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MANIPOLAZIONI DEL CORPO IN ADOLESCENZA.

                                    PIERCING E TATUAGGIO


                   Presentazione al convegno “Più o meno sedici anni” a cura di:
                        Alessandra Marcazzan e Francesca Maschietto



      Questa relazione propone la sintesi di alcuni esiti di una ricerca-intervento realizzata negli
ultimi mesi del 1998 dall’Istituto Minotauro per il Comune di Milano. Essa affronta il tema delle
manipolazioni del corpo in adolescenza, in particolare in riferimento al piercing e al tatuaggio.
      Il progetto della ricerca nasce da un insieme di considerazioni scaturite dall’osservazione
della recente e spettacolare diffusione di tali pratiche tra gli adolescenti della generazione attuale.
Piercing e tatuaggio, infatti, sono indubbiamente diffusi da tempo nelle frange, spesso marginali, di
alcune culture giovanili, musicali e non. La novità ci sembra rappresentata dall’esplosione attuale
della “moda” che ha fatto sì che tali pratiche, in un lasso di tempo relativamente breve, mutassero il
loro statuto da scelte eccentriche e minoritarie di alcuni individui perlopiù socialmente o
culturalmente ben connotati, a veri e propri oggetti di consumo generazionali, capaci di esercitare
una forte attrattiva nei confronti di un gran numero di adolescenti, indipendentemente dalle
differenze di estrazione sociale, economica e culturale. Fatto, questo, che stupisce maggiormente in
quanto né il tatuaggio, né il più recente piercing trovano una legittimazione nella nostra matrice
culturale (né tantomeno nella tradizione educativa), occidentale e cattolica, che da sempre non vede
di buon occhio la profanazione del corpo e considera i segni sulla pelle marchi d’infamia e
d’abiezione, più che ornamenti.
      Ci sembra una questione di particolare interesse interrogarsi e cercare di formulare delle
ipotesi circa gli scopi e le funzioni che tali pratiche possono rivestire nel contesto evolutivo
adolescenziale attuale. E’ noto infatti che la spettacolare propagazione delle “mode” è alimentata
dalla capacità degli oggetti da esse proposti di incarnare e concretizzare alcuni aspetti ineludibili,
fase-specifici, della crescita, fornendo loro un supporto materiale adeguato alle specificità del
contesto e rendendoli così accessibili a tutti.
      Un altro aspetto che ha focalizzato il nostro interesse sulle pratiche del piercing e del
tatuaggio è la loro ovvia e quasi sfacciata relazione con la dimensione della corporeità. Il corpo è il
luogo d’elezione per la manifestazione del conflitto durante l’adolescenza, il cui processo, dal punto
di vista psicodinamico (che sia visto come ridistribuzione degli investimenti pulsionali, o come
riorganizzazione delle relazioni oggettuali) si organizza proprio attorno all’acquisizione della
capacità di produrre una elaborazione simbolica ed una donazione di senso affettivo rispetto alle
grandi trasformazioni corporee puberali. Spesso, quindi, la manifestazione del disagio psichico in
adolescenza passa attraverso l’espressione corporea: il corpo viene utilizzato come strumento per la
comunicazione di conflitti profondi. Gli studi sulla psicopatologia dell’adolescenza sono ricchi di
esempi in tal senso. Primo tra tutti l’uso isterico del corpo da parte delle adolescenti studiate da
Freud, che attraverso lo svenimento, la paralisi, la cecità, le convulsioni e tutte le altre
manifestazioni della sintomatologia isterica mettevano platealmente in scena il conflitto edipico.
Altrettanto violenta è la manipolazione del corpo da parte delle adolescenti anoressiche e bulimiche,
che attraverso l’impossibile disciplina imposta al corpo lavorano alla costruzione di un ideale
dell’Io e di un modello di femminilità che sia in grado di soddisfare sia gli ideali di successo,
competitvità, prestigio e riconoscimento sociale proposti dal narcisismo paterno, sia la sacrificalità,
la negazione del bisogno e l’onnipotenza materne. Ancora, è stato largamente studiato l’uso
depressivo del corpo in adolescenza, che si manifesta tanto attraverso le esperienze anestetiche e
stupefacenti, quanto attraverso condotte eccitanti e spesso molto rischiose, in grado di sopraffare e
mettere a tacere senza simbolizzarlo l’innominabile dolore depressivo. Ancor più esemplare è
l’utilizzo del corpo nei disturbi di natura psicosomatica, in cui il corpo del bambino bisognoso di
cure e di attenzioni viene lasciato in ostaggio alla malattia e alla madre fino a quando l’adolescente,
attraverso un percorso diverso e scisso da quello della corporeità, sarà riuscito ad elaborare più
nitide ed attuali rappresentazioni di sé.
       Dunque, nonostante nel nostro caso non vi siano elementi per considerare tatuaggio e piercing
segnali dell’espressione di un particolare disagio, l’esame di tali pratiche si inserisce in un filone
molto ricco di studi circa le manipolazioni della corporeità in adolescenza.
       Coerentemente con il quadro teorico che ci contraddistingue, ci siamo domandati quali
funzioni tatuaggio e piercing esercitano ai fini della crescita, o, in altre parole, quali sono i compiti
evolutivi principalmente coinvolti. La natura di tali pratiche e le modalità della loro esecuzione
lasciavano aperte diverse ipotesi. Poteva darsi che piercing e tatuaggi fossero largamente apprezzati
dagli adolescenti in quanto favoriscono un sentimento di appropriazione e di “personalizzazione”
della corporeità, promuovendo in tal senso il distacco dai genitori e dalle proprie stesse immagini
infantili. In questo caso, il compito evolutivo prevalentemente coinvolto sarebbe quello relativo al
processo di separazione-individuazione.
       Oppure, tatuaggio e piercing potevano essere gli emblemi di un battesimo sociale consumato
in seno al gruppo dei pari, attraverso una celebrazione non priva di componenti rituali ed
iniziatiche, legate alla figura del tatuatore o dell’amico “esperto”, al dolore, al sangue. Avremmo
allora a che fare con una nuova procedura inventata dagli adolescenti di questa generazione per
organizzare e celebrare nuove nascite sociali.
       La collocazione di piercing e tatuaggi in distretti corporei altamente significativi dal punto di
vista della simbolizzazione affettiva ed erotica poteva inoltre chiamare in causa l’elaborazione di
nuovi piani e strategie per sancire l’ingresso nell’identità corporea maschile e femminile ed aprire
le trattative della contrattazione sessuale.
       In tutti i casi, l’esibizione plateale i tali insegne da parte di numerosi giovani e giovanissimi ci
legittimava a supporre l’esistenza una funzione referenziale, anche se non era ben chiaro quali scopi
avesse la comunicazione e, soprattutto, a chi fosse indirizzata. Ci è sembrato pertanto lecito
interrogare in proposito i diretti interessati, apertamente e su vasta scala, anche sulla scorta
dell’esperienza circa la forte motivazione da parte degli adolescenti a parlare delle cose che li
riguardano più da vicino con gli adulti, purché questi ultimi si dimostrino non troppo schiavi dei
loro pregiudizi e disposti ad ascoltarli.
       La ricerca è stata pertanto condotta su circa 500 studenti maschi e femmine di circa 16 anni,
frequentanti le classi II di sei Istituti Superiori milanesi.
       La metodologia adottata ha previsto una fase qualitativa, nella quale, attraverso interviste
individuali in profondità, sono state raccolte le opinioni di una cinquantina di adolescenti con e
senza piercing e tatuaggi circa la natura, il gradimento, le funzioni ed il destino di tali pratiche.
Sulla base di tali “autorevoli” dichiarazioni, e con l’intento di verificare le ipotesi a cui esse ci
avevano condotto, è stato costruito il questionario distribuito alla totalità del campione.
      I risultati sono stai interessanti e, in parte, inaspettati e sorprendenti. Vedremo ora di darne
una esposizione molto sintetica, area per area. Per semplicità, consideriamo insieme piercing e
tatuaggio, nonostante per certi aspetti le rappresentazioni offerteci dagli adolescenti circa le due
pratiche si differenzino.
      Gli argomenti affrontati dal questionario toccano gli aspetti maggiormente coinvolti
nell’esecuzione dei compiti evolutivi propri dell’adolescenza; schematizzando un po’, si possono
presentare facendo riferimento agli oggetti fase-specifici più significativi.


       Ci siamo quindi interrogati, e abbiamo interrogato gli intervistati, in merito alla funzione
svolta da piercing e tatuaggio nei confronti del gruppo adolescenziale dei pari età. Un’ipotesi
plausibile era che il gruppo fosse fortemente coinvolto nel fenomeno, a causa del suo
impareggiabile potere nell’influire sul processo decisionale dei suoi membri. Piercing e tatuaggio
potevano quindi essere le insegne di un atto di devozione al gruppo e ai suoi gusti, ai suoi modelli;
potevano funzionare da segnali di riconoscimento per i suoi membri, regalare senso di appartenenza
e contribuire all’elaborazione di un codice segreto e allo stesso tempo condiviso.
       Le risposte offerte dai questionari, tuttavia, non sembrano suffragare tali ipotesi. Il gruppo è,
sì, luogo di familiarizzazione delle pratiche e di contagio della moda, come dimostra il fatto che il
gradimento di piercing e tatuaggi da parte del soggetto intervistato cresce proporzionalmente al
numero degli amici che ne hanno. Gli adolescenti tuttavia negano abbastanza decisamente che il
gruppo possa essere condizionante in tal senso. La questione della “decisione” è stata
significativamente approfondita nel questionario, e in tutte le occasioni la maggioranza degli
intervistati hanno precisato che si tratta di una scelta autonoma e molto personale.
Depongono in tal senso anche le dichiarazioni sulla funzione di piercing e tatuaggio
all’interno della coppia. Nemmeno il partner di coppia sembra essere il destinatario privilegiato
delle pratiche. Il valore sia del piercing, che del tatuaggio nel sottolineare la sensualità del corpo è
ampiamente riconosciuto, e costituisce uno dei poli di attrazione verso tali pratiche, in particolare
per le femmine. Tuttavia, non sembra che tale prerogativa sia da intendersi in maniera strumentale
rispetto all’aumento del proprio potere seduttivo e delle chance di attrarre un partner. Anche rispetto
all’intimità e alla complicità della coppia vale lo stesso discorso: sia il piercing, che il tatuaggio
possono servire a sottolineare tali aspetti, in particolare se la decisione di farli viene presa assieme,
ma né sono necessari, né il loro valore dipende da essa. Tant’è che i partner si lasciano, e il
tatuaggio o il piercing rimane. Inoltre, che la funzione del piercing e del tatuaggio non sia, per lo
meno per la maggioranza del campione, principalmente erotica e sessuale, è dimostrato anche dallo
scarso interesse e dalla poca approvazione incontrata dalle pratiche più “estreme”, che investono la
lingua, i capezzoli o gli organi genitali.
       Non è quindi in virtù della formazione coppia erotica o del suo consolidamento che nascono
tali pratiche; anch’essa, come la compagnia degli amici, può al massimo fare da madrina.
       Piuttosto, è più facile che il pensiero, il sogno, e quindi il desiderio e la decisione sul piercing
e sul tatuaggio maturino all’interno della coppia amicale (o della relazione di coppia amicalizzata),
che svolge anche funzioni di sostegno e di incoraggiamento rispetto all’ansia legata all’operazione e
alla paura del dolore. Inoltre, agli amici e al partner è affidato il “compito” di applaudire e
festeggiare l’avvenimento in un misto di sentimenti di partecipazione commossa ed ammirazione
estatica.
       Un altro compito che avevamo ipotizzato potesse essere significativamente chiamato in causa
è quello della separazione dai genitori dell’infanzia. Deponevano in tal senso tutti gli aspetti
trasgressivi e ribelli di tali pratiche, la loro carica di protesta e la rivendicazione di uno statuto
“alternativo” (cioè autonomo) nei confronti del sociale più allargato ma anche, soprattutto, dei
propri stessi genitori. Avevamo infatti ragione di ritenere che sia il piercing, che il tatuaggio
incontrino ben poca approvazione sia da parte della mamma, a cui il corpo e la pelle del bambino
tradizionalmente appartengono, sia da parte del papà, che li reputa un pessimo biglietto da visita per
la presentazione del figlio al sociale. Tuttavia, anche questa ipotesi si è dimostrata valida solo per
una minoranza di adolescenti . La maggior parte dei ragazzi non ha alcun motivo né desiderio di
dare un dispiacere ai propri genitori, con i quali, grazie al nuovo contratto educativo familiare
fondato sull’amore e non sulla guerra, intrattiene da sempre rapporti pacifici e contrattuali. Così il
fatto di dover discutere con i genitori, e in molti casi contrariarli, è un sottoprodotto non voluto né
tantomeno ricercato dell’adesione a tali pratiche.
       Un’ultima questione era quella aperta dagli aspetti della ritualità e del dolore, quindi la
possibilità che piercing e tatuaggio rappresentino un’ultima, rivisitata edizione delle antiche
cerimonie di iniziazione, eventi ormai pressochè scomparsi anche sulla scena simbolica dalla nostra
società, che tende piuttosto ad anestetizzare tutte le separazioni ed a mediare le trasformazioni. In
questo caso, piercing e tatuaggio troverebbero il loro senso nel segnare, e rendere visibile a tutti, un
mutamento di status, un passaggio, presumibilmente da un area della crescita ancora
prevalentemente orientata ai valori dell’infanzia ad una nuova epoca, orientata verso la progettualità
e la decisionalità adulta. Il monile ed il disegno sarebbero quindi il pegno di un riconoscimento
conquistato a prezzo del proprio stesso sacrificio e dolore. Una parte di queste considerazioni
incontra in effetti l’assenso degli intervistati: nella fattispecie, la capacità di piercing e tatuaggio di
regalare identità e riconoscimento. Quello su cui la maggior parte degli adolescenti non concordano
è invece l’aspetto più propriamente iniziatico di tutta la faccenda, e cioè la necessità del sacrificio e
del dolore. E’ significativo in tal senso il fatto che parecchi di loro sarebbero ben disposti, se solo
fosse possibile, a farsi fare l’anestesia.

      Detto tutto questo, è legittimo chiedersi, allora, quali siano gli scopi e le funzioni per cui
queste due pratiche sono state non certo inventate, ma sicuramente riscoperte e diffuse oltre ogni
misura precedente dagli adolescenti della generazione attuale.
      In effetti, i concetti fondamentali intorno ai quali ruota il senso attribuito dagli adolescenti
intervistati a piercing e tatuaggio sono due: quello di “moda” e quello di “generazione”. Piercing e
tatuaggio sono attualmente così diffusi perché rappresentano una moda di questa generazione.
       La generazione è un soggetto psicologico molto particolare: a differenza del gruppo dei pari
tradizionalmente inteso, la “compagnia” degli amici, che ha comunque dei confini delimitati, per
quanto elastici, la generazione è veramente sovraindividuale e libera. Il requisito d’accesso è
minimo: basta avere più o meno la stessa età nello stesso periodo storico. In cambio, il senso di
appartenenza ed il rispecchiamento che essa offre a coloro che si riconoscono come suoi membri
gode della generosità e della potenza conferitale dalle sue dimensioni universali.
       Gli adolescenti di più o meno sedici anni che abbiamo intervistato ci dicono che il tatuaggio e
il piercing, in particolare quest’ultimo, sono propri della loro generazione. Il loro utilizzo da parte di
individui appartenenti a generazioni diverse è improprio; passi se si tratta di preadolescenti, che
vogliono “farsi vedere più grandi”, ma se se ne impossessano gli adulti, diventano tutto ciò che
solo la legittimazione offerta dalla generazione attraverso la moda impedisce agli adolescenti di
essere: ridicoli, pietosi, preoccupanti.
       Vi è dunque un soggetto psicologico in grado di offrire un’esperienza di rispecchiamento
molto potente, la generazione, che parla attraverso uno strumento, la moda, allo stesso tempo duttile
ed universale, in quanto propone oggetti di consumo mutevoli come il contesto di crescita e comuni
come i bisogni evolutivi profondi che saturano.
       Nel caso del piercing e del tatuaggio, questi ultimi rimandano ad uno scenario marcatamente
narcisistico e sono bene espressi dalle funzioni che gli adolescenti attribuiscono loro
prioritariamente: e cioè “essere alla moda”, farsi notare, ed abbellire, impreziosire il corpo.
       “Essere alla moda” è fondamentale perché la moda, per le caratteristiche dette, è in grado di
esercitare una funzione di sostegno determinante rispetto al delicato compito della definizione dei
gusti e degli ideali, ovvero dei valori di riferimento propri di quell’età e di quell’identità di genere.
In questo senso, moda è quindi in grado di fare le veci dell’ideale dell’Io.
Ma vi è un altro aspetto, proprio della “moda” in generale e di questa in particolare,
sottolineato dagli intervistati: il tatuaggio e il piercing permettono di “farsi notare”, regalano cioè
visibilità sociale. Sono un antidoto contro il rischio di passare sotto silenzio, inosservati, confusi
nella massa anonima. Invece proprio grazie a quell’orecchino o a quel disegno, sanciti dalla moda e
perciò solo apparentemente tutti uguali e omologati, è possibile sperimentare l’esperienza
insostituibile del rispecchiamento e del ritrovamento dell’oggetto. L’oggetto in funzione del quale
queste pratiche lavorano, infatti, come abbiamo visto non è né l’amico né la coppia né i genitori né
il gruppo, ma il sé.
       L’evento festeggiato con la comparsa del piercing o del tatuaggio è quindi la nascita di una
nuova rappresentazione di sé, applaudita dall’ammirazione dei coetanei e celebrata in maniera
indelebile, inscrivendola in quanto di più personale ed intimo possediamo, cioè il corpo. In questo
senso il piercing e il tatuaggio impreziosiscono il corpo: lo rendono più bello perché realmente lo
personalizzano, sottraendolo alla sua bruta naturalità e inserendovi la volontà, la decisione, il libero
arbitrio, realizzano la fusione tra mente e corpo, tra ideale e materiale, tra il metallo e la carne.

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Marcazzan, Maschietto - Manipolazioni del corpo in adolescenza: Piercing e tatuaggio

  • 1. MANIPOLAZIONI DEL CORPO IN ADOLESCENZA. PIERCING E TATUAGGIO Presentazione al convegno “Più o meno sedici anni” a cura di: Alessandra Marcazzan e Francesca Maschietto Questa relazione propone la sintesi di alcuni esiti di una ricerca-intervento realizzata negli ultimi mesi del 1998 dall’Istituto Minotauro per il Comune di Milano. Essa affronta il tema delle manipolazioni del corpo in adolescenza, in particolare in riferimento al piercing e al tatuaggio. Il progetto della ricerca nasce da un insieme di considerazioni scaturite dall’osservazione della recente e spettacolare diffusione di tali pratiche tra gli adolescenti della generazione attuale. Piercing e tatuaggio, infatti, sono indubbiamente diffusi da tempo nelle frange, spesso marginali, di alcune culture giovanili, musicali e non. La novità ci sembra rappresentata dall’esplosione attuale della “moda” che ha fatto sì che tali pratiche, in un lasso di tempo relativamente breve, mutassero il loro statuto da scelte eccentriche e minoritarie di alcuni individui perlopiù socialmente o culturalmente ben connotati, a veri e propri oggetti di consumo generazionali, capaci di esercitare una forte attrattiva nei confronti di un gran numero di adolescenti, indipendentemente dalle differenze di estrazione sociale, economica e culturale. Fatto, questo, che stupisce maggiormente in quanto né il tatuaggio, né il più recente piercing trovano una legittimazione nella nostra matrice culturale (né tantomeno nella tradizione educativa), occidentale e cattolica, che da sempre non vede di buon occhio la profanazione del corpo e considera i segni sulla pelle marchi d’infamia e d’abiezione, più che ornamenti. Ci sembra una questione di particolare interesse interrogarsi e cercare di formulare delle ipotesi circa gli scopi e le funzioni che tali pratiche possono rivestire nel contesto evolutivo adolescenziale attuale. E’ noto infatti che la spettacolare propagazione delle “mode” è alimentata dalla capacità degli oggetti da esse proposti di incarnare e concretizzare alcuni aspetti ineludibili, fase-specifici, della crescita, fornendo loro un supporto materiale adeguato alle specificità del contesto e rendendoli così accessibili a tutti. Un altro aspetto che ha focalizzato il nostro interesse sulle pratiche del piercing e del tatuaggio è la loro ovvia e quasi sfacciata relazione con la dimensione della corporeità. Il corpo è il luogo d’elezione per la manifestazione del conflitto durante l’adolescenza, il cui processo, dal punto
  • 2. di vista psicodinamico (che sia visto come ridistribuzione degli investimenti pulsionali, o come riorganizzazione delle relazioni oggettuali) si organizza proprio attorno all’acquisizione della capacità di produrre una elaborazione simbolica ed una donazione di senso affettivo rispetto alle grandi trasformazioni corporee puberali. Spesso, quindi, la manifestazione del disagio psichico in adolescenza passa attraverso l’espressione corporea: il corpo viene utilizzato come strumento per la comunicazione di conflitti profondi. Gli studi sulla psicopatologia dell’adolescenza sono ricchi di esempi in tal senso. Primo tra tutti l’uso isterico del corpo da parte delle adolescenti studiate da Freud, che attraverso lo svenimento, la paralisi, la cecità, le convulsioni e tutte le altre manifestazioni della sintomatologia isterica mettevano platealmente in scena il conflitto edipico. Altrettanto violenta è la manipolazione del corpo da parte delle adolescenti anoressiche e bulimiche, che attraverso l’impossibile disciplina imposta al corpo lavorano alla costruzione di un ideale dell’Io e di un modello di femminilità che sia in grado di soddisfare sia gli ideali di successo, competitvità, prestigio e riconoscimento sociale proposti dal narcisismo paterno, sia la sacrificalità, la negazione del bisogno e l’onnipotenza materne. Ancora, è stato largamente studiato l’uso depressivo del corpo in adolescenza, che si manifesta tanto attraverso le esperienze anestetiche e stupefacenti, quanto attraverso condotte eccitanti e spesso molto rischiose, in grado di sopraffare e mettere a tacere senza simbolizzarlo l’innominabile dolore depressivo. Ancor più esemplare è l’utilizzo del corpo nei disturbi di natura psicosomatica, in cui il corpo del bambino bisognoso di cure e di attenzioni viene lasciato in ostaggio alla malattia e alla madre fino a quando l’adolescente, attraverso un percorso diverso e scisso da quello della corporeità, sarà riuscito ad elaborare più nitide ed attuali rappresentazioni di sé. Dunque, nonostante nel nostro caso non vi siano elementi per considerare tatuaggio e piercing segnali dell’espressione di un particolare disagio, l’esame di tali pratiche si inserisce in un filone molto ricco di studi circa le manipolazioni della corporeità in adolescenza. Coerentemente con il quadro teorico che ci contraddistingue, ci siamo domandati quali funzioni tatuaggio e piercing esercitano ai fini della crescita, o, in altre parole, quali sono i compiti evolutivi principalmente coinvolti. La natura di tali pratiche e le modalità della loro esecuzione lasciavano aperte diverse ipotesi. Poteva darsi che piercing e tatuaggi fossero largamente apprezzati dagli adolescenti in quanto favoriscono un sentimento di appropriazione e di “personalizzazione” della corporeità, promuovendo in tal senso il distacco dai genitori e dalle proprie stesse immagini infantili. In questo caso, il compito evolutivo prevalentemente coinvolto sarebbe quello relativo al processo di separazione-individuazione. Oppure, tatuaggio e piercing potevano essere gli emblemi di un battesimo sociale consumato in seno al gruppo dei pari, attraverso una celebrazione non priva di componenti rituali ed iniziatiche, legate alla figura del tatuatore o dell’amico “esperto”, al dolore, al sangue. Avremmo allora a che fare con una nuova procedura inventata dagli adolescenti di questa generazione per organizzare e celebrare nuove nascite sociali. La collocazione di piercing e tatuaggi in distretti corporei altamente significativi dal punto di vista della simbolizzazione affettiva ed erotica poteva inoltre chiamare in causa l’elaborazione di
  • 3. nuovi piani e strategie per sancire l’ingresso nell’identità corporea maschile e femminile ed aprire le trattative della contrattazione sessuale. In tutti i casi, l’esibizione plateale i tali insegne da parte di numerosi giovani e giovanissimi ci legittimava a supporre l’esistenza una funzione referenziale, anche se non era ben chiaro quali scopi avesse la comunicazione e, soprattutto, a chi fosse indirizzata. Ci è sembrato pertanto lecito interrogare in proposito i diretti interessati, apertamente e su vasta scala, anche sulla scorta dell’esperienza circa la forte motivazione da parte degli adolescenti a parlare delle cose che li riguardano più da vicino con gli adulti, purché questi ultimi si dimostrino non troppo schiavi dei loro pregiudizi e disposti ad ascoltarli. La ricerca è stata pertanto condotta su circa 500 studenti maschi e femmine di circa 16 anni, frequentanti le classi II di sei Istituti Superiori milanesi. La metodologia adottata ha previsto una fase qualitativa, nella quale, attraverso interviste individuali in profondità, sono state raccolte le opinioni di una cinquantina di adolescenti con e senza piercing e tatuaggi circa la natura, il gradimento, le funzioni ed il destino di tali pratiche. Sulla base di tali “autorevoli” dichiarazioni, e con l’intento di verificare le ipotesi a cui esse ci avevano condotto, è stato costruito il questionario distribuito alla totalità del campione. I risultati sono stai interessanti e, in parte, inaspettati e sorprendenti. Vedremo ora di darne una esposizione molto sintetica, area per area. Per semplicità, consideriamo insieme piercing e tatuaggio, nonostante per certi aspetti le rappresentazioni offerteci dagli adolescenti circa le due pratiche si differenzino. Gli argomenti affrontati dal questionario toccano gli aspetti maggiormente coinvolti nell’esecuzione dei compiti evolutivi propri dell’adolescenza; schematizzando un po’, si possono presentare facendo riferimento agli oggetti fase-specifici più significativi. Ci siamo quindi interrogati, e abbiamo interrogato gli intervistati, in merito alla funzione svolta da piercing e tatuaggio nei confronti del gruppo adolescenziale dei pari età. Un’ipotesi plausibile era che il gruppo fosse fortemente coinvolto nel fenomeno, a causa del suo impareggiabile potere nell’influire sul processo decisionale dei suoi membri. Piercing e tatuaggio potevano quindi essere le insegne di un atto di devozione al gruppo e ai suoi gusti, ai suoi modelli; potevano funzionare da segnali di riconoscimento per i suoi membri, regalare senso di appartenenza e contribuire all’elaborazione di un codice segreto e allo stesso tempo condiviso. Le risposte offerte dai questionari, tuttavia, non sembrano suffragare tali ipotesi. Il gruppo è, sì, luogo di familiarizzazione delle pratiche e di contagio della moda, come dimostra il fatto che il gradimento di piercing e tatuaggi da parte del soggetto intervistato cresce proporzionalmente al numero degli amici che ne hanno. Gli adolescenti tuttavia negano abbastanza decisamente che il gruppo possa essere condizionante in tal senso. La questione della “decisione” è stata significativamente approfondita nel questionario, e in tutte le occasioni la maggioranza degli intervistati hanno precisato che si tratta di una scelta autonoma e molto personale.
  • 4. Depongono in tal senso anche le dichiarazioni sulla funzione di piercing e tatuaggio all’interno della coppia. Nemmeno il partner di coppia sembra essere il destinatario privilegiato delle pratiche. Il valore sia del piercing, che del tatuaggio nel sottolineare la sensualità del corpo è ampiamente riconosciuto, e costituisce uno dei poli di attrazione verso tali pratiche, in particolare per le femmine. Tuttavia, non sembra che tale prerogativa sia da intendersi in maniera strumentale rispetto all’aumento del proprio potere seduttivo e delle chance di attrarre un partner. Anche rispetto all’intimità e alla complicità della coppia vale lo stesso discorso: sia il piercing, che il tatuaggio possono servire a sottolineare tali aspetti, in particolare se la decisione di farli viene presa assieme, ma né sono necessari, né il loro valore dipende da essa. Tant’è che i partner si lasciano, e il tatuaggio o il piercing rimane. Inoltre, che la funzione del piercing e del tatuaggio non sia, per lo meno per la maggioranza del campione, principalmente erotica e sessuale, è dimostrato anche dallo scarso interesse e dalla poca approvazione incontrata dalle pratiche più “estreme”, che investono la lingua, i capezzoli o gli organi genitali. Non è quindi in virtù della formazione coppia erotica o del suo consolidamento che nascono tali pratiche; anch’essa, come la compagnia degli amici, può al massimo fare da madrina. Piuttosto, è più facile che il pensiero, il sogno, e quindi il desiderio e la decisione sul piercing e sul tatuaggio maturino all’interno della coppia amicale (o della relazione di coppia amicalizzata), che svolge anche funzioni di sostegno e di incoraggiamento rispetto all’ansia legata all’operazione e alla paura del dolore. Inoltre, agli amici e al partner è affidato il “compito” di applaudire e festeggiare l’avvenimento in un misto di sentimenti di partecipazione commossa ed ammirazione estatica. Un altro compito che avevamo ipotizzato potesse essere significativamente chiamato in causa è quello della separazione dai genitori dell’infanzia. Deponevano in tal senso tutti gli aspetti trasgressivi e ribelli di tali pratiche, la loro carica di protesta e la rivendicazione di uno statuto “alternativo” (cioè autonomo) nei confronti del sociale più allargato ma anche, soprattutto, dei propri stessi genitori. Avevamo infatti ragione di ritenere che sia il piercing, che il tatuaggio incontrino ben poca approvazione sia da parte della mamma, a cui il corpo e la pelle del bambino tradizionalmente appartengono, sia da parte del papà, che li reputa un pessimo biglietto da visita per la presentazione del figlio al sociale. Tuttavia, anche questa ipotesi si è dimostrata valida solo per una minoranza di adolescenti . La maggior parte dei ragazzi non ha alcun motivo né desiderio di dare un dispiacere ai propri genitori, con i quali, grazie al nuovo contratto educativo familiare fondato sull’amore e non sulla guerra, intrattiene da sempre rapporti pacifici e contrattuali. Così il fatto di dover discutere con i genitori, e in molti casi contrariarli, è un sottoprodotto non voluto né tantomeno ricercato dell’adesione a tali pratiche. Un’ultima questione era quella aperta dagli aspetti della ritualità e del dolore, quindi la possibilità che piercing e tatuaggio rappresentino un’ultima, rivisitata edizione delle antiche cerimonie di iniziazione, eventi ormai pressochè scomparsi anche sulla scena simbolica dalla nostra società, che tende piuttosto ad anestetizzare tutte le separazioni ed a mediare le trasformazioni. In questo caso, piercing e tatuaggio troverebbero il loro senso nel segnare, e rendere visibile a tutti, un
  • 5. mutamento di status, un passaggio, presumibilmente da un area della crescita ancora prevalentemente orientata ai valori dell’infanzia ad una nuova epoca, orientata verso la progettualità e la decisionalità adulta. Il monile ed il disegno sarebbero quindi il pegno di un riconoscimento conquistato a prezzo del proprio stesso sacrificio e dolore. Una parte di queste considerazioni incontra in effetti l’assenso degli intervistati: nella fattispecie, la capacità di piercing e tatuaggio di regalare identità e riconoscimento. Quello su cui la maggior parte degli adolescenti non concordano è invece l’aspetto più propriamente iniziatico di tutta la faccenda, e cioè la necessità del sacrificio e del dolore. E’ significativo in tal senso il fatto che parecchi di loro sarebbero ben disposti, se solo fosse possibile, a farsi fare l’anestesia. Detto tutto questo, è legittimo chiedersi, allora, quali siano gli scopi e le funzioni per cui queste due pratiche sono state non certo inventate, ma sicuramente riscoperte e diffuse oltre ogni misura precedente dagli adolescenti della generazione attuale. In effetti, i concetti fondamentali intorno ai quali ruota il senso attribuito dagli adolescenti intervistati a piercing e tatuaggio sono due: quello di “moda” e quello di “generazione”. Piercing e tatuaggio sono attualmente così diffusi perché rappresentano una moda di questa generazione. La generazione è un soggetto psicologico molto particolare: a differenza del gruppo dei pari tradizionalmente inteso, la “compagnia” degli amici, che ha comunque dei confini delimitati, per quanto elastici, la generazione è veramente sovraindividuale e libera. Il requisito d’accesso è minimo: basta avere più o meno la stessa età nello stesso periodo storico. In cambio, il senso di appartenenza ed il rispecchiamento che essa offre a coloro che si riconoscono come suoi membri gode della generosità e della potenza conferitale dalle sue dimensioni universali. Gli adolescenti di più o meno sedici anni che abbiamo intervistato ci dicono che il tatuaggio e il piercing, in particolare quest’ultimo, sono propri della loro generazione. Il loro utilizzo da parte di individui appartenenti a generazioni diverse è improprio; passi se si tratta di preadolescenti, che vogliono “farsi vedere più grandi”, ma se se ne impossessano gli adulti, diventano tutto ciò che solo la legittimazione offerta dalla generazione attraverso la moda impedisce agli adolescenti di essere: ridicoli, pietosi, preoccupanti. Vi è dunque un soggetto psicologico in grado di offrire un’esperienza di rispecchiamento molto potente, la generazione, che parla attraverso uno strumento, la moda, allo stesso tempo duttile ed universale, in quanto propone oggetti di consumo mutevoli come il contesto di crescita e comuni come i bisogni evolutivi profondi che saturano. Nel caso del piercing e del tatuaggio, questi ultimi rimandano ad uno scenario marcatamente narcisistico e sono bene espressi dalle funzioni che gli adolescenti attribuiscono loro prioritariamente: e cioè “essere alla moda”, farsi notare, ed abbellire, impreziosire il corpo. “Essere alla moda” è fondamentale perché la moda, per le caratteristiche dette, è in grado di esercitare una funzione di sostegno determinante rispetto al delicato compito della definizione dei gusti e degli ideali, ovvero dei valori di riferimento propri di quell’età e di quell’identità di genere. In questo senso, moda è quindi in grado di fare le veci dell’ideale dell’Io.
  • 6. Ma vi è un altro aspetto, proprio della “moda” in generale e di questa in particolare, sottolineato dagli intervistati: il tatuaggio e il piercing permettono di “farsi notare”, regalano cioè visibilità sociale. Sono un antidoto contro il rischio di passare sotto silenzio, inosservati, confusi nella massa anonima. Invece proprio grazie a quell’orecchino o a quel disegno, sanciti dalla moda e perciò solo apparentemente tutti uguali e omologati, è possibile sperimentare l’esperienza insostituibile del rispecchiamento e del ritrovamento dell’oggetto. L’oggetto in funzione del quale queste pratiche lavorano, infatti, come abbiamo visto non è né l’amico né la coppia né i genitori né il gruppo, ma il sé. L’evento festeggiato con la comparsa del piercing o del tatuaggio è quindi la nascita di una nuova rappresentazione di sé, applaudita dall’ammirazione dei coetanei e celebrata in maniera indelebile, inscrivendola in quanto di più personale ed intimo possediamo, cioè il corpo. In questo senso il piercing e il tatuaggio impreziosiscono il corpo: lo rendono più bello perché realmente lo personalizzano, sottraendolo alla sua bruta naturalità e inserendovi la volontà, la decisione, il libero arbitrio, realizzano la fusione tra mente e corpo, tra ideale e materiale, tra il metallo e la carne.