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Loro cantano e l’Africa non riesce neanche a votare
Nello Zaire è così difficile contare le vittime del conflitto che gli elenchi elettorali
non saranno pronti prima del 2006.

di Nicola Procaccini
In nome dell’Africa, a Roma, Berlino, Filadelfia e Londra si canta e si balla gratis. Nel frattempo, in
Congo, nel cuore del continente africano, torna ad aleggiare minaccioso lo spettro di quella che è
stata definita la “Guerra Mondiale Africana”.
Si infiamma la protesta popolare a Kinshasa, capitale della Repubblica Democratica del Congo, la
polizia anti-sommossa è intervenuta giovedì per disperdere decine di migliaia di manifestanti che
protestavano per il rinvio delle elezioni presidenziali stabilito dal governo nazionale. Alcuni
manifestanti sono rimasti uccisi nei disordini ed ora si teme una pericolosa “escalation” di violenza.
Proprio giovedì 30 giugno si sarebbero dovute tenere le prime elezioni democratiche della storia di
questo paese lungamente martoriato dalla follia e dalla sete di ricchezza di uomini e nazioni.
Con gli accordi di pace del 2002, destinati ad interrompere la sanguinosa guerra che dal 1998
devastava la regione, fu creato una sorta di governo di unità nazionale, naturalmente transitorio, che
avrebbe dovuto condurre, entro la suddetta data, la nazione a libere elezioni.
Il presidente Joseph Kabila, d’intesa con le forze politiche che sostengono il governo congolese e
con la comunità politica internazionale, ha annunciato che le consultazioni elettorali si terranno solo
a marzo del 2006 perché la struttura amministrativa della Repubblica Democratica del Congo non è
ancora pronta a garantire il corretto svolgimento delle stesse. Difficile dargli torto, lo stesso
presidente della Commissione Europea Barroso è giunto il 27 giugno a Kinshasa per sostenere la
scelta del presidente congolese, basti pensare che l’ultimo censimento della popolazione risale al
1984 e da allora la lista dei vivi nel Paese è largamente rimaneggiata.
Quasi cinque milioni di morti accertati nel Paese dall’inizio dei combattimenti nell’agosto del 1998,
di questi, secondo l’organizzazione International Rescue Committee, quasi il 98 % uccisi non
direttamente da proiettili o armi da taglio, ma dalla fame e dalle malattie generate dalla guerra.
Si è trattato del più sanguinoso conflitto armato sulla Terra dalla fine della seconda guerra
mondiale.
Ma la tragedia dal Congo non è così recente e le cause, come spesso accade, vanno ricercate nelle
immense ricchezze minerali della regione. Joseph Conrad, della situazione in Congo quando era
ancora sotto l’autorità del re del Belgio Leopoldo II, scrisse: “è la più orribile caccia al tesoro che
abbia mai sfregiato la storia della coscienza umana”.
E dopo la conquista dell’indipendenza nel 1960 non si è certamente aperto per gli abitanti dello
sfortunato stato africano un periodo di pace e benessere. Anzi, pochi anni dopo saliva al potere in
Congo uno dei personaggi più discussi della storia recente: Sese Seko Mobutu che governerà il
Paese fino al 1997. Dopo aver cambiato nome alla nazione in Zaire, Mobutu si dedica ad ogni
genere di follia sulla pelle della propria gente: si fa costruire palazzi da sogno con rifugi atomici
incorporati, noleggia Concorde per lo shopping in Europa ed Usa ed alla fine perde completamente
il controllo dell’inflazione che raggiungerà livelli astronomici. Non sorprende che, nel 1997, i
soldati (non pagati da mesi) chiamati a difendere il regime da un colpo di stato ad opera di Laurent
Kabila si siano schierati con gli insorti.
Kabila, padre dell’attuale presidente congolese, successe quindi a Mobutu, e gli succedette anche in
brutalità e dissolutezza. Si racconta che il nuovo dittatore fosse solito uccidere i suoi concittadini
nei momenti (frequenti) di ubriachezza, senza ricordarsi neanche d’averlo fatto una volta passati i
postumi della sbornia. Non solo, Kabila con una serie di accordi che legavano il commercio estero
di diamanti alla valuta locale riuscì ad essiccare anche la più importa fonte di esportazione del
Paese. Infine Kabila, come già aveva fatto Mobutu, pensò bene di sostenere militarmente ed
economicamente gli autori del genocidio in Ruanda.
Quando nell’agosto del 1998 l’esercito ruandese decise di rovesciare Kabila, in soccorso del
dittatore corsero Zimbawe, Angola e Namibia, mentre al fianco del Ruanda si schierò l’Uganda.
In totale sei eserciti nazionali in lotta fra di loro, più dozzine di bande di miliziani. Nacque così “la
Guerra Mondiale Africana” che insanguinò per anni il continente nero.

Milioni di morti dopo, Laurent Kabila fu assassinato da una sua guardia del corpo, ed arrivò al
potere suo figlio. Sorprendentemente Joseph Kabila si dimostrò molto più saggio del genitore e
proprio attraverso la sua iniziativa si giunse agli accordi di pace del 2002 siglati in Sudafrica.
Arrivarono sedicimila caschi blu e gli eserciti stranieri abbandonarono il Congo ma non le milizie
tribali (sostenute clandestinamente da Uganda e Ruanda). Oggi la gran parte della nazione è in
relativa pace, ma la zona ad est della capitale, teatro degli scontri tra i miliziani, continua a ribollire
di sangue.
Degli episodi da “grand guignol” di cui fu costellato il conflitto sono stati prodotti libri e films in
quantità, eppure anche le atrocità che sono seguite alla fine ufficiale delle ostilità non sono state da
meno. Come la vicenda documentata recentemente da “The Economist” che ha per protagonista la
giovane donna Zainabo Alfani.
Sulla strada per Ituri, in una zona dove per altro sono presenti le truppe militari ONU, Zainabo si
stava recando con altre tredici donne presso un villaggio vicino quando è stata bloccata da diversi
uomini in divisa. Le donne, alcune molto giovani, sono state fatte spogliare perchè dalla
conformazione del loro sesso i miliziani ritenevano di poter trarre delle indicazioni magiche. Solo
l’organo genitale di Zainabo corrispondeva ai loro requisiti così gli è stato asportato con un coltello,
non prima che i miliziani ne avessero abusato a turno. Le altre 13 donne, tra cui due sue sorelle,
sono state uccise sul posto, cucinate e mangiate davanti agli occhi di Zainabo, che ha dovuto
assistere anche al pasto delle sue carni. La donna, creduta morta, è riuscita a fuggire ed in febbraio
ha raccontato la sua vicenda ad un’organizzazione delle Nazioni Unite, un mese dopo è morta.
Il nuovo esercito congolese non sembra ancora in grado di imporre l’ordine nella parte orientale del
Paese. Questo a causa delle profonde divisioni interne alle forze armate nazionali, d’altra parte
l’esercito è stato costituito includendo tutte quelle formazioni che fino a pochi mesi prima si
massacravano a vicenda. Lo stesso governo del Paese ha quattro vicepresidenti in rappresentanza
delle fazioni precedentemente in lotta.
Il presidente Joseph Kabila, seppur giovane, sta comunque dimostrando notevole buon senso nella
gestione del potere. L’inclusione nel processo politico delle diverse fazioni ha prodotto risultanti
importanti in molte zone del Paese. L’economia nazionale ha cominciato a crescere, l’inflazione è
scesa in pochi anni dal 135% al 4,4%, gli investitori esteri hanno fatto il loro ingresso sulla scena
confortati dalle rassicurazioni statali sui diritti di proprietà e sulla stabilità politica. Il Congo è
inoltre la nazione maggiormente aiutata dalla Francia e la quarta nazione più sostenuta
economicamente dagli Stati Uniti d’America.
E’ dunque opinione diffusa che il Congo rappresenti, non solo geograficamente, il cuore
dell’Africa, la nazione stabilizzatrice dell’intero continente, ma è un cuore molto affaticato da
monitorare costantemente. Ecco perché preoccupano così tanto i segnali che arrivano in questi
giorni da Kinshasa. Il leader del più importante partito d’opposizione Etienne Tshisekedi sostiene
che rinviando le elezioni il presidente Kabila abbia gettato la maschera, rivelandosi un tiranno come
lo era il padre. La capitale è in fermento, volantini politici infiammano gli animi, e si è tornati ad
udire il sinistro tintinnio dei “machete”. In maggio uno sciopero generale ha paralizzato la città di
Kananga ed incidenti sono esplosi anche nella città più importante per l’estrazione dei diamanti
Mbuji-Mayi. Il 5 giugno, durante una partita di calcio nella capitale, novantamila persone hanno
urlato ripetutamente all’indirizzo di uno dei quattro vicepresidenti che assisteva all’incontro nello
stadio: “Uccidetelo!”.
Dunque una situazione molto delicata, alle elezioni del 2006 saranno probabilmente tre i candidati
favoriti per la presidenza dello Stato: il giovane Kabila, forse il migliore, ma che non ha una forte
organizzazione politica alle spalle; l’oppositore Tshisekedi che certamente guadagnerà consensi nei
prossimi mesi in virtù delle polemiche scaturite dal rinvio elettorale, ma che non ha fondi per
sostenere una campagna elettorale su tutto il territorio nazionale; Jean Pierre Bemba, ministro
dell’economia, dalle grandi possibilità finanziarie, ma personaggio equivoco alle cui spalle ci
sarebbe la vicina Uganda, probabilmente il peggiore dei tre.
Purtroppo ora che anche a Kinshasa ha ricominciato a scorrere il sangue, la vera incognita è se si
arriverà alle elezioni.
C’è grande preoccupazione nel mondo per le sorti del Congo. I caschi blu dell’Onu hanno iniziato a
sporcarsi le uniformi con interventi concreti di peacekeeping e l’Unione Europea sta finalmente
svolgendo un ruolo decisivo, attraverso il commissario EU Louis Michel.
Il cuore d’Africa dunque batte debolmente, ma batte, un ritorno del caos nella regione
significherebbe un nuovo infarto per l’intero continente.

Pubblicato in due puntate su “L’Indipendente” del 2 e del 9 luglio

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Nicola Procaccini : Congo articolo

  • 1. Loro cantano e l’Africa non riesce neanche a votare Nello Zaire è così difficile contare le vittime del conflitto che gli elenchi elettorali non saranno pronti prima del 2006. di Nicola Procaccini In nome dell’Africa, a Roma, Berlino, Filadelfia e Londra si canta e si balla gratis. Nel frattempo, in Congo, nel cuore del continente africano, torna ad aleggiare minaccioso lo spettro di quella che è stata definita la “Guerra Mondiale Africana”. Si infiamma la protesta popolare a Kinshasa, capitale della Repubblica Democratica del Congo, la polizia anti-sommossa è intervenuta giovedì per disperdere decine di migliaia di manifestanti che protestavano per il rinvio delle elezioni presidenziali stabilito dal governo nazionale. Alcuni manifestanti sono rimasti uccisi nei disordini ed ora si teme una pericolosa “escalation” di violenza. Proprio giovedì 30 giugno si sarebbero dovute tenere le prime elezioni democratiche della storia di questo paese lungamente martoriato dalla follia e dalla sete di ricchezza di uomini e nazioni. Con gli accordi di pace del 2002, destinati ad interrompere la sanguinosa guerra che dal 1998 devastava la regione, fu creato una sorta di governo di unità nazionale, naturalmente transitorio, che avrebbe dovuto condurre, entro la suddetta data, la nazione a libere elezioni. Il presidente Joseph Kabila, d’intesa con le forze politiche che sostengono il governo congolese e con la comunità politica internazionale, ha annunciato che le consultazioni elettorali si terranno solo a marzo del 2006 perché la struttura amministrativa della Repubblica Democratica del Congo non è ancora pronta a garantire il corretto svolgimento delle stesse. Difficile dargli torto, lo stesso presidente della Commissione Europea Barroso è giunto il 27 giugno a Kinshasa per sostenere la scelta del presidente congolese, basti pensare che l’ultimo censimento della popolazione risale al 1984 e da allora la lista dei vivi nel Paese è largamente rimaneggiata. Quasi cinque milioni di morti accertati nel Paese dall’inizio dei combattimenti nell’agosto del 1998, di questi, secondo l’organizzazione International Rescue Committee, quasi il 98 % uccisi non direttamente da proiettili o armi da taglio, ma dalla fame e dalle malattie generate dalla guerra. Si è trattato del più sanguinoso conflitto armato sulla Terra dalla fine della seconda guerra mondiale. Ma la tragedia dal Congo non è così recente e le cause, come spesso accade, vanno ricercate nelle immense ricchezze minerali della regione. Joseph Conrad, della situazione in Congo quando era ancora sotto l’autorità del re del Belgio Leopoldo II, scrisse: “è la più orribile caccia al tesoro che abbia mai sfregiato la storia della coscienza umana”. E dopo la conquista dell’indipendenza nel 1960 non si è certamente aperto per gli abitanti dello sfortunato stato africano un periodo di pace e benessere. Anzi, pochi anni dopo saliva al potere in Congo uno dei personaggi più discussi della storia recente: Sese Seko Mobutu che governerà il Paese fino al 1997. Dopo aver cambiato nome alla nazione in Zaire, Mobutu si dedica ad ogni genere di follia sulla pelle della propria gente: si fa costruire palazzi da sogno con rifugi atomici incorporati, noleggia Concorde per lo shopping in Europa ed Usa ed alla fine perde completamente il controllo dell’inflazione che raggiungerà livelli astronomici. Non sorprende che, nel 1997, i soldati (non pagati da mesi) chiamati a difendere il regime da un colpo di stato ad opera di Laurent Kabila si siano schierati con gli insorti. Kabila, padre dell’attuale presidente congolese, successe quindi a Mobutu, e gli succedette anche in brutalità e dissolutezza. Si racconta che il nuovo dittatore fosse solito uccidere i suoi concittadini nei momenti (frequenti) di ubriachezza, senza ricordarsi neanche d’averlo fatto una volta passati i
  • 2. postumi della sbornia. Non solo, Kabila con una serie di accordi che legavano il commercio estero di diamanti alla valuta locale riuscì ad essiccare anche la più importa fonte di esportazione del Paese. Infine Kabila, come già aveva fatto Mobutu, pensò bene di sostenere militarmente ed economicamente gli autori del genocidio in Ruanda. Quando nell’agosto del 1998 l’esercito ruandese decise di rovesciare Kabila, in soccorso del dittatore corsero Zimbawe, Angola e Namibia, mentre al fianco del Ruanda si schierò l’Uganda. In totale sei eserciti nazionali in lotta fra di loro, più dozzine di bande di miliziani. Nacque così “la Guerra Mondiale Africana” che insanguinò per anni il continente nero. Milioni di morti dopo, Laurent Kabila fu assassinato da una sua guardia del corpo, ed arrivò al potere suo figlio. Sorprendentemente Joseph Kabila si dimostrò molto più saggio del genitore e proprio attraverso la sua iniziativa si giunse agli accordi di pace del 2002 siglati in Sudafrica. Arrivarono sedicimila caschi blu e gli eserciti stranieri abbandonarono il Congo ma non le milizie tribali (sostenute clandestinamente da Uganda e Ruanda). Oggi la gran parte della nazione è in relativa pace, ma la zona ad est della capitale, teatro degli scontri tra i miliziani, continua a ribollire di sangue. Degli episodi da “grand guignol” di cui fu costellato il conflitto sono stati prodotti libri e films in quantità, eppure anche le atrocità che sono seguite alla fine ufficiale delle ostilità non sono state da meno. Come la vicenda documentata recentemente da “The Economist” che ha per protagonista la giovane donna Zainabo Alfani. Sulla strada per Ituri, in una zona dove per altro sono presenti le truppe militari ONU, Zainabo si stava recando con altre tredici donne presso un villaggio vicino quando è stata bloccata da diversi uomini in divisa. Le donne, alcune molto giovani, sono state fatte spogliare perchè dalla conformazione del loro sesso i miliziani ritenevano di poter trarre delle indicazioni magiche. Solo l’organo genitale di Zainabo corrispondeva ai loro requisiti così gli è stato asportato con un coltello, non prima che i miliziani ne avessero abusato a turno. Le altre 13 donne, tra cui due sue sorelle, sono state uccise sul posto, cucinate e mangiate davanti agli occhi di Zainabo, che ha dovuto assistere anche al pasto delle sue carni. La donna, creduta morta, è riuscita a fuggire ed in febbraio ha raccontato la sua vicenda ad un’organizzazione delle Nazioni Unite, un mese dopo è morta. Il nuovo esercito congolese non sembra ancora in grado di imporre l’ordine nella parte orientale del Paese. Questo a causa delle profonde divisioni interne alle forze armate nazionali, d’altra parte l’esercito è stato costituito includendo tutte quelle formazioni che fino a pochi mesi prima si massacravano a vicenda. Lo stesso governo del Paese ha quattro vicepresidenti in rappresentanza delle fazioni precedentemente in lotta. Il presidente Joseph Kabila, seppur giovane, sta comunque dimostrando notevole buon senso nella gestione del potere. L’inclusione nel processo politico delle diverse fazioni ha prodotto risultanti importanti in molte zone del Paese. L’economia nazionale ha cominciato a crescere, l’inflazione è scesa in pochi anni dal 135% al 4,4%, gli investitori esteri hanno fatto il loro ingresso sulla scena confortati dalle rassicurazioni statali sui diritti di proprietà e sulla stabilità politica. Il Congo è inoltre la nazione maggiormente aiutata dalla Francia e la quarta nazione più sostenuta economicamente dagli Stati Uniti d’America. E’ dunque opinione diffusa che il Congo rappresenti, non solo geograficamente, il cuore dell’Africa, la nazione stabilizzatrice dell’intero continente, ma è un cuore molto affaticato da monitorare costantemente. Ecco perché preoccupano così tanto i segnali che arrivano in questi giorni da Kinshasa. Il leader del più importante partito d’opposizione Etienne Tshisekedi sostiene che rinviando le elezioni il presidente Kabila abbia gettato la maschera, rivelandosi un tiranno come lo era il padre. La capitale è in fermento, volantini politici infiammano gli animi, e si è tornati ad udire il sinistro tintinnio dei “machete”. In maggio uno sciopero generale ha paralizzato la città di Kananga ed incidenti sono esplosi anche nella città più importante per l’estrazione dei diamanti Mbuji-Mayi. Il 5 giugno, durante una partita di calcio nella capitale, novantamila persone hanno
  • 3. urlato ripetutamente all’indirizzo di uno dei quattro vicepresidenti che assisteva all’incontro nello stadio: “Uccidetelo!”. Dunque una situazione molto delicata, alle elezioni del 2006 saranno probabilmente tre i candidati favoriti per la presidenza dello Stato: il giovane Kabila, forse il migliore, ma che non ha una forte organizzazione politica alle spalle; l’oppositore Tshisekedi che certamente guadagnerà consensi nei prossimi mesi in virtù delle polemiche scaturite dal rinvio elettorale, ma che non ha fondi per sostenere una campagna elettorale su tutto il territorio nazionale; Jean Pierre Bemba, ministro dell’economia, dalle grandi possibilità finanziarie, ma personaggio equivoco alle cui spalle ci sarebbe la vicina Uganda, probabilmente il peggiore dei tre. Purtroppo ora che anche a Kinshasa ha ricominciato a scorrere il sangue, la vera incognita è se si arriverà alle elezioni. C’è grande preoccupazione nel mondo per le sorti del Congo. I caschi blu dell’Onu hanno iniziato a sporcarsi le uniformi con interventi concreti di peacekeeping e l’Unione Europea sta finalmente svolgendo un ruolo decisivo, attraverso il commissario EU Louis Michel. Il cuore d’Africa dunque batte debolmente, ma batte, un ritorno del caos nella regione significherebbe un nuovo infarto per l’intero continente. Pubblicato in due puntate su “L’Indipendente” del 2 e del 9 luglio