1. La lezione del Monte di Tito Boeri e Luigi Guiso
http://www.lavoce.info/mps- fondaz ioni- politica- banche/ February 6, 2013
T ito Boeri
La vicenda Monte dei Paschi non è dovuta a carenza di controlli, ma alla governance del nostro
sistema bancario. È un caso di cattiva gestione, con precise responsabilità del management. Il
nodo resta la struttura proprietaria del sistema bancario. Ma nei programmi elettorali non una
parola per affrontarlo.
COSA INSEGNANO LE CRISI
Le crisi bancarie e gli scandali finanziari sono eventi molto costosi – per le istituzioni che li
vivono, per i risparmiatori che ne sono investiti, per le altre istituzioni finanziarie che talvolta ne
vengono contagiate, per le imprese e i consumatori che fanno uso dei loro servizi. Ma hanno un
pregio: portano alla luce ciò che non va nell’architettura del sistema e costringono ad aprire gli
occhi, anche quelli di chi gli occhi non voleva aprirli o, pur avendoli aperti, non sapeva vedere.
Così è stato per la crisi finanziaria, così è per la vicenda Mont e dei Paschi. La campagna
elettorale, però, rischia di occultare le lezioni più importanti che si possono trarre da questa
vicenda. Troppe le semplificazioni e altrettante le brutali distorsioni, usate sia da rappresentanti
politici che, talvolta, da giornalisti che in altre circostanze hanno mostrato notevole acume.
Bene trarre le principali lezioni da questa vicenda. Anche perché la campagna elettorale offre
l’opportunità di costringere i partiti a prendere posizione.
NON È UN PROBLEMA DI CONTROLLI….
La vicenda del Monte dei Paschi non è un problema di carenza di controlli da parte delle autorità
di supervisione, malgrado il tentativo di parecchi di sostenere il contrario. La ricostruzione
depositata martedì scorso in Parlamento dimostra che Banca d’It alia ha operato con
tempismo, ha monitorato costantemente le attività e i conti del Monte Paschi intensificando i
suoi interventi mano a mano che la situazione diveniva più tesa. Ad esempio, via Nazionale ha
chiesto che la situazione di liquidità del banco fosse trasmessa giornalment e alla vigilanza, e
successivamente, forse non fidandosi, ha imposto al direttore Vigni di firmare personalmente i
report. L’autorità di supervisione si è spinta fino a dettare all’azionariato il cambio dell’intero
consiglio di amministrazione e del direttore generale, utilizzando quindi tutti i poteri che la
legislazione le assegnava e, per quanto riguarda la rimozione del CdA, la propria moral suasion.
Se disponesse del potere di removal – cioè del potere di rimuovere gli amministratori come
dispongono le autorità di numerosi altri paesi, probabilmente avrebbe potuto agire ancora più
tempestivamente. Col senno di poi si può sostenere che avrebbero potuto convocare gli
azionisti e la vicenda non sarebba sfuggita di mano. Ma del senno di poi sono piene le fosse.
C’è un punto importante da chiarire perché su questo si sono appuntate le critiche di questi
giorni all’organo di vigilanza, incluse quelle di Milena Gabanelli sul Corriere: cosa sapeva la Banca
d’Italia dei due contratti derivati Santorini e Alexandria? L’ispezione della Banca d’Italia aveva
appurato, come rileva il rapporto ispettivo, l’esistenza di questi due contratti derivati e aveva
fatto rilievi sull’insufficienza dei presidi interni per la gestione del rischio sottostante. Ciò che gli
ispettori non potevano sapere, perché l’informazione è stata loro nascosta, è che la natura di
quei contratti è stata successivamente modificata e la modifica celata nella famosa cassaforte
(che poteva essere a Siena come in una controllata estera e non è pensabile che gli ispettori
possano aprire tutte le casseforti). Che sia così è provato dal fatto che la procura di Siena ha
attivato un procedura nei confronti degli amministratori di MPS per ostacolo all’attività di
vigilanza. In questo Banca d’Italia è parte lesa. Se vi è stato un limite nei controlli, questo non va
cercato nella Banca d’Italia. L’omissione eventualmente risiede nella scarsa supervisione
esercitata sulle f ondazioni bancarie da parte del Tesoro. È un argomento che avevamo
sollevato mesi fa. Ma anche questo aspetto di per sé non è sufficiente a spiegare il caso Mps.
2. … È UN PROBLEMA DI GOVERNANCE
Il caso Monte Paschi è un caso di cattiva gestione le cui responsabilità vanno addossate al
management. È del management e della proprietà che gli sta dietro la scelta di espandersi e
acquisire Ant onvenet a, il vero turning point delle fortune dell’istituto senese. Ed è
responsabilità del management e della proprietà la decisione di accettare di pagare il prezzo
che ha pagato al Santander, così come è della dirigenza e di Mps la scelta di usare i due derivati
per distribuire nel tempo perdite maturate e la loro modalità di rendicontazione. E la qualità del
management e il suo comportamento riflette la struttura della proprietà, la governance delle
banche. È questo il punto sui cui occorre riflettere.
La miopia di Mps è figlia della st rut t ura propriet aria del nostro sistema bancario, politicizzato
per tramite delle fondazioni, come denunciamo da tempo e come rimarcato anche dal Fondo
monetario nelle sue raccomandazioni al governo italiano (si veda lo Staff Report del 2011 al
box 4), ignorate dal Governo Berlusconi e poi dallo stesso Governo tecnico. Come denunciava il
Fondo monet ario in documenti che generalmente sono molto cauti nei toni, “i politici locali che
controllano le fondazioni, possono esercitare un’indebita interferenza nella governance delle
banche e allontanare investitori potenziali da queste ultime”. Il Fondo chiedeva anche che non
fosse più il ministero del Tesoro a esercitare la supervisione sulle fondazioni. Purtroppo, la sua
richiesta è rimasta lettera morta. Certo un vero regolatore avrebbe impedito alla Fondazione
Monte dei Paschi di indebitarsi e bruciare il proprio patrimonio pur di partecipare all’aumento di
capitale della banca conferitaria.
BENE INCALZARE I POLITICI
Il fatto grave è che nessun part it o affronta nel suo programma elettorale questo nodo
cruciale. Nei programmi di Pdl, Pd, Movimento 5 Stelle, Lista Monti, il tema della struttura
proprietaria, della governance del nostro sistema bancario non viene minimamente affrontato.
Legittimo pensare che sia perché questi partiti hanno tutti poltrone nei board delle fondazioni
e, da questa posizione, realizzano il loro sogno di “avere una banca” tutta per loro. Vogliamo
sperare che la gravità del caso Mps induca a un serio ripensamento. Molti rappresentanti politici,
a partire da Mario Monti, si sono precipitati in questi giorni a chiedere di separare le banche dalla
politica, ma non hanno detto come raggiungere l’obiettivo e si sono astenuti dal nominare le
fondazioni bancarie, che è il canale attraverso cui politica e banche si saldano. Nei fatti le
premesse di una svolta ancora non si vedono. È un mondo talmente autoreferenziale, quello
delle banche e delle fondazioni bancarie, che non sembra neanche accorgersi del discredit o
che ha ormai non solo sul piano internazionale, ma anche all’interno del nostro paese. Nel luglio
scorso questo stesso mondo confermava ai vertici dell’Associazione bancaria italiana,
Giuseppe Mussari, appena “licenziato” dagli ispettori della Banca d’Italia per le irregolarità
compiute nella sua gestione di Mps e queste fossero allora già note (si veda anche a questo
proposito il comunicato di Banca d’Italia). In questi giorni si è proceduto a sostituire Mussari con
un altro politico, un altro uomo delle Fondazioni, Antonio Patuelli che vanta una lunga carriera
politica conclusa all’ombra di Giuseppe Guzzetti, il grande power broker delle fondazioni. Le sue
prime dichiarazioni sono tutte un programma … di ipocrisia al potere: «Crediamo ed operiamo
per banche assolutamente indipendenti, distanti e distinte dalla politica e da ogni rischio di
interferenze ed interessi di conflitto». Le fondazioni che oggi hanno posizioni di controllo nelle
maggiori banche italiane hanno anche più del 30 per cent o di posti di comando coperti da
politici. Tra i quali figura lo stesso Patuelli, lunga carriera nel PLI, deputato in due legislature e
con incarichi ministeriali sui temi più svariati, dall’istruzione, alla cultura, all’agricoltura e alla
difesa. Laureato in giurisprudenza, l’unica cosa di cui non si è mai occupato prima di arrivare ai
vertici della Cassa di Risparmio di Ravenna e dell’ACRI è di banche. Salvo essere quello che per il
PLI trattava le nomine nelle banche di interesse nazionale. Lo stesso mestiere che si appresta
ora a fare dai vertici dell ABI