La malinconia è quel vissuto psicologico che sperimentiamo di frequente nei momenti di “sosta”, di “arresto” nel corso della nostra vita. La malinconia si alimenta di un pensiero più intimo forse più a contatto con la “ragioni” del cuore.
Melancholy is the psychological experience that we experience frequently in times of "arrest", "arrest" in the course of our lives. The melancholy is nourished by a most intimate thoughts perhaps more in touch with the "reasons" of the heart.
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Malinconia
di Elio Occhipinti
www.occhipintielio.it
Da cosa dipende quel vago malessere che spesso accompagna la nostra vita?
Perché non siamo felici di ciò che possediamo e delle mete che abbiamo già raggiunto?
Da dove proviene quella struggente sensazione di non essere veramente a “casa”?
È lo stato di malinconia, quel vissuto psicologico che sperimentiamo di frequente nei
momenti di “sosta”, di “arresto” nel corso della nostra vita. Gli antichi la descrivono come
“afflizione dell’anima” affine alla tristezza, ma non così dolorosa, e anche se cupa e
profonda porta con se una certa tenerezza e dolcezza. Inoltre, a differenza della tristezza,
che sfiora la depressione e non induce alla riflessione, la malinconia si alimenta di un
pensiero più intimo forse più a contatto con la “ragioni” del cuore.
Il termine malinconia deriva dal greco, mélas, nero e cholé, bile, quindi “bile nera” che
insieme con il flegma, la bile gialla, e il sangue, formava i “quattro umori”. Questi umori si
credeva controllassero tutta l’esistenza e i comportamenti dell’uomo e, a seconda del
modo in cui si combinavano, determinavano il carattere degli individui; in perfetta
corrispondenza con gli elementi del cosmo e i suoi cicli, come l’alternarsi delle stagioni.
Nel linguaggio moderno la parola “malinconia” o “melanconia” si usa per indicare
indifferentemente cose alquanto diverse tra loro. Nella nostra cultura medica viene
indicata come prodromo della depressione, e viene riconosciuta come tale quando si
accompagna a sensi di colpa e a umore depresso, sintomi però non scatenati da eventi
ben identificabili e per lo più non caratterizzati da ansia. Le persone che ne soffrono
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manifestano anche insonnia, perdita dell’appetito e incapacità di trarre piacere. Questo
“atteggiamento” scientifico, di sicura utilità per diagnosticare preventivamente una
patologia depressiva, ha messo però in ombra la malinconia come “stato dell’anima”,
talvolta penoso e deprimente e talaltra dolcemente pensoso o nostalgico, includendo tutte
le manifestazioni in un'unica definizione di carattere clinico. Gli effetti sono sotto gli occhi
di tutti noi, la malinconia come momento psichico di introversione viene visto come
pericoloso e genera non poche paure, del resto alimentate e sostenute dalla cultura del
benessere che pone un’esasperata e pericolosa attenzione verso gli aspetti esteriori della
vita. Vestirsi bene, essere in forma, essere sempre sorridenti ed ottimisti, non ammalarsi,
sono alcuni dei molti precetti di una nuova religione quella del benessere ad ogni costo, e
solo rispettandoli siamo visti e percepiti come individui sani e “normali”. Avete fatto caso
che alla domanda del conoscente o del collega di lavoro che chiede “come stai?”
affermiamo di stare bene anche quando non è vero! Ci sentiamo in obbligo di mentire
perché sappiamo di essere stimati ed accettati sulla base della nostra capacità a prestare
attenzione e ad adeguarci alle cose del mondo, di essere sempre sulla cresta dell’onda, a
godere, a detta della pubblicità, delle infinite possibilità che la vita ci offre.
Il malinconico ha invece la necessità di spostare la sua riflessione verso l’interno, ad
ascoltare quelle sensazioni di disagio che emergono come ombre dalla nebbia, spesso
sono sensazioni di una struggente nostalgia verso un luogo senza sapere dove questo si
trovi oppure il mal d’amore verso una persona del passato o del futuro. Quanti poeti,
quanti artisti hanno descritto in modo memorabile questo “stato d’animo”!
Già Aristotele parlava della malinconia, del suo assumere numerose forme e della sua
instabile fluttuazione, ma proprio per questa mutevolezza, per questa intrinseca capacità
di trasformazione egli la indica come lo stato dell’anima necessario alla creatività, una
passione “costantemente incostante”. Anche Platone ne parlò diffusamente, suggerendo
che la malinconia è lo stato psichico tipico di chi si occupa di metafisica perché essa
induce, con i suoi vortici mutevoli, a superare le barriere della logica ed esplorare il mondo
dell’immaginale, di ciò che sta oltre le apparenze.
La storia della cultura e dell’arte è contraddistinta da
questo stato d’animo: la solitudine, l’afflizione, il rifiuto
di ogni contatto umano sono l’immaginario crogiolo
dove l’artista e il saggio si “cuociono”, dove si impara
ad uscire dal sé abituale, dove è possibile
rappresentare e rappresentarsi l’altro da sé, percepire
la realtà da un altro punto di vista.
Che grande opportunità! Ma quanti sono disposti a
coglierla, a perdere anche solo per un momento il
controllo di sé? Temere lo stato malinconico, non lasciarlo fluire, volerne uscire al più
presto significa rinunciare alla sua forza creatrice alla sua capacità di rivedere la nostra
convinzione sull’importanza dell’Io, di ciò che Io credo di essere.
Oggi, dove esiste un rimedio per tutto c’è anche la pillola contro la malinconia. Il
comandamento è essere gioiosi, bisogna perseguire il piacere ad ogni costo, ma in questa
ideologia della felicità ogni desiderio che si appaga produce una psiche sempre più
angosciata, sempre più bisognosa di momenti malinconici.