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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI
                              DI GENOVA



                  FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA


                           TESI DI LAUREA IN FILOSOFIA


                 “SCHOPENHAUER E LA MUSICA”




Relatore:

Chiar.mo Prof. Domenico Venturelli

Correlatore:                                            Candidato:

Chiar.mo Prof. Francesco Camera                         Nicola Camurri




                                     Anno Accademico 2005 – 2006

“Schopenhauer e la musica” di Nicola Camurri                             1
INDICE

CENNI SULLA VITA LE OPERE E LA VISIONE PESSIMISTICA DEL MONDO DI
SCHOPENHAUER

        La vita

        Il mondo come rappresentazione

        Il mondo come volontà

        La vita e la visione pessimistica dell’uomo

        Le vie della liberazione umana


L’ARTE IN SCHOPENHAUER

        Sulla distinzione tra cosa in sé e apparenza

        L’adesso [il presente] in tutti i tempi

        La contemplazione estetica

        Individualità, autocoscienza, ciò che è ordinario

        Scultura, pittura e poesia in Schopenhauer


LA CONCEZIONE MUSICALE DI SCHOPENHAUER

        Metafisica della musica

        Le analogie tra mondo e musica

        La musica per spiriti non musicali, allontanamento dal fine della musica

        Il genio e la musica

        Schopenhauer e la musica del suo tempo




“Schopenhauer e la musica” di Nicola Camurri                                       2
CENNI SULLA VITA LE OPERE E LA VISIONE PESSIMISTICA DEL
MONDO DI SCHOPENHAUER

La vita


        Arthur Schopenhauer nacque a Danzica il 22 Febbraio 1788 da una famiglia di origine
olandese. Figlio di Johanna Henriette Trosiener, scrittrice di romanzi e di un ricco commerciante, fu
avviato alla professione del padre. Si trasferì ad Amburgo quando Danzica passò alla Prussia nel
1793. Visse in città e nazioni diverse: Le Havre, Karlsbad, Praga, in Inghilterra, in Olanda, in
Svizzera, in Austria, in Slesia e in Prussia. Il padre si suicidò nel 1805 lasciandogli un’eredità che
gli permise di vivere di rendita e di dedicarsi agli studi. Frequentò prima al ginnasio di Gotha, poi
quello di Gottinga (1809-1811) e di Berlino (1811-13).
        A Gottinga ascoltò i corsi di Schulze, a Berlino di Scheiermacher, Fichte, F.A. Wolf. Nel
1813 a causa dei disordini della guerra si trasferì a Weimar, dove viveva la madre con un’altra
figlia, Adele. Qui ebbe l’occasione di conoscere Goethe nel salotto letterario aperto dalla madre.
          Nello stesso anno presentò all’Università di Jena la tesi di dottorato Sulla quadruplice
radice del principio di ragion sufficiente, dove sono già poste le basi gnoseologiche di tutto il suo
sistema. Tra i primi a riconoscere il valore del lavoro fu lo stesso Goethe. Sempre a Weimar
conobbe l’orientalista Friedrich Mayer che lo avviò allo studio della filosofia indiana.
          A causa dei cattivi rapporti con la madre, di cui non approvava la condotta, nel 1814 si
trasferì a Dresda dove rimase fino al 1818. Qui compose Sulla vista e i colori (1816) e Il mondo
come volontà e rappresentazione, la cui prima edizione uscì nel gennaio del 1819. La seconda, con
importanti supplementi, fu edita nel 1844 e la terza nel 1859.
        Nel 1820 ottenne la libera docenza a Berlino, scontrandosi con Hegel che era membro della
commissione esaminatrice. Rimase a Berlino fino al 1831 quando lo scoppio di un’epidemia di
colera, di cui rimase vittima lo stesso Hegel, gli fece decidere di trasferirsi a Francoforte. Nel 1839
scrive la memoria Sulla libertà del volere umano premiata dalla Reale Società delle Scienze di
Norvegia e nel 1840 Sul fondamento della morale. Nel 1841 i due saggi furono pubblicati insieme
col titolo I due problemi fondamentali dell’etica. Al 1851 risale la raccolta di vari saggi, Parerga e
Paralipomena, che gli diedero l’attesa fama. Morì di polmonite il 22 settembre 1860.


Il mondo come rappresentazione


        Schopenhauer imposta la sua filosofia partendo da Kant, cui attribuisce il merito della critica


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alla metafisica o, meglio, l’avvio di un “opera di distruzione della filosofia scolastica”. Il merito più
grande, tuttavia, è quello di avere evidenziato la differenza tra fenomeno, conoscibile, e cosa in sé,
non conoscibile. Platone aveva affermato qualcosa di analogo nel “mito della caverna”, parlando
di un mondo delle ombre, che è illusione, e di un mondo della realtà, cioè il mondo delle idee,
culminante nell’idea del Bene, la cui immagine sensibile è il Sole. La stessa idea è presente nel libro
dei Veda, testo della religione indiana risalente ad un periodo compreso tra il 1500 e il 1200 a.c., in
cui il mondo viene considerato illusione, velo della realtà. Schopenhauer sottolinea che, nonostante
la distinzione tra fenomeno e noumeno fosse già stata intuita ed espressa poeticamente, solo grazie a
Kant è stata dimostrata in maniera incontestabile.
         Il pensiero di Schopenauer è un’interpretazione e uno sviluppo della teoria kantiana del
mondo fenomenico: “il mondo è una mia rappresentazione” afferma. La conoscenza del mondo è la
conoscenza di un’apparenza risultante dalla relazione tra soggetto e oggetto. Con ciò egli si apre
alla meditazione filosofica e scopre che “il mondo circostante non esiste se non come
rappresentazione, cioè sempre e soltanto in relazione con un altro essere, con il percipiente, con lui
medesimo”. Il filosofo riduce a tre le forme a priori della rappresentazione del mondo, cioè le
funzioni per l’ordinamento dell’esperienza: il tempo, lo spazio e la causalità. Il tempo è la relazione
di successione in cui le rappresentazioni si manifestano; lo spazio è la relazione di (posizione o
coesistenza); la causalità è una capacità che hanno le singole cose di agire e di produrre effetti. È
l’unica proprietà delle cose rappresentate, la cui realtà si esaurisce in questo loro agire. Tempo e
spazio provengono dall’intelletto.
          Sensibilità e intelletto non sono più, come in Kant, due funzioni conoscitive di natura
radicalmente diversa, l’una intuitiva e l’altra discorsiva; non rappresentano due ceppi distinti del
nostro conoscere ma vengono decisamente avvicinate. Schopenhauer spiega la loro differenza in
termini meramente fisiologici. La sensibilità, con le sue forme dello spazio e del tempo, può essere
spiegata come una funzione dei nervi afferenti, ma non di meno lo spazio e il tempo svolgono una
funzione a priori come forme generali dell’esperienza (rappresentazione) fenomenica. La loro
unione dà origine alla materia, intesa come condizione e non come oggetto d’esperienza e come
principium individuationis. L’intelletto, con la sua categoria della causalità, è spiegabile mediante le
funzioni dell’intera massa celebrale che       produce una conoscenza di carattere essenzialmente
intuitivo, immediato, quindi analogo al conoscere sensibile, cioè il collegamento dell’effetto con la
causa.
         Schopenhauer attribuisce l’intelletto anche agli animali. Ciò che distingue l’uomo è la
ragione cioè la possibilità di formare “rappresentazioni di rappresentazioni”, cioè concetti, e di
congiungerli e disgiungerli discorsivamente in proposizioni e ragionamenti. Delle connessioni di

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causalità, che l’intelletto coglie intuitivamente e che caratterizzano la struttura del mondo in quanto
rappresentazione, la ragione ha una conoscenza riflessa e mediata. Tale conoscenza è espressa nel
principio di ragion sufficiente, che rappresenta il fondamento logico di tutta la conoscenza
scientifica. Questo principio può essere applicato a quattro ambiti diversi nei quali assume,
corrispondentemente, quattro forme:
       del divenire, dove si manifesta come causalità tra gli oggetti della realtà naturale;
       del conoscere, come relazione fra premesse e conseguenze nell’argomentazione razionale e
        delle sue forme logiche ;
       dell’essere, come relazioni del tempo e dello spazio, fondamento delle matematiche;
       dell’agire fondamento delle scienze morali.


        La parola è il segno tangibile, l’espressione del concetto, mediante la quale la ragione
astratta viene ricongiunta con le condizioni sensibili dello spazio e del tempo. Il linguaggio è uno
strumento della ragione mediante la quale essa si fa istitutrice del sapere scientifico, delle arti, dei
costumi morali e dei sistemi politici.
        La ragione è però al tempo stesso anche la fonte inevitabile degli errori, delle illusioni, delle
menzogne e dei dogmi che travagliano la vita dell’umanità.


Il mondo come volontà


        La volontà è l’essenza nascosta delle cose, la loro realtà autentica. Non è la dimensione
pratica della ragione, non è volontà cosciente. È forza e pulsione cieca, pura e semplice volontà di
vivere. Dietro il velo delle apparenze avvertiamo la volontà prima di tutto nel nostro corpo come
desiderio e, al di là di noi stessi, l’avvertiamo in ogni essere dell’Universo come la sua vera essenza
noumenica. Schopenhauer forza il pensiero kantiano in senso dualistico in quanto considera il
noumeno una realtà soggiacente ai fenomeni. È volontà che si nasconde dietro ai fenomeni e che
può essere in qualche modo avvertita, mentre i fenomeni sono solo                 illusioni, apparenza,
manifestazione di tale volontà. Il mondo, dice riprendendo un’immagine del pensiero indiano, è un
ingannevole velo di Maya che copre le cose e che bisogna lacerare per coglierle nella loro
autenticità. La vita è sogno, ed è impossibile distinguere il sonno dalla veglia se non per il fatto che
la veglia presenta maggior continuità rispetto al sogno. Il pensiero originario di Kant viene
stravolto: il mondo fenomenico, come tale, è privo di senso.
        Il soggetto conoscente deve all’identità con il proprio corpo il suo principium
individuationis, ma il corpo è dato all’uomo in due modi: come oggetto fra gli altri oggetti (quindi

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come rappresentazione) e come oggettivazione della volontà. Il corpo è manifestazione della
volontà, l’atto volitivo e l’azione del corpo sono una cosa sola: “ogni azione del corpo […] è anche
azione della volontà; come tale si chiama dolore, se ripugna alla volontà; benessere, piacere, se è a
questa conforme”. La volontà è la cosa in sé, il noumeno kantiano.
        A differenza dei fenomeni, che, in quanto soggetti allo spazio, al tempo e al principio di
individuazione, sono molteplici, la Volontà è unica e ovunque la stessa. Nascita e morte riguardano
solo gli individui, mentre la Volontà in se stessa non ne viene contaminata. “La morte è un sonno in
cui vieni dimenticata l’individualità”. La natura è ordinata per la sopravvivenza della specie e non
dell’individuo. L’individuo per la natura non ha importanza, il tutto della natura non viene turbato
dalla morte di un singolo individuo.
        La Volontà non è il piano di una intelligenza ordinatrice che noi crediamo di poter
riconoscere, non ha una finalità. È cieca e irrazionale, è assenza di ogni finalità, vuole eternamente
solo se stessa e, mancando di finalità, non è fondamento e fonte di valori.
        La Volontà si oggettiva in una serie graduale di forme, dalle forze elementari che agiscono
sulla materia alle specie vegetali e animali. Il primo grado di oggettivazione della volontà è
costituito da ciò che Schopenhauer, riprendendo Platone, denomina idea, che è forma della
rappresentazione in genere. I gradi fondamentali della natura, nei quali la Volontà si oggettiva, sono
quelli della natura inorganica e incosciente, poi della natura organica e infine dell’uomo, dove la
volontà diviene cosciente. Le idee sono il presupposto della scienza e sottese ai fenomeni. Si
presentano nello stesso modo negli innumerevoli fenomeni naturali e questa costanza dell’apparire è
la legge di natura che la scienza studia.


La vita e la visione pessimistica dell’uomo


        La radice dell’infelicità umana e di ogni essere del cosmo è dovuta al fatto che la Volontà è
in sé infinita ma si oggettiva in essere finiti che, come tali, costituiscono una forma inadeguata di
realizzazione di quella Volontà infinita stessa. Ciascuno degli esseri è quindi caratterizzato dalla
mancanza, dal bisogno. Dispersa in una moltitudine di esseri finiti, la Volontà è lacerata, scissa in sé
e avverte tutto questo come mancanza e dolore. La Volontà spinge gli esseri ad una continua
affermazione di sé la cui tendenza di fondo è, a prezzo di lotte continue e di sopraffazione degli uni
sugli altri, l’autoconservazione. L’uomo si illude di essere libero mentre è strumento della Volontà e
i suoi atti non esprimono altro che l’affermarsi di questa. La Volontà ci illude per conservare la
specie, l’amore è illusione posto al servizio della perpetuazione della vita, momento di piacere ma
temporaneo, finalizzato comunque al riprodurre la specie.

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La Volontà non può mai soddisfare pienamente se stessa. Cessando il volere non sarebbe più
Volontà e, con essa, non esisterebbe più il mondo che è sua manifestazione. La vita è pertanto
caratterizzata dall’oscillazione tra dolore (dovuto ad un perenne stato di insoddisfazione) e noia. Il
piacere (la soddisfazione di un desiderio) è solo una momentanea cessazione del dolore. Se non
subentra un nuovo desiderio sorge la noia che è peggiore del dolore. La vita degli individui è solo
procrastinare la morte ed è assolutamente priva di senso. La vicenda umana viene pertanto vista con
un atteggiamento pessimistico di fondo, più volte accostato a quello di Leopardi (1798-1837).


Le vie della liberazione umana


        La liberazione è possibile solo se si prende coscienza di vivere nell’apparenza e
nell’illusione. Ciò è possibile solo se il nostro conoscere oltrepassa          l’ ambito fenomenico
dell’individuazione e il principio di ragione che lo governa. Il nostro conoscere deve farsi
universale e deve diventare capace di cogliere le Idee quali oggettivazioni eterne della Volontà e la
Volontà stessa come fondo metafisico del tutto. Questo processo è possibile solo distaccandosi
dall’asservimento ai fini pratici e diventando capace di contemplazione pura e disinteressata. Nella
contemplazione la coscienza si eleva al di sopra del volere. Poiché la contemplazione va contro la
stessa natura metafisica dell’uomo, l’elevazione è evento raro, proprio del genio, del filosofo, del
santo. L’arte pertanto è la prima via alla liberazione; la moralità la seconda e più durevole via;
l’unica via di liberazione totale è l’ascesi. La moralità è una liberazione più compiuta rispetto
all’arte (che libera solo per un incanto di breve durata) e agisce contro la tendenza all’affermazione
di sé dovuta alla Volontà. La morale spinge al superamento dell’egoismo. Essa si esprime anzitutto
come giustizia, una virtù puramente negativa il cui proposito è impedire, conformemente alla regola
aurea quod tibi fieri non vis, alteri ne feceris, il danno reciproco. La giustizia serve a limitare
l’hobbesiana lotta di tutti contro tutti, non ha in sè gli strumenti per elevarsi sopra la Volontà e solo
limita la sopraffazione reciproca. Per la condotta morale non basta neppure il severo e rigido
imperativo categorico di Kant ma serve il sentimento della compassione. Solo attraverso la
consapevolezza del dolore degli altri si può superare il proprio egoismo; solo sentendo i dolori altrui
come nostri, cioè superando l’illusione del primato dell’ io.
        La Volontà è ancora presente nella compassione, nel dolore, nel soffrire per sé e per gli altri.
L’unica via per l’annientamento della Volontà è l’ascesi. L’ascesi è negazione dell’essere, è
annullamento del mondo. Il primo passo è un’assoluta castità, la negazione totale dell’istinto
sessuale che è “la più precisa ed energica affermazione della volontà di vivere, il termine ultimo e il
fine supremo della vita”. Tale negazione si estende a tutte le altre forme di godimento della vita fino

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al possesso di ricchezze e al desiderio di onore, conducendo ad una povertà volontaria. La
negazione e il sacrificio di sé non devono però giungere al suicidio, poiché quest’atto non annulla la
Volontà ma esprime solamente l’insoddisfazione per le condizioni della vita, quindi implicitamente
la tensione e il desiderio proprio della Volontà. L’ascesi è indifferenza, sospensione, svuotamento e
annichilimento della Volontà, è nolontà (noluntas invece di voluntas). Chi è ancora irretito dal
mondo fenomenico della Volontà avverte nell’ascesi come un nulla spaventoso. L’asceta considera
il nulla in cui finalmente si immerge come un oceano di pace, di assoluta quiete, un riposo infinito e
totale dell’anima. L’ascesi conduce al concetto buddhistico del Nirvana visto da Schopenhauer
come l’anticipazione dello stato di serenità successivo alla liberazione dal corpo. Solo dopo la
morte si ha il vero trionfo sulla Volontà.




“Schopenhauer e la musica” di Nicola Camurri                                                        8
NOTA:




Per gli aspetti generali si è fatto riferimento:


F.Volpi - E. Berti, Storia della filosofia, ottocento e novecento, Laterza, 1991, Bari


M. De Bartolomeo – V. Magni, Filosofia, tomo 5, filosofie contemporanee, Atlas, 2000, Bergamo




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L’ARTE IN SCHOPENHAUER


Sulla distinzione tra cosa in sé e apparenza


        L’apparenza è tutto ciò che nel mondo può essere soggetto di conoscenza empirica, è il
dominio di ciò che viene da noi gestito con la conoscenza sensibile. “Delle cose del mondo, non
conosciamo empiricamente se non la loro apparenza, cioè la superficie. L’esatta conoscenza di
questa è la fisica, presa nel suo senso più ampio”1.
        La spiegazione del mondo delle apparenze è una spiegazione solo parziale, la fisica non è
perciò sufficiente, occorre anche la spiegazione sul suo contenuto vero, su quello che va oltre
l’apparenza, il regno della metafisica, della cosa in sé. “Poiché ogni cosa della natura è, in pari
tempo, apparenza e cosa in sé, … così essa è suscettibile di duplice spiegazione, una spiegazione
fisica e una metafisica. Quella fisica è sempre tratta dalla causa; quella metafisica sempre dalla
volontà”2.
         “Questa conoscenza della cosa in sé, è in primo luogo condizionata dalla scissione, in essa
contenuta, in soggetto che conosce e oggetto conosciuto, e quindi dalla forma inseparabile
dell’autocoscienza cerebrale che è il tempo:perciò essa non è del tutto esauriente e adeguata” 3. La
conoscenza della cosa in sé non è del tutto possibile poiché l’autocoscienza rimane sotto la forma
del tempo; la conoscenza della cosa in sé ha dunque per condizione che il soggetto superi il tempo
per realizzarsi come individualità, il che avviene solo nell’arte ad opera del genio.“La differenza tra
cosa in sé ed apparenza si può esprimere anche come differenza tra l’essenza soggettiva e quella
oggettiva di una cosa. La sua essenza puramente soggettiva è appunto la cosa in sé: quest’ultima
però non è oggetto di conoscenza”4. La coscienza conosce solo mediante la rappresentazione di sé.
Un oggetto della conoscenza ha per condizione essenziale essere presente in questa coscienza, che
però conosce solo mediante il suo stesso apparato rappresentativo, quindi come oggetto. Pertanto il
sistema di rappresentazione fa si che si abbia una pura apparenza che solo fa riferimento ad una
cosa in sé5. Non è possibile conoscere l’elemento soggettivo, la cosa in sé, con i principi della
ragione (spazio e tempo). Anche l’autocoscienza, che prescinde dallo spazio, rimane comunque
1
    A. Schopenhauer, Parerga e Paralipomena, Trad. Ita. di E.A. Kuhn, G. Colli e M. Montanari,Boringhieri, Torino,
   1963, cap 4, Alcune considerazioni sul contrasto tra cosa in sé e apparenza § 62
2
  Parerga e paralipomena, cap 4, Alcune considerazioni sul contrasto tra cosa in sé e apparenza §63
3
    Parerga e paralipomena, cap 4, Alcune considerazioni sul contrasto tra cosa in sé e apparenza §64
4
    ivi
5
    “Essenziale per un oggetto della conoscenza è infatti l’essere sempre presente in una coscienza che conosce in
   quanto rappresentazione di essa coscienza: e ciò che si rappresenta è appunto l’essenza oggettiva della cosa. Questa,
   quindi, è oggetto di conoscenza; ma, in quanto tale, è pura rappresentazione; e poiché, può diventare
   rappresentazione solo mediante un apparato rappresentativo che deve avere la sua struttura e le leggi che ne
   derivano, ecco che essa è un pura apparenza che può riferirsi ad una cosa in sé.” ivi

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vincolata al tempo. L’autocoscienza “in quanto conosce solo mediante il senso interno, inferisce
soltanto ancora la forma del tempo (non più quella dello spazio) che , accanto alla scissione in
soggetto e oggetto è ciò che unicamente la separa dalla cosa in sé”6.
         Due modi opposti di accostarsi al mondo delle apparenze sono la scienza e l’arte. La scienza
studia le relazioni tra le cose, seguendo il principio di ragione, il nesso di causa ed effetto. L’arte,
per esempio nella pittura e nella scultura, è la rappresentazione intuitiva dell’idea oggettivata in una
forma individuale. La prima è razionale, la seconda è intuitiva. Scienza e arte differiscono anche
nello scopo: lo scopo delle scienze è pratico, in esse l’affermazione della volontà è volta al controllo
e al dominio dei fenomeni. L’arte è priva di scopi pratici costringe alla contemplazione in quanto
non è strumento ma intuizione dell’idea platonica nello specchio del soggetto. Mentre la scienza
cerca il controllo delle oggettivazioni delle idee nella natura, quindi                         cerca i nessi tra le
manifestazioni, l’arte è l’intuizione dell’idea oggettivata in sé. Proprio per il suo fine pratico la
scienza non può astrarre dalle forme dell’intelletto.


L’adesso [il presente] in tutti i tempi


         Schopenhauer attribuisce al tempo una funzione fondamentale nella sua visione ontologica.
È il rapporto con il tempo infatti che determina ogni sfumatura nella sua prospettiva. Ogni
rappresentazione, ogni coscienza, ogni individualità, ogni vita avviene solo in rapporto al tempo. Il
tempo della nostra esistenza fisica costituisce “ciò che uno è” mentre i beni da lui posseduti
costituiscono il “ciò che uno ha”7.
         Dal momento che il tempo è fondamento dell’esistenza, il fulcro si sposta sul presente. “Il
presente è l’unica forma di ogni realtà”8.
         “Il presente ha due metà una oggettiva e una soggettiva. Soltanto quella oggettiva ha come
forma l’intuizione del tempo, e perciò scorre senza fermarsi mai, quella soggettiva rimane ferma ed
è quindi sempre la stessa”. Dalla proposizione “il mondo è una mia rappresentazione”, si deduce
“prima sono io poi il mondo” 9. Il che significa che prima esiste il mio apparato soggettivo, il mio
nucleo interno, che prescinde dal tempo e che costituisce il fondamento delle mie rappresentazioni,
poi esiste la mia rappresentazione stessa nel tempo.
         “Ciascuno pensi che il suo nucleo intimo è qualche cosa che contiene, e porta in se stesso, il


6
     ivi
7
     Parerga e paralipomena, cap 4, Di ciò che uno rappresenta, pg. 445
8
     Parerga e paralipomena,cap 10, Sulla teoria dell’indistruttibilità del nostro vero essere da parte della morte, §139,
    pg 935
9
     ivi, pg.934

“Schopenhauer e la musica” di Nicola Camurri                                                                           10
presente”10.Il proprio nucleo intimo porta in sé il lato soggettivo del presente. Il soggetto della
rappresentazione quindi.
        La priorità del presente mette in gioco il tema del ricordo, della memoria e della evocazione.
La fantasia permette di evocare il ricordo, o meglio la particolare rappresentazione che
l’accompagnava. Bisogna ricordare che “gioia e dolore, non essendo rappresentazioni ma affezioni
della volontà, non si trovano nel regno della memoria, e noi non riusciamo a evocare, nel senso di
rinnovare,queste affezioni; soltanto le rappresentazioni che le accompagnavano, possono essere
richiamate alla mente..”11. “Chi mediante la forza del suo ricordo e della sua fantasia, può
richiamarsi alla mente, nel modo più vivo le cose più remote [della sua stessa vita], acquisterà più
chiaramente degli altri, coscienza dell’ “adesso” in tutti i tempi” 12. Questa evocazione dell’adesso in
tutti i tempi porta a quella che per l’autore è il superamento della morte fisica. È la coscienza del
proprio nucleo intimo (soggetto) che permette di superare la morte fisica (oggetto). Infatti il
soggetto è la componente interna, intima, mentre l’oggetto è le componente esterna, temporale ma
vi è tanta realtà all’interno quanto all’esterno. Chi si rende conto che il presente è l’unica forma
della realtà “non potrà dubitare dell’indistruttibilità del suo essere”: “alla sua morte scompare,
invero, il mondo oggettivo con lo strumento della sua rappresentazione, l’intelletto, ma ciò non
intacca la sua esistenza: infatti vi era all’interno tanta realtà quanto all’esterno” 13. Il concetto di
“adesso in tutti i tempi” si potrebbe indicare come una sorta di “puro presente” come “il momento”
di una coscienza.
        Il puro presente, il momento, viene evocato con la memoria e col tempo o dimenticato o
fissato dalla storiografia. In questo l’opera del genio è diversa delle azioni insignificanti. “La gloria
è la sorella immortale del mortale onore”; “la differenza principale consiste nel fatto che le azioni
passano, le opere restano. L’azione più nobile non ha che un influsso temporaneo; l’opera del genio
per contro vive e agisce attraverso tutti i tempi, elevando e beneficiando. Delle azioni rimane
soltanto la memoria, che diventa sempre più debole, deformata e indifferente, sino a spegnersi a
poco a poco a meno che la storiografia non la raccolga e la tramandi in forma pietrificata alla
posterità, Le opere per contro sono esse stesse immortali, e soprattutto quando siano scritte, passano
attraverso tutte le epoche”14.


La contemplazione estetica

10
     ivi
11
    Parerga e paralipomena, cap 26, Osservazioni psicologiche § 349
12
     Parerga e paralipomena,cap 10, Sulla teoria dell’indistruttibilità del nostro vero essere da parte della morte, §139,
13
   ivi pg 935
14
   Parerga e paralipomena, cap 4, Di ciò che uno rappresenta, pg. 491

“Schopenhauer e la musica” di Nicola Camurri                                                                           11
Come può un oggetto procurare appagamento e gioia senza che ci sia una relazione tra esso
e il nostro volere è la domanda fondamentale che Schopenhauer indica come il “problema specifico
della metafisica del bello”15. L’arte costituisce la prima via per la liberazione umana dalla volontà,
dall’insoddisfazione perenne e dalla finitezza. Il fatto che la visione di un’opera d’arte procuri gioia
sembra apparentemente contraddittorio in quanto essa non ha nessuna relazione con il
soddisfacimento di un nostro scopo determinato. Il fatto è che mentre siamo soggetti di
contemplazione estetica, la volontà è assente dalla nostra coscienza.
         Secondo Schopenhauer, infatti, “col subentrare di una concezione estetica la volontà sparisce
del tutto dalla coscienza”16. Ed essendo la volontà la fonte delle tribolazioni umane, la sua
scomparsa dalla coscienza produce quella cessazione momentanea del dolore che è la gioia. La
contemplazione fa sì che la volontà venga messa da parte e per un attimo si possa prescindere da
essa. L’opera d’arte è la rappresentazione dell’oggettivarsi delle idee, che a loro volta sono l’oggetto
puro della volontà. Per cogliere l’oggetto puro (della contemplazione estetica) occorre diventare un
soggetto puro, ossia libero dalla volontà e “diventare un soggetto puro significa liberarsi di sé
stessi”17. La coscienza di sé stessi è una rappresentazione fissata nello spazio e nel tempo, l’uno
forma conoscitiva del senso esterno e l’altro del senso interno. Il soggetto puro riesce a dimenticare
sé stesso, ovvero riesce a prescindere dal suo intelletto e solo cosi a perdersi nella contemplazione
dell’oggetto puro (l’opera d’arte) manifestazione dell’idea platonica. “La concezione di una simile
idea richiede che io mentre contemplo un oggetto, faccia realmente astrazione della sua posizione
nel tempo e nello spazio cioè dalla sua individualità” 18. Per mettere da parte la volontà è necessario
prescindere dallo spazio e dal tempo (principium individuationis), in quanto la volontà influenza
l’individuo attraverso le forme conoscitive del suo intelletto. “Qui vale solo ciò che l’intelletto
effettua da sé solo, con mezzi propri, ciò che esso ci offre con mezzi spontanei”19.
         L’oggetto d’arte è tale senza il bisogno di ricorrere alle relazioni che lo legano agli altri
oggetti, non serve pertanto il ricorso all’unione di spazio e tempo cioè alla materia come
condizione; astraendo dal principio di individuazione, la volontà che ci costringe al mondo
dell’apparenza, al mondo fenomenico, può momentaneamente essere sospesa.
         Le arti in generale sono pura forma, la loro essenza prescinde dal tempo. La musica non ha
carattere figurativo, non cerca di rappresentare lo spazio del mondo, non dipinge le cose fissando la
propria espressione nella figura o nella simmetria. Le ricerca di proporzionalità della musica è tutta
15
     Parerga e Paralipomena, libro secondo, §205
16
     ivi
17
     ivi
18
     Parerga e Paralipomena, libro secondo, §206
19
     ivi

“Schopenhauer e la musica” di Nicola Camurri                                                         12
data da quell’aspetto particolare del tempo musicale 20. Il tempo della musica è l’aspetto fisico, sia
perché inteso come frequenza determina l’altezza di un suono, sia perché attraverso il ritmo gestisce
la proporzione intesa come durata dei singoli suoni 21. Pertanto la musica riesce a prescindere anche
dallo spazio. In quanto espressione artistica è pura forma che prescinde dal tempo del mondo, in
quanto espressione musicale, sonora e non figurativa, prescinde dallo spazio.


Individualità, autocoscienza, ciò che è ordinario


        Al di là dell’esplicita priorità del genio nel rapporto con l’opera d’arte, Schopenhauer
esplicita alcune critiche nei confronti del suo opposto, l’uomo ordinario, in maniera analoga a quella
che è la sua visione artistica. Se il genio riconosce il superamento della volontà nell’opera d’arte,
l’uomo ordinario è sempre soggetto alla volontà in quanto “la volontà, in quanto elemento
assolutamente comune è perciò elemento ordinario”22.
        Da ciò deriva il disprezzo per tutto ciò che è appunto ordinario. L’essere ordinario allontana
l’uomo dal suo fine, cioè quello di realizzarsi in quanto autocoscienza. A lui spetta il carattere
dell’individualità e non solo quello della specie. L’essere ordinario è invece carattere della specie,
gli animali hanno solo il carattere della specie mentre “all’uomo spetta il vero e proprio carattere
individuale. Tuttavia, nella maggior parte degli uomini, vi è veramente poca individualità: essi
possono essere assortiti quasi esclusivamente secondo certe classi.” Il termine ordinario porta
l’uomo al mondo basso e spregevole, lo avvicina all’animale23.
        Nell’uomo tutto quanto agisce in maniera inconscia, come le forze della natura, è genuino.
Se invece viene filtrato attraverso la coscienza questa diventa una rappresentazione e ogni sua
esternazione una comunicazione di una rappresentazione. La coscienza corregge in maniera
intenzionale i contenuti originari del senso interno (soggetto) e li comunica al senso esterno
(strumento) ottenendo una rappresentazione ingannevole. “Tutto ciò che è cosciente nell’arte è già
qualcosa di corretto e intenzionale, e perciò diventa affettazione, vale a dire inganno”24.
        L’autocoscienza è un io che conosce se stesso. Si conosce solo nel proprio intelletto, cioè
nell’apparato rappresentativo, come corpo (forma organica, senso esterno), come volontà (senso

20
   Le percezione uditive a differenza di quelle visive sono “esclusivamente nel tempo”. Inteso sia come frequenza e
quindi come altezza delle note, sia come battuta. (A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, Trad.
Ita. di P.Savj-Lopez e G. De Lorenzo, Laterza, Bari, 1928, volume II, cap 3, Sui sensi pg 39) qui parla anche della
natura passiva dell’udito (pg 40)
21
     “Il ritmo è nel tempo quello che la simmetria è nello spazio” supplementi al terzo libro de Il mondo come volontà e
    rappresentazione il cap 39 (Alla metafisica della musica)
22
     Parerga e paralipomena, cap 26, Osservazioni psicologiche §.336
23
   Parerga e paralipomena, cap 26, Osservazioni psicologiche §335
24
     Parerga e paralipomena, cap 26, Osservazioni psicologiche §.340

“Schopenhauer e la musica” di Nicola Camurri                                                                         13
interno). L’intelletto “vede” gli atti della forma organica ripetere quelli della volontà (come un
ombra si muove simultaneamente rispetto alla figura) e da qui deduce l’identità di entrambi e la
chiama io. La vicinanza dell’intelletto alla volontà, sua radice e origine, e la duplicità della sua
possibilità di conoscere, fa si che la distinzione tra parte soggettiva e oggettiva della
rappresentazione non sia evidente e spesso quindi non percepita. Il lato soggettivo e quello
oggettivo sembrano molto meno diversi. L’autocoscienza che non riesce a distinguere questi due
aspetti di sé non può superare la volontà e rimane vicino al carattere della specie, quella che riesce a
distinguere scoprirà tanta individualità quanto il grado di distinzione che riesce a percepire
genuinamente25.
          L’autocoscienza è anche il luogo del “ciò che uno è” (il tempo della nostra esistenza) e “ciò
che uno ha (i beni)”. “Per contro, il luogo di ciò che noi siamo per gli altri è la coscienza altrui: tutto
si riduce alla rappresentazione – attraverso la quale ci mostriamo in tale coscienza – e ai concetti
che vi si applicano”26. L’autocoscienza è quindi il fondamento della nostra rappresentazione per gli
altri.
         La forza di immaginazione è più forte in colui la cui l’attività celebrale intuitiva (fantasia) è
sufficientemente forte da non necessitare di eccitamento dei sensi; di conseguenza se aumentano gli
stimoli esterni diminuiscono quelli interni. “Tuttavia la forza di immaginazione, per dimostrarsi
fertile, deve avere avuto molto materiale dal mondo esterno: poiché esso solo riempie il suo
magazzino”27. Proprio per il duplice rapporto tra senso interno ed esterno, è necessario che il nostro
senso interno abbia immagazzinato le sensazioni esterne delle sue esperienze. Infatti se la memoria
è evocazione della rappresentazione che accompagnava il sentimento, il portare dentro di sé il
sentimento puro è già opera di genio che lo ricava dal ricordo delle sue rappresentazioni.
         La nostra esistenza attuale è temporale e individuale”. Il tempo altro non è che la forma
dell’apparenza “Noi, pertanto, possiamo pensare l’indistruttibilità di quel nucleo della nostra
apparenza soltanto come una sua persistenza, e invero, secondo lo schema della materia, come
quella che persiste nel tempo, in tutti i mutamenti delle forme”28. Noi non siamo capaci di cogliere il
nucleo della nostra individualità, il soggetto fuori dal tempo che è il nostro senso interno, per questo
concentriamo la nostra idea di sopravvivenza sulla componente fisica ovvero sopravvivenza
dell’apparato sensibile, della nostra apparenza nella forma del tempo. La nostra individualità,
invece, esiste al di fuori del tempo poiché la sua base ha qualcosa che non conosce tempo, dunque
nemmeno sopravvivenza o fine. “Nessun individuo è adatto a continuare eternamente la sua

25
     Parerga e paralipomena, cap 26, Alcune considerazioni sul contrasto tra cosa in sé e apparenza §64
26
     Parerga e paralipomena, cap 4, Di ciò che uno rappresenta, pg. 445
27
     Parerga e paralipomena, cap 26, Osservazioni psicologiche §.346
28
     Parerga e paralipomena, cap 10, Sulla teoria dell’indistruttibilità del nostro vero essere da parte della morte §.136

“Schopenhauer e la musica” di Nicola Camurri                                                                           14
esistenza: con la morte sparisce. Ma, con essa, non perdiamo nulla. Infatti l’esistenza individuale ha
alla sua base qualche cosa di totalmente diverso, di cui essa è l’espressione. Questo qualcosa non
conosce tempo, dunque nemmeno sopravvivenza né fine”29.
        Qui è da cogliere quell’aspetto fondamentale della visione del genio. Il genio è colui la cui
individualità si esprime prima della morte fisica, quando, ancora soggetto alla visione temporale,
riesce ad elevare con l’intuizione la propria individualità al di sopra della vita stessa e quindi della
volontà. L’espressione artistica del genio supera, per così dire la morte.


Scultura, pittura e poesia in Schopenhauer


        Il godimento (il piacere estetico) sopraggiunge elevandosi a puro soggetto di conoscenza
contemplativa, libero da volontà, soggetto che ha negato il principio di individuazione e ha fatto di
sé quella forma di conoscenza non sottoposta al principio di ragione, che si è portato per così dire,
“fuori dallo spazio e dal tempo”30, come senza tempo è per Schopenhauer l’oggetto vero dell’arte:
l’idea platonica. Uno dei culmini dell’estetica di Schopenhauer è da rinvenire nella trattazione
dell’arte in quanto protesa allo sforzo di rappresentare in forme intuite l’idea o le forme
dell’umanità nella sua percezione. A questo fine sono rivolte principalmente scultura e pittura.
          È nella distinzione tra individuo e specie che si coglie la vera essenza dell’arte. L’opera
d’arte coglie nell’individuo la specie. Nella rappresentazione dell’uomo si distingue il carattere
della specie da quello dell’individuo. Il carattere della specie si chiama bellezza, quello
dell’individuo carattere o espressione. È difficile rappresentarli entrambi nel medesimo individuo 31.
Bellezza e grazia, caratteristiche una della specie e l’altra dell’individuo, sono indistinguibili in
quanto la “soppressione del carattere della specie a tutto vantaggio di quella individuale darebbe
caricatura”. “Tuttavia molto meno ancora della bellezza deve la grazia                         venir sopraffatta dal
caratteristico”. La bellezza si esprime più completamente se vista da vari lati mentre l’espressione e
il carattere possono essere colti anche da un solo punto di vista. L’oggetto della rappresentazione
deve tenere presente sia la forma individuale sia la forma della specie32.
        Se ciò è evidente nelle arti figurative, dove la forma è l’oggetto della rappresentazione
stessa, per la poesia, arte dove l’oggetto è l’uomo, il ragionamento è diverso.
        La poesia necessita dell’esperienza propria. La rappresentazione della poesia fa si che il

29
   Parerga e paralipomena,cap 10, Sulla teoria dell’indistruttibilità del nostro vero essere da parte della morte §.136
30
     Il mondo come volontà e rappresentazione, §38
31
   Schopenhauer ne parla a proposito della pittura e della scultura ne Il mondo come volontà e rappresentazione, libro
terzo, §45
32
   Il mondo come volontà e rappresentazione, libro terzo, §45

“Schopenhauer e la musica” di Nicola Camurri                                                                          15
rappresentato sia anche colui che rappresenta. “Nella lirica dei poeti si riflette l’intimo di tutta
l’umanità”; “il poeta è in sostanza l’uomo universale” “egli è lo specchio dell’umanità” 33.
“L’essenza dell’arte comporta che per essa un solo caso valga migliaia di casi” ma “il particolare, il
singolare può essere colto solo nell’intuizione” 34. Il poeta esprime attraverso la propria
individualità, l’intera specie. Egli riporta le esperienze di tutta l’umanità attraverso lo specchio della
propria e intuisce nelle esperienze il particolare.
           La poesia ha analogie con la storia. Anche la storia, infatti, necessita dell’esperienza propria
ma la storia rende il vero nel particolare mentre la poesia il vero in generale. La storia, inoltre segue
il principio di ragione e cioè il nesso di causa-effetto.
           L’esempio dell’attore è emblematico del rapporto individuo e specie. “Il compito dell’attore
è di sapere rappresentare la natura umana, dai suoi lati più diversi, in migliaia di caratteri diversi ma
tutti sullo sfondo della sua individualità, data una volta e per sempre ma mai completamente
eliminabile”35.L’attore deve saper estrovertite la sua interiorità usare, la fantasia per immaginare
circostanze cosi vive, deve capire i caratteri umani.
           L’annullamento della volontà nell’arte, pertanto, è anche la salvezza dell’individuo. Non
bisogna dimenticare cha alla volontà non importa dell’individuo ma della specie.




33
     Il mondo come volontà e rappresentazione, libro terzo, §51
34
       Parerga e paralipomena, libro secondo, §208
35
       Parerga e paralipomena, libro secondo, §222

“Schopenhauer e la musica” di Nicola Camurri                                                            16
LA CONCEZIONE MUSICALE DI SCHOPENHAUER


          All’interno dell’estetica di Schopenhauer la musica ha un posto di tutto rilievo rispetto a
tutte le altre manifestazioni artistiche. Dicendo questo non ci si riferisce tanto allo spazio che la
musica ha nelle sue opere quanto al fatto che Schopenhauer stesso sottolinea questa preminenza. Il
terzo libro de Il mondo come volontà e rappresentazione dedica alla musica un solo, seppur esteso,
paragrafo, il §52, mentre nei Parerga e Paralipomena ne trattano i paragrafi 218,219,220. In
aggiunta a questi testi, bisogna menzionare anche il cap. 39 dei supplementi al terzo libro de Il
mondo come volontà e rappresentazione intitolato Alla metafisica della musica.


Metafisica della musica


          La musica è distinta da tutte le altre arti, in quanto viene considerata da Schopenhauer come
una “lingua universale più limpida dello stesso mondo intuitivo” 36. “La musica è la vera lingua
universale che viene compresa ovunque”37. La differenza principale tra la musica e la altre arti, per
esempio pittoriche e plastiche, è che la musica è un’arte del tutto a se stante: mentre le arti
oggettivano la volontà in modo mediato, ossia per mezzo delle idee, la musica va oltre le idee,
risulta indipendente da loro e dall’intero mondo fenomenico. Può ignorare il mondo dato alla
rappresentazione e potrebbe sussistere anche se il mondo non fosse. Non è immagine delle idee ma
della volontà stessa. Il rapporto della musica con il mondo non è quindi di imitazione ma di
parallelismo, di analogia
          Le più alte espressioni dell’arte musicale, anche se il compositore non sempre lo sa, hanno
carattere veritativo: la musica è, per così dire, attività metafisica, “vera filosofia”. È l’avere
attribuito alla musica questo valore che conferisce a Schopenhauer quel ruolo di rilievo che gli deve
essere riconosciuto, anche quando egli fosse per altri aspetti (per esempio quelli tecnico-musicali)
un profano.
          Leibniz aveva definito la musica come exercitium arithmeticae occultum nescientis se
numerare animi38. Schopenhauer rettifica la definizione leibniziana da un punto di vista superiore:
Musica est exercitium metaphysices occultum nescientis se philosophari animi39.
          La musica e il mondo fenomenico (natura) sono due diverse espressioni della stessa cosa, la
36
     A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, Trad. Ita. di P.Savj-Lopez e G. De Lorenzo, Laterza,
     Bari, 1928, §52
37
     A. Schopenhauer, Parerga e Paralipomena, Trad. Ita. di E.A. Kuhn, G. Colli e M. Montanari,Boringhieri, Torino
     1963, §218
38
      Il mondo come volontà e rappresentazione, §52, pg 319
39
      ivi, pg. 330

“Schopenhauer e la musica” di Nicola Camurri                                                                       19
volontà, che è il termine di unione della loro analogia. La musica risulta, come espressione del
mondo, un linguaggio universale. Non l’universalità vuota dell’astrazione come quella dei concetti,
ma ben determinata: le infinite melodie possibili sono il modo di esprimere tutte le manifestazioni
della volontà, tutti i moti dell’animo, tutti i fatti e le sfumature interne all’uomo 40. Questa
espressione deve avvenire nell’universalità di semplice forma, nell’in–sé e non nel fenomeno.
        La musica è espressione dell’essenza intima del mondo, è specchio fedele della volontà. La
sua espressione avviene in maniera particolare “ossia con semplici suoni, con la massima
determinatezza e verità”41. La filosofia è una parziale riproduzione dell’essenza del mondo in
concetti molto generali. Se si potesse riprodurre in concetti ciò che la musica esprime si otterrebbe
una spiegazione sufficiente del mondo in concetti e questa sarebbe in tutto la “vera filosofia” 42.
Quella di Schopenhauer può essere definita, pertanto, come una “metafisica della musica”.
        La musica, astraendo dal suo significato estetico, interno, guardandola da un punto di vista
esteriore ed empirico (quindi come mera manifestazione sonora), non è altro che un modo per
afferrare direttamente e in concreto, le relazioni più grandi e complesse della essenza metafisica del
mondo. Le proporzioni della musica sono analoghe a quelle dell’essenza del mondo. Noi cogliamo
le proporzioni dei suoni con il semplice ascolto, anche senza nozione dal rapporto aritmetico che ne
sta alla base43. In maniera analoga noi afferriamo le proporzioni dell’essenza della musica senza
avere necessariamente comprensione dell’essenza stessa.
        Deriva dall’avere attribuito alla musica la capacità di penetrare e di far parlare il fondo
metafisico del mondo, che è per Schopenhauer volontà, la critica, in lui ricorrente, alla musica
descrittiva e imitativa, alla quale egli crede di potere ascrivere per esempio la musica di Haydn e
Beethoven.
        L’impressione musicale dei suoni non ha alcun bisogno dell’associazione alla causa che li
produce, ovvero vale per sé, senza ricorso alcuno all’intelletto 44. Il compositore non deve tentare di
imitare consapevolmente, mediante concetti, l’essenza del mondo. Deve intuirne ed esprimere

40
     “somiglia in ciò alle figure geometriche ed i numeri: che, quali forme universali di tutti i possibili oggetti
    dell’esperienza ed a tutti applicabili, non sono tuttavia astratti, ma intuitivi e sempre determinati.” (ivi)
41
     ivi pg 329
42
     “la filosofia non è se non compiuta, esatta riproduzione ed espressione del mondo, in concetti molto generali; solo
    con questi potendosi avere una visione, per ogni verso sufficiente e servibile, di tutta quella essenza.” (ivi) “una
    spiegazione della musica, in tutto esatta, compiuta e addentratesi nei particolari, questa sarebbe senz’altro una
    sufficiente riproduzione e spiegazione del mondo in concetti.” (ivi, pg 330)
43
   “La natura passiva dell’udito, di cui si è detto, spiega anche l’effetto così penetrante, così immediato, così
incontestabile della musica sullo spirito ed insieme la ripercussione che essa provoca, consistente in uno stato d’animo
di particolare esaltazione. Le vibrazioni sonore, che hanno luogo in rapporti numerici razionalmente combinati, si
trasmettono identiche alle fibre celebrali.” (Il mondo come volontà e rappresentazione, volume II, cap 3, Sui sensi pg
43)
44
     “I suoni musicali già producono come effetto l’impressione estetica, senza che si debba risalire alla causa, come
    accade nell’intuizione” (Il mondo come volontà e rappresentazione, libro terzo, §52, pg. 357)

“Schopenhauer e la musica” di Nicola Camurri                                                                           20
l’essenza inconsapevolmente, senza la mediazione della ragione, cosa da cui la musica imitativa è
agli antipodi, nelle Stagioni e nella Creazione di Haydn, per esempio, non l’in sé dei fenomeni ma i
“fenomeni del mondo intuitivo sono direttamente imitati”45.
         La musica parla direttamente al cuore e poco ha da dire alla testa “ed è un abuso pretenderlo
da essa come avviene nella musica “descrittiva”; anche se Haydn e Beethoven si sono lasciati
fuorviare da una simile musica, Mozart e Rossini, per quello che ne so io, non hanno mai commesso
un simile errore”. “Una cosa è l’espressione delle passioni, un’altra dipingere le cose”46.
        Una musica descrittiva, che fosse in tutto e per tutto legata al mondo dell’apparenza, non
coglierebbe più il sostrato metafisico del mondo, si allontanerebbe dall’essenza stessa della musica
rifugiandosi nell’aspetto fisico dell’espressione sonora. Per di più non bisogna dimenticare che tutto
quello che nell’arte è intenzionale è già di per sé inganno e la pretesa di imitare o descrivere è un
atteggiamento soggiacente al principio di ragione . (cfr cap. 2 ,§ 4).


Le analogie tra mondo e musica


           È il carattere metafisico della musica che impone all’espressione musicale di essere in
rapporto analogico con il mondo delle apparenze e Schopenhauer imposta la sua visione musicale
partendo da questi parallelismi. La teoria musicale di Schopenhauer e le conseguenti analogie
partono dal concetto di “basso fondamentale”, cosi come teorizzato dalla musica barocca 47. L’autore
associa al basso fondamentale la gravità della materia, infima oggettivazione e fondamento della
volontà del mondo fenomenico. Al basso fondamentale sono collegati, secondo la teoria della fisica
dei suoni, i suoni acuti derivanti dalle vibrazioni concomitanti del suono fondamentale 48. Come la
materia costituisce il sostegno e il fondamento di ogni elevazione nel mondo, cosi il basso
fondamentale costituisce la base e il sostegno di ogni elevazione tonale.
        I gradi della scala sono come i gradi di oggettivazione della volontà nel mondo. Da qui
consegue una concezione tecnico-musicale che assegna necessariamente alle voci acute la
leggerezza e la mobilità della melodia. Il basso deve muoversi lentamente a causa della sua
pesantezza. Il canto di conseguenza è prerogativa delle voci più acute49.
45
     ivi
46
     Parerga e paralipomena, libro secondo, §218
47
     La teoria a cui dice di fare riferimento è la teorizzazione operata da Rameau nel suo Trattato dell’armonia ridotta
    ai suoi principi naturali (1722) per una panoramica sintetica ma utile alla comprensione dell’impostazione di
    Schopenhauer è il capitolo Rameau, dell’ Enciclopedia della musica, vol. 2, il sapere musicale, Einaudi, Torino,
    2002.
48
     La teoria degli armonici permette di considerare la terza, la quinta e l’ottava come “contenute” all’interno delle
    vibrazioni della nota fondamentale
49
   “La melodia è prerogativa della voce più alta e tale deve rimanere” “il fatto che Mozart e Rossini, sappiano mitigare,
anzi superare, gli inconvenienti delle arie per basso, non vale ad eliminarli”. (Parerga e Paralipomena, libro secondo,

“Schopenhauer e la musica” di Nicola Camurri                                                                           21
Come il Mondo oggettiva la volontà salendo lungo i gradi della materia inorganica – mondo
vegetale – mondo animale – uomo, così la musica segue la scala: nota fondamentale - terza – quinta
– ottava50. Il basso, quindi, a causa della gravità, del peso della materia che rappresenta, può
muoversi solo di grandi passaggi (terze, quarte e quinte) ma non può muoversi mai di un tono51.
         Le analogie tra musica e mondo non si fermano al basso fondamentale. Un’altra analogia di
rilievo è rappresentata dal tema del desiderio e del suo corrispettivo delle tensioni e distensioni
musicali. La musica trae la sua forza espressiva dal rapporto tra desiderio e appagamento e deve
cercare di evitare la noia. La melodia, ha questo compito. La melodia, estrema oggettivazione delle
lotte della volontà, deve muoversi costantemente sui gradi della scala creando tensioni e distensioni
e attraverso queste provocando desiderio, ritardo di appagamento e appagamento. La melodia deve
evitare il più possibile di rimanere ferma sull’unisono con il tono fondamentale, che rappresenta la
materia, l’infima oggettivazione, il che genererebbe la noia. È comunque il ritorno al tono
fondamentale che genera appagamento.
         Schopenhauer associa alla filosofia morale la melodia e alla fisica e alla metafisica
l’armonia. Come la musica esprime se stessa solo con l’unione di melodia e armonia, così il mondo
ha significato solo se preso nella sua totalità. I gradi più alti di oggettivazione (melodia) contengono
e si sostengono sui gradi inferiori (armonia) 52. La melodia è analoga all’individuo che si eleva, in
virtù del proprio carattere, dalla specie e per questo rappresenta l’aspetto fondante della visione
dell’autore53.
         Il tempo per Schopenhauer ha un valore particolare in relazione alla “contemplazione
estetica” e non si può non notare come, proprio nell’esposizione delle analogie, non venga indicato
il parallelismo tra il tempo del mondo e il tempo nella musica attraverso il ritmo 54. Probabilmente
Schopenhauer intende il ritmo già implicito nel concetto di melodia e armonia. È proprio la
fissazione nel tempo che rende particolari i suoni “universali”. Dalla melodia e dalla armonia
§220)
50
   già nel Il mondo come volontà e rappresentazione, §21 viene esplicitata la parte ontologica di questa analogia. Nel
Don Giovanni di Mozart il “Convitato di pietra” canta in voce di basso, l’analogia pietra – basso è più che evidente.
51
      Nei supplementi al terzo libro de Il mondo come volontà e rappresentazione il cap 39 (Alla metafisica della musica)
     tratta dettagliatamente di questo preciso aspetto.
52
      “Se infine applichiamo questo modo di vedere alla nostra precedente dimostrazione dell’armonia e della melodia,
     troveremo che una filosofia morale pura, senza spiegazione della natura, come Socrate la voleva introdurre, è affatto
     analoga a una melodia senz’armonia, come Rousseau in modo esclusivo la voleva; e all’opposto una fisica e una
     metafisica pura, senza etica, corrisponde ad una pura armonia senza melodia.”“Come soltanto nell’insieme di tutte le
     sue voci la musica esprime ciò che d’esprimere si propone, cosi l’unica volontà, che sta fuori dal tempo, trova la sua
     perfetta oggettivazione soltanto nella completa unione di tutti i gradi che lungo una scala di progressiva evidenza
     manifestano il suo essere.” Il mondo come volontà e rappresentazione, libro terzo, §52
53
    Il punto di partenza per una priorità della melodia però va trovato anche nella tendenza romantica di valorizzare
questo aspetto piuttosto che quello armonico. Il fatto che Schopenhauer suonasse il flauto, strumento melodico, fa si che
lui avesse più comprensione dei rapporti melodici che non di quelli armonici.
54
      Il riferimento è al paragrafo 52 del Il mondo come volontà e rappresentazione dal momento che in questo
     paragarafo l’autore dichiara di volere spiegare l’analogia tra mondo e musica.

“Schopenhauer e la musica” di Nicola Camurri                                                                            22
universale vengono fissati certi gradi in un determinato tempo, per ottenere una melodia particolare
o una successione armonica particolare. Se nei supplementi il ritmo viene espressamente definito -
“il ritmo è nel tempo quello che la simmetria è nello spazio”55 -, nelle sue osservazioni sull’arte
musicale del paragrafo 52 del Il mondo come volontà e rappresentazione Schopenhauer si limita a
dire: “Avrei ancora parecchio da aggiungere sul modo in cui la musica viene percepita, ossia
unicamente nel tempo e per il tempo…”. Pertanto il tempo non è escluso dall’ottica dell’autore.
Probabilmente l’autore non voleva insistere troppo, in questa esposizione delle analogie, su un
particolare che sembra staccare ancora di più la musica dalle altre arti, dal momento che è proprio
l’esclusione del tempo in un’opera d’arte a permettere la messa da parte del principio di
individuazione e con esso della volontà 56. Schopenhauer spesso forza la descrizione di aspetti
musicali al fine di mantenere il più possibile il rapporto analogico, anche a discapito della musica
stessa. Si è detto prima ad esempio che Schopenhauer ritiene il canto prerogativa della voce più alta,
nonostante sappia che esistono arie per basso, ma l’importante per l’autore è che il rapporto
analogico non venga a mancare. Quando nella pratica questo avviene il risultato che si ottiene è
l’allontanamento dal fine ultimo della musica.


La musica per spiriti non musicali, allontanamento dal fine della musica


          Il carattere metafisico della musica ha poi un’altra fondamentale caratteristica per
Schopenhauer: la musica non esprime un sentimento ma il sentimento. Non una gioia individuale
ma la gioia. E la gioia che essa ci comunica, perfino attraverso le sue arie malinconiche, è più che la
gioia dell’uomo soltanto, si direbbe piuttosto la gioia stessa del cosmo, dell’intera natura. Le parole
non sono mai in grado di esprimere il fondo metafisico e la gioia del mondo con la stessa
immediatezza e la stessa intensità della musica. Perciò il problema del rapporto tra la musica e il
testo, la musica e la parole che possono accompagnarsi ad essa è sempre risolto in Schopenhauer –
come nell’estetica musicale del romanticismo in genere – in basa al primato del suono.
L’ammirazione schopenhaueriana per Rossini è anche dovuta la fatto che la sua musica “parla senza
bisogno di parole”.
           Se la premienza viene accordata al testo si ricade nel vizio della musica descrittiva e tramite
le parole la musica cerca di esprimersi in                  un linguaggio non suo. Infatti se essa parla un
“linguaggio, il più universale di tutti” e ci raggiunge direttamente come salendo dal fondo

55
      supplementi al terzo libro de Il mondo come volontà e rappresentazione il cap 39 (Alla metafisica della musica)
56
      ne Il mondo come volontà e rappresentazione, volume II, supplementi al primo libro, cap 3, Sui sensi, pg 39
     definisce la musica come esclusivamente nel tempo, facendo riferimento sia alla battuta, sia al concetto fisico di
     frequenza che determina l’altezza della nota.

“Schopenhauer e la musica” di Nicola Camurri                                                                              23
primigenio della volontà universale, le lingue particolari usate dai popoli, sono limitate. In primo
luogo, per il fatto di essere particolari e molteplici e quindi anche per riferire l’universale ad una
implicita e determinata particolarità (la gioia della musica e della natura si perde ad esempio nella
gioia del popolo tedesco). Si passa così dalla rappresentazione del sentimento assoluto alla
rappresentazione di una passione particolare57.
         In secondo luogo il linguaggio comune recitato o parlato richiama l’attenzione sulla
comprensibilità e il significato intrinseco del discorso e quindi distoglie dall’ascolto puramente
musicale. Perciò Schopenhauer è fortemente critico nei confronti di ogni fonte di distrazione
dall’ascolto musicale sia esso testo, scenografia, ballo o eccesso di luci58.
         Per evidenziare cosa accade alla musica se essa viene asservita a fini pratici, Schopenhauer
la pone in analogia con l’architettura. L’architettura è l’arte in cui è più visibile il fine pratico che
l’allontana dall’ “arte puramente bella”; essa deve infatti piegare il fine estetico alla finalità pratica.
Così in un’opera musicale il concorso di molti elementi non prettamente sonori e l’uso di molti
artifici nascondo l’assenza di idee, o meglio impediscono di percepire l’essenza del fatto musicale,
il suo essere riflesso immediato della volontà e sono come nell’architettura romana quegli
“ornamenti sovraccarichi che in parte nascondevono e in parte perfino alterano le semplici
proporzioni”59. L’uso eccessivo di mezzi extra-musicali altera allo stesso modo anche la semplice
espressione musicale e il risultato che si ottiene è di impedire, anziché assecondare, un ascolto e un
godimento puramente musicale60.
         Schopenhauer è inoltre molto critico nei confronti del “grand opèra” poichè la musica “in
quanto più potente di tutte le altre arti, riesce già di per se a riempire completamente uno spirito che
ad essa sia sensibile”61. Qui invece la pressione sullo spirito attraverso l’occhio e l’impegno dello
spirito nel decifrare la trama allontana la percezione del messaggio musicale e perciò l’opera è
57
   “Tali scene isolate dell’umana vita, fatte soggetto dell’universale linguaggio della musica, non sono mai a questa
congiunte o a lei corrispondenti per una fissa necessità; bensì v’hanno il rapporto che un qualsivoglia esempio può
avere con un concetto generale: rappresentano con la determinatezza della realtà quel che la musica esprime
nell’universalità della forma pura. Perché le melodie, sono, in un certo modo, così come i concetti universali,
un’astrazione della realtà” (Il mondo come volontà e rappresentazione, libro terzo, §52, pg. 353); “ogni violenta
manifestazione della volontà è un tratto “volgare”: vale a dire che essa ci degrada a semplici esemplari della specie”…
“Perfino nel dramma, il cui tema peculiare sono le passioni e gli affetti, questi tuttavia, appaiono facilmente volgari;”
(Parerga e Paralipomena”,cap. 26 §336)
58
   “la musica in quanto più potente di tutte le arti, riesce già di per sé a riempire lo spirito che ad essa sia sensibile”…
“Invece di ciò quando viene eseguita la musica operistica, … si fa pressione sullo spirito anche attraverso l’occhio,
mediante lo sfarzo più sgargiante, le scene più fantastiche e le impressioni di luce e di colore più vivace, lo spirito è
inoltre occupato dalla trama dell’opera. Tutto questo lo sottrae, lo distrae, lo stordisce e lo rende meno di tutto sensibile
al linguaggio misterioso e intimo delle note; perciò in tal modi si opera in senso opposto al raggiungimento del fine
musicale.” (Parerga e Paralipomena, libro secondo, §220)
59
       Parerga e Paralipomena, libro secondo, §219
60
      “ma tutto ciò è estraneo alla natura della musica quanto alla arte puramente estetica dell’architettura sono estranei
     gli scopi di utilità umana, ai quali sia l’architettura che la musica sono costrette ad adattarsi, dovendo sottomettere i
     propri fini a fini estranei. Per l’architettura ciò è quasi sempre inevitabile; non così per la musica…” ivi
61
      Parerga e Paralipomena, libro secondo, §220

“Schopenhauer e la musica” di Nicola Camurri                                                                                24
contraria al raggiungimento del vero fine musicale.
         Schopenhauer si spinge tanto oltre nella crtitica da definire l’opera una invenzione non
musicale per spiriti non musicali. L’aumento dei mezzi strumentali è inutile dal momento che
“l’accordo non può avere più di tre voci e solo in un caso quattro” e che comunque “lo spirito non
può mai afferrarne di più nello stesso tempo” 62. Per questo l’eccesso della musica orchestrale non è
musicale, produce più suoni di quelli che una sensibilità veramente musicale può recepire. L’unico
vantaggio della musica orchestrale è il fatto di avere “l’ampiezza di armonia” derivata dalla
distanza di due o più ottave fra il basso e la più alta delle voci alte. Quindi il maggiore effetto
dell’orchestra è dovuto ad un uso più completo della componente armonica, ma per Schopenhauer è
la melodia il nucleo della musica 63. Si parla comunque di effetto, ovvero di impressione, non di un
aumento di contenuti. L’espressione più alta della musica rimane prerogativa della melodia ed è
prerogativa della voce più alta proprio per l’analogia tra musica e mondo64.
         Unico esempio di testo veramente musicale è la messa cantata delle chiese cattoliche, in
quanto il significato del sentimento rende le parole “semplicemente solfeggio” e la musica non
risulta “danneggiata come nell’opera da cose miserabili di ogni genere” 65. La messa cantata infatti
non parla di singole passioni particolari, ma rivolge il suo canto direttamente a Dio, il cui amore è
universale.


Il genio e la musica


         La contemplazione puramente oggettiva delle idee è intuitiva, ed appartiene specificamente
al dominio dell’arte (plastica o poetica); il genio, che mira appunto a dare delle idee una
riproduzione la più fedele possibile                 nella sua opera è perciò strettamente collegato in
Schopenhauer, al dominio della produzione artistica. Ogni vera opera d’arte è opera sua. “Grazie
alla sua oggettività il genio contempla con riflessione tutto ciò che gli altri non vedono” 66. “L’arte è
l’opera del genio”67 e riflette le eterne idee, l’essenziale e permanente in tutti i fenomeni del mondo.
La sua origine è la conoscenza delle idee, il suo unico fine la comunicazione di questa conoscenza.
L’essenza del genio sta nell’attitudine alla contemplazione, che “strappa l’oggetto della sua

62
     Parerga e Paralipomena, libro secondo, §220
63
     “considero la melodia come il nucleo della musica, rispetto alla quale l’armonia sta come la salsa all’arrosto.”
    (Parerga e Paralipomena, libro secondo, §219)
64
   “La melodia è prerogativa della voce più alta e tale deve rimanere”; “il fatto che Mozart e Rossini, sappiano mitigare,
anzi superare, gli inconvenienti delle arie per basso, non vale ad eliminarli”. (Parerga e Paralipomena, libro secondo,
§220)
65
     Parerga e Paralipomena, libro secondo, §220
66
     Parerga e paralipomena, libro secondo, §206
67
     Il mondo come volontà e rappresentazione, libro terzo, §36

“Schopenhauer e la musica” di Nicola Camurri                                                                           25
contemplazione fuori dal corrente flusso del mondo e lo tiene isolato davanti a sé” 68. Il genio si
spoglia della propria personalità e rimane puro soggetto conoscente. La forza conoscitiva dell’uomo
geniale si sottrae alla volontà, si sforza di raggiungere l’idea in ogni cosa e non le relazioni tra le
cose. È diverso dall’uomo comune, il cui sapere è la lanterna che gli illumina una strada, mentre per
il genio la conoscenza è il sole che gli disvela il mondo. Il genio contempla, l’uomo ordinario cerca.
Non seguendo il principio di ragione, il genio non è, in questo senso, intelligente e non cerca la
relazione tra le cose. Il genio non è sempre tale, a causa della grande tensione, comunque spontanea,
necessaria per vedere le idee distinte dalla volontà. Proprio per non derivare dal principio di ragione
ed essere frutto di intuizione la sua attività è stata per lo più collegata all’ispirazione. In assenza di
quella egli è simile all’uomo ordinario.
          Il genio conosce le idee appieno ma non gli individui, l’uomo ma non gli uomini. Il genio ha
il solo vantaggio di conoscere nelle cose le idee rispettive, ma è l’acquisizione di una tecnica
dell’arte che lo rende artista e a permettergli di comunicare, tramite l’opera, al pubblico, che genio
non è , la sua visione ideale69.
          Essendo l’idea intuitiva, l’artista non è consapevole dell’intenzione del suo operare, “lavora,
come si suol dire, di puro sentimento e di inconsapevole istinto”. Gli imitatori, i manieristi
procedono nell’arte muovendo dal concetto non dall’idea. Il solo fatto di imitare un qualcosa è
soggetto al principio di ragione, quindi non è in nessun modo in grado di superare la volontà.
          È la fantasia che permette al genio di allargare il proprio orizzonte al di là dell’esperienza, a
far si che dal poco che egli ha percepito gli sia possibile ricostruire tutto il rimanente: “il genio ha
bisogno della fantasia per vedere nelle cose non ciò che la natura ha in effetti formato ma ciò che
ella si sforzava di formare”70.
          L’opera del genio, nell’ambito della composizione musicale, consiste nel “trovar la melodia,
scoprire in lei tutti i segreti più profondi dell’umano volere e sentire”; la sua azione “è qui più facile
a vedersi che altrove, libera da ogni riflessione e meditato intento”71.
          Non a caso il concetto di ispirazione ha trovato qui, e nella poesia, la sua più adeguata sede,
perché in un compositore è separato l’uomo dall’artista e l’intuizione musicale fa si che l’uomo non
sappia capire ciò che il compositore scrive. L’intuizione dei moti più segreti fissati dalla melodia è
paragonabile a ciò che avviene nel sogno profondo: “il compositore disvela l’intima essenza del
mondo, in un linguaggio che la ragione di lui non intende: come una sonnambula magnetica dà

68
      ivi
69
        “…l’essere in grado di comunicare anche a noi questo dono, dare a noi i suoi occhi è la qualità acquisita, la tecnica
     dell’arte”. “L’opera d’arte è semplicemente un mezzo per rendere più facile quella conoscenza di cui consiste il
     piacere estetico”. (Il mondo come volontà e rappresentazione, libro terzo, §37)
70
      Il mondo come volontà e rappresentazione, libro terzo, §36
71
      Il mondo come volontà e rappresentazione, libro terzo, §52

“Schopenhauer e la musica” di Nicola Camurri                                                                              26
rivelazione di cose, delle quali sveglia non ha concetto alcuno”72.
          Per capire appieno questo aspetto farò riferimento a un testo che, nelle intenzioni dell’autore
non ha legame con la pratica artistica. Il testo in questione tratta della possibilità della
chiaroveggenza e delle esperienze oniriche. Nello scritto Saggio sulle visioni di spiriti e su quanto
vi è connesso73, Schopenhauer parla dei sogni distinguendo il sogno del dormiveglia, (“sognare il
vero”) e il “sogno vero” che avviene nel sonno profondo. Ciò su cui richiama l’attenzione è che le
cause di questa rappresentazione sono interne e non esterne74.
          Il sogno nasce dall’intuizione e da stimoli interni. Viene anche specificato che nei sogni “la
fantasia è ancora disponibile”75. Anche se l’autore non pone un’esplicita analogia con la tematica
musicale o artistica, il sogno è caratterizzato da intuizione, fantasia e dalla capacità del senso
interno di creare rappresentazioni, caratteristiche in tutto comuni al genio musicale. Si può capire
quindi cosa faccia si che l’artista sia separato dall’uomo nel compositore: l’uomo appartiene alla
veglia, la creazione musicale al sogno profondo76.
          A differenza delle altre arti la musica esprime in maniera più completa il rapporto senso
interno (volontà) e senso esterno (organi di senso) del soggetto di una rappresentazione. Nel
formare una rappresentazione gli organi di senso ricevono dei segnali o li inviano attivando il senso
interno, se si usa la ragione ( spazio, tempo, causalità ) si ha a che fare con la volontà, se no con
l’arte e il godimento estetico. Se si fa riferimento al capitolo 7 del Parerga e paralipomena
intitolato la teoria dei colori risulta chiaro come l’autore intenda il processo conoscitivo. Per la
teoria dei colori Schopenhauer imposta la sua teoria sul processo fisiologico che viene scatenato
dall’impressione del colore. L’occhio è il soggetto della rappresentazione mentre la causa esterna
che attiva il processo fisiologico è l’oggetto. L’impressione è legare ogni colore con la sensazione
che da. Il nostro giudizio dei colori è dato da rapporti puramente aritmetici (un colore puro è
determinato da un precisa frazione). Noi siamo in grado di giudicare questo rapporto aritmetico sia
nei colori con la semplice vista, sia nella musica con il semplice ascolto senza dover avere
coscienza dei rapporti aritmetici stessi. La musica fissa sette note fondamentali, “per la razionalità
del numero delle loro vibrazioni” come i sei colori si distinguono “per la semplicità della frazione
di attività della retina”77.
          Nel musicista l’espressione vive direttamente questo rapporto: il musicista “contiene” dentro
72
       Il mondo come volontà e rappresentazione, libro terzo, §52, pg. 350
73
      Parerga e Paralipomena, pg. 295
74
      “Qualsiasi visione che si attui attraverso l’organo del sogno è attività della funzione intuente del cervello, stimolata
     da impressioni interne, anziché come al solito da impressioni esterne” (ivi, pg. 321)
75
      ivi, pg 300
76
      il tema viene spiegato in G. Piana Teoria del sogno e dramma musicale, la metafisica della musica di
     Schopenhauer, Editore Angelo Guerini e Associati, 1997
77
       Parerga e Parapolimena, cap 7, Sulla teoria dei colori, §103

“Schopenhauer e la musica” di Nicola Camurri                                                                                27
di se la capacità di elaborare “concetti sonori” (senso interno) che poi vengono trasmessi usando il
corpo fisico ( senso esterno ). Non esiste musica senza le mani o senza la voce. Il rapporto corpo-
mente è fondamento dell’espressione musicale. Da qui la particolarità del genio musicale: lui usa se
stesso ogni volta che esprime la sua “tecnica dell’arte”. Le arte plastiche fissano la tecnica dell’arte
nella materia e la oggettivano una volta e per sempre. Nella musica la materia sussiste solo come
fondamento fisico, è il corpo del musicista inteso come “strumento della rappresentazione”.
         Il rapporto tra soggetto conoscente e oggetto conosciuto è “volatile” è vivo fintanto che la
musica risuona. Mentre nel rapporto con un’opera d’arte figurativa, il soggetto può avere sempre
davanti a sé i contenuti originari (fissati una volta e per sempre nell’opera d’arte), nella musica
questo rapporto sembra più complesso. La rappresentazione musicale non si fissa una volta e per
sempre. Per quanto un’opera possa essere ri-eseguita, non si possono mai ottenere due esecuzioni
identiche. La musica ha infatti il carattere del “puro presente” e rimane in noi come ricordo. La
scrittura della musica su spartito infatti, spiega solamente come esprimere in linguaggio musicale
una determinata opera ma in nessun modo può metterci di fronte al contenuto originario che il
compositore ha creato in essa. Quello che un’opera ri-eseguita può evocare è il ricordo
dell’individualità del compositore, ma in maniera indiretta, filtrata dalla individualità dell’esecutore,
nel caso siano due individui diversi, ma anche nel caso dello stesso individuo l’esecuzione rimane
sempre filtrata dal particolare stato emotivo del momento dell’esecuzione stessa.
         Schopenhauer distingue i concetti di contemplazione estetica e di giudizio estetico. Della
contemplazione estetica si è gia detto, per la trattazione del giudizio estetico egli muove dalla
definizione di gusto: “con la parola gusto,… si definisce la scoperta o semplicemente il
riconoscimento di ciò che è esteticamente giusto” 78. È una capacità di “concepire”, di riconoscere
“il giusto, il bello, l’adatto come tale”. Ciò non avviene in ogni caso in base ad una regola che non
può essere nota al giudicante. “Invece di gusto si potrebbe dire senso estetico, se questa espressione
non contenesse una tautologia”79.
         Il gusto “che afferra e giudica” viene paragonato ad un elemento femminile contrapposto
all’elemento maschile del talento produttivo e del genio creativo. Il gusto è incapace di generare. La
prima domanda da porsi è perché l’uso del termine “esteticamente giusto”. Questo termine prevede
la mediazione della ragione, e chi ricorre all’intelletto non è soggetto puro. Il gusto, di un soggetto
puro, dovrebbe essere una sensibilità immediata. Questa definizione di gusto è quella per la classe
degli uomini ordinari. Il genio non deve sapere dare una spiegazione all’intuizione che ha
dell’oggetto d’arte, non ha un gusto, un giudizio estetico. Probabilmente solo al genio senza tecnica

78
      Parerga e paralipomena, cap 20, Su giudizio, critica, applauso e gloria §236
79
     ivi

“Schopenhauer e la musica” di Nicola Camurri                                                          28
dell’arte, il contemplativo, è data la sensibilità immediata, senza l’aspetto creativo. Il ricorrere alla
ragione, all’ “esteticamente giusto”, è proprio di chi non è il genio che coglie l’oggetto puro
dell’arte. Il riconoscimento dell’opera geniale è affidato al “tribunale della posterità”, quindi non
certo al riconoscimento immediato, al gusto dell’epoca in cui l’opera stessa è stata compiuta. Il
genio, per tanto ,non segue il gusto ma lo determina e lo anticipa.
          “Come metro di un genio, non bisogna prendere i difetti delle sue produzioni né le più
deboli delle sue opere al fine di collocarlo secondo tal metro in basso , bisogna scegliere, invece, le
sue opere più eccellenti”80. Il genio infatti non è immune dalla “debolezza e stoltezza” della natura
umana perciò anche il grande genio non è sempre tale nelle sue espressioni. Bisogna cogliere il
momento geniale. Nella vetta dell’espressione di un genio è racchiuso il momento, “l’adesso”
fissato nel tempo, in cui la sua individualità ha superato la vita stessa cioè la volontà81.
          Il maggiore piacere dovuto all’ascolto della musica è proprio dovuto a questo particolare
rapporto con il “momento”. La maggiore intensità è infatti del tutto compensata dalla volatilità.


Schopenhauer e la musica del suo tempo


          Schopenhauer visse durante il periodo di più grande rinnovamento musicale, che veniva
avvertito anche da molti letterati82. Tieck, Wackenroder,                    Novalis, A.W. Schlegel, Hoffman,
Schleiermacher, sono alcune delle menti che crearono quella tipica concezione romantica della
musica, intesa come espressione, come linguaggio dell’infinito, mediazione tra sensi e spirito, fra
l’individuo e il tutto83. Autori di fondamentale importanza che operarono più o meno nella stessa età
di Schopenhauer sono, in ambito musicale: Haydn (1732-1809), Beethoven (1770-1827), Paganini
(1784-1840), Weber (1786-1826), Schubert (1797-1828), Berlioz (1803-1869), Mendelssohn (1809-
1847), Chopin (1810-49), Schumann (1810-56), Rossini (1792-1868), Bellini (1801-1835), Listz
(1811-1886), Wagner (1813-1883), Brahms (1833-1897).
          Nell’esposizione delle sue idee musicali solo quattro di questi trovano un posto. L’unico
autore che in tutto e per tutto viene elogiato è Rossini. Haydn e Beethoven sono, come abbiamo
detto, criticati genericamente in quanto autori di musica “descrittiva”. Mozart viene lodato come
musicista che “parla senza bisogno di parole”, ma da una testimonia di Robert von Hornstein
sappiamo che a suo dire rispetto a Rossini risultava pesante. Si sa di un suo gradimento per la


80
     Parerga e paralipomena, cap 20, Su giudizio, critica, applauso e gloria §238
81
     Parerga e paralipomena, cap 20, Su giudizio, critica, applauso e gloria §243
82
     Un’utile antologia di testi a riguardo è in G. Guanti, Romanticismo e musica: l’estetica musicale da Kant a
     Nietzsche, E.D.T., Torino, 1981
83
      M. Mila, Breve storia della musica, Einaudi, Torino,1963, pg. 211

“Schopenhauer e la musica” di Nicola Camurri                                                                       29
Norma di Bellini84. Per il resto è certo che Schumann gli risultava incomprensibile, Mendelssohn
noioso, e considerava un’opera di non grande rilievo il Franco Cacciatore di Weber.
         La sua concezione del “basso fondamentale” (teorica) è legata alla pratica del “basso
continuo85” che nell’età di Schopenhauer era già in via di superamento e assai poco usata. Le sue
osservazioni sull’uso delle voci sono della prima teoria musicale e si collegano a teorie scolastiche
superate proprio da quegli autori di cui egli parla. Se ciò è in parte dovuto alla necessita di forzare la
tematica musicale alla teoria globale del mondo, è innegabile che dal punto di vista strettamente
musicale la sensibilità di Schopenhauer fosse piuttosto scarsa86. Non è tanto un problema la sua
critica, a volte ingenerosa, a questo o quel autore, e neanche la sua contradditoria definizione del
gusto. Quanto è sorprendente e sintomatico della sua profonda insensibilità per la materia musicale
in senso stretto è il fatto che il suo orecchio non riuscisse a sentire che nel linguaggio musicale
qualcosa di fondamentale stesse cambiando.
         L’esempio più importante si può fare in relazione ad un autore che si rifaceva esplicitamente
alla filosofia di Schopenhauer: Wagner87. Nonostante l’enorme ammirazione del compositore per il
filosofo, Schopenhauer non si riconobbe mai nella direzione musicale wagneriana e addirittura
consigliò all’autore dell’opera d’arte totale di darsi alla poesia. Il fatto ancora più grave è che non
riuscisse a cogliere una somiglianza nemmeno a livello di “temperie culturale”. Cosa ancora più
singolare, se si pensa che l’opera di Bellini 88 può essere considerata alle origini della formula
teatrale e del linguaggio musicale impiegati da Wagner.
         L’esempio di Wagner89 consente tuttavia di porre il problema fondamentale, di come la
concezione di un autore in fondo così poco sensibile ai mutamenti intervenuti nell’arte musicale,
abbia potuto influenzare così profondamente uno dei più grandi innovatori nel campo della musica.
La risposta sta nel fatto che mentre la competenza musicale di Schopenhauer è per certi aspetti
arretrata, la sua filosofia è essa stessa musicale e secondo Wagner musicabile90.
         La musica di Wagner ha poi uno speciale ed intenso rapporto con la sfera della vita affettiva,
84
      Cap. 37 secondo volume Sull’estetica della poesia pg. 532
85
     Il basso fondamentale prevede che il basso suonato corrisponda alla tonica dell’accordo. La teoria di Rameau pose
    il fondamento della moderna concezione dell’armonia basata sui rivolti, posizioni diverse per lo stesso accordo. In
    un rivolto il basso reale può non corrispondere con la tonica. Il basso continuo è una pratica della musica barocca.
86
     Non si potrebbe dire lo stesso di Hegel e della brillante analisi dell’ “erotismo musicale” di Kierkegaard (in
    riferimento alla tematica musicale, i concetti di questi autori sono rinvenibili nella concezione di Schopenhauer).
87
     Wagner entrò in contatto con la filosofia di Schopenhauer nel 1854
88
     “tra altri come Spontini (1774-1851), Meyerbeer (1791-1864)”(M. Mila, Breve storia della musica, Einaudi,
    Torino,1963, pg. 247)
89
   Per un approfondimento del tema del rapporto tra Wagner e Schopenhauer si veda: G. Piana Teoria del sogno e
dramma musicale, la metafisica della musica di Schopenhauer, Editore Angelo Guerini e Associati, 1997
90
     “La negazione della volontà, nella filosofia si Schopenhauer è la componente erotico-intellettuale poco decisiva,
    anzi secondaria. Il suo sistema è una filosofia della volontà a base erotica; ed appunto in quanto lo è, il Tristano ne
    appare del tutto impregnato” (T.Mann, Dolore e grandezza di Richard Wagner, trad.it. L.Mazzucchetti, Discanto
    Edizioni Fiesole 1979, pg. 35)

“Schopenhauer e la musica” di Nicola Camurri                                                                             30
pulsionale, erotica con il mito e la sua simbolicità sicchè l’influenza di Schopenhauer si spiega non
soltanto per ciò che il filosofo dice della musica, ma anche e specialmente per quel suo derivare il
mondo dal fondo o senso della volontà, di cui la musica è la sublime espressione. Nel dramma
musicale la musica sostiene le vicende di eroi ed eroine ce valgono non per sé stessi, ma come
simboli di una verità metafisica. E così anche in Schopenhauer il godimento musicale non è nulla
che si determini in rapporto agli individui, non ha bisogno della mediazione di personaggi o di
caratteri, parla direttamente della portata assoluta delle vicende del mondo. In Wagner abbiamo il
superamento di figure caratteristiche con figure simboliche che sono portatrici di un senso affettivo,
abbiamo un passaggio alla narrazione mitica, che non ha il carattere di azione puramente umana,
che è vicenda cosmica. La riforma wagneriana del dramma sta nel legame tra musica e mito.
L’approccio metafisico di Schopenhauer è in grado di offrire a questo progetto musicale un
significativo sostegno filosofico. “Solamente in quanto un soggetto conoscente è al tempo stesso un
individuo e, come tale, parte della natura, gli è aperto l’accesso all’interno della natura nella sua
propria coscienza, nel punto in cui essa si manifesta nel modo più immediato e quindi come
volontà”91.
         Ciò che ha colpito Wagner nell’esposizione schopenhaueriana è soprattutto la teoria di una
vita interna che è in grado di produrre un mondo. Concezione questa che viene espressa a livello
metafisico. Si può dire pertanto che il sistema filosofico di Schopenhauer è una metafisica della
musica rispetto alla quale la parte del sistema espressamente dedicata alla analisi della
composizione musicale finisce per avere un valore secondario. Egli ha espresso nel linguaggio della
filosofia quello che Wagner ha cercato di esprimere con il linguaggio della musica. Probabilmente
proprio le scarse competenze musicali di Schopenhauer hanno contribuito alla fortuna di questo
rapporto. Si è potuto prendere la sua filosofia e tradurla in musica proprio perché Schopenhauer non
era in grado di indicare lui stesso il modo per farlo.
         La filosofia di Schopenhauer, soprattutto per quella capacità del senso interno di creare un
mondo, rimane il fondamento filosofico della musica a prescindere dall’evoluzione che questa ha
avuto e avrà nel tempo.




91
     R. Wagner, Scritti su Beethoven, Passigli Firenze 1919 pg. 87

“Schopenhauer e la musica” di Nicola Camurri                                                       31
BIBLIOGRAFIA:

   A- Scritti di Schopenhauer:

A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, Trad. Ita. di P.Savj-Lopez e G. De
   Lorenzo, Laterza, Bari, 1928.

A. Schopenhauer, Parerga e Paralipomena, Trad. Ita. di E.A. Kuhn, G. Colli e M. Montanari,
   Boringhieri, Torino, 1963.

A. Schopenhauer, Scritti sulla musica e le arti, a cura di F. Serpa, Discanto Edizioni, Fiesole, 1981



   B- Scritti sull’estetica musicale di Schopenhauer:

M. Mila, Breve storia della musica, Einaudi, Torino,1963.

T.Mann, Dolore e grandezza di Richard Wagner, trad.it. L.Mazzucchetti, Discanto Edizioni Fiesole
  1979.

Id., Schopenhauer, in Nobiltà dello spirito e altri saggi, Mondatori, Milano, 1977

R. Wagner, Scritti su Beethoven, Passigli Firenze 1919

G. Guanti, Romanticismo e musica: l’estetica musicale da Kant a Nietzsche, E.D.T., Torino, 1981.

G. Piana Teoria del sogno e dramma musicale, la metafisica della musica di Schopenhauer, Editore
Angelo Guerini e Associati, 1997

L.Ferrara, Schopenhauer, philosophy and arts, ed by D.Jacquette, Cambridge University Press,
Cambridge, 1996

E.Sans, Richard Wagner et la pensée schopenhauerienne, Klincksieck, Paris, 1969

C. Rosset, L’ estetique de Schopenhauer, PUF, Paris, 1969

A. Moscato, La musica nel pensiero di Hegel e di Schopenhauer, in Musica e Filosofia, a cura di A.
Caracciolo, Il Mulino, Bologna, 1973.

F.Viscidi, Il problema della musica in Schopenhauer, Padova, 1958


        Per gli aspetti generali:

F.Volpi - E. Berti, Storia della filosofia, ottocento e novecento, Laterza, 1991, Bari

M. De Bartolomeo – V. Magni, Filosofia, tomo 5, filosofie contemporanee, Atlas, 2000, Bergamo

“Schopenhauer e la musica” di Nicola Camurri                                                        32
“Schopenhauer e la musica” di Nicola Camurri   33

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Schopenhauer e la musica

  • 1. UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI GENOVA FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA TESI DI LAUREA IN FILOSOFIA “SCHOPENHAUER E LA MUSICA” Relatore: Chiar.mo Prof. Domenico Venturelli Correlatore: Candidato: Chiar.mo Prof. Francesco Camera Nicola Camurri Anno Accademico 2005 – 2006 “Schopenhauer e la musica” di Nicola Camurri 1
  • 2. INDICE CENNI SULLA VITA LE OPERE E LA VISIONE PESSIMISTICA DEL MONDO DI SCHOPENHAUER La vita Il mondo come rappresentazione Il mondo come volontà La vita e la visione pessimistica dell’uomo Le vie della liberazione umana L’ARTE IN SCHOPENHAUER Sulla distinzione tra cosa in sé e apparenza L’adesso [il presente] in tutti i tempi La contemplazione estetica Individualità, autocoscienza, ciò che è ordinario Scultura, pittura e poesia in Schopenhauer LA CONCEZIONE MUSICALE DI SCHOPENHAUER Metafisica della musica Le analogie tra mondo e musica La musica per spiriti non musicali, allontanamento dal fine della musica Il genio e la musica Schopenhauer e la musica del suo tempo “Schopenhauer e la musica” di Nicola Camurri 2
  • 3. CENNI SULLA VITA LE OPERE E LA VISIONE PESSIMISTICA DEL MONDO DI SCHOPENHAUER La vita Arthur Schopenhauer nacque a Danzica il 22 Febbraio 1788 da una famiglia di origine olandese. Figlio di Johanna Henriette Trosiener, scrittrice di romanzi e di un ricco commerciante, fu avviato alla professione del padre. Si trasferì ad Amburgo quando Danzica passò alla Prussia nel 1793. Visse in città e nazioni diverse: Le Havre, Karlsbad, Praga, in Inghilterra, in Olanda, in Svizzera, in Austria, in Slesia e in Prussia. Il padre si suicidò nel 1805 lasciandogli un’eredità che gli permise di vivere di rendita e di dedicarsi agli studi. Frequentò prima al ginnasio di Gotha, poi quello di Gottinga (1809-1811) e di Berlino (1811-13). A Gottinga ascoltò i corsi di Schulze, a Berlino di Scheiermacher, Fichte, F.A. Wolf. Nel 1813 a causa dei disordini della guerra si trasferì a Weimar, dove viveva la madre con un’altra figlia, Adele. Qui ebbe l’occasione di conoscere Goethe nel salotto letterario aperto dalla madre. Nello stesso anno presentò all’Università di Jena la tesi di dottorato Sulla quadruplice radice del principio di ragion sufficiente, dove sono già poste le basi gnoseologiche di tutto il suo sistema. Tra i primi a riconoscere il valore del lavoro fu lo stesso Goethe. Sempre a Weimar conobbe l’orientalista Friedrich Mayer che lo avviò allo studio della filosofia indiana. A causa dei cattivi rapporti con la madre, di cui non approvava la condotta, nel 1814 si trasferì a Dresda dove rimase fino al 1818. Qui compose Sulla vista e i colori (1816) e Il mondo come volontà e rappresentazione, la cui prima edizione uscì nel gennaio del 1819. La seconda, con importanti supplementi, fu edita nel 1844 e la terza nel 1859. Nel 1820 ottenne la libera docenza a Berlino, scontrandosi con Hegel che era membro della commissione esaminatrice. Rimase a Berlino fino al 1831 quando lo scoppio di un’epidemia di colera, di cui rimase vittima lo stesso Hegel, gli fece decidere di trasferirsi a Francoforte. Nel 1839 scrive la memoria Sulla libertà del volere umano premiata dalla Reale Società delle Scienze di Norvegia e nel 1840 Sul fondamento della morale. Nel 1841 i due saggi furono pubblicati insieme col titolo I due problemi fondamentali dell’etica. Al 1851 risale la raccolta di vari saggi, Parerga e Paralipomena, che gli diedero l’attesa fama. Morì di polmonite il 22 settembre 1860. Il mondo come rappresentazione Schopenhauer imposta la sua filosofia partendo da Kant, cui attribuisce il merito della critica “Schopenhauer e la musica” di Nicola Camurri 3
  • 4. alla metafisica o, meglio, l’avvio di un “opera di distruzione della filosofia scolastica”. Il merito più grande, tuttavia, è quello di avere evidenziato la differenza tra fenomeno, conoscibile, e cosa in sé, non conoscibile. Platone aveva affermato qualcosa di analogo nel “mito della caverna”, parlando di un mondo delle ombre, che è illusione, e di un mondo della realtà, cioè il mondo delle idee, culminante nell’idea del Bene, la cui immagine sensibile è il Sole. La stessa idea è presente nel libro dei Veda, testo della religione indiana risalente ad un periodo compreso tra il 1500 e il 1200 a.c., in cui il mondo viene considerato illusione, velo della realtà. Schopenhauer sottolinea che, nonostante la distinzione tra fenomeno e noumeno fosse già stata intuita ed espressa poeticamente, solo grazie a Kant è stata dimostrata in maniera incontestabile. Il pensiero di Schopenauer è un’interpretazione e uno sviluppo della teoria kantiana del mondo fenomenico: “il mondo è una mia rappresentazione” afferma. La conoscenza del mondo è la conoscenza di un’apparenza risultante dalla relazione tra soggetto e oggetto. Con ciò egli si apre alla meditazione filosofica e scopre che “il mondo circostante non esiste se non come rappresentazione, cioè sempre e soltanto in relazione con un altro essere, con il percipiente, con lui medesimo”. Il filosofo riduce a tre le forme a priori della rappresentazione del mondo, cioè le funzioni per l’ordinamento dell’esperienza: il tempo, lo spazio e la causalità. Il tempo è la relazione di successione in cui le rappresentazioni si manifestano; lo spazio è la relazione di (posizione o coesistenza); la causalità è una capacità che hanno le singole cose di agire e di produrre effetti. È l’unica proprietà delle cose rappresentate, la cui realtà si esaurisce in questo loro agire. Tempo e spazio provengono dall’intelletto. Sensibilità e intelletto non sono più, come in Kant, due funzioni conoscitive di natura radicalmente diversa, l’una intuitiva e l’altra discorsiva; non rappresentano due ceppi distinti del nostro conoscere ma vengono decisamente avvicinate. Schopenhauer spiega la loro differenza in termini meramente fisiologici. La sensibilità, con le sue forme dello spazio e del tempo, può essere spiegata come una funzione dei nervi afferenti, ma non di meno lo spazio e il tempo svolgono una funzione a priori come forme generali dell’esperienza (rappresentazione) fenomenica. La loro unione dà origine alla materia, intesa come condizione e non come oggetto d’esperienza e come principium individuationis. L’intelletto, con la sua categoria della causalità, è spiegabile mediante le funzioni dell’intera massa celebrale che produce una conoscenza di carattere essenzialmente intuitivo, immediato, quindi analogo al conoscere sensibile, cioè il collegamento dell’effetto con la causa. Schopenhauer attribuisce l’intelletto anche agli animali. Ciò che distingue l’uomo è la ragione cioè la possibilità di formare “rappresentazioni di rappresentazioni”, cioè concetti, e di congiungerli e disgiungerli discorsivamente in proposizioni e ragionamenti. Delle connessioni di “Schopenhauer e la musica” di Nicola Camurri 4
  • 5. causalità, che l’intelletto coglie intuitivamente e che caratterizzano la struttura del mondo in quanto rappresentazione, la ragione ha una conoscenza riflessa e mediata. Tale conoscenza è espressa nel principio di ragion sufficiente, che rappresenta il fondamento logico di tutta la conoscenza scientifica. Questo principio può essere applicato a quattro ambiti diversi nei quali assume, corrispondentemente, quattro forme:  del divenire, dove si manifesta come causalità tra gli oggetti della realtà naturale;  del conoscere, come relazione fra premesse e conseguenze nell’argomentazione razionale e delle sue forme logiche ;  dell’essere, come relazioni del tempo e dello spazio, fondamento delle matematiche;  dell’agire fondamento delle scienze morali. La parola è il segno tangibile, l’espressione del concetto, mediante la quale la ragione astratta viene ricongiunta con le condizioni sensibili dello spazio e del tempo. Il linguaggio è uno strumento della ragione mediante la quale essa si fa istitutrice del sapere scientifico, delle arti, dei costumi morali e dei sistemi politici. La ragione è però al tempo stesso anche la fonte inevitabile degli errori, delle illusioni, delle menzogne e dei dogmi che travagliano la vita dell’umanità. Il mondo come volontà La volontà è l’essenza nascosta delle cose, la loro realtà autentica. Non è la dimensione pratica della ragione, non è volontà cosciente. È forza e pulsione cieca, pura e semplice volontà di vivere. Dietro il velo delle apparenze avvertiamo la volontà prima di tutto nel nostro corpo come desiderio e, al di là di noi stessi, l’avvertiamo in ogni essere dell’Universo come la sua vera essenza noumenica. Schopenhauer forza il pensiero kantiano in senso dualistico in quanto considera il noumeno una realtà soggiacente ai fenomeni. È volontà che si nasconde dietro ai fenomeni e che può essere in qualche modo avvertita, mentre i fenomeni sono solo illusioni, apparenza, manifestazione di tale volontà. Il mondo, dice riprendendo un’immagine del pensiero indiano, è un ingannevole velo di Maya che copre le cose e che bisogna lacerare per coglierle nella loro autenticità. La vita è sogno, ed è impossibile distinguere il sonno dalla veglia se non per il fatto che la veglia presenta maggior continuità rispetto al sogno. Il pensiero originario di Kant viene stravolto: il mondo fenomenico, come tale, è privo di senso. Il soggetto conoscente deve all’identità con il proprio corpo il suo principium individuationis, ma il corpo è dato all’uomo in due modi: come oggetto fra gli altri oggetti (quindi “Schopenhauer e la musica” di Nicola Camurri 5
  • 6. come rappresentazione) e come oggettivazione della volontà. Il corpo è manifestazione della volontà, l’atto volitivo e l’azione del corpo sono una cosa sola: “ogni azione del corpo […] è anche azione della volontà; come tale si chiama dolore, se ripugna alla volontà; benessere, piacere, se è a questa conforme”. La volontà è la cosa in sé, il noumeno kantiano. A differenza dei fenomeni, che, in quanto soggetti allo spazio, al tempo e al principio di individuazione, sono molteplici, la Volontà è unica e ovunque la stessa. Nascita e morte riguardano solo gli individui, mentre la Volontà in se stessa non ne viene contaminata. “La morte è un sonno in cui vieni dimenticata l’individualità”. La natura è ordinata per la sopravvivenza della specie e non dell’individuo. L’individuo per la natura non ha importanza, il tutto della natura non viene turbato dalla morte di un singolo individuo. La Volontà non è il piano di una intelligenza ordinatrice che noi crediamo di poter riconoscere, non ha una finalità. È cieca e irrazionale, è assenza di ogni finalità, vuole eternamente solo se stessa e, mancando di finalità, non è fondamento e fonte di valori. La Volontà si oggettiva in una serie graduale di forme, dalle forze elementari che agiscono sulla materia alle specie vegetali e animali. Il primo grado di oggettivazione della volontà è costituito da ciò che Schopenhauer, riprendendo Platone, denomina idea, che è forma della rappresentazione in genere. I gradi fondamentali della natura, nei quali la Volontà si oggettiva, sono quelli della natura inorganica e incosciente, poi della natura organica e infine dell’uomo, dove la volontà diviene cosciente. Le idee sono il presupposto della scienza e sottese ai fenomeni. Si presentano nello stesso modo negli innumerevoli fenomeni naturali e questa costanza dell’apparire è la legge di natura che la scienza studia. La vita e la visione pessimistica dell’uomo La radice dell’infelicità umana e di ogni essere del cosmo è dovuta al fatto che la Volontà è in sé infinita ma si oggettiva in essere finiti che, come tali, costituiscono una forma inadeguata di realizzazione di quella Volontà infinita stessa. Ciascuno degli esseri è quindi caratterizzato dalla mancanza, dal bisogno. Dispersa in una moltitudine di esseri finiti, la Volontà è lacerata, scissa in sé e avverte tutto questo come mancanza e dolore. La Volontà spinge gli esseri ad una continua affermazione di sé la cui tendenza di fondo è, a prezzo di lotte continue e di sopraffazione degli uni sugli altri, l’autoconservazione. L’uomo si illude di essere libero mentre è strumento della Volontà e i suoi atti non esprimono altro che l’affermarsi di questa. La Volontà ci illude per conservare la specie, l’amore è illusione posto al servizio della perpetuazione della vita, momento di piacere ma temporaneo, finalizzato comunque al riprodurre la specie. “Schopenhauer e la musica” di Nicola Camurri 6
  • 7. La Volontà non può mai soddisfare pienamente se stessa. Cessando il volere non sarebbe più Volontà e, con essa, non esisterebbe più il mondo che è sua manifestazione. La vita è pertanto caratterizzata dall’oscillazione tra dolore (dovuto ad un perenne stato di insoddisfazione) e noia. Il piacere (la soddisfazione di un desiderio) è solo una momentanea cessazione del dolore. Se non subentra un nuovo desiderio sorge la noia che è peggiore del dolore. La vita degli individui è solo procrastinare la morte ed è assolutamente priva di senso. La vicenda umana viene pertanto vista con un atteggiamento pessimistico di fondo, più volte accostato a quello di Leopardi (1798-1837). Le vie della liberazione umana La liberazione è possibile solo se si prende coscienza di vivere nell’apparenza e nell’illusione. Ciò è possibile solo se il nostro conoscere oltrepassa l’ ambito fenomenico dell’individuazione e il principio di ragione che lo governa. Il nostro conoscere deve farsi universale e deve diventare capace di cogliere le Idee quali oggettivazioni eterne della Volontà e la Volontà stessa come fondo metafisico del tutto. Questo processo è possibile solo distaccandosi dall’asservimento ai fini pratici e diventando capace di contemplazione pura e disinteressata. Nella contemplazione la coscienza si eleva al di sopra del volere. Poiché la contemplazione va contro la stessa natura metafisica dell’uomo, l’elevazione è evento raro, proprio del genio, del filosofo, del santo. L’arte pertanto è la prima via alla liberazione; la moralità la seconda e più durevole via; l’unica via di liberazione totale è l’ascesi. La moralità è una liberazione più compiuta rispetto all’arte (che libera solo per un incanto di breve durata) e agisce contro la tendenza all’affermazione di sé dovuta alla Volontà. La morale spinge al superamento dell’egoismo. Essa si esprime anzitutto come giustizia, una virtù puramente negativa il cui proposito è impedire, conformemente alla regola aurea quod tibi fieri non vis, alteri ne feceris, il danno reciproco. La giustizia serve a limitare l’hobbesiana lotta di tutti contro tutti, non ha in sè gli strumenti per elevarsi sopra la Volontà e solo limita la sopraffazione reciproca. Per la condotta morale non basta neppure il severo e rigido imperativo categorico di Kant ma serve il sentimento della compassione. Solo attraverso la consapevolezza del dolore degli altri si può superare il proprio egoismo; solo sentendo i dolori altrui come nostri, cioè superando l’illusione del primato dell’ io. La Volontà è ancora presente nella compassione, nel dolore, nel soffrire per sé e per gli altri. L’unica via per l’annientamento della Volontà è l’ascesi. L’ascesi è negazione dell’essere, è annullamento del mondo. Il primo passo è un’assoluta castità, la negazione totale dell’istinto sessuale che è “la più precisa ed energica affermazione della volontà di vivere, il termine ultimo e il fine supremo della vita”. Tale negazione si estende a tutte le altre forme di godimento della vita fino “Schopenhauer e la musica” di Nicola Camurri 7
  • 8. al possesso di ricchezze e al desiderio di onore, conducendo ad una povertà volontaria. La negazione e il sacrificio di sé non devono però giungere al suicidio, poiché quest’atto non annulla la Volontà ma esprime solamente l’insoddisfazione per le condizioni della vita, quindi implicitamente la tensione e il desiderio proprio della Volontà. L’ascesi è indifferenza, sospensione, svuotamento e annichilimento della Volontà, è nolontà (noluntas invece di voluntas). Chi è ancora irretito dal mondo fenomenico della Volontà avverte nell’ascesi come un nulla spaventoso. L’asceta considera il nulla in cui finalmente si immerge come un oceano di pace, di assoluta quiete, un riposo infinito e totale dell’anima. L’ascesi conduce al concetto buddhistico del Nirvana visto da Schopenhauer come l’anticipazione dello stato di serenità successivo alla liberazione dal corpo. Solo dopo la morte si ha il vero trionfo sulla Volontà. “Schopenhauer e la musica” di Nicola Camurri 8
  • 9. NOTA: Per gli aspetti generali si è fatto riferimento: F.Volpi - E. Berti, Storia della filosofia, ottocento e novecento, Laterza, 1991, Bari M. De Bartolomeo – V. Magni, Filosofia, tomo 5, filosofie contemporanee, Atlas, 2000, Bergamo “Schopenhauer e la musica” di Nicola Camurri 9
  • 10. L’ARTE IN SCHOPENHAUER Sulla distinzione tra cosa in sé e apparenza L’apparenza è tutto ciò che nel mondo può essere soggetto di conoscenza empirica, è il dominio di ciò che viene da noi gestito con la conoscenza sensibile. “Delle cose del mondo, non conosciamo empiricamente se non la loro apparenza, cioè la superficie. L’esatta conoscenza di questa è la fisica, presa nel suo senso più ampio”1. La spiegazione del mondo delle apparenze è una spiegazione solo parziale, la fisica non è perciò sufficiente, occorre anche la spiegazione sul suo contenuto vero, su quello che va oltre l’apparenza, il regno della metafisica, della cosa in sé. “Poiché ogni cosa della natura è, in pari tempo, apparenza e cosa in sé, … così essa è suscettibile di duplice spiegazione, una spiegazione fisica e una metafisica. Quella fisica è sempre tratta dalla causa; quella metafisica sempre dalla volontà”2. “Questa conoscenza della cosa in sé, è in primo luogo condizionata dalla scissione, in essa contenuta, in soggetto che conosce e oggetto conosciuto, e quindi dalla forma inseparabile dell’autocoscienza cerebrale che è il tempo:perciò essa non è del tutto esauriente e adeguata” 3. La conoscenza della cosa in sé non è del tutto possibile poiché l’autocoscienza rimane sotto la forma del tempo; la conoscenza della cosa in sé ha dunque per condizione che il soggetto superi il tempo per realizzarsi come individualità, il che avviene solo nell’arte ad opera del genio.“La differenza tra cosa in sé ed apparenza si può esprimere anche come differenza tra l’essenza soggettiva e quella oggettiva di una cosa. La sua essenza puramente soggettiva è appunto la cosa in sé: quest’ultima però non è oggetto di conoscenza”4. La coscienza conosce solo mediante la rappresentazione di sé. Un oggetto della conoscenza ha per condizione essenziale essere presente in questa coscienza, che però conosce solo mediante il suo stesso apparato rappresentativo, quindi come oggetto. Pertanto il sistema di rappresentazione fa si che si abbia una pura apparenza che solo fa riferimento ad una cosa in sé5. Non è possibile conoscere l’elemento soggettivo, la cosa in sé, con i principi della ragione (spazio e tempo). Anche l’autocoscienza, che prescinde dallo spazio, rimane comunque 1 A. Schopenhauer, Parerga e Paralipomena, Trad. Ita. di E.A. Kuhn, G. Colli e M. Montanari,Boringhieri, Torino, 1963, cap 4, Alcune considerazioni sul contrasto tra cosa in sé e apparenza § 62 2 Parerga e paralipomena, cap 4, Alcune considerazioni sul contrasto tra cosa in sé e apparenza §63 3 Parerga e paralipomena, cap 4, Alcune considerazioni sul contrasto tra cosa in sé e apparenza §64 4 ivi 5 “Essenziale per un oggetto della conoscenza è infatti l’essere sempre presente in una coscienza che conosce in quanto rappresentazione di essa coscienza: e ciò che si rappresenta è appunto l’essenza oggettiva della cosa. Questa, quindi, è oggetto di conoscenza; ma, in quanto tale, è pura rappresentazione; e poiché, può diventare rappresentazione solo mediante un apparato rappresentativo che deve avere la sua struttura e le leggi che ne derivano, ecco che essa è un pura apparenza che può riferirsi ad una cosa in sé.” ivi “Schopenhauer e la musica” di Nicola Camurri 9
  • 11. vincolata al tempo. L’autocoscienza “in quanto conosce solo mediante il senso interno, inferisce soltanto ancora la forma del tempo (non più quella dello spazio) che , accanto alla scissione in soggetto e oggetto è ciò che unicamente la separa dalla cosa in sé”6. Due modi opposti di accostarsi al mondo delle apparenze sono la scienza e l’arte. La scienza studia le relazioni tra le cose, seguendo il principio di ragione, il nesso di causa ed effetto. L’arte, per esempio nella pittura e nella scultura, è la rappresentazione intuitiva dell’idea oggettivata in una forma individuale. La prima è razionale, la seconda è intuitiva. Scienza e arte differiscono anche nello scopo: lo scopo delle scienze è pratico, in esse l’affermazione della volontà è volta al controllo e al dominio dei fenomeni. L’arte è priva di scopi pratici costringe alla contemplazione in quanto non è strumento ma intuizione dell’idea platonica nello specchio del soggetto. Mentre la scienza cerca il controllo delle oggettivazioni delle idee nella natura, quindi cerca i nessi tra le manifestazioni, l’arte è l’intuizione dell’idea oggettivata in sé. Proprio per il suo fine pratico la scienza non può astrarre dalle forme dell’intelletto. L’adesso [il presente] in tutti i tempi Schopenhauer attribuisce al tempo una funzione fondamentale nella sua visione ontologica. È il rapporto con il tempo infatti che determina ogni sfumatura nella sua prospettiva. Ogni rappresentazione, ogni coscienza, ogni individualità, ogni vita avviene solo in rapporto al tempo. Il tempo della nostra esistenza fisica costituisce “ciò che uno è” mentre i beni da lui posseduti costituiscono il “ciò che uno ha”7. Dal momento che il tempo è fondamento dell’esistenza, il fulcro si sposta sul presente. “Il presente è l’unica forma di ogni realtà”8. “Il presente ha due metà una oggettiva e una soggettiva. Soltanto quella oggettiva ha come forma l’intuizione del tempo, e perciò scorre senza fermarsi mai, quella soggettiva rimane ferma ed è quindi sempre la stessa”. Dalla proposizione “il mondo è una mia rappresentazione”, si deduce “prima sono io poi il mondo” 9. Il che significa che prima esiste il mio apparato soggettivo, il mio nucleo interno, che prescinde dal tempo e che costituisce il fondamento delle mie rappresentazioni, poi esiste la mia rappresentazione stessa nel tempo. “Ciascuno pensi che il suo nucleo intimo è qualche cosa che contiene, e porta in se stesso, il 6 ivi 7 Parerga e paralipomena, cap 4, Di ciò che uno rappresenta, pg. 445 8 Parerga e paralipomena,cap 10, Sulla teoria dell’indistruttibilità del nostro vero essere da parte della morte, §139, pg 935 9 ivi, pg.934 “Schopenhauer e la musica” di Nicola Camurri 10
  • 12. presente”10.Il proprio nucleo intimo porta in sé il lato soggettivo del presente. Il soggetto della rappresentazione quindi. La priorità del presente mette in gioco il tema del ricordo, della memoria e della evocazione. La fantasia permette di evocare il ricordo, o meglio la particolare rappresentazione che l’accompagnava. Bisogna ricordare che “gioia e dolore, non essendo rappresentazioni ma affezioni della volontà, non si trovano nel regno della memoria, e noi non riusciamo a evocare, nel senso di rinnovare,queste affezioni; soltanto le rappresentazioni che le accompagnavano, possono essere richiamate alla mente..”11. “Chi mediante la forza del suo ricordo e della sua fantasia, può richiamarsi alla mente, nel modo più vivo le cose più remote [della sua stessa vita], acquisterà più chiaramente degli altri, coscienza dell’ “adesso” in tutti i tempi” 12. Questa evocazione dell’adesso in tutti i tempi porta a quella che per l’autore è il superamento della morte fisica. È la coscienza del proprio nucleo intimo (soggetto) che permette di superare la morte fisica (oggetto). Infatti il soggetto è la componente interna, intima, mentre l’oggetto è le componente esterna, temporale ma vi è tanta realtà all’interno quanto all’esterno. Chi si rende conto che il presente è l’unica forma della realtà “non potrà dubitare dell’indistruttibilità del suo essere”: “alla sua morte scompare, invero, il mondo oggettivo con lo strumento della sua rappresentazione, l’intelletto, ma ciò non intacca la sua esistenza: infatti vi era all’interno tanta realtà quanto all’esterno” 13. Il concetto di “adesso in tutti i tempi” si potrebbe indicare come una sorta di “puro presente” come “il momento” di una coscienza. Il puro presente, il momento, viene evocato con la memoria e col tempo o dimenticato o fissato dalla storiografia. In questo l’opera del genio è diversa delle azioni insignificanti. “La gloria è la sorella immortale del mortale onore”; “la differenza principale consiste nel fatto che le azioni passano, le opere restano. L’azione più nobile non ha che un influsso temporaneo; l’opera del genio per contro vive e agisce attraverso tutti i tempi, elevando e beneficiando. Delle azioni rimane soltanto la memoria, che diventa sempre più debole, deformata e indifferente, sino a spegnersi a poco a poco a meno che la storiografia non la raccolga e la tramandi in forma pietrificata alla posterità, Le opere per contro sono esse stesse immortali, e soprattutto quando siano scritte, passano attraverso tutte le epoche”14. La contemplazione estetica 10 ivi 11 Parerga e paralipomena, cap 26, Osservazioni psicologiche § 349 12 Parerga e paralipomena,cap 10, Sulla teoria dell’indistruttibilità del nostro vero essere da parte della morte, §139, 13 ivi pg 935 14 Parerga e paralipomena, cap 4, Di ciò che uno rappresenta, pg. 491 “Schopenhauer e la musica” di Nicola Camurri 11
  • 13. Come può un oggetto procurare appagamento e gioia senza che ci sia una relazione tra esso e il nostro volere è la domanda fondamentale che Schopenhauer indica come il “problema specifico della metafisica del bello”15. L’arte costituisce la prima via per la liberazione umana dalla volontà, dall’insoddisfazione perenne e dalla finitezza. Il fatto che la visione di un’opera d’arte procuri gioia sembra apparentemente contraddittorio in quanto essa non ha nessuna relazione con il soddisfacimento di un nostro scopo determinato. Il fatto è che mentre siamo soggetti di contemplazione estetica, la volontà è assente dalla nostra coscienza. Secondo Schopenhauer, infatti, “col subentrare di una concezione estetica la volontà sparisce del tutto dalla coscienza”16. Ed essendo la volontà la fonte delle tribolazioni umane, la sua scomparsa dalla coscienza produce quella cessazione momentanea del dolore che è la gioia. La contemplazione fa sì che la volontà venga messa da parte e per un attimo si possa prescindere da essa. L’opera d’arte è la rappresentazione dell’oggettivarsi delle idee, che a loro volta sono l’oggetto puro della volontà. Per cogliere l’oggetto puro (della contemplazione estetica) occorre diventare un soggetto puro, ossia libero dalla volontà e “diventare un soggetto puro significa liberarsi di sé stessi”17. La coscienza di sé stessi è una rappresentazione fissata nello spazio e nel tempo, l’uno forma conoscitiva del senso esterno e l’altro del senso interno. Il soggetto puro riesce a dimenticare sé stesso, ovvero riesce a prescindere dal suo intelletto e solo cosi a perdersi nella contemplazione dell’oggetto puro (l’opera d’arte) manifestazione dell’idea platonica. “La concezione di una simile idea richiede che io mentre contemplo un oggetto, faccia realmente astrazione della sua posizione nel tempo e nello spazio cioè dalla sua individualità” 18. Per mettere da parte la volontà è necessario prescindere dallo spazio e dal tempo (principium individuationis), in quanto la volontà influenza l’individuo attraverso le forme conoscitive del suo intelletto. “Qui vale solo ciò che l’intelletto effettua da sé solo, con mezzi propri, ciò che esso ci offre con mezzi spontanei”19. L’oggetto d’arte è tale senza il bisogno di ricorrere alle relazioni che lo legano agli altri oggetti, non serve pertanto il ricorso all’unione di spazio e tempo cioè alla materia come condizione; astraendo dal principio di individuazione, la volontà che ci costringe al mondo dell’apparenza, al mondo fenomenico, può momentaneamente essere sospesa. Le arti in generale sono pura forma, la loro essenza prescinde dal tempo. La musica non ha carattere figurativo, non cerca di rappresentare lo spazio del mondo, non dipinge le cose fissando la propria espressione nella figura o nella simmetria. Le ricerca di proporzionalità della musica è tutta 15 Parerga e Paralipomena, libro secondo, §205 16 ivi 17 ivi 18 Parerga e Paralipomena, libro secondo, §206 19 ivi “Schopenhauer e la musica” di Nicola Camurri 12
  • 14. data da quell’aspetto particolare del tempo musicale 20. Il tempo della musica è l’aspetto fisico, sia perché inteso come frequenza determina l’altezza di un suono, sia perché attraverso il ritmo gestisce la proporzione intesa come durata dei singoli suoni 21. Pertanto la musica riesce a prescindere anche dallo spazio. In quanto espressione artistica è pura forma che prescinde dal tempo del mondo, in quanto espressione musicale, sonora e non figurativa, prescinde dallo spazio. Individualità, autocoscienza, ciò che è ordinario Al di là dell’esplicita priorità del genio nel rapporto con l’opera d’arte, Schopenhauer esplicita alcune critiche nei confronti del suo opposto, l’uomo ordinario, in maniera analoga a quella che è la sua visione artistica. Se il genio riconosce il superamento della volontà nell’opera d’arte, l’uomo ordinario è sempre soggetto alla volontà in quanto “la volontà, in quanto elemento assolutamente comune è perciò elemento ordinario”22. Da ciò deriva il disprezzo per tutto ciò che è appunto ordinario. L’essere ordinario allontana l’uomo dal suo fine, cioè quello di realizzarsi in quanto autocoscienza. A lui spetta il carattere dell’individualità e non solo quello della specie. L’essere ordinario è invece carattere della specie, gli animali hanno solo il carattere della specie mentre “all’uomo spetta il vero e proprio carattere individuale. Tuttavia, nella maggior parte degli uomini, vi è veramente poca individualità: essi possono essere assortiti quasi esclusivamente secondo certe classi.” Il termine ordinario porta l’uomo al mondo basso e spregevole, lo avvicina all’animale23. Nell’uomo tutto quanto agisce in maniera inconscia, come le forze della natura, è genuino. Se invece viene filtrato attraverso la coscienza questa diventa una rappresentazione e ogni sua esternazione una comunicazione di una rappresentazione. La coscienza corregge in maniera intenzionale i contenuti originari del senso interno (soggetto) e li comunica al senso esterno (strumento) ottenendo una rappresentazione ingannevole. “Tutto ciò che è cosciente nell’arte è già qualcosa di corretto e intenzionale, e perciò diventa affettazione, vale a dire inganno”24. L’autocoscienza è un io che conosce se stesso. Si conosce solo nel proprio intelletto, cioè nell’apparato rappresentativo, come corpo (forma organica, senso esterno), come volontà (senso 20 Le percezione uditive a differenza di quelle visive sono “esclusivamente nel tempo”. Inteso sia come frequenza e quindi come altezza delle note, sia come battuta. (A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, Trad. Ita. di P.Savj-Lopez e G. De Lorenzo, Laterza, Bari, 1928, volume II, cap 3, Sui sensi pg 39) qui parla anche della natura passiva dell’udito (pg 40) 21 “Il ritmo è nel tempo quello che la simmetria è nello spazio” supplementi al terzo libro de Il mondo come volontà e rappresentazione il cap 39 (Alla metafisica della musica) 22 Parerga e paralipomena, cap 26, Osservazioni psicologiche §.336 23 Parerga e paralipomena, cap 26, Osservazioni psicologiche §335 24 Parerga e paralipomena, cap 26, Osservazioni psicologiche §.340 “Schopenhauer e la musica” di Nicola Camurri 13
  • 15. interno). L’intelletto “vede” gli atti della forma organica ripetere quelli della volontà (come un ombra si muove simultaneamente rispetto alla figura) e da qui deduce l’identità di entrambi e la chiama io. La vicinanza dell’intelletto alla volontà, sua radice e origine, e la duplicità della sua possibilità di conoscere, fa si che la distinzione tra parte soggettiva e oggettiva della rappresentazione non sia evidente e spesso quindi non percepita. Il lato soggettivo e quello oggettivo sembrano molto meno diversi. L’autocoscienza che non riesce a distinguere questi due aspetti di sé non può superare la volontà e rimane vicino al carattere della specie, quella che riesce a distinguere scoprirà tanta individualità quanto il grado di distinzione che riesce a percepire genuinamente25. L’autocoscienza è anche il luogo del “ciò che uno è” (il tempo della nostra esistenza) e “ciò che uno ha (i beni)”. “Per contro, il luogo di ciò che noi siamo per gli altri è la coscienza altrui: tutto si riduce alla rappresentazione – attraverso la quale ci mostriamo in tale coscienza – e ai concetti che vi si applicano”26. L’autocoscienza è quindi il fondamento della nostra rappresentazione per gli altri. La forza di immaginazione è più forte in colui la cui l’attività celebrale intuitiva (fantasia) è sufficientemente forte da non necessitare di eccitamento dei sensi; di conseguenza se aumentano gli stimoli esterni diminuiscono quelli interni. “Tuttavia la forza di immaginazione, per dimostrarsi fertile, deve avere avuto molto materiale dal mondo esterno: poiché esso solo riempie il suo magazzino”27. Proprio per il duplice rapporto tra senso interno ed esterno, è necessario che il nostro senso interno abbia immagazzinato le sensazioni esterne delle sue esperienze. Infatti se la memoria è evocazione della rappresentazione che accompagnava il sentimento, il portare dentro di sé il sentimento puro è già opera di genio che lo ricava dal ricordo delle sue rappresentazioni. La nostra esistenza attuale è temporale e individuale”. Il tempo altro non è che la forma dell’apparenza “Noi, pertanto, possiamo pensare l’indistruttibilità di quel nucleo della nostra apparenza soltanto come una sua persistenza, e invero, secondo lo schema della materia, come quella che persiste nel tempo, in tutti i mutamenti delle forme”28. Noi non siamo capaci di cogliere il nucleo della nostra individualità, il soggetto fuori dal tempo che è il nostro senso interno, per questo concentriamo la nostra idea di sopravvivenza sulla componente fisica ovvero sopravvivenza dell’apparato sensibile, della nostra apparenza nella forma del tempo. La nostra individualità, invece, esiste al di fuori del tempo poiché la sua base ha qualcosa che non conosce tempo, dunque nemmeno sopravvivenza o fine. “Nessun individuo è adatto a continuare eternamente la sua 25 Parerga e paralipomena, cap 26, Alcune considerazioni sul contrasto tra cosa in sé e apparenza §64 26 Parerga e paralipomena, cap 4, Di ciò che uno rappresenta, pg. 445 27 Parerga e paralipomena, cap 26, Osservazioni psicologiche §.346 28 Parerga e paralipomena, cap 10, Sulla teoria dell’indistruttibilità del nostro vero essere da parte della morte §.136 “Schopenhauer e la musica” di Nicola Camurri 14
  • 16. esistenza: con la morte sparisce. Ma, con essa, non perdiamo nulla. Infatti l’esistenza individuale ha alla sua base qualche cosa di totalmente diverso, di cui essa è l’espressione. Questo qualcosa non conosce tempo, dunque nemmeno sopravvivenza né fine”29. Qui è da cogliere quell’aspetto fondamentale della visione del genio. Il genio è colui la cui individualità si esprime prima della morte fisica, quando, ancora soggetto alla visione temporale, riesce ad elevare con l’intuizione la propria individualità al di sopra della vita stessa e quindi della volontà. L’espressione artistica del genio supera, per così dire la morte. Scultura, pittura e poesia in Schopenhauer Il godimento (il piacere estetico) sopraggiunge elevandosi a puro soggetto di conoscenza contemplativa, libero da volontà, soggetto che ha negato il principio di individuazione e ha fatto di sé quella forma di conoscenza non sottoposta al principio di ragione, che si è portato per così dire, “fuori dallo spazio e dal tempo”30, come senza tempo è per Schopenhauer l’oggetto vero dell’arte: l’idea platonica. Uno dei culmini dell’estetica di Schopenhauer è da rinvenire nella trattazione dell’arte in quanto protesa allo sforzo di rappresentare in forme intuite l’idea o le forme dell’umanità nella sua percezione. A questo fine sono rivolte principalmente scultura e pittura. È nella distinzione tra individuo e specie che si coglie la vera essenza dell’arte. L’opera d’arte coglie nell’individuo la specie. Nella rappresentazione dell’uomo si distingue il carattere della specie da quello dell’individuo. Il carattere della specie si chiama bellezza, quello dell’individuo carattere o espressione. È difficile rappresentarli entrambi nel medesimo individuo 31. Bellezza e grazia, caratteristiche una della specie e l’altra dell’individuo, sono indistinguibili in quanto la “soppressione del carattere della specie a tutto vantaggio di quella individuale darebbe caricatura”. “Tuttavia molto meno ancora della bellezza deve la grazia venir sopraffatta dal caratteristico”. La bellezza si esprime più completamente se vista da vari lati mentre l’espressione e il carattere possono essere colti anche da un solo punto di vista. L’oggetto della rappresentazione deve tenere presente sia la forma individuale sia la forma della specie32. Se ciò è evidente nelle arti figurative, dove la forma è l’oggetto della rappresentazione stessa, per la poesia, arte dove l’oggetto è l’uomo, il ragionamento è diverso. La poesia necessita dell’esperienza propria. La rappresentazione della poesia fa si che il 29 Parerga e paralipomena,cap 10, Sulla teoria dell’indistruttibilità del nostro vero essere da parte della morte §.136 30 Il mondo come volontà e rappresentazione, §38 31 Schopenhauer ne parla a proposito della pittura e della scultura ne Il mondo come volontà e rappresentazione, libro terzo, §45 32 Il mondo come volontà e rappresentazione, libro terzo, §45 “Schopenhauer e la musica” di Nicola Camurri 15
  • 17. rappresentato sia anche colui che rappresenta. “Nella lirica dei poeti si riflette l’intimo di tutta l’umanità”; “il poeta è in sostanza l’uomo universale” “egli è lo specchio dell’umanità” 33. “L’essenza dell’arte comporta che per essa un solo caso valga migliaia di casi” ma “il particolare, il singolare può essere colto solo nell’intuizione” 34. Il poeta esprime attraverso la propria individualità, l’intera specie. Egli riporta le esperienze di tutta l’umanità attraverso lo specchio della propria e intuisce nelle esperienze il particolare. La poesia ha analogie con la storia. Anche la storia, infatti, necessita dell’esperienza propria ma la storia rende il vero nel particolare mentre la poesia il vero in generale. La storia, inoltre segue il principio di ragione e cioè il nesso di causa-effetto. L’esempio dell’attore è emblematico del rapporto individuo e specie. “Il compito dell’attore è di sapere rappresentare la natura umana, dai suoi lati più diversi, in migliaia di caratteri diversi ma tutti sullo sfondo della sua individualità, data una volta e per sempre ma mai completamente eliminabile”35.L’attore deve saper estrovertite la sua interiorità usare, la fantasia per immaginare circostanze cosi vive, deve capire i caratteri umani. L’annullamento della volontà nell’arte, pertanto, è anche la salvezza dell’individuo. Non bisogna dimenticare cha alla volontà non importa dell’individuo ma della specie. 33 Il mondo come volontà e rappresentazione, libro terzo, §51 34 Parerga e paralipomena, libro secondo, §208 35 Parerga e paralipomena, libro secondo, §222 “Schopenhauer e la musica” di Nicola Camurri 16
  • 18. LA CONCEZIONE MUSICALE DI SCHOPENHAUER All’interno dell’estetica di Schopenhauer la musica ha un posto di tutto rilievo rispetto a tutte le altre manifestazioni artistiche. Dicendo questo non ci si riferisce tanto allo spazio che la musica ha nelle sue opere quanto al fatto che Schopenhauer stesso sottolinea questa preminenza. Il terzo libro de Il mondo come volontà e rappresentazione dedica alla musica un solo, seppur esteso, paragrafo, il §52, mentre nei Parerga e Paralipomena ne trattano i paragrafi 218,219,220. In aggiunta a questi testi, bisogna menzionare anche il cap. 39 dei supplementi al terzo libro de Il mondo come volontà e rappresentazione intitolato Alla metafisica della musica. Metafisica della musica La musica è distinta da tutte le altre arti, in quanto viene considerata da Schopenhauer come una “lingua universale più limpida dello stesso mondo intuitivo” 36. “La musica è la vera lingua universale che viene compresa ovunque”37. La differenza principale tra la musica e la altre arti, per esempio pittoriche e plastiche, è che la musica è un’arte del tutto a se stante: mentre le arti oggettivano la volontà in modo mediato, ossia per mezzo delle idee, la musica va oltre le idee, risulta indipendente da loro e dall’intero mondo fenomenico. Può ignorare il mondo dato alla rappresentazione e potrebbe sussistere anche se il mondo non fosse. Non è immagine delle idee ma della volontà stessa. Il rapporto della musica con il mondo non è quindi di imitazione ma di parallelismo, di analogia Le più alte espressioni dell’arte musicale, anche se il compositore non sempre lo sa, hanno carattere veritativo: la musica è, per così dire, attività metafisica, “vera filosofia”. È l’avere attribuito alla musica questo valore che conferisce a Schopenhauer quel ruolo di rilievo che gli deve essere riconosciuto, anche quando egli fosse per altri aspetti (per esempio quelli tecnico-musicali) un profano. Leibniz aveva definito la musica come exercitium arithmeticae occultum nescientis se numerare animi38. Schopenhauer rettifica la definizione leibniziana da un punto di vista superiore: Musica est exercitium metaphysices occultum nescientis se philosophari animi39. La musica e il mondo fenomenico (natura) sono due diverse espressioni della stessa cosa, la 36 A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, Trad. Ita. di P.Savj-Lopez e G. De Lorenzo, Laterza, Bari, 1928, §52 37 A. Schopenhauer, Parerga e Paralipomena, Trad. Ita. di E.A. Kuhn, G. Colli e M. Montanari,Boringhieri, Torino 1963, §218 38 Il mondo come volontà e rappresentazione, §52, pg 319 39 ivi, pg. 330 “Schopenhauer e la musica” di Nicola Camurri 19
  • 19. volontà, che è il termine di unione della loro analogia. La musica risulta, come espressione del mondo, un linguaggio universale. Non l’universalità vuota dell’astrazione come quella dei concetti, ma ben determinata: le infinite melodie possibili sono il modo di esprimere tutte le manifestazioni della volontà, tutti i moti dell’animo, tutti i fatti e le sfumature interne all’uomo 40. Questa espressione deve avvenire nell’universalità di semplice forma, nell’in–sé e non nel fenomeno. La musica è espressione dell’essenza intima del mondo, è specchio fedele della volontà. La sua espressione avviene in maniera particolare “ossia con semplici suoni, con la massima determinatezza e verità”41. La filosofia è una parziale riproduzione dell’essenza del mondo in concetti molto generali. Se si potesse riprodurre in concetti ciò che la musica esprime si otterrebbe una spiegazione sufficiente del mondo in concetti e questa sarebbe in tutto la “vera filosofia” 42. Quella di Schopenhauer può essere definita, pertanto, come una “metafisica della musica”. La musica, astraendo dal suo significato estetico, interno, guardandola da un punto di vista esteriore ed empirico (quindi come mera manifestazione sonora), non è altro che un modo per afferrare direttamente e in concreto, le relazioni più grandi e complesse della essenza metafisica del mondo. Le proporzioni della musica sono analoghe a quelle dell’essenza del mondo. Noi cogliamo le proporzioni dei suoni con il semplice ascolto, anche senza nozione dal rapporto aritmetico che ne sta alla base43. In maniera analoga noi afferriamo le proporzioni dell’essenza della musica senza avere necessariamente comprensione dell’essenza stessa. Deriva dall’avere attribuito alla musica la capacità di penetrare e di far parlare il fondo metafisico del mondo, che è per Schopenhauer volontà, la critica, in lui ricorrente, alla musica descrittiva e imitativa, alla quale egli crede di potere ascrivere per esempio la musica di Haydn e Beethoven. L’impressione musicale dei suoni non ha alcun bisogno dell’associazione alla causa che li produce, ovvero vale per sé, senza ricorso alcuno all’intelletto 44. Il compositore non deve tentare di imitare consapevolmente, mediante concetti, l’essenza del mondo. Deve intuirne ed esprimere 40 “somiglia in ciò alle figure geometriche ed i numeri: che, quali forme universali di tutti i possibili oggetti dell’esperienza ed a tutti applicabili, non sono tuttavia astratti, ma intuitivi e sempre determinati.” (ivi) 41 ivi pg 329 42 “la filosofia non è se non compiuta, esatta riproduzione ed espressione del mondo, in concetti molto generali; solo con questi potendosi avere una visione, per ogni verso sufficiente e servibile, di tutta quella essenza.” (ivi) “una spiegazione della musica, in tutto esatta, compiuta e addentratesi nei particolari, questa sarebbe senz’altro una sufficiente riproduzione e spiegazione del mondo in concetti.” (ivi, pg 330) 43 “La natura passiva dell’udito, di cui si è detto, spiega anche l’effetto così penetrante, così immediato, così incontestabile della musica sullo spirito ed insieme la ripercussione che essa provoca, consistente in uno stato d’animo di particolare esaltazione. Le vibrazioni sonore, che hanno luogo in rapporti numerici razionalmente combinati, si trasmettono identiche alle fibre celebrali.” (Il mondo come volontà e rappresentazione, volume II, cap 3, Sui sensi pg 43) 44 “I suoni musicali già producono come effetto l’impressione estetica, senza che si debba risalire alla causa, come accade nell’intuizione” (Il mondo come volontà e rappresentazione, libro terzo, §52, pg. 357) “Schopenhauer e la musica” di Nicola Camurri 20
  • 20. l’essenza inconsapevolmente, senza la mediazione della ragione, cosa da cui la musica imitativa è agli antipodi, nelle Stagioni e nella Creazione di Haydn, per esempio, non l’in sé dei fenomeni ma i “fenomeni del mondo intuitivo sono direttamente imitati”45. La musica parla direttamente al cuore e poco ha da dire alla testa “ed è un abuso pretenderlo da essa come avviene nella musica “descrittiva”; anche se Haydn e Beethoven si sono lasciati fuorviare da una simile musica, Mozart e Rossini, per quello che ne so io, non hanno mai commesso un simile errore”. “Una cosa è l’espressione delle passioni, un’altra dipingere le cose”46. Una musica descrittiva, che fosse in tutto e per tutto legata al mondo dell’apparenza, non coglierebbe più il sostrato metafisico del mondo, si allontanerebbe dall’essenza stessa della musica rifugiandosi nell’aspetto fisico dell’espressione sonora. Per di più non bisogna dimenticare che tutto quello che nell’arte è intenzionale è già di per sé inganno e la pretesa di imitare o descrivere è un atteggiamento soggiacente al principio di ragione . (cfr cap. 2 ,§ 4). Le analogie tra mondo e musica È il carattere metafisico della musica che impone all’espressione musicale di essere in rapporto analogico con il mondo delle apparenze e Schopenhauer imposta la sua visione musicale partendo da questi parallelismi. La teoria musicale di Schopenhauer e le conseguenti analogie partono dal concetto di “basso fondamentale”, cosi come teorizzato dalla musica barocca 47. L’autore associa al basso fondamentale la gravità della materia, infima oggettivazione e fondamento della volontà del mondo fenomenico. Al basso fondamentale sono collegati, secondo la teoria della fisica dei suoni, i suoni acuti derivanti dalle vibrazioni concomitanti del suono fondamentale 48. Come la materia costituisce il sostegno e il fondamento di ogni elevazione nel mondo, cosi il basso fondamentale costituisce la base e il sostegno di ogni elevazione tonale. I gradi della scala sono come i gradi di oggettivazione della volontà nel mondo. Da qui consegue una concezione tecnico-musicale che assegna necessariamente alle voci acute la leggerezza e la mobilità della melodia. Il basso deve muoversi lentamente a causa della sua pesantezza. Il canto di conseguenza è prerogativa delle voci più acute49. 45 ivi 46 Parerga e paralipomena, libro secondo, §218 47 La teoria a cui dice di fare riferimento è la teorizzazione operata da Rameau nel suo Trattato dell’armonia ridotta ai suoi principi naturali (1722) per una panoramica sintetica ma utile alla comprensione dell’impostazione di Schopenhauer è il capitolo Rameau, dell’ Enciclopedia della musica, vol. 2, il sapere musicale, Einaudi, Torino, 2002. 48 La teoria degli armonici permette di considerare la terza, la quinta e l’ottava come “contenute” all’interno delle vibrazioni della nota fondamentale 49 “La melodia è prerogativa della voce più alta e tale deve rimanere” “il fatto che Mozart e Rossini, sappiano mitigare, anzi superare, gli inconvenienti delle arie per basso, non vale ad eliminarli”. (Parerga e Paralipomena, libro secondo, “Schopenhauer e la musica” di Nicola Camurri 21
  • 21. Come il Mondo oggettiva la volontà salendo lungo i gradi della materia inorganica – mondo vegetale – mondo animale – uomo, così la musica segue la scala: nota fondamentale - terza – quinta – ottava50. Il basso, quindi, a causa della gravità, del peso della materia che rappresenta, può muoversi solo di grandi passaggi (terze, quarte e quinte) ma non può muoversi mai di un tono51. Le analogie tra musica e mondo non si fermano al basso fondamentale. Un’altra analogia di rilievo è rappresentata dal tema del desiderio e del suo corrispettivo delle tensioni e distensioni musicali. La musica trae la sua forza espressiva dal rapporto tra desiderio e appagamento e deve cercare di evitare la noia. La melodia, ha questo compito. La melodia, estrema oggettivazione delle lotte della volontà, deve muoversi costantemente sui gradi della scala creando tensioni e distensioni e attraverso queste provocando desiderio, ritardo di appagamento e appagamento. La melodia deve evitare il più possibile di rimanere ferma sull’unisono con il tono fondamentale, che rappresenta la materia, l’infima oggettivazione, il che genererebbe la noia. È comunque il ritorno al tono fondamentale che genera appagamento. Schopenhauer associa alla filosofia morale la melodia e alla fisica e alla metafisica l’armonia. Come la musica esprime se stessa solo con l’unione di melodia e armonia, così il mondo ha significato solo se preso nella sua totalità. I gradi più alti di oggettivazione (melodia) contengono e si sostengono sui gradi inferiori (armonia) 52. La melodia è analoga all’individuo che si eleva, in virtù del proprio carattere, dalla specie e per questo rappresenta l’aspetto fondante della visione dell’autore53. Il tempo per Schopenhauer ha un valore particolare in relazione alla “contemplazione estetica” e non si può non notare come, proprio nell’esposizione delle analogie, non venga indicato il parallelismo tra il tempo del mondo e il tempo nella musica attraverso il ritmo 54. Probabilmente Schopenhauer intende il ritmo già implicito nel concetto di melodia e armonia. È proprio la fissazione nel tempo che rende particolari i suoni “universali”. Dalla melodia e dalla armonia §220) 50 già nel Il mondo come volontà e rappresentazione, §21 viene esplicitata la parte ontologica di questa analogia. Nel Don Giovanni di Mozart il “Convitato di pietra” canta in voce di basso, l’analogia pietra – basso è più che evidente. 51 Nei supplementi al terzo libro de Il mondo come volontà e rappresentazione il cap 39 (Alla metafisica della musica) tratta dettagliatamente di questo preciso aspetto. 52 “Se infine applichiamo questo modo di vedere alla nostra precedente dimostrazione dell’armonia e della melodia, troveremo che una filosofia morale pura, senza spiegazione della natura, come Socrate la voleva introdurre, è affatto analoga a una melodia senz’armonia, come Rousseau in modo esclusivo la voleva; e all’opposto una fisica e una metafisica pura, senza etica, corrisponde ad una pura armonia senza melodia.”“Come soltanto nell’insieme di tutte le sue voci la musica esprime ciò che d’esprimere si propone, cosi l’unica volontà, che sta fuori dal tempo, trova la sua perfetta oggettivazione soltanto nella completa unione di tutti i gradi che lungo una scala di progressiva evidenza manifestano il suo essere.” Il mondo come volontà e rappresentazione, libro terzo, §52 53 Il punto di partenza per una priorità della melodia però va trovato anche nella tendenza romantica di valorizzare questo aspetto piuttosto che quello armonico. Il fatto che Schopenhauer suonasse il flauto, strumento melodico, fa si che lui avesse più comprensione dei rapporti melodici che non di quelli armonici. 54 Il riferimento è al paragrafo 52 del Il mondo come volontà e rappresentazione dal momento che in questo paragarafo l’autore dichiara di volere spiegare l’analogia tra mondo e musica. “Schopenhauer e la musica” di Nicola Camurri 22
  • 22. universale vengono fissati certi gradi in un determinato tempo, per ottenere una melodia particolare o una successione armonica particolare. Se nei supplementi il ritmo viene espressamente definito - “il ritmo è nel tempo quello che la simmetria è nello spazio”55 -, nelle sue osservazioni sull’arte musicale del paragrafo 52 del Il mondo come volontà e rappresentazione Schopenhauer si limita a dire: “Avrei ancora parecchio da aggiungere sul modo in cui la musica viene percepita, ossia unicamente nel tempo e per il tempo…”. Pertanto il tempo non è escluso dall’ottica dell’autore. Probabilmente l’autore non voleva insistere troppo, in questa esposizione delle analogie, su un particolare che sembra staccare ancora di più la musica dalle altre arti, dal momento che è proprio l’esclusione del tempo in un’opera d’arte a permettere la messa da parte del principio di individuazione e con esso della volontà 56. Schopenhauer spesso forza la descrizione di aspetti musicali al fine di mantenere il più possibile il rapporto analogico, anche a discapito della musica stessa. Si è detto prima ad esempio che Schopenhauer ritiene il canto prerogativa della voce più alta, nonostante sappia che esistono arie per basso, ma l’importante per l’autore è che il rapporto analogico non venga a mancare. Quando nella pratica questo avviene il risultato che si ottiene è l’allontanamento dal fine ultimo della musica. La musica per spiriti non musicali, allontanamento dal fine della musica Il carattere metafisico della musica ha poi un’altra fondamentale caratteristica per Schopenhauer: la musica non esprime un sentimento ma il sentimento. Non una gioia individuale ma la gioia. E la gioia che essa ci comunica, perfino attraverso le sue arie malinconiche, è più che la gioia dell’uomo soltanto, si direbbe piuttosto la gioia stessa del cosmo, dell’intera natura. Le parole non sono mai in grado di esprimere il fondo metafisico e la gioia del mondo con la stessa immediatezza e la stessa intensità della musica. Perciò il problema del rapporto tra la musica e il testo, la musica e la parole che possono accompagnarsi ad essa è sempre risolto in Schopenhauer – come nell’estetica musicale del romanticismo in genere – in basa al primato del suono. L’ammirazione schopenhaueriana per Rossini è anche dovuta la fatto che la sua musica “parla senza bisogno di parole”. Se la premienza viene accordata al testo si ricade nel vizio della musica descrittiva e tramite le parole la musica cerca di esprimersi in un linguaggio non suo. Infatti se essa parla un “linguaggio, il più universale di tutti” e ci raggiunge direttamente come salendo dal fondo 55 supplementi al terzo libro de Il mondo come volontà e rappresentazione il cap 39 (Alla metafisica della musica) 56 ne Il mondo come volontà e rappresentazione, volume II, supplementi al primo libro, cap 3, Sui sensi, pg 39 definisce la musica come esclusivamente nel tempo, facendo riferimento sia alla battuta, sia al concetto fisico di frequenza che determina l’altezza della nota. “Schopenhauer e la musica” di Nicola Camurri 23
  • 23. primigenio della volontà universale, le lingue particolari usate dai popoli, sono limitate. In primo luogo, per il fatto di essere particolari e molteplici e quindi anche per riferire l’universale ad una implicita e determinata particolarità (la gioia della musica e della natura si perde ad esempio nella gioia del popolo tedesco). Si passa così dalla rappresentazione del sentimento assoluto alla rappresentazione di una passione particolare57. In secondo luogo il linguaggio comune recitato o parlato richiama l’attenzione sulla comprensibilità e il significato intrinseco del discorso e quindi distoglie dall’ascolto puramente musicale. Perciò Schopenhauer è fortemente critico nei confronti di ogni fonte di distrazione dall’ascolto musicale sia esso testo, scenografia, ballo o eccesso di luci58. Per evidenziare cosa accade alla musica se essa viene asservita a fini pratici, Schopenhauer la pone in analogia con l’architettura. L’architettura è l’arte in cui è più visibile il fine pratico che l’allontana dall’ “arte puramente bella”; essa deve infatti piegare il fine estetico alla finalità pratica. Così in un’opera musicale il concorso di molti elementi non prettamente sonori e l’uso di molti artifici nascondo l’assenza di idee, o meglio impediscono di percepire l’essenza del fatto musicale, il suo essere riflesso immediato della volontà e sono come nell’architettura romana quegli “ornamenti sovraccarichi che in parte nascondevono e in parte perfino alterano le semplici proporzioni”59. L’uso eccessivo di mezzi extra-musicali altera allo stesso modo anche la semplice espressione musicale e il risultato che si ottiene è di impedire, anziché assecondare, un ascolto e un godimento puramente musicale60. Schopenhauer è inoltre molto critico nei confronti del “grand opèra” poichè la musica “in quanto più potente di tutte le altre arti, riesce già di per se a riempire completamente uno spirito che ad essa sia sensibile”61. Qui invece la pressione sullo spirito attraverso l’occhio e l’impegno dello spirito nel decifrare la trama allontana la percezione del messaggio musicale e perciò l’opera è 57 “Tali scene isolate dell’umana vita, fatte soggetto dell’universale linguaggio della musica, non sono mai a questa congiunte o a lei corrispondenti per una fissa necessità; bensì v’hanno il rapporto che un qualsivoglia esempio può avere con un concetto generale: rappresentano con la determinatezza della realtà quel che la musica esprime nell’universalità della forma pura. Perché le melodie, sono, in un certo modo, così come i concetti universali, un’astrazione della realtà” (Il mondo come volontà e rappresentazione, libro terzo, §52, pg. 353); “ogni violenta manifestazione della volontà è un tratto “volgare”: vale a dire che essa ci degrada a semplici esemplari della specie”… “Perfino nel dramma, il cui tema peculiare sono le passioni e gli affetti, questi tuttavia, appaiono facilmente volgari;” (Parerga e Paralipomena”,cap. 26 §336) 58 “la musica in quanto più potente di tutte le arti, riesce già di per sé a riempire lo spirito che ad essa sia sensibile”… “Invece di ciò quando viene eseguita la musica operistica, … si fa pressione sullo spirito anche attraverso l’occhio, mediante lo sfarzo più sgargiante, le scene più fantastiche e le impressioni di luce e di colore più vivace, lo spirito è inoltre occupato dalla trama dell’opera. Tutto questo lo sottrae, lo distrae, lo stordisce e lo rende meno di tutto sensibile al linguaggio misterioso e intimo delle note; perciò in tal modi si opera in senso opposto al raggiungimento del fine musicale.” (Parerga e Paralipomena, libro secondo, §220) 59 Parerga e Paralipomena, libro secondo, §219 60 “ma tutto ciò è estraneo alla natura della musica quanto alla arte puramente estetica dell’architettura sono estranei gli scopi di utilità umana, ai quali sia l’architettura che la musica sono costrette ad adattarsi, dovendo sottomettere i propri fini a fini estranei. Per l’architettura ciò è quasi sempre inevitabile; non così per la musica…” ivi 61 Parerga e Paralipomena, libro secondo, §220 “Schopenhauer e la musica” di Nicola Camurri 24
  • 24. contraria al raggiungimento del vero fine musicale. Schopenhauer si spinge tanto oltre nella crtitica da definire l’opera una invenzione non musicale per spiriti non musicali. L’aumento dei mezzi strumentali è inutile dal momento che “l’accordo non può avere più di tre voci e solo in un caso quattro” e che comunque “lo spirito non può mai afferrarne di più nello stesso tempo” 62. Per questo l’eccesso della musica orchestrale non è musicale, produce più suoni di quelli che una sensibilità veramente musicale può recepire. L’unico vantaggio della musica orchestrale è il fatto di avere “l’ampiezza di armonia” derivata dalla distanza di due o più ottave fra il basso e la più alta delle voci alte. Quindi il maggiore effetto dell’orchestra è dovuto ad un uso più completo della componente armonica, ma per Schopenhauer è la melodia il nucleo della musica 63. Si parla comunque di effetto, ovvero di impressione, non di un aumento di contenuti. L’espressione più alta della musica rimane prerogativa della melodia ed è prerogativa della voce più alta proprio per l’analogia tra musica e mondo64. Unico esempio di testo veramente musicale è la messa cantata delle chiese cattoliche, in quanto il significato del sentimento rende le parole “semplicemente solfeggio” e la musica non risulta “danneggiata come nell’opera da cose miserabili di ogni genere” 65. La messa cantata infatti non parla di singole passioni particolari, ma rivolge il suo canto direttamente a Dio, il cui amore è universale. Il genio e la musica La contemplazione puramente oggettiva delle idee è intuitiva, ed appartiene specificamente al dominio dell’arte (plastica o poetica); il genio, che mira appunto a dare delle idee una riproduzione la più fedele possibile nella sua opera è perciò strettamente collegato in Schopenhauer, al dominio della produzione artistica. Ogni vera opera d’arte è opera sua. “Grazie alla sua oggettività il genio contempla con riflessione tutto ciò che gli altri non vedono” 66. “L’arte è l’opera del genio”67 e riflette le eterne idee, l’essenziale e permanente in tutti i fenomeni del mondo. La sua origine è la conoscenza delle idee, il suo unico fine la comunicazione di questa conoscenza. L’essenza del genio sta nell’attitudine alla contemplazione, che “strappa l’oggetto della sua 62 Parerga e Paralipomena, libro secondo, §220 63 “considero la melodia come il nucleo della musica, rispetto alla quale l’armonia sta come la salsa all’arrosto.” (Parerga e Paralipomena, libro secondo, §219) 64 “La melodia è prerogativa della voce più alta e tale deve rimanere”; “il fatto che Mozart e Rossini, sappiano mitigare, anzi superare, gli inconvenienti delle arie per basso, non vale ad eliminarli”. (Parerga e Paralipomena, libro secondo, §220) 65 Parerga e Paralipomena, libro secondo, §220 66 Parerga e paralipomena, libro secondo, §206 67 Il mondo come volontà e rappresentazione, libro terzo, §36 “Schopenhauer e la musica” di Nicola Camurri 25
  • 25. contemplazione fuori dal corrente flusso del mondo e lo tiene isolato davanti a sé” 68. Il genio si spoglia della propria personalità e rimane puro soggetto conoscente. La forza conoscitiva dell’uomo geniale si sottrae alla volontà, si sforza di raggiungere l’idea in ogni cosa e non le relazioni tra le cose. È diverso dall’uomo comune, il cui sapere è la lanterna che gli illumina una strada, mentre per il genio la conoscenza è il sole che gli disvela il mondo. Il genio contempla, l’uomo ordinario cerca. Non seguendo il principio di ragione, il genio non è, in questo senso, intelligente e non cerca la relazione tra le cose. Il genio non è sempre tale, a causa della grande tensione, comunque spontanea, necessaria per vedere le idee distinte dalla volontà. Proprio per non derivare dal principio di ragione ed essere frutto di intuizione la sua attività è stata per lo più collegata all’ispirazione. In assenza di quella egli è simile all’uomo ordinario. Il genio conosce le idee appieno ma non gli individui, l’uomo ma non gli uomini. Il genio ha il solo vantaggio di conoscere nelle cose le idee rispettive, ma è l’acquisizione di una tecnica dell’arte che lo rende artista e a permettergli di comunicare, tramite l’opera, al pubblico, che genio non è , la sua visione ideale69. Essendo l’idea intuitiva, l’artista non è consapevole dell’intenzione del suo operare, “lavora, come si suol dire, di puro sentimento e di inconsapevole istinto”. Gli imitatori, i manieristi procedono nell’arte muovendo dal concetto non dall’idea. Il solo fatto di imitare un qualcosa è soggetto al principio di ragione, quindi non è in nessun modo in grado di superare la volontà. È la fantasia che permette al genio di allargare il proprio orizzonte al di là dell’esperienza, a far si che dal poco che egli ha percepito gli sia possibile ricostruire tutto il rimanente: “il genio ha bisogno della fantasia per vedere nelle cose non ciò che la natura ha in effetti formato ma ciò che ella si sforzava di formare”70. L’opera del genio, nell’ambito della composizione musicale, consiste nel “trovar la melodia, scoprire in lei tutti i segreti più profondi dell’umano volere e sentire”; la sua azione “è qui più facile a vedersi che altrove, libera da ogni riflessione e meditato intento”71. Non a caso il concetto di ispirazione ha trovato qui, e nella poesia, la sua più adeguata sede, perché in un compositore è separato l’uomo dall’artista e l’intuizione musicale fa si che l’uomo non sappia capire ciò che il compositore scrive. L’intuizione dei moti più segreti fissati dalla melodia è paragonabile a ciò che avviene nel sogno profondo: “il compositore disvela l’intima essenza del mondo, in un linguaggio che la ragione di lui non intende: come una sonnambula magnetica dà 68 ivi 69 “…l’essere in grado di comunicare anche a noi questo dono, dare a noi i suoi occhi è la qualità acquisita, la tecnica dell’arte”. “L’opera d’arte è semplicemente un mezzo per rendere più facile quella conoscenza di cui consiste il piacere estetico”. (Il mondo come volontà e rappresentazione, libro terzo, §37) 70 Il mondo come volontà e rappresentazione, libro terzo, §36 71 Il mondo come volontà e rappresentazione, libro terzo, §52 “Schopenhauer e la musica” di Nicola Camurri 26
  • 26. rivelazione di cose, delle quali sveglia non ha concetto alcuno”72. Per capire appieno questo aspetto farò riferimento a un testo che, nelle intenzioni dell’autore non ha legame con la pratica artistica. Il testo in questione tratta della possibilità della chiaroveggenza e delle esperienze oniriche. Nello scritto Saggio sulle visioni di spiriti e su quanto vi è connesso73, Schopenhauer parla dei sogni distinguendo il sogno del dormiveglia, (“sognare il vero”) e il “sogno vero” che avviene nel sonno profondo. Ciò su cui richiama l’attenzione è che le cause di questa rappresentazione sono interne e non esterne74. Il sogno nasce dall’intuizione e da stimoli interni. Viene anche specificato che nei sogni “la fantasia è ancora disponibile”75. Anche se l’autore non pone un’esplicita analogia con la tematica musicale o artistica, il sogno è caratterizzato da intuizione, fantasia e dalla capacità del senso interno di creare rappresentazioni, caratteristiche in tutto comuni al genio musicale. Si può capire quindi cosa faccia si che l’artista sia separato dall’uomo nel compositore: l’uomo appartiene alla veglia, la creazione musicale al sogno profondo76. A differenza delle altre arti la musica esprime in maniera più completa il rapporto senso interno (volontà) e senso esterno (organi di senso) del soggetto di una rappresentazione. Nel formare una rappresentazione gli organi di senso ricevono dei segnali o li inviano attivando il senso interno, se si usa la ragione ( spazio, tempo, causalità ) si ha a che fare con la volontà, se no con l’arte e il godimento estetico. Se si fa riferimento al capitolo 7 del Parerga e paralipomena intitolato la teoria dei colori risulta chiaro come l’autore intenda il processo conoscitivo. Per la teoria dei colori Schopenhauer imposta la sua teoria sul processo fisiologico che viene scatenato dall’impressione del colore. L’occhio è il soggetto della rappresentazione mentre la causa esterna che attiva il processo fisiologico è l’oggetto. L’impressione è legare ogni colore con la sensazione che da. Il nostro giudizio dei colori è dato da rapporti puramente aritmetici (un colore puro è determinato da un precisa frazione). Noi siamo in grado di giudicare questo rapporto aritmetico sia nei colori con la semplice vista, sia nella musica con il semplice ascolto senza dover avere coscienza dei rapporti aritmetici stessi. La musica fissa sette note fondamentali, “per la razionalità del numero delle loro vibrazioni” come i sei colori si distinguono “per la semplicità della frazione di attività della retina”77. Nel musicista l’espressione vive direttamente questo rapporto: il musicista “contiene” dentro 72 Il mondo come volontà e rappresentazione, libro terzo, §52, pg. 350 73 Parerga e Paralipomena, pg. 295 74 “Qualsiasi visione che si attui attraverso l’organo del sogno è attività della funzione intuente del cervello, stimolata da impressioni interne, anziché come al solito da impressioni esterne” (ivi, pg. 321) 75 ivi, pg 300 76 il tema viene spiegato in G. Piana Teoria del sogno e dramma musicale, la metafisica della musica di Schopenhauer, Editore Angelo Guerini e Associati, 1997 77 Parerga e Parapolimena, cap 7, Sulla teoria dei colori, §103 “Schopenhauer e la musica” di Nicola Camurri 27
  • 27. di se la capacità di elaborare “concetti sonori” (senso interno) che poi vengono trasmessi usando il corpo fisico ( senso esterno ). Non esiste musica senza le mani o senza la voce. Il rapporto corpo- mente è fondamento dell’espressione musicale. Da qui la particolarità del genio musicale: lui usa se stesso ogni volta che esprime la sua “tecnica dell’arte”. Le arte plastiche fissano la tecnica dell’arte nella materia e la oggettivano una volta e per sempre. Nella musica la materia sussiste solo come fondamento fisico, è il corpo del musicista inteso come “strumento della rappresentazione”. Il rapporto tra soggetto conoscente e oggetto conosciuto è “volatile” è vivo fintanto che la musica risuona. Mentre nel rapporto con un’opera d’arte figurativa, il soggetto può avere sempre davanti a sé i contenuti originari (fissati una volta e per sempre nell’opera d’arte), nella musica questo rapporto sembra più complesso. La rappresentazione musicale non si fissa una volta e per sempre. Per quanto un’opera possa essere ri-eseguita, non si possono mai ottenere due esecuzioni identiche. La musica ha infatti il carattere del “puro presente” e rimane in noi come ricordo. La scrittura della musica su spartito infatti, spiega solamente come esprimere in linguaggio musicale una determinata opera ma in nessun modo può metterci di fronte al contenuto originario che il compositore ha creato in essa. Quello che un’opera ri-eseguita può evocare è il ricordo dell’individualità del compositore, ma in maniera indiretta, filtrata dalla individualità dell’esecutore, nel caso siano due individui diversi, ma anche nel caso dello stesso individuo l’esecuzione rimane sempre filtrata dal particolare stato emotivo del momento dell’esecuzione stessa. Schopenhauer distingue i concetti di contemplazione estetica e di giudizio estetico. Della contemplazione estetica si è gia detto, per la trattazione del giudizio estetico egli muove dalla definizione di gusto: “con la parola gusto,… si definisce la scoperta o semplicemente il riconoscimento di ciò che è esteticamente giusto” 78. È una capacità di “concepire”, di riconoscere “il giusto, il bello, l’adatto come tale”. Ciò non avviene in ogni caso in base ad una regola che non può essere nota al giudicante. “Invece di gusto si potrebbe dire senso estetico, se questa espressione non contenesse una tautologia”79. Il gusto “che afferra e giudica” viene paragonato ad un elemento femminile contrapposto all’elemento maschile del talento produttivo e del genio creativo. Il gusto è incapace di generare. La prima domanda da porsi è perché l’uso del termine “esteticamente giusto”. Questo termine prevede la mediazione della ragione, e chi ricorre all’intelletto non è soggetto puro. Il gusto, di un soggetto puro, dovrebbe essere una sensibilità immediata. Questa definizione di gusto è quella per la classe degli uomini ordinari. Il genio non deve sapere dare una spiegazione all’intuizione che ha dell’oggetto d’arte, non ha un gusto, un giudizio estetico. Probabilmente solo al genio senza tecnica 78 Parerga e paralipomena, cap 20, Su giudizio, critica, applauso e gloria §236 79 ivi “Schopenhauer e la musica” di Nicola Camurri 28
  • 28. dell’arte, il contemplativo, è data la sensibilità immediata, senza l’aspetto creativo. Il ricorrere alla ragione, all’ “esteticamente giusto”, è proprio di chi non è il genio che coglie l’oggetto puro dell’arte. Il riconoscimento dell’opera geniale è affidato al “tribunale della posterità”, quindi non certo al riconoscimento immediato, al gusto dell’epoca in cui l’opera stessa è stata compiuta. Il genio, per tanto ,non segue il gusto ma lo determina e lo anticipa. “Come metro di un genio, non bisogna prendere i difetti delle sue produzioni né le più deboli delle sue opere al fine di collocarlo secondo tal metro in basso , bisogna scegliere, invece, le sue opere più eccellenti”80. Il genio infatti non è immune dalla “debolezza e stoltezza” della natura umana perciò anche il grande genio non è sempre tale nelle sue espressioni. Bisogna cogliere il momento geniale. Nella vetta dell’espressione di un genio è racchiuso il momento, “l’adesso” fissato nel tempo, in cui la sua individualità ha superato la vita stessa cioè la volontà81. Il maggiore piacere dovuto all’ascolto della musica è proprio dovuto a questo particolare rapporto con il “momento”. La maggiore intensità è infatti del tutto compensata dalla volatilità. Schopenhauer e la musica del suo tempo Schopenhauer visse durante il periodo di più grande rinnovamento musicale, che veniva avvertito anche da molti letterati82. Tieck, Wackenroder, Novalis, A.W. Schlegel, Hoffman, Schleiermacher, sono alcune delle menti che crearono quella tipica concezione romantica della musica, intesa come espressione, come linguaggio dell’infinito, mediazione tra sensi e spirito, fra l’individuo e il tutto83. Autori di fondamentale importanza che operarono più o meno nella stessa età di Schopenhauer sono, in ambito musicale: Haydn (1732-1809), Beethoven (1770-1827), Paganini (1784-1840), Weber (1786-1826), Schubert (1797-1828), Berlioz (1803-1869), Mendelssohn (1809- 1847), Chopin (1810-49), Schumann (1810-56), Rossini (1792-1868), Bellini (1801-1835), Listz (1811-1886), Wagner (1813-1883), Brahms (1833-1897). Nell’esposizione delle sue idee musicali solo quattro di questi trovano un posto. L’unico autore che in tutto e per tutto viene elogiato è Rossini. Haydn e Beethoven sono, come abbiamo detto, criticati genericamente in quanto autori di musica “descrittiva”. Mozart viene lodato come musicista che “parla senza bisogno di parole”, ma da una testimonia di Robert von Hornstein sappiamo che a suo dire rispetto a Rossini risultava pesante. Si sa di un suo gradimento per la 80 Parerga e paralipomena, cap 20, Su giudizio, critica, applauso e gloria §238 81 Parerga e paralipomena, cap 20, Su giudizio, critica, applauso e gloria §243 82 Un’utile antologia di testi a riguardo è in G. Guanti, Romanticismo e musica: l’estetica musicale da Kant a Nietzsche, E.D.T., Torino, 1981 83 M. Mila, Breve storia della musica, Einaudi, Torino,1963, pg. 211 “Schopenhauer e la musica” di Nicola Camurri 29
  • 29. Norma di Bellini84. Per il resto è certo che Schumann gli risultava incomprensibile, Mendelssohn noioso, e considerava un’opera di non grande rilievo il Franco Cacciatore di Weber. La sua concezione del “basso fondamentale” (teorica) è legata alla pratica del “basso continuo85” che nell’età di Schopenhauer era già in via di superamento e assai poco usata. Le sue osservazioni sull’uso delle voci sono della prima teoria musicale e si collegano a teorie scolastiche superate proprio da quegli autori di cui egli parla. Se ciò è in parte dovuto alla necessita di forzare la tematica musicale alla teoria globale del mondo, è innegabile che dal punto di vista strettamente musicale la sensibilità di Schopenhauer fosse piuttosto scarsa86. Non è tanto un problema la sua critica, a volte ingenerosa, a questo o quel autore, e neanche la sua contradditoria definizione del gusto. Quanto è sorprendente e sintomatico della sua profonda insensibilità per la materia musicale in senso stretto è il fatto che il suo orecchio non riuscisse a sentire che nel linguaggio musicale qualcosa di fondamentale stesse cambiando. L’esempio più importante si può fare in relazione ad un autore che si rifaceva esplicitamente alla filosofia di Schopenhauer: Wagner87. Nonostante l’enorme ammirazione del compositore per il filosofo, Schopenhauer non si riconobbe mai nella direzione musicale wagneriana e addirittura consigliò all’autore dell’opera d’arte totale di darsi alla poesia. Il fatto ancora più grave è che non riuscisse a cogliere una somiglianza nemmeno a livello di “temperie culturale”. Cosa ancora più singolare, se si pensa che l’opera di Bellini 88 può essere considerata alle origini della formula teatrale e del linguaggio musicale impiegati da Wagner. L’esempio di Wagner89 consente tuttavia di porre il problema fondamentale, di come la concezione di un autore in fondo così poco sensibile ai mutamenti intervenuti nell’arte musicale, abbia potuto influenzare così profondamente uno dei più grandi innovatori nel campo della musica. La risposta sta nel fatto che mentre la competenza musicale di Schopenhauer è per certi aspetti arretrata, la sua filosofia è essa stessa musicale e secondo Wagner musicabile90. La musica di Wagner ha poi uno speciale ed intenso rapporto con la sfera della vita affettiva, 84 Cap. 37 secondo volume Sull’estetica della poesia pg. 532 85 Il basso fondamentale prevede che il basso suonato corrisponda alla tonica dell’accordo. La teoria di Rameau pose il fondamento della moderna concezione dell’armonia basata sui rivolti, posizioni diverse per lo stesso accordo. In un rivolto il basso reale può non corrispondere con la tonica. Il basso continuo è una pratica della musica barocca. 86 Non si potrebbe dire lo stesso di Hegel e della brillante analisi dell’ “erotismo musicale” di Kierkegaard (in riferimento alla tematica musicale, i concetti di questi autori sono rinvenibili nella concezione di Schopenhauer). 87 Wagner entrò in contatto con la filosofia di Schopenhauer nel 1854 88 “tra altri come Spontini (1774-1851), Meyerbeer (1791-1864)”(M. Mila, Breve storia della musica, Einaudi, Torino,1963, pg. 247) 89 Per un approfondimento del tema del rapporto tra Wagner e Schopenhauer si veda: G. Piana Teoria del sogno e dramma musicale, la metafisica della musica di Schopenhauer, Editore Angelo Guerini e Associati, 1997 90 “La negazione della volontà, nella filosofia si Schopenhauer è la componente erotico-intellettuale poco decisiva, anzi secondaria. Il suo sistema è una filosofia della volontà a base erotica; ed appunto in quanto lo è, il Tristano ne appare del tutto impregnato” (T.Mann, Dolore e grandezza di Richard Wagner, trad.it. L.Mazzucchetti, Discanto Edizioni Fiesole 1979, pg. 35) “Schopenhauer e la musica” di Nicola Camurri 30
  • 30. pulsionale, erotica con il mito e la sua simbolicità sicchè l’influenza di Schopenhauer si spiega non soltanto per ciò che il filosofo dice della musica, ma anche e specialmente per quel suo derivare il mondo dal fondo o senso della volontà, di cui la musica è la sublime espressione. Nel dramma musicale la musica sostiene le vicende di eroi ed eroine ce valgono non per sé stessi, ma come simboli di una verità metafisica. E così anche in Schopenhauer il godimento musicale non è nulla che si determini in rapporto agli individui, non ha bisogno della mediazione di personaggi o di caratteri, parla direttamente della portata assoluta delle vicende del mondo. In Wagner abbiamo il superamento di figure caratteristiche con figure simboliche che sono portatrici di un senso affettivo, abbiamo un passaggio alla narrazione mitica, che non ha il carattere di azione puramente umana, che è vicenda cosmica. La riforma wagneriana del dramma sta nel legame tra musica e mito. L’approccio metafisico di Schopenhauer è in grado di offrire a questo progetto musicale un significativo sostegno filosofico. “Solamente in quanto un soggetto conoscente è al tempo stesso un individuo e, come tale, parte della natura, gli è aperto l’accesso all’interno della natura nella sua propria coscienza, nel punto in cui essa si manifesta nel modo più immediato e quindi come volontà”91. Ciò che ha colpito Wagner nell’esposizione schopenhaueriana è soprattutto la teoria di una vita interna che è in grado di produrre un mondo. Concezione questa che viene espressa a livello metafisico. Si può dire pertanto che il sistema filosofico di Schopenhauer è una metafisica della musica rispetto alla quale la parte del sistema espressamente dedicata alla analisi della composizione musicale finisce per avere un valore secondario. Egli ha espresso nel linguaggio della filosofia quello che Wagner ha cercato di esprimere con il linguaggio della musica. Probabilmente proprio le scarse competenze musicali di Schopenhauer hanno contribuito alla fortuna di questo rapporto. Si è potuto prendere la sua filosofia e tradurla in musica proprio perché Schopenhauer non era in grado di indicare lui stesso il modo per farlo. La filosofia di Schopenhauer, soprattutto per quella capacità del senso interno di creare un mondo, rimane il fondamento filosofico della musica a prescindere dall’evoluzione che questa ha avuto e avrà nel tempo. 91 R. Wagner, Scritti su Beethoven, Passigli Firenze 1919 pg. 87 “Schopenhauer e la musica” di Nicola Camurri 31
  • 31. BIBLIOGRAFIA: A- Scritti di Schopenhauer: A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, Trad. Ita. di P.Savj-Lopez e G. De Lorenzo, Laterza, Bari, 1928. A. Schopenhauer, Parerga e Paralipomena, Trad. Ita. di E.A. Kuhn, G. Colli e M. Montanari, Boringhieri, Torino, 1963. A. Schopenhauer, Scritti sulla musica e le arti, a cura di F. Serpa, Discanto Edizioni, Fiesole, 1981 B- Scritti sull’estetica musicale di Schopenhauer: M. Mila, Breve storia della musica, Einaudi, Torino,1963. T.Mann, Dolore e grandezza di Richard Wagner, trad.it. L.Mazzucchetti, Discanto Edizioni Fiesole 1979. Id., Schopenhauer, in Nobiltà dello spirito e altri saggi, Mondatori, Milano, 1977 R. Wagner, Scritti su Beethoven, Passigli Firenze 1919 G. Guanti, Romanticismo e musica: l’estetica musicale da Kant a Nietzsche, E.D.T., Torino, 1981. G. Piana Teoria del sogno e dramma musicale, la metafisica della musica di Schopenhauer, Editore Angelo Guerini e Associati, 1997 L.Ferrara, Schopenhauer, philosophy and arts, ed by D.Jacquette, Cambridge University Press, Cambridge, 1996 E.Sans, Richard Wagner et la pensée schopenhauerienne, Klincksieck, Paris, 1969 C. Rosset, L’ estetique de Schopenhauer, PUF, Paris, 1969 A. Moscato, La musica nel pensiero di Hegel e di Schopenhauer, in Musica e Filosofia, a cura di A. Caracciolo, Il Mulino, Bologna, 1973. F.Viscidi, Il problema della musica in Schopenhauer, Padova, 1958 Per gli aspetti generali: F.Volpi - E. Berti, Storia della filosofia, ottocento e novecento, Laterza, 1991, Bari M. De Bartolomeo – V. Magni, Filosofia, tomo 5, filosofie contemporanee, Atlas, 2000, Bergamo “Schopenhauer e la musica” di Nicola Camurri 32
  • 32. “Schopenhauer e la musica” di Nicola Camurri 33