizzò questo periodo, con il
divieto di circolazione dei veicoli di domenica, l’anticipazione della fine delle
trasmissioni televisive alle 23, e la soppressione dello spettacolo di mezzanotte dalla
programmazione cinematografica, determinò un cambiamento nelle abitudini delle
famiglie con un aumento dei consumi all’interno dei contesti abitativi.
La fase successiva fu segnata dalla peculiare impostazione ideologica dei
membri di governo, in Italia come negli Stati Uniti, in Francia e in Gran Bretagna, dove
– rispettivamente Craxi, Reagan, Thatcher e Mitterrand – furono portatori di una visione
del mondo orientata all’ottimismo e alla speranza di un florido futuro, pur nelle
ragionevoli differenze.
Nel caso specifico italiano, Craxi, divenuto segretario del Partito Socialista nella
seconda metà degli anni ‘70, fu fautore di modalità di governo ottimistiche e rivolte al
rilancio dell’economia del paese. In questo periodo si verificarono numerosi mutamenti
Augusto Cocorullo 9
nella sfera dei consumi. Nel settore della moda, emblematico è il passaggio dall’haute
couture al prêt-à-porter, che favorì la diffusione di un senso estetico nella massa grazie
alla maggiore disponibilità di prodotti “alla moda”. Negli anni ‘80, infatti, iniziò a
prevalere il criterio estetico su quello funzionale: l’abito fu connotato in termini di
espressione identitaria, il design fu ridefinito in quanto a linee e materiali, l’estetica, in
definitiva, prevalse sulla funzionalità. Suddetto fenomeno provocò una modifica
sostanziale della percezione della realtà da parte dell’individuo il quale, di conseguenza,
iniziò a circondarsi di oggetti portatori di un senso estetico definito e personale.
Tra il 1975 e il 1976, con l’emanazione di due sentenze da parte della Corte
Costituzionale in materia di pubblicità, venne ridefinito l’assetto della definizione dei
palinsesti in termini di maggiore presenza di spot pubblicitari e di trasmissione
continua, non più circoscritta a determinanti momenti della giornata come invece
accadeva in precedenza. In questo contesto, la pubblicità si arricchisce di una carica
valoriale, costituendo un effettivo linguaggio della realtà, nella misura in cui ad essa era
affidata la narrazione della società, delle sue tradizioni e delle sue abitudini.
La fusione degli elementi finora descritti – rispettivamente collocabili nella
pubblicità, appunto, nella moda, nel design e nella musica – scatenò nei consumatori un
irrefrenabile impulso all’acquisto di qualsiasi tipologia di prodotto, al fine di esprimere
parte della propria identità attraverso l’ostentazione di determinati oggetti dalla forte
valenza simbolica. A differenza di quanto accadeva negli anni ‘70, con il prevalere di un
comportamento di consumo finalizzato alla distinzione ma con evidenti tracce di
collettivismo, negli anni ‘80 si affermò un atteggiamento consumistico orientato
all’immedesimazione del singolo individuo nel modello identitario di riferimento: il
consumatore, attraverso l’acquisto di un determinato prodotto intendeva esprimere non
la sua reale identità, quanto piuttosto l’adesione ad uno specifico status symbol
differenziato e, in alcuni casi, poliprospettico, palesando non la propria effettiva
personalità ma il desiderio di incarnarsi in un altro personaggio.
Nell’epoca in analisi, i sociologi collocano una forma di consumo teatralizzato e
compulsivo di natura non collettiva bensì individuale. Pertanto, la pubblicità forniva
all’individuo la sceneggiatura, il design la scenografia e la moda i costumi, strumenti,
questi, utilizzati dall’individuo per interpretare il personaggio sul palcoscenico della
realtà.
Augusto Cocorullo 10
La segmentazione socio-demografica prevede, appunto, una suddivisione dei
consumatori in categorie socio-demografiche (es. titolo di studio, lavoro, residenza,
reddito) che, pertanto, si configurano come oggettive e standard. Tuttavia, pur
consentendo una lettura anche “qualitativa” della storia del consumo, suddette categorie
subiranno radicali trasformazioni.
A partire dagli anni ‘80, si afferma una modalità di consumo di tipo
individualistico, rispetto al precedente modello collettivo: ogni individuo consuma
secondo spinte proprie, non più secondo grandi flussi collettivi. In questo contesto, le
pratiche di consumo sono finalizzate all’ostentazione, a sua volta diretta al
potenziamento dell’esteriorità del soggetto e della sua immagine.
A tal proposito, risulta utile il contributo di Gianpaolo Fabris, noto sociologo
italiano che, definendo degli stili di vita idealtipici, sviluppa un’analisi della società
individuando dei modelli approssimativamente fissi ed esaminando le modalità di
interazione degli individui rispetto alla realtà sociale in relazione al contesto di
appartenenza: dopo aver suddiviso la popolazione secondo caratteristiche oggettive,
valuta la vicinanza dei soggetti ad uno schema piuttosto che ad un altro.
Il processo di segmentazione, dunque, da un’impostazione socio-demografica
passa all’adozione degli stili di vita. In questo periodo, il criterio di funzionalità
applicato al consumo viene progressivamente sostituito da aspetti di immaterialità e
intangibilità. Nello specifico, gli stili di vita introducono due elementi di novità:
a) collegamento diretto tra stili di vita e comportamenti di consumo;
b) legami tra stile di vita e potere d’acquisto.
Gli stili, pertanto, si caratterizzano per catene di prodotti specifici. Il
consumatore, avendo la possibilità di sperimentare stili di vita differenti nell’arco della
propria esistenza, modifica continuamente il suo comportamento di consumo, non
connotandosi in tal modo per un’individualità stabile e facilmente fotografabile: ciò
porta all’analisi non dei consumatori in quanto tali, ma, appunto, degli stili di vita.
Alla fine degli anni ‘80, però, si assiste ad un progressivo affievolirsi del
sentimento di fiducia che fino a quel momento aveva permeato la realtà socio-
economica di molti paesi del mondo, a causa di alcuni fattori scatenanti:
• la strage di Chernobyl che, grazie alla capacità di diffusione propria dei mass
media, ebbe un impatto violento sull’immaginario collettivo;
Augusto Cocorullo 11
• la piaga sociale dell’Aids che, come conseguenza della rottura degli schemi
comportamentali tradizionali in termini di atteggiamento dell’individuo nei
riguardi della sessualità, s’insinuò tra la popolazione, pesando notevolmente
anche sul piano psicologico oltre che su quello – direttamente connesso – della
salute;
• la progressiva mancanza di denaro, infine, che determinò una trasformazione
radicale del comportamento di consumo nel decennio successivo.
In particolare, negli anni ‘90, periodo nel quale si colloca la quarta fase del
consumo inteso come fenomeno sociale in continua evoluzione, a causa dei fattori
precedentemente elencati, sorge nei consumatori un sentimento di paura nei confronti
della libertà fino a quel momento considerata in maniera positiva che, a sua volta,
spinge la popolazione ad assumere un atteggiamento pacato e misurato nei riguardi delle
merci e dei beni di consumo.
Nello specifico, dal punto di vista della dinamica del consumo, si assiste
all’affermarsi di un approccio personale – quindi improntato sulla cura del sé –, ben
diverso da quello individualistico, tipico del decennio precedente; i tempi del consumo
diventano riflessivi e consapevoli nella misura in cui il soggetto antepone la riflessione
circa l’effettiva utilità dell’acquisto all’acquisto stesso, discostandosi alquanto dalla
spinta impulsiva tipica degli anni ‘80. Alla base di siffatta configurazione, si colloca la
volontà del consumatore di generare valore attraverso l’acquisto, instaurando un
rapporto affettivo con le merci che, per la valenza così assunta, conferiscono al
consumatore elementi per la costruzione della sua specifica identità.
Dal punto di vista della segmentazione, si assiste al passaggio dagli stili di vita
agli stili di pensiero, con il relativo abbandono delle variabili socio-demografiche: le
merci vengono valutate non solo per la loro funzionalità, ma anche in relazione ad
ulteriori capacità d’accrescimento del proprio benessere interiore, nonché per altri valori
di tipo etico-comportamentali. La società, dunque, tende ad assumere comportamenti di
consumo consapevoli ed eticamente fondati, pretendendo dalle aziende responsabilità e
giudizio nei riguardi dell’ambiente e della stessa platea dei consumatori.
Come precedentemente accennato, la dinamica di consumo individuale di tipo
personale spinge il soggetto ad agire in funzione del proprio benessere e della propria
salute, obbligando le imprese ad operare secondo criteri di responsabilità ed in pieno
Augusto Cocorullo 12
rispetto dei codici etici ed ambientali. In questa fase, i consumatori, in quanto categoria
sociale, iniziano ad acquisire coscienza del potere che sono in grado di esercitare nei
riguardi delle imprese, non solo in termini di determinazione delle modalità
comunicative e di azione sul mercato adottate dalle aziende, ma anche in relazione alla
possibilità di decretare l’orientamento della produzione.
Alla fine degli anni ‘90, con l’avvento di internet, nascono i new media che
modificano irreversibilmente le pratiche di consumo ed il settore della pubblicità. In un
primo momento, internet, caratterizzandosi per una configurazione non chiaramente
definita, sembrava potesse essere classificato come un normale mass media.
Inizialmente, infatti, svolgeva tre semplici funzioni:
1) consentiva alle imprese di presentarsi in modo innovativo mediante il sito,
considerabile come brochure virtuale che, non dovendo essere stampata e
distribuita manualmente, favoriva la diminuzione dei costi e delle risorse da
impiegare;
2) creava interattività, consentendo il diramarsi di reti autonome di consumatori
mediante la posta elettronica;
3) offriva ai consumatori la possibilità di interagire in spazi virtuali, quali, ad
esempio, chat e forum, potenziando notevolmente la visibilità delle aziende.
Successivamente, con l’introduzione dei motori di ricerca, si assiste ad una
rivoluzione definitiva, nella misura in cui, grazie al World Wide Web (WWW), si
velocizzano in maniera esponenziale i processi di ricerca. Internet diviene quindi uno
strumento di visibilità e rintracciabilità a servizio delle aziende, divenuto ancora più
potente in seguito alla scoperta dell’algoritmo di Google che, come risaputo, inizierà ad
operare una selezione non in base alle fonti ma al contenuto delle pagine web.
In definitiva, i new media, invadendo la realtà sociale di fine anni ‘90,
favoriscoco una maggiore circolazione di informazioni tra i consumatori circa il
comportamento assunto da organizzazioni sociali, commerciali e politiche. I circuiti
informativi determinano una metamorfosi del sistema produttivo, con la proliferazione
di forme di comunicazione di tipo commerciale (già a partire del 1900, Cyrus fonda
Ladies, noto periodico americano, improntato sull’informazione di tipo commerciale).
In questo contesto, il rapporto fiduciario che si instaura tra gli individui in
ambiente virtuale influisce drasticamente sulle configurazioni assunte dalla produzione.
Augusto Cocorullo 13
Tuttavia, solo con l’affermarsi del Web 2.0 si attesta una vera e propria forma di
interattività tra gli utenti della rete e quindi tra i consumatori, proprio per la possibilità
di sviluppare un dialogo paritario attraverso l’utilizzo di uno stesso canale, e per la
potenzialità propria di ogni singolo utente di produrre contributi e renderli pubblici. Con
il Web 2.0, assume piena valenza ed applicabilità l’articolo 19 della Dichiarazione
Universale dei Diritti Umani – approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite
il 10 dicembre 1948 –, relativo diritto dei consumatori di fare e ricevere informazione.
Attualmente, però, si è affermata una tendenza che si configura come diretta
conseguenza di suddetta configurazione del web: si è ormai accumulata un’enorme
quantità di informazioni che rende complesso l’orientamento da parte dell’utente; tale
fenomeno viene scientificamente definito overload informativo. In particolare, il
consumatore, al fine di selezionare i contenuti utili esclusivamente ai propri fini, adotta
un criterio discriminatorio fondato sull’interesse personale. La presa di coscienza da
parte dei consumatori, sempre più consapevoli del proprio potere sul mercato, obbliga le
imprese a riorganizzare l’assetto produttivo e commerciale, al fine di ottemperare alle
richieste provenienti da una platea di acquirenti sempre più attenti ai valori etici ed alla
responsabilità sociale delle aziende. Di conseguenza, si trasformano anche il modo di
comunicare delle imprese ed il paradigma di marketing da esse seguito: il focus
attentivo si sposta dal prodotto al consumatore.
Si giunge quindi all’ultima fase del consumo – collocabile nel XXI secolo –,
nell’ambito della quale si afferma la necessità di riformulare le modalità relazionali
intercorrenti tra imprese e consumatori, alla luce delle potenzialità offerte dalla rete.
Come anticipato, il criterio di selezione è imperniato sull’interesse dell’individuo: il
gusto personale assume rilevanza sempre maggiore, divenendo il parametro in relazione
al quale ciascun consumatore decide se acquistare oppure no un determinato bene.
In particolare, mentre in precedenza suddetta discriminante veniva applicata solo
ed esclusivamente ai prodotti culturali, in epoca contemporanea, invece, viene adottato
per tutte le merci. Ogni essere umano possiede delle guide che orientano nella scelta,
come, ad esempio, passioni o interessi peculiari, che, però, essendo soggetti a continue
modificazioni, determinano un costante mutamento dei gusti e delle preferenze del
consumatore. È importante osservare che, mentre in epoche passate l’affermazione
sociale dell’individuo era determinata dal ruolo svolto nel proprio contesto di lavoro –
Augusto Cocorullo 14
tendenza, questa, acuitasi nel periodo della rivoluzione industriale in relazione
all’ulteriore differenziazione delle attività lavorative –, attualmente, invece, si tende a
non associare l’identità alla professione. Il tempo libero, infatti, muta nella sua
scansione: si configura come “tempo di vita” in cui non si ha l’obbligo di svolgere le
proprie mansioni lavorative, ma è possibile, al contrario, impegnarsi in attività
ricreative, ed è ciò a cui l’individuo si dedica in questo arco temporale a definire la sua
identità, non la posizione lavorativa.
In ambito sociologico, la dinamica contemporanea di consumo è definita
identitaria: l’individuo è tale perché consuma tali beni; la necessità di consumo è quindi
rinnovata e continuata. L’assioma secondo cui l’individuo trova la sua identità nel
consumo impone un ampliamento del raggio d’azione di suddetto concetto, in termini di
inglobamento nella sua sfera di significato di altri elementi, quali, ad esempio, la
cultura, i viaggi, il cinema, il cibo e la musica.
Appare chiaro quindi come, attraverso le pratiche di consumo, l’individuo
soddisfi le proprie passioni e coltivi i propri interessi, guide insostituibili nel suo
rapportarsi col mondo in cui è immerso. Tuttavia, affinché la soddisfazione sia totale e
duratura, è necessario che il consumatore possa condividere le proprie esperienze di
consumo con coloro che hanno medesimi interessi e simili passioni, mosso com’è da
una logica valoriale e passionale. In linea con tale considerazione, il soggetto si
identifica in personalità differenti a seconda del tipo di “gruppo di consumo” in cui
decide di collocarsi, pur seguendo un percorso individuale.
In epoca contemporanea, il criterio di segmentazione della società trova validità
nelle comunità vocazionali. Queste possono essere intese come insieme di individui
accomunati dalla condivisione di una stessa passione. Ciascun soggetto può situarsi in
una o più comunità vocazionali e, in relazione ad esse, caratterizzarsi per differenti
gradi d’intensità dell’interesse nei riguardi di una data attività.
I sociologi rappresentano simbolicamente la struttura delle comunità vocazionali
secondo uno schema a cerchi concentrici: in corrispondenza del primo cerchio, si
collocano gli identitari, cioè quelli che hanno una passione molto forte per quella data
attività, ed è in relazione ad essa che costoro orientano l’intera filiera dei consumi (90%
- 100%), facendo parte, in genere, di una sola comunità; in posizione intermedia, si
ritrovano gli appassionati, i quali, pur avendo una forte passione per quella data attività,
Augusto Cocorullo 15
tuttavia, si situano anche in altre comunità, non orientando la propria filiera dei consumi
alla soddisfazione di un’unica passione (40% - 70%); infine, in corrispondenza del terzo
cerchio, trovano collocazione i curiosi, che palesano un interesse solo marginale nei
riguardi di una data attività.
Lo schema appena descritto è prova e conseguenza dell’estrema diversità di
configurazioni vocazionali registrabili tra i consumatori, sempre più differenziati in
termini di filiere di consumo. Di conseguenza, le imprese, al fine di adeguarsi a tale
tendenza, hanno iniziato a rivolgersi proprio alle comunità vocazionali che, pertanto,
diventano i nuovi target cui dedicare i beni di consumo: si inizia quindi a produrre ciò
che serve a soddisfare delle passioni, e la possibilità che un prodotto conquisti un buon
posizionamento sul mercato è direttamente proporzionale al numero di passioni che
riesce a soddisfare.
Il fenomeno globalizzante, come anticipato, avendo interessato anche il settore
dei consumi, impone alcuni cambiamenti che riorganizzano dalle fondamenta le
strutture tradizionali dei modelli produttivi occidentali. La necessità di consumare e il
bisogno di innovazione determinano, e allo stesso tempo ne sono causa, l’affermarsi di
una peculiare tendenza comunemente definita obsolescenza programmata, ossia una
politica volta a definire il ciclo vitale di un prodotto che spinge il consumatore ad
effettuare nuovi acquisti secondo una scansione temporale caratterizzata da intervalli
brevi e continui. Al fine di espandere i mercati, occorre spostare la produzione in
contesti nell’ambito dei quali i costi di produzione sono inferiori, così da diffondere il
consumo di quel determinato bene anche in altri paesi e da favorire una maggiore
circolazione di denaro. Le aziende, inoltre, tendono ad allargare i propri confini
commerciali, esternalizzando i processi produttivi in modo da favorire l’abbassamento
dei costi di produzione, da una parte, e da promuovere la vendita di quella determinata
merce nei paesi nei quali s’insediano, dall’altra. Tale tendenza, pur consentendo alle
aziende di accrescere i profitti, tuttavia riduce la capacità di produzione dei paesi ricchi
e provoca una perdita di sovranità.
Le comunità vocazionali si configurano altresì come risposta al bisogno
d’aggregazione degli individui, aspetto, questo, che trova un esempio emblematico
anche nei social network. L’affermarsi di questa nuova configurazione determina una
trasformazione sostanziale del mercato: economia, politica, marketing, comunicazione e
Augusto Cocorullo 16
pubblicità non possono essere considerati settori a compartimenti stagni, ma, al
contrario, devono intendersi come vasi osmotici che si influenzano a vicendevolmente.
3. Dal marketing tradizionale ai nuovi marketing
In epoca contemporanea, uno dei comparti industriali più importanti è quello dei
media (giornali, radio, tv, internet, cinema, spettacolo, musica, teatro), dato, questo, che
attesta l’importanza della comunicazione intesa come vera e propria forma d’industria.
Il deterioramento del sistema dei valori, congiuntamente alla presa di coscienza da parte
dei consumatori circa l’importanza assunta rispetto alla determinazione della
produzione, hanno indotto alla ridefinizione delle regole del marketing. La principale
differenza intercorrente tra vecchio e nuovo marketing è collocabile nel fatto che,
mentre prima si focalizzava l’attenzione sul prodotto, successivamente è il consumatore
a divenire il protagonista esclusivo.
Le imprese, avendo compreso la necessità di rivolgersi ad un consumatore
consapevole, pongono quest’ultimo al centro del marketing e dei processi relazionali.
Ciò ha comportato una modifica radicale del marketing tradizionale, anche in termini di
elementi necessari alla costruzione di un rapporto solido e duraturo con il consumatore.
Nello specifico, occorre favorire:
a) meccanismi che consentano alle persone di parlare del prodotto come, ad
esempio, l’antico strumento del passaparola;
b) situazioni in cui ci si possa riunire e prender visione di un dato prodotto, quali,
appunto, gli eventi.
Occorre precisare che è tendenza comune definire “evento” occasioni d’incontro
anche molto diverse tra loro (festival, mostre, ecc.). Generalmente, l’evento si può
considerare come un sistema linguistico comunitario che si ripete ad intervalli più o
meno stabili, assumendo, in tal modo, rilevanza e utilità per la comunità, e
configurandosi altresì come un’interruzione all’interno flusso normale dei processi
commerciali. L’evento svolge anche una funzione di arricchimento per coloro che sono
partecipi di una stessa comunità.
Nella varietà di nuove forme di marketing, è possibile isolare due elementi fissi
e standard che sono alla base di qualsiasi modello. Nello specifico, ci si riferisce ai due
momenti principali di strutturazione di un processo di marketing:
Augusto Cocorullo 17
a) fase strategica, che comprende la preparazione della campagna in termini di
studio, ricerca ed individuazione dei target di riferimento, operazioni, queste,
estremamente complesse in virtù delle continue trasformazioni che interessano
le comunità vocazionali;
b) fase operativa, nell’ambito della quale si procede concretamente con
l’implementazione del cosiddetto modello delle 4P (prodotto, prezzo, placement,
promozione).
4. Gli advertmarketing
La leva della comunicazione ha progressivamente assunto un’importanza
sempre maggiore, fino ad attestarsi come elemento principale della nuova tipologia di
marketing, detto altresì marketing non convenzionale o advertmarketing. È possibile
distinguere quattro principali forme di advertmarketing:
1) marketing virale;
2) guerrilla marketing;
3) marketing esperienziale;
4) marketing tribale.
Suddetti tipi marketing non convenzionale, pur differenziandosi in quanto a
canali di comunicazione utilizzati e fasi di strutturazione, presentano due strumenti
basilari comuni, ossia il passaparola e gli eventi.
Il marketing virale, fondandosi su di un principio analizzato nel ‘900 circa le
modalità attraverso le quali le idee si creano e si impongono nella società, trova in Seth
Godin il suo teorizzatore, il quale, prendendo spunto dalle teorie di Lasswell, elabora un
modello di spiegazione del processo di diffusione delle idee. Queste, nell’ambito della
società contemporanea, una volta sviluppate, si diffondono grazie all’azione primaria di
individui particolarmente influenti – definiti “starnutitori”, ossia opinion leader –, che,
proprio per la loro notorietà, nel momento in cui iniziano a veicolare un’idea, e quindi
un prodotto, ne favoriscono una rapida diffusione.
L’azienda, dunque, dovrà presentare un’idea vincente che possa trasmettersi e
diramarsi attraverso un leader d’opinione in modo rapido ed efficace. Il marketing
virale, però, deve essere abbinato ad altre forme commerciali, quali, ad esempio,
campagne di distribuzione e promozione, non configurandosi come strumento dotato di
Augusto Cocorullo 18
autonomia – similmente rispetto alle altre tipologie di advertmarketing –, a differenza
del marketing esperienziale, unico a poter essere adottato senza ulteriori supporti.
Il guerrilla marketing nasce negli anni ‘80 come alternativa al marketing
tradizionale e rappresenta la forma più antica, risultando particolarmente adatto per le
piccole imprese. Il suo teorizzatore, J.C. Levinson, sostiene che le aziende di piccole
dimensioni debbano rispondere agli attacchi delle multinazionali non mediante uno
scontro “faccia a faccia”, ma con tecniche di guerrilla marketing che, pertanto,
prevedono due momenti costitutivi principali:
• fase dell’attacco;
• fase di creazione di una mitologia intorno all’azione.
Perché il processo risulti efficace, è necessario implementare azioni che
stupiscano e che abbiano un riverbero sui media così da aumentare la visibilità. Si
possono quindi attingere elementi e spunti dall’ambito delle avanguardie artistiche (es.
dadaismo, futurismo, culture underground), o, ad esempio, diffondere false notizie
(fake) da smentire solo successivamente.
Il marketing esperienziale risulta essere il più strutturato, prevedendo una
strategia complessa e articolata di accompagnamento del prodotto. Alla base della
tipologia in analisi, si colloca l’assunto secondo il quale il consumo di una merce deve
essere inteso in una più ampia accezione che includa non solo l’atto pratico del
consumo, ma anche le fasi che seguono e precedono il momento dell’acquisto.
Mauro Ferraresi individua sei fasi specifiche:
1) fase iniziale, in cui il consumatore non ha ancora preso visione del prodotto al
quale la campagna è rivolta;
2) fase in cui il prodotto lo si vede;
3) fase in cui il prodotto lo si acquista;
4) fase in cui il prodotto lo si possiede;
5) fase in cui il prodotto lo si consuma;
6) fase in cui il prodotto lo si desidera nuovamente.
Proprio lungo questo processo, che può svilupparsi in un arco temporale più o
meno prolisso, il consumatore vive l’esperienza di consumo. Il marketing esperienziale,
dunque, mira a costruire un percorso d’esperienza di consumo strutturato secondo le sei
Augusto Cocorullo 19
fasi. Ciò necessita di un lavoro che prevede l’utilizzo di strumenti comunicativi e che si
distribuisce su cinque diversi livelli:
2) sense (sensoriale);
3) feel (emotivo);
4) think (cognitivo);
5) act (azione);
6) relate (relazionale).
Il marketing tribale, infine, può assumere due diverse forme. In un caso, si
rivolge all’interno di tribù già esistenti al fine di creare un prodotto utile ai membri di
quella data comunità di consumo. In tal caso, il meccanismo di penetrazione deve
avvenire tramite individui che fanno parte della tribù cui ci si rivolge, così da avviare un
processo di imitazione tra i membri e favorire una rapida diffusione del prodotto, che,
ovviamente, deve adeguarsi agli usi e costumi di quella data tribù. Nel caso opposto,
qualora la tribù non esista, il marketing tribale mira appunto a crearla attraverso
modalità peculiari di costruzione collettiva (es. Tribù della Fiat 500 e Tim Tribù).
Le cinque fasi del consumo in Italia: tabella riepilogativa
Augusto Cocorullo
Periodo
Logica di
consumo
Tempi di
consumo
Tipologia
di consumo
Dinamica di consumo
Segmentazione
target x
Anni 60
(1957-
1968)
Funzionale-
Acquisitiva
Obbligati
Segnaletico:
integrarsi,
appartenere
Collettiva
Classi socio-
demografiche
Anni 70
(1968-
1979)
Critico-
Trasversale
Alternati
Segnaletico:
distinguersi,
trasgredire
Anni 80
(1980-
1990)
Teatralizzata-
Ostentativa
Accelerati-
Impulsivi
Mimico:
apparire
Individuale
individualistica Stili di vita
Anni 90
(1991-
2000)
Affettiva-
Identitaria
Riflessivi-
Consapevoli
Maieutico:
valere
personale Stili di pensiero
XXI
secolo
Valoriale-
Passionale
Continui-
Vitali
Identitario:
essere
identitaria
Comunità
vocazionale
20

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Comunicazione, marketing e pubblicità

  • 1. La comunicazione post-moderna - D. Pitteri 1. La comunicazione d’impresa Per “comunicazione d’impresa” si intende l’insieme delle attività che devono essere attuate da un’azienda dal punto di vista comunicativo. La comunicazione d’impresa si suddivide in tre settori differenti: • comunicazione interna, considerata poi organizzativa, dato, questo, che è prova del mutamento del segno della comunicazione, non più solo mero canale di trasmissione, ma anche valido strumento di connessione; • comunicazione istituzionale; • comunicazione commerciale. In particolare, questi ultimi due ambiti della comunicazione d’impresa, riferendosi a pubblici esterni all’azienda, costituiscono a loro volta le due componenti principali della comunicazione esterna all’impresa. Inizialmente, la comunicazione interna riguardava la trasmissione delle informazioni tra i vertici dirigenziali e i dipendenti e tra gli stessi dipendenti dell’azienda. In realtà, il pubblico interno di un’azienda risulta essere estremamente articolato. Infatti, rientrano tra i pubblici interni: azionisti, i consigli d’amministrazione, dipendenti, revisori dei conti, consigli dei sindaci, azionisti, fornitori di materiali per la gestione ordinaria (es. cancelleria), fornitori di servizi (es. pulizia, mensa), aziende fornitrici (indotto), sindacati (in virtù del fatto che spesso può essercene una rappresentanza interna all’impresa stessa), consulenti finanziari, consulenti legali, commercialisti, progettisti, consulenti della comunicazione. Da questa rassegna, appare alquanto evidente la molteplicità di pubblici interni cui l’azienda deve rivolgersi instaurando, pertanto, diverse tipologie di relazioni a seconda del tipo di pubblico di riferimento. Nello specifico, è possibile distinguere tra: • relazioni informative, attraverso e con pubblici prevalentemente lontani; • relazioni organizzative, finalizzate alla connessione delle parti interne dell’azienda. Gli strumenti mediante i quali è possibile attivare flussi di comunicazione interna possono essere così distinti: per relazioni del primo tipo, House Organ, newsletter, email, bacheche, atti a favorire un’efficace diramazione delle informazioni; per relazioni del secondo tipo, reti intranet, social network appositi. Augusto Cocorullo 1
  • 2. La comunicazione esterna, come anticipato, si suddivide a sua volta in comunicazione istituzionale e comunicazione commerciale. La comunicazione istituzionale si pone l’obiettivo primario di mantenere su livelli elevati la reputazione dell’azienda presso una serie di soggetti prossimi o non all’impresa. I pubblici di riferimento possono essere così distinti: aziende vicine, cittadini, istituzioni, stampa, stakeholders, gruppi di interesse, sindacati. La buona reputazione di un’impresa presso suddette tipologie di pubblici favorisce una migliore ricezione dei prodotti aziendali, un maggiore apprezzamento delle qualità dell’impresa, una più efficace gestione dei momenti di crisi. In particolare, essendo mutati i criteri di valutazione delle imprese adottati dai consumatori - non più interessati al mero dato industriale (es. qualità della merce, prezzo), ma sempre più attenti al codice etico e alla responsabilità sociale d’impresa -, risulta fondamentale per l’azienda godere di una buona reputazione, soprattutto per il progressivo aumento dei livelli di concorrenza in molti dei settori produttivi. Gli strumenti di comunicazione possono essere suddivisi in quattro tipologie: • media relations, per mantenere relazioni costanti con giornalisti e rappresentanti degli organi di stampa; • relazioni pubbliche, prevalentemente rivolte ad enti locali, stakeholders, associazioni dei consumatori; • comunicazione mediale, da implementare attraverso i sistemi mediali e mass mediali; • attività ed eventi, realizzabili in diverse forme di promozione o sponsorizzazione. Infine, la comunicazione commerciale (o di prodotto), che trova il suo esempio più emblematico nella pubblicità, ha lo scopo di promuovere i prodotti aziendali. La comunicazione commerciale deve essere calibrata a seconda del tipo di prodotto, dei pubblici cui si riferisce, e costituisce una delle quattro leve operative del marketing (4P - Product, Price, Place, Promotion). La pubblicità, elogiando il prodotto cui si riferisce, e servendosi di un linguaggio promozionale fondato sul piano economico, mira a far ricordare al consumatore specifiche caratteristiche o qualità di quella merce, riuscendo, in tal modo, a far ottenere un buon posizionamento sul mercato. Nello specifico, la comunicazione commerciale si attua attraverso due tipologie di canali: Augusto Cocorullo 2
  • 3. • mass media (radio, televisione, ma anche cinema e manifesti), del tipo dunque “uno-a-molti” e senza feedback; • strumenti below the line, (volantini, cataloghi); ma anche mediante promotion in store (direttamente sul soggetto al momento dell’acquisto). Con l’avvento di internet e la presenza pervasiva del web 2.0, la comunicazione d’impresa ha subito profonde e radicali trasformazioni, costringendo le aziende ad adeguarsi al nuovo contesto socio-economico attraverso una modifica sostanziale delle modalità comunicative fino a quel momento utilizzate. Tra la fine del Novecento e i primi decenni del nuovo millennio, sono nate nuove forme di “marketing non convenzionale” che si aggiungono alle precedenti complicando oltremodo il campo di studi in analisi. 2. Le cinque fasi del consumo: dal dopoguerra ai giorni nostri Occorre comprendere i motivi per i quali si è verificata un’inversione di tendenza in termini di determinazione della produzione per opera del consumatore. Mentre in passato la produzione determinava il consumo, nel contesto contemporaneo è il consumo a orientare la produzione. Allo scopo di comprendere i fattori che hanno favorito il delinearsi di tale percorso, è necessario ripercorrere le tappe principali del processo evolutivo che ha interessato la sfera dei consumi. Il modello, pur presentando le medesime caratteristiche e la stessa scansione delle fasi nella considerevole varietà di contesti socio-culturali differenti, tuttavia risulta situarsi in epoche diverse a seconda dell’area geografica che si considera, proprio per le notevoli differenze che è possibile registrare in materia di sviluppo economico e industriale. Nello specifico, negli Stati Uniti, in Francia e in Gran Bretagna, la nascita e lo sviluppo della grande industria possono collocarsi dal punto di vista cronologico nell’Ottocento. In Italia, invece, a causa dei numerosi problemi socio-politici, legati prevalentemente alle guerre mondiali ed ai numerosi conflitti interni al paese, la crescita economica fu ritardata alquanto. In particolare, al termine della Prima Guerra Mondiale, nel contesto italiano prese avvio un periodo di forti turbolenze; l’alleanza con la Germania e l’adozione delle leggi razziali influirono negativamente sullo sviluppo industriale, nella misura in cui la Lega ONU escluse da commerci proprio quei paesi Augusto Cocorullo 3
  • 4. che condividevano idee razziste. Solo dopo la Seconda Guerra Mondiale anche in Italia si diede inizio ai lavori per lo sviluppo industriale e la crescita economica del paese. Tra il 13 ed il 14 aprile del 1945 riunitisi a Yalta Churchill, Stalin e Roosevelt, si decise che l’Europa e il versante atlantico sarebbero stati assegnati agli Stati Uniti che, di conseguenza, avrebbero dovuto attivarsi al fine di promuovere una rinascita generale dopo le tragiche vicende belliche da poco conclusesi. Il piano Marshall, appunto, si proponeva di rilanciare l’economia europea e non solo. In seguito al referendum per la scelta tra monarchia e repubblica, con la relativa e storica vittoria della seconda istituzione, eletta l’assemblea Costituente, questa dopo un anno realizzò la Carta Costituzionale che entrò in vigore il 1° gennaio del 1948 con il primo governo De Gasperi. Conquistata la fiducia da parte degli Stati Uniti, ed ottenuti i finanziamenti da parte di questi ultimi, l’Italia diede ufficialmente inizio ai lavori per l’ascesa economica e lo sviluppo industriale. Nel periodo del dopoguerra, molte aziende, non avendo subito danni ingenti dal conflitto, riuscirono a riprendere una normale attività commerciale. Altre, invece, furono costrette a ricostruire dalle fondamenta la propria struttura produttiva o a riprendere, variandole, le linee di produzione adottate anche prima della guerra. A tal proposito, risulta emblematico il caso della Piaggio. Inizialmente, infatti, l’azienda si occupava della produzione di motori d’aviazione, per questo motivo, in quanto obiettivo militare, venne distrutta in seguito ai bombardamenti anglo-statunitensi. Nel dopoguerra, D’Ascanio, ingegnere dell’azienda, con grande spirito innovativo, decise di istallare il motore degli aerei, con un diverso orientamento, allo scheletro del Paperino – prototipo progettato nel 1944 e mai commercializzato –, inventando uno dei mezzi di trasporto più diffuso in assoluto. La Vespa, infatti, venne lanciata sul mercato nel 1947 ed aveva come rivale la Lambretta della Innocenti. Nel 1949, la Piaggio vende un milione di esemplari in Sud America ed in generale all’estero. In questo periodo, in Italia, presero forma numerose innovazioni e, in tal senso, un esempio emblematico è costituito dall’automobile utilitaria della Fiat. La fabbrica torinese, prediligendo criteri di progettazione di tipo funzionale, inventò suddetta tipologia di veicolo, rivoluzionando drasticamente il settore dei trasporti, creando quindi un prodotto adatto alle famiglie e ad un pubblico massificato, nonché indicato per percorsi brevi e poco agevoli, come, ad esempio, quelli dei centri storici e dei piccoli Augusto Cocorullo 4
  • 5. paesi. Tra la fine degli anni ‘40 e l’inizio degli anni ‘50, grazie ad una maggiore circolazione di denaro, iniziarono a diffondersi le Vespe anche in Italia. Il primo spot pubblicitario prodotto dalla Piaggio, sancendo definitivamente l’avvio della motorizzazione di massa, aveva come protagonista una famiglia composta da quattro persone che, spostandosi appunto in vespa (senza indossare il casco), intendeva evidenziare il duplice utilizzo cui la Vespa si sarebbe prestata: veicolo per la famiglia e il tempo libero, ma anche pratico mezzo di trasporto per il lavoratore che aveva necessità di spostarsi dalla periferia verso la città al fine di raggiungere la propria sede lavorativa. In questo stesso periodo, caratterizzato da un diffuso spirito innovativo, nacque il fotoromanzo che registrò subito un grande successo sia in Italia che all’estero, soprattutto in Spagna e Francia. Successivamente, Angelo Rizzoli, volendo rilanciare il settimanale d’attualità Oggi, ne affidò la direzione a Edilio Rusconi, il quale si dedicò all’ascolto ed alla relativa diffusione delle opinioni di coloro che, nell’ambito del referendum del 1946, avevano votato per la monarchia. In poche settimane furono venduti milioni di copie, e lo stesso Rusconi fondò nel 1956 il settimanale Gente ampliando i confini del pubblico di riferimento. Seguirono i settimanali d’inchiesta, quali, ad esempio, Europa e il Tempo. I quotidiani, invece, non ebbero grande diffusione, almeno fino a quando Enrico Mattei, eroe della Resistenza entrato a Milano tra i partigiani in quel celebre 25 aprile, compresa l’importanza ricoperta dalla diffusione delle informazioni, decise di rilanciare questo strumento per la sua battaglia. Allo stesso tempo, nominato commissario liquidatore dell’Ente Nazionale Idrocarburi (ENI), rilevata l’azienda, sconvolse i mercati mondiali, implementando politiche di giustizia socio-economica nei riguardi dei paesi dai quali il petrolio veniva importato, facendo dell’Italia un temibile concorrente delle altre potenze che, proprio sul commercio del petrolio, fondavano la propria economia. Per questo motivo, Mattei fu vittima di un attentato nel 1962. Ma prima, avendo raggiunto livelli di potere estremamente elevati, realizzò di dover disporre di un canale attraverso il quale diffondere e divulgare il prestigio acquisito, con l’intento di favorire una circolazione delle informazioni incontaminata e rivolta al vasto pubblico: nacque così il Giorno. Mattei decise altresì di dedicare una sezione alla cronaca Augusto Cocorullo 5
  • 6. sportiva, la cui direzione fu affidata a Brera, costringendo gli altri giornalisti ad adeguarsi a quel format giornalistico. Nel 1955 il paese era ormai ricostruito. La sfera del tempo libero subì radicali trasformazioni in termini di tipologie d’impiego dello stesso e di grado di partecipazione alle attività ricreative da parte della popolazione. Nello specifico, il cinema ebbe una crescita esponenziale, arrivando a 820 milioni di biglietti venduti, distribuiti su di una popolazione di 40 milioni di individui, ed all’apertura di 18 mila sale cinematografiche, delle quali molte parrocchiali. Le pellicole venivano proiettate in prima visione nelle sale di grandi dimensioni e progressivamente in sale più piccole, restando in circolazione anche per un intero anno. Negli anni ‘60 si assiste ad un vero e proprio boom economico, favorito dal continuo ed ininterrotto innalzamento del PIL dal 1947 al 1959 che, a sua volta, fu determinato dal costituirsi di un forte mercato interno ed un diramato mercato estero. Altro esempio d’innovazione è collocabile nella Moka, che, ideata da Alfonso Bialetti nel 1933 prima della Guerra senza riscuotere successo, fu rilanciata nel periodo del dopoguerra dal figlio Renato, divenendo un oggetto di culto indispensabile per l’ormai diffuso rito quotidiano del caffè. Ai fini della comprensione dei mutamenti delle modalità di consumo susseguitisi nel corso del tempo, risulta fondamentale analizzare le pratiche consumistiche che, partire dagli anni ‘60, hanno caratterizzato le diverse fasi storiche in termini di tipologie di prodotti consumati e di motivazioni sottostanti all’assunzione di determinati comportamenti di consumo. Nello specifico, nel primo dopoguerra, i consumi erano essenziali, estremamente moderati e attenti, proprio per l’influenza che le guerre mondiali avevano esercitato sulla popolazione, a causa della scarsa reperibilità dei beni primari e della povertà generale derivanti dai conflitti, favorendo l’assunzione da parte dei cittadini di un atteggiamento moderato e responsabile nei riguardi delle pratiche di consumo. Tuttavia, una parte consistente del paniere dei consumi tipico di quel periodo riguardava l’occupazione del tempo libero. Successivamente, i consumi subirono significative e radicali trasformazioni. L’avvento di alcuni elettrodomestici, infatti, contribuì notevolmente alla ridefinizione delle abitudini della popolazione, in termini di gestione familiare e occupazione del tempo libero. Augusto Cocorullo 6
  • 7. In particolare, il frigorifero, grazie alla possibilità di conservare i beni deperibili per archi temporali più lunghi, agevolò in misura considerevole l’approvvigionamento alimentare, incidendo positivamente sul bilancio delle famiglie e determinando quindi una maggiore circolazione di denaro da utilizzare per l’acquisto di altri beni (arredamento, abbigliamento, trasporti, elettrodomestici). Il telefono, invece, non ebbe stessa pervasiva diffusione: tra il 1936 ed il 1963, il numero di abbonamenti telefonici restò pressoché invariato. Furono quindi i cosiddetti beni durevoli ad essere interessati da maggiore diffusione, proprio perché per le famiglie, data l’alta qualità e l’accertata resistenza, costituivano un valido investimento trasmissibile tra le generazioni, come, ad esempio, lavatrici e, appunto, frigoriferi, nonché mezzi di trasporto. Il periodo appena descrittivo viene definito come fase dei consumi obbligati, caratterizzata dalla presenza di industrie che consentivano alla massa di accedere a determinate tipologie di merci secondo un percorso, giustappunto, obbligato, comune e legato all’acquisizione simbolica di un diritto di cittadinanza che avrebbe sancito definitivamente l’uscita dall’oscuro periodo di crisi. Questa fase di “rinascimento sociale” fu dunque accompagnato da un comportamento di consumo di tipo collettivo, per il quale tutti i membri della società avevano accesso agli stessi prodotti secondo il medesimo criterio di consumo simbolico. Il modello consumistico in analisi evolverà poi in un comportamento di consumo massificato, con una generale ridefinizione delle abitudini e delle modalità di esecuzione delle canoniche attività domestiche che determinò una sempre maggiore differenziazione dei consumi, pertanto, non più obbligati. A partire dal 1964, però, iniziò un lento declino dell’economia del paese, in concomitanza con l’istituzionalizzazione della categoria sociale dei giovani, ai quali venne dedicata una serie di prodotti tra i quali spicca senza dubbio la Vespa 50 della Piaggio. La fine del periodo di floridità e benessere viene collocata dai sociologi nel 1968, anno di stravolgimenti sociali, moti studenteschi, lotte operaie, movimenti di liberazione femminile. Il popolo desiderava rivendicare alcuni diritti che, nonostante l’entrata in vigore della Repubblica, non furono riconosciuti con immediatezza: si parlò infatti di Costituzione “ritardata”. In tal senso, esempi emblematici sono costituiti dall’accesso delle donne ai concorsi pubblici e dalla formazione delle regioni in epoche nettamente successivi rispetto all’entrata in vigore della Costituzione. Augusto Cocorullo 7
  • 8. I giovani, divenendo una realtà sociale dai confini precisi e circoscritti, modificarono la struttura ideal-tipica della famiglia tradizionale, ritardando i tempi canonici di formazione di nuovi nuclei familiari a causa di una maggiore propensione allo studio ed alla formazione culturale che, a sua volta, innescò un movimento di migrazioni interne. La fase successiva si caratterizzò per una progressiva differenziazione dei consumi, aspetto, questo, che ha portato a definire il periodo in questione come epoca della distinzione: determinati prodotti vengono consumati al fine di distinguere specifiche categorie di soggetti. Lo status symbol si configurerà come strumento attraverso il quale poter affermare la propria appartenenza ad una peculiare categoria sociale, distinta dalle altre non necessariamente in relazione alla sfera economica. Esempi eloquenti in tal senso possono essere collocati nei seguenti oggetti di consumo: il noto orologio Rolex, simbolo di ricchezza e potere d’acquisto; i blue-jeans, bandiera dei giovani rivoluzionari; la poltrona sacco, vessillo dei progressisti. Dunque, si diffuse un modello consumistico finalizzato non alla differenziazione, ma alla distinzione. In questo periodo, fiorì l’industria del mobile: la Rinascente, il cui nome fu ideato da Gabriele d’Annunzio per la catena dei fratelli Bocconi, fu il primo grande magazzino italiano dedicato al settore dell’abbigliamento e dell’arredamento e presentava al suo interno una sezione dedicata esclusivamente ai mobili di design. Nel 1954 la Rinascente fondò il premio Compasso d’Oro, per premiare gli oggetti con il migliore disegno industriale. Nel 1956 nacque l’Associazione per il Disegno Industriale (ADI). La fase del consumo finalizzato alla distinzione, seppur orientato in termini di un certo collettivismo delle pratiche consumistiche stesse, perdurò per tutti gli anni ‘70, provocando però un aumento del tasso di inflazione al 25% con una connessa svalutazione monetaria. Le prime fasi dell’epoca successiva furono caratterizzate da una diffusa crisi economica e sociale, con la trasformazione di alcuni movimenti di protesta in organizzazioni terroristiche per contrastare le quali fu utilizzato lo strumento della bomba, dato, questo, che spiega la definizione di anni di piombo. Nonostante ciò, furono raggiunti importanti e storici traguardi in materia di diritti dell’individuo, come, ad esempio, lo Statuto dei lavoratori e la legge sul divorzio. Per tutti gli anni ‘60, come Augusto Cocorullo 8
  • 9. precedentemente precisato, le attività d’occupazione del tempo libero si svolgevano prevalentemente al di fuori delle mura domestiche. A partire dal 1954, in Italia, con l’avvento della televisione, si iniziò ad assistere ad un progressivo stravolgimento dello scenario. Nel 1957 fu lanciato il noto programma Carosello, che sancisce l’ingresso ufficiale della pubblicità nella programmazione televisiva, e, in quello stesso anno, si abbonarono circa 300 mila utenti su di una popolazione complessiva di 44 milioni di persone: il televisore era presente prevalentemente in bar, esercizi pubblici e parrocchie, ben poco diffuso nelle abitazioni private. Nel 1954 si iniziò a mandare in onda il Festival di Sanremo, le cui prime tre edizioni non furono quindi trasmesse essendo nato nel 1951. Il fenomeno televisivo si affermò in tutta la sua pervasività solo tra il 1965/66. A partire dal 1973, quando ormai tutte le famiglie possedevano almeno un apparecchio televisivo ed il cinema continuava a riscuotere successo, si attestò una nuova tendenza da parte della popolazione che, al fine di non gravare in maniera eccessiva sul bilancio familiare, e per il timore di subire furti o rapine in quell’epoca dilaganti, iniziò a trascorrere sempre più tempo all’interno delle proprie abitazioni, aumentando progressivamente una nuova tipologia di consumo. In tal senso, la nascita della televisione commerciale tra il 1986 e il 1987, sancì definitivamente l’affermarsi di suddetta tendenza, con una drastica riduzione della percentuale di affluenza alle sale cinematografiche. La politica dell’Austerity che caratterizzò questo periodo, con il divieto di circolazione dei veicoli di domenica, l’anticipazione della fine delle trasmissioni televisive alle 23, e la soppressione dello spettacolo di mezzanotte dalla programmazione cinematografica, determinò un cambiamento nelle abitudini delle famiglie con un aumento dei consumi all’interno dei contesti abitativi. La fase successiva fu segnata dalla peculiare impostazione ideologica dei membri di governo, in Italia come negli Stati Uniti, in Francia e in Gran Bretagna, dove – rispettivamente Craxi, Reagan, Thatcher e Mitterrand – furono portatori di una visione del mondo orientata all’ottimismo e alla speranza di un florido futuro, pur nelle ragionevoli differenze. Nel caso specifico italiano, Craxi, divenuto segretario del Partito Socialista nella seconda metà degli anni ‘70, fu fautore di modalità di governo ottimistiche e rivolte al rilancio dell’economia del paese. In questo periodo si verificarono numerosi mutamenti Augusto Cocorullo 9
  • 10. nella sfera dei consumi. Nel settore della moda, emblematico è il passaggio dall’haute couture al prêt-à-porter, che favorì la diffusione di un senso estetico nella massa grazie alla maggiore disponibilità di prodotti “alla moda”. Negli anni ‘80, infatti, iniziò a prevalere il criterio estetico su quello funzionale: l’abito fu connotato in termini di espressione identitaria, il design fu ridefinito in quanto a linee e materiali, l’estetica, in definitiva, prevalse sulla funzionalità. Suddetto fenomeno provocò una modifica sostanziale della percezione della realtà da parte dell’individuo il quale, di conseguenza, iniziò a circondarsi di oggetti portatori di un senso estetico definito e personale. Tra il 1975 e il 1976, con l’emanazione di due sentenze da parte della Corte Costituzionale in materia di pubblicità, venne ridefinito l’assetto della definizione dei palinsesti in termini di maggiore presenza di spot pubblicitari e di trasmissione continua, non più circoscritta a determinanti momenti della giornata come invece accadeva in precedenza. In questo contesto, la pubblicità si arricchisce di una carica valoriale, costituendo un effettivo linguaggio della realtà, nella misura in cui ad essa era affidata la narrazione della società, delle sue tradizioni e delle sue abitudini. La fusione degli elementi finora descritti – rispettivamente collocabili nella pubblicità, appunto, nella moda, nel design e nella musica – scatenò nei consumatori un irrefrenabile impulso all’acquisto di qualsiasi tipologia di prodotto, al fine di esprimere parte della propria identità attraverso l’ostentazione di determinati oggetti dalla forte valenza simbolica. A differenza di quanto accadeva negli anni ‘70, con il prevalere di un comportamento di consumo finalizzato alla distinzione ma con evidenti tracce di collettivismo, negli anni ‘80 si affermò un atteggiamento consumistico orientato all’immedesimazione del singolo individuo nel modello identitario di riferimento: il consumatore, attraverso l’acquisto di un determinato prodotto intendeva esprimere non la sua reale identità, quanto piuttosto l’adesione ad uno specifico status symbol differenziato e, in alcuni casi, poliprospettico, palesando non la propria effettiva personalità ma il desiderio di incarnarsi in un altro personaggio. Nell’epoca in analisi, i sociologi collocano una forma di consumo teatralizzato e compulsivo di natura non collettiva bensì individuale. Pertanto, la pubblicità forniva all’individuo la sceneggiatura, il design la scenografia e la moda i costumi, strumenti, questi, utilizzati dall’individuo per interpretare il personaggio sul palcoscenico della realtà. Augusto Cocorullo 10
  • 11. La segmentazione socio-demografica prevede, appunto, una suddivisione dei consumatori in categorie socio-demografiche (es. titolo di studio, lavoro, residenza, reddito) che, pertanto, si configurano come oggettive e standard. Tuttavia, pur consentendo una lettura anche “qualitativa” della storia del consumo, suddette categorie subiranno radicali trasformazioni. A partire dagli anni ‘80, si afferma una modalità di consumo di tipo individualistico, rispetto al precedente modello collettivo: ogni individuo consuma secondo spinte proprie, non più secondo grandi flussi collettivi. In questo contesto, le pratiche di consumo sono finalizzate all’ostentazione, a sua volta diretta al potenziamento dell’esteriorità del soggetto e della sua immagine. A tal proposito, risulta utile il contributo di Gianpaolo Fabris, noto sociologo italiano che, definendo degli stili di vita idealtipici, sviluppa un’analisi della società individuando dei modelli approssimativamente fissi ed esaminando le modalità di interazione degli individui rispetto alla realtà sociale in relazione al contesto di appartenenza: dopo aver suddiviso la popolazione secondo caratteristiche oggettive, valuta la vicinanza dei soggetti ad uno schema piuttosto che ad un altro. Il processo di segmentazione, dunque, da un’impostazione socio-demografica passa all’adozione degli stili di vita. In questo periodo, il criterio di funzionalità applicato al consumo viene progressivamente sostituito da aspetti di immaterialità e intangibilità. Nello specifico, gli stili di vita introducono due elementi di novità: a) collegamento diretto tra stili di vita e comportamenti di consumo; b) legami tra stile di vita e potere d’acquisto. Gli stili, pertanto, si caratterizzano per catene di prodotti specifici. Il consumatore, avendo la possibilità di sperimentare stili di vita differenti nell’arco della propria esistenza, modifica continuamente il suo comportamento di consumo, non connotandosi in tal modo per un’individualità stabile e facilmente fotografabile: ciò porta all’analisi non dei consumatori in quanto tali, ma, appunto, degli stili di vita. Alla fine degli anni ‘80, però, si assiste ad un progressivo affievolirsi del sentimento di fiducia che fino a quel momento aveva permeato la realtà socio- economica di molti paesi del mondo, a causa di alcuni fattori scatenanti: • la strage di Chernobyl che, grazie alla capacità di diffusione propria dei mass media, ebbe un impatto violento sull’immaginario collettivo; Augusto Cocorullo 11
  • 12. • la piaga sociale dell’Aids che, come conseguenza della rottura degli schemi comportamentali tradizionali in termini di atteggiamento dell’individuo nei riguardi della sessualità, s’insinuò tra la popolazione, pesando notevolmente anche sul piano psicologico oltre che su quello – direttamente connesso – della salute; • la progressiva mancanza di denaro, infine, che determinò una trasformazione radicale del comportamento di consumo nel decennio successivo. In particolare, negli anni ‘90, periodo nel quale si colloca la quarta fase del consumo inteso come fenomeno sociale in continua evoluzione, a causa dei fattori precedentemente elencati, sorge nei consumatori un sentimento di paura nei confronti della libertà fino a quel momento considerata in maniera positiva che, a sua volta, spinge la popolazione ad assumere un atteggiamento pacato e misurato nei riguardi delle merci e dei beni di consumo. Nello specifico, dal punto di vista della dinamica del consumo, si assiste all’affermarsi di un approccio personale – quindi improntato sulla cura del sé –, ben diverso da quello individualistico, tipico del decennio precedente; i tempi del consumo diventano riflessivi e consapevoli nella misura in cui il soggetto antepone la riflessione circa l’effettiva utilità dell’acquisto all’acquisto stesso, discostandosi alquanto dalla spinta impulsiva tipica degli anni ‘80. Alla base di siffatta configurazione, si colloca la volontà del consumatore di generare valore attraverso l’acquisto, instaurando un rapporto affettivo con le merci che, per la valenza così assunta, conferiscono al consumatore elementi per la costruzione della sua specifica identità. Dal punto di vista della segmentazione, si assiste al passaggio dagli stili di vita agli stili di pensiero, con il relativo abbandono delle variabili socio-demografiche: le merci vengono valutate non solo per la loro funzionalità, ma anche in relazione ad ulteriori capacità d’accrescimento del proprio benessere interiore, nonché per altri valori di tipo etico-comportamentali. La società, dunque, tende ad assumere comportamenti di consumo consapevoli ed eticamente fondati, pretendendo dalle aziende responsabilità e giudizio nei riguardi dell’ambiente e della stessa platea dei consumatori. Come precedentemente accennato, la dinamica di consumo individuale di tipo personale spinge il soggetto ad agire in funzione del proprio benessere e della propria salute, obbligando le imprese ad operare secondo criteri di responsabilità ed in pieno Augusto Cocorullo 12
  • 13. rispetto dei codici etici ed ambientali. In questa fase, i consumatori, in quanto categoria sociale, iniziano ad acquisire coscienza del potere che sono in grado di esercitare nei riguardi delle imprese, non solo in termini di determinazione delle modalità comunicative e di azione sul mercato adottate dalle aziende, ma anche in relazione alla possibilità di decretare l’orientamento della produzione. Alla fine degli anni ‘90, con l’avvento di internet, nascono i new media che modificano irreversibilmente le pratiche di consumo ed il settore della pubblicità. In un primo momento, internet, caratterizzandosi per una configurazione non chiaramente definita, sembrava potesse essere classificato come un normale mass media. Inizialmente, infatti, svolgeva tre semplici funzioni: 1) consentiva alle imprese di presentarsi in modo innovativo mediante il sito, considerabile come brochure virtuale che, non dovendo essere stampata e distribuita manualmente, favoriva la diminuzione dei costi e delle risorse da impiegare; 2) creava interattività, consentendo il diramarsi di reti autonome di consumatori mediante la posta elettronica; 3) offriva ai consumatori la possibilità di interagire in spazi virtuali, quali, ad esempio, chat e forum, potenziando notevolmente la visibilità delle aziende. Successivamente, con l’introduzione dei motori di ricerca, si assiste ad una rivoluzione definitiva, nella misura in cui, grazie al World Wide Web (WWW), si velocizzano in maniera esponenziale i processi di ricerca. Internet diviene quindi uno strumento di visibilità e rintracciabilità a servizio delle aziende, divenuto ancora più potente in seguito alla scoperta dell’algoritmo di Google che, come risaputo, inizierà ad operare una selezione non in base alle fonti ma al contenuto delle pagine web. In definitiva, i new media, invadendo la realtà sociale di fine anni ‘90, favoriscoco una maggiore circolazione di informazioni tra i consumatori circa il comportamento assunto da organizzazioni sociali, commerciali e politiche. I circuiti informativi determinano una metamorfosi del sistema produttivo, con la proliferazione di forme di comunicazione di tipo commerciale (già a partire del 1900, Cyrus fonda Ladies, noto periodico americano, improntato sull’informazione di tipo commerciale). In questo contesto, il rapporto fiduciario che si instaura tra gli individui in ambiente virtuale influisce drasticamente sulle configurazioni assunte dalla produzione. Augusto Cocorullo 13
  • 14. Tuttavia, solo con l’affermarsi del Web 2.0 si attesta una vera e propria forma di interattività tra gli utenti della rete e quindi tra i consumatori, proprio per la possibilità di sviluppare un dialogo paritario attraverso l’utilizzo di uno stesso canale, e per la potenzialità propria di ogni singolo utente di produrre contributi e renderli pubblici. Con il Web 2.0, assume piena valenza ed applicabilità l’articolo 19 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani – approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948 –, relativo diritto dei consumatori di fare e ricevere informazione. Attualmente, però, si è affermata una tendenza che si configura come diretta conseguenza di suddetta configurazione del web: si è ormai accumulata un’enorme quantità di informazioni che rende complesso l’orientamento da parte dell’utente; tale fenomeno viene scientificamente definito overload informativo. In particolare, il consumatore, al fine di selezionare i contenuti utili esclusivamente ai propri fini, adotta un criterio discriminatorio fondato sull’interesse personale. La presa di coscienza da parte dei consumatori, sempre più consapevoli del proprio potere sul mercato, obbliga le imprese a riorganizzare l’assetto produttivo e commerciale, al fine di ottemperare alle richieste provenienti da una platea di acquirenti sempre più attenti ai valori etici ed alla responsabilità sociale delle aziende. Di conseguenza, si trasformano anche il modo di comunicare delle imprese ed il paradigma di marketing da esse seguito: il focus attentivo si sposta dal prodotto al consumatore. Si giunge quindi all’ultima fase del consumo – collocabile nel XXI secolo –, nell’ambito della quale si afferma la necessità di riformulare le modalità relazionali intercorrenti tra imprese e consumatori, alla luce delle potenzialità offerte dalla rete. Come anticipato, il criterio di selezione è imperniato sull’interesse dell’individuo: il gusto personale assume rilevanza sempre maggiore, divenendo il parametro in relazione al quale ciascun consumatore decide se acquistare oppure no un determinato bene. In particolare, mentre in precedenza suddetta discriminante veniva applicata solo ed esclusivamente ai prodotti culturali, in epoca contemporanea, invece, viene adottato per tutte le merci. Ogni essere umano possiede delle guide che orientano nella scelta, come, ad esempio, passioni o interessi peculiari, che, però, essendo soggetti a continue modificazioni, determinano un costante mutamento dei gusti e delle preferenze del consumatore. È importante osservare che, mentre in epoche passate l’affermazione sociale dell’individuo era determinata dal ruolo svolto nel proprio contesto di lavoro – Augusto Cocorullo 14
  • 15. tendenza, questa, acuitasi nel periodo della rivoluzione industriale in relazione all’ulteriore differenziazione delle attività lavorative –, attualmente, invece, si tende a non associare l’identità alla professione. Il tempo libero, infatti, muta nella sua scansione: si configura come “tempo di vita” in cui non si ha l’obbligo di svolgere le proprie mansioni lavorative, ma è possibile, al contrario, impegnarsi in attività ricreative, ed è ciò a cui l’individuo si dedica in questo arco temporale a definire la sua identità, non la posizione lavorativa. In ambito sociologico, la dinamica contemporanea di consumo è definita identitaria: l’individuo è tale perché consuma tali beni; la necessità di consumo è quindi rinnovata e continuata. L’assioma secondo cui l’individuo trova la sua identità nel consumo impone un ampliamento del raggio d’azione di suddetto concetto, in termini di inglobamento nella sua sfera di significato di altri elementi, quali, ad esempio, la cultura, i viaggi, il cinema, il cibo e la musica. Appare chiaro quindi come, attraverso le pratiche di consumo, l’individuo soddisfi le proprie passioni e coltivi i propri interessi, guide insostituibili nel suo rapportarsi col mondo in cui è immerso. Tuttavia, affinché la soddisfazione sia totale e duratura, è necessario che il consumatore possa condividere le proprie esperienze di consumo con coloro che hanno medesimi interessi e simili passioni, mosso com’è da una logica valoriale e passionale. In linea con tale considerazione, il soggetto si identifica in personalità differenti a seconda del tipo di “gruppo di consumo” in cui decide di collocarsi, pur seguendo un percorso individuale. In epoca contemporanea, il criterio di segmentazione della società trova validità nelle comunità vocazionali. Queste possono essere intese come insieme di individui accomunati dalla condivisione di una stessa passione. Ciascun soggetto può situarsi in una o più comunità vocazionali e, in relazione ad esse, caratterizzarsi per differenti gradi d’intensità dell’interesse nei riguardi di una data attività. I sociologi rappresentano simbolicamente la struttura delle comunità vocazionali secondo uno schema a cerchi concentrici: in corrispondenza del primo cerchio, si collocano gli identitari, cioè quelli che hanno una passione molto forte per quella data attività, ed è in relazione ad essa che costoro orientano l’intera filiera dei consumi (90% - 100%), facendo parte, in genere, di una sola comunità; in posizione intermedia, si ritrovano gli appassionati, i quali, pur avendo una forte passione per quella data attività, Augusto Cocorullo 15
  • 16. tuttavia, si situano anche in altre comunità, non orientando la propria filiera dei consumi alla soddisfazione di un’unica passione (40% - 70%); infine, in corrispondenza del terzo cerchio, trovano collocazione i curiosi, che palesano un interesse solo marginale nei riguardi di una data attività. Lo schema appena descritto è prova e conseguenza dell’estrema diversità di configurazioni vocazionali registrabili tra i consumatori, sempre più differenziati in termini di filiere di consumo. Di conseguenza, le imprese, al fine di adeguarsi a tale tendenza, hanno iniziato a rivolgersi proprio alle comunità vocazionali che, pertanto, diventano i nuovi target cui dedicare i beni di consumo: si inizia quindi a produrre ciò che serve a soddisfare delle passioni, e la possibilità che un prodotto conquisti un buon posizionamento sul mercato è direttamente proporzionale al numero di passioni che riesce a soddisfare. Il fenomeno globalizzante, come anticipato, avendo interessato anche il settore dei consumi, impone alcuni cambiamenti che riorganizzano dalle fondamenta le strutture tradizionali dei modelli produttivi occidentali. La necessità di consumare e il bisogno di innovazione determinano, e allo stesso tempo ne sono causa, l’affermarsi di una peculiare tendenza comunemente definita obsolescenza programmata, ossia una politica volta a definire il ciclo vitale di un prodotto che spinge il consumatore ad effettuare nuovi acquisti secondo una scansione temporale caratterizzata da intervalli brevi e continui. Al fine di espandere i mercati, occorre spostare la produzione in contesti nell’ambito dei quali i costi di produzione sono inferiori, così da diffondere il consumo di quel determinato bene anche in altri paesi e da favorire una maggiore circolazione di denaro. Le aziende, inoltre, tendono ad allargare i propri confini commerciali, esternalizzando i processi produttivi in modo da favorire l’abbassamento dei costi di produzione, da una parte, e da promuovere la vendita di quella determinata merce nei paesi nei quali s’insediano, dall’altra. Tale tendenza, pur consentendo alle aziende di accrescere i profitti, tuttavia riduce la capacità di produzione dei paesi ricchi e provoca una perdita di sovranità. Le comunità vocazionali si configurano altresì come risposta al bisogno d’aggregazione degli individui, aspetto, questo, che trova un esempio emblematico anche nei social network. L’affermarsi di questa nuova configurazione determina una trasformazione sostanziale del mercato: economia, politica, marketing, comunicazione e Augusto Cocorullo 16
  • 17. pubblicità non possono essere considerati settori a compartimenti stagni, ma, al contrario, devono intendersi come vasi osmotici che si influenzano a vicendevolmente. 3. Dal marketing tradizionale ai nuovi marketing In epoca contemporanea, uno dei comparti industriali più importanti è quello dei media (giornali, radio, tv, internet, cinema, spettacolo, musica, teatro), dato, questo, che attesta l’importanza della comunicazione intesa come vera e propria forma d’industria. Il deterioramento del sistema dei valori, congiuntamente alla presa di coscienza da parte dei consumatori circa l’importanza assunta rispetto alla determinazione della produzione, hanno indotto alla ridefinizione delle regole del marketing. La principale differenza intercorrente tra vecchio e nuovo marketing è collocabile nel fatto che, mentre prima si focalizzava l’attenzione sul prodotto, successivamente è il consumatore a divenire il protagonista esclusivo. Le imprese, avendo compreso la necessità di rivolgersi ad un consumatore consapevole, pongono quest’ultimo al centro del marketing e dei processi relazionali. Ciò ha comportato una modifica radicale del marketing tradizionale, anche in termini di elementi necessari alla costruzione di un rapporto solido e duraturo con il consumatore. Nello specifico, occorre favorire: a) meccanismi che consentano alle persone di parlare del prodotto come, ad esempio, l’antico strumento del passaparola; b) situazioni in cui ci si possa riunire e prender visione di un dato prodotto, quali, appunto, gli eventi. Occorre precisare che è tendenza comune definire “evento” occasioni d’incontro anche molto diverse tra loro (festival, mostre, ecc.). Generalmente, l’evento si può considerare come un sistema linguistico comunitario che si ripete ad intervalli più o meno stabili, assumendo, in tal modo, rilevanza e utilità per la comunità, e configurandosi altresì come un’interruzione all’interno flusso normale dei processi commerciali. L’evento svolge anche una funzione di arricchimento per coloro che sono partecipi di una stessa comunità. Nella varietà di nuove forme di marketing, è possibile isolare due elementi fissi e standard che sono alla base di qualsiasi modello. Nello specifico, ci si riferisce ai due momenti principali di strutturazione di un processo di marketing: Augusto Cocorullo 17
  • 18. a) fase strategica, che comprende la preparazione della campagna in termini di studio, ricerca ed individuazione dei target di riferimento, operazioni, queste, estremamente complesse in virtù delle continue trasformazioni che interessano le comunità vocazionali; b) fase operativa, nell’ambito della quale si procede concretamente con l’implementazione del cosiddetto modello delle 4P (prodotto, prezzo, placement, promozione). 4. Gli advertmarketing La leva della comunicazione ha progressivamente assunto un’importanza sempre maggiore, fino ad attestarsi come elemento principale della nuova tipologia di marketing, detto altresì marketing non convenzionale o advertmarketing. È possibile distinguere quattro principali forme di advertmarketing: 1) marketing virale; 2) guerrilla marketing; 3) marketing esperienziale; 4) marketing tribale. Suddetti tipi marketing non convenzionale, pur differenziandosi in quanto a canali di comunicazione utilizzati e fasi di strutturazione, presentano due strumenti basilari comuni, ossia il passaparola e gli eventi. Il marketing virale, fondandosi su di un principio analizzato nel ‘900 circa le modalità attraverso le quali le idee si creano e si impongono nella società, trova in Seth Godin il suo teorizzatore, il quale, prendendo spunto dalle teorie di Lasswell, elabora un modello di spiegazione del processo di diffusione delle idee. Queste, nell’ambito della società contemporanea, una volta sviluppate, si diffondono grazie all’azione primaria di individui particolarmente influenti – definiti “starnutitori”, ossia opinion leader –, che, proprio per la loro notorietà, nel momento in cui iniziano a veicolare un’idea, e quindi un prodotto, ne favoriscono una rapida diffusione. L’azienda, dunque, dovrà presentare un’idea vincente che possa trasmettersi e diramarsi attraverso un leader d’opinione in modo rapido ed efficace. Il marketing virale, però, deve essere abbinato ad altre forme commerciali, quali, ad esempio, campagne di distribuzione e promozione, non configurandosi come strumento dotato di Augusto Cocorullo 18
  • 19. autonomia – similmente rispetto alle altre tipologie di advertmarketing –, a differenza del marketing esperienziale, unico a poter essere adottato senza ulteriori supporti. Il guerrilla marketing nasce negli anni ‘80 come alternativa al marketing tradizionale e rappresenta la forma più antica, risultando particolarmente adatto per le piccole imprese. Il suo teorizzatore, J.C. Levinson, sostiene che le aziende di piccole dimensioni debbano rispondere agli attacchi delle multinazionali non mediante uno scontro “faccia a faccia”, ma con tecniche di guerrilla marketing che, pertanto, prevedono due momenti costitutivi principali: • fase dell’attacco; • fase di creazione di una mitologia intorno all’azione. Perché il processo risulti efficace, è necessario implementare azioni che stupiscano e che abbiano un riverbero sui media così da aumentare la visibilità. Si possono quindi attingere elementi e spunti dall’ambito delle avanguardie artistiche (es. dadaismo, futurismo, culture underground), o, ad esempio, diffondere false notizie (fake) da smentire solo successivamente. Il marketing esperienziale risulta essere il più strutturato, prevedendo una strategia complessa e articolata di accompagnamento del prodotto. Alla base della tipologia in analisi, si colloca l’assunto secondo il quale il consumo di una merce deve essere inteso in una più ampia accezione che includa non solo l’atto pratico del consumo, ma anche le fasi che seguono e precedono il momento dell’acquisto. Mauro Ferraresi individua sei fasi specifiche: 1) fase iniziale, in cui il consumatore non ha ancora preso visione del prodotto al quale la campagna è rivolta; 2) fase in cui il prodotto lo si vede; 3) fase in cui il prodotto lo si acquista; 4) fase in cui il prodotto lo si possiede; 5) fase in cui il prodotto lo si consuma; 6) fase in cui il prodotto lo si desidera nuovamente. Proprio lungo questo processo, che può svilupparsi in un arco temporale più o meno prolisso, il consumatore vive l’esperienza di consumo. Il marketing esperienziale, dunque, mira a costruire un percorso d’esperienza di consumo strutturato secondo le sei Augusto Cocorullo 19
  • 20. fasi. Ciò necessita di un lavoro che prevede l’utilizzo di strumenti comunicativi e che si distribuisce su cinque diversi livelli: 2) sense (sensoriale); 3) feel (emotivo); 4) think (cognitivo); 5) act (azione); 6) relate (relazionale). Il marketing tribale, infine, può assumere due diverse forme. In un caso, si rivolge all’interno di tribù già esistenti al fine di creare un prodotto utile ai membri di quella data comunità di consumo. In tal caso, il meccanismo di penetrazione deve avvenire tramite individui che fanno parte della tribù cui ci si rivolge, così da avviare un processo di imitazione tra i membri e favorire una rapida diffusione del prodotto, che, ovviamente, deve adeguarsi agli usi e costumi di quella data tribù. Nel caso opposto, qualora la tribù non esista, il marketing tribale mira appunto a crearla attraverso modalità peculiari di costruzione collettiva (es. Tribù della Fiat 500 e Tim Tribù). Le cinque fasi del consumo in Italia: tabella riepilogativa Augusto Cocorullo Periodo Logica di consumo Tempi di consumo Tipologia di consumo Dinamica di consumo Segmentazione target x Anni 60 (1957- 1968) Funzionale- Acquisitiva Obbligati Segnaletico: integrarsi, appartenere Collettiva Classi socio- demografiche Anni 70 (1968- 1979) Critico- Trasversale Alternati Segnaletico: distinguersi, trasgredire Anni 80 (1980- 1990) Teatralizzata- Ostentativa Accelerati- Impulsivi Mimico: apparire Individuale individualistica Stili di vita Anni 90 (1991- 2000) Affettiva- Identitaria Riflessivi- Consapevoli Maieutico: valere personale Stili di pensiero XXI secolo Valoriale- Passionale Continui- Vitali Identitario: essere identitaria Comunità vocazionale 20