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LE MANI SULLA CITTÀ. CHI HA PAURA A PARLARNE?
Gambizzazioni. Esecuzioni in stile mafioso. Usura. Auto ed esercizi commerciali bruciati. Estorsioni.
Traffico di stupefacenti. Arresti di politici eccellenti, funzionari pubblici, professionisti ed imprenditori
con l’ipotesi di corruzione e bandi pubblici pilotati.
Sembra la trama dell’inchiesta romana “Mafia-Capitale”, o la cronaca giudiziaria di una Città della
Calabria o della Sicilia più profonda. Quelle, per capirci, dove gli imperi di Mafia e Ndrangheta
governano ogni cosa che si muove sotto il cielo. Ed invece no. Parliamo di Gioia del Colle. La nostra
Città.
L’inquietante elenco di fatti di cronaca “criminale” sono quanto ciascuno di noi ha potuto leggere tra le
righe della Stampa locale nell’ultimo anno. Non vent’anni fa. Non dieci anni fa. Ma solo nei mesi
scorsi.
E’ di appena qualche giorno fa la notizia di un uomo “gambizzato” nei pressi della sua abitazione. Il
più classico degli “avvisi” con cui la criminalità organizzata “segnala” uno sgarbo ricevuto,
un’invasione di territorio. Un avviso di garanzia, insomma, in stile mafioso.
Era invece il 4 giugno di un anno fa. Un operaio di un’impresa all’opera per i lavori di sopraelevazione
del quinto lotto del cimitero nuovo, viene freddato, al mattino, proprio dinanzi all’ingresso laterale del
nostro cimitero. Sembra un’esecuzione in perfetto stile mafioso. Un omicidio che, ad oggi, appare
ancora insoluto. Ma proprio su quei lavori, a seguito della denuncia alla Guardia di Finanza
presentata dalle opposizioni, la Procura di Bari ha avviato un’indagine, provocando l’annullamento
della gara dei lavori di completamento ed il sequestro, pare, dell’intero lotto. L’omicidio ed i lavori al
cimitero. Apparentemente, tutti si affrettano a dire, non hanno nulla in comune. Ma la
contemporaneità dei fatti, le storie parallele di funzionari comunali poi finiti in carcere, gare illegittime
e costi gonfiati, non possono che gettare ombre su ombre.
Nel frattempo la Città viene investita da una serie di incendi ad auto ed esercizi commerciali. I più
classici segnali dell’ombra del racket delle estorsioni. Che gli interessati smentiscono, senza mai
ipotizzare moventi meno inquietanti.
Intanto, il 5 febbraio scorso, finivano in carcere, a seguito di una lunga e minuziosa indagine della
Tenenza della Guardia di Finanza di Gioia, il Sindaco Sergio Povia, il vice-sindaco ombra Franco
Ventaglini, l’imprenditore Antonio Posa, il Geometra comunale Rocco Plantamura (con il quale mi ero
più volte scontrato, duramente, in Consiglio Comunale, proprio sulla vicenda “cimitero” e sulla
gestione dei lavori in economia che, in assenza del principio di “rotazione” previsto dal Codice degli
appalti, sembravano affidati sempre alle stesse Ditte locali), l’ingegnere comunale Nicola Laruccia ed
una serie di professionisti. I reati contestati sono di corruzione, turbata libertà degli incanti e
turbata libertà del procedimento di scelta del contraente. Una storia di edilizia popolare, di milioni
di euro di giro d’affari e di un pubblico bando vestito su misura per un vincitore prescelto. Con la
collaborazione illecita, è l’accusa, della Politica locale ai suoi massimi livelli e di funzionari
compiacenti.
Ma l’altro capitolo, non meno inquietante, della storia è che, secondo gli investigatori, l’inchiesta
parte per caso da un’altra indagine, questa volta su di un giro di usura nel nostro paese. Sì,
usura. Quella, insieme al racket delle estorsioni, che Consiglieri Comunali importanti della passata
amministrazione, alla mia insistenza in merito all’approvazione di un Regolamento Comunale
antiracket ed antiusura presentato dal sottoscritto, rispondevano (verbali di Consiglio) che Gioia del
Colle non è la Sicilia e che qui da noi il “pizzo” e l’usura non esistono.
Insomma, su per giù simile a quanto dichiaravano autorevoli parlamentari della Repubblica Italiana
negli anni ’60 e ’70 che, contestando l’operato di Magistrati, Giornalisti e Scrittori (come non
ricordare Leonardo Sciascia) impegnati nella lotta alla “piovra”, proclamavano a gran voce che “la
mafia non esiste”.
Colpevolmente, ignorando quanto scritto nella “Relazione del Ministero dell’Interno al Parlamento
sull’attività svolta e sui risultati ottenuti dalla Direzione Investigativa Antimafia” già nel non molto
lontano 2008. Leggiamo, a pagina 253, che “nell’area indicata il sodalizio PARISI sembra estendere
Pag. 2 a 2
la propria influenza in Acquaviva delle Fonti, Gioia del Colle e Casamassima”. E, in un documento
del Parlamento, durante la XIV Legislatura, si aggiunge che “nella zona a sud di Bari, nei centri di
Monopoli, Conversano e Putignano si registrano attività connesse al traffico ed allo spaccio di
stupefacenti e alle estorsioni mentre nella zona di Gioia del Colle ed Acquaviva delle Fonti, oltre alle
predette attività, i gruppi locali sarebbero dediti anche all'usura.”
Ho voluto fortemente fare “memoria” di queste vicende accadute tra le quattro mura del nostro
Comune negli ultimi mesi, perché mi accorgo, giorno dopo giorno, che i sempre più forti segnali di
una pervadente presenza criminale sul nostro territorio viene pressoché ignorata dai più. Non se ne
parla. Non ne parlano i partiti, i gruppi politici vecchi e nuovi. Sindacati e associazioni di categoria di
imprese e commercianti. Non ne parlano le associazioni culturali. Le comunità religiose.
Eppure “segni” di una presenza sempre più sottile, sinuosa, penetrante, della criminalità
organizzata, insieme ad un deterioramento della prassi politica, con fenomeni di corruzione a tutti i
livelli, farebbero sobbalzare chiunque avesse a cuore il principio di “legalità”.
A Gioia del Colle tutto lascia intendere che vi siano fenomeni estorsivi, l’usura, interessi nella gestione
criminale degli appalti pubblici, corruzione. Il tutto portato avanti con atti di violenza sulle persone
riconducibili a gruppi criminali organizzati. Lo raccontano i fatti di cronaca. Quasi ogni giorno.
A chi conviene non parlarne? La retorica che vorrebbe evitare gli inutili allarmismi, in questo caso, è
dannosa e controproducente. La mafia, la criminalità organizzata e la corruzione si combattono
tenendo alta la guardia. Perché s’infiltrano ovunque. Ancor più quando è notte e tutti dormono.
Quando, cioè, l’attenzione è bassa.
A chi conviene non parlarne, allora? Di certo alle organizzazioni criminali stesse. L’omertà è la linfa
che le alimenta. Chi è schiacciato dall’usura e dal racket, il più delle volte, non denuncia. Non parla.
Perché ha paura. Perché non si fida. Non tanto delle Forze dell’Ordine o della Magistratura che
lavorano attente sul territorio, ma dalla cosiddetta società civile. Che lascia sole le vittime, dopo, a
ricostruire sulle macerie. Che temono il silenzio collettivo di chi invece dovrebbe sostenerli. Facendo
quadrato attorno a loro.
Ma il silenzio conviene anche a due meschine categorie di cittadini. Quelle che dalla criminalità
organizzata ricevono “protezione” o, addirittura, consenso e sostegno elettorale. Perché il
delinquente locale può portare un bel po’ di voti. Fare campagna. Trascinare elettori al seggio con la
pressione della minaccia e dell’invettiva. Poi ci sono quelli che non ne parlano per paura. “Perché è
meglio farsi i fatti propri – pensano – Abbiamo già i nostri problemi. Figuriamoci quelli degli altri! E
dei “delinquenti” del posto, poi. Quelli poi ti “gambizzano”, ti bruciano l’auto, minacciano tua figlia.
Che siano gli altri a parlare”.
Vorrei, allora, una Città che s’interrogasse sulla legalità in questo paese. Sulle infiltrazioni
criminali. Dai salotti culturali ai tavolini al bar. Voglio che diventi non una delle priorità, ma “la
priorità” dei programmi elettorali e degli impegni delle coalizioni per le prossime elezioni comunali.
Al di fuori di pochissimi casi, infatti, oltre noi nessuno ne parla. Dando l’impressione che tutti la
pensino allo stesso modo: Gioia non è la Sicilia. Una sorta di isola felice. Che non c’è.
Ho letto comunicati di partiti che annunciano la chiusura della propria sede ed i problemi economici
con cui hanno impattato. Altri di neo movimenti che enucleano interessanti iniziative e propositi per lo
Sport locale, la tutela del territorio, il lavoro etc. Ma nessuno che abbia posto al centro la “questione
morale”. Nessuno che parli della “corruzione” politica che ha colpito Gioia. E che pare
dimenticata. Nessuno che accenni a quei “segnali” oscuri di cui ho parlato poc’anzi. La presenza
dell’usura, delle estorsioni, le infiltrazioni di organizzazioni criminali che minacciano l’economia
locale. Che non sono problemi delle sole Forze dell’Ordine. Ma toccano principalmente l’intera
comunità cittadina. La presunta Società Civile, se esiste. La Politica. Le Scuole. Le Parrocchie.
Concludo con le parole di Papa Francesco che, durante la sua visita in Calabria, proprio nel giugno
2014, nell’omelia pronunciata a Sibari, ha gridato con potenza profetica che: “La mafia è adorazione
del male e disprezzo del bene comune. (…) Rinunciamo agli idoli del denaro, della vanità,
dell’orgoglio, del potere, della violenza” .
Enzo Cuscito

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  • 1. Pag. 1 a 2 LE MANI SULLA CITTÀ. CHI HA PAURA A PARLARNE? Gambizzazioni. Esecuzioni in stile mafioso. Usura. Auto ed esercizi commerciali bruciati. Estorsioni. Traffico di stupefacenti. Arresti di politici eccellenti, funzionari pubblici, professionisti ed imprenditori con l’ipotesi di corruzione e bandi pubblici pilotati. Sembra la trama dell’inchiesta romana “Mafia-Capitale”, o la cronaca giudiziaria di una Città della Calabria o della Sicilia più profonda. Quelle, per capirci, dove gli imperi di Mafia e Ndrangheta governano ogni cosa che si muove sotto il cielo. Ed invece no. Parliamo di Gioia del Colle. La nostra Città. L’inquietante elenco di fatti di cronaca “criminale” sono quanto ciascuno di noi ha potuto leggere tra le righe della Stampa locale nell’ultimo anno. Non vent’anni fa. Non dieci anni fa. Ma solo nei mesi scorsi. E’ di appena qualche giorno fa la notizia di un uomo “gambizzato” nei pressi della sua abitazione. Il più classico degli “avvisi” con cui la criminalità organizzata “segnala” uno sgarbo ricevuto, un’invasione di territorio. Un avviso di garanzia, insomma, in stile mafioso. Era invece il 4 giugno di un anno fa. Un operaio di un’impresa all’opera per i lavori di sopraelevazione del quinto lotto del cimitero nuovo, viene freddato, al mattino, proprio dinanzi all’ingresso laterale del nostro cimitero. Sembra un’esecuzione in perfetto stile mafioso. Un omicidio che, ad oggi, appare ancora insoluto. Ma proprio su quei lavori, a seguito della denuncia alla Guardia di Finanza presentata dalle opposizioni, la Procura di Bari ha avviato un’indagine, provocando l’annullamento della gara dei lavori di completamento ed il sequestro, pare, dell’intero lotto. L’omicidio ed i lavori al cimitero. Apparentemente, tutti si affrettano a dire, non hanno nulla in comune. Ma la contemporaneità dei fatti, le storie parallele di funzionari comunali poi finiti in carcere, gare illegittime e costi gonfiati, non possono che gettare ombre su ombre. Nel frattempo la Città viene investita da una serie di incendi ad auto ed esercizi commerciali. I più classici segnali dell’ombra del racket delle estorsioni. Che gli interessati smentiscono, senza mai ipotizzare moventi meno inquietanti. Intanto, il 5 febbraio scorso, finivano in carcere, a seguito di una lunga e minuziosa indagine della Tenenza della Guardia di Finanza di Gioia, il Sindaco Sergio Povia, il vice-sindaco ombra Franco Ventaglini, l’imprenditore Antonio Posa, il Geometra comunale Rocco Plantamura (con il quale mi ero più volte scontrato, duramente, in Consiglio Comunale, proprio sulla vicenda “cimitero” e sulla gestione dei lavori in economia che, in assenza del principio di “rotazione” previsto dal Codice degli appalti, sembravano affidati sempre alle stesse Ditte locali), l’ingegnere comunale Nicola Laruccia ed una serie di professionisti. I reati contestati sono di corruzione, turbata libertà degli incanti e turbata libertà del procedimento di scelta del contraente. Una storia di edilizia popolare, di milioni di euro di giro d’affari e di un pubblico bando vestito su misura per un vincitore prescelto. Con la collaborazione illecita, è l’accusa, della Politica locale ai suoi massimi livelli e di funzionari compiacenti. Ma l’altro capitolo, non meno inquietante, della storia è che, secondo gli investigatori, l’inchiesta parte per caso da un’altra indagine, questa volta su di un giro di usura nel nostro paese. Sì, usura. Quella, insieme al racket delle estorsioni, che Consiglieri Comunali importanti della passata amministrazione, alla mia insistenza in merito all’approvazione di un Regolamento Comunale antiracket ed antiusura presentato dal sottoscritto, rispondevano (verbali di Consiglio) che Gioia del Colle non è la Sicilia e che qui da noi il “pizzo” e l’usura non esistono. Insomma, su per giù simile a quanto dichiaravano autorevoli parlamentari della Repubblica Italiana negli anni ’60 e ’70 che, contestando l’operato di Magistrati, Giornalisti e Scrittori (come non ricordare Leonardo Sciascia) impegnati nella lotta alla “piovra”, proclamavano a gran voce che “la mafia non esiste”. Colpevolmente, ignorando quanto scritto nella “Relazione del Ministero dell’Interno al Parlamento sull’attività svolta e sui risultati ottenuti dalla Direzione Investigativa Antimafia” già nel non molto lontano 2008. Leggiamo, a pagina 253, che “nell’area indicata il sodalizio PARISI sembra estendere
  • 2. Pag. 2 a 2 la propria influenza in Acquaviva delle Fonti, Gioia del Colle e Casamassima”. E, in un documento del Parlamento, durante la XIV Legislatura, si aggiunge che “nella zona a sud di Bari, nei centri di Monopoli, Conversano e Putignano si registrano attività connesse al traffico ed allo spaccio di stupefacenti e alle estorsioni mentre nella zona di Gioia del Colle ed Acquaviva delle Fonti, oltre alle predette attività, i gruppi locali sarebbero dediti anche all'usura.” Ho voluto fortemente fare “memoria” di queste vicende accadute tra le quattro mura del nostro Comune negli ultimi mesi, perché mi accorgo, giorno dopo giorno, che i sempre più forti segnali di una pervadente presenza criminale sul nostro territorio viene pressoché ignorata dai più. Non se ne parla. Non ne parlano i partiti, i gruppi politici vecchi e nuovi. Sindacati e associazioni di categoria di imprese e commercianti. Non ne parlano le associazioni culturali. Le comunità religiose. Eppure “segni” di una presenza sempre più sottile, sinuosa, penetrante, della criminalità organizzata, insieme ad un deterioramento della prassi politica, con fenomeni di corruzione a tutti i livelli, farebbero sobbalzare chiunque avesse a cuore il principio di “legalità”. A Gioia del Colle tutto lascia intendere che vi siano fenomeni estorsivi, l’usura, interessi nella gestione criminale degli appalti pubblici, corruzione. Il tutto portato avanti con atti di violenza sulle persone riconducibili a gruppi criminali organizzati. Lo raccontano i fatti di cronaca. Quasi ogni giorno. A chi conviene non parlarne? La retorica che vorrebbe evitare gli inutili allarmismi, in questo caso, è dannosa e controproducente. La mafia, la criminalità organizzata e la corruzione si combattono tenendo alta la guardia. Perché s’infiltrano ovunque. Ancor più quando è notte e tutti dormono. Quando, cioè, l’attenzione è bassa. A chi conviene non parlarne, allora? Di certo alle organizzazioni criminali stesse. L’omertà è la linfa che le alimenta. Chi è schiacciato dall’usura e dal racket, il più delle volte, non denuncia. Non parla. Perché ha paura. Perché non si fida. Non tanto delle Forze dell’Ordine o della Magistratura che lavorano attente sul territorio, ma dalla cosiddetta società civile. Che lascia sole le vittime, dopo, a ricostruire sulle macerie. Che temono il silenzio collettivo di chi invece dovrebbe sostenerli. Facendo quadrato attorno a loro. Ma il silenzio conviene anche a due meschine categorie di cittadini. Quelle che dalla criminalità organizzata ricevono “protezione” o, addirittura, consenso e sostegno elettorale. Perché il delinquente locale può portare un bel po’ di voti. Fare campagna. Trascinare elettori al seggio con la pressione della minaccia e dell’invettiva. Poi ci sono quelli che non ne parlano per paura. “Perché è meglio farsi i fatti propri – pensano – Abbiamo già i nostri problemi. Figuriamoci quelli degli altri! E dei “delinquenti” del posto, poi. Quelli poi ti “gambizzano”, ti bruciano l’auto, minacciano tua figlia. Che siano gli altri a parlare”. Vorrei, allora, una Città che s’interrogasse sulla legalità in questo paese. Sulle infiltrazioni criminali. Dai salotti culturali ai tavolini al bar. Voglio che diventi non una delle priorità, ma “la priorità” dei programmi elettorali e degli impegni delle coalizioni per le prossime elezioni comunali. Al di fuori di pochissimi casi, infatti, oltre noi nessuno ne parla. Dando l’impressione che tutti la pensino allo stesso modo: Gioia non è la Sicilia. Una sorta di isola felice. Che non c’è. Ho letto comunicati di partiti che annunciano la chiusura della propria sede ed i problemi economici con cui hanno impattato. Altri di neo movimenti che enucleano interessanti iniziative e propositi per lo Sport locale, la tutela del territorio, il lavoro etc. Ma nessuno che abbia posto al centro la “questione morale”. Nessuno che parli della “corruzione” politica che ha colpito Gioia. E che pare dimenticata. Nessuno che accenni a quei “segnali” oscuri di cui ho parlato poc’anzi. La presenza dell’usura, delle estorsioni, le infiltrazioni di organizzazioni criminali che minacciano l’economia locale. Che non sono problemi delle sole Forze dell’Ordine. Ma toccano principalmente l’intera comunità cittadina. La presunta Società Civile, se esiste. La Politica. Le Scuole. Le Parrocchie. Concludo con le parole di Papa Francesco che, durante la sua visita in Calabria, proprio nel giugno 2014, nell’omelia pronunciata a Sibari, ha gridato con potenza profetica che: “La mafia è adorazione del male e disprezzo del bene comune. (…) Rinunciamo agli idoli del denaro, della vanità, dell’orgoglio, del potere, della violenza” . Enzo Cuscito