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Motivazione 
L’odierna imputazione trae origine dal seguente fatto: in data 18/10/95 alle ore 15 il 
corridore professionista Marco Pantani durante lo svolgimento della gara ciclistica Milano- 
Torino entrava in collisione con un automezzo (vedi segnalazione di incidente stradale 
Polizia Municipale Torino 14/11/95 aff. 3/38 faldone 1). Nel sinistro venivano coinvolti 
anche i corridori Secchiari Francesco e Dall’Olio Davide, che riportavano le ferite descritte 
nelle rispettive cartelle cliniche, acquisite in atti. 
Trasportato presso il Pronto Soccorso del Centro Traumatologico Ortopedico di Torino 
Pantani veniva ricoverato con la seguente diagnosi: “frattura esposta pluriframmentaria 
tibia e perone sinistro, ematoma post-traumatico coscia sinistra, contusioni multiple 
escoriate “. 
Allo scopo di sottoporre in tempi rapidi il ferito ad intervento chirurgico per riduzione ed 
osteosintesi della frattura, all’atto del ricovero lo stesso veniva sottoposto a un prelievo di 
sangue . Dal referto ematologico in atti, rilasciato alle ore 15.20 (vedi aff. 2/13 faldone 1), 
si evinceva che Patani presentava valori ematologici profondamente alterati rispetto al 
range di normalità, e precisamente 60,1% di ematocrito, 20,8 gr. per 100 millilitri di 
emoglobina, 6.690.000 di globuli rossi per millimetro cubo. Tali valori rendevano necessaria 
prima dell’intervento un’infusione di tre litri di soluzione fisiologica, elettrolitica bilanciata, 
glucosata ed emogel per via venosa (vedi sul punto spiegazione Benzi pag. 68 trascr. ud. 
13/10/2000). Il paziente veniva perfuso con tale soluzione (ulteriori 2,5 litri) per altre 16 
ore susseguenti all’intervento e precisamente sino alle ore 16 del giorno successivo. 
Un ulteriore esame ematologico eseguito alle ore 19.40 dello stesso giorno, mentre era 
ancora in corso la trasfusione del sangue, evidenziava i seguenti valori: 42.3 di ematocrito, 
14,6 di emoglobina e 4.730.000 di globuli rossi. 
Nei giorni successivi Pantani evidenziava una crescente anemizzazione che ne metteva in 
pericolo la stessa vita (sul punto tutti i consulenti sono stati concordi) e portava lo staff 
medico curante, in data 25/10/95, di fronte a un valore di emoglobina di 5.8 e a un 
ematocrito di 15.9, a sottoporre il paziente a una trasfusione di sangue. 
In seguito ad indagini particolarmente articolate ed approfondite e all’esperimento di una 
complessa consulenza tecnica il Pubblico Ministero di Torino dott. Raffaele Guariniello,
ritenendo che i succitati abnormi valori ematologici riscontrati all’atleta al momento del 
ricovero presso il CTO di Torino fossero dovuti all’assunzione di medicamenti atti a 
stimolare l’eritropoiesi in vista della gara Milano-Torino 1995 e più complessivamente 
delle competizioni da svolgersi in quella stagione agonistica, al fine di potenziare 
fraudolentemente il proprio rendimento in gara, elevava nei confronti di Pantani 
l’imputazione di cui all’art.1 L. 401/89. 
I difensori dell’imputato depositavano alla Procura di Torino istanza di trasmissione degli 
atti al Pubblico Ministero di Forlì, rigettata dal dott. Guariniello ma accolta, su ricorso della 
difesa, dalla Suprema Corte. 
Il Procuratore di Forlì avanzava richiesta di archiviazione del procedimento, la quale veniva 
rigettata dal Gip di Forlì dott. Leoni che restituiva gli atti al PM per l’esercizio dell’azione 
penale. 
A dibattimento Marco Pantani rimaneva contumace. 
Preliminarmente la difesa chiedeva al giudice di assolvere l’imputato ex art. 129 cpp 
sostenendo che il fatto ascritto allo stesso non era previsto dalla legge penale come reato. 
Il Pubblico Ministero aderiva a tale richiesta. 
Il giudice pronunciava l’ordinanza in atti, la cui motivazione deve intendersi qui richiamata, 
con la quale rigettava l’istanza e disponeva procedersi oltre. 
Le parti concordavano ex art. 493/3 cpp l’acquisizione al fascicolo del dibattimento delle 
sommarie informazioni rese in fase di indagini preliminari dai seguenti testi, con la 
documentazione allegata in tale sede da ciascuno degli stessi: Aiello Giacomo, Cerutti Gian 
Carlo, Standali Marcello, Lavarda Angelo, Massaro Anna, Castellardo Carmine, Cannavò 
Candido, Grazi Giovanni, Mazzoni Gianni, Rempi Roberto, Borghi Remo, Pierfederici 
Marco Tonino, Forconi Riccardo, Ferrari Chiara, Falai Giovanni, Secchiari Francesco, 
Dall’Olio Davide, Pitrolo Guglielmo, Tarsi Daniele, Potena Alfredo, Levi Marco, Tredici 
Giovanni, Magdani Marco, Martinelli Luigi, Piutti Gilda, Salsano Anna, Rossi Paolo, 
Grosso, Flavio, Imbesi Carmela, Caronne Marcello, Vanni Federica, Bufalo Ivan, 
Carboinella Angelo, Vincenzo Ida Emilia, Cartesegna Massimo, Cacaci Francesco, Gandolfi 
Carmen, Giugiaro Pier Mario, Palumbo Antonio, Willy Voet, Inselvini Umberto, Dei Cas 
Stefano, Pizzini Leone, Stagno Davide, Giancarlo Gamberini, Mecca Isabella, Pagliarini 
Eddi, Busi Alessandro, Scalia Margherita, Fanini Ivano, Capiello Enrico, Griffero Rita, 
Vincenzo Ida Emilia, Schattemberg Leo Bernard Josef Antoine.
Ex artt. 493/3 le parti concordavano altresì per l’acquisizione al fascicolo del dibattimento 
della refertazione medica inerente il ricovero di Marco Pantani presso l’Ospedale di Rimini 
avvenuto in data 1/5/95. 
Nell’istruttoria dibattimentale veniva acquisita svariata documentazione, prodotta da PM e 
difesa. 
A dibattimento venivano sentiti altresì i consulenti del Pubblico Ministero prof. Benzi e 
prof. Ceci, i consulenti della difesa prof. Tura e prof. Froldi (tra i quali, all’esito dei 
rispettivi esami, veniva disposto dal giudice un confronto), i seguenti testi la cui audizione 
era chiesta dal Pubblico Ministero: Dall’Olio Davide, Cacaci Francesco, Pizzini Leone, 
Tarsi Daniele, Borchi Remo, Fiorio Carla, Faina Marcello, Stagno Davide, nonché Rempi 
Roberto, il quale ultimo veniva esaminato quale imputato di procedimento connesso ai sensi 
dell’art. 210 cpp e si avvaleva della facoltà di non rispondere, i seguenti testi chiesti sia dal 
Pubblico Ministero che dalla difesa: Vincenzo Ida Emilia, Cartesegna Massimo e Grazi 
Giovanni, il quale ultimo veniva esaminato anch’esso ex art. 210 cpp quale imputato di 
procedimento connesso e si avvaleva della facoltà di non rispondere, nonché i seguenti testi 
chiesti dalla difesa: Giugiaro Pier Mario e Palumbo Antonio. 
In data 6/11/2000 i difensori dell’imputato depositavano fuori udienza dichiarazione di 
ricusazione di questo giudice per valutazioni dallo stesso espresse nell’ordinanza 
pronunciata all’udienza 20/10/2000, con cui venivano rigettate alcune istanze istruttorie 
avanzate dalla difesa. 
All’udienza 10/11/2000 il giudicante si asteneva dal proseguire l’istruttoria dibattimentale 
in attesa della decisione della Corte d'Appello di Bologna. 
In data 14/11/2000 la predetta Corte dichiarava inammissibile l’istanza di ricusazione 
formulata dalla difesa per tardività della stessa, precisando però che il giudizio di valore 
espresso da questo magistrato non implicava affatto una indebita manifestazione del 
convincimento sui fatti oggetto dell’imputazione, e motivando nel merito tale valutazione. 
Avverso la suddetta ordinanza la difesa proponeva ricorso per Cassazione, sul quale la 
Suprema Corte non si era ancora pronunciata nel momento in cui veniva depositata questa 
sentenza. 
All’udienza 11/12/00, prima della discussione, la difesa produceva scritto autografo 
dell’imputato con il quale lo stesso si rivolgeva al Giudice asserendo di non essersi mai 
sottoposto a pratiche dopanti con uso di eritropoietina o di altri prodotti vietati e citando, a
conferma di ciò, il fatto che, di fronte agli innumerevoli controlli antidoping previsti a tutela 
dell’atleta dai regolamenti sportivi, cui nell’arco della sua carriera era stato sottoposto, non 
era mai risultato positivo. 
All’esito del dibattimento PM e difesa concludevano come in atti. 
Questo Giudice decideva come da dispositivo. 
Nel merito si osserva quanto segue. 
Preliminarmente è necessario affrontare il problema relativo all’interpretazione del disposto 
normativo richiamato in imputazione, al fine di chiarire se esso comprenda o meno tra i 
comportamenti illeciti ivi sanzionati il cosiddetto doping autogeno e cioè l’assunzione da 
parte dell’atleta, partecipante a una gara, di prodotti farmacologici destinati a migliorare 
artificiosamente la propria prestazione agonistica. 
La norma si articola nella previsione di due distinte condotte criminose: la prima configura 
una vera e propria istigazione alla corruzione in ambito sportivo, concretizzantesi nella 
promessa o offerta di denaro o di altra utilità o vantaggio formulate a favore di taluno dei 
partecipanti a una competizione sportiva organizzata dal CONI, dall’U.N.I.R.E. o da altri 
enti sportivi riconosciuti dallo Stato e dalle associazioni ad essi aderenti, al fine di ottenere 
il raggiungimento di un risultato diverso da quello conseguente al leale svolgimento della 
competizione, la seconda prevede una condotta, residuale e onnicomprensiva, che si 
sostanzia in qualsiasi altro atto fraudolento idoneo a minare la correttezza di una 
competizione sportiva rientrante tra quelle sopraindicate, e ad alterarne potenzialmente il 
risultato finale. Entrambe le condotte debbono quindi essere finalisticamente orientate e cioè 
caratterizzate dal dolo specifico del raggiungimento di un risultato diverso da quello che 
sarebbe conseguito al corretto e leale svolgimento di una competizione sportiva. 
Il principale problema ermeneutico che si pone in relazione alla succitata norma è quello 
dell’individuazione del soggetto attivo del reato, giacchè l’art.1 L.401/89, pur delineando 
due distinte condotte criminose, si rivolge a un solo soggetto definito come “chiunque”. 
La giurisprudenza, nelle esigue pronunce reperibili sul punto, si è divisa, ritenendo in via 
maggioritaria – in tal senso si è tra l’altro espressa anche la Suprema Corte, intervenuta in 
merito con un’unica sentenza – che autore del reato di cui alla norma succitata possa essere 
soltanto un soggetto estraneo alla competizione sportiva, sulla base del seguente 
ragionamento: poichè la prima modalità commissiva del reato delineata dal predetto articolo 
prevede che il partecipante alla gara sia il destinatario dell’offerta o della promessa e vede
quindi quest’ultimo come soggetto ricevente l’offerta e non già come autore del reato 
(tant’è che il secondo comma della norma in esame disegna un’autonoma ipotesi di reato nel 
caso in cui il partecipante alla gara accetti l’offerta del corruttore) e poichè la seconda 
condotta criminosa prevista dal primo comma dell’art.1 L. 401/89 deve essere considerata 
come una modalità sussidiaria azionabile astrattamente dallo stesso soggetto autore della 
corruzione sportiva, necessariamente estraneo alla gara, ne discende che il compimento di 
altri atti fraudolenti non possa vedere il partecipante come autore della condotta criminosa 
ma esclusivamente come vittima della stessa (vedi Gip Pretura Roma, sent. Del 21/2/1992, 
Giudice Monastero; Pretore Trento, sentenza del 24/5/93, Giudice Serao; Cass. Pen. Sez. 6, 
sent. 03011 del 26/3/96, ud. 25/1/96) . 
La giurisprudenza che invece, in via minoritaria, si è espressa sul punto in modo difforme, 
ha ritenuto che il succitato articolo 1/1 L.401/89 contempli una disposizione a più norme (e 
non, come afferma il Gip Pretura Roma Monastero nella sent. del 21/2/1992 sopracitata 
“una norma a più fattispecie”) una delle quali, e specificatamente quella relativa al 
compimento di “altri atti fraudolenti “ volti al conseguimento di “un risultato diverso da 
quello conseguente al corretto e leale svolgimento della competizione“, veda come 
potenziale soggetto attivo, ricompreso nel generico “chiunque”, anche il solo atleta 
partecipante alla gara (vedi Gip Pretura Circondariale Roma sentenza a seguito di giudizio 
abbreviato del 7/1/93, nonché ordinanza GIP Forlì del 20/4/2000, la quale, rigettando la 
richiesta di archiviazione del procedimento n. 1038/00 a carico di Pantani Marco e 
ordinando al PM di esercitare l’azione penale, ha dato origine al presente processo). 
A parere di questo giudice il dato puramente lessicale non è risolutivo per escludere la 
punibilità del partecipante alla gara che compia, da solo o in concorso con altri, atti 
fraudolenti, giacchè così come si può sostenere che la connessione letterale tra le due 
disposizioni ha carattere funzionale ed opera in termini di “sussidiarietà residuale per la 
seconda modalità e cioè gli altri atti fraudolenti”, come sostiene , in dottrina, Tullio 
Padovani (vedi commento all’art.1 –Frode in competizioni sportive- La legislazione 
penale,1990,fasc.1-2, pt. 2, pag. 91-96), ugualmente può ragionevolmente affermarsi che il 
legislatore non ha ripetuto il “chiunque“ che regge la prima parte del primo comma della 
norma in esame per mere ragioni sintattiche, considerazione dalla quale discende la 
seguente conseguenza: in base al disposto normativo può ragionevolmente ritenersi punibile
anche “chiunque”- compreso l’atleta- “compia altri atti fraudolenti (espressione di per se 
stessa onnicomprensiva), diversi dall’offerta o promessa di denaro”. 
A favore di quest’ultima interpretazione si può per altro osservare che se il legislatore 
avesse inteso indicare con l’espressione “chiunque” un unico soggetto attivo per tutte e due 
le condotte criminose previste dalla norma, e cioè l’offrire denaro o altra utilità e il 
compiere altri atti fraudolenti, non avrebbe previsto due distinte ipotesi che appaiono 
disgiuntive cioè coprenti due campi non necessariamente coincidenti, tanto più che non vi 
era alcuna difficoltà sintattica ad aggiungere anche la seconda proposizione, concernente il 
compimento di altri atti fraudolenti, nel primo periodo del primo comma dell’art. 1 
L.401/89, formulando la norma come segue: ”Chiunque offre o promette denaro o altra 
utilità …ovvero compie altri atti fraudolenti al fine di raggiungere un risultato diverso da 
quello conseguente…” . 
E’ del pari dubbio che, come sostenuto ad esempio dal Pretore di Roma, sent. del 
21/2/1992 sopracitata, possa validamente restringere l’ampio significato del pronome 
indefinito “chiunque” il riferimento al disposto del secondo comma dell’articolo in esame, 
“il quale- secondo uno schema ricorrente nei delitti “di istigazione”- adempie unicamente 
alla funzione di estendere le pene previste per l’ ”istigatore” a colui che, aderendo alle sue 
illecite profferte, si inserisca volontariamente nel disegno criminoso …”, come osservato, 
correttamente a parere di questo giudice, da parte della dottrina (vedi Roberto Borgonovo 
in Archivio penale 492 pag. 610-626). 
In mancanza, infatti, della previsione del secondo comma dell’art.1 L.401/89, il 
partecipante destinatario dell’offerta che abbia accettato la stessa non potrebbe essere 
punito, essendo la condotta criminosa delineata con il termine ” chiunque offre “ e non 
potendosi pertanto, attesa la dizione letterale della norma, applicare l’art. 110 cp per 
raggiungere il sopraindicato fine di estensione della punibilità. 
Quanto poi all’equazione operata dalla Suprema Corte sintetizzabile nella seguente 
proposizione: “rapporto sinallagmatico uguale necessario coinvolgi-mento di un extraneus e 
pertanto non punibilità dell’atto fraudolento compiuto dal partecipante alla gara“, ritiene 
questo giudicante, in accordo con quanto osservato dal GIP sede nell’ordinanza del 
20/4/2000, in atti, che tale ragionamento sia apodittico e non trovi riscontro nella lettera 
della legge, posto che la stessa attività di corruzione e cioè l’offerta al partecipante di 
denaro o altra utilità ben può essere posta in essere da un altro partecipante alla
competizione (si pensi al caso di un atleta che, in discipline come il tennis e la boxe, offra 
denaro all’avversario perché si lasci battere) . 
L’incertezza in cui lascia l’interprete un’esegesi puramente letterale della norma impone 
pertanto, alla luce del disposto dell’art. 12 preleggi, non “essendo palese il significato delle 
parole secondo la loro connessione”, l’esame dell’intenzione del legislatore. 
La Corte Suprema nella sentenza sopracitata desume in proposito dai lavori preparatori e 
dall’intestazione stessa della L. 401/89, nonché dalle norme in essa raccolte “volte tutte ad 
evitare l’irruzione nel mondo dello sport dell’attività di gioco e di scommesse clandestine “ 
che “l’ambito di applicazione della legge in esame non si estenda ai fenomeni autogeni di 
doping, che trovano adeguata sanzione negli ordinamenti sportivi”. 
L’intestazione della predetta legge abbina gli “interventi nel settore del giuoco e delle 
scommesse clandestini“ alla “tutela della correttezza nell’ambito delle competizioni 
agonistiche”, e l’ampiezza di tale intestazione ben può pertanto lasciare spazio 
all’individuazione di più oggetti giuridici tutelati dalla normativa in esame e cioè non 
solo quello della correttezza del risultato di una competizione collegata a concorsi e 
scommesse, con dimensione offensiva essenzialmente di natura patrimoniale, ma anche 
quello della salvaguardia nel campo dello sport della correttezza nello svolgimento delle 
competizioni agonistiche, intesa come corrispondenza al dettato dell’etica sportiva. 
Rileva poi il giudicante che dalla lettura dei lavori preparatori della legge in esame non si 
evince come unica ratio quella indicata dalla Suprema Corte. 
In sede deliberante della Commissione Giustizia del Senato (seduta del 9/11/89, in cui l’art. 
1 del disegno di legge in oggetto è stato approvato), il relatore Gallo, riferendo sui lavori del 
comitato ristretto ha osservato: ”…al comma 1- dell’art.1- si è ritoccata l’impostazione di 
fondo, per cui il perno di quel testo risiede non tanto e non solo nella mera persecuzione 
delle scommesse clandestine, a tutela di quelle lecite, quanto principalmente nell’esigenza 
di garantire il corretto e leale svolgimento delle competizioni sportive col punire le forme di 
frode nelle medesime competizioni”. 
Anche analizzando il dibattito parlamentare che condusse all’approvazione del disegno di 
legge di iniziativa governativa, ultimo di una serie di proposte succedutesi nelle varie 
legislature, è possibile individuare ulteriori spunti che evidenziano l’esigenza di assicurare, 
con la nuova figura criminosa, un’efficace tutela penalistica della correttezza e lealtà delle 
gare agonistiche complessivamente intese.
In sede legislativa presso la Commissione Giustizia della Camera, ad esempio, e cioè nella 
seduta del 21/9/88, il parlamentare Forleo, esprimendo l’assenso del proprio gruppo a 
licenziare nel più breve tempo possibile il disegno di legge in esame, indicando gli obiettivi 
sottesi al suddetto provvedimento ha affermato: “Ritengo che il principale di essi sia quello 
di salvaguardare l’ambiente sportivo e la possibilità di esercitare le varie discipline in 
condizioni di normalità. La formulazione della norma (che identifica nella frode una 
fattispecie un po’ atipica del nostro ordinamento) è indubbiamente originale. E’ vero infatti 
che uno degli obiettivi è reprimere tali frodi, ma vi è anche la necessità di esercitare 
un’azione di prevenzione e di salvaguardia dell’attività sportiva“. 
Quanto poi alla necessaria sinallagmaticità dell’attività fraudolenta sanzionata dalla norma, 
così come individuata dalla Suprema Corte nella pronuncia sopra citata, con inevitabile 
coinvolgimento in tale attività fraudolenta di due soggetti e cioè un extraneus e un 
partecipante alla gara, va rilevato come proprio nella seduta 21/9/88, sopracitata, il 
parlamentare Mastrantuono ha affermato: “Credo pertanto che il disegno di legge 
elaborato dal Governo – poi divenuto Legge 401/89 - costituisca un punto di partenza per 
pervenire in tempo utile all’approvazione di una normativa di carattere organico, volta a 
preservare le manifestazioni sportive da fenomeni degenerativi individuali e collettivi“, 
espressione, quest’ultima, certamente non conciliabile con l’interpretazione della “voluntas 
legis“ operata dalla Suprema Corte. (Vedi Lavori preparatori alla Legge 13/12/89 n.401, 
Camera dei deputati, Servizio studi del Dipartimento Giustizia, luglio 1999). 
Né il fatto che la norma protegga non la correttezza dell’attività sportiva in quanto tale ma la 
sola correttezza dell'attività sportiva esplicantesi sotto la tutela di un ente pubblico può 
essere inteso a parere di questo giudice come una conferma del fatto che l’oggetto giuridico 
tutelato dalla legge in esame sia essenzialmente di tipo economico, posto che, come 
acutamente osserva Tullio Padovani nella nota più sopra citata “…Appare del tutto 
plausibile che la tutela si rivolga soltanto alle competizioni sportive pubbliche. L’importanza 
ch’esse assumono proprio perché svolte nel contesto organizzativo pubblico, se da un lato 
incrementa l’aspettativa di correttezza, dall’altro la qualifica in termini di rilevanza 
giuridica: com’è ovvio, ciascun partecipante o ciascuno spettatore di una gara svolta sotto 
l’egida di un ente pubblico si attende legittimamente che il suo svolgimento corrisponda 
puntualmente alle norme dell’etica sportiva”.
Se poi il profilo di tutela della norma in esame fosse esclusivamente quello di 
salvaguardare l’interesse al corretto andamento dei concorsi pronostici mediante la 
sottoposizione a sanzione penale della sola condotta fraudolenta tenuta da soggetti estranei 
alla competizione sportiva, con l’eventuale collaborazione dei partecipanti alla gara, al fine 
di indirizzare la competizione verso un esito prestabilito per procurarsi indebite vincite in 
scommesse e concorsi pronostici clandestini ad essa collegati, non avrebbe ragion d’essere 
il disposto di cui al terzo comma dell’art. 1 L.401/89, dove è prevista come aggravante 
speciale proprio la circostanza che il risultato della competizione sia “influente ai fini dello 
svolgimento di concorsi pronostici e scommesse regolarmente esercitate”, il che dimostra a 
parere di questo giudice, in accordo con quanto sostenuto da Borgonovo nell’op. 
sopracitata, che l’oggetto giuridico tutelato dal primo comma della norma in esame è più 
ampio. 
Se in definitiva l’analisi della ratio legis così come sopra operata porta ad individuare i beni 
giuridici tutelati dalla norma in esame nella intrinseca correttezza e lealtà delle competizioni 
sportive oltre che nell’interesse al corretto andamento dei concorsi pronostici (in sintonia 
per altro con quanto affermato in via maggioritaria dalla dottrina), è evidente che ledono o 
mettono in pericolo tali oggetti giuridici tutte le condotte dirette ad alterare con la frode il 
risultato della competizione sia che provengano da soggetti estranei alla gara sia che 
provengano dagli stessi partecipanti ad essa. Correttamente evidenzia in proposito un autore 
(vedi Vidiri, Frode sportiva e repressione del gioco e delle scommesse clandestine, La 
Giustizia Penale 1992, parte seconda pag. 648 e ss.) che non risponde ad alcuna accettabile 
logica considerare sanzionabili con severità comportamenti messi in atto dagli “esterni” alla 
competizione e negare di contro analoga reattività da parte dell’ordinamento statale in 
presenza di condotte implicanti certamente un maggior tasso di pericolosità sociale, per 
provenire da soggetti che, prendendo parte alla gara, sono in grado, più di ogni altro, di 
influenzarne il regolare svolgimento e lo stesso esito finale . 
Va infine sottolineato che l’esclusione di questi ultimi, posto che nulla si oppone sul piano 
testuale e sistematico a che anche l’atleta possa essere autore del reato di “frode in 
competizioni agonistiche”, comporterebbe tra l’altro una violazione del principio 
fondamentale di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge dettato dall’art. 3 della 
Costituzione.
Manca infatti una esplicita esclusione da parte del legislatore della punibilità dell’atleta 
dopato, supportata per esempio dalla considerazione di quest’ultimo quale vittima o anello 
debole della catena (scelta che invece il Parlamento ha esplicitamente effettuato, nel caso 
dei reati di sfruttamento della prostituzione e spaccio di sostanze stupefacenti, nei confronti 
delle prostitute e dei consumatori di sostanza stupefacente, i quali non sono stati ritenuti 
passibili di sanzione penale dal legislatore). 
Quanto poi alla previsione di cui all’art. 5 L.401/89, da cui entrambe le parti processuali 
hanno tratto argomenti per desumere la non applicabilità dell’art. 1 L.401/89 all’ipotesi del 
doping autogeno dell’atleta, rileva il giudicante che le pene accessorie ivi previste sono 
all’evidenza alternative tra loro e tra di esse quella del divieto temporaneo di accedere a 
luoghi ove si svolgono competizioni agonistiche ben può essere logicamente applicata 
all’atleta che, avendo praticato doping autogeno al fine di alterare il corretto svolgimento di 
una competizione agonistica, ha tradito lo spirito di correttezza e lealtà che deve animare il 
mondo dello sport e per tale ragione legittimamente viene temporaneamente allontanato 
dall’ambiente sportivo. 
Restano da ultimo da prendere in considerazione le comprensibili perplessità destate in 
alcuni interpreti della norma in esame dalla mancata individuazione, in sede di lavori 
preparatori della legge 401/89, del contrasto al doping quale obiettivo, sia pure secondario, 
del disposto normativo . 
Al fine di contestualizzare tale articolo di legge, per giungere a un interpretazione 
congruente con la realtà su cui lo stesso è destinato ad incidere, va rilevato in proposito 
come probabilmente il doping non è stato oggetto di specifico dibattito nel corso dei lavori 
preparatori della L. 401/89 perché all’epoca il fenomeno non era esteso in modo così 
allarmante come nella realtà contemporanea, nella quale può sicuramente essere definito, 
attese le dimensioni assunte a livello mondiale, soprattutto in settori come l’atletica e il 
ciclismo, come il problema più importante dello sport, così grave da minarne credibilità e 
valori. 
Si pensi, per rimanere al caso concreto in esame, che, stando a stime riportate dal 
giornalista Morbello (vedi Giorgio Morbello, Il pusher nello spogliatoio, in Narcomafie, 
settembre 1998 pag. 6 e ss. del dossier doping), l’eritropoietina, a detta del succitato 
giornalista avente un fatturato pari a quello del quarto o quinto farmaco al mondo, per il 
93 % non sarebbe utilizzata per i fini terapeutici per i quali era stata creata, e cioè per
aumentare nei pazienti malati di tumore o sottoposti a dialisi la capacità del sangue di 
trasportare ossigeno, ma bensì per migliorare la resistenza alla fatica in discipline sportive 
aerobiche come il ciclismo, l’atletica, lo sci di fondo. 
I consulenti del Pubblico Ministero hanno fornito sul punto dati ancor più precisi ed 
allarmanti. 
All’udienza 13/10/2000 (vedi trascrizioni pag. 188 e ss.) gli stessi hanno precisato che 
l’eritropoietina, inizialmente considerato “farmaco orfano” perché utilizzato per patologie 
numericamente limitate (“anemia in corso di nefropatia grave, anemia in corso di 
trattamento con particolari medicamenti antitumorali, preparazione ad interventi chirurgici 
d’elezione e non d’urgenza in soggetti modicamente anemizzati“) è oggi il numero tre come 
volume di vendita in tutto il mondo“. I consulenti hanno poi riferito che in base a 
un’indagine fatta dal Ministero della Sanità (su iniziativa per altro della prof. Ceci, che, 
come da lei dichiarato a pag. 216 trascr. ud 13/10/2000, ha lavorato come esperta della 
Commissione Sanità del Senato per la elaborazione del testo di legge anti-doping di recente 
approvazione) nel 1998 tale farmaco è risultato il quindicesimo come fonte di spesa del 
servizio sanitario nazionale mentre nel 1999 è passato addirittura al tredicesimo posto, con 
una escalation non indifferente. 
Tale dato va drammaticamente associato alla seguente ulteriore circostanza: ben il 50% di 
tutta la quantità di eritropoietina che, in base ai dati forniti dalle case farmaceutiche 
produttrici, è stata venduta in Italia non è stato registrata negli appositi registri tenuti 
dall’Asl e dagli Ospedali e pertanto, non risultando a carico del sistema sanitario nazionale, 
va a sommarsi alla quantità di epo indicata nel paragrafo che precede. 
Se si pensa che, come specificato dai consulenti del Pubblico Ministero, le indicazioni per 
tale farmaco si limitano a malattie rare è quindi evidente che un consumo così ampio di 
eritropoietina si giustifica solo con un massiccio utiliz-zo fattone dagli atleti, 
professionisti e non, al fine di aumentare i globuli rossi circolanti e quindi apportare più 
ossigeno ai muscoli, con aumento della erogazione del processo aerobico e quindi della 
prestazione di fondo (vedi dichiarazioni prof. Benzi pag. 136 ud. 13/10/2000). 
Questa constatazione è allarmante, sol che si rifletta sui gravissimi danni alla salute che 
provoca l’assunzione prolungata di epo, nelle dosi che solitamente prendono gli atleti per 
accrescere il proprio rendimento agonistico (il prof. Benzi -vedi trascr. ud. 13/10/2000 pag. 
143 e trascriz. pag. 191 e ss ud. 20/10/2000- ha infatti spiegato in proposito che solo sopra
la soglia del 50 % di ematocrito la quantità di ossigeno che viene trasportata è 
significativamente diversa da quella normalmente veicolata dal sangue, ragion per cui le 
dosi di epo assunte dagli atleti per incrementare la loro prestazione agonistica sono sempre 
massicce). Dando l’imprinting per i globuli rossi, la assunzione di epo, come ben spiegato 
dai consulenti del Pubblico Ministero, va sempre accompagnata a somministrazione di 
ferro, per evitare la messa in circolo di globuli rossi ipocromici, i quali non svolgerebbero 
utilmente la funzione di maggior trasporto di ossigeno (vedi trascrizioni ud.13/10/2000 pag. 
162). Il ferro però permane nell’organismo, si deposita nei tessuti, in particolare pancreas e 
fegato, cagionando gravissimi danni epatici. La prof. Ceci all’udienza 13/10/2000 trascriz. 
pag. 163 ha in merito affermato: ”queste sono persone che vivono meno, muoiono 
precocemente per cirrosi ed anche tumore epatico “. Altri gravissimi rischi per la salute 
nascono dal fatto che l’aumento dell’ematocrito provocato con somministrazione esogena di 
epo, rendendo il sangue più denso, contrasta la tendenza dell’organismo umano, sotto 
sforzo, ad operare una emodiluizione “naturale”, al fine di salvaguardare il flusso cerebrale 
del sangue. Come spiegato dal prof. Benzi (vedi trascr. ud 13/10/2000 pag. 145), sotto 
sforzo aumentano le resistenze nel cervello, in particolare nelle zone profonde, e 
l’organismo si difende diluendo (il predetto consulente ha specificato sul punto che il 
soggetto sotto sforzo, da studi compiuti, risulta avere nelle zone profonde del cervello 
ematocrito pari al 28 %, 29%, 30 %, mentre perifericamente ha un ematocrito pari al 45%). 
E’ intuibile comprendere quali immensi rischi possa avere per il flusso cerebrale 
l’artificioso contrasto di quella che il prof. Benzi ha definito “l’arma dell’emodiluizione”. 
Proprio alla luce del dilagare della piaga doping il nostro legislatore ha recentissimamente 
approntato una tutela ben più incisiva rispetto a quella dettata dalla L. 1099 del 1971 
nonché dall’art. 1 L.401/89, mediante la legge intitolata: ”Disciplina della tutela sanitaria 
delle attività sportiva e della lotta contro il doping”, approvata in via definitiva dal Senato il 
16/11/2000 e non ancora pubblicata, nella quale sono previste pesanti sanzioni penali 
(reclusione da tre mesi a tre anni e multa da 5 milioni a 100 milioni) non solo per chi offre 
(come invece disponeva la normativa originariamente approvata dal Senato), ma anche per 
chi assume sostanze dopanti al fine di alterare la prestazione atletica agonistica. 
Quanto alla succitata L. n.1099/71, dedicata alla “Tutela sanitaria dell’attività sportiva”, la 
stessa, all’art. 3/1, sanziona la condotta degli “atleti partecipanti a competizioni sportive 
che impiegano, al fine di modificare artificialmente le proprie energie naturali, sostanze che
possono risultare nocive per la loro salute”, prevedendo quale sanzione la sola ammenda. 
La norma risulta però depenalizzata ai sensi della legge 689/81. 
In epoca precedente all’approvazione della “Disciplina della tutela sanitaria delle attività 
sportive e della lotta contro il doping” vi era chi interpretava il mancato raccordo tra la L. 
1099/71 e la L.401/89 come indizio della volontà del legisla-tore di escludere, al di là del 
profilo relativo alla tutela sanitaria dell’atleta, ogni ulteriore rilevanza penalistica al 
fenomeno del doping. 
Ritiene questo giudicante che, nonostante l’innegabile mancanza di un opportuno 
coordinamento tra le normative sopra indicate, la succitata interpre-tazione non fosse da 
condividersi posto che le due normative hanno oggetti giuridici palesemente diversi. La 
legge del 1971 tutela infatti l’interesse collettivo alla salvaguardia dell’integrità fisica di 
quanti si dedicano alla pratica sportiva. E’ volta pertanto a sanzionare la pratica del doping 
essenzialmente nell’ottica dei rischi per l’incolumità dello sportivo e la sua ratio bene è 
stata individuata dalla dottrina in quella di “salvaguardare la stessa funzione sociale della 
pratica sportiva inconciliabile con il ricorso a sostanze capaci di incidere in termini negativi 
sulle doti fisiche e morali di quanti si dedicano a pratiche sportive“ (vedi Guido Vidiri, Il 
doping tra normativa sportiva e ordinamento statale, il Foro Italiano 1991, fasc.4, 
pagg.225,230). 
Il reato di frode nelle competizioni sportive, reato plurioffensivo, mira invece, come sopra 
già sottolineato, ad approntare una difesa contro la slealtà sportiva complessivamente 
intesa, sul presupposto che l’atleta che pone in essere una attività fraudolenta per alterare 
l’esito della gara (comprendendosi in quest’ambito anche l’alterazione chimica della 
capacità di prestazione dello sportivo) danneggia l’immagine dello sport agendo in modo 
moralmente scorretto verso tutti gli altri protagonisti dell’attività sportiva agonistica, inclusi 
i tifosi che la seguono. L’oggetto giuridico tutelato da quest’ultima normativa è dunque non 
l’integrità psicofisica degli atleti ma la “genuinità del risultato sportivo”. 
Né si può desumere dall’approvazione della recentissima legge sulla “disciplina della tutela 
sanitaria delle attività sportive e della lotta contro il doping” la precedente non punibilità del 
doping autogeno, ai sensi del disposto di cui all’art. 1 L.401/89, posto che l’intervento 
innovativo del legislatore è stato appunto ispirato, oltre che dal fine di fare ulteriore 
chiarezza in una materia particolarmente contorta, che ha dato origine, come sopra 
evidenziato, a contrasti interpretativi a tuttoggi non risolti, dall’esigenza di sanzionare più
pesantemente di quanto non facessero le norme previgenti (compreso l’art. 1 L.401/89) i 
fenomeni di fraudolenta alterazione dell’esito della gara mediante doping dello sportivo 
partecipante alla stessa, i quali, come già ricordato, sempre più pesantemente avvelenano il 
mondo dello sport e pongono in serio pericolo la salute degli atleti. 
Va infine affrontato un ultimo problema interpretativo e cioè se l’assunzione di sostanze 
“dopanti“ da parte dell’atleta impegnato in una competizione integri o meno il requisito 
della “fraudolenza“ che sostanzia la modalità alternativa della condotta prevista dall’art. 1 
L.401/89, circostanza quest’ultima fin qui presupposta dal giudicante, ma che necessita di 
un approfondimento specifico . 
Posto che secondo lo schema prefigurato dalla L.401/89 (vedi in particolare art. 2 della 
predetta legge) i rapporti tra l’ordinamento sportivo e quello statale risultano ispirati alla 
libera autodeterminazione di ciascuno di essi in ordine alla rilevanza da attribuire ai vari 
comportamenti, fondamentale diviene il compito di individuazione della linea di confine tra 
illecito sportivo e frode sportiva penalmente sanzionata. 
Ritiene questo giudice condivisibile, in via interpretativa, quanto sostenuto sul punto dalla 
maggior parte della dottrina (vedi ad esempio Vidiri, La frode sportiva: soggetti e condotta 
del reato – art.1 L 401/89, Rivista di diritto sportivo 1992, fasc.1, pag. 129-134) e cioè che 
la condotta penalmente sanzionata non possa consistere in una mera violazione delle regole 
del gioco, sanzionabile tuttalpiù dall’ordinamento sportivo, ma debba sostanziarsi in un 
“quid pluris”, in un artificio, che operi sulla realtà esterna modificandola, 
“fraudolentemente” appunto, al fine di alterare lo svolgimento normale di una competizione 
sportiva. 
E ciò sulla base dell’interpretazione del termine “fraudolentemente“, utilizzato dal 
legislatore nella norma in esame, così come esplicitata dal Gip sede, il quale, nell’ordinanza 
20/4/2000, in atti, pienamente condivisa sul punto da questo giudice, rifacendosi alla 
nozione di “artifici” emergente dalla più recente giurisprudenza della Suprema Corte, ha 
precisato che: ”Non realizzano una frode …i casi…in cui la violazione delle norme sportive 
è immediatamente rilevabile ictu oculi, oppure attraverso il diretto controllo della 
sussistenza dei requisiti o la diretta applicazione di canoni e misure, senza la mediazione di 
un’indagine su pratiche o espedienti simulatori o dissimulatori” mentre “rientra nella 
categoria dei mezzi fraudolenti il doping, che è un espediente occulto per simulare, e quindi
far risultare artificiosamente, una capacità di prestazione che non risponde a quella reale 
dell’atleta”. 
Essendo innegabile che l’assunzione di una sostanza dopante costituisce un “artificio 
idoneo a snaturare la correttezza della competizione sportiva e ad alterarne potenzialmente il 
risultato finale“, questo giudice ritiene in definitiva che il cosiddetto doping autogeno posto 
in essere dall’atleta, da solo o in concorso con il soggetto fornitore della sostanza dopante, 
al fine di alterare l’esito naturale di una competizione agonistica configuri, 
indipendentemente dall’effettivo raggiungimento di tale obiettivo, il delitto di cui all’art. 1 
L.401/89. 
Tale norma disegna infatti un reato “attraverso il quale il legislatore ha voluto esprimere 
una tutela avanzata al bene (inteso qui in senso lato) della correttezza nello svolgimento 
delle competizioni agonistiche, senza tuttavia richiedere il concreto verificarsi di un evento 
lesivo dello stesso bene“ (così testualmente Umberto Izzo, Quando l’atleta è in ritiro: il 
soggetto attivo e l’elemento soggettivo del reato di frode in competizioni sportive, Rivista di 
diritto sportivo 1993, fasc. 2 e 3, pag. 507-512). 
L’atleta cioè che si sottopone in vista di una stagione agonistica o frazione di stagione 
agonistica a un trattamento farmacologico dopante, in quanto tale certamente migliorativo 
della propria capacità di prestazione in gara, commette il reato in oggetto (sussumibile, 
essendo l’elemento oggettivo dello stesso costituito da “atti diretti a“, nella categoria dei 
reati a consumazione anticipata), indipendentemente dall’effettiva incidenza che la capacità 
di prestazione “potenziata” dal trattamento dopante avrà in concreto sull’esito della o delle 
gare alle quali l’atleta si era prefisso di partecipare e abbia poi in concreto partecipato. 
Quanto alla pretesa mancanza di tassatività della norma in oggetto così interpretata e della 
potenziale incostituzionalità della stessa ex art. 25 Cost., eccepita dalla difesa in sede di 
arringa, questo giudice osserva quanto segue. 
Talvolta accade che la legge penale non tipicizzi in modo diretto e compiuto il reato ma si 
limiti a richiamare, come nel caso della norma indicata in rubrica, modi sociali di 
comportamento. 
E’ il cosiddetto ricorso a “elementi vaghi della fattispecie”, che il Pagliaro (vedi voce Legge 
penale, in Enciclopedia del diritto) così definisce: ”quei contrassegni che definiscono il fatto 
non in maniera perfettamente netta, né secondo linee determinabili con sicurezza, ma si 
giovano piuttosto di modi di pensare o di esprimersi che sono propri dell’uso comune, ma
non possono essere definiti nei dettagli con mezzi naturalistici “. Tra gli esempi di tali 
elementi vaghi Pagliaro cita appunto gli “artifici o raggiri“, quali elementi essenziali della 
truffa. 
Nella categoria succitata vanno senz’altro ricompresi anche “gli atti fraudolenti” menzionati 
nella norma oggi ascritta all’odierno imputato . 
Tale espressione non contrasta a parere del giudicante con il principio di legalità essendo 
facilmente interpretabile secondo il significato umano e sociale che è insito nella stessa e la 
determina, e presupponendosi inoltre, atteso il disvalore insito nel dolo di una condotta 
diretta ad immutare la realtà per uno scopo tipizzato, una rapporto di maggiore 
consapevolezza da parte dell’autore di tale condotta del disvalore della stessa rispetto al 
soggetto attivo di altre fattispecie criminose, descritte con elementi ugualmente elastici ma 
non caratterizzati dalla frode. 
Il consociato che pone in essere una certa condotta precisamente connotata dall’immutare 
un elemento della realtà al fine specifico di alterare artificiosamente l’esito di una gara 
sportiva sarà perfettamente in grado di valutare (anche per la certa consapevolezza di chi è 
interno al mondo dello sport dei meccanismi e regole che lo dominano) se la propria 
condotta comporti o meno la commissione di un atto fraudolento, cosiccome il giudice che 
dovrà decidere se la predetta condotta corrisponda o meno alla figura legislativa potrà 
limitarsi a espletare una semplice operazione interpretativa, non fondata sull’arbitrio ma 
sul significato che il termine “atti fraudolenti” ha nell’uso comune. 
Il giudicante ritiene pertanto che il precetto legislativo di cui all’art. 1 L.401/89 non 
contrasti con il principio costituzionale di legalità essendo la norma perfettamente 
intelleggibile e interpretabile in base al significato umano e sociale della condotta criminosa 
ivi descritta. 
L’eccezione di incostituzionalità della norma sollevata dalla difesa deve ritenersi dunque 
manifestamente infondata. 
Dopo aver analizzato il problema della qualificazione giuridica dell’autodoping dell’atleta 
chi scrive ritiene di dover affrontare il tema probatorio centrale in questo processo e cioè 
quello inerente la sussistenza o meno della prova circa l’assunzione esogena di 
eritropoietina da parte dell’imputato in epoca precedente alla gara Milano-Torino del 
18/10/95, e in vista della stessa, allo scopo di alterarne frudolentemente il risultato.
Fondamentale è a questo proposito l’analisi del contributo scientifico portato in questo 
processo dai consulenti delle parti, con considerazioni che si sono venute approfondendo e 
precisando nel corso del dibattimento attraverso i complessi esame, controesame e 
confronto tra gli stessi espletati in tale sede. 
Questo giudice ritiene di muovere dall’analisi di quanto riferito dai consulenti del Pubblico 
Ministero, integrando la ricostruzione logica scientifica effettuata dagli stessi con gli 
apportati offerti all’istruttoria dibattimentale dal testimoniale, generalmente composto 
anch’esso da testi cosiddetti qualificati, in prevalenza medici, in quanto l’analisi del 
contributo fornito dai consulenti della difesa, più frammentario e concretizzatosi in una 
serie di critiche volte a mettere in discussione l’argomentare dei consulenti della pubblica 
accusa, ha come presupposto logico la previa esposizione del ragionamento logico-scientifico 
svolto da questi ultimi. 
I professori Benzi e Ceci hanno utilizzato nella loro consulenza un approccio indiretto che 
ha portato ad individuare con precisione la causa dell’abnorme aumento del numero di 
globuli rossi riscontrato a Pantani in data 18/10/95, all’atto del ricovero presso il CTO di 
Torino, all’esito di un lungo percorso articolatosi nell’analitico esame di tutte le possibili 
cause del succitato innalzamento, alternative al trattamento con farmaci eritropoietici. 
La qualificazione dei consulenti, docenti universitari, Benzi di farmacologia e Ceci di 
ematologia pediatrica, è sembrata al giudicante molto alta, anche per l’esperienza specifica e 
pluriennale di entrambi nell’ambito dei problemi di biologia, farmacologia e ematologia nel 
mondo degli atleti, attestata anche dal fatto che tutti e due i consulenti, per anni e sino al 
mese di ottobre 2000, sono stati componenti della Commissione Scientifica antidoping del 
CONI, e, per quanto riguarda la prof. Ceci, la stessa è stata esperta della Commissione 
Sanità del Senato in relazione all’elaborazione della già citata legge, cosiddetta 
“antidoping”, di recentissima approvazione. L’interesse scientifico specifico da parte dei 
consulenti e la loro competenza circa le caratteristiche fisiologiche e biochimiche degli 
atleti di alto livello e la conseguente particolare attendibilità del loro elaborato peritale, sono 
attestati anche dal fatto che gli studi sperimentali richiamati in consulenza e i dati utilizzati 
per le comparazioni hanno come campione analizzato atleti di alto livello e non soggetti 
comuni, cioè non atleti. 
Tale specifica competenza inerente il settore degli atleti si è mostrata invece assente nei 
consulenti della difesa, dato quest’ultimo confermato all’udienza 20/10/2000 dallo stesso
prof. Tura il quale, a domanda del giudice, ha testualmente risposto: ”Dipende lo sport come 
viene fatto. Io non ho notizie, non sono un uomo che si interessa dello sport“. 
Tornando all’esposizione del ragionamento peritale svolto dai consulenti del Pubblico 
Ministero, va ricordato come gli stessi hanno preso le mosse dall’evidenziazione 
dell’abnormità dei valori ematologici riscontrati a Pantani nel prelievo delle ore 15.20 del 
18/10/95, sia rispetto ai valori medi rilevati su atleti di alto livello dal CONI e dall’U.C.I. 
negli anni 1998-1999 (vedi tabella 1.1 riportata a pag. 6 dell’elaborato scritto depositato in 
atti dai consulenti, dove si ricava che il valore medio di ematocrito per i ciclisti si attesta sul 
44,6 %, quello di emoglobina intorno al 15 e quello di globuli rossi intorno ai 4,85 milioni) 
sia rispetto agli stessi valori medi dell’atleta, emergenti dai dati forniti, per l’arco 
temporale 1995- 1999, essenzialmente dai medici della F.C.I. Grazzi e Rempi, tramite le 
cartelle cliniche della F.C.I. (vedi tabella 1.2 pag.8 dell’elaborato scritto e aff. 244/271 
power point proiettati dai consulenti in sede di esame all’udienza 13/10/2000, faldone 4, 
nonché tabella 2.3 pag. 18 dell’elaborato peritale) da cui si evince che il valore medio di 
ematocrito dello stesso Pantani era intorno al 45, i globuli rossi 4,94 milioni, l’emoglobina 
15,2 (dati questi ultimi che escludono pertanto che i valori ematologici riscontrati a Pantani 
in data 18/10/95 fossero congeniti). 
Osserva il giudice in proposito che i valori sulla base dei quali sono state calcolate tali 
medie sono stati ricavati da un lato dai dati forniti da fonti ufficiali come il Coni e l’UCI, 
inerenti una popolazione di atleti-ciclisti di alto livello, e quindi correttamente paragonati a 
Pantani, dall’altro, per quanto concerne i valori ematologici inerenti lo stesso imputato, dai 
dati forniti dagli stessi medici sportivi dell’atleta, provenienti da laboratori pubblicamente 
riconosciuti, tra i quali sono compresi anche quegli stessi laboratori UCI che hanno 
analizzato i valori ematologici degli altri atleti sopraindicati. 
Quanto alla validità del valore di ematocrito pari a 45 ed emoglobina pari a 15,2 
corrispondente al prelievo effettuato dal dott. Grazi il 6/6/95 (vedi sempre tabella 2.3 pag. 
18 elaborato peritale Benzi e Ceci), messa in discussione dai legali della difesa in seda di 
arringa, attesa l’imputazione di cui al capo o) dell’avviso di chiusura indagini preliminari 
Procura di Ferrara emesso a carico anche del Grazi (prodotto in atti aff. 260/12 faldone 4), 
in cui il predetto medico è imputato di aver fatto false attestazioni nella cartella clinica della 
Federazione Ciclistica Italiana di Pantani Marco, da cui sono stati estrapolati i succitati 
valori , osserva il giudicante quanto segue: da una parte si può osservare che i valori
ematologici rilevati il 6/6/95 rappresentano solo uno tra i tanti parametri ematologici 
misurati a Pantani tra il 1995 e 1999, in base ai quali sono stati elaborati i valori medi 
dell’atleta sopra elencati, dall’altra parte è anche logico pensare che se effettivamente il 
dott. Grazi ha falsificato i dati ematologici di Pantani nel giugno 1995, stagione di gara, 
così come imputatogli dal magistrato di Ferrara, ciò significa che il medico sportivo doveva 
coprire, tramite falsificazione delle cartelle FIC, i reali valori ematologici di Pantani, 
evidente-mente particolarmente elevati in quel periodo a causa di una stimolazione 
farmacologica (come sembrano attestare, del resto, anche gli elevatissimi valori 
ematologici riscontrati nell’incidente occorso a Pantani in Santarcangelo appena un mese 
prima del giugno 1995, a distanza di due giorni dall’inizio del giro d’Italia, evento che verrà 
più oltre preso in esame) poiché se tali valori ematologici non si fossero abnormemente 
alzati per stimolazione farmacologica ma per altre cause non ci sarebbe stato alcun bisogno 
per il medico di nascondere artificiosamente tale dato. 
Tornando al giudizio di abnormità circa i valori ematologici riscontrati a Pantani il 18/10/95, 
tale valutazione è confermata in atti dalle dichiarazioni rese in data 17/6/99 avanti al PM 
Guariniello dal dott. Palumbo (ematologo che, in data 26/10/95, fu chiamato per un consulto 
su Pantani), il quale ha in tale sede testualmente affermato: ”Un paziente che presenta un 
ematocrito di 60.1 è da considerarsi al di fuori dei limiti della norma, anche per uno 
sportivo…un valore di ematocrito di questo tipo non è compatibile in una persona sana ed è 
invece compatibile con un quadro di policitemia primaria o secondaria o con trattamento 
farmacologico”. 
Che cosa ha dunque determinato il succitato innalzamento dei valori ematologici di Pantani? 
I consulenti del Pubblico Ministero escludono che lo stesso sia stato causato o concausato 
dalla disidratazione dovuta all’impegno agonistico profuso dall’atleta nella gara ciclistica 
Milano-Torino, e ciò sulla base di una motivazione estrema-mente argomentata e 
approfondita, il cui nucleo centrale, a parere del giudicante, è rappresentato dal fatto che tale 
disidratazione è esclusa in radice dai referti biochimico clinici (vedi elaborato scritto 
pag.16, tabella 2.1, nonché dichiarazioni rese sul punto dai periti sia all’udienza 13/10/2000 
che 20/10/2000). 
Come ben spiegato dai professori Benzi e Ceci e confermato in atti anche dalle 
dichiarazioni rese dalla dott. Vincenzo sia in fase di indagini preliminari (in data 5/7/99) che
a dibattimento (vedi trascr. ud. 28/11/2000 pag. 94), la disidratazione porta necessariamente 
a una alterazione dei valori ematochimici . 
Attraverso la sudorazione si perde infatti, come chiarito dalla prof. Ceci, più liquido che 
ioni (e cioè sodio, potassio ecc.). Per cui all’interno di un sangue disidratato così come si 
trovano più globuli rossi si trovano anche più ioni, dato quest’ultimo non presente nel 
sangue di Pantani. 
Il prof. Benzi ha ulteriormente specificato che anche la creatinina, espulsa solo tramite le vie 
urinarie, non può non aumentare in percentuale nel soggetto disidratato, nel quale si ha 
sempre una contrazione della diuresi, mentre tale ultimo valore dall’analisi chimica 
effettuata sul campione di sangue prelevato a Pantani alle ore 15.20 del 18/10/95 era 
risultato nella norma. 
Tutte le rimanenti considerazioni svolte dai suddetti consulenti, e cioè la avvenuta 
dispersione del calore durante la gara essenzialmente per convezione, trattandosi di una 
corsa in linea svolta in condizioni di fresco (tra i 7 e i 19 gradi), l’avvenuto regolare 
rifornimento idrico in gara (dato quest’ultimo confermato a dibattimento dai testi Dall’Olio 
e Pizzini), l’osservazione clinica che all’atto del ricovero ha fatto definire nella cartella 
anestesiologica alla dottoressa Vincenzo l’aspetto del paziente come “normale” (vedi 
documentazione medica in atti), le dichiarazioni rese in data 5/7/99, più sopra già 
richiamate, dalla dott. Vincenzo, nelle quali l’anestesista ha precisato di aver ipotizzato una 
disidratazione di Pantani all’atto del ricovero sulla sola base degli alti valori ematici e non di 
dati clinici ed ematochimici, le dichiarazioni rese dal chirurgo che operò Pantani, 
Cartesegna, in data 16/6/99, avanti al Pubblico Ministero che condusse le indagini 
preliminari, laddove lo stesso ha chiarito che il giudizio formulato con l’anestesista 
Vincenzo di un’eventuale disidratazione in atto era ipotetico e non era stato “suggerito da 
una qualsiasi realtà clinica”, sono tutte circostanze significative di per se stesse ma che di 
fronte a una risposta certa già fornita sul punto disidratazione dai valori ematochimici nella 
norma, così come rilevati a Pantani al momento del ricovero, possono ritenersi non 
fondamentali se non come conferma del dato sopra evidenziato. 
Per quanto concerne il referto di tali esami ematochimici, che porta l’indicazione delle ore 
15.54 e la data 18/10/95, lo stesso è riportato nella cartella clinica inerente il ricovero di 
Pantani (vedi aff. 2/57, faldone 1, cartella in copia e aff. 262/9 faldone 5 cartella in 
originale), contrariamente alla prassi, su un foglio volante non spillato assieme agli altri
esami. Il 12/6/99, data in cui la cartella in originale è stata consegnata alla Procura della 
Repubblica di Torino –come si evince dal verbale di acquisizione in atti– tale referto non 
era rintracciabile nella stessa, come riferito all’udienza 28/11/00 dal consulente Benzi, che 
ha precisato che il succitato documento è stato reperito e consegnato successivamente dalla 
dott. Fiorio. Quest’ultima circostanza è documentalmente attestata dal verbale di consegna 
di tale referto datato 19/7/99, presente in atti all’aff. 45/1 faldone 2, laddove la dott. Florio 
così dichiara: ”Produco copia degli esami ematochimici effettuati in urgenza il giorno 
18/10/95 sul paziente Marco Pantani presenti in cartella, ed inoltre la stampa dal nostro 
archivio informatico -esami di routine- nel periodo 19/10/95 sino al 27/10/95“. 
Copia del succitato referto è inserita anche -vedi aff. 63/123 faldone 3- all’interno della 
pratica assicurativa relativa al sinistro occorso in data 18/10/95 a Pantani, acquisita dalla 
PG della Procura di Torino in data 22/9/99 presso la Reale Assicurazione e consegnata alla 
predetta assicurazione da Pantani o da chi agiva nel suo interesse presumibilmente nel 
novembre 1995, come si evince dall’ultimo atto di tale cartella, presente nell’originale 
cartaceo, così come acquisito dalla Procura di Torino presso la Reale assicurazioni, che è 
stato consegnato in udienza dibattimentale dal prof. Benzi. Tale ultimo atto (aff. 265/128 
faldone 5) attesta infatti che la suddetta copia della cartella clinica è stata rilasciata ai 
richiedenti dalla direzione sanitaria del CTO di Torino in data 8/11/95. 
Che la copia del referto in esame presente nella pratica assicurativa sia stata fotocopiata 
direttamente dalla cartella clinica si evince anche dalle righe orizzontali che caratterizzano i 
vari fogli della cartella clinica, su uno dei quali evidentemente il referto era all’epoca 
appuntato (vedi sul punto puntuale osservazione del prof. Benzi, pag. 43 ud. 28/11/2000). 
La dott. Vincenzo all’udienza 28/11/00 (vedi trascriz. pag. 89) ha riferito di aver visionato il 
referto inerente gli esami ematochimici prima che Pantani fosse operato, e tale circostanza è 
anche provata dall’annotazione effettuata dalla stessa dott. Vincenzo nella cartella 
anestesiologica in atti, dove l’anestesista in data 18/10/95 annota HB 20,8, altri in ordine, 
riferendosi evidentemente (come dalla teste già precisato in sede di indagini preliminari, in 
data 5/7/99 e 19/7/99), agli esami ematochimici. 
Tutto ciò significa tre cose: la prima che certamente tali esami furono fatti all’ingresso del 
paziente in ospedale, il 18/10/95, e che in un primo tempo, perlomeno sino al novembre 
1995, rimasero in cartella; la seconda che in un secondo tempo, per evento fortuito o meno, 
il referto inerente i succitati esami scomparve dalla cartella clinica, la terza che tale referto
fu reperito successivamente, e cioè nel luglio 1999 (per altro, come riferito dal prof. Benzi, 
in seguito a pressanti richieste della Procura di Torino). 
La temporanea scomparsa del referto dalla cartella è fenomeno preoccupante, anche in 
relazione alla delicatezza del caso in esame. 
Per gli eventuali profili penali ravvisabili in merito appare opportuna una trasmissione 
degli atti alla Procura della Repubblica di Torino, competente per il reato di cui all’art.476 
cp, ipoteticamente configurabile allo stato a carico di ignoti. 
Tornando all’ipotesi di una disidratazione da gara in Pantani che abbia determinato o 
concorso a determinare un’emoconcentrazione, la stessa è stata sostenuta dai consulenti 
della difesa in modo del tutto apodittico. 
Il prof. Tura, docente universitario di ematologia ha infatti ipotizzato che Pantani avesse 
avuto un aumento dell’ematocrito di 5 punti per sforzo da gara (quindi per disidratazione), 
giustificando tale affermazione con il solo richiamo a quanto riferito in sede di indagini 
preliminari, in data 21/8/99, dal dott. Rempi, e precisamente: “in base alla mia esperienza 
alla fine di una gara l’ematocrito può anche aumentare sino a 4-5 punti“. 
In realtà all’udienza 28/11/00 il dott. Tarsi, anch’egli medico sportivo di ciclisti 
professionisti, addirittura per 15 anni (per altro il teste è apparso visibilmente imbarazzato 
nel rispondere alle domande sul doping nel mondo del ciclismo), sul punto disidratazione in 
gara ha confermato quanto già riferito in sede di indagini preliminari in data 18/9/99, e cioè 
che misurazioni dell’ematocrito effettuate dall’UCI dopo un allenamento intenso fatto in 
Sicilia, in condizioni di caldo torrido, hanno rilevato negli atleti un aumento medio 
dell’ematocrito di 2-3 punti, aumento dunque ben inferiore a quello dato per scontato dai 
consulenti della difesa, pur in condizioni climatiche completamente diverse (ottobre- Nord 
Italia), comportanti certamente una minor disidratazione. 
La succitata affermazione dei consulenti della difesa è da reputarsi oggettivamente priva di 
qualunque documentato riferimento scientifico (come evidenziato dai consulenti del 
Pubblico Ministero nei power point proiettati all’udienza 13/10/2000 e prodotti in atti 
-aff.244/302 faldone 4-). 
Né possono ritenersi affidabili sul punto le dichiarazioni rese in fase di indagini preliminari 
dal dott. Rempi, medico sportivo abilitato a prestare assistenza medico sanitaria a Pantani 
dal 1997 in poi, deferito per altro in data 23/6/99 dall’Ufficio Procura antidoping del Coni 
ai competenti organi di giustizia sportiva della FCI per comportamento contrario alle
disposizioni sulla tutela della salute dei corridori approvate dal Consiglio federale della FCI 
in data 15/2/98 (come si evince dal relativo provvedimento in atti, aff. 8/1 e ss, faldone 1) e 
ciò all’esito dell’indagine, condotta appunto dalla predetta Procura sportiva, originata dagli 
elevati valori di ematocrito (52%) riscontrati a Pantani, in seguito a un controllo di idoneità 
sportiva effettuato da medici UCI nel corso del Giro d’Italia, e precisamente in data 5/6/99 
a Madonna di Campiglio, a cui seguì la sospensione dell’atleta dall’esercizio dell’attività 
agonistica per un periodo di 15 giorni. 
Come già ricordato il dott. Rempi a dibattimento ha provato con produzione documentale la 
propria qualità di imputato in procedimento connesso e, sentito pertanto ex art. 210 cpp, si è 
avvalso della facoltà di non rispondere. 
Il prof. Tura ha comunque poi convenuto nel corso dell’istruttoria dibattimentale, in accordo 
sul punto con i consulenti del PM, (vedi trascrizioni udienza 20/10/2000, pag.138), che una 
grande disidratazione “modifica gli elettroliti“, ammettendo poi, in seguito a domanda del 
giudice, che per portare a una emoconcentrazione la disidratazione deve essere notevole. Per 
tale ragione anche il fatto che il teste Palumbo a dibattimento abbia parlato di “lieve 
disidratazione” dell’atleta, circostanza richiamata in sede di arringa difensiva, non rileva 
sotto il profilo in esame e cioè dell’effetto emoconcentrativo di tale disidratazione . 
Si può dedurre infatti da tutto quanto sopra richiamato che la supposta disidratazione di 
Pantani non avendo portato a una modifica degli elettroliti, e non essendo quindi 
qualificabile dal punto di vista medico come importante, non può aver determinato o 
concorso a determinare l’emoconcentrazione e quindi l’aumento dell’emocromo riscontrati 
in Pantani in data 18/10/95. 
Altra possibile causa o concausa dell’innalzamento abnorme dell’ematocrito riscontrato in 
Pantani in data 18/10/95, presa in considerazione in modo estremamente approfondito dai 
consulenti del Pubblico Ministero, è stata quella della permanenza in quota di Pantani. 
Dal 23 settembre al 10 ottobre l’atleta è stato infatti in Columbia, a un altezza di mt. 2.525 
sul livello del mare, ove si è allenato ed ha partecipato ai campionati del mondo 
classificandosi terzo. 
I consulenti del Pubblico Ministero hanno ricordato in proposito come la diminuzione della 
pressione parziale dell’ossigeno che si determina in quota cagiona un fenomeno di ipossia 
renale che stimola la liberazione di eritropoietina.
Mancando dati diretti, considerato che in Columbia o subito dopo tale permanenza non 
erano stati fatti all’atleta controlli ematologici, i predetti consulenti hanno ricostruito in via 
induttiva quali potessero essere gli effetti residuali della permanenza in altura in Pantani alla 
data del 18/10/95. 
Tale ricostruzione, riportata nella tabella 2.12, pag.34 dell’elaborato peritale, ha portato i 
consulenti a calcolare un aumento di 3 punti di ematocrito e 0,7 punti di emoglobina sulla 
base dell’applicazione agli ultimi valori ematologici rilevati in data antecedente al 
18/10/1995, e cioè quelli misurati all’atleta il 6/6/95 (sui quali più sopra il giudicante si è 
già soffermato e che, come già rilevato, sono comunque corrispondenti ai valori medi 
dell’atleta dal 1995 al 1999), delle variazioni percentuali medie dovute alla permanenza in 
altura riscontrate nelle ricerche sperimentali, in particolare quelle di Gore C et al 1998 e 
Levine Bd et al 1997, scelte dai periti dell’accusa fra tutte le ricerche pubblicate sul tema in 
sede internazionale in epoca relativamente recente come le sole utilizzabili per un raffronto 
nel caso di specie, in quanto condotte in condizioni simili e quindi correttamente 
paragonabili a quelle vissute da Pantani e cioè su atleti che avevano svolto per un periodo 
di tempo di 3-4 settimane allenamento di fondo a una quota compresa tra i 2.200 e i 3000 
metri. Il metodo con cui è stato operato tale calcolo è apparso al giudicante particolarmente 
rigoroso dal punto di vista scientifico e quindi del tutto attendibile. 
Le conclusioni cui sono giunti sul punto i consulenti del Pubblico Ministero sono per altro 
rafforzate da quanto riferito a dibattimento dal teste Faina, il quale, confermando quanto già 
dichiarato in sede di indagini preliminari, ha ricordato che, in base a uno studio 
commissionato nel 1994 dalla FIC all’Istituto di scienza della sport e all’ospedale 
Sant’Orsola di Bologna nel 1994, sugli adattamenti in quota compiuto su atleti allenatisi in 
Equador a un altitudine di mt 2.900 per un periodo variante tra i 21 giorni e il mese, i valori 
dell’ematocrito erano risultati aumentare nei primi 4-5 giorni di 3-4 punti in percentuale, 
rimanendo poi stabili nei giorni successivi. Il teste, medico sportivo, ha anche precisato che 
in base alla sua esperienza e per le sue conoscenze, nel giro di una settimana dal ritorno in 
pianura l’ematocrito si riporta ai valori e alle condizioni ante quota. 
Il teste Borchi, ex medico della nazionale ciclismo su strada, ha dichiarato che, da studi 
letti, gli risultava che l’ematocrito di atleti allenatisi all’altezza di oltre 2000 metri 
aumentava di circa 3-4 punti, senza riuscire però a precisare quali fossero i suoi parametri 
di riferimento.
Sulla succitata ricostruzione dei consulenti del Pubblico Ministero nulla ha del resto 
obiettato il prof. Tura, salvo poi dichiarare (vedi trascrizioni ud. 20/10/2000 pag. 57) che 
l’ematocrito di Pantani alla data 18/10/95 era aumentato per la permanenza in altura da 45 a 
49 punti. Il predetto consulente ha in merito asserito erroneamente che tale dato era quello 
indicato dai consulenti del Pubblico Ministero (vedi esame Tura pag. 57 trascrizioni ud. 
20/10/2000: ”Il Pantani nel settembre 1995 si reca in Columbia….in questo periodo ha 
sicuramente uno stimolo della produzione dei globuli rossi e, quindi, sposta l’ematocrito da 
45 a 49, che è quanto gli stessi periti mi concedono in questa ricostruzione”). 
Tale errato riferimento alla consulenza dei prof. Benzi e Ceci è sembrato al giudicante 
indice del fatto che l’analisi della stessa è stata fatta dai consulenti della difesa in modo non 
adeguatamente approfondito, posto che i consulenti del Pubblico Ministero hanno più volte 
ricordato, sia nell’elaborato scritto che nell’esame dibattimentale, che il ritorno in pianura 
porta a una parziale normalizzazione del quadro ematologico, specificando letteralmente a 
pag. 33 dell’elaborato peritale: ”Ciò porta criticamente a ritenere che nel periodo dal 10 al 
18 ottobre 1995 Pantani abbia diminuito da 0,4 a 0,7 punti l’eventuale innalzamento 
dell’emoglobina e da 1 a 2 punti percentuali l’eventuale incremento del valore 
dell’ematocrito determinato dalla precedente permanenza in altura in Columbia”. 
Tale considerazione, che ha determinato i consulenti del Pubblico Ministero a ritenere che 
al 18/10/95 l’innalzamento dell’ematocrito di Pantani per permanenza in altura fosse 
calcolabile non in 4 bensì in 3 punti (con consequenziale innalzamento dell’ematocrito 
dell’atleta da 45 a 48), evidente-mente è sfuggita all’attenzione del prof. Tura. 
I consulenti della difesa ritengono poi che possa aver contribuito ad alzare il livello di 
ematocrito di Pantani da un lato il trauma con frattura esposta patita dallo stesso, dall’altro 
le modalità, secondo i predetti consulenti non ottimali, con cui il prelievo del 18/10/95 è 
stato praticato (considerazioni sintetizzate nei power point prodotti dal prof. Tura a 
dibattimento, aff. 246/17 e 246/18 faldone 4). 
Quanto al primo punto il ragionamento svolto è sostanzialmente il seguente: prova della 
circostanza che Pantani era un soggetto emoconcentrato e non policitemico è data dal fatto 
che il paziente non è stato sottoposto a salasso ma emodiluito, trattamento che secondo il 
prof. Tura deve invece essere rigorosamente limitato ai soggetti emoconcentrati, giacchè la 
diluizione operata con l’infusione praticata al paziente policitemico avrebbe durata del tutto
momentanea, poiché, dopo l’eliminazione del liquido infuso, tramite diuresi, il rapporto 
plasma-globuli ritornerebbe quello di partenza . 
Su tale punto, sul quale il predetto ematologo è stato categorico (vedi elaborato scritto 
nonché trascrizioni pag. 63 ud. 20/10/2000, ove il consulente della difesa ha testualmente 
affermato: ”…è impossibile che un medico, che ha una grossa responsabilità, che si trova in 
un pronto soccorso, che si trova davanti a un policitemico che deve essere operato in tre ore, 
non lo salassi, cioè non faccia o l’eritrocitoaferosi o non faccia il doppio o triplice salasso 
che si può fare nel giro di quelle ore che sono state necessarie e che sono intercorse tra 
l’osservazione e l’intervento chirurgico“) radicali smentite sono giunte non solo dai 
consulenti del Pubblico Ministero ma anche dai dottori Vincenzo e Cartesegna, che hanno 
cooperato tra loro nell’intervento chirurgico di Pantani rispettivamente come anestesista e 
chirurgo-ortopedico, i quali hanno concordemente escluso l’opportunità di abbassare i valori 
ematologici di Pantani con un salasso anziché, come fu fatto, con un emodiluizione, 
trattandosi di un paziente sanguinante (vedi in particolare pag. 90 trascriz. ud 28/11/2000 
l’anestesista dott. Vincenzo, la quale alla domanda del giudice: ”Per abbassare questi valori-ematici, 
trattandosi di un paziente con frattura esposta, sarebbe stato indicato fare un 
salasso?” ha testualmente risposto: ”No, perché nel paziente traumatizzato non esiste che si 
faccia un salasso”). 
Ulteriore argomentazione difensiva che è necessario analizzare è la seguente: posto che 
Pantani dopo l’intervento, e precisamente alle ore 19.40, presentava un ematocrito di 42 %, 
e che tale ematocrito ha continuato a scendere nei giorni successivi sino ad arrivare al livello 
di 28 (dato di cui peraltro il prof. Tura, il quale ha presupposto che non vi fossero 
emorragie in atto, non è riuscito a dare alcuna spiegazione), è da escludersi che Pantani 
potesse essere, al momento del ricovero, policitemico, mentre bisogna concludere per il 
fatto che l’atleta, causa disidratazione e plasmorragia da trauma, fosse emoconcentrato. 
Solo quest’ultima ipotesi infatti, sempre secondo il consulente della difesa, sarebbe in grado 
di spiegare il perché, finita l’infusione, il valore dell’ematocrito non si sia rialzato ai valori 
iniziali. Riassumendo il predetto perito ha sostenuto che il 60 di ematocrito era non un 
valore reale, ma, come ben sintetizzato dalla prof. Ceci, “l’effetto ottico di una 
emoncentrazione“, ragion per cui, eliminata la componente emoconcentrazione e restituiti al 
soggetto i liquidi normali, l’ematocrito, percentuale complessiva del volume dei globuli 
rossi in una data quantità di sangue -vedi glossario aff. 244/ 254 pwer point prodotti da
Benzi e Ceci all’udienza 13/10/2000- è ritornato, tramite l’infusione di liquidi, a un valore 
normale pari a 42. 
In realtà il prof. Tura in questa sua ricostruzione, fondata sull’ipotesi di 
un’emoconcentrazione cagionata congiuntamente dai fenomeni della disidratazione e della 
plasmorraggia, da un lato non riesce a confutare validamente i ragionamenti fatti dai 
consulenti del Pubblico Ministero circa la insussistenza di un fenomeno di importante 
disidratazione, tale da comportare correlativa emoconcentrazione, dall’altro non riesce 
nemmeno a provare l’ipotesi della cosiddetta plasmoraggia, e cioè fuoriuscita dai vasi di 
solo plasma, posto che, come sottolineato dai consulenti del Pubblico Ministero (vedi 
trascrizioni pag. 33 e ss. ud. 20/10/95) all’atto del ricovero il valore delle proteine nel 
sangue di Pantani era normale, mentre la plasmorraggia comporta necessariamente una 
caduta delle proteine plasmatiche. 
Tale caduta non si è verificata né nel caso di Pantani né nel caso di Dall’Olio e Secchiari, 
che furono ricoverati assieme all’imputato e subirono come lui traumi molto rilevanti (e 
precisamente il primo la frattura scomposta pluriframmentaria del femore e il secondo 
numerose fratture scomposte alla branca ileo e ischio pubica e all’acetabolo destro). I 
suddetti traumi, pertanto, avrebbero dovuto comportare anch’essi, secondo la tesi di Tura, 
una plasmorragia e una conseguente emoconcentrazione, esclusa invece dai valori 
ematologici, risultati assolutamente nella norma, rilevati ai due atleti al momento del 
ricovero (sul punto il prof. Tura, a specifica domanda del giudice, non è stato per altro in 
grado di fornire alcun valido chiarimento, come si evince dalle trascriz. pag.204, ud. 
20/10/2000). 
La professoressa Ceci ha ulteriormente specificato (vedi trascrizioni ud. 20/10/2000 pag. 34) 
quale sia la differenza tra emorragia e plasmorraggia, chiarendo che l’evento emorragico, 
dovuto a rottura dei vasi, comporta perdita di tutte le componenti del sangue, mentre la 
cosiddetta plasmorraggia comporta “la perdita selettiva di proteine e accompagna i 
fenomeni che coinvolgono maggior-mente la permeabilità del vaso“ e si verificano in 
seguito a un fatto infiammatorio o a un fatto contusivo. Tale concetto è stato ulteriormente 
chiarito dal prof. Benzi nel seguente modo (vedi pag. 32 ud. 20/10/2000): ”Le proteine 
escono in plasmorragia con l’alterazione dei capillari“. Il predetto consulente ha poi 
precisato, rispetto al caso di specie: ”Nel post traumatico non c’è nessuna perdita di 
proteine, il plasma rimane tutto lì“, mentre un abbassamento delle proteine si ha invece in
seguito al secondo evento traumatico rappresentato appunto dall’intervento chirurgico per la 
riduzione della doppia frattura esposta, il quale ha comportato sia perdita di liquido 
plasmatico (con formazione di edema) che di sangue. Tale affermazione è effettivamente 
confortata dalla documentazione medica acquisita in atti, posto che negli esami ematologici 
fatti su prelievo delle ore 15.20, e cioè mezzora dopo il fermo corsa e prima di qualsiasi 
provvedimento terapeutico effettuato al CTO, le proteine di Pantani sono pari a 7 g/dl, 
rispetto a un range di normalità di 6,5 – 7,8 (vedi power point prodotti dai consulenti Benzi 
e Ceci all’udienza 13/10/2000 aff. 244/324 faldone 4), mentre dal prelievo effettuato il 
giorno successivo –vedi diario clinico 19/10/95 in atti– emerge un abbassamento delle 
proteine a 4.9. 
Il prof. Tura, in sede di confronto, non ha saputo validamente spiegare, a parere del giudice, 
come si potesse conciliare l’ipotesi da lui fatta di importante plasmorragia conseguente al 
trauma da incidente stradale (letteralmente il consulente a pag. 214 delle trascrizioni ud. 
20/10/2000 ha così descritto il fenomeno “se non piace il termine plasmorragia, io uso 
l’uscita di plasma e proteine dal letto ematico realizzando l’emoconcentrazione“) con il 
range di normalità della proteine totali nel sangue di Pantani all’atto del ricovero, e cioè alle 
ore 15.20. Rispetto alla succitata circostanza il consulente (vedi trascriz. pag. 141 ud. 
20/10/2000), alla domanda del giudice: ”Come spiega che Pantani avesse 7 di proteine, cioè 
delle proteine normali in presenza di plasmorragia ?” ha così risposto: ”Il plasma è uguale a 
liquidi più proteine, se lei perde plasma perde anche le proteine“. Non si comprende per 
altro come una rilevante perdita di una certa componente selettiva del sangue, quali le 
proteine plasmatiche, possa conciliarsi con il fatto che i valori relativi a tale componente 
rimangano nella norma. 
I consulenti della difesa ritengono infine, come già ricordato, nella loro ricostruzione 
alternativa a quella operata dai consulenti del Pubblico Ministero circa le cause 
dell’abnorme valore di ematocrito riscontrato a Pantani all’atto del prelievo operato il 
18/10/95 alle ore 15.20, che le modalità di prelievo siano state non ottimali e per tale 
ragione si possa presumere un aumento fittizio di tale valore di due punti (vedi trascrizioni 
pag. 60 ud 20/10/95, dove il prof. Tura ha dichiarato: ”Io non penso che nel prelievo per 
l’ematocrito non ci sia stato l’errore del 2%”, nonchè power point prodotti dalla difesa 
all’udienza 20/10/2000). Tale affermazione, pur sfumata rispetto a quella contenuta 
nell’elaborato scritto consegnato dal prof. Tura in udienza dove si parla in proposito di
“variabile in grado di influenzare il valore dell’ematocrito dell’ordine di 3-4 punti“ appare 
apodittica, assolutamente indimostrata alla luce delle risultanze probatorie acquisite. 
Il teste Stagno, sentito a dibattimento, ha dichiarato infatti di aver effettuato personalmente 
il prelievo all’atleta utilizzando il sistema Vacutainer, ed operando secondo protocollo. 
L’infermiere ha anche precisato di aver utilizzato le provette colorate deputate a raccogliere 
i campioni di sangue per l’esecuzione di tutti gli esami standard, compresi quelli 
ematochimici. Dalle dichiarazioni rese dalla dott. Carla Florio (dirigente all’epoca e a 
tuttoggi del laboratorio analisi del CTO di Torino), in fase di indagini preliminari e a 
dibattimento, si evince, a conferma di quanto dichiarato dal teste Stagno, che l’ospedale 
CTO si avvale e si avvaleva all’epoca sia per i pazienti ricoverati che per i pazienti esterni 
del sistema Vacutainer, il quale presuppone, come precisato dalla dott. Florio, l’utilizzazione 
di provette sotto vuoto con scadenza riportata su ognuna, tappo di sicurezza a colori 
differenti a seconda dei test da eseguire (il sistema è quindi di per se stesso particolarmente 
affidabile come affermato dal prof. Benzi all’udienza 13/10/2000 pag. 176 trascriz.). La 
dott. Florio ha altresì riferito sul punto (vedi trascriz. pag. 14 ud. 17/11/2000): ”Le analisi 
ematologiche vengono ripetute sistematicamente nel momento in cui il tecnico che le esegue 
si trova di fronte a un valore patologico. Inoltre le macchine usate per il conteggio 
automatico vengono controllate con un sangue apposta, detto di controllo standard, che ci 
viene fornito dalla ditta …”, precisando ulteriormente: ”l’attenzione per gli esami eseguiti in 
urgenza direi che è un pochino maggiore di quello che si fa in una routine, proprio perché è 
l’urgenza stessa che lo richiede…”. 
La teste ha infine dichiarato, su domanda del Pubblico Ministero, che i valori 
dell’emoglobina e dei globuli rossi non variano a seconda che il paziente esegua l’esame a 
stomaco pieno o vuoto, ed anche tale punto è significativo, posto che i dubbi sollevati dai 
consulenti della difesa circa il corretto esito dell’analisi ematica apparivano motivati anche 
dal fatto che il paziente alle ore 15.20 presumibilmente non era a stomaco vuoto. 
E’ stata acquisita pertanto nel corso dell’istruttoria dibattimentale ampia rassicurazione 
sulla qualità della metodologia con cui nel 1995 si eseguivano i prelievi e si effettuavano le 
analisi del sangue presso il CTO di Torino, noto e accreditato ospedale, dotato di pronto 
soccorso ortopedico grandi traumi e quindi particolarmente attrezzato a trattare urgenze 
quali quella in esame (vedi sul punto deposizione Stagno).
Correttamente hanno poi osservato i consulenti del Pubblico Ministero che non vi è alcuna 
ragione per ritenere eseguito non a regola d’arte un prelievo che ha dato come esito analitico 
per Pantani un profilo ematologico alterato, evidenziando però al contempo valori 
ematochimici perfettamente nella norma, poiché è logico pensare che se il prelievo non 
fosse stato correttamente eseguito anche tali valori sarebbero risultati alterati. 
Perfettamente nella norma sono risultati del resto anche tutti i valori ematologici di 
Secchiari e Dall’Olio, parimenti gravemente traumatizzati come Pantani, ricoverati quasi 
contestualmente all’imputato nello stesso ospedale, e quindi presumibilmente sottoposti a 
un prelievo di sangue effettuato con analoghe modalità . 
Sul punto la stessa dott. Fiorio in sede di dichiarazioni rese al Pubblico Ministero in data 
22/12/99 ha testualmente affermato: ”Con riferimento agli esami ematologici e 
ematochimici di Marco Pantani refertati alle ore 15.42 del 18/10/95 posso precisare che i 
valori ematochimici riscontrati, rientrando nei limiti di normalità, garantiscono 
verosimilmente una buona qualità del prelievo eseguito”. 
Esaurito l’esame critico delle obiezioni mosse dai consulenti della difesa alle 
argomentazioni svolte dai professori Benzi e Ceci per escludere possibili cause atte a 
giustificare gli abnormi valori ematologici riscontrati a Pantani, alternative alla 
somministrazione esogena di eritropoietina, debbono ora essere esaminate le conclusioni 
cui sono pervenuti i consulenti del Pubblico Ministero . 
Dopo aver escluso che i valori ematologici di Pantani, così come riscontrati il 18/10/95, 
all’ingresso in ospedale del paziente, avessero avuto origine nelle cause succitate, dopo 
aver cioè escluso patologie policitemiche, situazioni genetiche, condizioni di disidratazione, 
condizioni derivanti da adattamento all’altura, i periti hanno concluso che la abnorme 
situazione ematologica riscontrata a Pantani il 18/10/95 fosse dovuta a una stimolazione 
farmacologica del midollo eritroide. 
Tale giudizio è stato ulteriormente validato da ulteriori considerazioni medico 
farmacologiche, fondate sulla comparazione dei dati ematologici dell’atleta così come 
rilevati presso il CTO di Torino con i dati, , definenti il caratteristico profilo ematologico 
dell’assuntore di eritropoietina, presentati da uno studio recente, condotto da Dine G. nel 
1999 e pubblicato sulla rivista Hematologica di tale anno, compiuto su un numero 
consistente di atleti che avevano confessato di aver assunto elevate dosi di eritropoietina.
I parametri da considerare secondo lo studio di Dine G. sono otto, nel cui ambito il variare 
contestuale al di sopra di una soglia stabilita inerente contemporanea-mente almeno tre 
degli stessi è indice di pregressa assunzione di eritropoietina. 
Fondamentale viene ritenuto in tale ricerca il dato indicatore della ferritinemia. 
Gli sportivi che prendono farmaci stimolanti l’eritropoiesi, infatti, hanno sempre, come 
sopra già ricordato, una massiccia supplementazione di ferro sia allo scopo di eludere una 
caduta dei valori della ferritinemia per incrementata formazione di emoglobina, sia per 
evitare che i globuli rossi formatisi in seguito alla sollecitazione eritropoietica siano 
ipocromici, abbiano cioè un ridotto contenuto di ferro al loro interno e quindi non svolgano 
la funzione di trasporto di gas cui la loro produzione, esogenamente stimolata, è finalizzata. 
La circostanza del necessario abbinamento epo-ferro, peraltro non contestata dai consulenti 
della difesa, è stata approfonditamente analizzata dai consulenti del Pubblico Ministero. Gli 
stessi, a riprova di quanto affermato, hanno prodotto la scheda tecnica dell’eritropoietina, 
nella quale è scritto espressamente che l’inizio della terapia con eritropoietina può essere 
fatto solo se i dati di ferro di deposito che già ha l’individuo sono sufficientemente buoni, e 
comunque sempre somministrando ferro insieme all’eritropoietina (vedi sul punto scheda 
tecnica in atti e dichiarazioni rese dalla dott. Ceci pag. 214 trascriz. ud 13/10/2000; il prof. 
Benzi ha in proposito altresì sottolineato come anche nel lavoro sperimentale 
sull’assunzione di Epo cui hanno fatto riferimento i consulenti della difesa, quello avente 
come capofila Parisotto, la somministrazione, in via sperimentale, di eritropoietina, è 
sempre stata associata alla somministrazione di ferro per via intramuscolare o orale -vedi 
trascrizioni ud. 20/10/2000, pag. 185-). 
Nell’ambito dei parametri ematici evidenziati da G. Dine, nello studio sopraindicato, come 
indicatori di trattamento con epo, i consulenti del Pubblico Ministero ne hanno isolati ben 
cinque contemporaneamente fuori norma, così come dimostrato dalle analisi ematiche fatte 
a Pantani al momento del ricovero presso il CTO di Torino il 18/10/95 (per quanto concerne 
il valore inerente la ferritinemia, lo stesso, in verità, è stato rilevato successivamente, nelle 
analisi fatte in data 27/10/95, ma è comunque validamente utilizzabile come parametro non 
trattandosi di valore suscettibile di improvvise significative oscillazioni nel breve periodo, 
dato quest’ultimo su cui vi è accordo tra tutti i consulenti). 
I cinque valori contemporaneamente fuori norma sono i globuli rossi a 6,69, di fronte a un 
valore limite individuato di 5,5; il volume di distribuzione percentuale a 17,4, di fronte a un
valore limite di 15; l’emoglobina a 20,8, di fronte a un valore limite di 16,5; l’ematocrito a 
60,1 di fronte a un valore limite di 47 e la ferritinemia a 1.500, di fronte a un valore limite 
di 500 (vedi in particolare trascrizioni udienza 20/10/2000, pag. 191). 
Quanto alla ferritinemia, ha rilevato la difesa in sede di arringa che tale valore non sarebbe 
attendibile poiché la misurazione fu fatta al paziente dopo che, come si evince dalla terapia 
effettuata durante il ricovero (vedi aff. 262/48 e ss. faldone 5, cartella clinica in originale in 
atti), Pantani, nei giorni antecedenti alla misurazione del succitato valore, fu sottoposto a 
somministrazione di ferro. 
Questo dato non è a parere del giudicante significativo giacchè (vedi tabella 2.3 pag.18 
elaborato peritale Benzi e Ceci), la ferritinemia di Pantani, come dimostrano i dati 
emergenti dalle cartelle cliniche della F.C.I dal 95 al 99, si è sempre aggirata su una media 
pari a 940, con un valore quindi quasi doppio al parametro limite di 500 indicato da G. Dine 
nello studio sopraindicato. 
In data 27/10/95 tale valore è comunque giunto addirittura, come visto, a 1500. 
Evidentemente su tale ulteriore aumento, che ha portato la ferretinemia dell’atleta 
addirittura “fuori scala”, ha inciso la somministrazione di ferro fatta in ospedale al 
paziente, senza che fosse stato previamente accertato il bisogno di tale somministrazione. 
Un importantissimo elemento a convalida dell’argomentare dei consulenti del Pubblico 
Ministero è fornito poi dal seguente riscontro, più sopra già richiamato: in data 1/5/95, due 
giorni prima l’inizio del giro d’Italia, Pantani durante un allenamento e ad appena 30 Km 
dalla propria abitazione, precisamente in Santarcangelo, è stato vittima di un incidente 
stradale. 
In tale occasione, in assenza di qualsiasi possibile residuale effetto da permanenza in quota 
o da disidratazione da sforzo, l’atleta, che era in fase di riscaldamento, ricoverato al Pronto 
Soccorso dell’Ospedale di Rimini risultò avere (vedi sul punto documentazione medica in 
atti) i seguenti valori ematologici: 57,6 di ematocrito, 6 milioni di globuli rossi, 18/,2 di 
emoglobina (valori dunque simili a quelli riscontrati in Torino il 18/10/95 e simili anche a 
quelli riscontrati all’atleta, come sopra già ricordato, il 5/6/99 in Madonna di Campiglio 
durante il giro d’Italia del 1999, laddove la percentuale di ematocrito rilevata, pari al 52 %, 
era parimenti fuori norma sia rispetto ai valori di ematocrito congeniti dell’atleta sia 
rispetto alla soglia di pericolo individuata dai regolamenti medico sportivi).
Tale innalzamento dell’ematocrito accertato nel corso di una stagione agonistica è 
certamente confermativo del fatto che l’origine di tale alterazione sia da addebitarsi al 
ricorso ripetitivo a una stimolazione esogena con farmaci eritropoietinici, farmaci assunti 
appunto in prossimità di importanti gare per incrementare, come ben spiegato dal 
consulente prof. Benzi (vedi pag. 136 e ss. trascr. ud. 13/10/2000) la prestazione di fondo 
dell’atleta tramite l’aumento di globuli rossi normocromici circolanti con consequenziale 
incremento del trasporto di ossigeno ai muscoli, e traduzione da parte di questi ultimi della 
tale maggior quantità di ossigeno circolante in aumento di energia. 
Sul punto il consulente della difesa Tura (vedi trascrizioni ud. 20/10/2000), ha ribattuto 
sostenendo che per identificare l’eritropoiesi stimolata si dovesse far capo ai parametri 
indicati da Parisotto (vedi studio sopra richiamato), e cioè l’ematocrito, il valore dei 
reticolociti, il dosaggio dell’eritropoietina, il dosaggio dell’emoglobina e il volume 
corpuscolare medio, asserendo che, avendo i consulenti del Pubblico Ministero considerato 
tra questi solo due parametri e cioè l’ematocrito e l’aumento dell’emoglobina, gli stessi non 
erano giunti a conclusioni scientificamente attendibili. 
Prescindendo dal dato dell’impossibilità per i consulenti del Pubblico Ministero di prendere 
in esame dati non presenti nella documentazione medica acquisita in atti, come appunto i 
reticolociti e il volume corpuscolare medio, appare al giudice decisivo elemento che 
testimonia il rigore e la validità scientifica delle valutazioni peritale svolte dai consulenti 
Benzi e Ceci, e quindi l’attendibilità delle conclusioni cui gli stessi sono giunti, la 
circostanza che i predetti per comparare il profilo ematologico di Pantani abbiano scelto i 
parametri, individuati da G. Dine e sopraindicati, emergenti dall’unico studio recente, 
accreditato su una rivista internazionale prestigiosa, a tuttoggi compiuto su un campione di 
atleti professionisti, in tutto, e cioè sia per condizioni psicofisiche che per presumibile 
modalità temporale e quantità di assunzione di eritropietina, assimilabili a Pantani, atleti che 
hanno confessato di aver a lungo assunto epo, “che si riempiono di ferro e 
contemporaneamente di eritropoietina, per i quali paradossalmente diventa il ferro 
l’indicatore” (vedi trascrizioni Benzi pag. 188 e 189 ud. 20/10/2000). 
In questo senso i dati di ferritinemia di Pantani, più sopra già richiamati, con varie punte 
oltre il valore mille e un valore medio di 940, rispetto a un valori normali che variano da 18 
a 370 ng/ml, sono davvero impressionanti.
Dell’origine di tali valori di ferritinemia, per altro giudicati abnormi dallo stesso prof. Tura, 
il predetto consulente della difesa non ha saputo fornire alcuna valida spiegazione 
alternativa rispetto a quella individuata dai consulenti del Pubblico Ministero, così come 
non ha saputo confutare efficacemente, a parere del giudice, la attendibilità scientifica dello 
studio di G.Dine cui si sono richiamati i consulenti del Pubblico Ministero. 
Quanto alla ferritinemia di Pantani Tura ha affermato testualmente (vedi pag. 128 trascr. ud. 
20/10/2000): “Un individuo, chiamiamolo Marco Pantani in questo momento qui, anche due 
o tre anni fa, ha assunto del ferro non perché stava pigliando Epo, ma perché c’è stato un 
errore diagnostico, per una sua condizione ematologica, gli sono state fatte 20 fiale di ferro 
in endovena e lui mantiene due grammi di ferro nei depositi con una ferritinemia di 1000” 
-affermazione quest’ultima del tutto indimostrata e palesemente inconciliabile con 
l’oscillazione e crescita negli anni della ferritinemia di Pantani – vedi il valore di 1163 del 
28/10/99, il valore di 1133 del 30/6/99 rispetto al valore di 850 del 21/5/97-, nonché 
incompatibile con il fatto che tale atleta era perennemente seguito da un nutrito staff 
medico, il quale non avrebbe potuto compiere, reiteratamente, l’errore sopra ventilato dal 
prof. Tura . 
Quanto poi allo studio di Gerard Dine il suddetto perito ha dichiarato (vedi pag. 199 trascr. 
ud. 20/10/2000) che non riteneva validi i parametri ivi indicati: ”Perché la fisiologia dice 
che l’aumento della ferritina e l’aumento di globuli rossi non è quello che documenta una 
eritropoiesi stimolata”, dimenticando così, che l’aumento della ferritinemia è stato 
descritto dai suoi contraddittori oltre che dal succitato studioso G. Dine come conseguenza 
non della somministrazione di epo ma della contestuale e inevitabile somministrazione di 
ferro, che sempre accompagna il trattamento con eritropoietina. 
La scelta dei consulenti della difesa di ritenere unici parametri scientifici indicativi di 
assunzione di epo quelli indicati nello studio di Parisotto sopra richiamato e non quelli 
indicati nello studio di G. Dine, appare in definitiva strumentale a una messa in discussione 
a tutti i costi dell’attendibilità del lavoro dei consulenti del Pubblico Ministero, posto che 
rispetto ai parametri indicati da Parisotto solo l’emoglobina e l’emocromo erano utilizzabili 
da questi ultimi, non essendo stati gli altri valori, indicati nella ricerca succitata, rilevati 
all’atleta al momento del ricovero. 
A prescindere dal fatto che emoglobina e emocromo sono, ai fini dello accertamento di una 
somministrazione esogena di epo, parametri comunque di estrema significatività,
soprattutto alla luce dell’esclusione di altre cause che abbiano cagionato l’abnorme 
innalzamento di tali valori, vi è inoltre da rilevare che il campione studiato da Parisotto nel 
caso di specie non era validamente utilizzabile dal punto di vista scientifico, come si evince 
da quanto sostenuto dal Prof. Benzi a pag.186 delle trascriz. ud. 20/10/2000 (non contestato 
per altro dai consulenti della difesa), giacchè il campione su cui Parisotto e i suoi colleghi 
hanno compiuto la ricerca succitata è rappresentato da soggetti non atleti ai quali, per 
periodi limitati, è stata somministrata una quantità di eritropoietina e di ferro modesta, 
tant’è che all’esito della somministrazione i valori di ferritina dei soggetti sottoposti alla 
somministrazione risulta pari a 120-130. Si tratta in sostanza di soggetti e valori 
astralmente lontani dall’atleta Pantani e dai valori allo stesso riscontrati (si pensi solo al 
fatto, più volte già ricordato, che la ferritina di Pantani si è aggirata negli anni 1995-1999 
intorno ai 1000 nanogrammi per millilitro). 
In conclusione il giudicante, dopo aver criticamente valutato le risultanze peritali dei 
consulenti del Pubblico Ministero e le obiezioni alle stesse mosse dai consulenti della difesa 
ritiene di dover prestare piena adesione alle conclusioni cui sono pervenuti i professori 
Benzi e Ceci, ritenendole affidabili per il rigore logico argomentativo che le ha supportate, 
per l’evidente approfondito studio che le ha precedute, perché infine non risulta in alcun 
modo dimostrata, anche all’esito del confronto tra periti disposto dal giudice, l'idoneità delle 
obiezioni mosse dai consulenti della difesa a mettere in discussione l’attendibilità scientifica 
del ragionamento peritale accusatorio. 
Vi è infine da rilevare, a riprova della fondatezza della valutazione più sopra espressa da 
questo giudice, quanto segue: mentre l’ipotesi dei consulenti della difesa, e cioè quella di 
un soggetto emoconcentrato reidratato, non affetto da eventi emorragici, non spiega in alcun 
modo il decorso clinico di Pantani dal punto di vista ematologico, poiché se, come 
sottolineato dalla prof. Ceci pag. 153 trascriz. ud. 20/10/2000, la correzione dell’ematocrito 
fosse stata affidata solo alla diluizione una volta ritrovato il valore normale lo stesso 
avrebbe dovuto permanere inalterato con il passare delle ore e dei giorni, fatto che invece 
non si è verificato (in proposito, alla domanda del giudice: ”Secondo lei perché Pantani ha 
avuto valori progressivamente calanti di emoglobina e di ematocrito a tal punto da porne in 
pericolo la vita ?…”, il prof. Tura ha letteralmente risposto: ”Lei ha focalizzato bene solo 
che non lo sappiamo mica …” - vedi trascrizioni pag. 78 ud. 20/10/2000), la ricostruzione 
medica fatta dai prof. Benzi e Ceci offre invece una spiegazione coerente ed esaustiva di
tutto il decorso clinico del paziente, dal momento del ricovero alla sua dimissione. La stessa 
si può così riassumere: Pantani è un soggetto politraumatizzato che presenta all’ingresso 
una moderata emorragia, che è poi proseguita per tutta la durata del decorso clinico, 
svuotando piano piano le sue riserve (così prof. Ceci pag. 153 trascr. ud. 20/10/2000) e 
portando così a valori ematologici francamente patologici. Tale ricostruzione è stata 
esplicitata in sede di controesame dei predetti periti e di confronto tra gli stessi e i 
consulenti della difesa, all’udienza 20/10/2000, giacchè nella prima udienza, svoltasi il 
13/10/2000, i professori Benzi e Ceci si sono limitati a ad esporre analiticamente la 
risposta da loro stessi fornita ai quesiti posti dal Pubblico Ministero delle indagini 
preliminari, i quali non comprende-vano una valutazione del decorso clinico del paziente. 
Le considerazioni esposte dai consulenti del Pubblico Ministero sul punto trovano conforto 
nelle risultanze probatorie, testimoniali e documentali. 
Una emorraggia del paziente è stata infatti ipotizzata anche dal prof. Potema (vedi 
dichiarazioni rese dal predetto in sede di indagini preliminari in data 15/9/99, acquisite in 
atti all’aff. 27/1 faldone 1), il quale, in una data compresa tra il 25 e il 28 ottobre, su 
richiesta del medico sportivo Grazzi, visitò Pantani presso il CTO ove l’atleta era 
ricoverato e parlò con il primario Cartesegna. Quest’ultimo, a suo dire, “gli descrisse il 
caso ed espresse il concetto che si potesse trattare di una anemia post emorragica”. Potema, 
per altro, ha affermato nelle sommarie informazioni sopra richiamate, in relazione alla 
brusca caduta dei valori emoglobinici di Pantani: ”Una tale caduta non poteva essere 
giustificata se non da un fatto emorragico importante e ciò era testimoniato anche dal valore 
del volume globulare...". 
Anche la dott. Fiorio ha espresso il suo parere sul punto dichiarando a dibattimento: ”Dopo 
l’intervento -Pantani- aveva perso evidentemente del sangue e si era anemizzato. Questo è 
quello che ricordo come la cosa più eclatante …ho visto la cartella…suppongo che avesse 
perso del sangue perché uno, in un intervento chirurgico di quella portata, di sicuro doveva 
secondo me, con quei valori, aver avuto una sorta di emorragia “ (vedi trascr. pag. 13 e 15 
ud. 17/11/2000). 
Ancor più precisi sono stati in proposito il dott. Cacaci, ortopedico che assieme al primario 
Cartesegna operò Pantani e l’anestesista Vincenzo, i quali all’udienza 28/11/00 hanno 
dichiarato che Pantani presentava un sanguinamento del canale midollare dell’osso 
fratturato non violento ma continuo, tale da portare nel tempo, attraverso un perdurante
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Sentenza pantani

  • 1. Motivazione L’odierna imputazione trae origine dal seguente fatto: in data 18/10/95 alle ore 15 il corridore professionista Marco Pantani durante lo svolgimento della gara ciclistica Milano- Torino entrava in collisione con un automezzo (vedi segnalazione di incidente stradale Polizia Municipale Torino 14/11/95 aff. 3/38 faldone 1). Nel sinistro venivano coinvolti anche i corridori Secchiari Francesco e Dall’Olio Davide, che riportavano le ferite descritte nelle rispettive cartelle cliniche, acquisite in atti. Trasportato presso il Pronto Soccorso del Centro Traumatologico Ortopedico di Torino Pantani veniva ricoverato con la seguente diagnosi: “frattura esposta pluriframmentaria tibia e perone sinistro, ematoma post-traumatico coscia sinistra, contusioni multiple escoriate “. Allo scopo di sottoporre in tempi rapidi il ferito ad intervento chirurgico per riduzione ed osteosintesi della frattura, all’atto del ricovero lo stesso veniva sottoposto a un prelievo di sangue . Dal referto ematologico in atti, rilasciato alle ore 15.20 (vedi aff. 2/13 faldone 1), si evinceva che Patani presentava valori ematologici profondamente alterati rispetto al range di normalità, e precisamente 60,1% di ematocrito, 20,8 gr. per 100 millilitri di emoglobina, 6.690.000 di globuli rossi per millimetro cubo. Tali valori rendevano necessaria prima dell’intervento un’infusione di tre litri di soluzione fisiologica, elettrolitica bilanciata, glucosata ed emogel per via venosa (vedi sul punto spiegazione Benzi pag. 68 trascr. ud. 13/10/2000). Il paziente veniva perfuso con tale soluzione (ulteriori 2,5 litri) per altre 16 ore susseguenti all’intervento e precisamente sino alle ore 16 del giorno successivo. Un ulteriore esame ematologico eseguito alle ore 19.40 dello stesso giorno, mentre era ancora in corso la trasfusione del sangue, evidenziava i seguenti valori: 42.3 di ematocrito, 14,6 di emoglobina e 4.730.000 di globuli rossi. Nei giorni successivi Pantani evidenziava una crescente anemizzazione che ne metteva in pericolo la stessa vita (sul punto tutti i consulenti sono stati concordi) e portava lo staff medico curante, in data 25/10/95, di fronte a un valore di emoglobina di 5.8 e a un ematocrito di 15.9, a sottoporre il paziente a una trasfusione di sangue. In seguito ad indagini particolarmente articolate ed approfondite e all’esperimento di una complessa consulenza tecnica il Pubblico Ministero di Torino dott. Raffaele Guariniello,
  • 2. ritenendo che i succitati abnormi valori ematologici riscontrati all’atleta al momento del ricovero presso il CTO di Torino fossero dovuti all’assunzione di medicamenti atti a stimolare l’eritropoiesi in vista della gara Milano-Torino 1995 e più complessivamente delle competizioni da svolgersi in quella stagione agonistica, al fine di potenziare fraudolentemente il proprio rendimento in gara, elevava nei confronti di Pantani l’imputazione di cui all’art.1 L. 401/89. I difensori dell’imputato depositavano alla Procura di Torino istanza di trasmissione degli atti al Pubblico Ministero di Forlì, rigettata dal dott. Guariniello ma accolta, su ricorso della difesa, dalla Suprema Corte. Il Procuratore di Forlì avanzava richiesta di archiviazione del procedimento, la quale veniva rigettata dal Gip di Forlì dott. Leoni che restituiva gli atti al PM per l’esercizio dell’azione penale. A dibattimento Marco Pantani rimaneva contumace. Preliminarmente la difesa chiedeva al giudice di assolvere l’imputato ex art. 129 cpp sostenendo che il fatto ascritto allo stesso non era previsto dalla legge penale come reato. Il Pubblico Ministero aderiva a tale richiesta. Il giudice pronunciava l’ordinanza in atti, la cui motivazione deve intendersi qui richiamata, con la quale rigettava l’istanza e disponeva procedersi oltre. Le parti concordavano ex art. 493/3 cpp l’acquisizione al fascicolo del dibattimento delle sommarie informazioni rese in fase di indagini preliminari dai seguenti testi, con la documentazione allegata in tale sede da ciascuno degli stessi: Aiello Giacomo, Cerutti Gian Carlo, Standali Marcello, Lavarda Angelo, Massaro Anna, Castellardo Carmine, Cannavò Candido, Grazi Giovanni, Mazzoni Gianni, Rempi Roberto, Borghi Remo, Pierfederici Marco Tonino, Forconi Riccardo, Ferrari Chiara, Falai Giovanni, Secchiari Francesco, Dall’Olio Davide, Pitrolo Guglielmo, Tarsi Daniele, Potena Alfredo, Levi Marco, Tredici Giovanni, Magdani Marco, Martinelli Luigi, Piutti Gilda, Salsano Anna, Rossi Paolo, Grosso, Flavio, Imbesi Carmela, Caronne Marcello, Vanni Federica, Bufalo Ivan, Carboinella Angelo, Vincenzo Ida Emilia, Cartesegna Massimo, Cacaci Francesco, Gandolfi Carmen, Giugiaro Pier Mario, Palumbo Antonio, Willy Voet, Inselvini Umberto, Dei Cas Stefano, Pizzini Leone, Stagno Davide, Giancarlo Gamberini, Mecca Isabella, Pagliarini Eddi, Busi Alessandro, Scalia Margherita, Fanini Ivano, Capiello Enrico, Griffero Rita, Vincenzo Ida Emilia, Schattemberg Leo Bernard Josef Antoine.
  • 3. Ex artt. 493/3 le parti concordavano altresì per l’acquisizione al fascicolo del dibattimento della refertazione medica inerente il ricovero di Marco Pantani presso l’Ospedale di Rimini avvenuto in data 1/5/95. Nell’istruttoria dibattimentale veniva acquisita svariata documentazione, prodotta da PM e difesa. A dibattimento venivano sentiti altresì i consulenti del Pubblico Ministero prof. Benzi e prof. Ceci, i consulenti della difesa prof. Tura e prof. Froldi (tra i quali, all’esito dei rispettivi esami, veniva disposto dal giudice un confronto), i seguenti testi la cui audizione era chiesta dal Pubblico Ministero: Dall’Olio Davide, Cacaci Francesco, Pizzini Leone, Tarsi Daniele, Borchi Remo, Fiorio Carla, Faina Marcello, Stagno Davide, nonché Rempi Roberto, il quale ultimo veniva esaminato quale imputato di procedimento connesso ai sensi dell’art. 210 cpp e si avvaleva della facoltà di non rispondere, i seguenti testi chiesti sia dal Pubblico Ministero che dalla difesa: Vincenzo Ida Emilia, Cartesegna Massimo e Grazi Giovanni, il quale ultimo veniva esaminato anch’esso ex art. 210 cpp quale imputato di procedimento connesso e si avvaleva della facoltà di non rispondere, nonché i seguenti testi chiesti dalla difesa: Giugiaro Pier Mario e Palumbo Antonio. In data 6/11/2000 i difensori dell’imputato depositavano fuori udienza dichiarazione di ricusazione di questo giudice per valutazioni dallo stesso espresse nell’ordinanza pronunciata all’udienza 20/10/2000, con cui venivano rigettate alcune istanze istruttorie avanzate dalla difesa. All’udienza 10/11/2000 il giudicante si asteneva dal proseguire l’istruttoria dibattimentale in attesa della decisione della Corte d'Appello di Bologna. In data 14/11/2000 la predetta Corte dichiarava inammissibile l’istanza di ricusazione formulata dalla difesa per tardività della stessa, precisando però che il giudizio di valore espresso da questo magistrato non implicava affatto una indebita manifestazione del convincimento sui fatti oggetto dell’imputazione, e motivando nel merito tale valutazione. Avverso la suddetta ordinanza la difesa proponeva ricorso per Cassazione, sul quale la Suprema Corte non si era ancora pronunciata nel momento in cui veniva depositata questa sentenza. All’udienza 11/12/00, prima della discussione, la difesa produceva scritto autografo dell’imputato con il quale lo stesso si rivolgeva al Giudice asserendo di non essersi mai sottoposto a pratiche dopanti con uso di eritropoietina o di altri prodotti vietati e citando, a
  • 4. conferma di ciò, il fatto che, di fronte agli innumerevoli controlli antidoping previsti a tutela dell’atleta dai regolamenti sportivi, cui nell’arco della sua carriera era stato sottoposto, non era mai risultato positivo. All’esito del dibattimento PM e difesa concludevano come in atti. Questo Giudice decideva come da dispositivo. Nel merito si osserva quanto segue. Preliminarmente è necessario affrontare il problema relativo all’interpretazione del disposto normativo richiamato in imputazione, al fine di chiarire se esso comprenda o meno tra i comportamenti illeciti ivi sanzionati il cosiddetto doping autogeno e cioè l’assunzione da parte dell’atleta, partecipante a una gara, di prodotti farmacologici destinati a migliorare artificiosamente la propria prestazione agonistica. La norma si articola nella previsione di due distinte condotte criminose: la prima configura una vera e propria istigazione alla corruzione in ambito sportivo, concretizzantesi nella promessa o offerta di denaro o di altra utilità o vantaggio formulate a favore di taluno dei partecipanti a una competizione sportiva organizzata dal CONI, dall’U.N.I.R.E. o da altri enti sportivi riconosciuti dallo Stato e dalle associazioni ad essi aderenti, al fine di ottenere il raggiungimento di un risultato diverso da quello conseguente al leale svolgimento della competizione, la seconda prevede una condotta, residuale e onnicomprensiva, che si sostanzia in qualsiasi altro atto fraudolento idoneo a minare la correttezza di una competizione sportiva rientrante tra quelle sopraindicate, e ad alterarne potenzialmente il risultato finale. Entrambe le condotte debbono quindi essere finalisticamente orientate e cioè caratterizzate dal dolo specifico del raggiungimento di un risultato diverso da quello che sarebbe conseguito al corretto e leale svolgimento di una competizione sportiva. Il principale problema ermeneutico che si pone in relazione alla succitata norma è quello dell’individuazione del soggetto attivo del reato, giacchè l’art.1 L.401/89, pur delineando due distinte condotte criminose, si rivolge a un solo soggetto definito come “chiunque”. La giurisprudenza, nelle esigue pronunce reperibili sul punto, si è divisa, ritenendo in via maggioritaria – in tal senso si è tra l’altro espressa anche la Suprema Corte, intervenuta in merito con un’unica sentenza – che autore del reato di cui alla norma succitata possa essere soltanto un soggetto estraneo alla competizione sportiva, sulla base del seguente ragionamento: poichè la prima modalità commissiva del reato delineata dal predetto articolo prevede che il partecipante alla gara sia il destinatario dell’offerta o della promessa e vede
  • 5. quindi quest’ultimo come soggetto ricevente l’offerta e non già come autore del reato (tant’è che il secondo comma della norma in esame disegna un’autonoma ipotesi di reato nel caso in cui il partecipante alla gara accetti l’offerta del corruttore) e poichè la seconda condotta criminosa prevista dal primo comma dell’art.1 L. 401/89 deve essere considerata come una modalità sussidiaria azionabile astrattamente dallo stesso soggetto autore della corruzione sportiva, necessariamente estraneo alla gara, ne discende che il compimento di altri atti fraudolenti non possa vedere il partecipante come autore della condotta criminosa ma esclusivamente come vittima della stessa (vedi Gip Pretura Roma, sent. Del 21/2/1992, Giudice Monastero; Pretore Trento, sentenza del 24/5/93, Giudice Serao; Cass. Pen. Sez. 6, sent. 03011 del 26/3/96, ud. 25/1/96) . La giurisprudenza che invece, in via minoritaria, si è espressa sul punto in modo difforme, ha ritenuto che il succitato articolo 1/1 L.401/89 contempli una disposizione a più norme (e non, come afferma il Gip Pretura Roma Monastero nella sent. del 21/2/1992 sopracitata “una norma a più fattispecie”) una delle quali, e specificatamente quella relativa al compimento di “altri atti fraudolenti “ volti al conseguimento di “un risultato diverso da quello conseguente al corretto e leale svolgimento della competizione“, veda come potenziale soggetto attivo, ricompreso nel generico “chiunque”, anche il solo atleta partecipante alla gara (vedi Gip Pretura Circondariale Roma sentenza a seguito di giudizio abbreviato del 7/1/93, nonché ordinanza GIP Forlì del 20/4/2000, la quale, rigettando la richiesta di archiviazione del procedimento n. 1038/00 a carico di Pantani Marco e ordinando al PM di esercitare l’azione penale, ha dato origine al presente processo). A parere di questo giudice il dato puramente lessicale non è risolutivo per escludere la punibilità del partecipante alla gara che compia, da solo o in concorso con altri, atti fraudolenti, giacchè così come si può sostenere che la connessione letterale tra le due disposizioni ha carattere funzionale ed opera in termini di “sussidiarietà residuale per la seconda modalità e cioè gli altri atti fraudolenti”, come sostiene , in dottrina, Tullio Padovani (vedi commento all’art.1 –Frode in competizioni sportive- La legislazione penale,1990,fasc.1-2, pt. 2, pag. 91-96), ugualmente può ragionevolmente affermarsi che il legislatore non ha ripetuto il “chiunque“ che regge la prima parte del primo comma della norma in esame per mere ragioni sintattiche, considerazione dalla quale discende la seguente conseguenza: in base al disposto normativo può ragionevolmente ritenersi punibile
  • 6. anche “chiunque”- compreso l’atleta- “compia altri atti fraudolenti (espressione di per se stessa onnicomprensiva), diversi dall’offerta o promessa di denaro”. A favore di quest’ultima interpretazione si può per altro osservare che se il legislatore avesse inteso indicare con l’espressione “chiunque” un unico soggetto attivo per tutte e due le condotte criminose previste dalla norma, e cioè l’offrire denaro o altra utilità e il compiere altri atti fraudolenti, non avrebbe previsto due distinte ipotesi che appaiono disgiuntive cioè coprenti due campi non necessariamente coincidenti, tanto più che non vi era alcuna difficoltà sintattica ad aggiungere anche la seconda proposizione, concernente il compimento di altri atti fraudolenti, nel primo periodo del primo comma dell’art. 1 L.401/89, formulando la norma come segue: ”Chiunque offre o promette denaro o altra utilità …ovvero compie altri atti fraudolenti al fine di raggiungere un risultato diverso da quello conseguente…” . E’ del pari dubbio che, come sostenuto ad esempio dal Pretore di Roma, sent. del 21/2/1992 sopracitata, possa validamente restringere l’ampio significato del pronome indefinito “chiunque” il riferimento al disposto del secondo comma dell’articolo in esame, “il quale- secondo uno schema ricorrente nei delitti “di istigazione”- adempie unicamente alla funzione di estendere le pene previste per l’ ”istigatore” a colui che, aderendo alle sue illecite profferte, si inserisca volontariamente nel disegno criminoso …”, come osservato, correttamente a parere di questo giudice, da parte della dottrina (vedi Roberto Borgonovo in Archivio penale 492 pag. 610-626). In mancanza, infatti, della previsione del secondo comma dell’art.1 L.401/89, il partecipante destinatario dell’offerta che abbia accettato la stessa non potrebbe essere punito, essendo la condotta criminosa delineata con il termine ” chiunque offre “ e non potendosi pertanto, attesa la dizione letterale della norma, applicare l’art. 110 cp per raggiungere il sopraindicato fine di estensione della punibilità. Quanto poi all’equazione operata dalla Suprema Corte sintetizzabile nella seguente proposizione: “rapporto sinallagmatico uguale necessario coinvolgi-mento di un extraneus e pertanto non punibilità dell’atto fraudolento compiuto dal partecipante alla gara“, ritiene questo giudicante, in accordo con quanto osservato dal GIP sede nell’ordinanza del 20/4/2000, in atti, che tale ragionamento sia apodittico e non trovi riscontro nella lettera della legge, posto che la stessa attività di corruzione e cioè l’offerta al partecipante di denaro o altra utilità ben può essere posta in essere da un altro partecipante alla
  • 7. competizione (si pensi al caso di un atleta che, in discipline come il tennis e la boxe, offra denaro all’avversario perché si lasci battere) . L’incertezza in cui lascia l’interprete un’esegesi puramente letterale della norma impone pertanto, alla luce del disposto dell’art. 12 preleggi, non “essendo palese il significato delle parole secondo la loro connessione”, l’esame dell’intenzione del legislatore. La Corte Suprema nella sentenza sopracitata desume in proposito dai lavori preparatori e dall’intestazione stessa della L. 401/89, nonché dalle norme in essa raccolte “volte tutte ad evitare l’irruzione nel mondo dello sport dell’attività di gioco e di scommesse clandestine “ che “l’ambito di applicazione della legge in esame non si estenda ai fenomeni autogeni di doping, che trovano adeguata sanzione negli ordinamenti sportivi”. L’intestazione della predetta legge abbina gli “interventi nel settore del giuoco e delle scommesse clandestini“ alla “tutela della correttezza nell’ambito delle competizioni agonistiche”, e l’ampiezza di tale intestazione ben può pertanto lasciare spazio all’individuazione di più oggetti giuridici tutelati dalla normativa in esame e cioè non solo quello della correttezza del risultato di una competizione collegata a concorsi e scommesse, con dimensione offensiva essenzialmente di natura patrimoniale, ma anche quello della salvaguardia nel campo dello sport della correttezza nello svolgimento delle competizioni agonistiche, intesa come corrispondenza al dettato dell’etica sportiva. Rileva poi il giudicante che dalla lettura dei lavori preparatori della legge in esame non si evince come unica ratio quella indicata dalla Suprema Corte. In sede deliberante della Commissione Giustizia del Senato (seduta del 9/11/89, in cui l’art. 1 del disegno di legge in oggetto è stato approvato), il relatore Gallo, riferendo sui lavori del comitato ristretto ha osservato: ”…al comma 1- dell’art.1- si è ritoccata l’impostazione di fondo, per cui il perno di quel testo risiede non tanto e non solo nella mera persecuzione delle scommesse clandestine, a tutela di quelle lecite, quanto principalmente nell’esigenza di garantire il corretto e leale svolgimento delle competizioni sportive col punire le forme di frode nelle medesime competizioni”. Anche analizzando il dibattito parlamentare che condusse all’approvazione del disegno di legge di iniziativa governativa, ultimo di una serie di proposte succedutesi nelle varie legislature, è possibile individuare ulteriori spunti che evidenziano l’esigenza di assicurare, con la nuova figura criminosa, un’efficace tutela penalistica della correttezza e lealtà delle gare agonistiche complessivamente intese.
  • 8. In sede legislativa presso la Commissione Giustizia della Camera, ad esempio, e cioè nella seduta del 21/9/88, il parlamentare Forleo, esprimendo l’assenso del proprio gruppo a licenziare nel più breve tempo possibile il disegno di legge in esame, indicando gli obiettivi sottesi al suddetto provvedimento ha affermato: “Ritengo che il principale di essi sia quello di salvaguardare l’ambiente sportivo e la possibilità di esercitare le varie discipline in condizioni di normalità. La formulazione della norma (che identifica nella frode una fattispecie un po’ atipica del nostro ordinamento) è indubbiamente originale. E’ vero infatti che uno degli obiettivi è reprimere tali frodi, ma vi è anche la necessità di esercitare un’azione di prevenzione e di salvaguardia dell’attività sportiva“. Quanto poi alla necessaria sinallagmaticità dell’attività fraudolenta sanzionata dalla norma, così come individuata dalla Suprema Corte nella pronuncia sopra citata, con inevitabile coinvolgimento in tale attività fraudolenta di due soggetti e cioè un extraneus e un partecipante alla gara, va rilevato come proprio nella seduta 21/9/88, sopracitata, il parlamentare Mastrantuono ha affermato: “Credo pertanto che il disegno di legge elaborato dal Governo – poi divenuto Legge 401/89 - costituisca un punto di partenza per pervenire in tempo utile all’approvazione di una normativa di carattere organico, volta a preservare le manifestazioni sportive da fenomeni degenerativi individuali e collettivi“, espressione, quest’ultima, certamente non conciliabile con l’interpretazione della “voluntas legis“ operata dalla Suprema Corte. (Vedi Lavori preparatori alla Legge 13/12/89 n.401, Camera dei deputati, Servizio studi del Dipartimento Giustizia, luglio 1999). Né il fatto che la norma protegga non la correttezza dell’attività sportiva in quanto tale ma la sola correttezza dell'attività sportiva esplicantesi sotto la tutela di un ente pubblico può essere inteso a parere di questo giudice come una conferma del fatto che l’oggetto giuridico tutelato dalla legge in esame sia essenzialmente di tipo economico, posto che, come acutamente osserva Tullio Padovani nella nota più sopra citata “…Appare del tutto plausibile che la tutela si rivolga soltanto alle competizioni sportive pubbliche. L’importanza ch’esse assumono proprio perché svolte nel contesto organizzativo pubblico, se da un lato incrementa l’aspettativa di correttezza, dall’altro la qualifica in termini di rilevanza giuridica: com’è ovvio, ciascun partecipante o ciascuno spettatore di una gara svolta sotto l’egida di un ente pubblico si attende legittimamente che il suo svolgimento corrisponda puntualmente alle norme dell’etica sportiva”.
  • 9. Se poi il profilo di tutela della norma in esame fosse esclusivamente quello di salvaguardare l’interesse al corretto andamento dei concorsi pronostici mediante la sottoposizione a sanzione penale della sola condotta fraudolenta tenuta da soggetti estranei alla competizione sportiva, con l’eventuale collaborazione dei partecipanti alla gara, al fine di indirizzare la competizione verso un esito prestabilito per procurarsi indebite vincite in scommesse e concorsi pronostici clandestini ad essa collegati, non avrebbe ragion d’essere il disposto di cui al terzo comma dell’art. 1 L.401/89, dove è prevista come aggravante speciale proprio la circostanza che il risultato della competizione sia “influente ai fini dello svolgimento di concorsi pronostici e scommesse regolarmente esercitate”, il che dimostra a parere di questo giudice, in accordo con quanto sostenuto da Borgonovo nell’op. sopracitata, che l’oggetto giuridico tutelato dal primo comma della norma in esame è più ampio. Se in definitiva l’analisi della ratio legis così come sopra operata porta ad individuare i beni giuridici tutelati dalla norma in esame nella intrinseca correttezza e lealtà delle competizioni sportive oltre che nell’interesse al corretto andamento dei concorsi pronostici (in sintonia per altro con quanto affermato in via maggioritaria dalla dottrina), è evidente che ledono o mettono in pericolo tali oggetti giuridici tutte le condotte dirette ad alterare con la frode il risultato della competizione sia che provengano da soggetti estranei alla gara sia che provengano dagli stessi partecipanti ad essa. Correttamente evidenzia in proposito un autore (vedi Vidiri, Frode sportiva e repressione del gioco e delle scommesse clandestine, La Giustizia Penale 1992, parte seconda pag. 648 e ss.) che non risponde ad alcuna accettabile logica considerare sanzionabili con severità comportamenti messi in atto dagli “esterni” alla competizione e negare di contro analoga reattività da parte dell’ordinamento statale in presenza di condotte implicanti certamente un maggior tasso di pericolosità sociale, per provenire da soggetti che, prendendo parte alla gara, sono in grado, più di ogni altro, di influenzarne il regolare svolgimento e lo stesso esito finale . Va infine sottolineato che l’esclusione di questi ultimi, posto che nulla si oppone sul piano testuale e sistematico a che anche l’atleta possa essere autore del reato di “frode in competizioni agonistiche”, comporterebbe tra l’altro una violazione del principio fondamentale di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge dettato dall’art. 3 della Costituzione.
  • 10. Manca infatti una esplicita esclusione da parte del legislatore della punibilità dell’atleta dopato, supportata per esempio dalla considerazione di quest’ultimo quale vittima o anello debole della catena (scelta che invece il Parlamento ha esplicitamente effettuato, nel caso dei reati di sfruttamento della prostituzione e spaccio di sostanze stupefacenti, nei confronti delle prostitute e dei consumatori di sostanza stupefacente, i quali non sono stati ritenuti passibili di sanzione penale dal legislatore). Quanto poi alla previsione di cui all’art. 5 L.401/89, da cui entrambe le parti processuali hanno tratto argomenti per desumere la non applicabilità dell’art. 1 L.401/89 all’ipotesi del doping autogeno dell’atleta, rileva il giudicante che le pene accessorie ivi previste sono all’evidenza alternative tra loro e tra di esse quella del divieto temporaneo di accedere a luoghi ove si svolgono competizioni agonistiche ben può essere logicamente applicata all’atleta che, avendo praticato doping autogeno al fine di alterare il corretto svolgimento di una competizione agonistica, ha tradito lo spirito di correttezza e lealtà che deve animare il mondo dello sport e per tale ragione legittimamente viene temporaneamente allontanato dall’ambiente sportivo. Restano da ultimo da prendere in considerazione le comprensibili perplessità destate in alcuni interpreti della norma in esame dalla mancata individuazione, in sede di lavori preparatori della legge 401/89, del contrasto al doping quale obiettivo, sia pure secondario, del disposto normativo . Al fine di contestualizzare tale articolo di legge, per giungere a un interpretazione congruente con la realtà su cui lo stesso è destinato ad incidere, va rilevato in proposito come probabilmente il doping non è stato oggetto di specifico dibattito nel corso dei lavori preparatori della L. 401/89 perché all’epoca il fenomeno non era esteso in modo così allarmante come nella realtà contemporanea, nella quale può sicuramente essere definito, attese le dimensioni assunte a livello mondiale, soprattutto in settori come l’atletica e il ciclismo, come il problema più importante dello sport, così grave da minarne credibilità e valori. Si pensi, per rimanere al caso concreto in esame, che, stando a stime riportate dal giornalista Morbello (vedi Giorgio Morbello, Il pusher nello spogliatoio, in Narcomafie, settembre 1998 pag. 6 e ss. del dossier doping), l’eritropoietina, a detta del succitato giornalista avente un fatturato pari a quello del quarto o quinto farmaco al mondo, per il 93 % non sarebbe utilizzata per i fini terapeutici per i quali era stata creata, e cioè per
  • 11. aumentare nei pazienti malati di tumore o sottoposti a dialisi la capacità del sangue di trasportare ossigeno, ma bensì per migliorare la resistenza alla fatica in discipline sportive aerobiche come il ciclismo, l’atletica, lo sci di fondo. I consulenti del Pubblico Ministero hanno fornito sul punto dati ancor più precisi ed allarmanti. All’udienza 13/10/2000 (vedi trascrizioni pag. 188 e ss.) gli stessi hanno precisato che l’eritropoietina, inizialmente considerato “farmaco orfano” perché utilizzato per patologie numericamente limitate (“anemia in corso di nefropatia grave, anemia in corso di trattamento con particolari medicamenti antitumorali, preparazione ad interventi chirurgici d’elezione e non d’urgenza in soggetti modicamente anemizzati“) è oggi il numero tre come volume di vendita in tutto il mondo“. I consulenti hanno poi riferito che in base a un’indagine fatta dal Ministero della Sanità (su iniziativa per altro della prof. Ceci, che, come da lei dichiarato a pag. 216 trascr. ud 13/10/2000, ha lavorato come esperta della Commissione Sanità del Senato per la elaborazione del testo di legge anti-doping di recente approvazione) nel 1998 tale farmaco è risultato il quindicesimo come fonte di spesa del servizio sanitario nazionale mentre nel 1999 è passato addirittura al tredicesimo posto, con una escalation non indifferente. Tale dato va drammaticamente associato alla seguente ulteriore circostanza: ben il 50% di tutta la quantità di eritropoietina che, in base ai dati forniti dalle case farmaceutiche produttrici, è stata venduta in Italia non è stato registrata negli appositi registri tenuti dall’Asl e dagli Ospedali e pertanto, non risultando a carico del sistema sanitario nazionale, va a sommarsi alla quantità di epo indicata nel paragrafo che precede. Se si pensa che, come specificato dai consulenti del Pubblico Ministero, le indicazioni per tale farmaco si limitano a malattie rare è quindi evidente che un consumo così ampio di eritropoietina si giustifica solo con un massiccio utiliz-zo fattone dagli atleti, professionisti e non, al fine di aumentare i globuli rossi circolanti e quindi apportare più ossigeno ai muscoli, con aumento della erogazione del processo aerobico e quindi della prestazione di fondo (vedi dichiarazioni prof. Benzi pag. 136 ud. 13/10/2000). Questa constatazione è allarmante, sol che si rifletta sui gravissimi danni alla salute che provoca l’assunzione prolungata di epo, nelle dosi che solitamente prendono gli atleti per accrescere il proprio rendimento agonistico (il prof. Benzi -vedi trascr. ud. 13/10/2000 pag. 143 e trascriz. pag. 191 e ss ud. 20/10/2000- ha infatti spiegato in proposito che solo sopra
  • 12. la soglia del 50 % di ematocrito la quantità di ossigeno che viene trasportata è significativamente diversa da quella normalmente veicolata dal sangue, ragion per cui le dosi di epo assunte dagli atleti per incrementare la loro prestazione agonistica sono sempre massicce). Dando l’imprinting per i globuli rossi, la assunzione di epo, come ben spiegato dai consulenti del Pubblico Ministero, va sempre accompagnata a somministrazione di ferro, per evitare la messa in circolo di globuli rossi ipocromici, i quali non svolgerebbero utilmente la funzione di maggior trasporto di ossigeno (vedi trascrizioni ud.13/10/2000 pag. 162). Il ferro però permane nell’organismo, si deposita nei tessuti, in particolare pancreas e fegato, cagionando gravissimi danni epatici. La prof. Ceci all’udienza 13/10/2000 trascriz. pag. 163 ha in merito affermato: ”queste sono persone che vivono meno, muoiono precocemente per cirrosi ed anche tumore epatico “. Altri gravissimi rischi per la salute nascono dal fatto che l’aumento dell’ematocrito provocato con somministrazione esogena di epo, rendendo il sangue più denso, contrasta la tendenza dell’organismo umano, sotto sforzo, ad operare una emodiluizione “naturale”, al fine di salvaguardare il flusso cerebrale del sangue. Come spiegato dal prof. Benzi (vedi trascr. ud 13/10/2000 pag. 145), sotto sforzo aumentano le resistenze nel cervello, in particolare nelle zone profonde, e l’organismo si difende diluendo (il predetto consulente ha specificato sul punto che il soggetto sotto sforzo, da studi compiuti, risulta avere nelle zone profonde del cervello ematocrito pari al 28 %, 29%, 30 %, mentre perifericamente ha un ematocrito pari al 45%). E’ intuibile comprendere quali immensi rischi possa avere per il flusso cerebrale l’artificioso contrasto di quella che il prof. Benzi ha definito “l’arma dell’emodiluizione”. Proprio alla luce del dilagare della piaga doping il nostro legislatore ha recentissimamente approntato una tutela ben più incisiva rispetto a quella dettata dalla L. 1099 del 1971 nonché dall’art. 1 L.401/89, mediante la legge intitolata: ”Disciplina della tutela sanitaria delle attività sportiva e della lotta contro il doping”, approvata in via definitiva dal Senato il 16/11/2000 e non ancora pubblicata, nella quale sono previste pesanti sanzioni penali (reclusione da tre mesi a tre anni e multa da 5 milioni a 100 milioni) non solo per chi offre (come invece disponeva la normativa originariamente approvata dal Senato), ma anche per chi assume sostanze dopanti al fine di alterare la prestazione atletica agonistica. Quanto alla succitata L. n.1099/71, dedicata alla “Tutela sanitaria dell’attività sportiva”, la stessa, all’art. 3/1, sanziona la condotta degli “atleti partecipanti a competizioni sportive che impiegano, al fine di modificare artificialmente le proprie energie naturali, sostanze che
  • 13. possono risultare nocive per la loro salute”, prevedendo quale sanzione la sola ammenda. La norma risulta però depenalizzata ai sensi della legge 689/81. In epoca precedente all’approvazione della “Disciplina della tutela sanitaria delle attività sportive e della lotta contro il doping” vi era chi interpretava il mancato raccordo tra la L. 1099/71 e la L.401/89 come indizio della volontà del legisla-tore di escludere, al di là del profilo relativo alla tutela sanitaria dell’atleta, ogni ulteriore rilevanza penalistica al fenomeno del doping. Ritiene questo giudicante che, nonostante l’innegabile mancanza di un opportuno coordinamento tra le normative sopra indicate, la succitata interpre-tazione non fosse da condividersi posto che le due normative hanno oggetti giuridici palesemente diversi. La legge del 1971 tutela infatti l’interesse collettivo alla salvaguardia dell’integrità fisica di quanti si dedicano alla pratica sportiva. E’ volta pertanto a sanzionare la pratica del doping essenzialmente nell’ottica dei rischi per l’incolumità dello sportivo e la sua ratio bene è stata individuata dalla dottrina in quella di “salvaguardare la stessa funzione sociale della pratica sportiva inconciliabile con il ricorso a sostanze capaci di incidere in termini negativi sulle doti fisiche e morali di quanti si dedicano a pratiche sportive“ (vedi Guido Vidiri, Il doping tra normativa sportiva e ordinamento statale, il Foro Italiano 1991, fasc.4, pagg.225,230). Il reato di frode nelle competizioni sportive, reato plurioffensivo, mira invece, come sopra già sottolineato, ad approntare una difesa contro la slealtà sportiva complessivamente intesa, sul presupposto che l’atleta che pone in essere una attività fraudolenta per alterare l’esito della gara (comprendendosi in quest’ambito anche l’alterazione chimica della capacità di prestazione dello sportivo) danneggia l’immagine dello sport agendo in modo moralmente scorretto verso tutti gli altri protagonisti dell’attività sportiva agonistica, inclusi i tifosi che la seguono. L’oggetto giuridico tutelato da quest’ultima normativa è dunque non l’integrità psicofisica degli atleti ma la “genuinità del risultato sportivo”. Né si può desumere dall’approvazione della recentissima legge sulla “disciplina della tutela sanitaria delle attività sportive e della lotta contro il doping” la precedente non punibilità del doping autogeno, ai sensi del disposto di cui all’art. 1 L.401/89, posto che l’intervento innovativo del legislatore è stato appunto ispirato, oltre che dal fine di fare ulteriore chiarezza in una materia particolarmente contorta, che ha dato origine, come sopra evidenziato, a contrasti interpretativi a tuttoggi non risolti, dall’esigenza di sanzionare più
  • 14. pesantemente di quanto non facessero le norme previgenti (compreso l’art. 1 L.401/89) i fenomeni di fraudolenta alterazione dell’esito della gara mediante doping dello sportivo partecipante alla stessa, i quali, come già ricordato, sempre più pesantemente avvelenano il mondo dello sport e pongono in serio pericolo la salute degli atleti. Va infine affrontato un ultimo problema interpretativo e cioè se l’assunzione di sostanze “dopanti“ da parte dell’atleta impegnato in una competizione integri o meno il requisito della “fraudolenza“ che sostanzia la modalità alternativa della condotta prevista dall’art. 1 L.401/89, circostanza quest’ultima fin qui presupposta dal giudicante, ma che necessita di un approfondimento specifico . Posto che secondo lo schema prefigurato dalla L.401/89 (vedi in particolare art. 2 della predetta legge) i rapporti tra l’ordinamento sportivo e quello statale risultano ispirati alla libera autodeterminazione di ciascuno di essi in ordine alla rilevanza da attribuire ai vari comportamenti, fondamentale diviene il compito di individuazione della linea di confine tra illecito sportivo e frode sportiva penalmente sanzionata. Ritiene questo giudice condivisibile, in via interpretativa, quanto sostenuto sul punto dalla maggior parte della dottrina (vedi ad esempio Vidiri, La frode sportiva: soggetti e condotta del reato – art.1 L 401/89, Rivista di diritto sportivo 1992, fasc.1, pag. 129-134) e cioè che la condotta penalmente sanzionata non possa consistere in una mera violazione delle regole del gioco, sanzionabile tuttalpiù dall’ordinamento sportivo, ma debba sostanziarsi in un “quid pluris”, in un artificio, che operi sulla realtà esterna modificandola, “fraudolentemente” appunto, al fine di alterare lo svolgimento normale di una competizione sportiva. E ciò sulla base dell’interpretazione del termine “fraudolentemente“, utilizzato dal legislatore nella norma in esame, così come esplicitata dal Gip sede, il quale, nell’ordinanza 20/4/2000, in atti, pienamente condivisa sul punto da questo giudice, rifacendosi alla nozione di “artifici” emergente dalla più recente giurisprudenza della Suprema Corte, ha precisato che: ”Non realizzano una frode …i casi…in cui la violazione delle norme sportive è immediatamente rilevabile ictu oculi, oppure attraverso il diretto controllo della sussistenza dei requisiti o la diretta applicazione di canoni e misure, senza la mediazione di un’indagine su pratiche o espedienti simulatori o dissimulatori” mentre “rientra nella categoria dei mezzi fraudolenti il doping, che è un espediente occulto per simulare, e quindi
  • 15. far risultare artificiosamente, una capacità di prestazione che non risponde a quella reale dell’atleta”. Essendo innegabile che l’assunzione di una sostanza dopante costituisce un “artificio idoneo a snaturare la correttezza della competizione sportiva e ad alterarne potenzialmente il risultato finale“, questo giudice ritiene in definitiva che il cosiddetto doping autogeno posto in essere dall’atleta, da solo o in concorso con il soggetto fornitore della sostanza dopante, al fine di alterare l’esito naturale di una competizione agonistica configuri, indipendentemente dall’effettivo raggiungimento di tale obiettivo, il delitto di cui all’art. 1 L.401/89. Tale norma disegna infatti un reato “attraverso il quale il legislatore ha voluto esprimere una tutela avanzata al bene (inteso qui in senso lato) della correttezza nello svolgimento delle competizioni agonistiche, senza tuttavia richiedere il concreto verificarsi di un evento lesivo dello stesso bene“ (così testualmente Umberto Izzo, Quando l’atleta è in ritiro: il soggetto attivo e l’elemento soggettivo del reato di frode in competizioni sportive, Rivista di diritto sportivo 1993, fasc. 2 e 3, pag. 507-512). L’atleta cioè che si sottopone in vista di una stagione agonistica o frazione di stagione agonistica a un trattamento farmacologico dopante, in quanto tale certamente migliorativo della propria capacità di prestazione in gara, commette il reato in oggetto (sussumibile, essendo l’elemento oggettivo dello stesso costituito da “atti diretti a“, nella categoria dei reati a consumazione anticipata), indipendentemente dall’effettiva incidenza che la capacità di prestazione “potenziata” dal trattamento dopante avrà in concreto sull’esito della o delle gare alle quali l’atleta si era prefisso di partecipare e abbia poi in concreto partecipato. Quanto alla pretesa mancanza di tassatività della norma in oggetto così interpretata e della potenziale incostituzionalità della stessa ex art. 25 Cost., eccepita dalla difesa in sede di arringa, questo giudice osserva quanto segue. Talvolta accade che la legge penale non tipicizzi in modo diretto e compiuto il reato ma si limiti a richiamare, come nel caso della norma indicata in rubrica, modi sociali di comportamento. E’ il cosiddetto ricorso a “elementi vaghi della fattispecie”, che il Pagliaro (vedi voce Legge penale, in Enciclopedia del diritto) così definisce: ”quei contrassegni che definiscono il fatto non in maniera perfettamente netta, né secondo linee determinabili con sicurezza, ma si giovano piuttosto di modi di pensare o di esprimersi che sono propri dell’uso comune, ma
  • 16. non possono essere definiti nei dettagli con mezzi naturalistici “. Tra gli esempi di tali elementi vaghi Pagliaro cita appunto gli “artifici o raggiri“, quali elementi essenziali della truffa. Nella categoria succitata vanno senz’altro ricompresi anche “gli atti fraudolenti” menzionati nella norma oggi ascritta all’odierno imputato . Tale espressione non contrasta a parere del giudicante con il principio di legalità essendo facilmente interpretabile secondo il significato umano e sociale che è insito nella stessa e la determina, e presupponendosi inoltre, atteso il disvalore insito nel dolo di una condotta diretta ad immutare la realtà per uno scopo tipizzato, una rapporto di maggiore consapevolezza da parte dell’autore di tale condotta del disvalore della stessa rispetto al soggetto attivo di altre fattispecie criminose, descritte con elementi ugualmente elastici ma non caratterizzati dalla frode. Il consociato che pone in essere una certa condotta precisamente connotata dall’immutare un elemento della realtà al fine specifico di alterare artificiosamente l’esito di una gara sportiva sarà perfettamente in grado di valutare (anche per la certa consapevolezza di chi è interno al mondo dello sport dei meccanismi e regole che lo dominano) se la propria condotta comporti o meno la commissione di un atto fraudolento, cosiccome il giudice che dovrà decidere se la predetta condotta corrisponda o meno alla figura legislativa potrà limitarsi a espletare una semplice operazione interpretativa, non fondata sull’arbitrio ma sul significato che il termine “atti fraudolenti” ha nell’uso comune. Il giudicante ritiene pertanto che il precetto legislativo di cui all’art. 1 L.401/89 non contrasti con il principio costituzionale di legalità essendo la norma perfettamente intelleggibile e interpretabile in base al significato umano e sociale della condotta criminosa ivi descritta. L’eccezione di incostituzionalità della norma sollevata dalla difesa deve ritenersi dunque manifestamente infondata. Dopo aver analizzato il problema della qualificazione giuridica dell’autodoping dell’atleta chi scrive ritiene di dover affrontare il tema probatorio centrale in questo processo e cioè quello inerente la sussistenza o meno della prova circa l’assunzione esogena di eritropoietina da parte dell’imputato in epoca precedente alla gara Milano-Torino del 18/10/95, e in vista della stessa, allo scopo di alterarne frudolentemente il risultato.
  • 17. Fondamentale è a questo proposito l’analisi del contributo scientifico portato in questo processo dai consulenti delle parti, con considerazioni che si sono venute approfondendo e precisando nel corso del dibattimento attraverso i complessi esame, controesame e confronto tra gli stessi espletati in tale sede. Questo giudice ritiene di muovere dall’analisi di quanto riferito dai consulenti del Pubblico Ministero, integrando la ricostruzione logica scientifica effettuata dagli stessi con gli apportati offerti all’istruttoria dibattimentale dal testimoniale, generalmente composto anch’esso da testi cosiddetti qualificati, in prevalenza medici, in quanto l’analisi del contributo fornito dai consulenti della difesa, più frammentario e concretizzatosi in una serie di critiche volte a mettere in discussione l’argomentare dei consulenti della pubblica accusa, ha come presupposto logico la previa esposizione del ragionamento logico-scientifico svolto da questi ultimi. I professori Benzi e Ceci hanno utilizzato nella loro consulenza un approccio indiretto che ha portato ad individuare con precisione la causa dell’abnorme aumento del numero di globuli rossi riscontrato a Pantani in data 18/10/95, all’atto del ricovero presso il CTO di Torino, all’esito di un lungo percorso articolatosi nell’analitico esame di tutte le possibili cause del succitato innalzamento, alternative al trattamento con farmaci eritropoietici. La qualificazione dei consulenti, docenti universitari, Benzi di farmacologia e Ceci di ematologia pediatrica, è sembrata al giudicante molto alta, anche per l’esperienza specifica e pluriennale di entrambi nell’ambito dei problemi di biologia, farmacologia e ematologia nel mondo degli atleti, attestata anche dal fatto che tutti e due i consulenti, per anni e sino al mese di ottobre 2000, sono stati componenti della Commissione Scientifica antidoping del CONI, e, per quanto riguarda la prof. Ceci, la stessa è stata esperta della Commissione Sanità del Senato in relazione all’elaborazione della già citata legge, cosiddetta “antidoping”, di recentissima approvazione. L’interesse scientifico specifico da parte dei consulenti e la loro competenza circa le caratteristiche fisiologiche e biochimiche degli atleti di alto livello e la conseguente particolare attendibilità del loro elaborato peritale, sono attestati anche dal fatto che gli studi sperimentali richiamati in consulenza e i dati utilizzati per le comparazioni hanno come campione analizzato atleti di alto livello e non soggetti comuni, cioè non atleti. Tale specifica competenza inerente il settore degli atleti si è mostrata invece assente nei consulenti della difesa, dato quest’ultimo confermato all’udienza 20/10/2000 dallo stesso
  • 18. prof. Tura il quale, a domanda del giudice, ha testualmente risposto: ”Dipende lo sport come viene fatto. Io non ho notizie, non sono un uomo che si interessa dello sport“. Tornando all’esposizione del ragionamento peritale svolto dai consulenti del Pubblico Ministero, va ricordato come gli stessi hanno preso le mosse dall’evidenziazione dell’abnormità dei valori ematologici riscontrati a Pantani nel prelievo delle ore 15.20 del 18/10/95, sia rispetto ai valori medi rilevati su atleti di alto livello dal CONI e dall’U.C.I. negli anni 1998-1999 (vedi tabella 1.1 riportata a pag. 6 dell’elaborato scritto depositato in atti dai consulenti, dove si ricava che il valore medio di ematocrito per i ciclisti si attesta sul 44,6 %, quello di emoglobina intorno al 15 e quello di globuli rossi intorno ai 4,85 milioni) sia rispetto agli stessi valori medi dell’atleta, emergenti dai dati forniti, per l’arco temporale 1995- 1999, essenzialmente dai medici della F.C.I. Grazzi e Rempi, tramite le cartelle cliniche della F.C.I. (vedi tabella 1.2 pag.8 dell’elaborato scritto e aff. 244/271 power point proiettati dai consulenti in sede di esame all’udienza 13/10/2000, faldone 4, nonché tabella 2.3 pag. 18 dell’elaborato peritale) da cui si evince che il valore medio di ematocrito dello stesso Pantani era intorno al 45, i globuli rossi 4,94 milioni, l’emoglobina 15,2 (dati questi ultimi che escludono pertanto che i valori ematologici riscontrati a Pantani in data 18/10/95 fossero congeniti). Osserva il giudice in proposito che i valori sulla base dei quali sono state calcolate tali medie sono stati ricavati da un lato dai dati forniti da fonti ufficiali come il Coni e l’UCI, inerenti una popolazione di atleti-ciclisti di alto livello, e quindi correttamente paragonati a Pantani, dall’altro, per quanto concerne i valori ematologici inerenti lo stesso imputato, dai dati forniti dagli stessi medici sportivi dell’atleta, provenienti da laboratori pubblicamente riconosciuti, tra i quali sono compresi anche quegli stessi laboratori UCI che hanno analizzato i valori ematologici degli altri atleti sopraindicati. Quanto alla validità del valore di ematocrito pari a 45 ed emoglobina pari a 15,2 corrispondente al prelievo effettuato dal dott. Grazi il 6/6/95 (vedi sempre tabella 2.3 pag. 18 elaborato peritale Benzi e Ceci), messa in discussione dai legali della difesa in seda di arringa, attesa l’imputazione di cui al capo o) dell’avviso di chiusura indagini preliminari Procura di Ferrara emesso a carico anche del Grazi (prodotto in atti aff. 260/12 faldone 4), in cui il predetto medico è imputato di aver fatto false attestazioni nella cartella clinica della Federazione Ciclistica Italiana di Pantani Marco, da cui sono stati estrapolati i succitati valori , osserva il giudicante quanto segue: da una parte si può osservare che i valori
  • 19. ematologici rilevati il 6/6/95 rappresentano solo uno tra i tanti parametri ematologici misurati a Pantani tra il 1995 e 1999, in base ai quali sono stati elaborati i valori medi dell’atleta sopra elencati, dall’altra parte è anche logico pensare che se effettivamente il dott. Grazi ha falsificato i dati ematologici di Pantani nel giugno 1995, stagione di gara, così come imputatogli dal magistrato di Ferrara, ciò significa che il medico sportivo doveva coprire, tramite falsificazione delle cartelle FIC, i reali valori ematologici di Pantani, evidente-mente particolarmente elevati in quel periodo a causa di una stimolazione farmacologica (come sembrano attestare, del resto, anche gli elevatissimi valori ematologici riscontrati nell’incidente occorso a Pantani in Santarcangelo appena un mese prima del giugno 1995, a distanza di due giorni dall’inizio del giro d’Italia, evento che verrà più oltre preso in esame) poiché se tali valori ematologici non si fossero abnormemente alzati per stimolazione farmacologica ma per altre cause non ci sarebbe stato alcun bisogno per il medico di nascondere artificiosamente tale dato. Tornando al giudizio di abnormità circa i valori ematologici riscontrati a Pantani il 18/10/95, tale valutazione è confermata in atti dalle dichiarazioni rese in data 17/6/99 avanti al PM Guariniello dal dott. Palumbo (ematologo che, in data 26/10/95, fu chiamato per un consulto su Pantani), il quale ha in tale sede testualmente affermato: ”Un paziente che presenta un ematocrito di 60.1 è da considerarsi al di fuori dei limiti della norma, anche per uno sportivo…un valore di ematocrito di questo tipo non è compatibile in una persona sana ed è invece compatibile con un quadro di policitemia primaria o secondaria o con trattamento farmacologico”. Che cosa ha dunque determinato il succitato innalzamento dei valori ematologici di Pantani? I consulenti del Pubblico Ministero escludono che lo stesso sia stato causato o concausato dalla disidratazione dovuta all’impegno agonistico profuso dall’atleta nella gara ciclistica Milano-Torino, e ciò sulla base di una motivazione estrema-mente argomentata e approfondita, il cui nucleo centrale, a parere del giudicante, è rappresentato dal fatto che tale disidratazione è esclusa in radice dai referti biochimico clinici (vedi elaborato scritto pag.16, tabella 2.1, nonché dichiarazioni rese sul punto dai periti sia all’udienza 13/10/2000 che 20/10/2000). Come ben spiegato dai professori Benzi e Ceci e confermato in atti anche dalle dichiarazioni rese dalla dott. Vincenzo sia in fase di indagini preliminari (in data 5/7/99) che
  • 20. a dibattimento (vedi trascr. ud. 28/11/2000 pag. 94), la disidratazione porta necessariamente a una alterazione dei valori ematochimici . Attraverso la sudorazione si perde infatti, come chiarito dalla prof. Ceci, più liquido che ioni (e cioè sodio, potassio ecc.). Per cui all’interno di un sangue disidratato così come si trovano più globuli rossi si trovano anche più ioni, dato quest’ultimo non presente nel sangue di Pantani. Il prof. Benzi ha ulteriormente specificato che anche la creatinina, espulsa solo tramite le vie urinarie, non può non aumentare in percentuale nel soggetto disidratato, nel quale si ha sempre una contrazione della diuresi, mentre tale ultimo valore dall’analisi chimica effettuata sul campione di sangue prelevato a Pantani alle ore 15.20 del 18/10/95 era risultato nella norma. Tutte le rimanenti considerazioni svolte dai suddetti consulenti, e cioè la avvenuta dispersione del calore durante la gara essenzialmente per convezione, trattandosi di una corsa in linea svolta in condizioni di fresco (tra i 7 e i 19 gradi), l’avvenuto regolare rifornimento idrico in gara (dato quest’ultimo confermato a dibattimento dai testi Dall’Olio e Pizzini), l’osservazione clinica che all’atto del ricovero ha fatto definire nella cartella anestesiologica alla dottoressa Vincenzo l’aspetto del paziente come “normale” (vedi documentazione medica in atti), le dichiarazioni rese in data 5/7/99, più sopra già richiamate, dalla dott. Vincenzo, nelle quali l’anestesista ha precisato di aver ipotizzato una disidratazione di Pantani all’atto del ricovero sulla sola base degli alti valori ematici e non di dati clinici ed ematochimici, le dichiarazioni rese dal chirurgo che operò Pantani, Cartesegna, in data 16/6/99, avanti al Pubblico Ministero che condusse le indagini preliminari, laddove lo stesso ha chiarito che il giudizio formulato con l’anestesista Vincenzo di un’eventuale disidratazione in atto era ipotetico e non era stato “suggerito da una qualsiasi realtà clinica”, sono tutte circostanze significative di per se stesse ma che di fronte a una risposta certa già fornita sul punto disidratazione dai valori ematochimici nella norma, così come rilevati a Pantani al momento del ricovero, possono ritenersi non fondamentali se non come conferma del dato sopra evidenziato. Per quanto concerne il referto di tali esami ematochimici, che porta l’indicazione delle ore 15.54 e la data 18/10/95, lo stesso è riportato nella cartella clinica inerente il ricovero di Pantani (vedi aff. 2/57, faldone 1, cartella in copia e aff. 262/9 faldone 5 cartella in originale), contrariamente alla prassi, su un foglio volante non spillato assieme agli altri
  • 21. esami. Il 12/6/99, data in cui la cartella in originale è stata consegnata alla Procura della Repubblica di Torino –come si evince dal verbale di acquisizione in atti– tale referto non era rintracciabile nella stessa, come riferito all’udienza 28/11/00 dal consulente Benzi, che ha precisato che il succitato documento è stato reperito e consegnato successivamente dalla dott. Fiorio. Quest’ultima circostanza è documentalmente attestata dal verbale di consegna di tale referto datato 19/7/99, presente in atti all’aff. 45/1 faldone 2, laddove la dott. Florio così dichiara: ”Produco copia degli esami ematochimici effettuati in urgenza il giorno 18/10/95 sul paziente Marco Pantani presenti in cartella, ed inoltre la stampa dal nostro archivio informatico -esami di routine- nel periodo 19/10/95 sino al 27/10/95“. Copia del succitato referto è inserita anche -vedi aff. 63/123 faldone 3- all’interno della pratica assicurativa relativa al sinistro occorso in data 18/10/95 a Pantani, acquisita dalla PG della Procura di Torino in data 22/9/99 presso la Reale Assicurazione e consegnata alla predetta assicurazione da Pantani o da chi agiva nel suo interesse presumibilmente nel novembre 1995, come si evince dall’ultimo atto di tale cartella, presente nell’originale cartaceo, così come acquisito dalla Procura di Torino presso la Reale assicurazioni, che è stato consegnato in udienza dibattimentale dal prof. Benzi. Tale ultimo atto (aff. 265/128 faldone 5) attesta infatti che la suddetta copia della cartella clinica è stata rilasciata ai richiedenti dalla direzione sanitaria del CTO di Torino in data 8/11/95. Che la copia del referto in esame presente nella pratica assicurativa sia stata fotocopiata direttamente dalla cartella clinica si evince anche dalle righe orizzontali che caratterizzano i vari fogli della cartella clinica, su uno dei quali evidentemente il referto era all’epoca appuntato (vedi sul punto puntuale osservazione del prof. Benzi, pag. 43 ud. 28/11/2000). La dott. Vincenzo all’udienza 28/11/00 (vedi trascriz. pag. 89) ha riferito di aver visionato il referto inerente gli esami ematochimici prima che Pantani fosse operato, e tale circostanza è anche provata dall’annotazione effettuata dalla stessa dott. Vincenzo nella cartella anestesiologica in atti, dove l’anestesista in data 18/10/95 annota HB 20,8, altri in ordine, riferendosi evidentemente (come dalla teste già precisato in sede di indagini preliminari, in data 5/7/99 e 19/7/99), agli esami ematochimici. Tutto ciò significa tre cose: la prima che certamente tali esami furono fatti all’ingresso del paziente in ospedale, il 18/10/95, e che in un primo tempo, perlomeno sino al novembre 1995, rimasero in cartella; la seconda che in un secondo tempo, per evento fortuito o meno, il referto inerente i succitati esami scomparve dalla cartella clinica, la terza che tale referto
  • 22. fu reperito successivamente, e cioè nel luglio 1999 (per altro, come riferito dal prof. Benzi, in seguito a pressanti richieste della Procura di Torino). La temporanea scomparsa del referto dalla cartella è fenomeno preoccupante, anche in relazione alla delicatezza del caso in esame. Per gli eventuali profili penali ravvisabili in merito appare opportuna una trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica di Torino, competente per il reato di cui all’art.476 cp, ipoteticamente configurabile allo stato a carico di ignoti. Tornando all’ipotesi di una disidratazione da gara in Pantani che abbia determinato o concorso a determinare un’emoconcentrazione, la stessa è stata sostenuta dai consulenti della difesa in modo del tutto apodittico. Il prof. Tura, docente universitario di ematologia ha infatti ipotizzato che Pantani avesse avuto un aumento dell’ematocrito di 5 punti per sforzo da gara (quindi per disidratazione), giustificando tale affermazione con il solo richiamo a quanto riferito in sede di indagini preliminari, in data 21/8/99, dal dott. Rempi, e precisamente: “in base alla mia esperienza alla fine di una gara l’ematocrito può anche aumentare sino a 4-5 punti“. In realtà all’udienza 28/11/00 il dott. Tarsi, anch’egli medico sportivo di ciclisti professionisti, addirittura per 15 anni (per altro il teste è apparso visibilmente imbarazzato nel rispondere alle domande sul doping nel mondo del ciclismo), sul punto disidratazione in gara ha confermato quanto già riferito in sede di indagini preliminari in data 18/9/99, e cioè che misurazioni dell’ematocrito effettuate dall’UCI dopo un allenamento intenso fatto in Sicilia, in condizioni di caldo torrido, hanno rilevato negli atleti un aumento medio dell’ematocrito di 2-3 punti, aumento dunque ben inferiore a quello dato per scontato dai consulenti della difesa, pur in condizioni climatiche completamente diverse (ottobre- Nord Italia), comportanti certamente una minor disidratazione. La succitata affermazione dei consulenti della difesa è da reputarsi oggettivamente priva di qualunque documentato riferimento scientifico (come evidenziato dai consulenti del Pubblico Ministero nei power point proiettati all’udienza 13/10/2000 e prodotti in atti -aff.244/302 faldone 4-). Né possono ritenersi affidabili sul punto le dichiarazioni rese in fase di indagini preliminari dal dott. Rempi, medico sportivo abilitato a prestare assistenza medico sanitaria a Pantani dal 1997 in poi, deferito per altro in data 23/6/99 dall’Ufficio Procura antidoping del Coni ai competenti organi di giustizia sportiva della FCI per comportamento contrario alle
  • 23. disposizioni sulla tutela della salute dei corridori approvate dal Consiglio federale della FCI in data 15/2/98 (come si evince dal relativo provvedimento in atti, aff. 8/1 e ss, faldone 1) e ciò all’esito dell’indagine, condotta appunto dalla predetta Procura sportiva, originata dagli elevati valori di ematocrito (52%) riscontrati a Pantani, in seguito a un controllo di idoneità sportiva effettuato da medici UCI nel corso del Giro d’Italia, e precisamente in data 5/6/99 a Madonna di Campiglio, a cui seguì la sospensione dell’atleta dall’esercizio dell’attività agonistica per un periodo di 15 giorni. Come già ricordato il dott. Rempi a dibattimento ha provato con produzione documentale la propria qualità di imputato in procedimento connesso e, sentito pertanto ex art. 210 cpp, si è avvalso della facoltà di non rispondere. Il prof. Tura ha comunque poi convenuto nel corso dell’istruttoria dibattimentale, in accordo sul punto con i consulenti del PM, (vedi trascrizioni udienza 20/10/2000, pag.138), che una grande disidratazione “modifica gli elettroliti“, ammettendo poi, in seguito a domanda del giudice, che per portare a una emoconcentrazione la disidratazione deve essere notevole. Per tale ragione anche il fatto che il teste Palumbo a dibattimento abbia parlato di “lieve disidratazione” dell’atleta, circostanza richiamata in sede di arringa difensiva, non rileva sotto il profilo in esame e cioè dell’effetto emoconcentrativo di tale disidratazione . Si può dedurre infatti da tutto quanto sopra richiamato che la supposta disidratazione di Pantani non avendo portato a una modifica degli elettroliti, e non essendo quindi qualificabile dal punto di vista medico come importante, non può aver determinato o concorso a determinare l’emoconcentrazione e quindi l’aumento dell’emocromo riscontrati in Pantani in data 18/10/95. Altra possibile causa o concausa dell’innalzamento abnorme dell’ematocrito riscontrato in Pantani in data 18/10/95, presa in considerazione in modo estremamente approfondito dai consulenti del Pubblico Ministero, è stata quella della permanenza in quota di Pantani. Dal 23 settembre al 10 ottobre l’atleta è stato infatti in Columbia, a un altezza di mt. 2.525 sul livello del mare, ove si è allenato ed ha partecipato ai campionati del mondo classificandosi terzo. I consulenti del Pubblico Ministero hanno ricordato in proposito come la diminuzione della pressione parziale dell’ossigeno che si determina in quota cagiona un fenomeno di ipossia renale che stimola la liberazione di eritropoietina.
  • 24. Mancando dati diretti, considerato che in Columbia o subito dopo tale permanenza non erano stati fatti all’atleta controlli ematologici, i predetti consulenti hanno ricostruito in via induttiva quali potessero essere gli effetti residuali della permanenza in altura in Pantani alla data del 18/10/95. Tale ricostruzione, riportata nella tabella 2.12, pag.34 dell’elaborato peritale, ha portato i consulenti a calcolare un aumento di 3 punti di ematocrito e 0,7 punti di emoglobina sulla base dell’applicazione agli ultimi valori ematologici rilevati in data antecedente al 18/10/1995, e cioè quelli misurati all’atleta il 6/6/95 (sui quali più sopra il giudicante si è già soffermato e che, come già rilevato, sono comunque corrispondenti ai valori medi dell’atleta dal 1995 al 1999), delle variazioni percentuali medie dovute alla permanenza in altura riscontrate nelle ricerche sperimentali, in particolare quelle di Gore C et al 1998 e Levine Bd et al 1997, scelte dai periti dell’accusa fra tutte le ricerche pubblicate sul tema in sede internazionale in epoca relativamente recente come le sole utilizzabili per un raffronto nel caso di specie, in quanto condotte in condizioni simili e quindi correttamente paragonabili a quelle vissute da Pantani e cioè su atleti che avevano svolto per un periodo di tempo di 3-4 settimane allenamento di fondo a una quota compresa tra i 2.200 e i 3000 metri. Il metodo con cui è stato operato tale calcolo è apparso al giudicante particolarmente rigoroso dal punto di vista scientifico e quindi del tutto attendibile. Le conclusioni cui sono giunti sul punto i consulenti del Pubblico Ministero sono per altro rafforzate da quanto riferito a dibattimento dal teste Faina, il quale, confermando quanto già dichiarato in sede di indagini preliminari, ha ricordato che, in base a uno studio commissionato nel 1994 dalla FIC all’Istituto di scienza della sport e all’ospedale Sant’Orsola di Bologna nel 1994, sugli adattamenti in quota compiuto su atleti allenatisi in Equador a un altitudine di mt 2.900 per un periodo variante tra i 21 giorni e il mese, i valori dell’ematocrito erano risultati aumentare nei primi 4-5 giorni di 3-4 punti in percentuale, rimanendo poi stabili nei giorni successivi. Il teste, medico sportivo, ha anche precisato che in base alla sua esperienza e per le sue conoscenze, nel giro di una settimana dal ritorno in pianura l’ematocrito si riporta ai valori e alle condizioni ante quota. Il teste Borchi, ex medico della nazionale ciclismo su strada, ha dichiarato che, da studi letti, gli risultava che l’ematocrito di atleti allenatisi all’altezza di oltre 2000 metri aumentava di circa 3-4 punti, senza riuscire però a precisare quali fossero i suoi parametri di riferimento.
  • 25. Sulla succitata ricostruzione dei consulenti del Pubblico Ministero nulla ha del resto obiettato il prof. Tura, salvo poi dichiarare (vedi trascrizioni ud. 20/10/2000 pag. 57) che l’ematocrito di Pantani alla data 18/10/95 era aumentato per la permanenza in altura da 45 a 49 punti. Il predetto consulente ha in merito asserito erroneamente che tale dato era quello indicato dai consulenti del Pubblico Ministero (vedi esame Tura pag. 57 trascrizioni ud. 20/10/2000: ”Il Pantani nel settembre 1995 si reca in Columbia….in questo periodo ha sicuramente uno stimolo della produzione dei globuli rossi e, quindi, sposta l’ematocrito da 45 a 49, che è quanto gli stessi periti mi concedono in questa ricostruzione”). Tale errato riferimento alla consulenza dei prof. Benzi e Ceci è sembrato al giudicante indice del fatto che l’analisi della stessa è stata fatta dai consulenti della difesa in modo non adeguatamente approfondito, posto che i consulenti del Pubblico Ministero hanno più volte ricordato, sia nell’elaborato scritto che nell’esame dibattimentale, che il ritorno in pianura porta a una parziale normalizzazione del quadro ematologico, specificando letteralmente a pag. 33 dell’elaborato peritale: ”Ciò porta criticamente a ritenere che nel periodo dal 10 al 18 ottobre 1995 Pantani abbia diminuito da 0,4 a 0,7 punti l’eventuale innalzamento dell’emoglobina e da 1 a 2 punti percentuali l’eventuale incremento del valore dell’ematocrito determinato dalla precedente permanenza in altura in Columbia”. Tale considerazione, che ha determinato i consulenti del Pubblico Ministero a ritenere che al 18/10/95 l’innalzamento dell’ematocrito di Pantani per permanenza in altura fosse calcolabile non in 4 bensì in 3 punti (con consequenziale innalzamento dell’ematocrito dell’atleta da 45 a 48), evidente-mente è sfuggita all’attenzione del prof. Tura. I consulenti della difesa ritengono poi che possa aver contribuito ad alzare il livello di ematocrito di Pantani da un lato il trauma con frattura esposta patita dallo stesso, dall’altro le modalità, secondo i predetti consulenti non ottimali, con cui il prelievo del 18/10/95 è stato praticato (considerazioni sintetizzate nei power point prodotti dal prof. Tura a dibattimento, aff. 246/17 e 246/18 faldone 4). Quanto al primo punto il ragionamento svolto è sostanzialmente il seguente: prova della circostanza che Pantani era un soggetto emoconcentrato e non policitemico è data dal fatto che il paziente non è stato sottoposto a salasso ma emodiluito, trattamento che secondo il prof. Tura deve invece essere rigorosamente limitato ai soggetti emoconcentrati, giacchè la diluizione operata con l’infusione praticata al paziente policitemico avrebbe durata del tutto
  • 26. momentanea, poiché, dopo l’eliminazione del liquido infuso, tramite diuresi, il rapporto plasma-globuli ritornerebbe quello di partenza . Su tale punto, sul quale il predetto ematologo è stato categorico (vedi elaborato scritto nonché trascrizioni pag. 63 ud. 20/10/2000, ove il consulente della difesa ha testualmente affermato: ”…è impossibile che un medico, che ha una grossa responsabilità, che si trova in un pronto soccorso, che si trova davanti a un policitemico che deve essere operato in tre ore, non lo salassi, cioè non faccia o l’eritrocitoaferosi o non faccia il doppio o triplice salasso che si può fare nel giro di quelle ore che sono state necessarie e che sono intercorse tra l’osservazione e l’intervento chirurgico“) radicali smentite sono giunte non solo dai consulenti del Pubblico Ministero ma anche dai dottori Vincenzo e Cartesegna, che hanno cooperato tra loro nell’intervento chirurgico di Pantani rispettivamente come anestesista e chirurgo-ortopedico, i quali hanno concordemente escluso l’opportunità di abbassare i valori ematologici di Pantani con un salasso anziché, come fu fatto, con un emodiluizione, trattandosi di un paziente sanguinante (vedi in particolare pag. 90 trascriz. ud 28/11/2000 l’anestesista dott. Vincenzo, la quale alla domanda del giudice: ”Per abbassare questi valori-ematici, trattandosi di un paziente con frattura esposta, sarebbe stato indicato fare un salasso?” ha testualmente risposto: ”No, perché nel paziente traumatizzato non esiste che si faccia un salasso”). Ulteriore argomentazione difensiva che è necessario analizzare è la seguente: posto che Pantani dopo l’intervento, e precisamente alle ore 19.40, presentava un ematocrito di 42 %, e che tale ematocrito ha continuato a scendere nei giorni successivi sino ad arrivare al livello di 28 (dato di cui peraltro il prof. Tura, il quale ha presupposto che non vi fossero emorragie in atto, non è riuscito a dare alcuna spiegazione), è da escludersi che Pantani potesse essere, al momento del ricovero, policitemico, mentre bisogna concludere per il fatto che l’atleta, causa disidratazione e plasmorragia da trauma, fosse emoconcentrato. Solo quest’ultima ipotesi infatti, sempre secondo il consulente della difesa, sarebbe in grado di spiegare il perché, finita l’infusione, il valore dell’ematocrito non si sia rialzato ai valori iniziali. Riassumendo il predetto perito ha sostenuto che il 60 di ematocrito era non un valore reale, ma, come ben sintetizzato dalla prof. Ceci, “l’effetto ottico di una emoncentrazione“, ragion per cui, eliminata la componente emoconcentrazione e restituiti al soggetto i liquidi normali, l’ematocrito, percentuale complessiva del volume dei globuli rossi in una data quantità di sangue -vedi glossario aff. 244/ 254 pwer point prodotti da
  • 27. Benzi e Ceci all’udienza 13/10/2000- è ritornato, tramite l’infusione di liquidi, a un valore normale pari a 42. In realtà il prof. Tura in questa sua ricostruzione, fondata sull’ipotesi di un’emoconcentrazione cagionata congiuntamente dai fenomeni della disidratazione e della plasmorraggia, da un lato non riesce a confutare validamente i ragionamenti fatti dai consulenti del Pubblico Ministero circa la insussistenza di un fenomeno di importante disidratazione, tale da comportare correlativa emoconcentrazione, dall’altro non riesce nemmeno a provare l’ipotesi della cosiddetta plasmoraggia, e cioè fuoriuscita dai vasi di solo plasma, posto che, come sottolineato dai consulenti del Pubblico Ministero (vedi trascrizioni pag. 33 e ss. ud. 20/10/95) all’atto del ricovero il valore delle proteine nel sangue di Pantani era normale, mentre la plasmorraggia comporta necessariamente una caduta delle proteine plasmatiche. Tale caduta non si è verificata né nel caso di Pantani né nel caso di Dall’Olio e Secchiari, che furono ricoverati assieme all’imputato e subirono come lui traumi molto rilevanti (e precisamente il primo la frattura scomposta pluriframmentaria del femore e il secondo numerose fratture scomposte alla branca ileo e ischio pubica e all’acetabolo destro). I suddetti traumi, pertanto, avrebbero dovuto comportare anch’essi, secondo la tesi di Tura, una plasmorragia e una conseguente emoconcentrazione, esclusa invece dai valori ematologici, risultati assolutamente nella norma, rilevati ai due atleti al momento del ricovero (sul punto il prof. Tura, a specifica domanda del giudice, non è stato per altro in grado di fornire alcun valido chiarimento, come si evince dalle trascriz. pag.204, ud. 20/10/2000). La professoressa Ceci ha ulteriormente specificato (vedi trascrizioni ud. 20/10/2000 pag. 34) quale sia la differenza tra emorragia e plasmorraggia, chiarendo che l’evento emorragico, dovuto a rottura dei vasi, comporta perdita di tutte le componenti del sangue, mentre la cosiddetta plasmorraggia comporta “la perdita selettiva di proteine e accompagna i fenomeni che coinvolgono maggior-mente la permeabilità del vaso“ e si verificano in seguito a un fatto infiammatorio o a un fatto contusivo. Tale concetto è stato ulteriormente chiarito dal prof. Benzi nel seguente modo (vedi pag. 32 ud. 20/10/2000): ”Le proteine escono in plasmorragia con l’alterazione dei capillari“. Il predetto consulente ha poi precisato, rispetto al caso di specie: ”Nel post traumatico non c’è nessuna perdita di proteine, il plasma rimane tutto lì“, mentre un abbassamento delle proteine si ha invece in
  • 28. seguito al secondo evento traumatico rappresentato appunto dall’intervento chirurgico per la riduzione della doppia frattura esposta, il quale ha comportato sia perdita di liquido plasmatico (con formazione di edema) che di sangue. Tale affermazione è effettivamente confortata dalla documentazione medica acquisita in atti, posto che negli esami ematologici fatti su prelievo delle ore 15.20, e cioè mezzora dopo il fermo corsa e prima di qualsiasi provvedimento terapeutico effettuato al CTO, le proteine di Pantani sono pari a 7 g/dl, rispetto a un range di normalità di 6,5 – 7,8 (vedi power point prodotti dai consulenti Benzi e Ceci all’udienza 13/10/2000 aff. 244/324 faldone 4), mentre dal prelievo effettuato il giorno successivo –vedi diario clinico 19/10/95 in atti– emerge un abbassamento delle proteine a 4.9. Il prof. Tura, in sede di confronto, non ha saputo validamente spiegare, a parere del giudice, come si potesse conciliare l’ipotesi da lui fatta di importante plasmorragia conseguente al trauma da incidente stradale (letteralmente il consulente a pag. 214 delle trascrizioni ud. 20/10/2000 ha così descritto il fenomeno “se non piace il termine plasmorragia, io uso l’uscita di plasma e proteine dal letto ematico realizzando l’emoconcentrazione“) con il range di normalità della proteine totali nel sangue di Pantani all’atto del ricovero, e cioè alle ore 15.20. Rispetto alla succitata circostanza il consulente (vedi trascriz. pag. 141 ud. 20/10/2000), alla domanda del giudice: ”Come spiega che Pantani avesse 7 di proteine, cioè delle proteine normali in presenza di plasmorragia ?” ha così risposto: ”Il plasma è uguale a liquidi più proteine, se lei perde plasma perde anche le proteine“. Non si comprende per altro come una rilevante perdita di una certa componente selettiva del sangue, quali le proteine plasmatiche, possa conciliarsi con il fatto che i valori relativi a tale componente rimangano nella norma. I consulenti della difesa ritengono infine, come già ricordato, nella loro ricostruzione alternativa a quella operata dai consulenti del Pubblico Ministero circa le cause dell’abnorme valore di ematocrito riscontrato a Pantani all’atto del prelievo operato il 18/10/95 alle ore 15.20, che le modalità di prelievo siano state non ottimali e per tale ragione si possa presumere un aumento fittizio di tale valore di due punti (vedi trascrizioni pag. 60 ud 20/10/95, dove il prof. Tura ha dichiarato: ”Io non penso che nel prelievo per l’ematocrito non ci sia stato l’errore del 2%”, nonchè power point prodotti dalla difesa all’udienza 20/10/2000). Tale affermazione, pur sfumata rispetto a quella contenuta nell’elaborato scritto consegnato dal prof. Tura in udienza dove si parla in proposito di
  • 29. “variabile in grado di influenzare il valore dell’ematocrito dell’ordine di 3-4 punti“ appare apodittica, assolutamente indimostrata alla luce delle risultanze probatorie acquisite. Il teste Stagno, sentito a dibattimento, ha dichiarato infatti di aver effettuato personalmente il prelievo all’atleta utilizzando il sistema Vacutainer, ed operando secondo protocollo. L’infermiere ha anche precisato di aver utilizzato le provette colorate deputate a raccogliere i campioni di sangue per l’esecuzione di tutti gli esami standard, compresi quelli ematochimici. Dalle dichiarazioni rese dalla dott. Carla Florio (dirigente all’epoca e a tuttoggi del laboratorio analisi del CTO di Torino), in fase di indagini preliminari e a dibattimento, si evince, a conferma di quanto dichiarato dal teste Stagno, che l’ospedale CTO si avvale e si avvaleva all’epoca sia per i pazienti ricoverati che per i pazienti esterni del sistema Vacutainer, il quale presuppone, come precisato dalla dott. Florio, l’utilizzazione di provette sotto vuoto con scadenza riportata su ognuna, tappo di sicurezza a colori differenti a seconda dei test da eseguire (il sistema è quindi di per se stesso particolarmente affidabile come affermato dal prof. Benzi all’udienza 13/10/2000 pag. 176 trascriz.). La dott. Florio ha altresì riferito sul punto (vedi trascriz. pag. 14 ud. 17/11/2000): ”Le analisi ematologiche vengono ripetute sistematicamente nel momento in cui il tecnico che le esegue si trova di fronte a un valore patologico. Inoltre le macchine usate per il conteggio automatico vengono controllate con un sangue apposta, detto di controllo standard, che ci viene fornito dalla ditta …”, precisando ulteriormente: ”l’attenzione per gli esami eseguiti in urgenza direi che è un pochino maggiore di quello che si fa in una routine, proprio perché è l’urgenza stessa che lo richiede…”. La teste ha infine dichiarato, su domanda del Pubblico Ministero, che i valori dell’emoglobina e dei globuli rossi non variano a seconda che il paziente esegua l’esame a stomaco pieno o vuoto, ed anche tale punto è significativo, posto che i dubbi sollevati dai consulenti della difesa circa il corretto esito dell’analisi ematica apparivano motivati anche dal fatto che il paziente alle ore 15.20 presumibilmente non era a stomaco vuoto. E’ stata acquisita pertanto nel corso dell’istruttoria dibattimentale ampia rassicurazione sulla qualità della metodologia con cui nel 1995 si eseguivano i prelievi e si effettuavano le analisi del sangue presso il CTO di Torino, noto e accreditato ospedale, dotato di pronto soccorso ortopedico grandi traumi e quindi particolarmente attrezzato a trattare urgenze quali quella in esame (vedi sul punto deposizione Stagno).
  • 30. Correttamente hanno poi osservato i consulenti del Pubblico Ministero che non vi è alcuna ragione per ritenere eseguito non a regola d’arte un prelievo che ha dato come esito analitico per Pantani un profilo ematologico alterato, evidenziando però al contempo valori ematochimici perfettamente nella norma, poiché è logico pensare che se il prelievo non fosse stato correttamente eseguito anche tali valori sarebbero risultati alterati. Perfettamente nella norma sono risultati del resto anche tutti i valori ematologici di Secchiari e Dall’Olio, parimenti gravemente traumatizzati come Pantani, ricoverati quasi contestualmente all’imputato nello stesso ospedale, e quindi presumibilmente sottoposti a un prelievo di sangue effettuato con analoghe modalità . Sul punto la stessa dott. Fiorio in sede di dichiarazioni rese al Pubblico Ministero in data 22/12/99 ha testualmente affermato: ”Con riferimento agli esami ematologici e ematochimici di Marco Pantani refertati alle ore 15.42 del 18/10/95 posso precisare che i valori ematochimici riscontrati, rientrando nei limiti di normalità, garantiscono verosimilmente una buona qualità del prelievo eseguito”. Esaurito l’esame critico delle obiezioni mosse dai consulenti della difesa alle argomentazioni svolte dai professori Benzi e Ceci per escludere possibili cause atte a giustificare gli abnormi valori ematologici riscontrati a Pantani, alternative alla somministrazione esogena di eritropoietina, debbono ora essere esaminate le conclusioni cui sono pervenuti i consulenti del Pubblico Ministero . Dopo aver escluso che i valori ematologici di Pantani, così come riscontrati il 18/10/95, all’ingresso in ospedale del paziente, avessero avuto origine nelle cause succitate, dopo aver cioè escluso patologie policitemiche, situazioni genetiche, condizioni di disidratazione, condizioni derivanti da adattamento all’altura, i periti hanno concluso che la abnorme situazione ematologica riscontrata a Pantani il 18/10/95 fosse dovuta a una stimolazione farmacologica del midollo eritroide. Tale giudizio è stato ulteriormente validato da ulteriori considerazioni medico farmacologiche, fondate sulla comparazione dei dati ematologici dell’atleta così come rilevati presso il CTO di Torino con i dati, , definenti il caratteristico profilo ematologico dell’assuntore di eritropoietina, presentati da uno studio recente, condotto da Dine G. nel 1999 e pubblicato sulla rivista Hematologica di tale anno, compiuto su un numero consistente di atleti che avevano confessato di aver assunto elevate dosi di eritropoietina.
  • 31. I parametri da considerare secondo lo studio di Dine G. sono otto, nel cui ambito il variare contestuale al di sopra di una soglia stabilita inerente contemporanea-mente almeno tre degli stessi è indice di pregressa assunzione di eritropoietina. Fondamentale viene ritenuto in tale ricerca il dato indicatore della ferritinemia. Gli sportivi che prendono farmaci stimolanti l’eritropoiesi, infatti, hanno sempre, come sopra già ricordato, una massiccia supplementazione di ferro sia allo scopo di eludere una caduta dei valori della ferritinemia per incrementata formazione di emoglobina, sia per evitare che i globuli rossi formatisi in seguito alla sollecitazione eritropoietica siano ipocromici, abbiano cioè un ridotto contenuto di ferro al loro interno e quindi non svolgano la funzione di trasporto di gas cui la loro produzione, esogenamente stimolata, è finalizzata. La circostanza del necessario abbinamento epo-ferro, peraltro non contestata dai consulenti della difesa, è stata approfonditamente analizzata dai consulenti del Pubblico Ministero. Gli stessi, a riprova di quanto affermato, hanno prodotto la scheda tecnica dell’eritropoietina, nella quale è scritto espressamente che l’inizio della terapia con eritropoietina può essere fatto solo se i dati di ferro di deposito che già ha l’individuo sono sufficientemente buoni, e comunque sempre somministrando ferro insieme all’eritropoietina (vedi sul punto scheda tecnica in atti e dichiarazioni rese dalla dott. Ceci pag. 214 trascriz. ud 13/10/2000; il prof. Benzi ha in proposito altresì sottolineato come anche nel lavoro sperimentale sull’assunzione di Epo cui hanno fatto riferimento i consulenti della difesa, quello avente come capofila Parisotto, la somministrazione, in via sperimentale, di eritropoietina, è sempre stata associata alla somministrazione di ferro per via intramuscolare o orale -vedi trascrizioni ud. 20/10/2000, pag. 185-). Nell’ambito dei parametri ematici evidenziati da G. Dine, nello studio sopraindicato, come indicatori di trattamento con epo, i consulenti del Pubblico Ministero ne hanno isolati ben cinque contemporaneamente fuori norma, così come dimostrato dalle analisi ematiche fatte a Pantani al momento del ricovero presso il CTO di Torino il 18/10/95 (per quanto concerne il valore inerente la ferritinemia, lo stesso, in verità, è stato rilevato successivamente, nelle analisi fatte in data 27/10/95, ma è comunque validamente utilizzabile come parametro non trattandosi di valore suscettibile di improvvise significative oscillazioni nel breve periodo, dato quest’ultimo su cui vi è accordo tra tutti i consulenti). I cinque valori contemporaneamente fuori norma sono i globuli rossi a 6,69, di fronte a un valore limite individuato di 5,5; il volume di distribuzione percentuale a 17,4, di fronte a un
  • 32. valore limite di 15; l’emoglobina a 20,8, di fronte a un valore limite di 16,5; l’ematocrito a 60,1 di fronte a un valore limite di 47 e la ferritinemia a 1.500, di fronte a un valore limite di 500 (vedi in particolare trascrizioni udienza 20/10/2000, pag. 191). Quanto alla ferritinemia, ha rilevato la difesa in sede di arringa che tale valore non sarebbe attendibile poiché la misurazione fu fatta al paziente dopo che, come si evince dalla terapia effettuata durante il ricovero (vedi aff. 262/48 e ss. faldone 5, cartella clinica in originale in atti), Pantani, nei giorni antecedenti alla misurazione del succitato valore, fu sottoposto a somministrazione di ferro. Questo dato non è a parere del giudicante significativo giacchè (vedi tabella 2.3 pag.18 elaborato peritale Benzi e Ceci), la ferritinemia di Pantani, come dimostrano i dati emergenti dalle cartelle cliniche della F.C.I dal 95 al 99, si è sempre aggirata su una media pari a 940, con un valore quindi quasi doppio al parametro limite di 500 indicato da G. Dine nello studio sopraindicato. In data 27/10/95 tale valore è comunque giunto addirittura, come visto, a 1500. Evidentemente su tale ulteriore aumento, che ha portato la ferretinemia dell’atleta addirittura “fuori scala”, ha inciso la somministrazione di ferro fatta in ospedale al paziente, senza che fosse stato previamente accertato il bisogno di tale somministrazione. Un importantissimo elemento a convalida dell’argomentare dei consulenti del Pubblico Ministero è fornito poi dal seguente riscontro, più sopra già richiamato: in data 1/5/95, due giorni prima l’inizio del giro d’Italia, Pantani durante un allenamento e ad appena 30 Km dalla propria abitazione, precisamente in Santarcangelo, è stato vittima di un incidente stradale. In tale occasione, in assenza di qualsiasi possibile residuale effetto da permanenza in quota o da disidratazione da sforzo, l’atleta, che era in fase di riscaldamento, ricoverato al Pronto Soccorso dell’Ospedale di Rimini risultò avere (vedi sul punto documentazione medica in atti) i seguenti valori ematologici: 57,6 di ematocrito, 6 milioni di globuli rossi, 18/,2 di emoglobina (valori dunque simili a quelli riscontrati in Torino il 18/10/95 e simili anche a quelli riscontrati all’atleta, come sopra già ricordato, il 5/6/99 in Madonna di Campiglio durante il giro d’Italia del 1999, laddove la percentuale di ematocrito rilevata, pari al 52 %, era parimenti fuori norma sia rispetto ai valori di ematocrito congeniti dell’atleta sia rispetto alla soglia di pericolo individuata dai regolamenti medico sportivi).
  • 33. Tale innalzamento dell’ematocrito accertato nel corso di una stagione agonistica è certamente confermativo del fatto che l’origine di tale alterazione sia da addebitarsi al ricorso ripetitivo a una stimolazione esogena con farmaci eritropoietinici, farmaci assunti appunto in prossimità di importanti gare per incrementare, come ben spiegato dal consulente prof. Benzi (vedi pag. 136 e ss. trascr. ud. 13/10/2000) la prestazione di fondo dell’atleta tramite l’aumento di globuli rossi normocromici circolanti con consequenziale incremento del trasporto di ossigeno ai muscoli, e traduzione da parte di questi ultimi della tale maggior quantità di ossigeno circolante in aumento di energia. Sul punto il consulente della difesa Tura (vedi trascrizioni ud. 20/10/2000), ha ribattuto sostenendo che per identificare l’eritropoiesi stimolata si dovesse far capo ai parametri indicati da Parisotto (vedi studio sopra richiamato), e cioè l’ematocrito, il valore dei reticolociti, il dosaggio dell’eritropoietina, il dosaggio dell’emoglobina e il volume corpuscolare medio, asserendo che, avendo i consulenti del Pubblico Ministero considerato tra questi solo due parametri e cioè l’ematocrito e l’aumento dell’emoglobina, gli stessi non erano giunti a conclusioni scientificamente attendibili. Prescindendo dal dato dell’impossibilità per i consulenti del Pubblico Ministero di prendere in esame dati non presenti nella documentazione medica acquisita in atti, come appunto i reticolociti e il volume corpuscolare medio, appare al giudice decisivo elemento che testimonia il rigore e la validità scientifica delle valutazioni peritale svolte dai consulenti Benzi e Ceci, e quindi l’attendibilità delle conclusioni cui gli stessi sono giunti, la circostanza che i predetti per comparare il profilo ematologico di Pantani abbiano scelto i parametri, individuati da G. Dine e sopraindicati, emergenti dall’unico studio recente, accreditato su una rivista internazionale prestigiosa, a tuttoggi compiuto su un campione di atleti professionisti, in tutto, e cioè sia per condizioni psicofisiche che per presumibile modalità temporale e quantità di assunzione di eritropietina, assimilabili a Pantani, atleti che hanno confessato di aver a lungo assunto epo, “che si riempiono di ferro e contemporaneamente di eritropoietina, per i quali paradossalmente diventa il ferro l’indicatore” (vedi trascrizioni Benzi pag. 188 e 189 ud. 20/10/2000). In questo senso i dati di ferritinemia di Pantani, più sopra già richiamati, con varie punte oltre il valore mille e un valore medio di 940, rispetto a un valori normali che variano da 18 a 370 ng/ml, sono davvero impressionanti.
  • 34. Dell’origine di tali valori di ferritinemia, per altro giudicati abnormi dallo stesso prof. Tura, il predetto consulente della difesa non ha saputo fornire alcuna valida spiegazione alternativa rispetto a quella individuata dai consulenti del Pubblico Ministero, così come non ha saputo confutare efficacemente, a parere del giudice, la attendibilità scientifica dello studio di G.Dine cui si sono richiamati i consulenti del Pubblico Ministero. Quanto alla ferritinemia di Pantani Tura ha affermato testualmente (vedi pag. 128 trascr. ud. 20/10/2000): “Un individuo, chiamiamolo Marco Pantani in questo momento qui, anche due o tre anni fa, ha assunto del ferro non perché stava pigliando Epo, ma perché c’è stato un errore diagnostico, per una sua condizione ematologica, gli sono state fatte 20 fiale di ferro in endovena e lui mantiene due grammi di ferro nei depositi con una ferritinemia di 1000” -affermazione quest’ultima del tutto indimostrata e palesemente inconciliabile con l’oscillazione e crescita negli anni della ferritinemia di Pantani – vedi il valore di 1163 del 28/10/99, il valore di 1133 del 30/6/99 rispetto al valore di 850 del 21/5/97-, nonché incompatibile con il fatto che tale atleta era perennemente seguito da un nutrito staff medico, il quale non avrebbe potuto compiere, reiteratamente, l’errore sopra ventilato dal prof. Tura . Quanto poi allo studio di Gerard Dine il suddetto perito ha dichiarato (vedi pag. 199 trascr. ud. 20/10/2000) che non riteneva validi i parametri ivi indicati: ”Perché la fisiologia dice che l’aumento della ferritina e l’aumento di globuli rossi non è quello che documenta una eritropoiesi stimolata”, dimenticando così, che l’aumento della ferritinemia è stato descritto dai suoi contraddittori oltre che dal succitato studioso G. Dine come conseguenza non della somministrazione di epo ma della contestuale e inevitabile somministrazione di ferro, che sempre accompagna il trattamento con eritropoietina. La scelta dei consulenti della difesa di ritenere unici parametri scientifici indicativi di assunzione di epo quelli indicati nello studio di Parisotto sopra richiamato e non quelli indicati nello studio di G. Dine, appare in definitiva strumentale a una messa in discussione a tutti i costi dell’attendibilità del lavoro dei consulenti del Pubblico Ministero, posto che rispetto ai parametri indicati da Parisotto solo l’emoglobina e l’emocromo erano utilizzabili da questi ultimi, non essendo stati gli altri valori, indicati nella ricerca succitata, rilevati all’atleta al momento del ricovero. A prescindere dal fatto che emoglobina e emocromo sono, ai fini dello accertamento di una somministrazione esogena di epo, parametri comunque di estrema significatività,
  • 35. soprattutto alla luce dell’esclusione di altre cause che abbiano cagionato l’abnorme innalzamento di tali valori, vi è inoltre da rilevare che il campione studiato da Parisotto nel caso di specie non era validamente utilizzabile dal punto di vista scientifico, come si evince da quanto sostenuto dal Prof. Benzi a pag.186 delle trascriz. ud. 20/10/2000 (non contestato per altro dai consulenti della difesa), giacchè il campione su cui Parisotto e i suoi colleghi hanno compiuto la ricerca succitata è rappresentato da soggetti non atleti ai quali, per periodi limitati, è stata somministrata una quantità di eritropoietina e di ferro modesta, tant’è che all’esito della somministrazione i valori di ferritina dei soggetti sottoposti alla somministrazione risulta pari a 120-130. Si tratta in sostanza di soggetti e valori astralmente lontani dall’atleta Pantani e dai valori allo stesso riscontrati (si pensi solo al fatto, più volte già ricordato, che la ferritina di Pantani si è aggirata negli anni 1995-1999 intorno ai 1000 nanogrammi per millilitro). In conclusione il giudicante, dopo aver criticamente valutato le risultanze peritali dei consulenti del Pubblico Ministero e le obiezioni alle stesse mosse dai consulenti della difesa ritiene di dover prestare piena adesione alle conclusioni cui sono pervenuti i professori Benzi e Ceci, ritenendole affidabili per il rigore logico argomentativo che le ha supportate, per l’evidente approfondito studio che le ha precedute, perché infine non risulta in alcun modo dimostrata, anche all’esito del confronto tra periti disposto dal giudice, l'idoneità delle obiezioni mosse dai consulenti della difesa a mettere in discussione l’attendibilità scientifica del ragionamento peritale accusatorio. Vi è infine da rilevare, a riprova della fondatezza della valutazione più sopra espressa da questo giudice, quanto segue: mentre l’ipotesi dei consulenti della difesa, e cioè quella di un soggetto emoconcentrato reidratato, non affetto da eventi emorragici, non spiega in alcun modo il decorso clinico di Pantani dal punto di vista ematologico, poiché se, come sottolineato dalla prof. Ceci pag. 153 trascriz. ud. 20/10/2000, la correzione dell’ematocrito fosse stata affidata solo alla diluizione una volta ritrovato il valore normale lo stesso avrebbe dovuto permanere inalterato con il passare delle ore e dei giorni, fatto che invece non si è verificato (in proposito, alla domanda del giudice: ”Secondo lei perché Pantani ha avuto valori progressivamente calanti di emoglobina e di ematocrito a tal punto da porne in pericolo la vita ?…”, il prof. Tura ha letteralmente risposto: ”Lei ha focalizzato bene solo che non lo sappiamo mica …” - vedi trascrizioni pag. 78 ud. 20/10/2000), la ricostruzione medica fatta dai prof. Benzi e Ceci offre invece una spiegazione coerente ed esaustiva di
  • 36. tutto il decorso clinico del paziente, dal momento del ricovero alla sua dimissione. La stessa si può così riassumere: Pantani è un soggetto politraumatizzato che presenta all’ingresso una moderata emorragia, che è poi proseguita per tutta la durata del decorso clinico, svuotando piano piano le sue riserve (così prof. Ceci pag. 153 trascr. ud. 20/10/2000) e portando così a valori ematologici francamente patologici. Tale ricostruzione è stata esplicitata in sede di controesame dei predetti periti e di confronto tra gli stessi e i consulenti della difesa, all’udienza 20/10/2000, giacchè nella prima udienza, svoltasi il 13/10/2000, i professori Benzi e Ceci si sono limitati a ad esporre analiticamente la risposta da loro stessi fornita ai quesiti posti dal Pubblico Ministero delle indagini preliminari, i quali non comprende-vano una valutazione del decorso clinico del paziente. Le considerazioni esposte dai consulenti del Pubblico Ministero sul punto trovano conforto nelle risultanze probatorie, testimoniali e documentali. Una emorraggia del paziente è stata infatti ipotizzata anche dal prof. Potema (vedi dichiarazioni rese dal predetto in sede di indagini preliminari in data 15/9/99, acquisite in atti all’aff. 27/1 faldone 1), il quale, in una data compresa tra il 25 e il 28 ottobre, su richiesta del medico sportivo Grazzi, visitò Pantani presso il CTO ove l’atleta era ricoverato e parlò con il primario Cartesegna. Quest’ultimo, a suo dire, “gli descrisse il caso ed espresse il concetto che si potesse trattare di una anemia post emorragica”. Potema, per altro, ha affermato nelle sommarie informazioni sopra richiamate, in relazione alla brusca caduta dei valori emoglobinici di Pantani: ”Una tale caduta non poteva essere giustificata se non da un fatto emorragico importante e ciò era testimoniato anche dal valore del volume globulare...". Anche la dott. Fiorio ha espresso il suo parere sul punto dichiarando a dibattimento: ”Dopo l’intervento -Pantani- aveva perso evidentemente del sangue e si era anemizzato. Questo è quello che ricordo come la cosa più eclatante …ho visto la cartella…suppongo che avesse perso del sangue perché uno, in un intervento chirurgico di quella portata, di sicuro doveva secondo me, con quei valori, aver avuto una sorta di emorragia “ (vedi trascr. pag. 13 e 15 ud. 17/11/2000). Ancor più precisi sono stati in proposito il dott. Cacaci, ortopedico che assieme al primario Cartesegna operò Pantani e l’anestesista Vincenzo, i quali all’udienza 28/11/00 hanno dichiarato che Pantani presentava un sanguinamento del canale midollare dell’osso fratturato non violento ma continuo, tale da portare nel tempo, attraverso un perdurante