1. BOLLETTINO UFFICIALE
DELL'ARCIDIOCESI METROPOLITANA
DI PESCARA-PENNE
ANNO LXI MMIX - 1
2. Periodico Sede Legale:
della Diocesi di Pescara Curia Arcivescovile Metropolitana Pescara-Penne
Anno LXI - N° 1
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Can. Antonio DI GIULIO Periodico registrato presso il Tribunale di Pescara
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3. SOMMARIO
LA PAROLA DEL PAPA
Messaggio per la celebrazione della Giornata Mondiale della Pace
1° Gennaio 2009 ................................................................................................................. pag. 6
Omelia nella solennità di Maria S.S.ma Madre di Dio
XLII Giornata Mondiale della Pace ....................................................................................... “ 16
Omelia nella solennità dell’Epifania del Signore .................................................................... “ 21
Omelia nella festa del Battesimo del Signore
Santa Messa e Battesimo dei Bambini ................................................................................. “ 26
Omelia per la XIII Giornata della Vita Consacrata .............................................................. “ 29
Messaggio per la XVII Giornata Mondiale del Malato ....................................................... “ 32
Lettera sulla revoca della scomunica ai vescovi Lefebvriani .............................................. “ 36
Messaggio per la Quaresima 2009 ....................................................................................... “ 42
Messaggio per la XXIV Giornata Mondiale della Gioventù ............................................... “ 47
Messaggio all’Arcivescovo de L’Aquila
in occasione del rito di suffragio per le vittime del terremoto .............................................. “ 53
Omelia nella Santa Messa del Crisma ............................................................................................. “ 55
Omelia nella Messa della Cena del Signore ................................................................................... “ 61
Omelia della Veglia Pasquale nella notte Santa ............................................................................ “ 66
Messaggio Urbi et Orbi - Pasqua 2009 ........................................................................................... “ 72
Omelia della domenica di Pasqua nella Risurrezione del Signore ............................................ “ 76
Visita alle zone terremotate dell’Abruzzo - 28 aprile 2009 ........................................................ “ 78
Messaggio per la XLVI Giornata Mondiale di Preghiera per le vocazioni ............................ “ 84
Messaggio per la XLIII Giornata Mondiale delle comunicazioni sociali ............................... “ 89
Lettera per l’indizione dell’anno sacerdotale in occasione
del 150° Anniversario del “Dies Natalis” di Giovanni Maria Vianney ................................... “ 94
Omelia per l’apertura dell’anno sacerdotale
nel 150° Anniversario della morte di San Giovanni Maria Vianney ........................................ “ 106
Preghiera per l’anno sacerdotale......................................................................................................... “ 111
MMIX - 1
4. SOMMARIO
VITA DIOCESANA
NOMINE E DECRETI
Nomine ........................................................................................................................................... “ 114
Indulgenza Plenaria per l’anno Paolino ................................................................................... “ 116
Elenco degli alloggi per sacerdoti pensionati ......................................................................... “ 117
VARIE
Necrologi
(Sac. A. Pintori, Sac. G. Battisti, Sac. B. Cicconetti, Sac. C. Sisto Romiti) ...................... “ 120
AMMINISTRAZIONE
Resoconto missionario in cifre (Anno 2008) ........................................................................... “ 128
Questue Imperate - Ove (Anno 2008) ....................................................................................... “ 144
MMIX - 1
6. MESSAGGIO PER LA CELEBRAZIONE DELLA
GIORNATA MONDIALE DELLA PACE
1° GENNAIO 2009
COMBATTERE LA POVERTÀ, COSTRUIRE LA PACE
1. Anche all'inizio di questo nuovo anno desidero far giungere a tutti il
mio augurio di pace ed invitare, con questo mio Messaggio, a riflettere sul
tema: Combattere la povertà, costruire la pace. Già il mio venerato prede-
cessore Giovanni Paolo II, nel Messaggio per la Giornata Mondiale della
Pace del 1993, aveva sottolineato le ripercussioni negative che la situazione
di povertà di intere popolazioni finisce per avere sulla pace. Di fatto, la po-
vertà risulta sovente tra i fattori che favoriscono o aggravano i conflitti, an-
che armati. A loro volta, questi ultimi alimentano tragiche situazioni di po-
vertà. « S'afferma... e diventa sempre più grave nel mondo – scriveva Gio-
vanni Paolo II – un'altra seria minaccia per la pace: molte persone, anzi, in-
tere popolazioni vivono oggi in condizioni di estrema povertà. La disparità
tra ricchi e poveri s'è fatta più evidente, anche nelle nazioni economicamen-
te più sviluppate. Si tratta di un problema che s'impone alla coscienza del-
l'umanità, giacché le condizioni in cui versa un gran numero di persone so-
no tali da offenderne la nativa dignità e da compromettere, conseguente-
mente, l'autentico ed armonico progresso della comunità mondiale » [1].
2. In questo contesto, combattere la povertà implica un'attenta conside -
razione del complesso fenomeno della globalizzazione. Tale considerazione
è importante già dal punto di vista metodologico, perché suggerisce di uti-
lizzare il frutto delle ricerche condotte dagli economisti e sociologi su tanti
aspetti della povertà. Il richiamo alla globalizzazione dovrebbe, però, rive-
stire anche un significato spirituale e morale, sollecitando a guardare ai po-
veri nella consapevole prospettiva di essere tutti partecipi di un unico pro-
getto divino, quello della vocazione a costituire un'unica famiglia in cui tutti
– individui, popoli e nazioni – regolino i loro comportamenti improntandoli
ai principi di fraternità e di responsabilità.
6
7. In tale prospettiva occorre avere, della povertà, una visione ampia ed ar-
ticolata. Se la povertà fosse solo materiale, le scienze sociali che ci aiutano
a misurare i fenomeni sulla base di dati di tipo soprattutto quantitativo, sa-
rebbero sufficienti ad illuminarne le principali caratteristiche. Sappiamo,
però, che esistono povertà immateriali, che non sono diretta e automatica
conseguenza di carenze materiali. Ad esempio, nelle società ricche e pro-
gredite esistono fenomeni di emarginazione, povertà relazionale, morale e
spirituale: si tratta di persone interiormente disorientate, che vivono diverse
forme di disagio nonostante il benessere economico. Penso, da una parte, a
quello che viene chiamato il « sottosviluppo morale » [2] e, dall'altra, alle
conseguenze negative del « supersviluppo » [3]. Non dimentico poi che,
nelle società cosiddette « povere », la crescita economica è spesso frenata
da impedimenti culturali, che non consentono un adeguato utilizzo delle ri-
sorse. Resta comunque vero che ogni forma di povertà imposta ha alla pro-
pria radice il mancato rispetto della trascendente dignità della persona uma-
na. Quando l'uomo non viene considerato nell'integralità della sua vocazio-
ne e non si rispettano le esigenze di una vera « ecologia umana » [4], si sca-
tenano anche le dinamiche perverse della povertà, com'è evidente in alcuni
ambiti sui quali soffermerò brevemente la mia attenzione.
Povertà e implicazioni morali
3. La povertà viene spesso correlata, come a propria causa, allo sviluppo
demografico. In conseguenza di ciò, sono in atto campagne di riduzione
delle nascite, condotte a livello internazionale, anche con metodi non rispet-
tosi né della dignità della donna né del diritto dei coniugi a scegliere re-
sponsabilmente il numero dei figli [5] e spesso, cosa anche più grave, non
rispettosi neppure del diritto alla vita. Lo sterminio di milioni di bambini
non nati, in nome della lotta alla povertà, costituisce in realtà l'eliminazione
dei più poveri tra gli esseri umani. A fronte di ciò resta il fatto che, nel
1981, circa il 40% della popolazione mondiale era al di sotto della linea di
povertà assoluta, mentre oggi tale percentuale è sostanzialmente dimezzata,
e sono uscite dalla povertà popolazioni caratterizzate, peraltro, da un note-
vole incremento demografico. Il dato ora rilevato pone in evidenza che le ri-
sorse per risolvere il problema della povertà ci sarebbero, anche in presenza
di una crescita della popolazione. Né va dimenticato che, dalla fine della se-
conda guerra mondiale ad oggi, la popolazione sulla terra è cresciuta di
7
8. quattro miliardi e, in larga misura, tale fenomeno riguarda Paesi che di re-
cente si sono affacciati sulla scena internazionale come nuove potenze eco-
nomiche e hanno conosciuto un rapido sviluppo proprio grazie all'elevato
numero dei loro abitanti. Inoltre, tra le Nazioni maggiormente sviluppate
quelle con gli indici di natalità maggiori godono di migliori potenzialità di
sviluppo. In altri termini, la popolazione sta confermandosi come una ric-
chezza e non come un fattore di povertà.
4. Un altro ambito di preoccupazione sono le malattie pandemiche quali,
ad esempio, la malaria, la tubercolosi e l'AIDS, che, nella misura in cui col-
piscono i settori produttivi della popolazione, influiscono grandemente sul
peggioramento delle condizioni generali del Paese. I tentativi di frenare le
conseguenze di queste malattie sulla popolazione non sempre raggiungono
risultati significativi. Capita, inoltre, che i Paesi vittime di alcune di tali
pandemie, per farvi fronte, debbano subire i ricatti di chi condiziona gli aiu-
ti economici all'attuazione di politiche contrarie alla vita. È soprattutto diffi-
cile combattere l'AIDS, drammatica causa di povertà, se non si affrontano le
problematiche morali con cui la diffusione del virus è collegata. Occorre in-
nanzitutto farsi carico di campagne che educhino specialmente i giovani a
una sessualità pienamente rispondente alla dignità della persona; iniziative
poste in atto in tal senso hanno gia dato frutti significativi, facendo diminui-
re la diffusione dell'AIDS. Occorre poi mettere a disposizione anche dei po-
poli poveri le medicine e le cure necessarie; ciò suppone una decisa promo-
zione della ricerca medica e delle innovazioni terapeutiche nonché, quando
sia necessario, un'applicazione flessibile delle regole internazionali di prote-
zione della proprietà intellettuale, così da garantire a tutti le cure sanitarie di
base.
5. Un terzo ambito, oggetto di attenzione nei programmi di lotta alla po-
vertà e che ne mostra l'intrinseca dimensione morale, è la povertà dei bam -
bini. Quando la povertà colpisce una famiglia, i bambini ne risultano le vit-
time più vulnerabili: quasi la metà di coloro che vivono in povertà assoluta
oggi è rappresentata da bambini. Considerare la povertà ponendosi dalla
parte dei bambini induce a ritenere prioritari quegli obiettivi che li interes-
sano più direttamente come, ad esempio, la cura delle madri, l'impegno edu-
cativo, l'accesso ai vaccini, alle cure mediche e all'acqua potabile, la salva-
guardia dell'ambiente e, soprattutto, l'impegno a difesa della famiglia e della
8
9. stabilità delle relazioni al suo interno. Quando la famiglia si indebolisce i
danni ricadono inevitabilmente sui bambini. Ove non è tutelata la dignità
della donna e della mamma, a risentirne sono ancora principalmente i figli.
6. Un quarto ambito che, dal punto di vista morale, merita particolare at-
tenzione è la relazione esistente tra disarmo e sviluppo. Suscita preoccupa-
zione l'attuale livello globale di spesa militare. Come ho già avuto modo di
sottolineare, capita che « le ingenti risorse materiali e umane impiegate per
le spese militari e per gli armamenti vengono di fatto distolte dai progetti di
sviluppo dei popoli, specialmente di quelli più poveri e bisognosi di aiuto. E
questo va contro quanto afferma la stessa C a rta delle Nazioni Unite, che
impegna la comunità internazionale, e gli Stati in particolare, a “promuove-
re lo stabilimento ed il mantenimento della pace e della sicurezza interna-
zionale col minimo dispendio delle risorse umane ed economiche mondiali
per gli armamenti” (art. 26) » [6].
Questo stato di cose non facilita, anzi ostacola seriamente il raggiungi-
mento dei grandi obiettivi di sviluppo della comunità internazionale. Inol-
tre, un eccessivo accrescimento della spesa militare rischia di accelerare una
corsa agli armamenti che provoca sacche di sottosviluppo e di disperazione,
trasformandosi così paradossalmente in fattore di instabilità, di tensione e di
conflitti. Come ha sapientemente affermato il mio venerato Predecessore
Paolo VI, « lo sviluppo è il nuovo nome della pace » [7]. Gli Stati sono per-
tanto chiamati ad una seria riflessione sulle più profonde ragioni dei conflit-
ti, spesso accesi dall'ingiustizia, e a provvedervi con una coraggiosa autocri-
tica. Se si giungerà ad un miglioramento dei rapporti, ciò dovrebbe consen-
tire una riduzione delle spese per gli armamenti. Le risorse risparmiate po-
tranno essere destinate a progetti di sviluppo delle persone e dei popoli più
poveri e bisognosi: l'impegno profuso in tal senso è un impegno per la pace
all'interno della famiglia umana.
7. Un quinto ambito relativo alla lotta alla povertà materiale riguarda
l'attuale crisi alimentare, che mette a repentaglio il soddisfacimento dei bi-
sogni di base. Tale crisi è caratterizzata non tanto da insufficienza di cibo,
quanto da difficoltà di accesso ad esso e da fenomeni speculativi e quindi da
carenza di un assetto di istituzioni politiche ed economiche in grado di fron-
teggiare le necessità e le emergenze. La malnutrizione può anche provocare
9
10. gravi danni psicofisici alle popolazioni, privando molte persone delle ener-
gie necessarie per uscire, senza speciali aiuti, dalla loro situazione di po-
vertà. E questo contribuisce ad allargare la forbice delle disuguaglianze,
provocando reazioni che rischiano di diventare violente. I dati sull'anda-
mento della povertà relativa negli ultimi decenni indicano tutti un aumento
del divario tra ricchi e poveri. Cause principali di tale fenomeno sono senza
dubbio, da una parte, il cambiamento tecnologico, i cui benefici si concen-
trano nella fascia più alta della distribuzione del reddito e, dall'altra, la dina-
mica dei prezzi dei prodotti industriali, che crescono molto più velocemente
dei prezzi dei prodotti agricoli e delle materie prime in possesso dei Paesi
più poveri. Capita così che la maggior parte della popolazione dei Paesi più
poveri soffra di una doppia marginalizzazione, in termini sia di redditi più
bassi sia di prezzi più alti.
Lotta alla povertà e solidarietà globale
8. Una delle strade maestre per costruire la pace è una globalizzazione fi-
nalizzata agli interessi della grande famiglia umana [8]. Per governare la
globalizzazione occorre però una forte solidarietà globale [9] tra Paesi ric-
chi e Paesi poveri, nonché all'interno dei singoli Paesi, anche se ricchi. È
necessario un « codice etico comune » [10], le cui norme non abbiano solo
un carattere convenzionale, ma siano radicate nella legge naturale inscritta
dal Creatore nella coscienza di ogni essere umano (cfr Rm 2,14-15). Non
avverte forse ciascuno di noi nell'intimo della coscienza l'appello a recare il
proprio contributo al bene comune e alla pace sociale? La globalizzazione
elimina certe barriere, ma ciò non significa che non ne possa costruire di
nuove; avvicina i popoli, ma la vicinanza spaziale e temporale non crea di
per sé le condizioni per una vera comunione e un'autentica pace. La margi-
nalizzazione dei poveri del pianeta può trovare validi strumenti di riscatto
nella globalizzazione solo se ogni uomo si sentirà personalmente ferito dal-
le ingiustizie esistenti nel mondo e dalle violazioni dei diritti umani ad esse
connesse. La Chiesa, che è « segno e strumento dell'intima unione con Dio
e dell'unità di tutto il genere umano », [11] continuerà ad offrire il suo con-
tributo affinché siano superate le ingiustizie e le incomprensioni e si giunga
a costruire un mondo più pacifico e solidale.
10
11. 9. Nel campo del commercio internazionale e delle transazioni finanzia -
rie, sono oggi in atto processi che permettono di integrare positivamente le
economie, contribuendo al miglioramento delle condizioni generali; ma ci
sono anche processi di senso opposto, che dividono e marginalizzano i po-
poli, creando pericolose premesse per guerre e conflitti. Nei decenni succes-
sivi alla seconda guerra mondiale, il commercio internazionale di beni e di
servizi è cresciuto in modo straordinariamente rapido, con un dinamismo
senza precedenti nella storia. Gran parte del commercio mondiale ha inte-
ressato i Paesi di antica industrializzazione, con la significativa aggiunta di
molti Paesi emergenti, diventati rilevanti. Ci sono però altri Paesi a basso
reddito, che risultano ancora gravemente marginalizzati rispetto ai flussi
commerciali. La loro crescita ha risentito negativamente del rapido declino,
registrato negli ultimi decenni, dei prezzi dei prodotti primari, che costitui-
scono la quasi totalità delle loro esportazioni. In questi Paesi, per la gran
parte africani, la dipendenza dalle esportazioni di prodotti primari continua
a costituire un potente fattore di rischio. Vorrei qui rinnovare un appello
perché tutti i Paesi abbiano le stesse possibilità di accesso al mercato mon-
diale, evitando esclusioni e marginalizzazioni.
10. Una riflessione simile può essere fatta per la finanza, che concerne
uno degli aspetti primari del fenomeno della globalizzazione, grazie allo
sviluppo dell'elettronica e alle politiche di liberalizzazione dei flussi di de-
naro tra i diversi Paesi. La funzione oggettivamente più importante della fi-
nanza, quella cioè di sostenere nel lungo termine la possibilità di investi-
menti e quindi di sviluppo, si dimostra oggi quanto mai fragile: essa subisce
i contraccolpi negativi di un sistema di scambi finanziari – a livello nazio-
nale e globale - basati su una logica di brevissimo termine, che persegue
l'incremento del valore delle attività finanziarie e si concentra nella gestione
tecnica delle diverse forme di rischio. Anche la recente crisi dimostra come
l'attività finanziaria sia a volte guidata da logiche puramente autoreferenzia-
li e prive della considerazione, a lungo termine, del bene comune. L'appiat-
timento degli obiettivi degli operatori finanziari globali sul brevissimo ter-
mine riduce la capacità della finanza di svolgere la sua funzione di ponte tra
il presente e il futuro, a sostegno della creazione di nuove opportunità di
produzione e di lavoro nel lungo periodo. Una finanza appiattita sul breve e
brevissimo termine diviene pericolosa per tutti, anche per chi riesce a bene-
ficiarne durante le fasi di euforia finanziaria [12].
11
12. 11. Da tutto ciò emerge che la lotta alla povertà richiede una cooperazio-
ne sia sul piano economico che su quello giuridico che permetta alla comu-
nità internazionale e in particolare ai Paesi poveri di individuare ed attuare
soluzioni coordinate per affrontare i suddetti problemi realizzando un effi-
cace quadro giuridico per l'economia. Richiede inoltre incentivi alla crea-
zione di istituzioni efficienti e partecipate, come pure sostegni per lottare
contro la criminalità e per promuovere una cultura della legalità. D'altra
parte, non si può negare che le politiche marcatamente assistenzialiste siano
all'origine di molti fallimenti nell'aiuto ai Paesi poveri. Investire nella for-
mazione delle persone e sviluppare in modo integrato una specifica cultura
dell'iniziativa sembra attualmente il vero progetto a medio e lungo termine.
Se le attività economiche hanno bisogno, per svilupparsi, di un contesto fa-
vorevole, ciò non significa che l'attenzione debba essere distolta dai proble-
mi del reddito. Sebbene si sia opportunamente sottolineato che l'aumento
del reddito pro capite non può costituire in assoluto il fine dell'azione politi-
co-economica, non si deve però dimenticare che esso rappresenta uno stru-
mento importante per raggiungere l'obiettivo della lotta alla fame e alla po-
vertà assoluta. Da questo punto di vista va sgomberato il campo dall'illusio-
ne che una politica di pura ridistribuzione della ricchezza esistente possa ri-
solvere il problema in maniera definitiva. In un'economia moderna, infatti,
il valore della ricchezza dipende in misura determinante dalla capacità di
creare reddito presente e futuro. La creazione di valore risulta perciò un vin-
colo ineludibile, di cui si deve tener conto se si vuole lottare contro la po-
vertà materiale in modo efficace e duraturo.
12. Mettere i poveri al primo posto comporta, infine, che si riservi uno
spazio adeguato a una c o rretta logica economica da parte degli attori del
mercato internazionale, ad una corretta logica politica da parte degli attori
istituzionali e ad una corretta logica partecipativa capace di valorizzare la
società civile locale e internazionale. Gli stessi organismi internazionali ri-
conoscono oggi la preziosità e il vantaggio delle iniziative economiche del-
la società civile o delle amministrazioni locali per la promozione del riscat-
to e dell'inclusione nella società di quelle fasce della popolazione che sono
spesso al di sotto della soglia di povertà estrema e sono al tempo stesso dif-
ficilmente raggiungibili dagli aiuti ufficiali. La storia dello sviluppo econo-
mico del XX secolo insegna che buone politiche di sviluppo sono affidate
alla responsabilità degli uomini e alla creazione di positive sinergie tra mer-
12
13. cati, società civile e Stati. In particolare, la società civile assume un ruolo
cruciale in ogni processo di sviluppo, poiché lo sviluppo è essenzialmente
un fenomeno culturale e la cultura nasce e si sviluppa nei luoghi del civile
[13].
13. Come ebbe ad affermare il mio venerato Predecessore Giovanni Pao-
lo II, la globalizzazione « si presenta con una spiccata caratteristica di ambi-
valenza » [14] e quindi va governata con oculata saggezza. Rientra in que-
sta forma di saggezza il tenere primariamente in conto le esigenze dei pove-
ri della terra, superando lo scandalo della sproporzione esistente tra i pro-
blemi della povertà e le misure che gli uomini predispongono per affrontar-
li. La sproporzione è di ordine sia culturale e politico che spirituale e mora-
le. Ci si arresta infatti spesso alle cause superficiali e strumentali della po-
vertà, senza raggiungere quelle che albergano nel cuore umano, come l'avi-
dità e la ristrettezza di orizzonti. I problemi dello sviluppo, degli aiuti e del-
la cooperazione internazionale vengono affrontati talora senza un vero coin-
volgimento delle persone, ma come questioni tecniche, che si esauriscono
nella predisposizione di strutture, nella messa a punto di accordi tariffari,
nello stanziamento di anonimi finanziamenti. La lotta alla povertà ha invece
bisogno di uomini e donne che vivano in profondità la fraternità e siano ca-
paci di accompagnare persone, famiglie e comunità in percorsi di autentico
sviluppo umano.
Conclusione
14. Nell'Enciclica Centesimus annus, Giovanni Paolo II ammoniva circa
la necessità di « abbandonare la mentalità che considera i poveri – persone e
popoli – come un fardello e come fastidiosi importuni, che pretendono di
consumare quanto altri hanno prodotto ». « I poveri – egli scriveva - chie-
dono il diritto di partecipare al godimento dei beni materiali e di mettere a
frutto la loro capacità di lavoro, creando così un mondo più giusto e per tutti
più prospero » [15]. Nell'attuale mondo globale è sempre più evidente che si
costruisce la pace solo se si assicura a tutti la possibilità di una crescita ra-
gionevole: le distorsioni di sistemi ingiusti, infatti, prima o poi, presentano
il conto a tutti. Solo la stoltezza può quindi indurre a costruire una casa do-
rata, ma con attorno il deserto o il degrado. La globalizzazione da sola è in-
capace di costruire la pace e, in molti casi, anzi, crea divisioni e conflitti.
13
14. Essa rivela piuttosto un bisogno: quello di essere orientata verso un obietti-
vo di profonda solidarietà che miri al bene di ognuno e di tutti. In questo
senso, la globalizzazione va vista come un'occasione propizia per realizzare
qualcosa di importante nella lotta alla povertà e per mettere a disposizione
della giustizia e della pace risorse finora impensabili.
15. Da sempre la dottrina sociale della Chiesa si è interessata dei poveri.
Ai tempi dell'Enciclica Rerum novarum essi erano costituiti soprattutto da-
gli operai della nuova società industriale; nel magistero sociale di Pio XI, di
Pio XII, di Giovanni XXIII, di Paolo VI e di Giovanni Paolo II sono state
messe in luce nuove povertà man mano che l'orizzonte della questione so-
ciale si allargava, fino ad assumere dimensioni mondiali [16]. Questo allar-
gamento della questione sociale alla globalità va considerato nel senso non
solo di un'estensione quantitativa, ma anche di un approfondimento qualita-
tivo sull'uomo e sui bisogni della famiglia umana. Per questo la Chiesa,
mentre segue con attenzione gli attuali fenomeni della globalizzazione e la
loro incidenza sulle povertà umane, indica i nuovi aspetti della questione
sociale, non solo in estensione, ma anche in profondità, in quanto concer-
nenti l'identità dell'uomo e il suo rapporto con Dio. Sono principi di dottrina
sociale che tendono a chiarire i nessi tra povertà e globalizzazione e ad
orientare l'azione verso la costruzione della pace. Tra questi principi è il ca-
so di ricordare qui, in modo particolare, l'« amore preferenziale per i poveri
» [17], alla luce del primato della carità, testimoniato da tutta la tradizione
cristiana, a cominciare da quella della Chiesa delle origini (cfr At 4,32-36; 1
Cor 16,1; 2 Cor 8-9; Gal 2,10).
« Ciascuno faccia la parte che gli spetta e non indugi », scriveva nel
1891 Leone XIII, aggiungendo: « Quanto alla Chiesa, essa non lascerà man-
care mai e in nessun modo l'opera sua » [18]. Questa consapevolezza ac-
compagna anche oggi l'azione della Chiesa verso i poveri, nei quali vede
Cristo [19], sentendo risuonare costantemente nel suo cuore il mandato del
Principe della pace agli Apostoli: « Vos date illis manducare – date loro voi
stessi da mangiare » (Lc 9,13). Fedele a quest'invito del suo Signore, la Co-
munità cristiana non mancherà pertanto di assicurare all'intera famiglia
umana il proprio sostegno negli slanci di solidarietà creativa non solo per
elargire il superfluo, ma soprattutto per cambiare « gli stili di vita, i modelli
di produzione e di consumo, le strutture consolidate di potere che oggi reg-
14
15. gono le società » [20]. Ad ogni discepolo di Cristo, come anche ad ogni
persona di buona volontà, rivolgo pertanto all'inizio di un nuovo anno il cal-
do invito ad allargare il cuore verso le necessità dei poveri e a fare quanto è
concretamente possibile per venire in loro soccorso. Resta infatti inconte-
stabilmente vero l'assioma secondo cui « combattere la povertà è costruire
la pace ».
Dal Vaticano, 8 Dicembre 2008
[1] Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, 1.
[2] Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 19.
[3] Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 28.
[4] Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 38.
[5] Cfr Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 37 ; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Solli -
citudo rei socialis, 25.
[6] Benedetto XVI, Lettera al Cardinale Renato Raffaele Martino in occasione del semina-
rio internazionale organizzato dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace sul tema
< <Disarmo, sviluppo e pace. Prospettive per un disarmo integrale>>, 10 aprile 2008:
L'Osservatore Romano, 13.4.2008, p.8.
[7] Lett. enc. Populorum progressio, 87.
[8] Cfr Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimum annus, 58.
[9] Cfr Giovanni Paolo II, Discorso all'Udienza alle Acli, 27 aprile 2002, 4: Isegnamenti di
Giovanni Paolo II, XXV, 1 [2002], 637.
[10] Giovanni Paolo II, Discorso all'Assemblea Plenaria della Pontificia Accademia delle
Scienze sociali, 27 aprile 2001, 4: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XXIV, 1 [2001], 802.
[11] Comc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, 1.
[12] Cfr Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio della dottrina sociale
della Chiesa, 368.
[13] Cfr ibid., 356.
[14] Discorso nell'Udienza a Dirigenti di sindacati di lavoratori e di grandi società, 2 mag-
gio 2000, 3: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XXIII, 1 [2000], 726.
[15] N. 28.
[16] Cfr Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 3.
[17] Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 42; cfr Idem, Lett. enc. Centesi -
mus annus, 57.
[18] Lett. enc. Rerum novarum, 45.
[19] Cfr Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 58.
[20] Ibid.
15
16. OMELIA NELLA SOLENNITÀ
DI MARIA SS.MA MADRE DI DIO
XLII GIORNATA MONDIALE DELLA PACE
Basilica Vaticana
Giovedì, 1° gennaio 2009
Venerati Fratelli,
Signori Ambasciatori,
cari fratelli e sorelle!
Nel primo giorno dell’anno, la divina Provvidenza ci raduna per una ce-
lebrazione che ogni volta ci commuove per la ricchezza e la bellezza delle
sue corrispondenze: il Capodanno civile s’incontra con il culmine dell’otta-
va di Natale, in cui si celebra la Divina Maternità di Maria, e questo incon-
tro trova una sintesi felice nella Giornata Mondiale della Pace. Nella luce
del Natale di Cristo, mi è gradito rivolgere a ciascuno i migliori auguri per
l’anno appena iniziato. Li porgo, in particolare, al Cardinale Renato Raffae-
le Martino ed ai suoi collaboratori del Pontificio Consiglio della Giustizia e
della Pace, con speciale riconoscenza per il loro prezioso servizio. Li porgo,
al tempo stesso, al Segretario di Stato, Cardinale Tarcisio Bertone, e all’in-
tera Segreteria di Stato; come pure, con viva cordialità, ai Signori Amba-
sciatori presenti oggi in gran numero. I miei voti fanno eco all’augurio che
il Signore stesso ci ha appena indirizzato, nella liturgia della Parola. Una
Parola che, a partire dall’avvenimento di Betlemme, rievocato nella sua
concretezza storica dal Vangelo di Luca (2,16-21), e riletto in tutta la sua
portata salvifica dall’apostolo Paolo (Gal 4,4-7), diventa benedizione per il
popolo di Dio e per l’intera umanità.
Viene così portata a compimento l’antica tradizione ebraica della benedi-
zione (Nm 6,22-27): i sacerdoti d’Israele benedicevano il popolo "ponendo
su di esso il nome" del Signore. Con una formula ternaria – presente nella
prima lettura – il sacro Nome veniva invocato per tre volte sui fedeli, quale
auspicio di grazia e di pace. Questa remota usanza ci riporta ad una realtà
essenziale: per poter camminare sulla via della pace, gli uomini e i popoli
hanno bisogno di essere illuminati dal "volto" di Dio ed essere benedetti dal
16
17. suo "nome". Proprio questo si è avverato in modo definitivo con l’Incarna-
zione: la venuta del Figlio di Dio nella nostra carne e nella storia ha portato
una irrevocabile benedizione, una luce che più non si spegne e che offre ai
credenti e agli uomini di buona volontà la possibilità di costruire la civiltà
dell’amore e della pace.
Il Concilio Vaticano II ha detto, a questo riguardo, che "con l’incarnazio-
ne il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo" (Gaudium et
spes, 22). Questa unione è venuta a confermare l’originario disegno di
un’umanità creata ad "immagine e somiglianza" di Dio. In realtà, il Verbo
incarnato è l’unica immagine perfetta e consustanziale del Dio invisibile.
Gesù Cristo è l’uomo perfetto. "In Lui - osserva ancora il Concilio - la natu-
ra umana è stata assunta…, perciò stesso essa è stata anche in noi innalzata
a una dignità sublime" (ibid.). Per questo la storia terrena di Gesù, culmina-
ta nel mistero pasquale, è l’inizio di un mondo nuovo, perché ha realmente
inaugurato una nuova umanità, capace, sempre e solo con la grazia di Cri-
sto, di operare una "rivoluzione" pacifica. Una rivoluzione non ideologica
ma spirituale, non utopistica ma reale, e per questo bisognosa di infinita pa-
zienza, di tempi talora lunghissimi, evitando qualunque scorciatoia e per-
correndo la via più difficile: la via della maturazione della responsabilità
nelle coscienze.
Cari amici, questa è la via evangelica alla pace, la via che anche il Ve-
scovo di Roma è chiamato a riproporre con costanza ogni volta che mette
mano all’annuale Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace. Percor-
rendo questa strada occorre talvolta ritornare su aspetti e problematiche già
affrontati, ma così importanti da richiedere sempre nuova attenzione. È il
caso del tema che ho scelto per il Messaggio di quest’anno: "Combattere la
povertà, costru i re la pace". Un tema che si presta a un duplice ordine di
considerazioni, che ora posso solo brevemente accennare. Da una parte la
povertà scelta e proposta da Gesù, dall’altra la povertà da combattere per
rendere il mondo più giusto e solidale.
Il primo aspetto trova il suo contesto ideale in questi giorni, nel tempo di
Natale. La nascita di Gesù a Betlemme ci rivela che Dio ha scelto la povertà
per se stesso nella sua venuta in mezzo a noi. La scena che i pastori videro
per primi, e che confermò l’annuncio fatto loro dall’angelo, è quella di una
17
18. stalla dove Maria e Giuseppe avevano cercato rifugio, e di una mangiatoia
in cui la Ve rgine aveva deposto il Neonato avvolto in fasce (cfr L c
2,7.12.16). Questa povertà Dio l’ha scelta. Ha voluto nascere così – ma po-
tremmo subito aggiungere: ha voluto vivere, e anche morire così. Perché?
Lo spiega in termini popolari sant’Alfonso Maria de’ Liguori, in un cantico
natalizio, che tutti in Italia conoscono: "A Te, che sei del mondo il Creatore,
mancano panni e fuoco, o mio Signore. Caro eletto pargoletto, quanto que -
sta povertà più m’innamora, giacché ti fece amor povero ancora". Ecco la
risposta: l’amore per noi ha spinto Gesù non soltanto a farsi uomo, ma a far-
si povero. In questa stessa linea possiamo citare l’espressione di san Paolo
nella seconda Lettera ai Corinzi: "Conoscete infatti – egli scrive – la grazia
del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi,
perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà" (8,9). Testimone
esemplare di questa povertà scelta per amore è san Francesco d’Assisi. Il
francescanesimo, nella storia della Chiesa e della civiltà cristiana, costitui-
sce una diffusa corrente di povertà evangelica, che tanto bene ha fatto e con-
tinua a fare alla Chiesa e alla famiglia umana. Ritornando alla stupenda sin-
tesi di san Paolo su Gesù, è significativo – anche per la nostra riflessione
odierna – che sia stata ispirata all’Apostolo proprio mentre stava esortando i
cristiani di Corinto ad essere generosi nella colletta in favore dei poveri.
Egli spiega: "Non si tratta di mettere in difficoltà voi per sollevare gli altri,
ma che vi sia uguaglianza" (8,13).
È questo un punto decisivo, che ci fa passare al secondo aspetto: c’è una
povertà, un’indigenza, che Dio non vuole e che va "combattuta" – come di-
ce il tema dell’odierna Giornata Mondiale della Pace; una povertà che impe-
disce alle persone e alle famiglie di vivere secondo la loro dignità; una po-
vertà che offende la giustizia e l’uguaglianza e che, come tale, minaccia la
convivenza pacifica. In questa accezione negativa rientrano anche le forme
di povertà non materiale che si riscontrano pure nelle società ricche e pro-
gredite: emarginazione, miseria relazionale, morale e spirituale (cfr Messag -
gio per la Giornata Mondiale della Pace 2009, 2). Nel mio Messaggio ho
voluto ancora una volta, sulla scia dei miei Predecessori, considerare atten-
tamente il complesso fenomeno della globalizzazione, per valutarne i rap-
porti con la povertà su larga scala. Di fronte a piaghe diffuse quali le malat-
tie pandemiche (ivi, 4), la povertà dei bambini (ivi, 5) e la crisi alimentare
(i v i, 7), ho dovuto purtroppo tornare a denunciare l’inaccettabile corsa ad
18
19. accrescere gli armamenti. Da una parte si celebra la Dichiarazione Univer -
sale dei Diritti dell’Uomo, e dall’altra si aumentano le spese militari, vio-
lando la stessa Carta delle Nazioni Unite, che impegna a ridurle al minimo
(cfr art. 26). Inoltre, la globalizzazione elimina certe barriere, ma può co-
struirne di nuove (Messaggio cit., 8), perciò bisogna che la comunità inter-
nazionale e i singoli Stati siano sempre vigilanti; bisogna che non abbassino
mai la guardia rispetto ai pericoli di conflitto, anzi, si impegnino a mantene-
re alto il livello della solidarietà. L’attuale crisi economica globale va vista
in tal senso anche come un banco di prova: siamo pronti a leggerla, nella
sua complessità, quale sfida per il futuro e non solo come un’emergenza a
cui dare risposte di corto respiro? Siamo disposti a fare insieme una revisio-
ne profonda del modello di sviluppo dominante, per correggerlo in modo
concertato e lungimirante? Lo esigono, in realtà, più ancora che le difficoltà
finanziarie immediate, lo stato di salute ecologica del pianeta e, soprattutto,
la crisi culturale e morale, i cui sintomi da tempo sono evidenti in ogni par-
te del mondo.
Occorre allora cercare di stabilire un "circolo virtuoso" tra la povertà "da
scegliere" e la povertà "da combattere". Si apre qui una via feconda di frutti
per il presente e per il futuro dell’umanità, che si potrebbe riassumere così:
per combattere la povertà iniqua, che opprime tanti uomini e donne e mi-
naccia la pace di tutti, occorre riscoprire la sobrietà e la solidarietà, quali
valori evangelici e al tempo stesso universali. Più in concreto, non si può
combattere efficacemente la miseria, se non si fa quello che scrive san Pao-
lo ai Corinzi, cioè se non si cerca di "fare uguaglianza", riducendo il disli-
vello tra chi spreca il superfluo e chi manca persino del necessario. Ciò
comporta scelte di giustizia e di sobrietà, scelte peraltro obbligate dall’esi-
genza di amministrare saggiamente le limitate risorse della terra. Quando
afferma che Gesù Cristo ci ha arricchiti "con la sua povertà", san Paolo of-
fre un’indicazione importante non solo sotto il profilo teologico, ma anche
sul piano sociologico. Non nel senso che la povertà sia un valore in sé, ma
perché essa è condizione per realizzare la solidarietà. Quando Francesco
d’Assisi si spoglia dei suoi beni, fa una scelta di testimonianza ispiratagli
direttamente da Dio, ma nello stesso tempo mostra a tutti la via della fiducia
nella Provvidenza. Così, nella Chiesa, il voto di povertà è l’impegno di al-
cuni, ma ricorda a tutti l’esigenza del distacco dai beni materiali e il primato
delle ricchezze dello spirito. Ecco dunque il messaggio da raccogliere oggi:
19
20. la povertà della nascita di Cristo a Betlemme, oltre che oggetto di adorazio-
ne per i cristiani, è anche scuola di vita per ogni uomo. Essa ci insegna che
per combattere la miseria, tanto materiale quanto spirituale, la via da per-
correre è quella della solidarietà, che ha spinto Gesù a condividere la nostra
condizione umana.
Cari fratelli e sorelle, penso che la Vergine Maria si sia posta più di una
volta questa domanda: perché Gesù ha voluto nascere da una ragazza sem-
plice e umile come me? E poi, perché ha voluto venire al mondo in una stal-
la ed avere come prima visita quella dei pastori di Betlemme? La risposta
Maria l’ebbe pienamente alla fine, dopo aver deposto nel sepolcro il corpo
di Gesù, morto e avvolto in fasce (cfr Lc 23,53). Allora comprese appieno il
mistero della povertà di Dio. Comprese che Dio si era fatto povero per noi,
per arricchirci della sua povertà piena d’amore, per esortarci a frenare l’in-
gordigia insaziabile che suscita lotte e divisioni, per invitarci a moderare la
smania di possedere e ad essere così disponibili alla condivisione e all’ac-
coglienza reciproca. A Maria, Madre del Figlio di Dio fattosi nostro fratel-
lo, rivolgiamo fiduciosi la nostra preghiera, perché ci aiuti a seguirne le or-
me, a combattere e vincere la povertà, a costruire la vera pace, che è opus
iustitiae. A Lei affidiamo il profondo desiderio di vivere in pace che sale
dal cuore della grande maggioranza delle popolazioni israeliana e palestine-
se, ancora una volta messe a repentaglio dalla massiccia violenza scoppiata
nella striscia di Gaza in risposta ad altra violenza. Anche la violenza, anche
l’odio e la sfiducia sono forme di povertà – forse le più tremende – "da
combattere". Che esse non prendano il sopravvento! In tal senso i Pastori di
quelle Chiese, in questi tristi giorni, hanno fatto udire la loro voce. Insieme
ad essi e ai loro carissimi fedeli, soprattutto quelli della piccola ma fervente
parrocchia di Gaza, deponiamo ai piedi di Maria le nostre preoccupazioni
per il presente e i timori per il futuro, ma altresì la fondata speranza che,
con il saggio e lungimirante contributo di tutti, non sarà impossibile ascol-
tarsi, venirsi incontro e dare risposte concrete all’aspirazione diffusa a vive-
re in pace, in sicurezza, in dignità. Diciamo a Maria: accompagnaci, celeste
Madre del Redentore, lungo tutto l’anno che oggi inizia, e ottieni da Dio il
dono della pace per la Terrasanta e per l’intera umanità. Santa Madre di
Dio, prega per noi. Amen.
20
21. OMELIA NELLA SOLENNITÀ
DELL'EPIFANIA DEL SIGNORE
Basilica Vaticana
Martedì, 6 gennaio 2009
Cari fratelli e sorelle!
L’Epifania, la "manifestazione" del nostro Signore Gesù Cristo, è un mi-
stero multiforme. La tradizione latina lo identifica con la visita dei Magi al
Bambino Gesù a Betlemme, e dunque lo interpreta soprattutto come rivela-
zione del Messia d’Israele ai popoli pagani. La tradizione orientale, invece,
privilegia il momento del battesimo di Gesù nel fiume Giordano, quando
egli si manifestò quale Figlio Unigenito del Padre celeste, consacrato dallo
Spirito Santo. Ma il Vangelo di Giovanni invita a considerare "epifania" an-
che le nozze di Cana, dove Gesù, mutando l’acqua in vino, "manifestò la
sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui" (Gv 2,11). E che dovremmo
dire noi, cari fratelli, specialmente noi sacerdoti della nuova Alleanza, che
ogni giorno siamo testimoni e ministri dell’"epifania" di Gesù Cristo nella
santa Eucaristia? Tutti i misteri del Signore la Chiesa li celebra in questo
santissimo e umilissimo Sacramento, nel quale egli al tempo stesso rivela e
nasconde la sua gloria. "Adoro te devote, latens Deitas" – adorando, pre-
ghiamo così con san Tommaso d’Aquino.
In questo anno 2009, che, nel 4° centenario delle prime osservazioni di
Galileo Galilei al telescopio, è stato dedicato in modo speciale all’astrono-
mia, non possiamo non prestare particolare attenzione al simbolo della stel-
la, tanto importante nel racconto evangelico dei Magi (cfr Mt 2,1-12). Essi
erano con tutta probabilità degli astronomi. Dal loro punto di osservazione,
posto ad oriente rispetto alla Palestina, forse in Mesopotamia, avevano no-
tato l’apparire di un nuovo astro, ed avevano interpretato questo fenomeno
celeste come annuncio della nascita di un re, precisamente, secondo le Sa-
cre Scritture, del re dei Giudei (cfr Nm 24,17). I Padri della Chiesa hanno
visto in questo singolare episodio narrato da san Matteo anche una sorta di
"rivoluzione" cosmologica, causata dall’ingresso nel mondo del Figlio di
Dio. Ad esempio, san Giovanni Crisostomo scrive: "Quando la stella giunse
21
22. sopra il bambino, si fermò, e ciò poteva farlo soltanto una potenza che gli
astri non hanno: prima, cioè, nascondersi, poi apparire di nuovo, e infine ar-
restarsi" (Omelie sul Vangelo di Matteo, 7, 3). San Gregorio di Nazianzo af-
ferma che la nascita di Cristo impresse nuove orbite agli astri (cfr Poemi
dogmatici, V, 53-64: PG 37, 428-429). Il che è chiaramente da intendersi in
senso simbolico e teologico. In effetti, mentre la teologia pagana divinizza-
va gli elementi e le forze del cosmo, la fede cristiana, portando a compi-
mento la rivelazione biblica, contempla un unico Dio, Creatore e Signore
dell’intero universo.
È l’amore divino, incarnato in Cristo, la legge fondamentale e universale
del creato. Ciò va inteso invece in senso non poetico, ma reale. Così lo in-
tendeva del resto lo stesso Dante, quando, nel verso sublime che conclude il
Paradiso e l’intera Divina Commedia, definisce Dio "l’amor che move il so-
le e l’altre stelle" (Paradiso, XXXIII, 145). Questo significa che le stelle, i
pianeti, l’universo intero non sono governati da una forza cieca, non obbedi-
scono alle dinamiche della sola materia. Non sono, dunque, gli elementi co-
smici che vanno divinizzati, bensì, al contrario, in tutto e al di sopra di tutto
vi è una volontà personale, lo Spirito di Dio, che in Cristo si è rivelato come
Amore (cfr Enc. Spe salvi, 5). Se è così, allora gli uomini – come scrive san
Paolo ai Colossesi – non sono schiavi degli "elementi del cosmo" (cfr Col
2,8), ma sono liberi, capaci cioè di relazionarsi alla libertà creatrice di Dio.
Egli è all’origine di tutto e tutto governa non alla maniera di un freddo ed
anonimo motore, ma quale Padre, Sposo, Amico, Fratello, quale Logos,
"Parola-Ragione" che si è unita alla nostra carne mortale una volta per sem-
pre ed ha condiviso pienamente la nostra condizione, manifestando la so-
vrabbondante potenza della sua grazia. C’è dunque nel cristianesimo una
peculiare concezione cosmologica, che ha trovato nella filosofia e nella teo-
logia medievali delle altissime espressioni. Essa, anche nella nostra epoca,
dà segni interessanti di una nuova fioritura, grazie alla passione e alla fede
di non pochi scienziati, i quali – sulle orme di Galileo – non rinunciano né
alla ragione né alla fede, anzi, le valorizzano entrambe fino in fondo, nella
loro reciproca fecondità.
Il pensiero cristiano paragona il cosmo ad un "libro" – così diceva anche
lo stesso Galileo –, considerandolo come l’opera di un Autore che si espri-
me mediante la "sinfonia" del creato. All’interno di questa sinfonia si trova,
22
23. a un certo punto, quello che si direbbe in linguaggio musicale un "assolo",
un tema affidato ad un singolo strumento o ad una voce; ed è così importan-
te che da esso dipende il significato dell’intera opera. Questo "assolo" è Ge-
sù, a cui corrisponde, appunto, un segno regale: l’apparire di una nuova
stella nel firmamento. Gesù è paragonato dagli antichi scrittori cristiani ad
un nuovo sole. Secondo le attuali conoscenze astrofisiche, noi lo dovremmo
paragonare ad una stella ancora più centrale, non solo per il sistema solare,
ma per l’intero universo conosciuto. In questo misterioso disegno, al tempo
stesso fisico e metafisico, che ha portato alla comparsa dell’essere umano
quale coronamento degli elementi del creato, è venuto al mondo Gesù: "na-
to da donna" (Gal 4,4), come scrive san Paolo. Il Figlio dell’uomo riassume
in sé la terra e il cielo, il creato e il Creatore, la carne e lo Spirito. È il centro
del cosmo e della storia, perché in Lui si uniscono senza confondersi l’Au-
tore e la sua opera.
Nel Gesù terreno si trova il culmine della creazione e della storia, ma nel
Cristo risorto si va oltre: il passaggio, attraverso la morte, alla vita eterna
anticipa il punto della "ricapitolazione" di tutto in Cristo (cfr Ef 1,10). Tutte
le cose, infatti – scrive l’Apostolo –, "sono state create per mezzo di lui e in
vista di lui" (Col 1,16). E proprio con la risurrezione dai morti Egli ha otte-
nuto "il primato su tutte le cose" (Col 1,18). Lo afferma Gesù stesso appa-
rendo ai discepoli dopo la risurrezione: "A me è stato dato ogni potere in
cielo e sulla terra" (Mt 28,18). Questa consapevolezza sostiene il cammino
della Chiesa, Corpo di Cristo, lungo i sentieri della storia. Non c’è ombra,
per quanto tenebrosa, che possa oscurare la luce di Cristo. Per questo nei
credenti in Cristo non viene mai meno la speranza, anche oggi, dinanzi alla
grande crisi sociale ed economica che travaglia l’umanità, davanti all’odio e
alla violenza distruttrice che non cessano di insanguinare molte regioni del-
la terra, dinanzi all’egoismo e alla pretesa dell’uomo di ergersi come dio di
se stesso, che conduce talora a pericolosi stravolgimenti del disegno divino
circa la vita e la dignità dell’essere umano, circa la famiglia e l’armonia del
creato. Il nostro sforzo di liberare la vita umana e il mondo dagli avvelena-
menti e dagli inquinamenti che potrebbero distruggere il presente e il futu-
ro, conserva il suo valore e il suo senso – ho annotato nella già citata Enci-
clica Spe salvi – anche se apparentemente non abbiamo successo o sembria-
mo impotenti di fronte al sopravvento di forze ostili, perchè "è la grande
23
24. speranza poggiante sulle promesse di Dio che, nei momenti buoni come in
quelli cattivi, ci dà coraggio e orienta il nostro agire" (n. 35).
La signoria universale di Cristo si esercita in modo speciale sulla Chiesa.
"Tutto infatti – si legge nella Lettera agli Efesini – [Dio] ha messo sotto i
suoi piedi / e lo ha dato alla Chiesa come capo su tutte le cose: essa è il cor-
po di lui, / la pienezza di colui che è il perfetto compimento di tutte le cose"
(Ef 1,22-23). L’Epifania è la manifestazione del Signore, e di riflesso è la
manifestazione della Chiesa, perché il Corpo non è separabile dal Capo. La
prima lettura odierna, tratta dal cosiddetto Terzo Isaia, ci offre la prospettiva
precisa per comprendere la realtà della Chiesa, quale mistero di luce rifles-
sa: "Alzati, rivestiti di luce – dice il profeta rivolgendosi a Gerusalemme –
perché viene la tua luce, / la gloria del Signore brilla sopra di te" (Is 60,1).
La Chiesa è umanità illuminata, "battezzata" nella gloria di Dio, cioè nel
suo amore, nella sua bellezza, nella sua signoria. La Chiesa sa che la propria
umanità, con i suoi limiti e le sue miserie, pone in maggiore risalto l’opera
dello Spirito Santo. Essa non può vantarsi di nulla se non nel suo Signore:
non da lei proviene la luce, non è sua la gloria. Ma proprio questa è la sua
gioia, che nessuno potrà toglierle: essere "segno e strumento" di Colui che è
"lumen gentium", luce dei popoli (cfr Conc. Vat. II, Cost. dogm. Lumen
gentium, 1).
Cari amici, in questo anno paolino, la festa dell’Epifania invita la Chiesa
e, in essa, ogni comunità ed ogni singolo fedele, ad imitare, come fece l’A-
postolo delle genti, il servizio che la stella rese ai Magi d’Oriente guidando-
li fino a Gesù (cfr san Leone Magno, Disc. 3 per l’Epifania, 5: PL 54, 244).
Che cos’è stata la vita di Paolo, dopo la sua conversione, se non una "corsa"
per portare ai popoli la luce di Cristo e, viceversa, condurre i popoli a Cri-
sto? La grazia di Dio ha fatto di Paolo una "stella" per le genti. Il suo mini-
stero è esempio e stimolo per la Chiesa a riscoprirsi essenzialmente missio-
naria e a rinnovare l’impegno per l’annuncio del Vangelo, specialmente a
quanti ancora non lo conoscono. Ma, guardando a san Paolo, non possiamo
dimenticare che la sua predicazione era tutta nutrita delle Sacre Scritture.
Perciò, nella prospettiva della recente Assemblea del Sinodo dei Vescovi, va
riaffermato con forza che la Chiesa e i singoli cristiani possono essere luce,
che guida a Cristo, solo se si nutrono assiduamente e intimamente della Pa-
rola di Dio. È la Parola che illumina, purifica, converte, non siamo certo
24
25. noi. Della Parola di vita noi non siamo che servitori. Così Paolo concepiva
se stesso e il suo ministero: un servizio al Vangelo. "Tutto io faccio per il
Vangelo" – egli scrive (1 Cor 9,23). Così dovrebbe poter dire anche la Chie-
sa, ogni comunità ecclesiale, ogni Vescovo ed ogni presbitero: tutto io fac-
cio per il Vangelo. Cari fratelli e sorelle, pregate per noi, Pastori della Chie-
sa, affinché, assimilando quotidianamente la Parola di Dio, possiamo tra-
smetterla fedelmente ai fratelli. Ma anche noi preghiamo per voi, fedeli tut-
ti, perché ogni cristiano è chiamato per il Battesimo e la Confermazione ad
annunciare Cristo luce del mondo, con la parola e la testimonianza della vi-
ta. Ci aiuti la Vergine Maria, Stella dell’evangelizzazione, a portare a com-
pimento insieme questa missione, e interceda per noi dal cielo san Paolo,
Apostolo delle genti. Amen.
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26. OMELIA NELLA FESTA DEL BATTESIMO DEL SIGNORE
SANTA MESSA E BATTESIMO DEI BAMBINI
Cappella Sistina
Domenica, 11 gennaio 2009
Cari fratelli e sorelle!
Le parole che l’evangelista Marco riporta all’inizio del suo Vangelo: "Tu
sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento" (1,11) ci in-
troducono nel cuore dell’odierna festa del Battesimo del Signore, con cui si
conclude il tempo di Natale. Il ciclo delle solennità natalizie ci fa meditare
sulla nascita di Gesù annunciata dagli angeli circonfusi dallo splendore lu-
minoso di Dio; il tempo natalizio ci parla della stella che guida i Magi dal-
l'Oriente fino alla casa di Betlemme, e ci invita a guardare il cielo che si
apre sul Giordano mentre risuona la voce di Dio. Sono tutti segni tramite i
quali il Signore non si stanca di ripeterci: "Sì, sono qui. Vi conosco. Vi amo.
C'è una strada che da me viene a voi. E c'è una strada che da voi sale a me".
Il Creatore ha assunto in Gesù le dimensioni di un bambino, di un essere
umano come noi, per potersi far vedere e toccare. Al tempo stesso, con que-
sto suo farsi piccolo, Iddio ha fatto risplendere la luce della sua grandezza.
Perché, proprio abbassandosi fino all'impotenza inerme dell'amore, Egli di-
mostra che cosa sia la vera grandezza, anzi, che cosa voglia dire essere Dio.
Il significato del Natale, e più in generale il senso dell'anno liturgico, è
proprio quello di avvicinarci a questi segni divini, per riconoscerli impressi
negli eventi d’ogni giorno, affinché il nostro cuore si apra all’amore di Dio.
E se il Natale e l'Epifania servono soprattutto a renderci capaci di vedere, ad
aprirci gli occhi e il cuore al mistero di un Dio che viene a stare con noi, la
festa del battesimo di Gesù ci introduce, potremmo dire, alla quotidianità di
un rapporto personale con Lui. Infatti, mediante l’immersione nelle acque
del Giordano, Gesù si è unito a noi. Il Battesimo è per così dire il ponte che
Egli ha costruito tra sé e noi, la strada per la quale si rende a noi accessibile;
è l'arcobaleno divino sulla nostra vita, la promessa del grande sì di Dio, la
porta della speranza e, nello stesso tempo, il segno che ci indica il cammino
26
27. da percorrere in modo attivo e gioioso per incontrarlo e sentirci da Lui ama-
ti.
Cari amici, sono veramente contento che anche quest’anno, in questo
giorno di festa, mi sia data l’opportunità di battezzare dei bambini. Su di es-
si si posa oggi il "compiacimento" di Dio. Da quando il Figlio unigenito del
Padre si è fatto battezzare, il cielo è realmente aperto e continua ad aprirsi, e
possiamo affidare ogni nuova vita che sboccia alle mani di Colui che è più
potente dei poteri oscuri del male. Questo in effetti comporta il Battesimo:
restituiamo a Dio quello che da Lui è venuto. Il bambino non è proprietà dei
genitori, ma è affidato dal Creatore alla loro responsabilità, liberamente e in
modo sempre nuovo, affinché essi lo aiutino ad essere un libero figlio di
Dio. Solo se i genitori maturano tale consapevolezza riescono a trovare il
giusto equilibrio tra la pretesa di poter disporre dei propri figli come se fos-
sero un privato possesso plasmandoli in base alle proprie idee e desideri, e
l’atteggiamento libertario che si esprime nel lasciarli crescere in piena auto-
nomia soddisfacendo ogni loro desiderio e aspirazione, ritenendo ciò un
modo giusto di coltivare la loro personalità. Se, con questo sacramento, il
neo-battezzato diventa figlio adottivo di Dio, oggetto del suo amore infinito
che lo tutela e difende dalle forze oscure del maligno, occorre insegnargli a
riconoscere Dio come suo Padre ed a sapersi rapportare a Lui con atteggia-
mento di figlio. E pertanto, quando, secondo la tradizione cristiana come
oggi facciamo, si battezzano i bambini introducendoli nella luce di Dio e
dei suoi insegnamenti, non si fa loro violenza, ma si dona loro la ricchezza
della vita divina in cui si radica la vera libertà che è propria dei figli di Dio;
una libertà che dovrà essere educata e formata con il maturare degli anni,
perché diventi capace di responsabili scelte personali.
Cari genitori, cari padrini e madrine, vi saluto tutti con affetto e mi uni-
sco alla vostra gioia per questi piccoli che oggi rinascono alla vita eterna.
Siate consapevoli del dono ricevuto e non cessate di ringraziare il Signore
che, con l’odierno sacramento, introduce i vostri bambini in una nuova fa-
miglia, più grande e stabile, più aperta e numerosa di quanto non sia quella
vostra: mi riferisco alla famiglia dei credenti, alla Chiesa, una famiglia che
ha Dio per Padre e nella quale tutti si riconoscono fratelli in Gesù Cristo.
Voi dunque oggi affidate i vostri figli alla bontà di Dio, che è potenza di lu-
ce e di amore; ed essi, pur tra le difficoltà della vita, non si sentiranno mai
27
28. abbandonati, se a Lui resteranno uniti. Preoccupatevi pertanto di educarli
nella fede, di insegnar loro a pregare e a crescere come faceva Gesù e con il
suo aiuto, "in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini" (cfr Lc
2,52).
Tornando ora al brano evangelico, cerchiamo di comprendere ancor più
quel che oggi qui avviene. Narra san Marco che, mentre Giovanni Battista
predica sulle rive del fiume Giordano, proclamando l’urgenza della conver-
sione in vista della venuta ormai prossima del Messia, ecco che Gesù, con-
fuso tra la gente, si presenta per essere battezzato. Quello di Giovanni è cer-
to un battesimo di penitenza, ben diverso dal sacramento che istituirà Gesù.
In quel momento, tuttavia, si intravede già la missione del Redentore poi-
ché, quando esce dall’acqua, risuona una voce dal cielo e su di lui scende lo
Spirito Santo (cfr Mc 1,10): il Padre celeste lo proclama suo figlio prediletto
e ne attesta pubblicamente l’universale missione salvifica, che si compirà
pienamente con la sua morte in croce e la sua risurrezione. Solo allora, con
il sacrificio pasquale, si renderà universale e totale la remissione dei peccati.
Con il Battesimo non ci immergiamo allora semplicemente nelle acque del
Giordano per proclamare il nostro impegno di conversione, ma si effonde su
di noi il sangue redentore del Cristo che ci purifica e ci salva. E’ l’amato Fi-
glio del Padre, nel quale Egli ha posto il suo compiacimento, che ci riacqui-
sta la dignità e la gioia di chiamarci ed essere realmente "figli" di Dio.
Tra poco rivivremo questo mistero evocato dall’odierna solennità; i segni
e simboli del sacramento del Battesimo ci aiuteranno a comprendere quel
che il Signore opera nel cuore di questi nostri piccoli, rendendoli "suoi" per
sempre, dimora scelta del suo Spirito e "pietre vive" per la costruzione del-
l’edificio spirituale che è la Chiesa. La Vergine Maria, Madre di Gesù, il Fi-
glio amato di Dio, vegli su di loro e sulle loro famiglie, li accompagni sem-
pre, perché possano realizzare fino in fondo il progetto di salvezza che con
il Battesimo si compie nelle loro vite. E noi, cari fratelli e sorelle, accompa-
gniamoli con la nostra preghiera; preghiamo per i genitori, i padrini e le ma-
drine e per i loro parenti, perché li aiutino a crescere nella fede; preghiamo
per tutti noi qui presenti affinché, partecipando devotamente a questa cele-
brazione, rinnoviamo le promesse del nostro Battesimo e rendiamo grazie al
Signore per la sua costante assistenza. Amen!
28
29. OMELIA PER LA XIII GIORNATA
DELLA VITA CONSACRATA
FESTA DELLA PRESENTAZIONE DEL SIGNORE
Basilica Vaticana
Lunedì, 2 febbraio 2009
Signor Cardinale,
venerati Fratelli nell'Episcopato e nel Sacerdozio,
cari fratelli e sorelle!
Con grande gioia vi incontro al termine del Santo Sacrificio della Messa,
in questa Festa liturgica che, da tredici anni ormai, riunisce religiosi e reli-
giose per la Giornata della Vita Consacrata. Saluto cordialmente il Cardina-
le Franc Rodé, con speciale riconoscenza a lui ed ai suoi collaboratori della
Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apo-
stolica per il servizio che rendono alla Santa Sede e a quello che chiamerei
il "cosmo" della vita consacrata. Con affetto saluto i Superiori e le Superio-
re generali qui presenti e tutti voi, fratelli e sorelle, che sul modello della
Vergine Maria portate nella Chiesa e nel mondo la luce di Cristo con la vo-
stra testimonianza di persone consacrate. Faccio mie, in questo Anno Paoli-
no, le parole dell'Apostolo: "Rendo grazie al mio Dio ogni volta che mi ri-
cordo di voi. Sempre, quando prego per tutti voi, lo faccio con gioia a moti-
vo della vostra cooperazione per il Vangelo, dal primo giorno fino al pre-
sente" (Fil 1, 3-5). In questo saluto, indirizzato alla comunità cristiana di Fi-
lippi, Paolo esprime il ricordo affettuoso che egli conserva di quanti vivono
personalmente il Vangelo e si impegnano a trasmetterlo, unendo alla cura
della vita interiore la fatica della missione apostolica.
Nella tradizione della Chiesa, san Paolo è stato sempre riconosciuto pa-
dre e maestro di quanti, chiamati dal Signore, hanno fatto la scelta di un'in-
condizionata dedizione a Lui e al suo Vangelo. Diversi Istituti religiosi
prendono da san Paolo il nome e da lui attingono un'ispirazione carismatica
specifica. Si può dire che per tutti i consacrati e le consacrate egli ripete un
invito schietto e affettuoso: "Diventate miei imitatori, come io lo sono di
29
30. Cristo" (1 Cor 11, 1). Che cos'è infatti la vita consacrata se non un'imitazio-
ne radicale di Gesù, una totale "sequela" di Lui? (cfr. Mt 19, 27-28). Ebbe-
ne, in tutto ciò Paolo rappresenta una mediazione pedagogica sicura: imitar-
lo nel seguire Gesù, carissimi, è via privilegiata per corrispondere fino in
fondo alla vostra vocazione di speciale consacrazione nella Chiesa.
Anzi, dalla sua stessa voce possiamo conoscere uno stile di vita che
esprime la sostanza della vita consacrata ispirata ai consigli evangelici di
povertà, castità e obbedienza. Nella vita di povertà egli vede la garanzia di
un annuncio del Vangelo realizzato in totale gratuità (cfr. 1 Cor 9, 1-23),
mentre esprime, allo stesso tempo, la concreta solidarietà verso i fratelli nel
bisogno. Al riguardo tutti conosciamo la decisione di Paolo di mantenersi
con il lavoro delle sue mani e il suo impegno per la colletta a favore dei po-
veri di Gerusalemme (cfr. 1 Ts 2, 9; 2 Cor 8-9). Paolo è anche un apostolo
che, accogliendo la chiamata di Dio alla castità, ha donato il cuore al Signo-
re in maniera indivisa, per poter servire con ancor più grande libertà e dedi-
zione i suoi fratelli (cfr. 1 Cor 7, 7; 2 Cor 11, 1-2); inoltre, in un mondo nel
quale i valori della castità cristiana avevano scarsa cittadinanza (cfr. 1 Cor
6, 12-20), egli offre un sicuro riferimento di condotta. Quanto poi all'obbe-
dienza, basti notare che il compimento della volontà di Dio e l'"assillo quo-
tidiano, la preoccupazione per tutte le chiese" (2 Cor 11, 28) ne hanno ani-
mato, plasmato e consumato l'esistenza, resa sacrificio gradito a Dio. Tutto
questo lo porta a proclamare, come scrive ai Filippesi: "Per me infatti il vi-
vere è Cristo e il morire un guadagno" (Fil 1, 21).
Altro aspetto fondamentale della vita consacrata di Paolo è la missione.
Egli è tutto di Gesù per essere, come Gesù, di tutti; anzi, per essere Gesù
per tutti: "Mi sono fatto tutto per tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno"
(1 Cor 9, 22). A lui, così strettamente unito alla persona di Cristo, ricono-
sciamo una profonda capacità di coniugare vita spirituale e azione missiona-
ria; in lui le due dimensioni si richiamano reciprocamente. E così, possiamo
dire che egli appartiene a quella schiera di "mistici costruttori", la cui esi-
stenza è insieme contemplativa ed attiva, aperta su Dio e sui fratelli per
svolgere un efficace servizio al Vangelo. In questa tensione mistico-aposto-
lica, mi piace rimarcare il coraggio dell'Apostolo di fronte al sacrificio nel-
l'affrontare prove terribili, fino al martirio (cfr. 2 Cor 11, 16-33), la fiducia
30
31. incrollabile basata sulle parole del suo Signore: "Ti basta la mia grazia; la
forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza" (2 Cor 12, 9-10). La
sua esperienza spirituale ci appare così come la traduzione vissuta del mi-
stero pasquale, che egli ha intensamente investigato ed annunciato come
forma di vita del cristiano. Paolo vive per, con e in Cristo. "Sono stato cro-
cifisso con Cristo - egli scrive -, e non vivo più io, ma Cristo vive in me"
(Gal 2, 20); e ancora: "per me infatti il vivere è Cristo e il morire un guada-
gno" (Fil 1, 21).
Questo spiega perché egli non si stanchi di esortare a fare in modo che la
parola di Cristo abiti in noi nella sua ricchezza (cfr. Col 3, 16). Questo fa
pensare all'invito a voi indirizzato dalla recente Istruzione su Il servizio del -
l'autorità e l'obbedienza, a cercare "ogni mattina il contatto vivo e costante
con la Parola che in quel giorno è proclamata, meditandola e custodendola
nel cuore come tesoro, facendone la radice d'ogni azione e il criterio primo
d'ogni scelta" (n. 7). Auspico, pertanto, che l'Anno Paolino alimenti ancor
più in voi il proposito di accogliere la testimonianza di san Paolo, meditan-
do ogni giorno la Parola di Dio con la pratica fedele della lectio divina, pre-
gando "con salmi, inni e canti ispirati, con gratitudine" (Col 3, 16). Egli vi
aiuti inoltre a realizzare il vostro servizio apostolico nella e con la Chiesa
con uno spirito di comunione senza riserve, facendo dono agli altri dei pro-
pri carismi (cfr. 1 Cor 14, 12), e testimoniando in primo luogo il carisma più
grande che è la carità (cfr. 1 Cor 13).
Cari fratelli e sorelle, l'odierna liturgia ci esorta a guardare alla Vergine
Maria, la "Consacrata" per eccellenza. Paolo parla di Lei con una formula
concisa ma efficace, che ne descrive la grandezza e il compito: è la "donna"
da cui, nella pienezza dei tempi, è nato il Figlio di Dio (cfr. Gal 4, 4). Maria
è la madre che oggi al Tempio presenta il Figlio al Padre, dando seguito an-
che in questo atto al "sì" pronunciato al momento dell'Annunciazione. Sia
ancora essa la madre che accompagna e sostiene noi, figli di Dio e figli
suoi, nel compimento di un servizio generoso a Dio e ai fratelli. A tal fine,
invoco la sua celeste intercessione, mentre di cuore imparto la Benedizione
Apostolica a tutti voi e alle vostre rispettive Famiglie religiose.
31
32. MESSAGGIO PER LA XVII GIORNATA
MONDIALE DEL MALATO
Cari fratelli e sorelle!
la Giornata Mondiale del Malato, che ricorre il prossimo 11 febbraio,
memoria liturgica della Beata Maria Vergine di Lourdes, vedrà le Comunità
diocesane riunirsi con i propri Vescovi in momenti di preghiera, per riflette-
re e decidere iniziative di sensibilizzazione circa la realtà della sofferenza.
L’Anno Paolino, che stiamo celebrando, offre l’occasione propizia per sof-
fermarsi a meditare con l’apostolo Paolo sul fatto che, "come abbondano le
sofferenze del Cristo in noi, così per mezzo di Cristo abbonda anche la no-
stra consolazione" (2 Cor 1,5). Il collegamento spirituale con Lourdes ri-
chiama inoltre alla mente la materna sollecitudine della Madre di Gesù per i
fratelli del suo Figlio "ancora peregrinanti e posti in mezzo a pericoli e af-
fanni, fino a che non siano condotti nella patria beata" (Lumen gentium, 62).
Quest’anno la nostra attenzione si volge particolarmente ai bambini, le
creature più deboli e indifese e, tra questi, ai bambini malati e sofferenti. Ci
sono piccoli esseri umani che portano nel corpo le conseguenze di malattie
invalidanti, ed altri che lottano con mali oggi ancora inguaribili nonostante
il progresso della medicina e l’assistenza di validi ricercatori e professioni-
sti della salute. Ci sono bambini feriti nel corpo e nell’anima a seguito di
conflitti e guerre, ed altri vittime innocenti dell’odio di insensate persone
adulte. Ci sono ragazzi "di strada", privati del calore di una famiglia ed ab-
bandonati a se stessi, e minori profanati da gente abietta che ne viola l’inno-
cenza, provocando in loro una piaga psicologica che li segnerà per il resto
della vita. Non possiamo poi dimenticare l’incalcolabile numero dei minori
che muoiono a causa della sete, della fame, della carenza di assistenza sani-
taria, come pure i piccoli esuli e profughi dalla propria terra con i loro geni-
tori alla ricerca di migliori condizioni di vita. Da tutti questi bambini si leva
un silenzioso grido di dolore che interpella la nostra coscienza di uomini e
di credenti.
La comunità cristiana, che non può restare indifferente dinanzi a così
drammatiche situazioni, avverte l’impellente dovere di intervenire. La Chie-
32
33. sa, infatti, come ho scritto nell’Enciclica Deus caritas est, "è la famiglia di
Dio nel mondo. In questa famiglia non deve esserci nessuno che soffra per
mancanza del necessario" (25, b). Auspico, pertanto, che anche la Giornata
Mondiale del Malato offra l’opportunità alle comunità parrocchiali e dioce-
sane di prendere sempre più coscienza di essere "famiglia di Dio", e le inco-
raggi a rendere percepibile nei villaggi, nei quartieri e nelle città l’amore del
Signore, il quale chiede "che nella Chiesa stessa, in quanto famiglia, nessun
membro soffra perché nel bisogno" (ibid.). La testimonianza della carità fa
parte della vita stessa di ogni comunità cristiana. E fin dall’inizio la Chiesa
ha tradotto in gesti concreti i principi evangelici, come leggiamo negli Atti
degli Apostoli. Oggi, date le mutate condizioni dell’assistenza sanitaria, si
avverte il bisogno di una più stretta collaborazione tra i professionisti della
salute operanti nelle diverse istituzioni sanitarie e le comunità ecclesiali pre-
senti sul territorio. In questa prospettiva, si conferma in tutto il suo valore
un’istituzione collegata con la Santa Sede qual è l’Ospedale Pediatrico
Bambino Gesù, che celebra quest’anno i suoi 140 anni di vita.
Ma c’è di più. Poiché il bambino malato appartiene ad una famiglia che
ne condivide la sofferenza spesso con gravi disagi e difficoltà, le comunità
cristiane non possono non farsi carico anche di aiutare i nuclei familiari col-
piti dalla malattia di un figlio o di una figlia. Sull’esempio del "Buon Sama-
ritano" occorre che ci si chini sulle persone così duramente provate e si of-
fra loro il sostegno di una concreta solidarietà. In tal modo, l’accettazione e
la condivisione della sofferenza si traduce in un utile supporto alle famiglie
dei bambini malati, creando al loro interno un clima di serenità e di speran-
za, e facendo sentire attorno a loro una più vasta famiglia di fratelli e sorelle
in Cristo. La compassione di Gesù per il pianto della vedova di Nain (cfr Lc
7,12-17) e per l’implorante preghiera di Giairo (cfr Lc 8,41-56) costituisco-
no, tra gli altri, alcuni utili punti di riferimento per imparare a condividere i
momenti di pena fisica e morale di tante famiglie provate. Tutto ciò presup-
pone un amore disinteressato e generoso, riflesso e segno dell’amore miseri-
cordioso di Dio, che mai abbandona i suoi figli nella prova, ma sempre li
rifornisce di mirabili risorse di cuore e di intelligenza per essere in grado di
fronteggiare adeguatamente le difficoltà della vita.
La dedizione quotidiana e l’impegno senza sosta al servizio dei bambini
malati costituiscono un’eloquente testimonianza di amore per la vita umana,
33
34. in particolare per la vita di chi è debole e in tutto e per tutto dipendente da-
gli altri. Occorre affermare infatti con vigore l’assoluta e suprema dignità di
ogni vita umana. Non muta, con il trascorrere dei tempi, l’insegnamento che
la Chiesa incessantemente proclama: la vita umana è bella e va vissuta in
pienezza anche quando è debole ed avvolta dal mistero della sofferenza. E’
a Gesù crocifisso che dobbiamo volgere il nostro sguardo: morendo in croce
Egli ha voluto condividere il dolore di tutta l’umanità. Nel suo soffrire per
amore intravediamo una suprema compartecipazione alle pene dei piccoli
malati e dei loro genitori. Il mio venerato Predecessore Giovanni Paolo II,
che dell’accettazione paziente della sofferenza ha offerto un esempio lumi-
noso specialmente al tramonto della sua vita, ha scritto: "Sulla croce sta il
«Redentore dell'uomo», l'Uomo dei dolori, che in sé ha assunto le sofferen-
ze fisiche e morali degli uomini di tutti i tempi, affinché nell'amore possano
trovare il senso salvifico del loro dolore e risposte valide a tutti i loro inter-
rogativi" (Salvifici doloris, 31).
Desidero qui esprimere il mio apprezzamento ed incoraggiamento alle
Organizzazioni internazionali e nazionali che si prendono cura dei bambini
malati, particolarmente nei Paesi poveri, e con generosità e abnegazione of-
frono il loro contributo per assicurare ad essi cure adeguate e amorevoli. Ri-
volgo al tempo stesso un accorato appello ai responsabili delle Nazioni per-
ché vengano potenziate le leggi e i provvedimenti in favore dei bambini ma-
lati e delle loro famiglie. Sempre, ma ancor più quando è in gioco la vita dei
bambini, la Chiesa, per parte sua, si rende disponibile ad offrire la sua cor-
diale collaborazione nell’intento di trasformare tutta la civiltà umana in «ci-
viltà dell’amore» (cfr Salvifici doloris, 30).
Concludendo, vorrei esprimere la mia vicinanza spirituale a tutti voi, cari
fratelli e sorelle, che soffrite di qualche malattia. Rivolgo un affettuoso salu-
to a quanti vi assistono: ai Vescovi, ai sacerdoti, alle persone consacrate,
agli operatori sanitari, ai volontari e a tutti coloro che si dedicano con amore
a curare e alleviare le sofferenze di chi è alle prese con la malattia. Un salu-
to tutto speciale è per voi, cari bambini malati e sofferenti: il Papa vi ab-
braccia con affetto paterno insieme con i vostri genitori e familiari, e vi assi-
cura uno speciale ricordo nella preghiera, invitandovi a confidare nel mater-
no aiuto dell’Immacolata Vergine Maria, che nel passato Natale abbiamo
ancora una volta contemplato mentre stringe con gioia tra le braccia il Fi-
34
35. glio di Dio fatto bambino. Nell’invocare su di voi e su ogni malato la mater-
na protezione della Vergine Santa, Salute degli Infermi, a tutti imparto di
cuore una speciale Benedizione Apostolica.
Dal Vaticano, 2 Febbraio 2009
35
36. LETTERA SULLA REVOCA DELLA SCOMUNICA
AI VESCOVI LEFEBVRIANI
Cari Confratelli nel ministero episcopale!
La remissione della scomunica ai quattro Vescovi, consacrati nell’anno
1988 dall’Arcivescovo Lefebvre senza mandato della Santa Sede, per mol-
teplici ragioni ha suscitato all’interno e fuori della Chiesa Cattolica una di-
scussione di una tale veemenza quale da molto tempo non si era più speri-
mentata. Molti Vescovi si sono sentiti perplessi davanti a un avvenimento
verificatosi inaspettatamente e difficile da inquadrare positivamente nelle
questioni e nei compiti della Chiesa di oggi. Anche se molti Vescovi e fedeli
in linea di principio erano disposti a valutare in modo positivo la disposizio-
ne del Papa alla riconciliazione, a ciò tuttavia si contrapponeva la questione
circa la convenienza di un simile gesto a fronte delle vere urgenze di una vi-
ta di fede nel nostro tempo. Alcuni gruppi, invece, accusavano apertamente
il Papa di voler tornare indietro, a prima del Concilio: si scatenava così una
valanga di proteste, la cui amarezza rivelava ferite risalenti al di là del mo-
mento. Mi sento perciò spinto a rivolgere a voi, cari Confratelli, una parola
chiarificatrice, che deve aiutare a comprendere le intenzioni che in questo
passo hanno guidato me e gli organi competenti della Santa Sede. Spero di
contribuire in questo modo alla pace nella Chiesa.
Una disavventura per me imprevedibile è stata il fatto che il caso Wil-
liamson si è sovrapposto alla remissione della scomunica. Il gesto discreto
di misericordia verso quattro Vescovi, ordinati validamente ma non legitti-
mamente, è apparso all’improvviso come una cosa totalmente diversa: come
la smentita della riconciliazione tra cristiani ed ebrei, e quindi come la revo-
ca di ciò che in questa materia il Concilio aveva chiarito per il cammino del-
la Chiesa. Un invito alla riconciliazione con un gruppo ecclesiale implicato
in un processo di separazione si trasformò così nel suo contrario: un appa-
rente ritorno indietro rispetto a tutti i passi di riconciliazione tra cristiani ed
ebrei fatti a partire dal Concilio – passi la cui condivisione e promozione fin
dall’inizio era stato un obiettivo del mio personale lavoro teologico. Che
questo sovrapporsi di due processi contrapposti sia successo e per un mo-
36
37. mento abbia disturbato la pace tra cristiani ed ebrei come pure la pace al-
l’interno della Chiesa, è cosa che posso soltanto deplorare profondamente.
Mi è stato detto che seguire con attenzione le notizie raggiungibili mediante
l’internet avrebbe dato la possibilità di venir tempestivamente a conoscenza
del problema. Ne traggo la lezione che in futuro nella Santa Sede dovremo
prestar più attenzione a quella fonte di notizie. Sono rimasto rattristato dal
fatto che anche cattolici, che in fondo avrebbero potuto sapere meglio come
stanno le cose, abbiano pensato di dovermi colpire con un’ostilità pronta al-
l’attacco. Proprio per questo ringrazio tanto più gli amici ebrei che hanno
aiutato a togliere di mezzo prontamente il malinteso e a ristabilire l’atmo-
sfera di amicizia e di fiducia, che – come nel tempo di Papa Giovanni Paolo
II – anche durante tutto il periodo del mio pontificato è esistita e, grazie a
Dio, continua ad esistere.
Un altro sbaglio, per il quale mi rammarico sinceramente, consiste nel
fatto che la portata e i limiti del provvedimento del 21 gennaio 2009 non so-
no stati illustrati in modo sufficientemente chiaro al momento della sua
pubblicazione. La scomunica colpisce persone, non istituzioni. Un’Ordina-
zione episcopale senza il mandato pontificio significa il pericolo di uno sci-
sma, perché mette in questione l’unità del collegio episcopale con il Papa.
Perciò la Chiesa deve reagire con la punizione più dura, la scomunica, al fi-
ne di richiamare le persone punite in questo modo al pentimento e al ritorno
all’unità. A vent’anni dalle Ordinazioni, questo obiettivo purtroppo non è
stato ancora raggiunto. La remissione della scomunica mira allo stesso sco-
po a cui serve la punizione: invitare i quattro Vescovi ancora una volta al ri-
torno. Questo gesto era possibile dopo che gli interessati avevano espresso
il loro riconoscimento in linea di principio del Papa e della sua potestà di
Pastore, anche se con delle riserve in materia di obbedienza alla sua autorità
dottrinale e a quella del Concilio. Con ciò ritorno alla distinzione tra perso-
na ed istituzione. La remissione della scomunica era un provvedimento nel-
l’ambito della disciplina ecclesiastica: le persone venivano liberate dal peso
di coscienza costituito dalla punizione ecclesiastica più grave. Occorre di-
stinguere questo livello disciplinare dall’ambito dottrinale. Il fatto che la
Fraternità San Pio X non possieda una posizione canonica nella Chiesa, non
si basa in fin dei conti su ragioni disciplinari ma dottrinali. Finché la Frater-
nità non ha una posizione canonica nella Chiesa, anche i suoi ministri non
esercitano ministeri legittimi nella Chiesa. Bisogna quindi distinguere tra il
37
38. livello disciplinare, che concerne le persone come tali, e il livello dottrinale
in cui sono in questione il ministero e l’istituzione. Per precisarlo ancora
una volta: finché le questioni concernenti la dottrina non sono chiarite, la
Fraternità non ha alcuno stato canonico nella Chiesa, e i suoi ministri – an-
che se sono stati liberati dalla punizione ecclesiastica – non esercitano in
modo legittimo alcun ministero nella Chiesa.
Alla luce di questa situazione è mia intenzione di collegare in futuro la
Pontificia Commissione "Ecclesia Dei" – istituzione dal 1988 competente
per quelle comunità e persone che, provenendo dalla Fraternità San Pio X o
da simili raggruppamenti, vogliono tornare nella piena comunione col Papa
– con la Congregazione per la Dottrina della Fede. Con ciò viene chiarito
che i problemi che devono ora essere trattati sono di natura essenzialmente
dottrinale e riguardano soprattutto l’accettazione del Concilio Vaticano II e
del magistero post-conciliare dei Papi. Gli organismi collegiali con i quali la
Congregazione studia le questioni che si presentano (specialmente la con-
sueta adunanza dei Cardinali al mercoledì e la Plenaria annuale o biennale)
garantiscono il coinvolgimento dei Prefetti di varie Congregazioni romane e
dei rappresentanti dell’Episcopato mondiale nelle decisioni da prendere.
Non si può congelare l’autorità magisteriale della Chiesa all’anno 1962 –
ciò deve essere ben chiaro alla Fraternità. Ma ad alcuni di coloro che si se-
gnalano come grandi difensori del Concilio deve essere pure richiamato alla
memoria che il Vaticano II porta in sé l’intera storia dottrinale della Chiesa.
Chi vuole essere obbediente al Concilio, deve accettare la fede professata
nel corso dei secoli e non può tagliare le radici di cui l’albero vive.
Spero, cari Confratelli, che con ciò sia chiarito il significato positivo co-
me anche il limite del provvedimento del 21 gennaio 2009. Ora però rimane
la questione: Era tale provvedimento necessario? Costituiva veramente una
priorità? Non ci sono forse cose molto più importanti? Certamente ci sono
delle cose più importanti e più urgenti. Penso di aver evidenziato le priorità
del mio Pontificato nei discorsi da me pronunciati al suo inizio. Ciò che ho
detto allora rimane in modo inalterato la mia linea direttiva. La prima prio-
rità per il Successore di Pietro è stata fissata dal Signore nel Cenacolo in
modo inequivocabile: "Tu … conferma i tuoi fratelli" (L c 22, 32). Pietro
stesso ha formulato in modo nuovo questa priorità nella sua prima Lettera:
"Siate sempre pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della spe-
38
39. ranza che è in voi" (1 Pt 3, 15). Nel nostro tempo in cui in vaste zone della
terra la fede è nel pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più
nutrimento, la priorità che sta al di sopra di tutte è di rendere Dio presente
in questo mondo e di aprire agli uomini l’accesso a Dio. Non ad un qualsiasi
dio, ma a quel Dio che ha parlato sul Sinai; a quel Dio il cui volto ricono-
sciamo nell’amore spinto sino alla fine (cfr Gv 13, 1) – in Gesù Cristo croci-
fisso e risorto. Il vero problema in questo nostro momento della storia è che
Dio sparisce dall’orizzonte degli uomini e che con lo spegnersi della luce
proveniente da Dio l’umanità viene colta dalla mancanza di orientamento, i
cui effetti distruttivi ci si manifestano sempre di più.
Condurre gli uomini verso Dio, verso il Dio che parla nella Bibbia: que-
sta è la priorità suprema e fondamentale della Chiesa e del Successore di
Pietro in questo tempo. Da qui deriva come logica conseguenza che dobbia-
mo avere a cuore l’unità dei credenti. La loro discordia, infatti, la loro con-
trapposizione interna mette in dubbio la credibilità del loro parlare di Dio.
Per questo lo sforzo per la comune testimonianza di fede dei cristiani – per
l’ecumenismo – è incluso nella priorità suprema. A ciò si aggiunge la neces-
sità che tutti coloro che credono in Dio cerchino insieme la pace, tentino di
avvicinarsi gli uni agli altri, per andare insieme, pur nella diversità delle lo-
ro immagini di Dio, verso la fonte della Luce – è questo il dialogo interreli-
gioso. Chi annuncia Dio come Amore "sino alla fine" deve dare la testimo-
nianza dell’amore: dedicarsi con amore ai sofferenti, respingere l’odio e l’i-
nimicizia – è la dimensione sociale della fede cristiana, di cui ho parlato
nell’Enciclica Deus caritas est.
Se dunque l’impegno faticoso per la fede, per la speranza e per l’amore
nel mondo costituisce in questo momento (e, in forme diverse, sempre) la
vera priorità per la Chiesa, allora ne fanno parte anche le riconciliazioni pic-
cole e medie. Che il sommesso gesto di una mano tesa abbia dato origine ad
un grande chiasso, trasformandosi proprio così nel contrario di una riconci-
liazione, è un fatto di cui dobbiamo prendere atto. Ma ora domando: Era ed
è veramente sbagliato andare anche in questo caso incontro al fratello che
"ha qualche cosa contro di te" (cfr Mt 5, 23s) e cercare la riconciliazione?
Non deve forse anche la società civile tentare di prevenire le radicalizzazio-
ni e di reintegrare i loro eventuali aderenti – per quanto possibile – nelle
grandi forze che plasmano la vita sociale, per evitarne la segregazione con
39
40. tutte le sue conseguenze? Può essere totalmente errato l’impegnarsi per lo
scioglimento di irrigidimenti e di restringimenti, così da far spazio a ciò che
vi è di positivo e di ricuperabile per l’insieme? Io stesso ho visto, negli anni
dopo il 1988, come mediante il ritorno di comunità prima separate da Roma
sia cambiato il loro clima interno; come il ritorno nella grande ed ampia
Chiesa comune abbia fatto superare posizioni unilaterali e sciolto irrigidi-
menti così che poi ne sono emerse forze positive per l’insieme. Può lasciar-
ci totalmente indifferenti una comunità nella quale si trovano 491 sacerdoti,
215 seminaristi, 6 seminari, 88 scuole, 2 Istituti universitari, 117 frati, 164
suore e migliaia di fedeli? Dobbiamo davvero tranquillamente lasciarli an-
dare alla deriva lontani dalla Chiesa? Penso ad esempio ai 491 sacerdoti.
Non possiamo conoscere l’intreccio delle loro motivazioni. Penso tuttavia
che non si sarebbero decisi per il sacerdozio se, accanto a diversi elementi
distorti e malati, non ci fosse stato l’amore per Cristo e la volontà di annun-
ciare Lui e con Lui il Dio vivente. Possiamo noi semplicemente escluderli,
come rappresentanti di un gruppo marginale radicale, dalla ricerca della ri-
conciliazione e dell’unità? Che ne sarà poi?
Certamente, da molto tempo e poi di nuovo in quest’occasione concreta
abbiamo sentito da rappresentanti di quella comunità molte cose stonate –
superbia e saccenteria, fissazione su unilateralismi ecc. Per amore della ve-
rità devo aggiungere che ho ricevuto anche una serie di testimonianze com-
moventi di gratitudine, nelle quali si rendeva percepibile un’apertura dei
cuori. Ma non dovrebbe la grande Chiesa permettersi di essere anche gene-
rosa nella consapevolezza del lungo respiro che possiede; nella consapevo-
lezza della promessa che le è stata data? Non dovremmo come buoni educa-
tori essere capaci anche di non badare a diverse cose non buone e premurar-
ci di condurre fuori dalle strettezze? E non dobbiamo forse ammettere che
anche nell’ambiente ecclesiale è emersa qualche stonatura? A volte si ha
l’impressione che la nostra società abbia bisogno di un gruppo almeno, al
quale non riservare alcuna tolleranza; contro il quale poter tranquillamente
scagliarsi con odio. E se qualcuno osa avvicinarglisi – in questo caso il Papa
– perde anche lui il diritto alla tolleranza e può pure lui essere trattato con
odio senza timore e riserbo.
Cari Confratelli, nei giorni in cui mi è venuto in mente di scrivere questa
lettera, è capitato per caso che nel Seminario Romano ho dovuto interpreta-
40
41. re e commentare il brano di Gal 5, 13 – 15. Ho notato con sorpresa l’imme-
diatezza con cui queste frasi ci parlano del momento attuale: "Che la libertà
non divenga un pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la carità
siate a servizio gli uni degli altri. Tutta la legge infatti trova la sua pienezza
in un solo precetto: amerai il prossimo tuo come te stesso. Ma se vi mordete
e divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni
gli altri!" Sono stato sempre incline a considerare questa frase come una
delle esagerazioni retoriche che a volte si trovano in san Paolo. Sotto certi
aspetti può essere anche così. Ma purtroppo questo "mordere e divorare"
esiste anche oggi nella Chiesa come espressione di una libertà mal interpre-
tata. È forse motivo di sorpresa che anche noi non siamo migliori dei Gala-
ti? Che almeno siamo minacciati dalle stesse tentazioni? Che dobbiamo im-
parare sempre di nuovo l’uso giusto della libertà? E che sempre di nuovo
dobbiamo imparare la priorità suprema: l’amore? Nel giorno in cui ho parla-
to di ciò nel Seminario maggiore, a Roma si celebrava la festa della Madon-
na della Fiducia. Di fatto: Maria ci insegna la fiducia. Ella ci conduce al Fi-
glio, di cui noi tutti possiamo fidarci. Egli ci guiderà – anche in tempi turbo-
lenti. Vorrei così ringraziare di cuore tutti quei numerosi Vescovi, che in
questo tempo mi hanno donato segni commoventi di fiducia e di affetto e
soprattutto mi hanno assicurato la loro preghiera. Questo ringraziamento va-
le anche per tutti i fedeli che in questo tempo mi hanno dato testimonianza
della loro fedeltà immutata verso il Successore di san Pietro. Il Signore pro-
tegga tutti noi e ci conduca sulla via della pace. È un augurio che mi sgorga
spontaneo dal cuore in questo inizio di Quaresima, che è tempo liturgico
particolarmente favorevole alla purificazione interiore e che tutti ci invita a
guardare con speranza rinnovata al traguardo luminoso della Pasqua.
Con una speciale Benedizione Apostolica mi confermo
Dal Vaticano, 10 Marzo 2009
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42. MESSAGGIO PER LA QUARESIMA 2009
"Gesù, dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti,
ebbe fame" (Mt 4,2)
Cari fratelli e sorelle!
All'inizio della Quaresima, che costituisce un cammino di più intenso al-
lenamento spirituale, la Liturgia ci ripropone tre pratiche penitenziali molto
care alla tradizione biblica e cristiana - la preghiera, l'elemosina, il digiuno -
per disporci a celebrare meglio la Pasqua e a fare così esperienza della po-
tenza di Dio che, come ascolteremo nella Veglia pasquale, "sconfigge il ma-
le, lava le colpe, restituisce l'innocenza ai peccatori, la gioia agli afflitti.
Dissipa l'odio, piega la durezza dei potenti, promuove la concordia e la pa-
ce" (Preconio pasquale). Nel consueto mio Messaggio quaresimale, vorrei
soffermarmi quest'anno a riflettere in particolare sul valore e sul senso del
digiuno. La Quaresima infatti richiama alla mente i quaranta giorni di digiu-
no vissuti dal Signore nel deserto prima di intraprendere la sua missione
pubblica. Leggiamo nel Vangelo: "Gesù fu condotto dallo Spirito nel deser-
to, per essere tentato dal diavolo. Dopo aver digiunato quaranta giorni e
quaranta notti, alla fine ebbe fame" (Mt 4,1-2). Come Mosè prima di riceve-
re le Tavole della Legge (cfr Es 34,28), come Elia prima di incontrare il Si-
gnore sul monte Oreb (cfr 1 Re 19,8), così Gesù pregando e digiunando si
preparò alla sua missione, il cui inizio fu un duro scontro con il tentatore.
Possiamo domandarci quale valore e quale senso abbia per noi cristiani il
privarci di un qualcosa che sarebbe in se stesso buono e utile per il nostro
sostentamento. Le Sacre Scritture e tutta la tradizione cristiana insegnano
che il digiuno è di grande aiuto per evitare il peccato e tutto ciò che ad esso
induce. Per questo nella storia della salvezza ricorre più volte l'invito a di-
giunare. Già nelle prime pagine della Sacra Scrittura il Signore comanda al-
l'uomo di astenersi dal consumare il frutto proibito: "Tu potrai mangiare di
tutti gli alberi del giardino, ma dell'albero della conoscenza del bene e del
male non devi mangiare perché, nel giorno in cui tu ne mangerai, certamen-
te dovrai morire" (Gn 2,16-17). Commentando l'ingiunzione divina, san Ba-
silio osserva che "il digiuno è stato ordinato in Paradiso", e "il primo co-
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