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Lo stalking. La difesa dell’accusato.
Nel 2009 è stato introdotto un nuovo reato, “atti persecutori” che punisce chi con
condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un
perdurantee grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore
per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata
da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di
vita.
La norma mira a reprimere il fenomeno noto come il cd. stalking (dal termine inglese
to stalk, letteralmente fare la posta alla preda, mutuato dal lessico venatorio),
fenomeno caratterizzato dall’insistente interferenza nella sfera privata altrui.
L’introduzione della nuova norma mira a colmare una lacuna di tutela determinata
dall’incapacità delle incriminazioni di minaccia, molestie e violenza privata a
fornireun’adeguata risposta repressiva ai casi di comportamenti criminosi consimili
posti in essere in modo seriale e ripetitivo.
Prima di poter ritenere fondata un’accusa di stalking occorre considerare
attentamente gli elementi di cui essa si compone, non essendo ogni condotta
molesta ascrivibile al grave reato di stalking.
È necessaria la reiterazione di molestie o minacce e, quindi, una pluralità di
comportamenti tipici (omogenei o disomogenei) secondo uno schema che evoca la
figura del reato abituale (o a condotta reiterata).
Tra i comportamenti che possono essere considerati di stalking vi sonoappostamenti,
minacce, ricatti, molestie, sorveglianza intrusiva, ripetuti contatti telefonici o tramite
e-mail, chat, social network, continui tentativi di contatto, sguardi intimidatori,
attenzioni sgradite, eccetera.
È poi necessario che le condotte reiterate nel tempo producano,
alternativamente,determinati eventi ossia:
- un perdurante e grave stato di ansia o di paura nella vittima;
- oppure un fondato timore per l’incolumità propria o di persone vicine alla
vittima;
- o, infine, il costringere la vittima ad alterare le proprie abitudini di vita.
Se questi eventi non si determinano (o non sono provati), il reato non sussiste,anche
se va precisato che potrebbero sussisterne altri, meno gravi, come meglio si dirà oltre.
E’ proprio questo uno dei doveri del difensore dell’incolpato che, per quanto possibile
e “provabile”, confuterà la pretesa accusatoria in ordine alla sussistenzadi uno degli
eventi di danno previsti dalla norma.
Il danno prodotto dalle condotte è alternativo: in ogni caso si tratta di ipotesi che
evidenziano la posizione della persona offesa come di un soggetto che vede lesa la
propria libertà morale, costretto ad una posizione difensiva a causa dell’invasività
degli atti vessatori posti in essere dall’agente.
Nel reato di atti persecutori rileva la risposta in concreto prodotta sul soggetto passivo
effettivo e non l’idoneità astratta dei comportamenti.
Dal punto di vista soggettivo stalker può essere chiunque: spesso è l’ex partner, ma
può essere anche uno sconosciuto, un vicino di casa, un collega di lavoro.
Il processo deve provare se l’accusato abbia agito con dolo, cioè con coscienza e
volontà, comprendendo e volendo le proprie azioni e l’evento come conseguenza
delle reiterate condotte tenute.
Il reato è perseguibile a querela della persona offesa.
Il termine per la proposizione della querela è di 6 mesi.
Tuttavia, il reato è procedibile d’ufficio quando è commesso nei confronti di un
minore o di una persona disabile o quando è stato preceduto da ammonimento
(l’avvertimento orale a cambiare condotta) da parte del Questore.
Le pene previste per il reato di stalking sono il carcere, da 6 mesi a 4 anni. La pena
viene aumentata se gli atti persecutori sono commessi dal coniuge legalmente
separato o divorziato, o comunque da una persona che sia stata legata alla vittima
da una relazione affettiva. La pena è aumentata, fino alla metà, anche quando gli
atti persecutori siano commessi nei confronti di un minore, di una donna incinta o di
una persona disabile, oppure quando il reato sia stato commesso con l‘uso di armi o
da persona camuffata nell’aspetto.
Attenzione dunque a quelle condotte moleste a margine di rapporti sentimentali e
affettivi, che rientrano a pieno titolo nella più frequente casistica del reato si stalking.
Spesso sono contestate nel capo di imputazione condotte moleste collocabili
cronologicamente prima della rottura del legame affettivo, quando, dopo la rottura
del legame, diventano più frequenti, petulanti e insidiose ed in tale caso (come , in
generale, per tutti i procedimenti per stalking) il difensore deve prestare massima
attenzione all’esatto arco temporale a cui si riferisce l’accusa (e si deve trattare di
episodi al plurale proprio perché è necessaria una certa serialità nei comportamenti
perchè sia effettivamente contestabile il reato di atti persecutori).
Riguardo al tempo, tuttavia, va tenuto in considerazione che il delitto è stato
disciplinato nel febbraio del 2009 e, quindi, le condotte cronologicamente poste in
essere prima di tale momento non possono essere contestate come stalking, in forza
del principio cardine di diritto penale dell’irretroattività della legge penale.
Quando si viene a sapere di essere stati denunciati per stalking – o se ne ha il sospetto
– è necessario nominare un difensore perché il professionista possa verificare se
pendono effettivamente le indagini preliminari (tramite lì’istanza ex art. 335 c.p.p.
Vedi nel sito) e si attivi per il miglior contrasto dell’accusa ipotizzata.
Invero, non sempre le accuse di stalking sono effetivamente caratterizzate da tutti
quesgli elementi giuridici e fattuali richiamati dalla norma (e sopra illustrati) ovvero
l’art. 612 bis c.p..
Alcune volte – benchè l’accusa contestata sia quella di atti persecutori - sussistono gli
elementi costitutivi di altri reati (meno gravi) previsti dal codice penale.
Allora il difensore ha un ruolo fondamentale per evidenziare, quando opportuno,
l’abbaglio e l’abnormità delle accuse ovvero per ridimensionare la gravità della
posizione dell’accusato.
Prima che venisse emanata la norma che incrimina gli atti persecutori come sopra
descritti, le singole condotte potevano costituire elementi per riconoscere sussistenti
altri reati, tutti meno gravi dello stalking.
La natura del reato e l’iter che ha seguito nella sua nascita consentono (a volte) al
difensore la possibilità, da valutarsi caso per caso, non di negare singoli fatti, ma di
ridimensionarli facendoli emergere nella loro unicità e minore gravita (anche dal
punto di vista delle conseguenze sulla vittima).
Come si è accennato, i fatti in cui può estrinsecarsi lo stalking, prima del 2009 (anno di
promulgazione della Legge), venivano puniti singolarmente e in misura meno
grave da singole norme che prevedevano singole condotte/reato.
Il reato di stalking consta di una reiterazione di condotte che antecedentemente
erano già previste come reati avvinte (nel caso del reato di cui si tratta di atti
persecutori) da un disegno unitario da parte dell’offender e tali da provocare eventi
lesivi alla vittima di portata maggiore rispetto a quelli solitamente conseguenti alle
singole condotte considerate (ed attuate) in maniera isolata.
Ciò non toglie, però, che i singoli fatti, laddove sussistano i requisiti (non ultimo la
querela di parte dove necessaria) possono essere perseguiti ai sensi delle norme che li
puniscono nella loro unicità (ad esempio la siingola minaccia, la singola ingiuria, la
singola molestia: tutte condotte che singolarmente rappresentano dei reati punibili
con pene assai più lievi rispetto a quelle previste per lo stalking).
Attaccare, smontare, confutare, mettere in dubbio l’elemento della reiterazione e
dell’unicità delle singole condotte è, dunque, il primo passo per addivenire ad un
esito più favorevole per l’imputato di stalking; fermo restando (come detto) che potrà
essere accusato (ed eventualmente condannato) per i singoli reati eventualmente
ravvisabili nei fatti descritti nell’imputazione.
Stalking e misure cautelari.
Come noto, le misure cautelari personali sono misure in qualche modo restrittive della
libertà personale che intervengono prima che sia pronunciata una sentenza di
condanna.
Stante la deroga al regime ordinario che vieta la restrizione della libertà personale
prima di una sentenza passata in giudicato (divieto di carcerazione preventiva), i
requisiti perché si possa disporre una misura cautelare sono molto rigidi e ciò a tutela
della persona che ne potrà essere sottoposta e quindi patirà la restrizione.
Oltre alle note misure cautelari (si pensi alla custodia cautelare in carcere, agli arresti
domiciliari), nella materia dello stalking è stata introdotta una misura ad hoc:
- quella del divieto di avvicinarsi ai luoghi frequentati dalla vittima.
Applicando tale misura cautelare il giudice, su richiesta del pubblico ministero, può
prescrivere all’imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati, abitualmente
frequentati dalla persona offesa, dai prossimi congiunti di questa o da persone legate
da relazione affettiva o convivenza con la persona offesa.
Inoltre, il giudice può prescrivere all’imputato di mantenere una determinata
distanza dai predetti luoghi e vietare di comunicare, attraverso qualsiasi mezzo, con
la persona offesa e le altre persone sopra menzionate.
Perché si possa disporre tale misura è necessario che, fermo restando il rispetto dei
principi generali (gravi indizi di colpevolezza ed esigenze cautelari) che vi sia
puntuale verifica in termini modali e temporali della vicenda denunciata e oggetto
delle indagini.
I gravi indizi (nel caso specifico dello stalking) sussistono quando vengono accertati –
con quel grado di certezza consentito dalle attività svolte durante le indagini
preliminari – episodi di violenza e minaccia, per mezzo di documenti quali referti
medici relativi ad eventuali lesioni patite. I fatti devono essere letti in modo univoco e
complessivo, tenendo conto dell’eventuale occasionalità delle condotte
denunciate oppure l’eventuale sistematicità modale e temporale delle condotte
aggressive, violente e mortificanti la dignità della persona offesa.
Non basta certo – e per certi aspetti non dovrebbe nemmeno bastare soprattutto nel
caso in cui i rapporti tra le parti sono fortemente deteriorati da tempo – la sola
versione della vittima non supportata da alcun riscontro esterno.
Il difensore dell’accusato giocherà un ruolo fondamentale per evidenziare la carenza
dei requisiti per disporre misure cautelari, sia prima che queste vengano disposte, che
successivamente, per chiederne un riesame, cioè una rivalutazione.
Già durante le indagini preliminari ed eventualmente in occasione dell’applicazione
di una misura cautelare in danno dell’incolpato, il ruolo del difensore è fondamentale
per smontare la tesi accusatoria e ipotizzare soluzioni alternative e difensive, nonché
per effettuare indagini difensive che possano evidenziare elementi a favore
dell’accusato.
Tuttavia, occorre considerare che la giurisprudenza si è espressa a favore
dell’applicazione della misura cautelare anche quando la patologia di ansia in capo
alla vittima non sia scinetificamente provata (la Corte di Cassazione afferma che la
misura cautelare deve prevenire tale patologia eventuale). Ma qual è allora l’entità
e la qualità della prova da raggiungere perché siano accertati i gravi indizi di
colpevolezza necessari perché si proceda a disporre la misura? Al di sotto di quale
misura l’accusato non può essere sottoposto alla restrizione della propria libertà nello
spazio?
Una risposta univoca non c’è.
Tuttavia la Cassazione si è espressa affermando che deve essere considerata la
finalità cautelare di queste misure e quando i comportamenti lesivi sono
numericamente imponenti e si protraggono nel tempo (come nel caso di un
centinaio di telefonate al giorno per quattro mesi) il danno è implicito e non è
necessario provarlo con referti medici, né è necessario che la molestia sfoci in una
patologia conclamata: la tutela cautelare serve proprio ad arrestare le molestie
prima che il disagio sfoci in vera patologia.
Il difensore, però, potrà evidenziare ad esempio una preesistente patologia affine a
quella lamentata, così ipotizzando che il disagio o il malessere della vittima non sono
riconducibili ai fatti ascritti all’accusato, oppure potrà evidenziare le ragioni dei
contatti frequenti con la vittima oppure, ancora, la loro reciprocità sintomatica di
contatti non abusivi (e molesti) ma rientranti nei canoni della “normalità” di quella
che può essere, ad esempio, una separazione conflittuale.
Stalking e ammonimento.
Prima ancora della denuncia, chi ritiene di essere vittima di stalking può attivare un
procedimento “parapenale” segnalando i fatti e chiedendo che nei confronti del
presunto colpevole sia emesso un provvedimento amministrativo di ammonimento.
Si tratta di un’ammonizione orale con cui il Questore invita il presunto stalker a tenere
una condotta conforme alle legge.
Tuttavia, a garanzia dei diritti dell’accusato, è previsto che, in linea generale, allo
stesso sia dato avviso dell’avvio del procedimento perché possa essere sentito in
ordine agli addebiti mossigli.
Non avendo potere giurisdizionale, il Questore investito della questione apre un
procedimento amministrativo improntato alla celerità, assumendo le informazioni del
caso e sentendo l’accusato. Le finalità dell’istituto dell’ammonimento del Questore
sono quelle tipicamente cautelari e preventive: il provvedimento è preordinato a che
gli atti persecutori non siano ripetuti e non abbiano esiti irreparabili. Essendo queste le
finalità, il provvedimento deve avvenire in tempi rapidi, funzionali ad interrompere
l’azione persecutoria.
Tuttavia, se vi sono ragioni d’urgenza, è legittimo che il destinatario del
provvedimento non sia interpellato in anticipo; ciò, di fatto, provoca una lesione del
diritto di difesa e del contraddittorio, visto che – in tal caso di urgenza
-l’ammonimento può essere emanato esclusivamente sulla base degli elementi forniti
dal solo soggetto interessato all’adozione del provvedimento (la vittima). La parte
interessata, però, può agire per il riesame del provvedimento amministrativo.
Naturalmente, le particolari esigenze di celerità devono essere ben motivate e
sorrette dalle ragioni del convincimento del Questore in quanto, in termini generali,
l’accusato di stalking deve essere sentito prima dell’emissione del provvedimento di
ammonimento. Dare notizia dell’avvio del procedimento solo diversi mesi dopo
l’esposto presentato dalla presunta vittima di atti persecutori impedisce al diretto
interessato di partecipare proficuamente al procedimento. Secondo il Consiglio di
Stato deve dunque essere dato avviso al presunto stalker perché l’ammonimento
deve seguire solo all’esito di un apprezzamento circa la plausibilità e
verosimiglianza delle vicende esposte dalla persona denunciante, tutti gli elementi
raccolti dal Questore concorrono a formarne il convincimento circa la fondatezza
della richiesta di provvedere.
La giurisprudenza ha affermato che alla limitata partecipazione al procedimento da
parte dell’ammonito consegue difetto di istruttoria, poiché l’interessato, nel
controdedurre in giudizio su molte circostanze a lui addebitate, ha la possibilità di
provare che, ai fini di una corretta formazione del proprio convincimento, il Questore
deve necessariamente acquisire una serie di ulteriori valutazioni la cui mancanza non
consente di avere un chiaro e completo quadro della vicenda e quindi di
provvedere correttamente.
L’analisi della disciplina dell’ammonimento del Questore è utile per la corretta
comprensione del quadro generale con cui il legislatore ha stabilito che il reato di
stalking – “normalmente” perseguibile solo a querela di parte nel termine di sei mesi
-diventa procedibile d’ufficio se preceduto da ammonimento.
Le conseguenze sono, quindi, di non scarso rilievo, ed è bene che il procedimento
teso all’ammonimento sia seguito da un difensore, già nella fase iniziale. Vale la pena
di ricordare che se un reato è perseguibile a querela, la parte interessata può
decidere di rimettere la querela, anche a fronte di un risarcimento o una proposta
transattiva, laddove, invece, il reato è perseguibile di ufficio, la persona offesa non
potrà in alcun modo neutralizzare la potestà punitiva dello Stato che si estrinseca nel
procedimento penale (anche quando vedesse ridimensionate le conseguenze e le
reazioni denunciate a suo tempo, magari dettate da impulsi del momento).
E se la richiesta del provvedimento di ammonimento per atti persecutori è infondata?
Chi l’ha richiesta rischia di essere condannato per calunnia? Secondo la
giurisprudenza che si è espressa sul punto finora, non è configurabile il reato di
calunnia, anche quando si siano prospettate circostanze non veritiere nella richiesta
di ammonimento.
Il reato di calunnia, giova ricordarlo, si configura quando con querela, denunzia,
richiesta o istanza all’Autorità giudiziaria o ad altra Autorità, qualcuno incolpi altri
pur sapendolo innocente. Tuttavia, secondo la giurisprudenza, poiché
l’ammonimento è finalizzato a scoraggiare atti persecutori e a far sì che i
comportamenti “censurati” non siano ripetuti e non abbiano esiti irreparabili (finalità
preventiva), ci si trova in una fase del tutto preliminare all’azione, il cui esercizio
rimane del tutto eventuale e, anzi, l’emissione dell’atto amministrativo, quando ne
sussistano i requisiti, mira proprio ad escludere l’esercizio dell’azione penale. Poiché
nessuna azione penale è esercitata, nessuna “accusa” può ravvisarsi in senso
tecnico nel prospettare circostanze all’interno di un sollecito al Questore di
provvedere all’ammonimento. Attesa la natura esclusivamente preventiva
dell’ammonimento – continua la sentenza di legittimità – “neppure in via ipotetica,
l’atto proposto” può “produrre l’instaurazione di un giudizio penale, che costituisce
l’essenza del reato di calunnia ipotizzato, sicché anche l’espressione in essa di
circostanze non vere”, se pure potrà dar luogo a legittime richieste risarcitorie, “non è
idonea a realizzare l’ipotesi di reato”; è dunque escluso il pericolo di un inutile
svolgimento dell’attività giudiziaria (che è l’altro bene giuridico protetto dalla norma
incriminatrice della calunnia insieme all’onore e alla libertà personale del soggetto
incolpevole). Infatti, la richiesta di un atto tipico di natura amministrativa, qual è
l’ammonimento richiesto al Questore, non consente all’Autorità amministrativa di
farne d’ufficio denuncia all’Autorità giudiziaria. Peraltro, non trattandosi di un tipico
atto previsto dalla norma che incrimina la calunnia (art. 368 c.p.) l’Autorità
amministrativa non ha l’obbligo di riferirne all’Autorità giudiziaria.
Gli ordinamenti anglosassoni sono stati i primi ad affrontare specificamente il
problema della definizione normativa del fenomeno. Alcune leggi definiscono lo
stalking come “l’intenzionale, malevolo e persistente comportamento di seguire o
molestare un’altra persona”. Alcuni Stati richiedono che insieme alle molestie sia
presente una “minaccia credibile“, cioè una minaccia (verbale o scritta di violenza)
rivolta alla vittima, e che sia verosimile che il persecutore intenda e abbia la possibilità
di dare attuazione a tali minacce. Alcune leggi indicano come necessario un “tipo di
condotta” in cui il persecutore (o stalker) “consapevolmente, intenzionalmente e
ripetutamente” pone in essere nei confronti di una persona specifica una serie di
azioni (ad esempio mantenersi in prossimità o esprimere minacce verbali o scritte)
prive di alcuna utilità legittima e tali da allarmare, molestare o suscitare paura o
disagio emotivo in una persona ragionevole. In alcuni Stati, quando manca
l’elemento di minaccia esplicita, si considera meno grave il reato e le pene e i
provvedimenti sono meno gravi; altri lo considerano semplice “molestia”. In Canada
esiste il delitto di “molestia criminale“, che consiste nel “molestare intenzionalmente o
imprudentemente un’altra persona in uno dei modi specificamente indicati, e cioè:
a) pedinano la vittima o comunicando direttamente o indirettamente con la stessa o
con suoi conoscenti; b) spiando e sorvegliando i luoghi dove la persona presa di mira
o un suo conoscente risiede, lavora o comunque si trova; c) mettendo in atto
condotte minacciose di qualsiasi tipo dirette alla vittima o a suoi familiari, tali da
indurre la stessa a temere ragionevolmente per la sua sicurezza” (cfr. per ulteriori
specificazioni Abrams KM, Robinson GE. Stalking part 1: an overview of the prob-lem.
Can J Psychiatry 1998; 43:473- 6). Anche il Regno Unito si è dotato di una normativa
che prevede che “una persona non deve attuare una condotta che sa o che
dovrebbe sapere essere causa di molestia ad un’altra“; “se una persona ragionevole
in possesso delle medesime informazioni penserebbe che la condotta dell’imputato
corrisponde a molestia, ciò significa che il crimine è stato commesso“. “Occorre
peraltro dimostrare che l’imputato sapeva o avrebbe dovuto sapere che la sua
condotta avrebbe causato timore di violenza nella vittima“. La normativa britannica
prevede che, nel caso di semplice abuso verbale, per integrare la fattispecie punibile
è necessario che gli atti di molestia siano ripetuti almeno due volte. In presenza di
altre condotte, invece, quali quelle di inviare doni o omaggi floreali non graditi, la
soglia di punibilità è più alta (cfr. Parrott HJ. Stalking: evil, illness, or both? Intern J Clin
Practice 2000;54:239-42). // Provvedimenti inibitori possono essere emanati secondo
la legislazione della federazione australiana, secondo la quale è possibile ingiungere
al molestatore di non entrare in un’area geografica definita attorno all’abitazione
della vittima, pena l’aggravante del reato o l’esecuzione dell’arresto e/o la fine della
sospensione condizionale di una pena detentiva per stalking già giudicata.
Anche l’ordinamento italiano prevede quale misura cautelare – segnatamente in
caso di stalking – il divieto di avvicinamento alla vittima denunciante.
Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha specificato l’ambito di
applicazione della misura cautelare di cui all’art. 282 ter c.p.p. ovvero il divieto di
avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa.
Invero: in tema di misura cautelare del divieto di avvicinamento ai luoghi
abitualmente frequentati dalla persona offesa, di cui all’art. 282 ter c.p.p., quando la
situazione è quella prevista per il reato di cui all’art. 612 bis c.p. (il c.d. stalking
N.d.r.). laddove la condotta oggetto della temuta reiterazione abbia i connotati
della persistente invasiva ricerca di contatto con la vittima in qualsiasi luogo in cui la
stessa si trovi, è prevista la possibilità di individuare la stessa persona offesa, e non i
luoghi da essa frequentati, come riferimento centrale del divieto di avvicinamento.
E in tal caso diviene irrilevante l’individuazione di luoghi di abituale frequentazione
della vittima; dimensione essenziale della misura è invero a questo punto il divieto di
avvicinamento a quest’ultima nel corso della sua vita quotidiana ovunque essa si
svolga.
il reato di “stalking” quale fenomeno sociale. Le statistiche, le tipologie di autore
teorizzate e l’organizzazione della migliore difesa della vittima e dell’accusato.
La violenza contro le donne, con particolare riferimento allo stlaking, è diventata uno
dei temi più spesso posti al centro del dibattito pubblico.
Questo fenomeno si trova al crocevia tra tematiche sia tipicamente psicologiche che
legali; infatti dal 2009, in Italia tale condotta è punita dall’art. 612 bis c.p.
derubricato “atti persecutori”.
Genericamente è possibile indicare lo stalking come un insieme di comportamenti
intrusivi e persistenti diretti contro una persona, che possono durare anche per mesi o
anni. “To stalk”, tipico del lessico venatorio, significa letteralmente“avvicinarsi
furtivamente, fare la posta”, ed enfatizza proprio la dimensione ossessiva e
intimidatoria del fenomeno. In Italia l’estensione e le caratteristiche dello stalking sono
state analizzate dall’Istat nel 2006 in un’indagine sulla violenza contro le donne sia
intra che extra familiare. Le vittime di atti persecutori nel periodo oggetto di analisi
ammontano a 2 milioni e 77 mila al momento della separazione dal partner o subito
dopo, circa il 18,8% del campione considerato.
Sono stati indicati dalle intervistate i comportamenti più ricorrenti che connotano la
condotta dello stalker: nella maggior parte dei casi l’offender ha cercato
ripetutamente di parlare con la donna contro la sua volontà (68,5%), ha chiesto
appuntamenti per incontrarla, l’ha aspettata fuori da casa o fuori dal luogo di lavoro;
il 55,4% delle intervistate ha ricevuto messaggi, telefonate, mail, lettere o regali
indesiderati e il 40,8% delle donne intervistate sono state seguite o spiate. Da questa
ricerca emerge anche come il fenomeno dello stalking sia strettamente connesso
alla violenza fisica o sessuale da parte dell’ex partner: infatti la percentuale delle
donne sia vittime di violenza sia di stalking ammonta al 48,8% del campione. La
ricerca condotta dall’Osservatorio Nazionale Stalking ha permesso inoltre di mettere
in luce come le vittime siano prevalentemente di sesso femminile (80% dei casi) e
come nel 90% dei casi esista un rapporto di conoscenza tra vittima e offender: nel 55%
dei casi la condotta persecutoria ha luogo all’interno della relazione di coppia e tra
vicini di casa nel 25% dei casi; seguono poi il luogo di lavoro (15%) e la famiglia (tra
figli, fratelli e genitori) nel 5% dei casi.
Lo stalking è un fenomeno trasversale ed interessa ogni fascia sociale poichèvittime e
stalker non presentano caratteristiche socio-demografiche ricorrenti (a parte il
genere); è invece frequente riscontrare la presenza di una relazione piuttosto stretta
tra i due soggetti che da intimo-affettiva degenera in ossessivo-persecutoria.
La letteratura sul tema ha permesso di individuare alcune tipologie di vittime e di
stalkers proprio sulla base del vincolo esistente tra i due soggetti. La tipologia di
vittima più ricorrente è l’ex amante: la vittima e l’offender hanno condiviso una
relazione intima e lo stalking ha luogo quando la vittima ha chiarificato in modo
inequivocabile che la relazione è terminata. Molto spesso le vittime riferiscono però di
aver subito abusi fisici, psicologici e sessuali durante la relazione, in concomitanza con
alcuni episodi persecutori, come una sorveglianza costante che tende ad isolare la
vittima dal contesto esterno. I comportamenti più ricorrenti che la vittima subisce
sono il tentativo di contatti attraverso telefonate, sms, mail, l’essere seguita, fino ad
arrivare a violenze e minacce.
La categoria degli ex partner rappresenta sicuramente quella più esposta ad atti
persecutori ovvero ad episodi di violenza e periodi di vittimizzazione molto lunghi,
spesso dovuti alla presenza di figli su cui l’ex partner mantiene dei diritti. Questa è la
categoria di vittime che più spesso si rivolge alle forze dell’ordine, sviluppando però
spesso un forte senso di colpa verso la violenza subita.
Un’altra categoria di vittime è rappresentata da amici, vicini di casa o tra genitori e
figli (comunque relazioni in cui non c’è un vincolo strettamente sentimentale).
Lo stalking tra vicini di casa spesso ha origine per dispute condominiali o per abitudini
di vita della vittima. Spesso l’offender diventa vendicativo e rancoroso; questi
sentimenti danno origine a minacce, danneggiamenti, false denunce alle forze
dell’ordine e sorveglianza costante della casa della vittima.
Anche le relazioni di amicizia possono degenerare in stalking nel momento in cui
l’offender ricerca un contatto intimo maggiore con la vittima, che glielo nega; spesso
in questo caso il comportamento persecutorio è considerato dall’autore quasi alla
stregua di un corteggiamento.
Sono state individuate anche alcune categorie professionali particolarmente esposte
allo stalking, per esempio medici (soprattutto psichiatri), avvocati ed insegnanti
proprio per il tipo di relazione professionali che devono necessariamente instaurare
con i potenziali offender. Le motivazioni che possono portare al comportamento di
stalking variano dal desiderio di maggiore intimità fino alla rabbia per un trattamento
avvertito come scorretto. Lo stalking può provenire genericamente anche da un
collega di lavoro. Spesso il comportamento persecutorio è motivato dal risentimento
per esempio per un licenziamento percepito come ingiusto e in questo caso la vittima
può anche essere l’intera impresa o organizzazione. Anche lo stalking tra ex amanti
può comunque coinvolgere il luogo di lavoro:l’offender spesso segue la vittima nei
suoi spostamenti abituali coinvolgendo anche la sfera occupazionale oppure è
proprio un collega di lavoro della vittima.
Esistono anche casi di stalking in cui la vittima non dimostra di essere consapevole di
avere avuto contatti con l’offender: spesso infatti la persona riceve regali e lettere
senza conoscere il mittente.
Una tipologia particolare di vittime sono invece le celebrità come attori, politici,
soubrette o comunque persone che hanno una certa visibilità mediatica. Molti stalker
che si approcciano a queste persone soffrono di malattie mentali. Gli episodi di
violenza sono piuttosto rari, mentre il fatto tende ad essere enfatizzato a livello
mediatico per il profilo particolare delle vittime. Il fattore di rischio è proprio
l’esposizione pubblica, che comporta la conoscenza di particolari intimi della vita di
queste persone, permettendo un’idealizzazione pericolosa per persone disturbate,
che ricercano in qualche modo attenzione sia dalla celebrità colpita sia dal grande
pubblico.
Oltre alle tipologie di vittime sopra individuate, la letteratura ha permesso anche di
classificare gli offender in base a due parametri fondamentali: la finalità e il contesto
del comportamento persecutorio.
Le tipologie individuate dalla letteratura sono cinque:
quella del rifiutato; del risentito; del predatore; il bisognoso d’affetto e il corteggiatore
incompetente.
Lo stalker rifiutato è colui che inizia la condotta persecutoria alla fine di una rapporto
di coppia (o alla fine di una relazione stretta come quella di amicizia) o nel momento
in cui la vittima comunica che ha intenzione di mettere fine alla relazione. Le finalità
di questo atteggiamento oscillano tra il desiderio di riallacciare la relazione su cui lo
stalker aveva investito emotivamente e quello di vendicarsi del torto subito dalla
vittima in seguito alla decisione di terminare il rapporto. Una delle due componenti
può prevalere sull’altra in base agli atteggiamenti della vittima o alle circostanze di
vita dell’offender. All’inizio della condotta persecutoria, lo stalker cerca di ristabilire la
relazione manifestando amore e comportandosi come se la separazione non fosse
avvenuta; il rifiuto della vittima genera poi i primi comportamenti violenti, come le
minacce verbali, fino ad arrivare all’aggressione. In alcuni casi la posizione della
vittima può alimentare ulteriormente la rabbia dell’offender, rendendolo più
pericoloso. Questi individui hanno alcune caratteristiche psicologiche ricorrenti,
come la scarsa socialità e la tendenza a sviluppare dipendenza verso le poche
persone con cui intessono relazioni a causa della paura costante di essere rifiutati. Per
questa ragione, spesso il legame affettivo è caratterizzato fin dal suo inizio da gelosia
e possessione. Questo tipo di stalker è fra i più persistenti, adottando un vasto range
di comportamenti intrusivi che vanno dalla continua ricerca di un contatto con la
vittima attraverso telefonate, messaggi, lettere, fino al pedinamento e a
comportamenti violenti, in un escalation.
La categoria dello stalker risentito è colui che percepisce di avere subito un torto e
vuole quindi vendicarsi di questo causando paura e dolore alla vittima. Il torto può
essere sia reale sia frutto della paranoia dell’offender, ma comunque il sentimento
che genera è di forte rabbia che trova il suo sfogo nella condotta persecutoria. La
vittima può essere sia la persona da cui lo stalker ritiene di essere stato ferito sia
qualcuno che rappresenta o che ricorda la persona che l’ha ferito. La delusione può
essere di natura emotiva oppure può scaturire da una “umiliazione” professionale,
che finisce per coinvolgere anche la vita privata della vittima. La persona si sente
quindi in qualche modo giustificata nel suo comportamento: si considera un oppresso
che sta combattendo con grande rabbia contro un’ingiustizia. È probabile che
questa tipologia di stalker arrivi a minacciare la vittima con dei comportamenti
appositamente calcolati per instillare il massimo timore possibile; il senso di controllo
che ne deriva appaga momentaneamente la rabbia e il risentimento dello stalker.
La categoria degli stalker predatori è quella meno frequente ma quella più
pericolosa per le vittime. È rappresentata per lo più da uomini mentre le vittime
possono essere sia donne che bambini che altri uomini. Lo stalking prelude
all’aggressione perché la finalità è fondamentalmente quella di avere un rapporto
sessuale, abbinato al desiderio di avere controllo e potere sulla vittima. Lo stalker
prova un piacere sadico nello studiarla attentamente, imparando a conoscerla
intimamente, senza che la vittima riesca a visualizzare con esattezza il pericolo. Molto
spesso i comportamenti agiti sono finalizzati alla sorveglianza e al pedinamento, più
raramente c’è la ricerca di contatti diretti che comunque hanno un contenuto
spesso sessuale e osceno al fine di spaventare il destinatario. Spesso questo tipo di
offender presenta dei comportamenti sessuali parafiliaci (pedofilia, esibizionismo e
feticismo), e difficoltà ad avere relazioni sociali costruttive perché non è in grado di
decodificare correttamente il comportamento altrui.
Lo stalker bisognoso di affetto, invece, cerca di instaurare una relazione amorosa con
la vittima, che può essere sia una persona parte della sua rete relazionale, sia una
persona vista una sola volta per cui lo stalker dice di avere avuto un colpo di fulmine,
oppure una celebrità. La vittimizzazione può essere molto lunga, ma con
comportamenti molto poco intrusivi, tipici del corteggiamento (regali, lettere,
telefonate). Anche in questo caso la persona presenta poche doti sociali, spesso è
isolata e vive dolorosamente questa condizione. Si tratta di una tipologia di
soggetti che raramente minaccia e commette violenza.
L’ultima categoria di offender è quella del c.d. corteggiatore incompetente, la cui
finalità è quella di stabilire una relazione sentimentale con la vittima. Si tratta, anche
in questo caso, di una persona con scarse abilità sociali che non è in grado di
accettare il rifiuto alle sue avances maldestre; è quindi probabile che vittimizzi più
persone anche contemporaneamente, spinto dal desiderio spasmodico di avere una
compagna (o compagno). Spesso il comportamento persecutorio non è però
prolungato nel tempo.
Ad ognuna di queste categorie individuate in letteratura corrisponde un diverso
grado di pericolosità, offrendo un utile frame di riferimento ai professionisti nella
gestione del singolo caso concreto.
Il riferimento normativo che punisce lo stalking in Italia è l’art. 612 bis, introdotto nel
codice penale dal D.L. 23.2.2009, n. 11, recante «Misure urgenti in materia di sicurezza
pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori». È
prevista una pena edittale da sei mesi a quattro anni. Perché effettivamente si
configuri il reato di atti persecutori, sono necessarie tre condizioni fondamentali:
1. La reiterazione degli atti a carico della vittima;
2. Il fatto che questi atti generino paura e ansia costante nella vittima;
3. Un cambiamento di abitudini di vita della vittima.
Il reato è stato ideato dal Legislatore non slolo per punire condotte illecite già
verificatesi ma anche per evitare (con la prevenzione) che i comportamenti
persecutori degenerino in episodi di violenza: la vittima può presentare richiesta di
diffida all’Autorità di Pubblica Sicurezza che, su autorizzazione del pubblico ministero
e in presenza di condizioni che fanno ritenere fondato ed esistente il pericolo di
reiterazione delle condotte persecutorie, ammonisce l’offender di cessare la
condotta crminale.
Inoltre, le pene edittali previste dall’art. 612 bis c.p. prevedono l’applicabilità di misure
cautelari per l’indagato (come ad es. gli arresti domiciliari, la custodia cautelare in
carcere e l’allontanamento dalla casa familiare con obbligo di versare una somma
per il mantenimento della vittima).
Se l’avviso di cui sopra da parte dell’Atutorità di Pubblica Sicurezza non viene
rispettato e se la vittima denuncia nuovamente lo stalker, il reato è perseguibile
d’ufficio e la pena detentiva è aumentata fino a sei anni (la pena base è da sei mesi a
quattro anni) così come è prevista una ipotesi aggravata se il fatto è commesso dal
coniuge legalmente separato o divorziato o da persona che sia stata legata da una
relazione affettiva alla persona offesa.
la pena è aumentata fino alla metà se la vittima è un minore, una donna in stato di
gravidanza o un portatore di handicap.
il reato – nella sua forma non aggravata – è perseguibile a querela di parte con un
termine di sei mesi per la valida proposizione (e non già di 90 giorni come nella
“normale” querela).
****
In tutti i casi in cui un soggetto si rivolge ad un professionista per la tutela in sede
penale – e quantomai nel caso di una persona indagata o presunta vittima di stalking
o violenza sessuale - è assolutamente fondamentale la corretta impostazione del
primo colloquio con l’interessato per raccogliere le informazioni più adeguate a
delineare anche nei particolari i fatti così come si sono realizzati (e come sono stati
percepiti dal soggetto).
Il ricorso in questi casi al colloquio investigativo è di fondamentale importanza: si
tratta di un’intervista strutturata eseguita con alcuni particolari accorgimenti
(l’accoglienza della persona interessata, la descrizione dei luoghi, del tempo etc.)
che consentono al soggetto di ricordare particolari che credeva dimenticati e/o
ininfluenti.
Il colloquio è composto da diverse fasi che consentono la migliore esposizione
dell’accaduto ovvero:
1. l’accoglienza della persona in Studio e l’instaurazione di un rapporto di serena
cortesia;
2. la migliore comnprensione – per quanto possibile - delle caratteristiche caratteriali
salienti della persona con la quale il professionista interloquissce e il suo ruolo nella
dinamica del reato (vittima, offender, mitomane, persona psicologicamente
disturbata etc.);
3. la possibile individuazione – nel caso del reato di stalking – della categoria più
prossima tra quelle sopra indicate teorizzate dalla letteratura;
3. la descrizione libera della dinamica del fenomeno e dei singoli accadimenti;
4. la rievocazione – con le opportune domande del professionista – di particolari
dell’accaduto (tempo, luogo, persone presenti etc.);
4. la descrizione del fenomeno in un ordine diverso da quella precedentemente già
resa (ad esempio partendo dalla fine);
5. la proposizione di domande da parte del difensore atte a indagare i particolari
della descrizione già resa (in entrambe le modalità di cui sopra);
6. il corretto, cortese e rassicurante commiato della persona intervistata.
I contenuti da enfatizzare variano in base alla posizioni di vittima o di offender: nel
primo caso sarà necessario definire come il problema è cambiato nel tempo, le
metodologie messe in atto per gestire i comportamenti percepiti come persecutori e
le emozioni generate nella persona. Se la persona invece è accusato del reato il
focus dell’indagine sarà sulla presenza e l’entità dei rifiuti ricevuti e le reazioni ad essi,
le modalità e i luoghi e la frequenza con cui i contatti sono avvenuti. Si tratta quindi di
comprendere se la percezione della vittima in relazione ai comportamenti agiti è
reale o sproporzionata ovvero se esiste una condotta dolosa effettivamente messa in
atto per spaventare e controllare la vittima o se si tratta, al contrario, di una distorta
percezione da parte della stessa di atti e comportamenti che persecutori non sono.
BIBLIOGRAFIA:
Barsotti, A., e G. Desideri, (2011), Stalking. Quanto il rifiuto di essere rifiutati conduce
alla violenza, Milano, Ponte delle Grazie.
Caldaroni, A., (2009), Stalking e atti persecutori, Roma, Edizioni Universitarie Romane.
De Fazio, L., e C. Sgarbi, (2012), Stalking e rischio di violenza. Uno strumento per la
valutazione e gestione del rischio, Milano, Franco Angeli.
ISTAT, (2007), La violenza e i maltrattamenti contro le donne dentro e fuori la famiglia.
Mullen, P.E., M. Pathé, e R. Purcell, (2008), Stalkers and their victims, Cambridge,
Cambridge University Press.
La violenza in ambito domestico: il fenomeno, le statistiche, la difesa dei soggetti
coinvolti e l’abuso” del reato per fini strumentali.
Spesso il luogo in cui l’individuo si sente più protetto diventa invece fonte di minaccia
e di violenza; questo emerge dai casi di cronaca che riguardano episodi di violenza
che si verificano all’interno delle mura casalinghe.
Ma cosa si intende per violenza domestica?
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha formulato una definizione di questo
fenomeno nel 1996: “Ogni forma di violenza fisica, psicologica o sessuale che
riguarda tanto i soggetti che hanno, hanno avuto o si ripropongono di avere una
relazione intima di coppia, quanto soggetti che all’interno del nucleo familiare più o
meno allargato hanno relazioni di carattere parentale e affettivo.”
La violenza intrafamiliare vede principalmente come vittime le donne e i
minori,storicamente categorie sociali deboli e per questo più a rischio. È evidente una
connotazione sessuale del fenomeno, e per questo spesso si ricorre all’espressione
violenza di genere abbinata al fenomeno della violenza domestica, enfatizzando il
concetto che le vittime sono per lo più (ma non solo) donne o bambine. La
connotazione sessuale del fenomeno è ricondotta al fatto che la violenza domestica
ha come presupposto fondamentale l’abuso della posizione dominate dell’uomo
all’interno del contesto relazionale domestico, ed è proprio questa dimensione che
dà origine ad una serie di comportamenti penalmente rilevanti.
La violenza domestica, intesa come violenza di genere, è stata oggetto di più
rilevazioni statistiche che hanno permesso di mettere in luce le connotazioni principali
del fenomeno. L’indagine ISTAT svoltasi nel 2006 e pubblicata nel 2007ha per oggetto
principale la violenza subita dalle donne sia dentro che fuori dalla famiglia. Essa
mette in risalto come il numero delle donne tra i 16 e i 70 anni vittime di violenza fisica
o sessuale nel corso della loro vita siano stimate in 6 milioni 743 mila.
Il 14,3% delle donne intervistate ha subito almeno una volta nella vita violenza da un
partner o da un ex partner; è la violenza fisica la forma più ricorrente di violenza
domestica (12% dei casi). Gli atteggiamenti più frequenti che connotano il
maltrattamento fisico consistono nello spintonare o strattonare la vittima (56,7% dei
casi), nelle minacce di essere colpita fisicamente (52%) e nell’essere presa a calci o a
pugni e morsa (36,1%). Le vittime vengono anche aggredite anche con
oggetti,coltelli e pistole e subiscono tentativi di ustione, strangolamento e
soffocamento. La caratteristica peculiare della violenza domestica da parte del
partner è quella di essere nella maggior parte dei casi ripetuta nel tempo: infatti nel
61, 7% dei casi essa non si riduce ad un solo episodio. Anche nel momento in cui alla
violenza fisica si abbina quella sessuale da parte del partner attuale, essa viene
ripetuta nel tempo nel 91,1% dei casi. Gli atteggiamenti che connotano le aggressioni
sessuali da parte dei partner sono principalmente i rapporti sessuali forzati o
comunque percepiti come umilianti dalle vittime (70,5%). La tipologia più ricorrente di
offender è l’ex marito o l’ex convivente (22,4% dei casi); questa categoria è seguita
dagli ex fidanzati (13,7%) e poi dai mariti, conviventi (7,5%) e fidanzati attuali (5,9%). È
proprio la violenza subita dall’ex marito che viene percepita come molto grave dalle
vittime (48,6%), mentre solo il 32 % delle intervistate considera il fatto subito come un
reato. La percezione più diffusa è quella di aver subito un fatto grave, ma comunque
non un reato. Questo dato appare coerente con il fatto che solo il 7,3% delle violenze
subite nella vita dalle vittime sono state denunciate; nel caso delle violenze subite dal
fidanzato attuale, nessuna delle rispondenti ha denunciato il fatto alle forze
dell’ordine. Le violenze maggiormente denunciate sono quelle subite dagli ex mariti e
conviventi (17,8%).La tipologia vittimologica più colpita da episodi di violenza fisica in
famiglia è quella delle donne separate o divorziate (45,6%), seguite poi dalle nubili
(17,8%).
In relazione a tale dato riferibile alle donne separate o divorziate, occorre però tenere
ben presente che non è raro il grave fenomeno della denuncia calunniosa presentata
(per lo più ma non esclusivamente) a carico degli uomini per motivi strumentali
diversi da quelli tipici della repressione penale.
Accade, invero, che nel corso di una separazione giudiziale travagliata vengano
presentate alla Procura della Repubblica competente (come detrto, sia dalle donne
che dagli uomini) delle notizie di reato del tutto infondate (o grandemente difformi
dalla realtà dei fatti) a carico della controparte al fine di “corroborare” e rafforzare le
pretese avanzate avanti al Giudice Civile (sia in relazione ai figli minorenni che in
ordine al trattamento economico).
Spesso la notitia criminis si riferisce a condotte violente quando a veri e propri
maltrattamenti in danno anche della prole.
La giustizia penale, così, è utilizzata quale strumento per l’ottenimento – in sede civile
– di quanto preteso.
La difesa in tali casi è assai ardua ed è spesso necessario (se non fondamentale)
attuare attente indagini investigative difensive atte a dimnostrare la infondatezza e
strumentalità delle accuse avanzate.
Tornando ai maltrattamenti domestici, la statistica citata ha anche specificato che la
fascia di età più colpita da questo fenomeno è quella compresa tra i 25 e i 34 anni,
con livelli di istruzione medio-alti (laurea e diploma); si tratta spesso di donne che
svolgono professioni dirigenziali, imprenditoriale o la libera professione (23,5%),
immediatamente seguite da quelle in cerca di occupazione (20,7%) e dalle
studentesse (17,9%). La violenza sessuale sembra essere più trasversale tranne nel
caso dello stato civile con il picco delle separate/divorziate.
La diffusione del fenomeno e la percezione della sua gravità vengono anche
indagate dalla ricerca condotta nel 2010 dalla Commissione Europea sulla violenza
domestica contro le donne. Per quanto riguarda il campione italiano, il 12% dei
rispondenti conosce qualcuno che ha usato violenza a una donna nella sua cerchia
familiare o amicale, mentre il 16% conosce una donna vittima di violenza da parte di
familiari o amici. Gli episodi di violenza domestica vengono considerati inaccettabili e
sempre punibili con la legge nell’87% dei casi e quasi il 90%dei rispondenti
considerano molto gravi episodi di violenza fisica e psicologica, più del 75% del
campione invece considera molto grave la violenza psicologica, la restrizione della
libertà e la minaccia di atti violenti.
È possibile trarre alcune conclusioni dall’analisi dei dati sopra esposti:
• Si tratta di un fenomeno che risente della percezione sociale delle dinamiche
familiari, riscontrabile sia nella vittimologia, sia nella comprensione delle vittime
dell’evento subito e nella conseguente scelta di denunciare o meno il reato.
• Si tratta di un fenomeno multi-dimensionale che comprende sia aspetti fisici, quindi
evidentemente visibili, sia aspetti psicologici e deve la sua pericolosità al fatto di
essere ripetuto nel tempo.
• Si tratta di un fenomeno trasversale nella società, cioè indipendente da variabili
come istruzione e reddito; assume quindi importanza la relazione vittime-offender che
è quanto mai intima.
La violenza domestica comprende in sé diverse tipologie di maltrattamenti ascrivibili
alle categorie della violenza fisica, psicologica, sessuale e economica.
Per violenza fisica si intendono tutti quei comportamenti volti a fare del male alla
vittima, nella maggior parte dei casi procurando lesioni visibili. Il danno fisico deve
essere quindi procurato in modo non accidentale con il ricorso o meno ad oggetti.
Sono ricompresi in questa categoria calci, pugni, schiaffi, morsi, scossoni violenti,
bruciature, strangolamenti e soffocamenti che spesso danno origine a lesioni fisiche
visibili e quindi alla necessità di cure mediche di emergenza.
Sono ricompresi in questa categoria anche atti che hanno una dimensione di
contatto fisico con la finalità di mettere in soggezione e controllare continuamente la
vittima (pedinamenti e molestie).
La finalità di questi atteggiamenti è fare in modo che la vittima resti sotto lo stretto
controllo dell’offender; la reazione psicologica di chi subisce questo tipo di violenza è
l’analisi continua del proprio comportamento al fine di evitare ogni situazione che
possa dare origine ad una reazione violenta.
Dal un punto di vista penalistico, questi comportamenti ricadono nelle fattispecie di
lesioni personali (ex artt. 582 e 583 c.p.), percosse (ex art 581 c.p.), maltrattamenti (ex
art 572c.p.) fino al tentato omicidio o all’omicidio (art 585 c.p.).
La violenza psicologica comprende invece una serie di atteggiamenti intimidatori,
vessatori e denigratori e tattiche di isolamento da parte dell’offender. Si tratta quindi
di ricatti, insulti, ridicolizzazioni e colpevolizzazioni, isolamento e limitazione
dell’espressione personale. Il contatto continuo e forzato con l’offender genera nella
vittima una sensazione di non essere in grado di prevedere quello che le succederà.
Le conseguenze psicologiche sono la perdita della stima di sé e la colpevolizzazione
per la situazione vissuta; anche in questo caso la reazione comportamentale della
vittima è quella di compiacere l’abusante nella speranza di manifestare la sua
adeguatezza, in una relazione completamente perversa. Nei casi più gravi si è
verificata anche l’insorgenza di malattie mentali, abuso di sostanze, depressione e
suicidio della vittima. Questa categorie è sicuramente più difficile da individuare
rispetto alla precedente perché si tratta spesso di comportamenti subdoli.
Si tratta tuttavia di atteggiamenti penalmente rilevanti, che possono dare origine ai
reati di ingiuria (ex art.594 cp),violenza privata (ex art.610 c.p.), minaccia (ex art.612
c.p.), di lesioni se le violenze causano malattie del corpo e della mente (ex art.582 e
583 c.p.), di maltrattamenti (ex art.572 c.p.) e di sequestro di persona nei casi più gravi
(ex art.605 c.p.).
La violenza economica è finalizzata ad impedire l’indipendenza finanziaria della
vittima da parte dell’offender. In questo modo quest’ultimo si garantisce il controllo
completo sulla vittima. Atteggiamenti finalizzati a questo scopo sono per esempio
quelli che impediscono la ricerca di un lavoro o la gestione del denaro della vittima e
la privazione di ogni responsabilità economica. Se la vittima è straniera, l’abusante
può impedire la messa in regola con i documenti di soggiorno. Questo tipo di
atteggiamenti emergono chiaramente quando la vittima decide di uscire dalla
relazione maltrattante e sicuramente questo si connota come uno degli aspetti più
complessi della violenza subita. I reati che puniscono tali condotte sono la violazione
degli obblighi di assistenza familiare (ex art. 570 c.p.), così come i maltrattamenti in
famiglia (ex art. 572 c.p.) e la violenza privata (ex art. 610 c.p.).
Quando la vittima subisce violenze sessuali o la costrizione ad avere rapporti, a
prostituirsi, a visionare materiale pornografico e a subire atteggiamenti sessualmente
connotati percepiti come non graditi, l’offender mette in atto comportamenti
ascrivibili alla categoria della violenza sessuale. L’individuazione di questo tipo di
comportamenti è anche in questo caso difficile, a causa dei segni fisici di cui non
sempre resta traccia e per la reticenza delle donne alla denuncia; i reati che
puniscono queste condotte sono quelli di violenza sessuale (ex art. 609 c.p. e ss).
La finalità del controllo su ogni aspetto della vita della vittima è propria di tutti i
comportamenti di cui si compone la violenza domestica, ma spesso l’offender arriva
ad accostarsi alla vittima anche con telefonate, sms, mail non volute, seguendola e
spiandola o sorvegliandone l’abitazione. Ancora, recapitando animali morti o
danneggiando le proprietà della vittima. Questi atteggiamenti sono riconducibili allo
stalking e hanno una connotazione ossessiva e persecutoria, continuativi nel tempo e
generatori di una sensazione di terrore nella vittima. Questi comportamenti
configurano il reato di atti persecutori (ex art 612 bis c.p.) introdotto nell’ordinamento
italiano con il Decreto Legge 23 febbraio 2009, n. 11 (convertito in Legge 23 aprile
2009, n. 38).
Tale circolo di violenza può inoltre riguardare direttamente o indirettamente i minori
che vivono con l’offender. Anche i minori possono subire direttamente abusi fisici o
sessuali o essere vittime della c.d. violenza assistita: il fatto di assistere a delle forme di
violenza nei confronti di figure di riferimento genera una serie di traumi nel bambino
che se non adeguatamente diagnosticati e curati possono comprometterne il
corretto sviluppo psicologico.
L’apparato sanzionatorio italiano non prevede un reato specifico di “violenza
domestica”, tuttavia, come osservato sopra, tutti i comportamenti che vengono
messi in atto nel contesto della violenza intrafamiliare sono riconducibili ad una
precisa fattispecie penale come sopra evidenziato.
Inoltre, alla Legge del 5 Aprile 2001, n. 154 ha disciplinato l’allontanamento del
familiare abusante dal domicilio, evitando alla vittima di lasciare l’abitazione per
mettere fine alle violenze; sotto il profilo civile viene introdotto l’”ordine di protezione
contro gli abusi familiari”, con cui il giudice può disporre, oltre all’allontanamento dal
domicilio, anche l’impossibilità per l’offender di frequentare luoghi abitualmente
visitati dalla vittima, l’intervento del servizi sociali o di un centro di mediazione
familiare (se ritenuto necessario) e il versamento di una somma per le persone
conviventi che dovessero rimanere prive dei mezzi di sussistenza a causa
dell’allontanamento derivato dalla violenza.
Se, quindi, da un lato il sistema penale e civile si è dotato di riferimenti adatti per
gestire e punire la violenza domestica, tale fenomeno ha ancora un grandissimo
numero oscuro a causa delle resistenze culturali alla denuncia: il senso di vergogna, la
paura di non essere creduti e la convinzione che la famiglia sia un ambito privato e
inviolabile.
Nel momento in cui le vittime decidono di denunciare la violenza subita, non è
semplice reperire gli elementi di prova che confermano quanto affermato dalla
vittima.
Da questo punto di vista - così come nel caso di contrastare un’accusa strumentale
avanzata solo per l’ottenimento di migliori condizioni di separazione - assumono
un’importanza fondamentale le indagini difensive (introdotte nell’ordinamento dalla
legge 7 dicembre 2000 n°397) gestite dall’avvocato difensore della persona offesa,
che permettono di reperire gli elementi necessari prima dell’inizio del procedimento
penale.
La complessità del fenomeno rende necessario un approccio il più possibile integrato
tra le forze dell’ordine, i legali e i Centri di Violenza che si occupano di queste
problematiche. Inoltre, da un punto di vista preventivo, sono stati elaborati diversi
approcci che mirano fondamentalmente a valutare i rischi di recidiva e di escalation
della violenza, insite nell’abitualità di queste condotte criminose.
Queste metodologie consistono nel stimare quale può essere la probabilità che la
violenza subita si ripresenti, la sua natura, l’imminenza, l’intensità e la gravità degli
eventi lesivi successivi al fine di evitare che questi avvengano.
BIBLIOGRAFIA:
Baldry A.C., (2008), Dai maltrattamenti all’omicidio. La valutazione del rischio di
recidiva e dell’uxoricidio, Milano, Franco Angeli.
Giordano E. A. e M. De Masellis, (2011), La violenza domestica. Percorsi
giurisprudenziali,Milano, Giuffré Editore.
ISPEL, (2008), Violenza domestica. Riflessioni, riferimenti e dati.
ISTAT, (2007), La violenza e i maltrattamenti contro le donne dentro e fuori la famiglia.
Zanasi F.M., (2006), Violenza in famiglia e stalking. Dalle indagini difensive agli ordini di
protezione, Milano, Giuffré Editore.
Lo Stalking. La corretta applicazione e l’abuso.
Il reato di stalking è stato inserito nel nostro codice penale con la legge n. 11 del 23
febbraio 2009.
In realtà il codice lo riporta all’art. 612 bis con la derubricazione di “Atti persecutori”.
Effettivamente – anche dal punto di vista strettamente tecnico – l’innovazione ha
colmato una lacuna che da anni affliggeva il codice ed a causa della quale diverse
famiglie piangono giovani vittime quasi prevalentemente di sesso femminile.
Antecedentemente all’innovazione, invero, i reati di molestie, ingiurie e minacce
(ovvero quelli che principalmente erano realizzati dallo stalker) non permettevano
l’applicazione di alcuna misura cautelare e prevedevano delle condanne
(addirittura in certi casi solo pecuniarie) che certamente erano del tutto insufficienti a
rappresentare un deterrente per il persecutore.
Le stesse Forze dell’Ordine ed i Giudici, il più delle volte, non potevano che assistere
praticamente inermi allo stillicidio quotidiano a cui era sottoposta la vittima che non
riusciva ad uscire dal tunnel della persecuzione nemmeno presentando denunce
querele a ripetizione.
Non a caso il delitto in questione richiama immediatamente il caso non infrequente
dell’amante che assoggetta a vessazione quotidiana la ex compagna o, comunque,
la donna verso la quale dirige la sua totale e totalizzante attenzione.
Il più delle volte lo schema è effettivamente questo e molti tra gli operatori della
giustizia lo qualificano come delitto di genere poiché la vittima è al 90 – 95% dei casi
una donna ed il carnefice è quasi sempre l’ex compagno.
La condotta materiale che realizza il reato è estremamente varia: pedinamenti,
telefonate, appostamenti, regali non desiderati, bigliettini lasciati al lavoro a casa o
sull’auto, messaggi ripetuti su fb, e mail ossessive, fino ad arrivare a minacce di morte,
ingiurie, percosse, lesioni ed altro sia dirette verso la vittima oppure agite nei confronti
dei suoi cari, amici o conoscenti.
Tutte azioni che sono in grado – per la loro invasività e ripetitività – di ingenerare nella
vittima, ansia, paura stato continuo di stress costringendola a mutare il proprio stile di
vita ed abitudini.
Il reato è punito severamente (nel caso base da sei mesi a quattro anni di reclusione)
e sono previsti pesanti aumenti di pena se il persecutore è l’ex marito o compagno
della vittima o se è agito nei confronti di un minore.
Il delitto è procedibile a querela (e questa è una particolarità poiché l’iniziativa non
può di regola essere di ufficio come per la violenza sessuale) ma il termine per
proporla validamente è di sei mesi dall’ultimo fatto (e non già di tre mesi).
La pena edittale permette oggi di applicare eventualmente allo stolker una misura
cautelare (ad esempio la custodia in carcere) ma sono previsti dal Legislatore anche
altri meccanismi per la pronta dissuasione del persecutore.
Invero:
 la persona offesa, prima di sporgere la querela, si può rivolgere (anche tramite un
difensore) alla Polizia o ai CC e chiedere che il persecutore venga ammonito. A
seguito della richiesta l’istanza è trasmessa al Questore che – assunte le necessarie
informazioni – potrà convocare il soggetto segnalato redigendo un verbale con il
quale lo avverte di interrompere la sua condotta molesta e di rispettare le norme di
legge:
 se l’ammonito persevera, le pene in caso di condanna sono più severe;
 a seguito dell’ammonimento il reato non è più perseguibile a querela ma di ufficio
(ovvero al di là di una iniziativa di parte della vittima);
Tuttavia, è importante segnalare che il reato di atti persecutori non è applicabile solo
e solamente nel caso di soggetti che hanno intrattenuto una relazione sentimentale.
Il Legislatore non pone alcun limite e l’art. 612 bis c.p. rappresenta oggi una
fattispecie che tutela potenzialmente tutti coloro che sono vittime di comportamenti
compulsivi, ripetuti e gravi agiti al fine o con la conseguenza di ingenerare nella
vittima stress, ansia o paura (si pensi ai casi di rapporto di vicinato gravemente
deteriorati).
***
Se da un lato l’intervento del Legislatore è del tutto coerente con la necessità di
assicurare una fattiva tutela in casi in cui precedentemente la vittima soccombeva,
non si può non segnalare che a volte tale istituto viene applicato in maniera fin
troppo “disinvolta” colpendo soggetti (ad esempio uomini abbandonati dalla propria
compagna senza troppe spiegazioni e dopo una serena e duratura relazione
sentimentale) che in maniera sostanzialmente civile cercano di
riconquistare/contattare l’ex amante.
Ed ecco allora che le richieste di spiegazione, l’attesa per una sera sotto casa dalla
quale si è dovuti andare via una volta cessata la coabitazione e l’invio di un paio di
mazzi di fiori, vengono interpretati con un eccesso di zelo che trasforma la fine di una
relazione d’amore piuttosto frequente in un procedimento penale.
In questi casi – ovviamente (lo ripetiamo poiché la riflessione non venga fraintesa)
deve trattarsi di condotte assolutamente non violente e sporadiche tipiche solo di un
tentativo di riallacciare i rapporti e nulla più – chi ha bisogno di un bravo difensore è
proprio colui che viene denunciato.
Lo Studio si occupa di assistenza tecnica sia nel caso di vittime del reato di atti
persecutori (anche nella fase dell’ammonimento) sia di coloro che sono indagati per
tale reato.
La difesa deve spesso essere contraddistinta da grande celerità, chiarezza e
completezza onde garantire alla parte assistita (sia persona offesa che denunciato)
la pronta tutela della sua posizione trattandosi il più delle volte di soggetti fino a quel
momento del tutto estranei ad esperienze giudiziarie.
La violenza sessuale. Gli spetti rilevanti del reato. Il contesto concreto della difesa e
l’approccio (anche) medico-legale.
Il reato di violenza sessuale è sicuramente uno dei reati più gravi previsti dal nostro
codice penale; preso atto, peraltro, anche delle diverse (e numerose) fattispecie di
cui agli artt. 609 bis e ss c.p. (tra le quali si annoverano ad esempio la violenza
sessuale di gruppo e diverse ipotesi di pedofilia).
La gravità del reato ha – giustamente – un diretto riverbero anche sulla massima
riprovevolezza morale che tale fatto reato suscita spontaneamente ed
immediatamente nell’opinione pubblica soprattutto quando le vittime sono soggetti
minori pre-impuberi.
Ed effettivamente, la violenza sessuale nella maggioranza dei casi, produce terribili
conseguenze sulle vittime sia sul piano fisico che, soprattutto, su quello psicologico.
In tale quadro, bisogna anche sottolineare che l’indagato incolpato di fatti
obbiettivamente percepiti come aberranti e intollerabili anche dal punto di vista del
“sentire comune” è esposto al rischio di gravissime pene e fin dall’inizio del
procedimento penale (ovvero anche durante la fase delle indagini preliminari) corre
anche il serio pericolo di essere penalizzato nell’esercizio del suo costituzionale diritto
di difesa proprio perché un’ipotesi di un reato così grave (sotto diversi punti di vista e,
quindi, non solo giuridico) è indubbiamente una pregiudiziale impossibile da non
tenere in considerazione (basti pensare che l’indagato per un reato sessuale posto in
stato di custodia cautelare è tenuto separato da coloro che sono ristretti per reati
c.d. comuni) nlla pianificazione ed attuazione della linea di difesa per l’assistito.
In tali casi il difensore – con un approccio tecnico assolutamente dovuto per i doveri
istituzionali e deontologici che regolano e sanciscono l’attività dell’avvocato – ha
l’imperativo morale e giuridico di tutelare con il massimo impegno, solerzia ed
attenzione i diritti del cliente proprio perché a fronte di una ipotesi di reato
assolutamente grave, maggiore è il rischio che i diritti dell’incolpato siano lesi.
Peraltro, bisogna sempre tenere presente che non è assolutamente raro che il
soggetto indagato sia effettivamente innocente.
In ogni caso, anche qualora fosse colpevole, egli è titolare di diritti assolutamente
inviolabili che la Costituzione e l’ordinamento giudiziario riconoscono ad ogni
cittadino (indagato o meno che sia e, ovviamente, anche se colpevole).
Vorrei in questa sede riportare fedelmente un articolo credo di grande importanza
comparso a pagina 117 del volume “Scienze forensi teoria e prassi dell’investigazione
scientifica” edito da UTET (2009 – 2010) a cura del Dott. Massimo Picozzi e del Dott.
Alberto Intini; articolo a firma del Dott. Andrea Gentiluomo e della Dott.ssa Cristina
Cattaneo.
Si tratta di una analisi attenta, precisa e completa del reato di violenza sessuale sia
dal punto di vista generale che da quello dell’inqudramento giuridico.
Articolo che rappresenta un importante punto di riferimento – a giudizio di chi scrive –
per la comprensione del reato in parola e utile quale spunto per un’analisi ragionata
delle possibili linee difensive (anche a tutela della persona offesa).
Si riporta integralmente il passo citato:
“I reati a sfondo sessuale pongono una complessa serie di problemi a tutti coloro che
si trovano a dover affrontare una delle varie sfaccettature della questione.
E’ evidente che un’aggressione sessuale ha implicazioni molteplici che riguardano il
contesto ove si è sviluppata (familiare o extra familiare), le specificità soggettive della
vittima (nella relazione con l’aggressore, con il suo ambiente di vita), le conseguenze
sulla salute della vittima stesse e anche le conseguenze giudiziarie dell’episodio che
necessariamente interferiranno con tutti gli altri assi sommariamente richiamati.
Ne deriva che ogni intervento che l’episodio di violenza rende necessario deve
necessariamente integrarsi con tutti gli altri, dovendosi necessariamente tenere conto
primariamente delle complesse esigenze della persona vittima dell’aggressione.
(…)
Anche se le esigenze di cura, da intendere in senso ampio, devono essere l’obiettivo
primario dell’intervento, le questioni di natura giudiziaria (nelle loro caratterizzazioni
investigative e probatorie) sono nondimeno rilevanti, richiedendo una chiara
impostazione in generale delle questioni in modo da poter pianificare le indagini
cliniche secondo procedure idonee a dare la massima probabilità di acquisire, se
presenti, informazioni e materiali utili per una soddisfacente conclusione della
vicenda processuale.
In questa prospettiva, è necessario chiarire subito che la violenza sessuale non è una
diagnosi medica.
Anche se l’esame clinico della vittima può permettere di acquisire elementi di
valutazione rilevanti per l’assoluzione giudiziaria del problema, proprio perché la
vittima è simultaneamente il testimone privilegiato della vicenda e, per così dire,
l’elemento centrale della scena del crimine. In ogni caso, pur con cospicue limitazioni
cautele, le rilevazioni medico-forensi e biologiche possono avere riflessi importanti
sull’esito delle indagini dei giudizi, di modo che si tratta di una possibilità che, fatte
salve le esigenze sanitarie generali, non può essere tralasciata.
IL CONTESTO GIURIDICO
È opportuno richiamare in sintesi i profili codicistici che costituiscono ovviamente lo
sfondo entro il quale narrare gli interventi medici a finalità giudiziaria.
L’art. 609 bis c.p. (violenza sessuale) stabilisce che “ chiunque, con violenza o
minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti
sessuali è punito con la reclusione da cinque a dieci anni alla stessa pena soggiace
chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali: 1) abusando delle condizioni di
inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto; 2) traendo in
inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona…..”.
La 609-ter c.p. prevede varie circostanze aggravanti della violenza sessuale,
identificate come segue: “… 1) nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni
14; 2) con l’uso di armi o di sostanze alcoliche, narcotiche o stupefacenti o di altri
strumenti o sostanze gravemente lesivi della salute della persona offesa; 3) da
persona travisata o che simuli la qualità di pubblico ufficiale o di incaricato di
pubblico servizio; 4) su persona comunque sottoposta a limitazioni della libertà
personale; 5) nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni 16 della quale il
colpevole sia l’ascendente, il genitore anche adottivo, il tutore. La pena è della
reclusione da 7 a 14 anni se il fatto è commesso nei confronti di persona che non ha
compiuto gli anni 10 …”.
L’articolo 600-quater c.p. (Atti sessuali con minorenne) definisce le sanzioni per
contatti sessuali al di fuori dell’ipotesi di violenza, minaccia o abuso di autorità (cfr art.
609 bis) nei seguenti termini: “… soggiace alla pena stabilita dall’articolo 609 bis
chiunque, al di fuori delle ipotesi previste in detto articolo, compie atti sessuali con
persona che, al momento del fatto: 1) non ha compiuto gli anni 14; 2) non ha
compiuto gli anni 16, quando il colpevole sia l’ascendente, il genitore, anche
adottivo, o di lui convivente, il tutore, ovvero altra persona cui, per ragioni di cura, di
educazione, di istruzione, di vigilanza di custodia, il minore è affidato o che abbia,
con quest’ultimo una relazione di convivenza.
Al di fuori delle ipotesi previste dall’articolo 609 bis, l’ascendente, il genitore, anche
adottivo, o il di lui convivente, o il tutore che, con l’abuso dei poteri connessi alla sua
posizione, compie atti sessuali con persona minore che ha compiuto gli anni 16, è
punito con la reclusione da tre a sei anni….”.
Rammentiamo qui che il medesimo articolo stabilisce che: “…non è punibile il
minorenne che, al di fuori delle ipotesi previste dall’articolo 609 bis, compie atti
sessuali con un minorenne che abbia compiuto gli anni 13, se la differenza di età tra i
soggetti non è superiore a tre anni…..”.
In sostanza, si possono individuare aspetti distinti suscettibili di valutazione biomedica,
in particolare:
– quelli relativi all’elemento oggettivo del reato, riguardanti quindi le tracce del
contatto sessuale;
– quelli riconducibili alle circostanze del reato, relativi cioè alle tracce di costrizione
fisica oppure connessi alle condizioni di inferiorità fisica o psichica;
– attinenti alle eventuali ipotesi di aggravamento, quali l’uso di armi di sostanze
alcoliche, la cotiche o stupefacenti o di altri strumenti o sostanze gravemente lesivi
della salute della persona offesa;
– quelli relativi all’identificazione dell’aggressore.
Un’ultima avvertenza si rende necessaria.
La tipologia di eventi è assai composita, ma dobbiamo necessariamente distinguere
due campi essenziali, quello cioè relativo a fatti coinvolgenti soggetti prepuberi e
quelli che vedono coinvolte vittime post-puberi.
Fatte salve le inevitabili aree di sovrapposizione ed eventi del tutto particolari, per
solito la situazione delittuosa che vede coinvolti soggetti pre-puberi è caratterizzata
da lunga durata nel tempo, si realizza in ambiti familiari o a questi prossimi o
assimilabili, vede coinvolti atti sessuali caratterizzati da una potenzialità di lesione
tissutale molto limitata e, quasi sempre, non comporta una penetrazione vera e
propria. In queste condizioni, la ricerca di una traccia del contatto sessuale sul corpo
della vittima assume una evidente centralità probatoria, ma, disgraziatamente, e
assai infrequente, poter rilevare segni chiaramente interpretabili (…).
Nel caso del soggetto post-pubere, l’evento delittuoso per solito costituisce una
circostanza isolata, anche quando si inserisce in un contesto socio ambientale
personale multi problematico anche in queste evenienze, peraltro, molto
frequentemente l’aggressore è persona nota alla vittima, di modo che lo stereotipo
dello sconosciuto che aggredisce e scompare deve essere di molto ridimensionato.
Chiaramente, ciò si riflette sulle esigenze probatorie specifiche, nel senso che può
divenire meno determinante il rilievo clinico biologico in senso ampio, nel momento in
cui non è in discussione se sia avvenuto un rapporto sessuale, ma se questo fosse
esente da violenza, nelle varie declinazioni che la giurisprudenza ha dato il concetto
generale, o estraneo a un’induzione a carattere abusivo”.
LAW FIRM DE LALLA
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Lo Stalking, difesa accusato, divieto avvicinamento, volenze domestiche e statistiche

  • 1.
  • 2. Lo stalking. La difesa dell’accusato. Nel 2009 è stato introdotto un nuovo reato, “atti persecutori” che punisce chi con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurantee grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita. La norma mira a reprimere il fenomeno noto come il cd. stalking (dal termine inglese to stalk, letteralmente fare la posta alla preda, mutuato dal lessico venatorio), fenomeno caratterizzato dall’insistente interferenza nella sfera privata altrui. L’introduzione della nuova norma mira a colmare una lacuna di tutela determinata dall’incapacità delle incriminazioni di minaccia, molestie e violenza privata a fornireun’adeguata risposta repressiva ai casi di comportamenti criminosi consimili posti in essere in modo seriale e ripetitivo. Prima di poter ritenere fondata un’accusa di stalking occorre considerare attentamente gli elementi di cui essa si compone, non essendo ogni condotta molesta ascrivibile al grave reato di stalking. È necessaria la reiterazione di molestie o minacce e, quindi, una pluralità di comportamenti tipici (omogenei o disomogenei) secondo uno schema che evoca la figura del reato abituale (o a condotta reiterata). Tra i comportamenti che possono essere considerati di stalking vi sonoappostamenti, minacce, ricatti, molestie, sorveglianza intrusiva, ripetuti contatti telefonici o tramite e-mail, chat, social network, continui tentativi di contatto, sguardi intimidatori, attenzioni sgradite, eccetera.
  • 3. È poi necessario che le condotte reiterate nel tempo producano, alternativamente,determinati eventi ossia: - un perdurante e grave stato di ansia o di paura nella vittima; - oppure un fondato timore per l’incolumità propria o di persone vicine alla vittima; - o, infine, il costringere la vittima ad alterare le proprie abitudini di vita. Se questi eventi non si determinano (o non sono provati), il reato non sussiste,anche se va precisato che potrebbero sussisterne altri, meno gravi, come meglio si dirà oltre. E’ proprio questo uno dei doveri del difensore dell’incolpato che, per quanto possibile e “provabile”, confuterà la pretesa accusatoria in ordine alla sussistenzadi uno degli eventi di danno previsti dalla norma. Il danno prodotto dalle condotte è alternativo: in ogni caso si tratta di ipotesi che evidenziano la posizione della persona offesa come di un soggetto che vede lesa la propria libertà morale, costretto ad una posizione difensiva a causa dell’invasività degli atti vessatori posti in essere dall’agente. Nel reato di atti persecutori rileva la risposta in concreto prodotta sul soggetto passivo effettivo e non l’idoneità astratta dei comportamenti. Dal punto di vista soggettivo stalker può essere chiunque: spesso è l’ex partner, ma può essere anche uno sconosciuto, un vicino di casa, un collega di lavoro. Il processo deve provare se l’accusato abbia agito con dolo, cioè con coscienza e volontà, comprendendo e volendo le proprie azioni e l’evento come conseguenza delle reiterate condotte tenute. Il reato è perseguibile a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di 6 mesi. Tuttavia, il reato è procedibile d’ufficio quando è commesso nei confronti di un minore o di una persona disabile o quando è stato preceduto da ammonimento (l’avvertimento orale a cambiare condotta) da parte del Questore. Le pene previste per il reato di stalking sono il carcere, da 6 mesi a 4 anni. La pena viene aumentata se gli atti persecutori sono commessi dal coniuge legalmente separato o divorziato, o comunque da una persona che sia stata legata alla vittima da una relazione affettiva. La pena è aumentata, fino alla metà, anche quando gli atti persecutori siano commessi nei confronti di un minore, di una donna incinta o di una persona disabile, oppure quando il reato sia stato commesso con l‘uso di armi o da persona camuffata nell’aspetto. Attenzione dunque a quelle condotte moleste a margine di rapporti sentimentali e affettivi, che rientrano a pieno titolo nella più frequente casistica del reato si stalking. Spesso sono contestate nel capo di imputazione condotte moleste collocabili cronologicamente prima della rottura del legame affettivo, quando, dopo la rottura del legame, diventano più frequenti, petulanti e insidiose ed in tale caso (come , in generale, per tutti i procedimenti per stalking) il difensore deve prestare massima attenzione all’esatto arco temporale a cui si riferisce l’accusa (e si deve trattare di episodi al plurale proprio perché è necessaria una certa serialità nei comportamenti perchè sia effettivamente contestabile il reato di atti persecutori).
  • 4. Riguardo al tempo, tuttavia, va tenuto in considerazione che il delitto è stato disciplinato nel febbraio del 2009 e, quindi, le condotte cronologicamente poste in essere prima di tale momento non possono essere contestate come stalking, in forza del principio cardine di diritto penale dell’irretroattività della legge penale. Quando si viene a sapere di essere stati denunciati per stalking – o se ne ha il sospetto – è necessario nominare un difensore perché il professionista possa verificare se pendono effettivamente le indagini preliminari (tramite lì’istanza ex art. 335 c.p.p. Vedi nel sito) e si attivi per il miglior contrasto dell’accusa ipotizzata. Invero, non sempre le accuse di stalking sono effetivamente caratterizzate da tutti quesgli elementi giuridici e fattuali richiamati dalla norma (e sopra illustrati) ovvero l’art. 612 bis c.p.. Alcune volte – benchè l’accusa contestata sia quella di atti persecutori - sussistono gli elementi costitutivi di altri reati (meno gravi) previsti dal codice penale. Allora il difensore ha un ruolo fondamentale per evidenziare, quando opportuno, l’abbaglio e l’abnormità delle accuse ovvero per ridimensionare la gravità della posizione dell’accusato. Prima che venisse emanata la norma che incrimina gli atti persecutori come sopra descritti, le singole condotte potevano costituire elementi per riconoscere sussistenti altri reati, tutti meno gravi dello stalking. La natura del reato e l’iter che ha seguito nella sua nascita consentono (a volte) al difensore la possibilità, da valutarsi caso per caso, non di negare singoli fatti, ma di ridimensionarli facendoli emergere nella loro unicità e minore gravita (anche dal punto di vista delle conseguenze sulla vittima). Come si è accennato, i fatti in cui può estrinsecarsi lo stalking, prima del 2009 (anno di promulgazione della Legge), venivano puniti singolarmente e in misura meno grave da singole norme che prevedevano singole condotte/reato. Il reato di stalking consta di una reiterazione di condotte che antecedentemente erano già previste come reati avvinte (nel caso del reato di cui si tratta di atti persecutori) da un disegno unitario da parte dell’offender e tali da provocare eventi lesivi alla vittima di portata maggiore rispetto a quelli solitamente conseguenti alle singole condotte considerate (ed attuate) in maniera isolata. Ciò non toglie, però, che i singoli fatti, laddove sussistano i requisiti (non ultimo la querela di parte dove necessaria) possono essere perseguiti ai sensi delle norme che li puniscono nella loro unicità (ad esempio la siingola minaccia, la singola ingiuria, la singola molestia: tutte condotte che singolarmente rappresentano dei reati punibili con pene assai più lievi rispetto a quelle previste per lo stalking). Attaccare, smontare, confutare, mettere in dubbio l’elemento della reiterazione e dell’unicità delle singole condotte è, dunque, il primo passo per addivenire ad un esito più favorevole per l’imputato di stalking; fermo restando (come detto) che potrà essere accusato (ed eventualmente condannato) per i singoli reati eventualmente ravvisabili nei fatti descritti nell’imputazione. Stalking e misure cautelari. Come noto, le misure cautelari personali sono misure in qualche modo restrittive della libertà personale che intervengono prima che sia pronunciata una sentenza di condanna.
  • 5. Stante la deroga al regime ordinario che vieta la restrizione della libertà personale prima di una sentenza passata in giudicato (divieto di carcerazione preventiva), i requisiti perché si possa disporre una misura cautelare sono molto rigidi e ciò a tutela della persona che ne potrà essere sottoposta e quindi patirà la restrizione. Oltre alle note misure cautelari (si pensi alla custodia cautelare in carcere, agli arresti domiciliari), nella materia dello stalking è stata introdotta una misura ad hoc: - quella del divieto di avvicinarsi ai luoghi frequentati dalla vittima. Applicando tale misura cautelare il giudice, su richiesta del pubblico ministero, può prescrivere all’imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati, abitualmente frequentati dalla persona offesa, dai prossimi congiunti di questa o da persone legate da relazione affettiva o convivenza con la persona offesa. Inoltre, il giudice può prescrivere all’imputato di mantenere una determinata distanza dai predetti luoghi e vietare di comunicare, attraverso qualsiasi mezzo, con la persona offesa e le altre persone sopra menzionate. Perché si possa disporre tale misura è necessario che, fermo restando il rispetto dei principi generali (gravi indizi di colpevolezza ed esigenze cautelari) che vi sia puntuale verifica in termini modali e temporali della vicenda denunciata e oggetto delle indagini. I gravi indizi (nel caso specifico dello stalking) sussistono quando vengono accertati – con quel grado di certezza consentito dalle attività svolte durante le indagini preliminari – episodi di violenza e minaccia, per mezzo di documenti quali referti medici relativi ad eventuali lesioni patite. I fatti devono essere letti in modo univoco e complessivo, tenendo conto dell’eventuale occasionalità delle condotte denunciate oppure l’eventuale sistematicità modale e temporale delle condotte aggressive, violente e mortificanti la dignità della persona offesa. Non basta certo – e per certi aspetti non dovrebbe nemmeno bastare soprattutto nel caso in cui i rapporti tra le parti sono fortemente deteriorati da tempo – la sola versione della vittima non supportata da alcun riscontro esterno. Il difensore dell’accusato giocherà un ruolo fondamentale per evidenziare la carenza dei requisiti per disporre misure cautelari, sia prima che queste vengano disposte, che successivamente, per chiederne un riesame, cioè una rivalutazione. Già durante le indagini preliminari ed eventualmente in occasione dell’applicazione di una misura cautelare in danno dell’incolpato, il ruolo del difensore è fondamentale per smontare la tesi accusatoria e ipotizzare soluzioni alternative e difensive, nonché per effettuare indagini difensive che possano evidenziare elementi a favore dell’accusato. Tuttavia, occorre considerare che la giurisprudenza si è espressa a favore dell’applicazione della misura cautelare anche quando la patologia di ansia in capo alla vittima non sia scinetificamente provata (la Corte di Cassazione afferma che la misura cautelare deve prevenire tale patologia eventuale). Ma qual è allora l’entità e la qualità della prova da raggiungere perché siano accertati i gravi indizi di colpevolezza necessari perché si proceda a disporre la misura? Al di sotto di quale misura l’accusato non può essere sottoposto alla restrizione della propria libertà nello spazio? Una risposta univoca non c’è.
  • 6. Tuttavia la Cassazione si è espressa affermando che deve essere considerata la finalità cautelare di queste misure e quando i comportamenti lesivi sono numericamente imponenti e si protraggono nel tempo (come nel caso di un centinaio di telefonate al giorno per quattro mesi) il danno è implicito e non è necessario provarlo con referti medici, né è necessario che la molestia sfoci in una patologia conclamata: la tutela cautelare serve proprio ad arrestare le molestie prima che il disagio sfoci in vera patologia. Il difensore, però, potrà evidenziare ad esempio una preesistente patologia affine a quella lamentata, così ipotizzando che il disagio o il malessere della vittima non sono riconducibili ai fatti ascritti all’accusato, oppure potrà evidenziare le ragioni dei contatti frequenti con la vittima oppure, ancora, la loro reciprocità sintomatica di contatti non abusivi (e molesti) ma rientranti nei canoni della “normalità” di quella che può essere, ad esempio, una separazione conflittuale. Stalking e ammonimento. Prima ancora della denuncia, chi ritiene di essere vittima di stalking può attivare un procedimento “parapenale” segnalando i fatti e chiedendo che nei confronti del presunto colpevole sia emesso un provvedimento amministrativo di ammonimento. Si tratta di un’ammonizione orale con cui il Questore invita il presunto stalker a tenere una condotta conforme alle legge. Tuttavia, a garanzia dei diritti dell’accusato, è previsto che, in linea generale, allo stesso sia dato avviso dell’avvio del procedimento perché possa essere sentito in ordine agli addebiti mossigli. Non avendo potere giurisdizionale, il Questore investito della questione apre un procedimento amministrativo improntato alla celerità, assumendo le informazioni del caso e sentendo l’accusato. Le finalità dell’istituto dell’ammonimento del Questore sono quelle tipicamente cautelari e preventive: il provvedimento è preordinato a che gli atti persecutori non siano ripetuti e non abbiano esiti irreparabili. Essendo queste le
  • 7. finalità, il provvedimento deve avvenire in tempi rapidi, funzionali ad interrompere l’azione persecutoria. Tuttavia, se vi sono ragioni d’urgenza, è legittimo che il destinatario del provvedimento non sia interpellato in anticipo; ciò, di fatto, provoca una lesione del diritto di difesa e del contraddittorio, visto che – in tal caso di urgenza -l’ammonimento può essere emanato esclusivamente sulla base degli elementi forniti dal solo soggetto interessato all’adozione del provvedimento (la vittima). La parte interessata, però, può agire per il riesame del provvedimento amministrativo. Naturalmente, le particolari esigenze di celerità devono essere ben motivate e sorrette dalle ragioni del convincimento del Questore in quanto, in termini generali, l’accusato di stalking deve essere sentito prima dell’emissione del provvedimento di ammonimento. Dare notizia dell’avvio del procedimento solo diversi mesi dopo l’esposto presentato dalla presunta vittima di atti persecutori impedisce al diretto interessato di partecipare proficuamente al procedimento. Secondo il Consiglio di Stato deve dunque essere dato avviso al presunto stalker perché l’ammonimento deve seguire solo all’esito di un apprezzamento circa la plausibilità e verosimiglianza delle vicende esposte dalla persona denunciante, tutti gli elementi raccolti dal Questore concorrono a formarne il convincimento circa la fondatezza della richiesta di provvedere. La giurisprudenza ha affermato che alla limitata partecipazione al procedimento da parte dell’ammonito consegue difetto di istruttoria, poiché l’interessato, nel controdedurre in giudizio su molte circostanze a lui addebitate, ha la possibilità di provare che, ai fini di una corretta formazione del proprio convincimento, il Questore deve necessariamente acquisire una serie di ulteriori valutazioni la cui mancanza non consente di avere un chiaro e completo quadro della vicenda e quindi di provvedere correttamente. L’analisi della disciplina dell’ammonimento del Questore è utile per la corretta comprensione del quadro generale con cui il legislatore ha stabilito che il reato di stalking – “normalmente” perseguibile solo a querela di parte nel termine di sei mesi -diventa procedibile d’ufficio se preceduto da ammonimento. Le conseguenze sono, quindi, di non scarso rilievo, ed è bene che il procedimento teso all’ammonimento sia seguito da un difensore, già nella fase iniziale. Vale la pena di ricordare che se un reato è perseguibile a querela, la parte interessata può decidere di rimettere la querela, anche a fronte di un risarcimento o una proposta transattiva, laddove, invece, il reato è perseguibile di ufficio, la persona offesa non potrà in alcun modo neutralizzare la potestà punitiva dello Stato che si estrinseca nel procedimento penale (anche quando vedesse ridimensionate le conseguenze e le reazioni denunciate a suo tempo, magari dettate da impulsi del momento). E se la richiesta del provvedimento di ammonimento per atti persecutori è infondata? Chi l’ha richiesta rischia di essere condannato per calunnia? Secondo la giurisprudenza che si è espressa sul punto finora, non è configurabile il reato di calunnia, anche quando si siano prospettate circostanze non veritiere nella richiesta di ammonimento. Il reato di calunnia, giova ricordarlo, si configura quando con querela, denunzia, richiesta o istanza all’Autorità giudiziaria o ad altra Autorità, qualcuno incolpi altri pur sapendolo innocente. Tuttavia, secondo la giurisprudenza, poiché
  • 8. l’ammonimento è finalizzato a scoraggiare atti persecutori e a far sì che i comportamenti “censurati” non siano ripetuti e non abbiano esiti irreparabili (finalità preventiva), ci si trova in una fase del tutto preliminare all’azione, il cui esercizio rimane del tutto eventuale e, anzi, l’emissione dell’atto amministrativo, quando ne sussistano i requisiti, mira proprio ad escludere l’esercizio dell’azione penale. Poiché nessuna azione penale è esercitata, nessuna “accusa” può ravvisarsi in senso tecnico nel prospettare circostanze all’interno di un sollecito al Questore di provvedere all’ammonimento. Attesa la natura esclusivamente preventiva dell’ammonimento – continua la sentenza di legittimità – “neppure in via ipotetica, l’atto proposto” può “produrre l’instaurazione di un giudizio penale, che costituisce l’essenza del reato di calunnia ipotizzato, sicché anche l’espressione in essa di circostanze non vere”, se pure potrà dar luogo a legittime richieste risarcitorie, “non è idonea a realizzare l’ipotesi di reato”; è dunque escluso il pericolo di un inutile svolgimento dell’attività giudiziaria (che è l’altro bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice della calunnia insieme all’onore e alla libertà personale del soggetto incolpevole). Infatti, la richiesta di un atto tipico di natura amministrativa, qual è l’ammonimento richiesto al Questore, non consente all’Autorità amministrativa di farne d’ufficio denuncia all’Autorità giudiziaria. Peraltro, non trattandosi di un tipico atto previsto dalla norma che incrimina la calunnia (art. 368 c.p.) l’Autorità amministrativa non ha l’obbligo di riferirne all’Autorità giudiziaria. Gli ordinamenti anglosassoni sono stati i primi ad affrontare specificamente il problema della definizione normativa del fenomeno. Alcune leggi definiscono lo stalking come “l’intenzionale, malevolo e persistente comportamento di seguire o molestare un’altra persona”. Alcuni Stati richiedono che insieme alle molestie sia presente una “minaccia credibile“, cioè una minaccia (verbale o scritta di violenza) rivolta alla vittima, e che sia verosimile che il persecutore intenda e abbia la possibilità di dare attuazione a tali minacce. Alcune leggi indicano come necessario un “tipo di condotta” in cui il persecutore (o stalker) “consapevolmente, intenzionalmente e ripetutamente” pone in essere nei confronti di una persona specifica una serie di azioni (ad esempio mantenersi in prossimità o esprimere minacce verbali o scritte) prive di alcuna utilità legittima e tali da allarmare, molestare o suscitare paura o disagio emotivo in una persona ragionevole. In alcuni Stati, quando manca l’elemento di minaccia esplicita, si considera meno grave il reato e le pene e i provvedimenti sono meno gravi; altri lo considerano semplice “molestia”. In Canada esiste il delitto di “molestia criminale“, che consiste nel “molestare intenzionalmente o imprudentemente un’altra persona in uno dei modi specificamente indicati, e cioè: a) pedinano la vittima o comunicando direttamente o indirettamente con la stessa o con suoi conoscenti; b) spiando e sorvegliando i luoghi dove la persona presa di mira o un suo conoscente risiede, lavora o comunque si trova; c) mettendo in atto condotte minacciose di qualsiasi tipo dirette alla vittima o a suoi familiari, tali da indurre la stessa a temere ragionevolmente per la sua sicurezza” (cfr. per ulteriori specificazioni Abrams KM, Robinson GE. Stalking part 1: an overview of the prob-lem. Can J Psychiatry 1998; 43:473- 6). Anche il Regno Unito si è dotato di una normativa che prevede che “una persona non deve attuare una condotta che sa o che dovrebbe sapere essere causa di molestia ad un’altra“; “se una persona ragionevole in possesso delle medesime informazioni penserebbe che la condotta dell’imputato corrisponde a molestia, ciò significa che il crimine è stato commesso“. “Occorre peraltro dimostrare che l’imputato sapeva o avrebbe dovuto sapere che la sua condotta avrebbe causato timore di violenza nella vittima“. La normativa britannica prevede che, nel caso di semplice abuso verbale, per integrare la fattispecie punibile è necessario che gli atti di molestia siano ripetuti almeno due volte. In presenza di altre condotte, invece, quali quelle di inviare doni o omaggi floreali non graditi, la
  • 9. soglia di punibilità è più alta (cfr. Parrott HJ. Stalking: evil, illness, or both? Intern J Clin Practice 2000;54:239-42). // Provvedimenti inibitori possono essere emanati secondo la legislazione della federazione australiana, secondo la quale è possibile ingiungere al molestatore di non entrare in un’area geografica definita attorno all’abitazione della vittima, pena l’aggravante del reato o l’esecuzione dell’arresto e/o la fine della sospensione condizionale di una pena detentiva per stalking già giudicata. Anche l’ordinamento italiano prevede quale misura cautelare – segnatamente in caso di stalking – il divieto di avvicinamento alla vittima denunciante. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha specificato l’ambito di applicazione della misura cautelare di cui all’art. 282 ter c.p.p. ovvero il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa. Invero: in tema di misura cautelare del divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa, di cui all’art. 282 ter c.p.p., quando la situazione è quella prevista per il reato di cui all’art. 612 bis c.p. (il c.d. stalking N.d.r.). laddove la condotta oggetto della temuta reiterazione abbia i connotati della persistente invasiva ricerca di contatto con la vittima in qualsiasi luogo in cui la stessa si trovi, è prevista la possibilità di individuare la stessa persona offesa, e non i luoghi da essa frequentati, come riferimento centrale del divieto di avvicinamento. E in tal caso diviene irrilevante l’individuazione di luoghi di abituale frequentazione della vittima; dimensione essenziale della misura è invero a questo punto il divieto di
  • 10. avvicinamento a quest’ultima nel corso della sua vita quotidiana ovunque essa si svolga. il reato di “stalking” quale fenomeno sociale. Le statistiche, le tipologie di autore teorizzate e l’organizzazione della migliore difesa della vittima e dell’accusato. La violenza contro le donne, con particolare riferimento allo stlaking, è diventata uno dei temi più spesso posti al centro del dibattito pubblico. Questo fenomeno si trova al crocevia tra tematiche sia tipicamente psicologiche che legali; infatti dal 2009, in Italia tale condotta è punita dall’art. 612 bis c.p. derubricato “atti persecutori”. Genericamente è possibile indicare lo stalking come un insieme di comportamenti intrusivi e persistenti diretti contro una persona, che possono durare anche per mesi o anni. “To stalk”, tipico del lessico venatorio, significa letteralmente“avvicinarsi furtivamente, fare la posta”, ed enfatizza proprio la dimensione ossessiva e intimidatoria del fenomeno. In Italia l’estensione e le caratteristiche dello stalking sono state analizzate dall’Istat nel 2006 in un’indagine sulla violenza contro le donne sia intra che extra familiare. Le vittime di atti persecutori nel periodo oggetto di analisi ammontano a 2 milioni e 77 mila al momento della separazione dal partner o subito dopo, circa il 18,8% del campione considerato. Sono stati indicati dalle intervistate i comportamenti più ricorrenti che connotano la condotta dello stalker: nella maggior parte dei casi l’offender ha cercato ripetutamente di parlare con la donna contro la sua volontà (68,5%), ha chiesto
  • 11. appuntamenti per incontrarla, l’ha aspettata fuori da casa o fuori dal luogo di lavoro; il 55,4% delle intervistate ha ricevuto messaggi, telefonate, mail, lettere o regali indesiderati e il 40,8% delle donne intervistate sono state seguite o spiate. Da questa ricerca emerge anche come il fenomeno dello stalking sia strettamente connesso alla violenza fisica o sessuale da parte dell’ex partner: infatti la percentuale delle donne sia vittime di violenza sia di stalking ammonta al 48,8% del campione. La ricerca condotta dall’Osservatorio Nazionale Stalking ha permesso inoltre di mettere in luce come le vittime siano prevalentemente di sesso femminile (80% dei casi) e come nel 90% dei casi esista un rapporto di conoscenza tra vittima e offender: nel 55% dei casi la condotta persecutoria ha luogo all’interno della relazione di coppia e tra vicini di casa nel 25% dei casi; seguono poi il luogo di lavoro (15%) e la famiglia (tra figli, fratelli e genitori) nel 5% dei casi. Lo stalking è un fenomeno trasversale ed interessa ogni fascia sociale poichèvittime e stalker non presentano caratteristiche socio-demografiche ricorrenti (a parte il genere); è invece frequente riscontrare la presenza di una relazione piuttosto stretta tra i due soggetti che da intimo-affettiva degenera in ossessivo-persecutoria. La letteratura sul tema ha permesso di individuare alcune tipologie di vittime e di stalkers proprio sulla base del vincolo esistente tra i due soggetti. La tipologia di vittima più ricorrente è l’ex amante: la vittima e l’offender hanno condiviso una relazione intima e lo stalking ha luogo quando la vittima ha chiarificato in modo inequivocabile che la relazione è terminata. Molto spesso le vittime riferiscono però di aver subito abusi fisici, psicologici e sessuali durante la relazione, in concomitanza con alcuni episodi persecutori, come una sorveglianza costante che tende ad isolare la vittima dal contesto esterno. I comportamenti più ricorrenti che la vittima subisce sono il tentativo di contatti attraverso telefonate, sms, mail, l’essere seguita, fino ad arrivare a violenze e minacce. La categoria degli ex partner rappresenta sicuramente quella più esposta ad atti persecutori ovvero ad episodi di violenza e periodi di vittimizzazione molto lunghi, spesso dovuti alla presenza di figli su cui l’ex partner mantiene dei diritti. Questa è la categoria di vittime che più spesso si rivolge alle forze dell’ordine, sviluppando però spesso un forte senso di colpa verso la violenza subita. Un’altra categoria di vittime è rappresentata da amici, vicini di casa o tra genitori e figli (comunque relazioni in cui non c’è un vincolo strettamente sentimentale). Lo stalking tra vicini di casa spesso ha origine per dispute condominiali o per abitudini di vita della vittima. Spesso l’offender diventa vendicativo e rancoroso; questi sentimenti danno origine a minacce, danneggiamenti, false denunce alle forze dell’ordine e sorveglianza costante della casa della vittima. Anche le relazioni di amicizia possono degenerare in stalking nel momento in cui l’offender ricerca un contatto intimo maggiore con la vittima, che glielo nega; spesso in questo caso il comportamento persecutorio è considerato dall’autore quasi alla stregua di un corteggiamento. Sono state individuate anche alcune categorie professionali particolarmente esposte allo stalking, per esempio medici (soprattutto psichiatri), avvocati ed insegnanti proprio per il tipo di relazione professionali che devono necessariamente instaurare con i potenziali offender. Le motivazioni che possono portare al comportamento di stalking variano dal desiderio di maggiore intimità fino alla rabbia per un trattamento
  • 12. avvertito come scorretto. Lo stalking può provenire genericamente anche da un collega di lavoro. Spesso il comportamento persecutorio è motivato dal risentimento per esempio per un licenziamento percepito come ingiusto e in questo caso la vittima può anche essere l’intera impresa o organizzazione. Anche lo stalking tra ex amanti può comunque coinvolgere il luogo di lavoro:l’offender spesso segue la vittima nei suoi spostamenti abituali coinvolgendo anche la sfera occupazionale oppure è proprio un collega di lavoro della vittima. Esistono anche casi di stalking in cui la vittima non dimostra di essere consapevole di avere avuto contatti con l’offender: spesso infatti la persona riceve regali e lettere senza conoscere il mittente. Una tipologia particolare di vittime sono invece le celebrità come attori, politici, soubrette o comunque persone che hanno una certa visibilità mediatica. Molti stalker che si approcciano a queste persone soffrono di malattie mentali. Gli episodi di violenza sono piuttosto rari, mentre il fatto tende ad essere enfatizzato a livello mediatico per il profilo particolare delle vittime. Il fattore di rischio è proprio l’esposizione pubblica, che comporta la conoscenza di particolari intimi della vita di queste persone, permettendo un’idealizzazione pericolosa per persone disturbate, che ricercano in qualche modo attenzione sia dalla celebrità colpita sia dal grande pubblico. Oltre alle tipologie di vittime sopra individuate, la letteratura ha permesso anche di classificare gli offender in base a due parametri fondamentali: la finalità e il contesto del comportamento persecutorio. Le tipologie individuate dalla letteratura sono cinque: quella del rifiutato; del risentito; del predatore; il bisognoso d’affetto e il corteggiatore incompetente. Lo stalker rifiutato è colui che inizia la condotta persecutoria alla fine di una rapporto di coppia (o alla fine di una relazione stretta come quella di amicizia) o nel momento in cui la vittima comunica che ha intenzione di mettere fine alla relazione. Le finalità di questo atteggiamento oscillano tra il desiderio di riallacciare la relazione su cui lo
  • 13. stalker aveva investito emotivamente e quello di vendicarsi del torto subito dalla vittima in seguito alla decisione di terminare il rapporto. Una delle due componenti può prevalere sull’altra in base agli atteggiamenti della vittima o alle circostanze di vita dell’offender. All’inizio della condotta persecutoria, lo stalker cerca di ristabilire la relazione manifestando amore e comportandosi come se la separazione non fosse avvenuta; il rifiuto della vittima genera poi i primi comportamenti violenti, come le minacce verbali, fino ad arrivare all’aggressione. In alcuni casi la posizione della vittima può alimentare ulteriormente la rabbia dell’offender, rendendolo più pericoloso. Questi individui hanno alcune caratteristiche psicologiche ricorrenti, come la scarsa socialità e la tendenza a sviluppare dipendenza verso le poche persone con cui intessono relazioni a causa della paura costante di essere rifiutati. Per questa ragione, spesso il legame affettivo è caratterizzato fin dal suo inizio da gelosia e possessione. Questo tipo di stalker è fra i più persistenti, adottando un vasto range di comportamenti intrusivi che vanno dalla continua ricerca di un contatto con la vittima attraverso telefonate, messaggi, lettere, fino al pedinamento e a comportamenti violenti, in un escalation. La categoria dello stalker risentito è colui che percepisce di avere subito un torto e vuole quindi vendicarsi di questo causando paura e dolore alla vittima. Il torto può essere sia reale sia frutto della paranoia dell’offender, ma comunque il sentimento che genera è di forte rabbia che trova il suo sfogo nella condotta persecutoria. La vittima può essere sia la persona da cui lo stalker ritiene di essere stato ferito sia qualcuno che rappresenta o che ricorda la persona che l’ha ferito. La delusione può essere di natura emotiva oppure può scaturire da una “umiliazione” professionale, che finisce per coinvolgere anche la vita privata della vittima. La persona si sente quindi in qualche modo giustificata nel suo comportamento: si considera un oppresso che sta combattendo con grande rabbia contro un’ingiustizia. È probabile che questa tipologia di stalker arrivi a minacciare la vittima con dei comportamenti appositamente calcolati per instillare il massimo timore possibile; il senso di controllo che ne deriva appaga momentaneamente la rabbia e il risentimento dello stalker. La categoria degli stalker predatori è quella meno frequente ma quella più pericolosa per le vittime. È rappresentata per lo più da uomini mentre le vittime possono essere sia donne che bambini che altri uomini. Lo stalking prelude all’aggressione perché la finalità è fondamentalmente quella di avere un rapporto sessuale, abbinato al desiderio di avere controllo e potere sulla vittima. Lo stalker prova un piacere sadico nello studiarla attentamente, imparando a conoscerla intimamente, senza che la vittima riesca a visualizzare con esattezza il pericolo. Molto spesso i comportamenti agiti sono finalizzati alla sorveglianza e al pedinamento, più raramente c’è la ricerca di contatti diretti che comunque hanno un contenuto spesso sessuale e osceno al fine di spaventare il destinatario. Spesso questo tipo di offender presenta dei comportamenti sessuali parafiliaci (pedofilia, esibizionismo e feticismo), e difficoltà ad avere relazioni sociali costruttive perché non è in grado di decodificare correttamente il comportamento altrui. Lo stalker bisognoso di affetto, invece, cerca di instaurare una relazione amorosa con la vittima, che può essere sia una persona parte della sua rete relazionale, sia una persona vista una sola volta per cui lo stalker dice di avere avuto un colpo di fulmine, oppure una celebrità. La vittimizzazione può essere molto lunga, ma con comportamenti molto poco intrusivi, tipici del corteggiamento (regali, lettere, telefonate). Anche in questo caso la persona presenta poche doti sociali, spesso è isolata e vive dolorosamente questa condizione. Si tratta di una tipologia di soggetti che raramente minaccia e commette violenza.
  • 14. L’ultima categoria di offender è quella del c.d. corteggiatore incompetente, la cui finalità è quella di stabilire una relazione sentimentale con la vittima. Si tratta, anche in questo caso, di una persona con scarse abilità sociali che non è in grado di accettare il rifiuto alle sue avances maldestre; è quindi probabile che vittimizzi più persone anche contemporaneamente, spinto dal desiderio spasmodico di avere una compagna (o compagno). Spesso il comportamento persecutorio non è però prolungato nel tempo. Ad ognuna di queste categorie individuate in letteratura corrisponde un diverso grado di pericolosità, offrendo un utile frame di riferimento ai professionisti nella gestione del singolo caso concreto. Il riferimento normativo che punisce lo stalking in Italia è l’art. 612 bis, introdotto nel codice penale dal D.L. 23.2.2009, n. 11, recante «Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori». È prevista una pena edittale da sei mesi a quattro anni. Perché effettivamente si configuri il reato di atti persecutori, sono necessarie tre condizioni fondamentali: 1. La reiterazione degli atti a carico della vittima; 2. Il fatto che questi atti generino paura e ansia costante nella vittima; 3. Un cambiamento di abitudini di vita della vittima. Il reato è stato ideato dal Legislatore non slolo per punire condotte illecite già verificatesi ma anche per evitare (con la prevenzione) che i comportamenti persecutori degenerino in episodi di violenza: la vittima può presentare richiesta di diffida all’Autorità di Pubblica Sicurezza che, su autorizzazione del pubblico ministero e in presenza di condizioni che fanno ritenere fondato ed esistente il pericolo di reiterazione delle condotte persecutorie, ammonisce l’offender di cessare la condotta crminale. Inoltre, le pene edittali previste dall’art. 612 bis c.p. prevedono l’applicabilità di misure cautelari per l’indagato (come ad es. gli arresti domiciliari, la custodia cautelare in carcere e l’allontanamento dalla casa familiare con obbligo di versare una somma per il mantenimento della vittima). Se l’avviso di cui sopra da parte dell’Atutorità di Pubblica Sicurezza non viene rispettato e se la vittima denuncia nuovamente lo stalker, il reato è perseguibile d’ufficio e la pena detentiva è aumentata fino a sei anni (la pena base è da sei mesi a quattro anni) così come è prevista una ipotesi aggravata se il fatto è commesso dal coniuge legalmente separato o divorziato o da persona che sia stata legata da una relazione affettiva alla persona offesa. la pena è aumentata fino alla metà se la vittima è un minore, una donna in stato di gravidanza o un portatore di handicap. il reato – nella sua forma non aggravata – è perseguibile a querela di parte con un termine di sei mesi per la valida proposizione (e non già di 90 giorni come nella “normale” querela). **** In tutti i casi in cui un soggetto si rivolge ad un professionista per la tutela in sede penale – e quantomai nel caso di una persona indagata o presunta vittima di stalking o violenza sessuale - è assolutamente fondamentale la corretta impostazione del primo colloquio con l’interessato per raccogliere le informazioni più adeguate a
  • 15. delineare anche nei particolari i fatti così come si sono realizzati (e come sono stati percepiti dal soggetto). Il ricorso in questi casi al colloquio investigativo è di fondamentale importanza: si tratta di un’intervista strutturata eseguita con alcuni particolari accorgimenti (l’accoglienza della persona interessata, la descrizione dei luoghi, del tempo etc.) che consentono al soggetto di ricordare particolari che credeva dimenticati e/o ininfluenti. Il colloquio è composto da diverse fasi che consentono la migliore esposizione dell’accaduto ovvero: 1. l’accoglienza della persona in Studio e l’instaurazione di un rapporto di serena cortesia; 2. la migliore comnprensione – per quanto possibile - delle caratteristiche caratteriali salienti della persona con la quale il professionista interloquissce e il suo ruolo nella dinamica del reato (vittima, offender, mitomane, persona psicologicamente disturbata etc.); 3. la possibile individuazione – nel caso del reato di stalking – della categoria più prossima tra quelle sopra indicate teorizzate dalla letteratura; 3. la descrizione libera della dinamica del fenomeno e dei singoli accadimenti; 4. la rievocazione – con le opportune domande del professionista – di particolari dell’accaduto (tempo, luogo, persone presenti etc.); 4. la descrizione del fenomeno in un ordine diverso da quella precedentemente già resa (ad esempio partendo dalla fine); 5. la proposizione di domande da parte del difensore atte a indagare i particolari della descrizione già resa (in entrambe le modalità di cui sopra); 6. il corretto, cortese e rassicurante commiato della persona intervistata. I contenuti da enfatizzare variano in base alla posizioni di vittima o di offender: nel primo caso sarà necessario definire come il problema è cambiato nel tempo, le metodologie messe in atto per gestire i comportamenti percepiti come persecutori e le emozioni generate nella persona. Se la persona invece è accusato del reato il focus dell’indagine sarà sulla presenza e l’entità dei rifiuti ricevuti e le reazioni ad essi, le modalità e i luoghi e la frequenza con cui i contatti sono avvenuti. Si tratta quindi di comprendere se la percezione della vittima in relazione ai comportamenti agiti è reale o sproporzionata ovvero se esiste una condotta dolosa effettivamente messa in atto per spaventare e controllare la vittima o se si tratta, al contrario, di una distorta percezione da parte della stessa di atti e comportamenti che persecutori non sono. BIBLIOGRAFIA: Barsotti, A., e G. Desideri, (2011), Stalking. Quanto il rifiuto di essere rifiutati conduce alla violenza, Milano, Ponte delle Grazie. Caldaroni, A., (2009), Stalking e atti persecutori, Roma, Edizioni Universitarie Romane. De Fazio, L., e C. Sgarbi, (2012), Stalking e rischio di violenza. Uno strumento per la valutazione e gestione del rischio, Milano, Franco Angeli. ISTAT, (2007), La violenza e i maltrattamenti contro le donne dentro e fuori la famiglia. Mullen, P.E., M. Pathé, e R. Purcell, (2008), Stalkers and their victims, Cambridge, Cambridge University Press.
  • 16. La violenza in ambito domestico: il fenomeno, le statistiche, la difesa dei soggetti coinvolti e l’abuso” del reato per fini strumentali. Spesso il luogo in cui l’individuo si sente più protetto diventa invece fonte di minaccia e di violenza; questo emerge dai casi di cronaca che riguardano episodi di violenza che si verificano all’interno delle mura casalinghe. Ma cosa si intende per violenza domestica? L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha formulato una definizione di questo fenomeno nel 1996: “Ogni forma di violenza fisica, psicologica o sessuale che riguarda tanto i soggetti che hanno, hanno avuto o si ripropongono di avere una relazione intima di coppia, quanto soggetti che all’interno del nucleo familiare più o meno allargato hanno relazioni di carattere parentale e affettivo.” La violenza intrafamiliare vede principalmente come vittime le donne e i minori,storicamente categorie sociali deboli e per questo più a rischio. È evidente una connotazione sessuale del fenomeno, e per questo spesso si ricorre all’espressione violenza di genere abbinata al fenomeno della violenza domestica, enfatizzando il concetto che le vittime sono per lo più (ma non solo) donne o bambine. La connotazione sessuale del fenomeno è ricondotta al fatto che la violenza domestica ha come presupposto fondamentale l’abuso della posizione dominate dell’uomo all’interno del contesto relazionale domestico, ed è proprio questa dimensione che dà origine ad una serie di comportamenti penalmente rilevanti. La violenza domestica, intesa come violenza di genere, è stata oggetto di più rilevazioni statistiche che hanno permesso di mettere in luce le connotazioni principali del fenomeno. L’indagine ISTAT svoltasi nel 2006 e pubblicata nel 2007ha per oggetto principale la violenza subita dalle donne sia dentro che fuori dalla famiglia. Essa mette in risalto come il numero delle donne tra i 16 e i 70 anni vittime di violenza fisica o sessuale nel corso della loro vita siano stimate in 6 milioni 743 mila. Il 14,3% delle donne intervistate ha subito almeno una volta nella vita violenza da un partner o da un ex partner; è la violenza fisica la forma più ricorrente di violenza
  • 17. domestica (12% dei casi). Gli atteggiamenti più frequenti che connotano il maltrattamento fisico consistono nello spintonare o strattonare la vittima (56,7% dei casi), nelle minacce di essere colpita fisicamente (52%) e nell’essere presa a calci o a pugni e morsa (36,1%). Le vittime vengono anche aggredite anche con oggetti,coltelli e pistole e subiscono tentativi di ustione, strangolamento e soffocamento. La caratteristica peculiare della violenza domestica da parte del partner è quella di essere nella maggior parte dei casi ripetuta nel tempo: infatti nel 61, 7% dei casi essa non si riduce ad un solo episodio. Anche nel momento in cui alla violenza fisica si abbina quella sessuale da parte del partner attuale, essa viene ripetuta nel tempo nel 91,1% dei casi. Gli atteggiamenti che connotano le aggressioni sessuali da parte dei partner sono principalmente i rapporti sessuali forzati o comunque percepiti come umilianti dalle vittime (70,5%). La tipologia più ricorrente di offender è l’ex marito o l’ex convivente (22,4% dei casi); questa categoria è seguita dagli ex fidanzati (13,7%) e poi dai mariti, conviventi (7,5%) e fidanzati attuali (5,9%). È proprio la violenza subita dall’ex marito che viene percepita come molto grave dalle vittime (48,6%), mentre solo il 32 % delle intervistate considera il fatto subito come un reato. La percezione più diffusa è quella di aver subito un fatto grave, ma comunque non un reato. Questo dato appare coerente con il fatto che solo il 7,3% delle violenze subite nella vita dalle vittime sono state denunciate; nel caso delle violenze subite dal fidanzato attuale, nessuna delle rispondenti ha denunciato il fatto alle forze dell’ordine. Le violenze maggiormente denunciate sono quelle subite dagli ex mariti e conviventi (17,8%).La tipologia vittimologica più colpita da episodi di violenza fisica in famiglia è quella delle donne separate o divorziate (45,6%), seguite poi dalle nubili (17,8%). In relazione a tale dato riferibile alle donne separate o divorziate, occorre però tenere ben presente che non è raro il grave fenomeno della denuncia calunniosa presentata (per lo più ma non esclusivamente) a carico degli uomini per motivi strumentali diversi da quelli tipici della repressione penale. Accade, invero, che nel corso di una separazione giudiziale travagliata vengano presentate alla Procura della Repubblica competente (come detrto, sia dalle donne che dagli uomini) delle notizie di reato del tutto infondate (o grandemente difformi dalla realtà dei fatti) a carico della controparte al fine di “corroborare” e rafforzare le pretese avanzate avanti al Giudice Civile (sia in relazione ai figli minorenni che in ordine al trattamento economico). Spesso la notitia criminis si riferisce a condotte violente quando a veri e propri maltrattamenti in danno anche della prole. La giustizia penale, così, è utilizzata quale strumento per l’ottenimento – in sede civile – di quanto preteso. La difesa in tali casi è assai ardua ed è spesso necessario (se non fondamentale) attuare attente indagini investigative difensive atte a dimnostrare la infondatezza e strumentalità delle accuse avanzate. Tornando ai maltrattamenti domestici, la statistica citata ha anche specificato che la fascia di età più colpita da questo fenomeno è quella compresa tra i 25 e i 34 anni, con livelli di istruzione medio-alti (laurea e diploma); si tratta spesso di donne che svolgono professioni dirigenziali, imprenditoriale o la libera professione (23,5%), immediatamente seguite da quelle in cerca di occupazione (20,7%) e dalle studentesse (17,9%). La violenza sessuale sembra essere più trasversale tranne nel caso dello stato civile con il picco delle separate/divorziate.
  • 18. La diffusione del fenomeno e la percezione della sua gravità vengono anche indagate dalla ricerca condotta nel 2010 dalla Commissione Europea sulla violenza domestica contro le donne. Per quanto riguarda il campione italiano, il 12% dei rispondenti conosce qualcuno che ha usato violenza a una donna nella sua cerchia familiare o amicale, mentre il 16% conosce una donna vittima di violenza da parte di familiari o amici. Gli episodi di violenza domestica vengono considerati inaccettabili e sempre punibili con la legge nell’87% dei casi e quasi il 90%dei rispondenti considerano molto gravi episodi di violenza fisica e psicologica, più del 75% del campione invece considera molto grave la violenza psicologica, la restrizione della libertà e la minaccia di atti violenti. È possibile trarre alcune conclusioni dall’analisi dei dati sopra esposti: • Si tratta di un fenomeno che risente della percezione sociale delle dinamiche familiari, riscontrabile sia nella vittimologia, sia nella comprensione delle vittime dell’evento subito e nella conseguente scelta di denunciare o meno il reato. • Si tratta di un fenomeno multi-dimensionale che comprende sia aspetti fisici, quindi evidentemente visibili, sia aspetti psicologici e deve la sua pericolosità al fatto di essere ripetuto nel tempo. • Si tratta di un fenomeno trasversale nella società, cioè indipendente da variabili come istruzione e reddito; assume quindi importanza la relazione vittime-offender che è quanto mai intima. La violenza domestica comprende in sé diverse tipologie di maltrattamenti ascrivibili alle categorie della violenza fisica, psicologica, sessuale e economica. Per violenza fisica si intendono tutti quei comportamenti volti a fare del male alla vittima, nella maggior parte dei casi procurando lesioni visibili. Il danno fisico deve essere quindi procurato in modo non accidentale con il ricorso o meno ad oggetti. Sono ricompresi in questa categoria calci, pugni, schiaffi, morsi, scossoni violenti, bruciature, strangolamenti e soffocamenti che spesso danno origine a lesioni fisiche visibili e quindi alla necessità di cure mediche di emergenza. Sono ricompresi in questa categoria anche atti che hanno una dimensione di contatto fisico con la finalità di mettere in soggezione e controllare continuamente la vittima (pedinamenti e molestie). La finalità di questi atteggiamenti è fare in modo che la vittima resti sotto lo stretto controllo dell’offender; la reazione psicologica di chi subisce questo tipo di violenza è l’analisi continua del proprio comportamento al fine di evitare ogni situazione che possa dare origine ad una reazione violenta. Dal un punto di vista penalistico, questi comportamenti ricadono nelle fattispecie di lesioni personali (ex artt. 582 e 583 c.p.), percosse (ex art 581 c.p.), maltrattamenti (ex art 572c.p.) fino al tentato omicidio o all’omicidio (art 585 c.p.). La violenza psicologica comprende invece una serie di atteggiamenti intimidatori, vessatori e denigratori e tattiche di isolamento da parte dell’offender. Si tratta quindi di ricatti, insulti, ridicolizzazioni e colpevolizzazioni, isolamento e limitazione dell’espressione personale. Il contatto continuo e forzato con l’offender genera nella vittima una sensazione di non essere in grado di prevedere quello che le succederà.
  • 19. Le conseguenze psicologiche sono la perdita della stima di sé e la colpevolizzazione per la situazione vissuta; anche in questo caso la reazione comportamentale della vittima è quella di compiacere l’abusante nella speranza di manifestare la sua adeguatezza, in una relazione completamente perversa. Nei casi più gravi si è verificata anche l’insorgenza di malattie mentali, abuso di sostanze, depressione e suicidio della vittima. Questa categorie è sicuramente più difficile da individuare rispetto alla precedente perché si tratta spesso di comportamenti subdoli. Si tratta tuttavia di atteggiamenti penalmente rilevanti, che possono dare origine ai reati di ingiuria (ex art.594 cp),violenza privata (ex art.610 c.p.), minaccia (ex art.612 c.p.), di lesioni se le violenze causano malattie del corpo e della mente (ex art.582 e 583 c.p.), di maltrattamenti (ex art.572 c.p.) e di sequestro di persona nei casi più gravi (ex art.605 c.p.). La violenza economica è finalizzata ad impedire l’indipendenza finanziaria della vittima da parte dell’offender. In questo modo quest’ultimo si garantisce il controllo completo sulla vittima. Atteggiamenti finalizzati a questo scopo sono per esempio quelli che impediscono la ricerca di un lavoro o la gestione del denaro della vittima e la privazione di ogni responsabilità economica. Se la vittima è straniera, l’abusante può impedire la messa in regola con i documenti di soggiorno. Questo tipo di atteggiamenti emergono chiaramente quando la vittima decide di uscire dalla relazione maltrattante e sicuramente questo si connota come uno degli aspetti più complessi della violenza subita. I reati che puniscono tali condotte sono la violazione degli obblighi di assistenza familiare (ex art. 570 c.p.), così come i maltrattamenti in famiglia (ex art. 572 c.p.) e la violenza privata (ex art. 610 c.p.). Quando la vittima subisce violenze sessuali o la costrizione ad avere rapporti, a prostituirsi, a visionare materiale pornografico e a subire atteggiamenti sessualmente connotati percepiti come non graditi, l’offender mette in atto comportamenti ascrivibili alla categoria della violenza sessuale. L’individuazione di questo tipo di comportamenti è anche in questo caso difficile, a causa dei segni fisici di cui non sempre resta traccia e per la reticenza delle donne alla denuncia; i reati che puniscono queste condotte sono quelli di violenza sessuale (ex art. 609 c.p. e ss). La finalità del controllo su ogni aspetto della vita della vittima è propria di tutti i comportamenti di cui si compone la violenza domestica, ma spesso l’offender arriva ad accostarsi alla vittima anche con telefonate, sms, mail non volute, seguendola e spiandola o sorvegliandone l’abitazione. Ancora, recapitando animali morti o danneggiando le proprietà della vittima. Questi atteggiamenti sono riconducibili allo stalking e hanno una connotazione ossessiva e persecutoria, continuativi nel tempo e generatori di una sensazione di terrore nella vittima. Questi comportamenti configurano il reato di atti persecutori (ex art 612 bis c.p.) introdotto nell’ordinamento italiano con il Decreto Legge 23 febbraio 2009, n. 11 (convertito in Legge 23 aprile 2009, n. 38). Tale circolo di violenza può inoltre riguardare direttamente o indirettamente i minori che vivono con l’offender. Anche i minori possono subire direttamente abusi fisici o sessuali o essere vittime della c.d. violenza assistita: il fatto di assistere a delle forme di violenza nei confronti di figure di riferimento genera una serie di traumi nel bambino che se non adeguatamente diagnosticati e curati possono comprometterne il corretto sviluppo psicologico.
  • 20. L’apparato sanzionatorio italiano non prevede un reato specifico di “violenza domestica”, tuttavia, come osservato sopra, tutti i comportamenti che vengono messi in atto nel contesto della violenza intrafamiliare sono riconducibili ad una precisa fattispecie penale come sopra evidenziato. Inoltre, alla Legge del 5 Aprile 2001, n. 154 ha disciplinato l’allontanamento del familiare abusante dal domicilio, evitando alla vittima di lasciare l’abitazione per mettere fine alle violenze; sotto il profilo civile viene introdotto l’”ordine di protezione contro gli abusi familiari”, con cui il giudice può disporre, oltre all’allontanamento dal domicilio, anche l’impossibilità per l’offender di frequentare luoghi abitualmente visitati dalla vittima, l’intervento del servizi sociali o di un centro di mediazione familiare (se ritenuto necessario) e il versamento di una somma per le persone conviventi che dovessero rimanere prive dei mezzi di sussistenza a causa dell’allontanamento derivato dalla violenza. Se, quindi, da un lato il sistema penale e civile si è dotato di riferimenti adatti per gestire e punire la violenza domestica, tale fenomeno ha ancora un grandissimo numero oscuro a causa delle resistenze culturali alla denuncia: il senso di vergogna, la paura di non essere creduti e la convinzione che la famiglia sia un ambito privato e inviolabile. Nel momento in cui le vittime decidono di denunciare la violenza subita, non è semplice reperire gli elementi di prova che confermano quanto affermato dalla vittima. Da questo punto di vista - così come nel caso di contrastare un’accusa strumentale avanzata solo per l’ottenimento di migliori condizioni di separazione - assumono un’importanza fondamentale le indagini difensive (introdotte nell’ordinamento dalla legge 7 dicembre 2000 n°397) gestite dall’avvocato difensore della persona offesa, che permettono di reperire gli elementi necessari prima dell’inizio del procedimento penale. La complessità del fenomeno rende necessario un approccio il più possibile integrato tra le forze dell’ordine, i legali e i Centri di Violenza che si occupano di queste problematiche. Inoltre, da un punto di vista preventivo, sono stati elaborati diversi approcci che mirano fondamentalmente a valutare i rischi di recidiva e di escalation della violenza, insite nell’abitualità di queste condotte criminose. Queste metodologie consistono nel stimare quale può essere la probabilità che la violenza subita si ripresenti, la sua natura, l’imminenza, l’intensità e la gravità degli eventi lesivi successivi al fine di evitare che questi avvengano. BIBLIOGRAFIA: Baldry A.C., (2008), Dai maltrattamenti all’omicidio. La valutazione del rischio di recidiva e dell’uxoricidio, Milano, Franco Angeli. Giordano E. A. e M. De Masellis, (2011), La violenza domestica. Percorsi giurisprudenziali,Milano, Giuffré Editore. ISPEL, (2008), Violenza domestica. Riflessioni, riferimenti e dati. ISTAT, (2007), La violenza e i maltrattamenti contro le donne dentro e fuori la famiglia. Zanasi F.M., (2006), Violenza in famiglia e stalking. Dalle indagini difensive agli ordini di protezione, Milano, Giuffré Editore.
  • 21. Lo Stalking. La corretta applicazione e l’abuso. Il reato di stalking è stato inserito nel nostro codice penale con la legge n. 11 del 23 febbraio 2009. In realtà il codice lo riporta all’art. 612 bis con la derubricazione di “Atti persecutori”. Effettivamente – anche dal punto di vista strettamente tecnico – l’innovazione ha colmato una lacuna che da anni affliggeva il codice ed a causa della quale diverse famiglie piangono giovani vittime quasi prevalentemente di sesso femminile. Antecedentemente all’innovazione, invero, i reati di molestie, ingiurie e minacce (ovvero quelli che principalmente erano realizzati dallo stalker) non permettevano l’applicazione di alcuna misura cautelare e prevedevano delle condanne (addirittura in certi casi solo pecuniarie) che certamente erano del tutto insufficienti a rappresentare un deterrente per il persecutore. Le stesse Forze dell’Ordine ed i Giudici, il più delle volte, non potevano che assistere praticamente inermi allo stillicidio quotidiano a cui era sottoposta la vittima che non riusciva ad uscire dal tunnel della persecuzione nemmeno presentando denunce querele a ripetizione.
  • 22. Non a caso il delitto in questione richiama immediatamente il caso non infrequente dell’amante che assoggetta a vessazione quotidiana la ex compagna o, comunque, la donna verso la quale dirige la sua totale e totalizzante attenzione. Il più delle volte lo schema è effettivamente questo e molti tra gli operatori della giustizia lo qualificano come delitto di genere poiché la vittima è al 90 – 95% dei casi una donna ed il carnefice è quasi sempre l’ex compagno. La condotta materiale che realizza il reato è estremamente varia: pedinamenti, telefonate, appostamenti, regali non desiderati, bigliettini lasciati al lavoro a casa o sull’auto, messaggi ripetuti su fb, e mail ossessive, fino ad arrivare a minacce di morte, ingiurie, percosse, lesioni ed altro sia dirette verso la vittima oppure agite nei confronti dei suoi cari, amici o conoscenti. Tutte azioni che sono in grado – per la loro invasività e ripetitività – di ingenerare nella vittima, ansia, paura stato continuo di stress costringendola a mutare il proprio stile di vita ed abitudini. Il reato è punito severamente (nel caso base da sei mesi a quattro anni di reclusione) e sono previsti pesanti aumenti di pena se il persecutore è l’ex marito o compagno della vittima o se è agito nei confronti di un minore. Il delitto è procedibile a querela (e questa è una particolarità poiché l’iniziativa non può di regola essere di ufficio come per la violenza sessuale) ma il termine per proporla validamente è di sei mesi dall’ultimo fatto (e non già di tre mesi). La pena edittale permette oggi di applicare eventualmente allo stolker una misura cautelare (ad esempio la custodia in carcere) ma sono previsti dal Legislatore anche altri meccanismi per la pronta dissuasione del persecutore. Invero:  la persona offesa, prima di sporgere la querela, si può rivolgere (anche tramite un difensore) alla Polizia o ai CC e chiedere che il persecutore venga ammonito. A seguito della richiesta l’istanza è trasmessa al Questore che – assunte le necessarie informazioni – potrà convocare il soggetto segnalato redigendo un verbale con il quale lo avverte di interrompere la sua condotta molesta e di rispettare le norme di legge:  se l’ammonito persevera, le pene in caso di condanna sono più severe;  a seguito dell’ammonimento il reato non è più perseguibile a querela ma di ufficio (ovvero al di là di una iniziativa di parte della vittima); Tuttavia, è importante segnalare che il reato di atti persecutori non è applicabile solo e solamente nel caso di soggetti che hanno intrattenuto una relazione sentimentale. Il Legislatore non pone alcun limite e l’art. 612 bis c.p. rappresenta oggi una fattispecie che tutela potenzialmente tutti coloro che sono vittime di comportamenti compulsivi, ripetuti e gravi agiti al fine o con la conseguenza di ingenerare nella vittima stress, ansia o paura (si pensi ai casi di rapporto di vicinato gravemente deteriorati). ***
  • 23. Se da un lato l’intervento del Legislatore è del tutto coerente con la necessità di assicurare una fattiva tutela in casi in cui precedentemente la vittima soccombeva, non si può non segnalare che a volte tale istituto viene applicato in maniera fin troppo “disinvolta” colpendo soggetti (ad esempio uomini abbandonati dalla propria compagna senza troppe spiegazioni e dopo una serena e duratura relazione sentimentale) che in maniera sostanzialmente civile cercano di riconquistare/contattare l’ex amante. Ed ecco allora che le richieste di spiegazione, l’attesa per una sera sotto casa dalla quale si è dovuti andare via una volta cessata la coabitazione e l’invio di un paio di mazzi di fiori, vengono interpretati con un eccesso di zelo che trasforma la fine di una relazione d’amore piuttosto frequente in un procedimento penale. In questi casi – ovviamente (lo ripetiamo poiché la riflessione non venga fraintesa) deve trattarsi di condotte assolutamente non violente e sporadiche tipiche solo di un tentativo di riallacciare i rapporti e nulla più – chi ha bisogno di un bravo difensore è proprio colui che viene denunciato. Lo Studio si occupa di assistenza tecnica sia nel caso di vittime del reato di atti persecutori (anche nella fase dell’ammonimento) sia di coloro che sono indagati per tale reato. La difesa deve spesso essere contraddistinta da grande celerità, chiarezza e completezza onde garantire alla parte assistita (sia persona offesa che denunciato) la pronta tutela della sua posizione trattandosi il più delle volte di soggetti fino a quel momento del tutto estranei ad esperienze giudiziarie. La violenza sessuale. Gli spetti rilevanti del reato. Il contesto concreto della difesa e l’approccio (anche) medico-legale. Il reato di violenza sessuale è sicuramente uno dei reati più gravi previsti dal nostro codice penale; preso atto, peraltro, anche delle diverse (e numerose) fattispecie di cui agli artt. 609 bis e ss c.p. (tra le quali si annoverano ad esempio la violenza sessuale di gruppo e diverse ipotesi di pedofilia).
  • 24. La gravità del reato ha – giustamente – un diretto riverbero anche sulla massima riprovevolezza morale che tale fatto reato suscita spontaneamente ed immediatamente nell’opinione pubblica soprattutto quando le vittime sono soggetti minori pre-impuberi. Ed effettivamente, la violenza sessuale nella maggioranza dei casi, produce terribili conseguenze sulle vittime sia sul piano fisico che, soprattutto, su quello psicologico. In tale quadro, bisogna anche sottolineare che l’indagato incolpato di fatti obbiettivamente percepiti come aberranti e intollerabili anche dal punto di vista del “sentire comune” è esposto al rischio di gravissime pene e fin dall’inizio del procedimento penale (ovvero anche durante la fase delle indagini preliminari) corre anche il serio pericolo di essere penalizzato nell’esercizio del suo costituzionale diritto di difesa proprio perché un’ipotesi di un reato così grave (sotto diversi punti di vista e, quindi, non solo giuridico) è indubbiamente una pregiudiziale impossibile da non tenere in considerazione (basti pensare che l’indagato per un reato sessuale posto in stato di custodia cautelare è tenuto separato da coloro che sono ristretti per reati c.d. comuni) nlla pianificazione ed attuazione della linea di difesa per l’assistito. In tali casi il difensore – con un approccio tecnico assolutamente dovuto per i doveri istituzionali e deontologici che regolano e sanciscono l’attività dell’avvocato – ha l’imperativo morale e giuridico di tutelare con il massimo impegno, solerzia ed attenzione i diritti del cliente proprio perché a fronte di una ipotesi di reato assolutamente grave, maggiore è il rischio che i diritti dell’incolpato siano lesi. Peraltro, bisogna sempre tenere presente che non è assolutamente raro che il soggetto indagato sia effettivamente innocente. In ogni caso, anche qualora fosse colpevole, egli è titolare di diritti assolutamente inviolabili che la Costituzione e l’ordinamento giudiziario riconoscono ad ogni cittadino (indagato o meno che sia e, ovviamente, anche se colpevole). Vorrei in questa sede riportare fedelmente un articolo credo di grande importanza comparso a pagina 117 del volume “Scienze forensi teoria e prassi dell’investigazione scientifica” edito da UTET (2009 – 2010) a cura del Dott. Massimo Picozzi e del Dott. Alberto Intini; articolo a firma del Dott. Andrea Gentiluomo e della Dott.ssa Cristina Cattaneo. Si tratta di una analisi attenta, precisa e completa del reato di violenza sessuale sia dal punto di vista generale che da quello dell’inqudramento giuridico. Articolo che rappresenta un importante punto di riferimento – a giudizio di chi scrive – per la comprensione del reato in parola e utile quale spunto per un’analisi ragionata delle possibili linee difensive (anche a tutela della persona offesa). Si riporta integralmente il passo citato: “I reati a sfondo sessuale pongono una complessa serie di problemi a tutti coloro che si trovano a dover affrontare una delle varie sfaccettature della questione. E’ evidente che un’aggressione sessuale ha implicazioni molteplici che riguardano il contesto ove si è sviluppata (familiare o extra familiare), le specificità soggettive della vittima (nella relazione con l’aggressore, con il suo ambiente di vita), le conseguenze sulla salute della vittima stesse e anche le conseguenze giudiziarie dell’episodio che necessariamente interferiranno con tutti gli altri assi sommariamente richiamati.
  • 25. Ne deriva che ogni intervento che l’episodio di violenza rende necessario deve necessariamente integrarsi con tutti gli altri, dovendosi necessariamente tenere conto primariamente delle complesse esigenze della persona vittima dell’aggressione. (…) Anche se le esigenze di cura, da intendere in senso ampio, devono essere l’obiettivo primario dell’intervento, le questioni di natura giudiziaria (nelle loro caratterizzazioni investigative e probatorie) sono nondimeno rilevanti, richiedendo una chiara impostazione in generale delle questioni in modo da poter pianificare le indagini cliniche secondo procedure idonee a dare la massima probabilità di acquisire, se presenti, informazioni e materiali utili per una soddisfacente conclusione della vicenda processuale. In questa prospettiva, è necessario chiarire subito che la violenza sessuale non è una diagnosi medica. Anche se l’esame clinico della vittima può permettere di acquisire elementi di valutazione rilevanti per l’assoluzione giudiziaria del problema, proprio perché la vittima è simultaneamente il testimone privilegiato della vicenda e, per così dire, l’elemento centrale della scena del crimine. In ogni caso, pur con cospicue limitazioni cautele, le rilevazioni medico-forensi e biologiche possono avere riflessi importanti sull’esito delle indagini dei giudizi, di modo che si tratta di una possibilità che, fatte salve le esigenze sanitarie generali, non può essere tralasciata. IL CONTESTO GIURIDICO È opportuno richiamare in sintesi i profili codicistici che costituiscono ovviamente lo sfondo entro il quale narrare gli interventi medici a finalità giudiziaria. L’art. 609 bis c.p. (violenza sessuale) stabilisce che “ chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da cinque a dieci anni alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali: 1) abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto; 2) traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona…..”. La 609-ter c.p. prevede varie circostanze aggravanti della violenza sessuale, identificate come segue: “… 1) nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni 14; 2) con l’uso di armi o di sostanze alcoliche, narcotiche o stupefacenti o di altri strumenti o sostanze gravemente lesivi della salute della persona offesa; 3) da persona travisata o che simuli la qualità di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio; 4) su persona comunque sottoposta a limitazioni della libertà personale; 5) nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni 16 della quale il colpevole sia l’ascendente, il genitore anche adottivo, il tutore. La pena è della reclusione da 7 a 14 anni se il fatto è commesso nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni 10 …”. L’articolo 600-quater c.p. (Atti sessuali con minorenne) definisce le sanzioni per contatti sessuali al di fuori dell’ipotesi di violenza, minaccia o abuso di autorità (cfr art. 609 bis) nei seguenti termini: “… soggiace alla pena stabilita dall’articolo 609 bis chiunque, al di fuori delle ipotesi previste in detto articolo, compie atti sessuali con persona che, al momento del fatto: 1) non ha compiuto gli anni 14; 2) non ha compiuto gli anni 16, quando il colpevole sia l’ascendente, il genitore, anche
  • 26. adottivo, o di lui convivente, il tutore, ovvero altra persona cui, per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza di custodia, il minore è affidato o che abbia, con quest’ultimo una relazione di convivenza. Al di fuori delle ipotesi previste dall’articolo 609 bis, l’ascendente, il genitore, anche adottivo, o il di lui convivente, o il tutore che, con l’abuso dei poteri connessi alla sua posizione, compie atti sessuali con persona minore che ha compiuto gli anni 16, è punito con la reclusione da tre a sei anni….”. Rammentiamo qui che il medesimo articolo stabilisce che: “…non è punibile il minorenne che, al di fuori delle ipotesi previste dall’articolo 609 bis, compie atti sessuali con un minorenne che abbia compiuto gli anni 13, se la differenza di età tra i soggetti non è superiore a tre anni…..”. In sostanza, si possono individuare aspetti distinti suscettibili di valutazione biomedica, in particolare: – quelli relativi all’elemento oggettivo del reato, riguardanti quindi le tracce del contatto sessuale; – quelli riconducibili alle circostanze del reato, relativi cioè alle tracce di costrizione fisica oppure connessi alle condizioni di inferiorità fisica o psichica; – attinenti alle eventuali ipotesi di aggravamento, quali l’uso di armi di sostanze alcoliche, la cotiche o stupefacenti o di altri strumenti o sostanze gravemente lesivi della salute della persona offesa; – quelli relativi all’identificazione dell’aggressore. Un’ultima avvertenza si rende necessaria. La tipologia di eventi è assai composita, ma dobbiamo necessariamente distinguere due campi essenziali, quello cioè relativo a fatti coinvolgenti soggetti prepuberi e quelli che vedono coinvolte vittime post-puberi. Fatte salve le inevitabili aree di sovrapposizione ed eventi del tutto particolari, per solito la situazione delittuosa che vede coinvolti soggetti pre-puberi è caratterizzata da lunga durata nel tempo, si realizza in ambiti familiari o a questi prossimi o assimilabili, vede coinvolti atti sessuali caratterizzati da una potenzialità di lesione tissutale molto limitata e, quasi sempre, non comporta una penetrazione vera e propria. In queste condizioni, la ricerca di una traccia del contatto sessuale sul corpo della vittima assume una evidente centralità probatoria, ma, disgraziatamente, e assai infrequente, poter rilevare segni chiaramente interpretabili (…). Nel caso del soggetto post-pubere, l’evento delittuoso per solito costituisce una circostanza isolata, anche quando si inserisce in un contesto socio ambientale personale multi problematico anche in queste evenienze, peraltro, molto frequentemente l’aggressore è persona nota alla vittima, di modo che lo stereotipo dello sconosciuto che aggredisce e scompare deve essere di molto ridimensionato. Chiaramente, ciò si riflette sulle esigenze probatorie specifiche, nel senso che può divenire meno determinante il rilievo clinico biologico in senso ampio, nel momento in cui non è in discussione se sia avvenuto un rapporto sessuale, ma se questo fosse
  • 27. esente da violenza, nelle varie declinazioni che la giurisprudenza ha dato il concetto generale, o estraneo a un’induzione a carattere abusivo”. LAW FIRM DE LALLA Via Francesco Sforza 19-20122 Milano Tel : 02.784003 Fax :02.36567455 info@studiolegaledelalla.it VAT 03244880963