White Paper - La responsabilità civile e penale del personale sanitario
La Legge Balduzzi, introdotta nell’ambito del Decreto Sanità del 2013, ha portato ad una profonda riforma del sistema sanitario, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti giuridici della professione sanitaria. La definizione delle linee guida come linea di demarcazione per le responsabilità mediche in caso di colpa lieve (e in certi casi anche di colpa grave) e l’estensione del criterio civilistico all’ambito penale della colpa grave hanno portato a grandi dibattiti giurisprudenziali. In questo paper si cerca di dare una panoramica sulla questione senza addentrarsi nelle complessità giuridiche della questione.
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White Paper - La responsabilità civile e penale del personale sanitario
1. La responsabilità civile e penale
del personale sanitario
Le novità introdotte dalla «Legge Balduzzi»
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2. Introduzione
La questione della responsabilità penale e civile dei medici ha assunto nel corso degli anni una dimensione sempre più
«preoccupante», in quanto una relativa incertezza giurisprudenziale aveva indotto un sempre maggior numero di
professionisti sanitari al ricorso alla c.d. medicina difensiva, ossia il ricorso a pratiche mediche motivate più dalla
autotutela legale rispetto all’interesse del paziente.
La medicina difensiva si divide in due categorie:
• Medicina difensiva negativa – Comportamenti tendenzialmente omissivi da parte del medico in situazioni
potenzialmente rischiose e/o compromettenti per il medico.
• Medicina difensiva positiva – Al fine di garantirsi in modo preventivo contro ogni possibile causa successiva il medico
prescrive esami e trattamenti anche non strettamente necessari, con conseguenti costi aggiuntivi per il sistema
sanitario.
Questo tipo di comportamenti, derivanti da un certo filone giurisprudenziale che si era affermato prima dell’entrata in
vigore della legge Balduzzi, danneggia sia il paziente – il quale si trova costretto a sostenere spese aggiuntive per esami e
trattamenti spesso non necessari – che il Sistema Sanitario nel suo complesso – su cui vanno a gravare i costi e i tempi di
questo «eccesso terapeutico».
A tal fine la Legge Balduzzi mira ad introdurre nel Sistema Sanitario nazionale l’uso delle guidelines e delle buone pratiche
come nei sistemi anglosassoni – ossia delle pratiche
«identificabili in interventi, strategie e approcci finalizzati a prevenire o mitigare le conseguenze inattese delle
prestazioni sanitarie o a migliorare il livello di sicurezza delle stesse. […] In particolare, sono considerate pratiche per la
sicurezza essenziali quelle che hanno una forte evidenza in termini di probabilità di riduzione del danno al paziente;
sono generalizzabili, ovvero applicabili in contesti differenti; si basano su conoscenze condivisibili anche dai pazienti,
dai professionisti e dai ricercatori».
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3. La Legge Balduzzi
La Legge Balduzzi è stata introdotta (nella sua versione originale) nel c.d. Decreto Sanità (Disposizioni urgenti per
promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute) del 13 settembre 2012, ma nella sua
versione approvata il testo della legge – e la sua intenzione – è stata cambiato.
Legge Balduzzi – Testo originale
(DL 13 Settembre 2012 n. 158)
Fermo restando il disposto dell’articolo 2236 del
codice civile, nell’accertamento della colpa lieve
nell’attività dell’esercente le professioni sanitarie
il giudice, ai sensi dell’articolo 1176 del codice
civile, tiene conto in particolare dell’osservanza,
nel caso concreto, delle linee guida e delle buone
pratiche accreditate dalla comunità scientifica
nazionale ed internazionale.
Legge Balduzzi – Testo approvato in
forma di legge
L’esercente la professione sanitaria che nello
svolgimento della propria attività si attiene a
linee guida e buone pratiche accreditate dalla
comunità scientifica non risponde penalmente per
colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo
l’obbligo di cui all’articolo 2043 del codice civile. Il
giudice, anche nella determinazione del
risarcimento del danno, tiene debitamente conto
della condotta di cui al primo periodo.
L’obiettivo iniziale della Legge Balduzzi era quello di estendere la disciplina civilistica in materia sanitaria in modo da
estendere l’uso delle linee guida nell’ambito sanitario, ponendo in questo modo un limite al ricorso alla medicina difensiva;
nella sua versione definitiva la legge è stata modificata introducendo la distinzione tra colpa lieve e colpa grave: il personale
sanitario può essere penalmente responsabile solo in caso di colpa grave, ossia per imperizia. Per quanto riguarda la colpa
lieve, questa dipende dall’attinenza del medico alle linee guida o meno.
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4. Il perché della Legge Balduzzi
La Legge Balduzzi, come già accennato nell’introduzione, è stata pensata come sistema di contrasto alla eccessiva
diffusione della medicina difensiva. Al fine di contrastare lo sviluppo di questo sistema è necessario operare alla base del
problema, intervenendo sulla base legale della medicina difensiva, ossia sulla sotto-regolamentazione che si era venuta a
configurare per il personale sanitario.
La disciplina civilistica precedente faceva sì che il medico fosse legato da due contratti: uno con la struttura sanitaria
presso cui opera, e un altro contratto «fittizio» con il paziente. Mentre il contratto con la struttura sanitaria è un contratto a
tutti gli effetti, quello che «lega» il medico al paziente non è un contratto in senso stretto, in quanto il paziente non
sottoscrive alcun accordo formale con il medico, e spesso sono più persone (medici e infermieri) ad avere a che fare con il
paziente nell’ambito della struttura, andando in contrasto con la disciplina definita dagli articoli 1325 n.1 e 1326 del Codice
Civile (Requisiti del Contratto e Accordo tra le parti).
Di fatto il sistema precedente alla legge Balduzzi configurava quindi un sistema in cui il medico doveva rispondere ad una
doppia responsabilità, una contrattuale verso la struttura, e una extracontrattuale con il paziente. Il nuovo sistema
introdotto dalla legge Balduzzi mira a risolvere questa problematica della doppia assegnazione.
La definizione delle linee guida come elemento discriminante nell’ambito della colpa lieve implica un’innovazione
rilevante dal punto di vista giuridico, come evidenziato dal Tribunale di Varese (26 novembre 2012): le linee guida non
sono infatti da considerarsi come un ingessato sistema burocratico entro cui i medici sono costretti ad operare, in quanto la
capacità del medico è e rimane l’elemento centrale nella definizione delle indicazioni terapeutiche, soprattutto nei casi
più complessi.
In ogni caso la giurisprudenza esclude che il medico possa «farsi scudo» delle linee guida in caso di colpa grave, in quanto
queste sono elastiche e puramente indicative (come nel modello anglosassone); il medico non può farsi scudo
dell’attinenza alle linee guida in caso di colpa grave, in quanto secondo la nuova disciplina giuridica la colpa grave si
configura solo nel caso di imperizia, mentre imprudenza e negligenza ricadono nell’ambito civilistico.
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5. Linee guida e buone pratiche
La definizione di linee guida e buone pratiche deriva dalla necessità di fissare uno standard operativo in base al quale
determinare le responsabilità e le problematiche connesse ai vari problemi di malasanità: attraverso l’esistenza di questi
standard è possibile definire se sono casi di malapratica o sono stati causati da deficienze strutturali/organizzative che
devono essere corrette.
In linea di massima sono definibili come «raccomandazioni di comportamento clinico, elaborate mediante un processo di
revisione sistematica della letteratura e delle opinioni scientifiche, al fine di aiutare medici e pazienti a decidere le modalità
assistenziali più appropriate in specifiche situazioni cliniche». Risulta quindi che le linee guida (e le buone pratiche) si
configurino quindi come un sistema per orientare le decisioni del personale sanitario verso la soluzione maggiormente
affermata in campo scientifico-medico al riguardo. In ogni caso, non sono da considerarsi come ordini categorici, ma
come semplicemente come indicazioni la cui validità è basata su tre presupposti:
• Applicabilità
• Riproducibilità
• Validità scientifica
Questi presupposti sono verificati da organismi la cui competenza nel campo è riconosciuta a livello internazionale, e che si
adoperano per distillare dal complesso della produzione scientifica mondiale la summa delle migliori pratiche sanitarie, le
quali vengono sottoposte ad un processo di controllo di validità ed efficacia.
Al livello europeo è stato istituito l’European Union Network for Patient Safety and Quality of Care, che ha creato un
modello concettuale per la classificazione delle pratiche per la sicurezza del paziente, basandosi su tre criteri di
classificazione:
• Effettiva realizzazione dell’esperienza
• Valutazione dei risultati con analisi prima-dopo
• Efficacia in termini di miglioramento della sicurezza dei pazienti
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6. European Network for Patient Safety and Quality of Care
Safe pratices
(pratiche sicure e consolidate)
Not proven effective pratices
(Pratiche la cui efficienza e sicurezza non
risulta dimostrata)
Potentially secure pratices
(Pratiche potenzialmente sicure)
Not evaluated pratices
(Pratiche non sperimentate e valutate)
I medici si oppongono ad una concezione della
medicina così «standardizzata», in quanto vedono in
questa una banalizzazione e uno svilimento della
professione medica, non comprendendo invece la
grande utilità di un simile sistema nel ridurre il
rischio di contenziosi e problemi legali.
Attraverso questo sistema è infatti possibile definire
in modo chiaro la distinzione tra responsabilità civile
e responsabilità penale per il personale sanitario,
anche se una parte della giurisprudenza (vedi
Tribunale di Milano, 21 marzo 2013) solleva una
questione di legittimità costituzionale a riguardo, in
quanto creerebbe una «norma ad professionem», che
escluderebbe dalla colpa il sanitario che si attenga alle
guidelines accreditate.
Not implemented pratices
(Pratiche non ancora messe in pratiche)
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