SlideShare a Scribd company logo
1 of 8
Download to read offline
Osservazione e teoria psicoanalitica
                                      Angelo R. Pennella




Indubbiamente è possibile affermare che il rapporto tra osservazione e psicoanalisi si è
avviato fin dalla nascita della teoria psicoanalitica. Freud stesso ebbe modo di osservare il
comportamento di un bambino di un anno e mezzo che si divertiva a lanciare a terra un
rocchetto di filo. Ogni volta che il piccolo lo gettava oltre il bordo del lettino, producendone
così la scomparsa dal suo campo visivo, pronunciava un “O-o-o”, che fu interpretato dalla
madre come “Fort!” = “Via!”. L’attività continuava con il bambino che tirava a sé il rocchetto e
che, al suo riapparire, vocalizzava con gioia dicendo “Da!” = “Qui!” (1).
Sebbene questa possa essere considerata la prima osservazione psicoanalitica diretta di un
bambino, furono necessari molti anni prima che gli psicoanalisti iniziassero ad utilizzare
seriamente l’osservazione per corroborare le loro ipotesi teoriche. Nonostante le
dichiarazioni, in questo senso piuttosto esplicite di Freud, il quale auspicò l’integrazione del
metodo ricostruttivo con quello osservativo, ciò avvenne in tempi piuttosto lunghi. Se da un
lato era infatti evidente l’impossibilità della psicologia psicoanalitica (in modo particolare di
quella dell'età evolutiva) di basarsi solo sui dati desunti dalle terapie dei pazienti adulti
(Hartmann, 1950), dall’altro, l’utilizzo dell’osservazione poneva agli analisti una serie di
problemi metodologici ed epistemologici di non facile soluzione. In effetti, non si trattava,
come vedremo tra breve, solo di affiancare fonti diverse di dati, ma di riesaminare il ruolo ed il
significato che si doveva attribuire alle ricostruzioni analitiche.
Dal punto di vista cronologico, Kris (1950) ha suddiviso il processo che ha condotto ad un uso
sempre più sistematico dell’osservazione da parte degli analisti in due fasi: nella prima, che
caratterizzò i primi due decenni del secolo, l’osservazione fu utilizzata essenzialmente per
ottenere conferme su ciò che la ricostruzione analitica teorizzava, in modo particolare rispetto

(1)
   Freud spiegò il comportamento del bambino partendo dall'ipotesi che il rocchetto fosse una
rappresentazione simbolica della figura materna. La possibilità di poter determinare la
scomparsa e la ricomparsa del rocchetto/madre, fu interpretata come un tentativo del piccolo
di elaborare le emozioni indotte dai reali allontanamenti materni. Nell'ipotesi freudiana, il
gioco era quindi simbolizzante la dinamica intrapsichica del bambino, fondata sulla rinuncia
pulsionale che il bambino doveva attuare quando permetteva/subiva alla madre di
allontanarsi.


Angelo R. Pennella – Osservazione e teoria psicoanalitica                                       1
allo sviluppo della sessualità infantile e del complesso edipico. In questa prima fase,
l’osservazione diretta dei bambini ebbe un ruolo assolutamente secondario ed i dati che
venivano raccolti sembravano costituire un campo quasi isolato, collegato più alla pedagogia
che alla teoria psicoanalitica in senso stretto (Berardelli, 1990).
In quegli anni, sembrava esserci una forte ritrosia nei confronti di questo metodo, in parte
spiegabile con la convinzione che si potesse accedere agli strati più profondi della personalità
solo attraverso il metodo ricostruttivo. L’osservazione non poteva, quindi, che essere
considerata uno strumento adatto solo per la conoscenza degli elementi più superficiali
(manifesti) del comportamento. A questo si aggiungevano, inoltre, i dubbi sull’effettiva
possibilità di applicare, in modo attendibile, la tecnica dell’interpretazione al materiale
osservativo (2).
Al di là, comunque, delle motivazioni teoriche e tecniche, riteniamo possibile pensare che la
ritrosia espressa nei confronti dell’osservazione diretta dei bambini possa essere ricondotta
anche al forte bisogno di legittimazione sociale che la psicoanalisi manifestò nei primi anni
del ‘900 (Sulloway, 1992). Se questa ipotesi è corretta, la priorità – se non addirittura
l’esclusività – riconosciuta al metodo ricostruttivo, rispetto ad altre modalità di conoscenza, si
spiegherebbe non solo con il naturale bisogno di differenziazione che qualsiasi “nuova” teoria
esprime nei confronti delle “vecchie”, ma anche con il fatto che rinforzava la legittimazione
della psicoanalisi agli occhi della comunità culturale e scientifica. Se l'obiettivo era cioè quello
di evitare che strumenti fondamentali come l'interpretazione e la costruzione psicoanalitica
fossero tacciati di essere delle mere suggestioni operate dagli analisti nei confronti dei propri
pazienti, era necessario dimostrare che la "relazione analitica è fondata sull'amore della
verità, ovverosia sul riconoscimento della realtà" (Freud, 1937, trad. it. pag. 531) e che il
metodo ricostruttivo aveva una dignità scientifica pari, se non superiore, a quella di altre
metodologie scientifiche.
In questa prospettiva, è facile pensare che l’uso limitato dell’osservazione da parte degli
analisti consentiva loro di evitare – in un momento particolarmente importante per la
costruzione dell’immagine sociale della psicoanalisi – un confronto sulla validità euristica dei
due metodi ed una riflessione sui rapporti e gli equilibri tra dati osservativi e dati ricostruttivi.
Non a caso, Freud iniziò il suo articolo sulle "Costruzioni nell'analisi" discutendo proprio del
valore che deve essere attribuito ai "no" dei pazienti, a quelle situazioni cioè in cui questi
ultimi contraddicono le "verità" proposte dagli analisti. Come è noto, egli si dichiara convinto
del fatto che il giudizio negativo del paziente non debba considerarsi sufficiente, di per sé, a
delegittimare l'intervento interpretativo: il "no" può essere, infatti, a sua volta interpretato
come una resistenza del paziente ed è dunque necessario che l'analista, nella sua funzione
di osservatore esterno ed estraneo (3), raccolga ulteriori informazioni prima di abbandonare (o
(2)
    È nota l’affermazione di Freud secondo cui “l'osservazione diretta del neonato ha lo svantaggio di
utilizzare dati che sono facilmente fraintendibili; la psicoanalisi incontra delle difficoltà per il fatto che
può ottenere i suoi dati così come le sue condizioni dopo lunghe peripezie. Ma attraverso la
cooperazione i due metodi possono ottenere un soddisfacente grado di certezza nei loro risultati”
(Freud, 1905, trad. it. 1970).
(3)
    È chiaro che una simile ipostatizzazione è espressiva del paradigma empiristico sotteso alla
psicoanalisi tradizionale.



Angelo R. Pennella – Osservazione e teoria psicoanalitica                                                   2
accettare) definitivamente la propria ipotesi.
Riprendendo ancora Kris (1950), a questa prima fase fece comunque seguito un lungo
periodo in cui l’osservazione non fu più, per gli analisti, un’attività sporadica e secondaria, ma
un mezzo di indagine su cui fare sempre più affidamento (4). Ciò indusse a rivendicare per
l’osservazione il ruolo di strumento elettivo per l’indagine di tutte quelle aree di
comportamento a cui le ipotesi ricostruttive non potevano avere accesso. Secondo
l'approccio classico, infatti, “la ricostruzione psicoanalitica della vita mentale del bambino
inferita dalle verbalizzazioni dei ricordi del paziente in analisi poteva estendersi con validità
attendibile solo fino al limite della fase verbale (inizio del linguaggio articolato), mentre
avrebbero rischiato di diventare largamente arbitrari i tentativi di ricostruire quella
'preverbale'“ (Bonaminio, Iaccarino, 1992, pag. 12-13).
Si recuperava così il motivo dell’interesse iniziale di Freud nei confronti dell’osservazione
diretta dei bambini, che aveva infatti ipotizzato l’uso dell’osservazione proprio per risolvere le
difficoltà a distinguere le fantasie regressive dei pazienti dai fatti realmente accaduti
nell’infanzia. Prevalse, cioè, la convinzione che per comprendere “la natura e la funzione
della fantasia è necessario studiare le prime fasi dello sviluppo mentale relative ai primi tre
anni di vita” (Isaacs, ed. it. 1992, pag. 25) e l'osservazione diretta degli infanti era l’unico
modo possibile per farlo.
Nonostante quindi il perdurare di un certo scetticismo, l’uso dell’osservazione si diffuse in
ambito psicoanalitico. Si delinearono, tuttavia, due diverse linee di sviluppo, presenti ancora
oggi nell’ambito delle teorie psicodinamiche.
Nella prima, esemplificata dal lavoro di Anna Freud, Ernst Kris e Margaret Mahler,
l’osservazione fu utilizzata essenzialmente come strumento di ricerca. Il fine era quello di
raccogliere dati sulle fasi precoci dello sviluppo infantile, in modo da poterli rapportare alle
teorizzazioni elaborate a partire dal setting psicoanalitico, giungendo così a previsioni
attendibili sullo sviluppo di possibili psicopatologie (5). Il tentativo di questi autori fu quello di
evitare “interpretazioni selvagge” (Freud A., trad. it. 1992) del materiale osservativo, grazie al
suo sistematico inquadramento all’interno delle conoscenze analitiche ricavate
dall'esperienza clinica. Kris sostenne, infatti, che “per quanto ricchi siano i dati forniti dalle
tecniche di osservazione, tutto ciò che riguarda la loro organizzazione, la coerenza dei
fenomeni, cioè tutte le misure che prendiamo nello stabilire le ipotesi da verificare attraverso
ciò che osserviamo, dipendono direttamente da ciò che abbiamo imparato e impariamo dalla
ricostruzione nella psicoanalisi” (Kris, 1950, cit. in Berardelli, 1990).
In qualche modo, è collocabile in questa “linea di sviluppo” anche il lavoro di René Spitz. È
noto, infatti, l’interesse che questo autore manifestò nei confronti dell’osservazione come

(4)
  A testimonianza di questo cambiamento della psicoanalisi nei confronti dell’osservazione diretta dei
bambini, si può ricordare che il 20° Congresso Inte rnazionale di Psicoanalisi (Parigi, 1955), dedicò –
per la prima volta – un Simposio proprio ai contributi dell’osservazione alla teoria psicoanalitica.
(5)
   Un significativo esempio di questo approccio è rappresentato dalla teoria della Mahler (1972) sui
processi di separazione-individuazione, teoria fortemente incentrata sui periodi di vita preverbali del
bambino e prodotta grazie all’integrazione tra dati di tipo clinico, ricerche sperimentali ed osservazioni
dirette di bambini.


Angelo R. Pennella – Osservazione e teoria psicoanalitica                                               3
metodo di ricerca e la rilevanza che ebbero, nell’elaborazione delle sue teorie, i dati ottenuti
con questo metodo (6).
La preoccupazione di Spitz di garantire scientificità al proprio lavoro, espressa dall’uso di
strumenti particolarmente innovativi per l'epoca come la ripresa cinematografica e la screen
analysis, portò ad un obiettivo avvicinamento della psicoanalisi alla metodologia e alla ricerca
sperimentale (Berardelli, 1990). Se questo consentì all’autore uno studio più attento e
controllato del materiale raccolto nel corso delle osservazioni (7), ciò lo spinse però anche ad
aderire completamente al paradigma empiristico, sposando l’assunto secondo cui è possibile
giungere ad una conoscenza obiettiva della realtà. Di fatto, l’annullamento del ruolo svolto
dall’osservatore e dalla sua teoria di riferimento, allontanò Spitz da quello che possiamo
considerare come l’approccio psicoanalitico alla osservazione, fondato sullo spostamento
dell’accento dall’oggetto al processo.

Riprendendo comunque il filo del nostro discorso, si diceva prima che l’osservazione in
psicoanalisi ha seguito, per così dire, due linee di sviluppo. La seconda può essere
facilmente individuata nel lavoro di Esther Bick e dei suoi colleghi della Tavistock Clinic
(gruppo che faceva riferimento al pensiero di Melanie Klein). Questi analisti considerarono
l’osservazione “un’esperienza il cui perno è la relazione osservatore-osservato” (Berardelli,
1990, pag. 14) ed in cui è essenziale l’impatto emozionale dell’osservatore con la situazione.
A differenza degli autori a cui abbiamo fatto cenno prima, in questo gruppo il fine non era
tanto la raccolta di dati e l’elaborazione teorica, quanto piuttosto la formazione dei futuri
psicoterapeuti. Non a caso, in questa prospettiva acquista un ruolo essenziale il
controtransfert dell’osservatore, considerato come una sorta di “sonda della comunicazione
inconscia”, l’unico strumento in grado di aiutare l’analista a comprendere il fantasma che
sottende l’agito (cfr. anche il cap. 5).
A prescindere comunque dalle differenze esistenti nei due approcci all’osservazione, in ogni
caso, l’uso che ne fecero gli analisti non si tradusse mai in un appiattimento del loro metodo
su quello della psicologia accademica. L’introduzione del metodo osservativo in psicoanalisi
promosse, al contrario, una nuova modalità di considerare questo metodo. Furono introdotti,
infatti, fattori nuovi, fino ad allora trascurati o percepiti addirittura come elementi di disturbo
dell’osservazione. Se ne dilatò il campo d’azione, non limitandolo più al solo comportamento
del bambino, ma includendo in esso anche gli atteggiamenti consci ed inconsci
dell'osservatore e le dinamiche interattive che si sviluppano all’interno del contesto
osservativo.
In questo senso, risulta fondamentale il contributo di Winnicott, che descrisse – in un articolo


(6)
    Si pensi, tra gli altri, agli studi condotti dall’autore nei confronti della percezione delle qualità
espressive del volto umano – detta anche percezione sociale – nel corso dei primi mesi di vita e che
consentirono di determinare le posizioni che il viso deve assumere per poter attivare nel bambini la
risposta del sorriso. Noto è anche il concetto di “organizzatore” della psiche che Spitz propose sempre
sulla base delle sue osservazioni dirette del comportamento infantile.
(7)
  Ad onor del vero, furono espresse alcune perplessità sulla scarsa selezione che Spitz avrebbe fatto
nei confronti dei bambini ospedalizzati la cui osservazione lo condusse a formulare l’ipotesi della
depressione anaclitica.


Angelo R. Pennella – Osservazione e teoria psicoanalitica                                              4
del 1941 (8) – il suo modo di osservare i bambini piccoli in una situazione prefissata, modalità
in cui sono contenuti in nuce tutti i parametri di quella che può essere considerata
l'osservazione psicoanalitica. Il metodo illustrato da Winnicott prevedeva un setting
dall'apparenza piuttosto semplice: una stanza in cui era accolta la coppia madre bambino ed
in cui era disponibile – poggiato sulla scrivania dell'analista – un abbassalingua di metallo
luccicante.

Il metodo osservativo winnicottiano si caratterizzava per il fatto di non limitarsi alla
registrazione delle reazioni del bambino alla situazione e all’oggetto stimolo (l’abbassalingua),
ma di estendersi alle dinamiche interpersonali che la situazione stessa attivava nella coppia
madre-bambino. Questo ampliamento del focus osservativo può essere facilmente spiegato
con l’approccio teorico di Winnicott, che non si limitava a considerare i fantasmi interni del
bambino, ma considerava essenziale anche l’analisi delle caratteristiche reali della madre e
delle sue reali capacità di rispondere in modo soddisfacente ai bisogni del figlio.
L'aspetto comunque più interessante del contributo di Winnicott è però la sua differenziazione
terminologica e concettuale tra le parole “profondo” e “precoce”.

Come si è detto, l’integrazione del metodo ricostruttivo con quello osservativo poneva agli
analisti il problema della congruenza e della validità da riconoscere ai dati ottenuti con questi
due metodi (10). Si trattava, per dirla con Stern (1987), di coniugare il “bambino clinico” con il
“bambino osservato”, senza che l'uno prevalesse sull'altro. La proposta di Winnicott, tesa a
differenziare nettamente i significati da attribuire ai termini “profondo” e “precoce”, sembra
offrirsi come una possibile soluzione del problema.
Quando in psicoanalisi si parla di profondità, si fa infatti riferimento alla fantasia inconscia o
alla realtà psichica dell'individuo, si parla, in altre parole, di qualcosa che coinvolge sia
l'intelletto che l'immaginazione del paziente. Questo attribuisce però al concetto una notevole
variabilità: è, infatti, “più profondo riferirsi ai rapporti infante-madre che ai rapporti triangolari,
riferirsi all'angoscia persecutoria interna che al senso di persecuzione esterna” (Winnicott,
trad it. 1970, pag. 140). In qualche misura, il “sempre più profondo” implica anche il “sempre
più precoce”, ma spesso i pazienti propongono contenuti che rappresentano la sintesi e la
fusione di elementi precoci con altri più tardivi e la profondità non garantisce la precocità del
contenuto. Il concetto “precoce” rinvia, dunque, ad un dato di fatto - per così dire, storico -
mentre il concetto di “profondo” sembra invece evocare una dimensione di tipo narrativo.
Winnicott era consapevole dell’importanza di questa differenziazione, che consentiva di
riproporre in modo nuovo e meno critico la questione del rapporto tra i due metodi: “la

(8)
   È curioso notare che l’articolo di Winnicott sull’osservazione fu pubblicato nello stesso periodo in cui
l’Autore iniziò a formalizzare le sue critiche alla teoria kleiniana. Nel 1941 Winnicott iniziò infatti a
sollevare obiezioni nei confronti, ad esempio, della nozione di conoscenza e di immagini a priori che il
bambino – secondo la Klein – avrebbe del pene paterno, fino a giungere ad affermare nel 1962 che il
tentativo kleiniano di anticipare sempre di più la data dei complessi processi cognitivi aveva rovinato il
lavoro successivo di questa autrice (Greenberg, Mitchell, 1983, trad. it.1986, pag. 204).
(10)
    La questione, come abbiamo già ricordato, non aveva implicazioni esclusivamente teoriche, ma
andava a toccare anche il primato della ricostruzione analitica ed il rapporto, su cui si è lavorato per
anni in ambito analitico, tra verità storica e narrativa dei contenuti che emergevano in sede
psicoterapeutica.


Angelo R. Pennella – Osservazione e teoria psicoanalitica                                                5
psicoanalisi ha molto da imparare da coloro che osservano direttamente gli infanti, e le madri
e gli infanti insieme, e i piccoli bambini nell'ambiente in cui vivono naturalmente. Ma neppure
l'osservazione diretta è in grado di costruire da sola una psicologia della prima infanzia.
Collaborando continuamente psicoanalisti e osservatori diretti possono essere in grado di
correlare ciò che è profondo nell'analisi con ciò che è precoce nello sviluppo infantile. In
breve: un infante deve distanziarsi da ciò che è precoce al fine di acquisire la maturità
necessaria per essere profondo.” (Winnicott, 1970, pag. 144, corsivo dell'autore).
Tra gli anni ‘60 ed ’80 le osservazioni condotte dagli psicoanalisti sui bambini si moltiplicarono
e si consolidò la convinzione che solo in questo modo fosse possibile acquisire conoscenze
sugli stadi preverbali dello sviluppo psicologico. Per certi versi si ribaltò l’equilibrio che fino ad
allora esisteva tra metodo ricostruttivo e metodo osservativo, indubbiamente a vantaggio di
quest’ultimo. Sempre più frequentemente, l’osservazione fu utilizzata per validare le ipotesi
teoriche elaborate sulla base dei dati ricostruttivi, giungendo ad ipotizzare correzioni e
riformulazioni della teoria in funzione degli studi osservativi ed empirici (Conte, Dazzi, 1988).
In realtà, riteniamo che il problema del rapporto tra osservazioni dirette dei bambini e
ricostruzioni analitiche non possa esaurirsi attribuendo una sorta di potere di veto alle une
rispetto alle altre. Così facendo si rischierebbe, da un lato, di aderire in modo incondizionato
al paradigma empiristico e all’idea che l’osservazione sia in grado di fornire dati obiettivi sulla
realtà su cui costruire una nuova struttura teorica (11), dall’altro di dare per scontato che i due
metodi conducano a tipologie di risultati omogenei (annullando così lo sforzo di Winnicott teso
a differenziare i concetti di precoce e profondo). Questo non deve indurre, ovviamente, ad
ignorare il fatto che le ricerche osservative hanno falsificato molti degli assunti evolutivi
centrali della teoria psicoanalitica ed hanno reso difficile mantenerne l'assetto tradizionale,
ma deve piuttosto spingere a riconsiderare le questioni poste dall’integrazione dei metodi (e
dei risultati) ricostruttivi ed osservativi.
Ancor più che nel passato, è quindi necessario chiedersi “quali metodi di osservazione e di
analisi di dati sarebbero appropriati; quali costruttori teorici sono richiesti per ottenere una
convergenza scientificamente plausibile tra l'osservazione del lattante e i resoconti verbali
sull'esperienza soggettiva” (Wolff, 1991, pag. 6).
La confusione, così come l’attuale tendenza a subordinare il metodo ricostruttivo a quello
osservativo, può forse essere spiegata con il fatto che si è proposto un confronto in cui non è
stato sufficientemente chiarito che cosa si intendesse con il termine “osservazione”. Come
abbiamo detto (cfr. cap. 3), questa parola rinvia infatti non solo a processi molto diversi
riguardo a sistematicità ed intenzionalità, ma anche ad assunti epistemologici contrastanti. Si
ha quindi la necessità preliminare – come ha notato Wolff – di definire il tipo di “osservazione”
con cui il metodo ricostruttivo dovrebbe cercare un’integrazione.
(11)
     Rinviando il lettore a quanto già detto a proposito del paradigma empiristico e delle
critiche che gli sono state rivolte (cfr. cap. 2), è comunque importante ricordare che le
osservazioni, in sé, non hanno alcun senso se non sono interpretate alla luce di una teoria in
grado di dare un significato ai fatti, di fornire loro una cornice di riferimento, di attribuire ad
essi più o meno importanza, selezionandone quelli ritenuti di maggiore significatività rispetto
ad altri (Miller, 1994).



Angelo R. Pennella – Osservazione e teoria psicoanalitica                                           6
Si ha infatti la sensazione che se ciò non avvenisse, il confronto non avverrebbe tanto tra
metodi, quanto piuttosto tra paradigmi di riferimento. Per dirla in altri termini, il problema non
è quello di accettare o meno una validazione esterna per le asserzioni della teoria
psicoanalitica (cosa peraltro possibilissima per una serie di ipotesi generali di funzionamento
della mente), ma quello di riflettere sugli assunti epistemologici sia della teoria che dei metodi
utilizzati per la verifica. In caso contrario, si darebbe per scontato che lo strumento di
validazione debba essere l’osservazione della psicologia sperimentale e che la psicoanalisi
sia una disciplina il cui senso e validità scientifica debbano essere fondate sul paradigma
empirista.

Se è vero che, fino a qualche decennio fa, “l'ideale teorico dominante per l'analisi era
l'oggettività totale”, con un conseguente “non riconoscimento dell'influenza dell'osservatore
sull'osservato” (Kohut, 1986, pag. 61), è altrettanto vero che oggi si tende invece a
sottolineare l’importanza del contributo situazionale dell’analista e a discutere sul carattere
(ermeneutico, costruttivista, narrativivista, ecc.) della conoscenza psicoanalitica.
Il proliferare degli studi osservativi non dovrebbe quindi tradursi nello sforzo di rendere la
teoria psicoanalitica più aderente alle aspettative positivistiche che a volte si hanno nei
confronti delle discipline scientifiche, ma dovrebbe stimolare piuttosto una riflessione sulle
modalità e sul tipo di conoscenza che si ottiene attraverso questa prassi. In questo senso,
l’osservazione, evidenziando le discrepanze esistenti tra dati precoci (ottenibili con rilevazioni
dirette del comportamento infantile) e dati profondi (desunti dal lavoro psicoterapeutico), ha
agevolato l’emergere di una maggiore criticità degli analisti non solo nei confronti delle loro
affermazioni teoriche, ma anche della loro stessa partecipazione al processo e al modo con
cui rilevano i “fatti” psicologici.
Sia pure come semplice suggestione, ci sembra utile ricordare che la decisione di Freud di
abbandonare l’ipotesi traumatica ha trasformato la psicoanalisi da teoria interessata ai fatti
“storici” a teoria del mondo fantasmatico. Ciò è interessante per il nostro discorso in quanto ci
consente di evidenziare che l’oggetto di studio di questa teoria non è costituito tanto dai fatti
empirici, quanto piuttosto dalle rappresentazioni che se ne possono dare (12). Questo,
ovviamente, incide sui rapporti che si dovrebbero instaurare tra osservazione (13) e teoria
psicoanalitica, perché esplicita il fatto che si tratta di metodi che afferiscono a piani differenti
di descrizione della realtà.
Spesso, si ha invece la sensazione che l’interesse dei ricercatori si esaurisca nel tentativo di
validare le rappresentazioni – o, se si vuole, i singoli dati ricostruttivi – con una serie più o
meno estesa di osservazioni sperimentali, oppure nello sforzo di giungere alla individuazione


(12)
    In realtà il discorso è molto più articolato e complesso di quanto non appaia da una simile
affermazione. L’attenzione nei confronti della realtà esterna al soggetto, delle sue qualità e capacità di
rispondere ai bisogni e desideri dell’individuo sono, infatti, aspetti rilevanti della psicoanalisi più
recente, basti pensare agli autori (ad es. lo stesso Winnicott) afferenti all’ambito della teoria delle
relazioni oggettuali.
(13)
    Ricordiamo che il termine osservazione che stiamo usando nei nostri confronti con la teoria
psicoanalitica fa riferimento alla prima accezione fornita in questo lavoro, cioè ad un metodo teso alla
raccolta di dati obiettivi.



Angelo R. Pennella – Osservazione e teoria psicoanalitica                                               7
delle possibili eziologie dei disturbi mentali attraverso l’individuazione dei “fatti reali e delle
esperienze soggettive di bambini preverbali e ancora incapaci di simbolizzare” (Wolff, 1991,
pag. 7) (14).

Sebbene non sia nostra intenzione mettere in discussione queste linee di ricerca, cosa che
estenderebbe eccessivamente il discorso, riteniamo tuttavia che esse siano l’espressione del
perdurare – in ambito psicoanalitico – del modello medico di cui era portatore Freud (Fossi,
1990). Come è stato già detto da altri (Carli, 1987; Carli, Paniccia, Lancia, 1988; Grasso
1993), a cui ovviamente rinviamo il lettore, la validità di questo modello si fonda sulla
possibilità di connettere in una sequenza logica la rilevazione di un disturbo con una terapia
che agisca sull'eziopatogenesi del disturbo stesso. L'efficacia e la credibilità della medicina si
basano, in altre parole, sul fatto di aver abbandonato una diagnosi fenomenologica a favore
di una diagnosi eziopatogenetica.

La questione è che in ambito psicologico l’applicazione di questo modello è tutt’altro che
realistico, perché non è possibile pensare di eradicare specifici eventi od esperienze
pregresse dalla storia personale di un individuo. A differenza di ciò che accade in medicina
(in cui l’obiettivo è l’eliminazione dell’agente patogeno), la psicologia non può che focalizzare
il proprio intervento sulla relazione attuale, al fine di rendere pensabile la fantasia, di tradurla
in “forme verbali compiute”, nello sforzo di “stabilire delle relazioni, estraendole dalle fantasie
attraverso il pensiero che è preposto a tale funzione” (Carli, Paniccia, Lancia, 1988, pag.
107).
Se non si è consapevoli dei modelli di conoscenza e dei paradigmi sottesi ai dati derivanti
dall’osservazione così come a quelli che emergono con il lavoro clinico, riteniamo inevitabile
che si incrementi la confusione piuttosto che ridurla. Da questo discende, a nostro avviso, la
necessità di riconsiderare non solo i rapporti esistenti tra metodi osservativi e ricostruttivi, ma
anche l’omogeneità e compatibilità dei paradigmi che li sottendono, cercando ovviamente
anche di riflettere su ciò che si intende effettivamente indagare.




(14)
     In parte, ciò può essere spiegato con il fatto che convivono all’interno della psicoanalisi sia una
teoria esplicativa dell’uomo che una prassi terapeutica. Mentre la prima tenta di descrivere e spiegare i
fatti generali del comportamento e della vita psichica dell’uomo, la seconda si propone invece di
affrontare problematiche di tipo individuale. È evidente che sul piano strettamente clinico il compito
dello psicoterapeuta non è quello di applicare e validare la teoria (sebbene essa possa guidare il suo
lavoro), ma di formulare delle ipotesi relative a quell’universo relazionale diadico di cui egli stesso fa
parte, nella consapevolezza che “le asserzioni teoriche in psicologia sono di tipo probabilistico e
dunque il singolo caso può anche non corrispondere a quanto previsto dalla teoria.” (Merini, 1994, pag.
63).


Angelo R. Pennella – Osservazione e teoria psicoanalitica                                               8

More Related Content

Viewers also liked

2003 1 psicologia
2003 1 psicologia2003 1 psicologia
2003 1 psicologiaiva martini
 
Intersoggettività
IntersoggettivitàIntersoggettività
Intersoggettivitàimartini
 
Personalita'
Personalita'Personalita'
Personalita'imartini
 
Esame psicopatologico
Esame psicopatologicoEsame psicopatologico
Esame psicopatologicoiva martini
 
Personalita' n
Personalita' nPersonalita' n
Personalita' nimartini
 
sviluppo sociale
 sviluppo sociale sviluppo sociale
sviluppo socialeimartini
 
Sulla psicoanalisi parte 1
Sulla psicoanalisi parte 1Sulla psicoanalisi parte 1
Sulla psicoanalisi parte 1claudiastella
 
5 psicodinamica dello sviluppo (1)
5 psicodinamica dello sviluppo (1)5 psicodinamica dello sviluppo (1)
5 psicodinamica dello sviluppo (1)imartini
 
Progetto psicomotorio
Progetto  psicomotorioProgetto  psicomotorio
Progetto psicomotorioiva martini
 

Viewers also liked (10)

2003 1 psicologia
2003 1 psicologia2003 1 psicologia
2003 1 psicologia
 
Intersoggettività
IntersoggettivitàIntersoggettività
Intersoggettività
 
Personalita'
Personalita'Personalita'
Personalita'
 
Esame psicopatologico
Esame psicopatologicoEsame psicopatologico
Esame psicopatologico
 
Personalita' n
Personalita' nPersonalita' n
Personalita' n
 
sviluppo sociale
 sviluppo sociale sviluppo sociale
sviluppo sociale
 
Sulla psicoanalisi parte 1
Sulla psicoanalisi parte 1Sulla psicoanalisi parte 1
Sulla psicoanalisi parte 1
 
Terapia Psicoanalitica
Terapia PsicoanaliticaTerapia Psicoanalitica
Terapia Psicoanalitica
 
5 psicodinamica dello sviluppo (1)
5 psicodinamica dello sviluppo (1)5 psicodinamica dello sviluppo (1)
5 psicodinamica dello sviluppo (1)
 
Progetto psicomotorio
Progetto  psicomotorioProgetto  psicomotorio
Progetto psicomotorio
 

Similar to Osservazione e teoria psicoanalitica

Il comportamentismo
Il comportamentismoIl comportamentismo
Il comportamentismoelisa
 
Lezione definizioni psicologo
Lezione definizioni psicologoLezione definizioni psicologo
Lezione definizioni psicologoCatina Feresin
 
Didattica metacognitiva zappaterra c
Didattica metacognitiva zappaterra cDidattica metacognitiva zappaterra c
Didattica metacognitiva zappaterra cimartini
 
didattica metacognitiva
didattica metacognitivadidattica metacognitiva
didattica metacognitivaimartini
 
Trance empatia cura_le_psicoterapie_come_teorie_della_mente_in_azione
Trance empatia cura_le_psicoterapie_come_teorie_della_mente_in_azioneTrance empatia cura_le_psicoterapie_come_teorie_della_mente_in_azione
Trance empatia cura_le_psicoterapie_come_teorie_della_mente_in_azioneAmbrogio Pennati
 
Introduzione allapsicologiacognitiva
Introduzione allapsicologiacognitivaIntroduzione allapsicologiacognitiva
Introduzione allapsicologiacognitivaimartini
 
La Pedagogia Come Scienza
La Pedagogia Come ScienzaLa Pedagogia Come Scienza
La Pedagogia Come Scienzaguest2ea0d1
 
Il problema della conoscenza - corso teorie del ragionamento 2014-15
Il problema della conoscenza - corso teorie del ragionamento 2014-15Il problema della conoscenza - corso teorie del ragionamento 2014-15
Il problema della conoscenza - corso teorie del ragionamento 2014-15Logic & Knowledge
 
Lo sviluppo psicomotorio del bambino
Lo sviluppo psicomotorio del bambinoLo sviluppo psicomotorio del bambino
Lo sviluppo psicomotorio del bambinoimartini
 
Parte ix sostegno c
Parte ix sostegno cParte ix sostegno c
Parte ix sostegno cimartini
 
R. Villano - Tempo scolpito in silenzio eternità - Euristica di storiografia ...
R. Villano - Tempo scolpito in silenzio eternità - Euristica di storiografia ...R. Villano - Tempo scolpito in silenzio eternità - Euristica di storiografia ...
R. Villano - Tempo scolpito in silenzio eternità - Euristica di storiografia ...Raimondo Villano
 
La comunicazione non verbale: Nord e Sud Italia a confronto
La comunicazione non verbale: Nord e Sud Italia a confrontoLa comunicazione non verbale: Nord e Sud Italia a confronto
La comunicazione non verbale: Nord e Sud Italia a confrontoStefania Menici
 
Del perche' l'ipnosi possa essere psicoterapia in se'
Del perche' l'ipnosi possa essere psicoterapia in se'Del perche' l'ipnosi possa essere psicoterapia in se'
Del perche' l'ipnosi possa essere psicoterapia in se'Ambrogio Pennati
 
Oltre il principio di causalita' per comprendere il paziente complesso (Ricca...
Oltre il principio di causalita' per comprendere il paziente complesso (Ricca...Oltre il principio di causalita' per comprendere il paziente complesso (Ricca...
Oltre il principio di causalita' per comprendere il paziente complesso (Ricca...csermeg
 
2006 it-1-6
2006 it-1-62006 it-1-6
2006 it-1-6imartini
 

Similar to Osservazione e teoria psicoanalitica (20)

84681176
8468117684681176
84681176
 
Il comportamentismo
Il comportamentismoIl comportamentismo
Il comportamentismo
 
Lezione definizioni psicologo
Lezione definizioni psicologoLezione definizioni psicologo
Lezione definizioni psicologo
 
Didattica metacognitiva zappaterra c
Didattica metacognitiva zappaterra cDidattica metacognitiva zappaterra c
Didattica metacognitiva zappaterra c
 
didattica metacognitiva
didattica metacognitivadidattica metacognitiva
didattica metacognitiva
 
Sigmund Freud
Sigmund FreudSigmund Freud
Sigmund Freud
 
Riassunto Kagan
Riassunto KaganRiassunto Kagan
Riassunto Kagan
 
Trance empatia cura_le_psicoterapie_come_teorie_della_mente_in_azione
Trance empatia cura_le_psicoterapie_come_teorie_della_mente_in_azioneTrance empatia cura_le_psicoterapie_come_teorie_della_mente_in_azione
Trance empatia cura_le_psicoterapie_come_teorie_della_mente_in_azione
 
Introduzione allapsicologiacognitiva
Introduzione allapsicologiacognitivaIntroduzione allapsicologiacognitiva
Introduzione allapsicologiacognitiva
 
La Pedagogia Come Scienza
La Pedagogia Come ScienzaLa Pedagogia Come Scienza
La Pedagogia Come Scienza
 
Il problema della conoscenza - corso teorie del ragionamento 2014-15
Il problema della conoscenza - corso teorie del ragionamento 2014-15Il problema della conoscenza - corso teorie del ragionamento 2014-15
Il problema della conoscenza - corso teorie del ragionamento 2014-15
 
Lo sviluppo psicomotorio del bambino
Lo sviluppo psicomotorio del bambinoLo sviluppo psicomotorio del bambino
Lo sviluppo psicomotorio del bambino
 
Parte ix sostegno c
Parte ix sostegno cParte ix sostegno c
Parte ix sostegno c
 
R. Villano - Tempo scolpito in silenzio eternità - Euristica di storiografia ...
R. Villano - Tempo scolpito in silenzio eternità - Euristica di storiografia ...R. Villano - Tempo scolpito in silenzio eternità - Euristica di storiografia ...
R. Villano - Tempo scolpito in silenzio eternità - Euristica di storiografia ...
 
La comunicazione non verbale: Nord e Sud Italia a confronto
La comunicazione non verbale: Nord e Sud Italia a confrontoLa comunicazione non verbale: Nord e Sud Italia a confronto
La comunicazione non verbale: Nord e Sud Italia a confronto
 
Jerome Bruner
Jerome BrunerJerome Bruner
Jerome Bruner
 
Del perche' l'ipnosi possa essere psicoterapia in se'
Del perche' l'ipnosi possa essere psicoterapia in se'Del perche' l'ipnosi possa essere psicoterapia in se'
Del perche' l'ipnosi possa essere psicoterapia in se'
 
Teoribam
TeoribamTeoribam
Teoribam
 
Oltre il principio di causalita' per comprendere il paziente complesso (Ricca...
Oltre il principio di causalita' per comprendere il paziente complesso (Ricca...Oltre il principio di causalita' per comprendere il paziente complesso (Ricca...
Oltre il principio di causalita' per comprendere il paziente complesso (Ricca...
 
2006 it-1-6
2006 it-1-62006 it-1-6
2006 it-1-6
 

More from Interazione Clinica

Migliorare le relazioni educative con empatia e autostima
Migliorare le relazioni educative con empatia e autostimaMigliorare le relazioni educative con empatia e autostima
Migliorare le relazioni educative con empatia e autostimaInterazione Clinica
 
Il significato del fumo nelle relazioni interpersonali
Il significato del fumo nelle relazioni interpersonaliIl significato del fumo nelle relazioni interpersonali
Il significato del fumo nelle relazioni interpersonaliInterazione Clinica
 
Il Rapporto con l'utenza: la gestione della comunicazione e dei conflitti
Il Rapporto con l'utenza: la gestione della comunicazione e dei conflittiIl Rapporto con l'utenza: la gestione della comunicazione e dei conflitti
Il Rapporto con l'utenza: la gestione della comunicazione e dei conflittiInterazione Clinica
 
Mappe Mentali e mappe Concettuali
Mappe Mentali e mappe ConcettualiMappe Mentali e mappe Concettuali
Mappe Mentali e mappe ConcettualiInterazione Clinica
 
La Comunicazione: base e strumento della relazione medico-paziente.
La Comunicazione: base e strumento della relazione medico-paziente.La Comunicazione: base e strumento della relazione medico-paziente.
La Comunicazione: base e strumento della relazione medico-paziente.Interazione Clinica
 
Programmare la Qualità Educativa
Programmare la Qualità EducativaProgrammare la Qualità Educativa
Programmare la Qualità EducativaInterazione Clinica
 
Tecniche per la gestione della comunicazione interpersonale
Tecniche per la gestione della comunicazione interpersonaleTecniche per la gestione della comunicazione interpersonale
Tecniche per la gestione della comunicazione interpersonaleInterazione Clinica
 
Introduzione alle Psicoterapie Brevi
Introduzione alle Psicoterapie BreviIntroduzione alle Psicoterapie Brevi
Introduzione alle Psicoterapie BreviInterazione Clinica
 

More from Interazione Clinica (13)

Migliorare le relazioni educative con empatia e autostima
Migliorare le relazioni educative con empatia e autostimaMigliorare le relazioni educative con empatia e autostima
Migliorare le relazioni educative con empatia e autostima
 
La Sociometria.
La Sociometria.La Sociometria.
La Sociometria.
 
Gruppo e Gruppo di lavoro
Gruppo e Gruppo di lavoroGruppo e Gruppo di lavoro
Gruppo e Gruppo di lavoro
 
Il significato del fumo nelle relazioni interpersonali
Il significato del fumo nelle relazioni interpersonaliIl significato del fumo nelle relazioni interpersonali
Il significato del fumo nelle relazioni interpersonali
 
Il Rapporto con l'utenza: la gestione della comunicazione e dei conflitti
Il Rapporto con l'utenza: la gestione della comunicazione e dei conflittiIl Rapporto con l'utenza: la gestione della comunicazione e dei conflitti
Il Rapporto con l'utenza: la gestione della comunicazione e dei conflitti
 
Mappe Mentali e mappe Concettuali
Mappe Mentali e mappe ConcettualiMappe Mentali e mappe Concettuali
Mappe Mentali e mappe Concettuali
 
La Dipendenza Negata
La Dipendenza NegataLa Dipendenza Negata
La Dipendenza Negata
 
La Comunicazione: base e strumento della relazione medico-paziente.
La Comunicazione: base e strumento della relazione medico-paziente.La Comunicazione: base e strumento della relazione medico-paziente.
La Comunicazione: base e strumento della relazione medico-paziente.
 
Programmare la Qualità Educativa
Programmare la Qualità EducativaProgrammare la Qualità Educativa
Programmare la Qualità Educativa
 
Tecniche per la gestione della comunicazione interpersonale
Tecniche per la gestione della comunicazione interpersonaleTecniche per la gestione della comunicazione interpersonale
Tecniche per la gestione della comunicazione interpersonale
 
Creatività e Programmazione
Creatività e ProgrammazioneCreatività e Programmazione
Creatività e Programmazione
 
Alleanza terapeutica
Alleanza terapeuticaAlleanza terapeutica
Alleanza terapeutica
 
Introduzione alle Psicoterapie Brevi
Introduzione alle Psicoterapie BreviIntroduzione alle Psicoterapie Brevi
Introduzione alle Psicoterapie Brevi
 

Osservazione e teoria psicoanalitica

  • 1. Osservazione e teoria psicoanalitica Angelo R. Pennella Indubbiamente è possibile affermare che il rapporto tra osservazione e psicoanalisi si è avviato fin dalla nascita della teoria psicoanalitica. Freud stesso ebbe modo di osservare il comportamento di un bambino di un anno e mezzo che si divertiva a lanciare a terra un rocchetto di filo. Ogni volta che il piccolo lo gettava oltre il bordo del lettino, producendone così la scomparsa dal suo campo visivo, pronunciava un “O-o-o”, che fu interpretato dalla madre come “Fort!” = “Via!”. L’attività continuava con il bambino che tirava a sé il rocchetto e che, al suo riapparire, vocalizzava con gioia dicendo “Da!” = “Qui!” (1). Sebbene questa possa essere considerata la prima osservazione psicoanalitica diretta di un bambino, furono necessari molti anni prima che gli psicoanalisti iniziassero ad utilizzare seriamente l’osservazione per corroborare le loro ipotesi teoriche. Nonostante le dichiarazioni, in questo senso piuttosto esplicite di Freud, il quale auspicò l’integrazione del metodo ricostruttivo con quello osservativo, ciò avvenne in tempi piuttosto lunghi. Se da un lato era infatti evidente l’impossibilità della psicologia psicoanalitica (in modo particolare di quella dell'età evolutiva) di basarsi solo sui dati desunti dalle terapie dei pazienti adulti (Hartmann, 1950), dall’altro, l’utilizzo dell’osservazione poneva agli analisti una serie di problemi metodologici ed epistemologici di non facile soluzione. In effetti, non si trattava, come vedremo tra breve, solo di affiancare fonti diverse di dati, ma di riesaminare il ruolo ed il significato che si doveva attribuire alle ricostruzioni analitiche. Dal punto di vista cronologico, Kris (1950) ha suddiviso il processo che ha condotto ad un uso sempre più sistematico dell’osservazione da parte degli analisti in due fasi: nella prima, che caratterizzò i primi due decenni del secolo, l’osservazione fu utilizzata essenzialmente per ottenere conferme su ciò che la ricostruzione analitica teorizzava, in modo particolare rispetto (1) Freud spiegò il comportamento del bambino partendo dall'ipotesi che il rocchetto fosse una rappresentazione simbolica della figura materna. La possibilità di poter determinare la scomparsa e la ricomparsa del rocchetto/madre, fu interpretata come un tentativo del piccolo di elaborare le emozioni indotte dai reali allontanamenti materni. Nell'ipotesi freudiana, il gioco era quindi simbolizzante la dinamica intrapsichica del bambino, fondata sulla rinuncia pulsionale che il bambino doveva attuare quando permetteva/subiva alla madre di allontanarsi. Angelo R. Pennella – Osservazione e teoria psicoanalitica 1
  • 2. allo sviluppo della sessualità infantile e del complesso edipico. In questa prima fase, l’osservazione diretta dei bambini ebbe un ruolo assolutamente secondario ed i dati che venivano raccolti sembravano costituire un campo quasi isolato, collegato più alla pedagogia che alla teoria psicoanalitica in senso stretto (Berardelli, 1990). In quegli anni, sembrava esserci una forte ritrosia nei confronti di questo metodo, in parte spiegabile con la convinzione che si potesse accedere agli strati più profondi della personalità solo attraverso il metodo ricostruttivo. L’osservazione non poteva, quindi, che essere considerata uno strumento adatto solo per la conoscenza degli elementi più superficiali (manifesti) del comportamento. A questo si aggiungevano, inoltre, i dubbi sull’effettiva possibilità di applicare, in modo attendibile, la tecnica dell’interpretazione al materiale osservativo (2). Al di là, comunque, delle motivazioni teoriche e tecniche, riteniamo possibile pensare che la ritrosia espressa nei confronti dell’osservazione diretta dei bambini possa essere ricondotta anche al forte bisogno di legittimazione sociale che la psicoanalisi manifestò nei primi anni del ‘900 (Sulloway, 1992). Se questa ipotesi è corretta, la priorità – se non addirittura l’esclusività – riconosciuta al metodo ricostruttivo, rispetto ad altre modalità di conoscenza, si spiegherebbe non solo con il naturale bisogno di differenziazione che qualsiasi “nuova” teoria esprime nei confronti delle “vecchie”, ma anche con il fatto che rinforzava la legittimazione della psicoanalisi agli occhi della comunità culturale e scientifica. Se l'obiettivo era cioè quello di evitare che strumenti fondamentali come l'interpretazione e la costruzione psicoanalitica fossero tacciati di essere delle mere suggestioni operate dagli analisti nei confronti dei propri pazienti, era necessario dimostrare che la "relazione analitica è fondata sull'amore della verità, ovverosia sul riconoscimento della realtà" (Freud, 1937, trad. it. pag. 531) e che il metodo ricostruttivo aveva una dignità scientifica pari, se non superiore, a quella di altre metodologie scientifiche. In questa prospettiva, è facile pensare che l’uso limitato dell’osservazione da parte degli analisti consentiva loro di evitare – in un momento particolarmente importante per la costruzione dell’immagine sociale della psicoanalisi – un confronto sulla validità euristica dei due metodi ed una riflessione sui rapporti e gli equilibri tra dati osservativi e dati ricostruttivi. Non a caso, Freud iniziò il suo articolo sulle "Costruzioni nell'analisi" discutendo proprio del valore che deve essere attribuito ai "no" dei pazienti, a quelle situazioni cioè in cui questi ultimi contraddicono le "verità" proposte dagli analisti. Come è noto, egli si dichiara convinto del fatto che il giudizio negativo del paziente non debba considerarsi sufficiente, di per sé, a delegittimare l'intervento interpretativo: il "no" può essere, infatti, a sua volta interpretato come una resistenza del paziente ed è dunque necessario che l'analista, nella sua funzione di osservatore esterno ed estraneo (3), raccolga ulteriori informazioni prima di abbandonare (o (2) È nota l’affermazione di Freud secondo cui “l'osservazione diretta del neonato ha lo svantaggio di utilizzare dati che sono facilmente fraintendibili; la psicoanalisi incontra delle difficoltà per il fatto che può ottenere i suoi dati così come le sue condizioni dopo lunghe peripezie. Ma attraverso la cooperazione i due metodi possono ottenere un soddisfacente grado di certezza nei loro risultati” (Freud, 1905, trad. it. 1970). (3) È chiaro che una simile ipostatizzazione è espressiva del paradigma empiristico sotteso alla psicoanalisi tradizionale. Angelo R. Pennella – Osservazione e teoria psicoanalitica 2
  • 3. accettare) definitivamente la propria ipotesi. Riprendendo ancora Kris (1950), a questa prima fase fece comunque seguito un lungo periodo in cui l’osservazione non fu più, per gli analisti, un’attività sporadica e secondaria, ma un mezzo di indagine su cui fare sempre più affidamento (4). Ciò indusse a rivendicare per l’osservazione il ruolo di strumento elettivo per l’indagine di tutte quelle aree di comportamento a cui le ipotesi ricostruttive non potevano avere accesso. Secondo l'approccio classico, infatti, “la ricostruzione psicoanalitica della vita mentale del bambino inferita dalle verbalizzazioni dei ricordi del paziente in analisi poteva estendersi con validità attendibile solo fino al limite della fase verbale (inizio del linguaggio articolato), mentre avrebbero rischiato di diventare largamente arbitrari i tentativi di ricostruire quella 'preverbale'“ (Bonaminio, Iaccarino, 1992, pag. 12-13). Si recuperava così il motivo dell’interesse iniziale di Freud nei confronti dell’osservazione diretta dei bambini, che aveva infatti ipotizzato l’uso dell’osservazione proprio per risolvere le difficoltà a distinguere le fantasie regressive dei pazienti dai fatti realmente accaduti nell’infanzia. Prevalse, cioè, la convinzione che per comprendere “la natura e la funzione della fantasia è necessario studiare le prime fasi dello sviluppo mentale relative ai primi tre anni di vita” (Isaacs, ed. it. 1992, pag. 25) e l'osservazione diretta degli infanti era l’unico modo possibile per farlo. Nonostante quindi il perdurare di un certo scetticismo, l’uso dell’osservazione si diffuse in ambito psicoanalitico. Si delinearono, tuttavia, due diverse linee di sviluppo, presenti ancora oggi nell’ambito delle teorie psicodinamiche. Nella prima, esemplificata dal lavoro di Anna Freud, Ernst Kris e Margaret Mahler, l’osservazione fu utilizzata essenzialmente come strumento di ricerca. Il fine era quello di raccogliere dati sulle fasi precoci dello sviluppo infantile, in modo da poterli rapportare alle teorizzazioni elaborate a partire dal setting psicoanalitico, giungendo così a previsioni attendibili sullo sviluppo di possibili psicopatologie (5). Il tentativo di questi autori fu quello di evitare “interpretazioni selvagge” (Freud A., trad. it. 1992) del materiale osservativo, grazie al suo sistematico inquadramento all’interno delle conoscenze analitiche ricavate dall'esperienza clinica. Kris sostenne, infatti, che “per quanto ricchi siano i dati forniti dalle tecniche di osservazione, tutto ciò che riguarda la loro organizzazione, la coerenza dei fenomeni, cioè tutte le misure che prendiamo nello stabilire le ipotesi da verificare attraverso ciò che osserviamo, dipendono direttamente da ciò che abbiamo imparato e impariamo dalla ricostruzione nella psicoanalisi” (Kris, 1950, cit. in Berardelli, 1990). In qualche modo, è collocabile in questa “linea di sviluppo” anche il lavoro di René Spitz. È noto, infatti, l’interesse che questo autore manifestò nei confronti dell’osservazione come (4) A testimonianza di questo cambiamento della psicoanalisi nei confronti dell’osservazione diretta dei bambini, si può ricordare che il 20° Congresso Inte rnazionale di Psicoanalisi (Parigi, 1955), dedicò – per la prima volta – un Simposio proprio ai contributi dell’osservazione alla teoria psicoanalitica. (5) Un significativo esempio di questo approccio è rappresentato dalla teoria della Mahler (1972) sui processi di separazione-individuazione, teoria fortemente incentrata sui periodi di vita preverbali del bambino e prodotta grazie all’integrazione tra dati di tipo clinico, ricerche sperimentali ed osservazioni dirette di bambini. Angelo R. Pennella – Osservazione e teoria psicoanalitica 3
  • 4. metodo di ricerca e la rilevanza che ebbero, nell’elaborazione delle sue teorie, i dati ottenuti con questo metodo (6). La preoccupazione di Spitz di garantire scientificità al proprio lavoro, espressa dall’uso di strumenti particolarmente innovativi per l'epoca come la ripresa cinematografica e la screen analysis, portò ad un obiettivo avvicinamento della psicoanalisi alla metodologia e alla ricerca sperimentale (Berardelli, 1990). Se questo consentì all’autore uno studio più attento e controllato del materiale raccolto nel corso delle osservazioni (7), ciò lo spinse però anche ad aderire completamente al paradigma empiristico, sposando l’assunto secondo cui è possibile giungere ad una conoscenza obiettiva della realtà. Di fatto, l’annullamento del ruolo svolto dall’osservatore e dalla sua teoria di riferimento, allontanò Spitz da quello che possiamo considerare come l’approccio psicoanalitico alla osservazione, fondato sullo spostamento dell’accento dall’oggetto al processo. Riprendendo comunque il filo del nostro discorso, si diceva prima che l’osservazione in psicoanalisi ha seguito, per così dire, due linee di sviluppo. La seconda può essere facilmente individuata nel lavoro di Esther Bick e dei suoi colleghi della Tavistock Clinic (gruppo che faceva riferimento al pensiero di Melanie Klein). Questi analisti considerarono l’osservazione “un’esperienza il cui perno è la relazione osservatore-osservato” (Berardelli, 1990, pag. 14) ed in cui è essenziale l’impatto emozionale dell’osservatore con la situazione. A differenza degli autori a cui abbiamo fatto cenno prima, in questo gruppo il fine non era tanto la raccolta di dati e l’elaborazione teorica, quanto piuttosto la formazione dei futuri psicoterapeuti. Non a caso, in questa prospettiva acquista un ruolo essenziale il controtransfert dell’osservatore, considerato come una sorta di “sonda della comunicazione inconscia”, l’unico strumento in grado di aiutare l’analista a comprendere il fantasma che sottende l’agito (cfr. anche il cap. 5). A prescindere comunque dalle differenze esistenti nei due approcci all’osservazione, in ogni caso, l’uso che ne fecero gli analisti non si tradusse mai in un appiattimento del loro metodo su quello della psicologia accademica. L’introduzione del metodo osservativo in psicoanalisi promosse, al contrario, una nuova modalità di considerare questo metodo. Furono introdotti, infatti, fattori nuovi, fino ad allora trascurati o percepiti addirittura come elementi di disturbo dell’osservazione. Se ne dilatò il campo d’azione, non limitandolo più al solo comportamento del bambino, ma includendo in esso anche gli atteggiamenti consci ed inconsci dell'osservatore e le dinamiche interattive che si sviluppano all’interno del contesto osservativo. In questo senso, risulta fondamentale il contributo di Winnicott, che descrisse – in un articolo (6) Si pensi, tra gli altri, agli studi condotti dall’autore nei confronti della percezione delle qualità espressive del volto umano – detta anche percezione sociale – nel corso dei primi mesi di vita e che consentirono di determinare le posizioni che il viso deve assumere per poter attivare nel bambini la risposta del sorriso. Noto è anche il concetto di “organizzatore” della psiche che Spitz propose sempre sulla base delle sue osservazioni dirette del comportamento infantile. (7) Ad onor del vero, furono espresse alcune perplessità sulla scarsa selezione che Spitz avrebbe fatto nei confronti dei bambini ospedalizzati la cui osservazione lo condusse a formulare l’ipotesi della depressione anaclitica. Angelo R. Pennella – Osservazione e teoria psicoanalitica 4
  • 5. del 1941 (8) – il suo modo di osservare i bambini piccoli in una situazione prefissata, modalità in cui sono contenuti in nuce tutti i parametri di quella che può essere considerata l'osservazione psicoanalitica. Il metodo illustrato da Winnicott prevedeva un setting dall'apparenza piuttosto semplice: una stanza in cui era accolta la coppia madre bambino ed in cui era disponibile – poggiato sulla scrivania dell'analista – un abbassalingua di metallo luccicante. Il metodo osservativo winnicottiano si caratterizzava per il fatto di non limitarsi alla registrazione delle reazioni del bambino alla situazione e all’oggetto stimolo (l’abbassalingua), ma di estendersi alle dinamiche interpersonali che la situazione stessa attivava nella coppia madre-bambino. Questo ampliamento del focus osservativo può essere facilmente spiegato con l’approccio teorico di Winnicott, che non si limitava a considerare i fantasmi interni del bambino, ma considerava essenziale anche l’analisi delle caratteristiche reali della madre e delle sue reali capacità di rispondere in modo soddisfacente ai bisogni del figlio. L'aspetto comunque più interessante del contributo di Winnicott è però la sua differenziazione terminologica e concettuale tra le parole “profondo” e “precoce”. Come si è detto, l’integrazione del metodo ricostruttivo con quello osservativo poneva agli analisti il problema della congruenza e della validità da riconoscere ai dati ottenuti con questi due metodi (10). Si trattava, per dirla con Stern (1987), di coniugare il “bambino clinico” con il “bambino osservato”, senza che l'uno prevalesse sull'altro. La proposta di Winnicott, tesa a differenziare nettamente i significati da attribuire ai termini “profondo” e “precoce”, sembra offrirsi come una possibile soluzione del problema. Quando in psicoanalisi si parla di profondità, si fa infatti riferimento alla fantasia inconscia o alla realtà psichica dell'individuo, si parla, in altre parole, di qualcosa che coinvolge sia l'intelletto che l'immaginazione del paziente. Questo attribuisce però al concetto una notevole variabilità: è, infatti, “più profondo riferirsi ai rapporti infante-madre che ai rapporti triangolari, riferirsi all'angoscia persecutoria interna che al senso di persecuzione esterna” (Winnicott, trad it. 1970, pag. 140). In qualche misura, il “sempre più profondo” implica anche il “sempre più precoce”, ma spesso i pazienti propongono contenuti che rappresentano la sintesi e la fusione di elementi precoci con altri più tardivi e la profondità non garantisce la precocità del contenuto. Il concetto “precoce” rinvia, dunque, ad un dato di fatto - per così dire, storico - mentre il concetto di “profondo” sembra invece evocare una dimensione di tipo narrativo. Winnicott era consapevole dell’importanza di questa differenziazione, che consentiva di riproporre in modo nuovo e meno critico la questione del rapporto tra i due metodi: “la (8) È curioso notare che l’articolo di Winnicott sull’osservazione fu pubblicato nello stesso periodo in cui l’Autore iniziò a formalizzare le sue critiche alla teoria kleiniana. Nel 1941 Winnicott iniziò infatti a sollevare obiezioni nei confronti, ad esempio, della nozione di conoscenza e di immagini a priori che il bambino – secondo la Klein – avrebbe del pene paterno, fino a giungere ad affermare nel 1962 che il tentativo kleiniano di anticipare sempre di più la data dei complessi processi cognitivi aveva rovinato il lavoro successivo di questa autrice (Greenberg, Mitchell, 1983, trad. it.1986, pag. 204). (10) La questione, come abbiamo già ricordato, non aveva implicazioni esclusivamente teoriche, ma andava a toccare anche il primato della ricostruzione analitica ed il rapporto, su cui si è lavorato per anni in ambito analitico, tra verità storica e narrativa dei contenuti che emergevano in sede psicoterapeutica. Angelo R. Pennella – Osservazione e teoria psicoanalitica 5
  • 6. psicoanalisi ha molto da imparare da coloro che osservano direttamente gli infanti, e le madri e gli infanti insieme, e i piccoli bambini nell'ambiente in cui vivono naturalmente. Ma neppure l'osservazione diretta è in grado di costruire da sola una psicologia della prima infanzia. Collaborando continuamente psicoanalisti e osservatori diretti possono essere in grado di correlare ciò che è profondo nell'analisi con ciò che è precoce nello sviluppo infantile. In breve: un infante deve distanziarsi da ciò che è precoce al fine di acquisire la maturità necessaria per essere profondo.” (Winnicott, 1970, pag. 144, corsivo dell'autore). Tra gli anni ‘60 ed ’80 le osservazioni condotte dagli psicoanalisti sui bambini si moltiplicarono e si consolidò la convinzione che solo in questo modo fosse possibile acquisire conoscenze sugli stadi preverbali dello sviluppo psicologico. Per certi versi si ribaltò l’equilibrio che fino ad allora esisteva tra metodo ricostruttivo e metodo osservativo, indubbiamente a vantaggio di quest’ultimo. Sempre più frequentemente, l’osservazione fu utilizzata per validare le ipotesi teoriche elaborate sulla base dei dati ricostruttivi, giungendo ad ipotizzare correzioni e riformulazioni della teoria in funzione degli studi osservativi ed empirici (Conte, Dazzi, 1988). In realtà, riteniamo che il problema del rapporto tra osservazioni dirette dei bambini e ricostruzioni analitiche non possa esaurirsi attribuendo una sorta di potere di veto alle une rispetto alle altre. Così facendo si rischierebbe, da un lato, di aderire in modo incondizionato al paradigma empiristico e all’idea che l’osservazione sia in grado di fornire dati obiettivi sulla realtà su cui costruire una nuova struttura teorica (11), dall’altro di dare per scontato che i due metodi conducano a tipologie di risultati omogenei (annullando così lo sforzo di Winnicott teso a differenziare i concetti di precoce e profondo). Questo non deve indurre, ovviamente, ad ignorare il fatto che le ricerche osservative hanno falsificato molti degli assunti evolutivi centrali della teoria psicoanalitica ed hanno reso difficile mantenerne l'assetto tradizionale, ma deve piuttosto spingere a riconsiderare le questioni poste dall’integrazione dei metodi (e dei risultati) ricostruttivi ed osservativi. Ancor più che nel passato, è quindi necessario chiedersi “quali metodi di osservazione e di analisi di dati sarebbero appropriati; quali costruttori teorici sono richiesti per ottenere una convergenza scientificamente plausibile tra l'osservazione del lattante e i resoconti verbali sull'esperienza soggettiva” (Wolff, 1991, pag. 6). La confusione, così come l’attuale tendenza a subordinare il metodo ricostruttivo a quello osservativo, può forse essere spiegata con il fatto che si è proposto un confronto in cui non è stato sufficientemente chiarito che cosa si intendesse con il termine “osservazione”. Come abbiamo detto (cfr. cap. 3), questa parola rinvia infatti non solo a processi molto diversi riguardo a sistematicità ed intenzionalità, ma anche ad assunti epistemologici contrastanti. Si ha quindi la necessità preliminare – come ha notato Wolff – di definire il tipo di “osservazione” con cui il metodo ricostruttivo dovrebbe cercare un’integrazione. (11) Rinviando il lettore a quanto già detto a proposito del paradigma empiristico e delle critiche che gli sono state rivolte (cfr. cap. 2), è comunque importante ricordare che le osservazioni, in sé, non hanno alcun senso se non sono interpretate alla luce di una teoria in grado di dare un significato ai fatti, di fornire loro una cornice di riferimento, di attribuire ad essi più o meno importanza, selezionandone quelli ritenuti di maggiore significatività rispetto ad altri (Miller, 1994). Angelo R. Pennella – Osservazione e teoria psicoanalitica 6
  • 7. Si ha infatti la sensazione che se ciò non avvenisse, il confronto non avverrebbe tanto tra metodi, quanto piuttosto tra paradigmi di riferimento. Per dirla in altri termini, il problema non è quello di accettare o meno una validazione esterna per le asserzioni della teoria psicoanalitica (cosa peraltro possibilissima per una serie di ipotesi generali di funzionamento della mente), ma quello di riflettere sugli assunti epistemologici sia della teoria che dei metodi utilizzati per la verifica. In caso contrario, si darebbe per scontato che lo strumento di validazione debba essere l’osservazione della psicologia sperimentale e che la psicoanalisi sia una disciplina il cui senso e validità scientifica debbano essere fondate sul paradigma empirista. Se è vero che, fino a qualche decennio fa, “l'ideale teorico dominante per l'analisi era l'oggettività totale”, con un conseguente “non riconoscimento dell'influenza dell'osservatore sull'osservato” (Kohut, 1986, pag. 61), è altrettanto vero che oggi si tende invece a sottolineare l’importanza del contributo situazionale dell’analista e a discutere sul carattere (ermeneutico, costruttivista, narrativivista, ecc.) della conoscenza psicoanalitica. Il proliferare degli studi osservativi non dovrebbe quindi tradursi nello sforzo di rendere la teoria psicoanalitica più aderente alle aspettative positivistiche che a volte si hanno nei confronti delle discipline scientifiche, ma dovrebbe stimolare piuttosto una riflessione sulle modalità e sul tipo di conoscenza che si ottiene attraverso questa prassi. In questo senso, l’osservazione, evidenziando le discrepanze esistenti tra dati precoci (ottenibili con rilevazioni dirette del comportamento infantile) e dati profondi (desunti dal lavoro psicoterapeutico), ha agevolato l’emergere di una maggiore criticità degli analisti non solo nei confronti delle loro affermazioni teoriche, ma anche della loro stessa partecipazione al processo e al modo con cui rilevano i “fatti” psicologici. Sia pure come semplice suggestione, ci sembra utile ricordare che la decisione di Freud di abbandonare l’ipotesi traumatica ha trasformato la psicoanalisi da teoria interessata ai fatti “storici” a teoria del mondo fantasmatico. Ciò è interessante per il nostro discorso in quanto ci consente di evidenziare che l’oggetto di studio di questa teoria non è costituito tanto dai fatti empirici, quanto piuttosto dalle rappresentazioni che se ne possono dare (12). Questo, ovviamente, incide sui rapporti che si dovrebbero instaurare tra osservazione (13) e teoria psicoanalitica, perché esplicita il fatto che si tratta di metodi che afferiscono a piani differenti di descrizione della realtà. Spesso, si ha invece la sensazione che l’interesse dei ricercatori si esaurisca nel tentativo di validare le rappresentazioni – o, se si vuole, i singoli dati ricostruttivi – con una serie più o meno estesa di osservazioni sperimentali, oppure nello sforzo di giungere alla individuazione (12) In realtà il discorso è molto più articolato e complesso di quanto non appaia da una simile affermazione. L’attenzione nei confronti della realtà esterna al soggetto, delle sue qualità e capacità di rispondere ai bisogni e desideri dell’individuo sono, infatti, aspetti rilevanti della psicoanalisi più recente, basti pensare agli autori (ad es. lo stesso Winnicott) afferenti all’ambito della teoria delle relazioni oggettuali. (13) Ricordiamo che il termine osservazione che stiamo usando nei nostri confronti con la teoria psicoanalitica fa riferimento alla prima accezione fornita in questo lavoro, cioè ad un metodo teso alla raccolta di dati obiettivi. Angelo R. Pennella – Osservazione e teoria psicoanalitica 7
  • 8. delle possibili eziologie dei disturbi mentali attraverso l’individuazione dei “fatti reali e delle esperienze soggettive di bambini preverbali e ancora incapaci di simbolizzare” (Wolff, 1991, pag. 7) (14). Sebbene non sia nostra intenzione mettere in discussione queste linee di ricerca, cosa che estenderebbe eccessivamente il discorso, riteniamo tuttavia che esse siano l’espressione del perdurare – in ambito psicoanalitico – del modello medico di cui era portatore Freud (Fossi, 1990). Come è stato già detto da altri (Carli, 1987; Carli, Paniccia, Lancia, 1988; Grasso 1993), a cui ovviamente rinviamo il lettore, la validità di questo modello si fonda sulla possibilità di connettere in una sequenza logica la rilevazione di un disturbo con una terapia che agisca sull'eziopatogenesi del disturbo stesso. L'efficacia e la credibilità della medicina si basano, in altre parole, sul fatto di aver abbandonato una diagnosi fenomenologica a favore di una diagnosi eziopatogenetica. La questione è che in ambito psicologico l’applicazione di questo modello è tutt’altro che realistico, perché non è possibile pensare di eradicare specifici eventi od esperienze pregresse dalla storia personale di un individuo. A differenza di ciò che accade in medicina (in cui l’obiettivo è l’eliminazione dell’agente patogeno), la psicologia non può che focalizzare il proprio intervento sulla relazione attuale, al fine di rendere pensabile la fantasia, di tradurla in “forme verbali compiute”, nello sforzo di “stabilire delle relazioni, estraendole dalle fantasie attraverso il pensiero che è preposto a tale funzione” (Carli, Paniccia, Lancia, 1988, pag. 107). Se non si è consapevoli dei modelli di conoscenza e dei paradigmi sottesi ai dati derivanti dall’osservazione così come a quelli che emergono con il lavoro clinico, riteniamo inevitabile che si incrementi la confusione piuttosto che ridurla. Da questo discende, a nostro avviso, la necessità di riconsiderare non solo i rapporti esistenti tra metodi osservativi e ricostruttivi, ma anche l’omogeneità e compatibilità dei paradigmi che li sottendono, cercando ovviamente anche di riflettere su ciò che si intende effettivamente indagare. (14) In parte, ciò può essere spiegato con il fatto che convivono all’interno della psicoanalisi sia una teoria esplicativa dell’uomo che una prassi terapeutica. Mentre la prima tenta di descrivere e spiegare i fatti generali del comportamento e della vita psichica dell’uomo, la seconda si propone invece di affrontare problematiche di tipo individuale. È evidente che sul piano strettamente clinico il compito dello psicoterapeuta non è quello di applicare e validare la teoria (sebbene essa possa guidare il suo lavoro), ma di formulare delle ipotesi relative a quell’universo relazionale diadico di cui egli stesso fa parte, nella consapevolezza che “le asserzioni teoriche in psicologia sono di tipo probabilistico e dunque il singolo caso può anche non corrispondere a quanto previsto dalla teoria.” (Merini, 1994, pag. 63). Angelo R. Pennella – Osservazione e teoria psicoanalitica 8