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biografia
Nata a Ligneries il 27 luglio 1768 e morta a
Parigi il 17 luglio 1793.
La morte separò M. de Corday dai suoi
cinque figli, quando la piccola Charlotte era
ancora in tenera età. Le tre femmine
entrarono in un monastero di Caen.
Charlotte aveva allora tredici anni.
Il 13 dicembre 1790 un decreto sancì la
chiusura dei monasteri. La sua vecchia
zia, Madame de Bretteville, l'accolse nella
sua casa di Caen. Charlotte propendeva
per idee nuove e moderne: era il periodo
in cui i Girondini lottavano contro i loro
nemici alla Convention, i Giacobini, il
periodo in cui Jean-Paul Marat,
rappresentante per lei della tirannia,
trionfava a Parigi.
I Girondini proscritti e fuggitivi si erano rifugiati nel
Calvados. Qui, essi tenevano delle assemblee a
cui Charlotte Corday assistette più volte. Convinta
di dover uccidere Marat Il 9 luglio 1793, lasciò
Caen per recarsi a Parigi, dove giunse l'11 luglio e
prese alloggio all'Hotel de la Providence. Munita di
una lettera di presentazione
di Barbaroux, si presentò dal
deputato Lauze-Duperret
dal quale apprese che
Marat non si presentava
più alla Convention.
Bisognava dunque
cercarlo a casa.
Lei gli scrisse:
« Vengo da Caen; il vostro amore per la
Patria mi fa presumere che conoscerete
con piacere gli sfortunati avvenimenti di
questa parte della Repubblica. Mi
presenterò a casa vostra verso la una,
abbiate la bontà di ricevermi e di
accordarmi un momento della vostra
attenzione. Vi darò l'opportunità di rendere
un grande servizio alla Francia.»
Non avendo potuto essere introdotta alla
presenza di Marat, gli fece pervenire un
secondo biglietto:
« Vi ho scritto questa mattina, Marat; avete
ricevuto la mia lettera? Non posso crederlo,
poiché mi si rifiuta la vostra porta. Spero che
domani mi accorderete un incontro. Ve lo
ripeto, arrivo da Caen; devo rivelarvi segreti
importantissimi per la salvezza della
Repubblica. Peraltro sono perseguita per la
causa della libertà. Sono sfortunata; è
sufficiente che io lo sia per aver diritto al
 Senza attendere la risposta, Charlotte
Corday uscì dalla sua camera d'albergo
alle 19.00 ed arrivò al civico 18 di Rue des
Cordeliers, dove risiedeva Marat e lo
uccise nel suo bagno dove era solito
ricevere gli ospiti.
Charlotte Corday fu arrestata
da Simone Evrard (la sposa di Marat)
e dai suoi domestici.
Protetta dall'ira della folla,
fu poi trasportata all'Abbaye, la
prigione più vicina alla casa di Marat,
per essere interrogata. Charlotte Corday fu
trasferita il 16 luglio alla Conciergerie, e
l'indomani, alle otto del mattino, i gendarmi la
portarono al Tribunale rivoluzionario.
Il tribunale condannò Charlotte Corday alla pena
di morte ed ordinò che fosse condotta al luogo
dell'esecuzione vestita della camicia rossa
riservata ai parricidi. Al boia che aveva tentato fino
all'ultimo di nasconderle la ghigliottina, ella disse
:"Avrò pure il diritto di vederla: non ne ho mai vista
una!" Subito dopo la decapitazione uno degli
assistenti del boia, sollevò la testa dal cesto
schiaffeggiandola sulle guance. Molti testimoni
riferirono che un' "inequivocabile espressione di
sdegno" apparve allora sul volto schiaffeggiato.
Questo atto fu considerato inaccettabile nel
cerimoniale delle esecuzioni capitali, tanto che
l'autore dell'oltraggio fu condannato a 3 mesi di
prigione.

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  • 2. Nata a Ligneries il 27 luglio 1768 e morta a Parigi il 17 luglio 1793. La morte separò M. de Corday dai suoi cinque figli, quando la piccola Charlotte era ancora in tenera età. Le tre femmine entrarono in un monastero di Caen. Charlotte aveva allora tredici anni.
  • 3. Il 13 dicembre 1790 un decreto sancì la chiusura dei monasteri. La sua vecchia zia, Madame de Bretteville, l'accolse nella sua casa di Caen. Charlotte propendeva per idee nuove e moderne: era il periodo in cui i Girondini lottavano contro i loro nemici alla Convention, i Giacobini, il periodo in cui Jean-Paul Marat, rappresentante per lei della tirannia, trionfava a Parigi.
  • 4. I Girondini proscritti e fuggitivi si erano rifugiati nel Calvados. Qui, essi tenevano delle assemblee a cui Charlotte Corday assistette più volte. Convinta di dover uccidere Marat Il 9 luglio 1793, lasciò Caen per recarsi a Parigi, dove giunse l'11 luglio e prese alloggio all'Hotel de la Providence. Munita di una lettera di presentazione di Barbaroux, si presentò dal deputato Lauze-Duperret dal quale apprese che Marat non si presentava più alla Convention. Bisognava dunque cercarlo a casa.
  • 5. Lei gli scrisse: « Vengo da Caen; il vostro amore per la Patria mi fa presumere che conoscerete con piacere gli sfortunati avvenimenti di questa parte della Repubblica. Mi presenterò a casa vostra verso la una, abbiate la bontà di ricevermi e di accordarmi un momento della vostra attenzione. Vi darò l'opportunità di rendere un grande servizio alla Francia.»
  • 6. Non avendo potuto essere introdotta alla presenza di Marat, gli fece pervenire un secondo biglietto: « Vi ho scritto questa mattina, Marat; avete ricevuto la mia lettera? Non posso crederlo, poiché mi si rifiuta la vostra porta. Spero che domani mi accorderete un incontro. Ve lo ripeto, arrivo da Caen; devo rivelarvi segreti importantissimi per la salvezza della Repubblica. Peraltro sono perseguita per la causa della libertà. Sono sfortunata; è sufficiente che io lo sia per aver diritto al
  • 7.  Senza attendere la risposta, Charlotte Corday uscì dalla sua camera d'albergo alle 19.00 ed arrivò al civico 18 di Rue des Cordeliers, dove risiedeva Marat e lo uccise nel suo bagno dove era solito ricevere gli ospiti.
  • 8. Charlotte Corday fu arrestata da Simone Evrard (la sposa di Marat) e dai suoi domestici. Protetta dall'ira della folla, fu poi trasportata all'Abbaye, la prigione più vicina alla casa di Marat, per essere interrogata. Charlotte Corday fu trasferita il 16 luglio alla Conciergerie, e l'indomani, alle otto del mattino, i gendarmi la portarono al Tribunale rivoluzionario.
  • 9. Il tribunale condannò Charlotte Corday alla pena di morte ed ordinò che fosse condotta al luogo dell'esecuzione vestita della camicia rossa riservata ai parricidi. Al boia che aveva tentato fino all'ultimo di nasconderle la ghigliottina, ella disse :"Avrò pure il diritto di vederla: non ne ho mai vista una!" Subito dopo la decapitazione uno degli assistenti del boia, sollevò la testa dal cesto schiaffeggiandola sulle guance. Molti testimoni riferirono che un' "inequivocabile espressione di sdegno" apparve allora sul volto schiaffeggiato. Questo atto fu considerato inaccettabile nel cerimoniale delle esecuzioni capitali, tanto che l'autore dell'oltraggio fu condannato a 3 mesi di prigione.