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Su senso comune, percezione e ragionamento*

                                         MARCELLO FRIXIONE
                  Dipartimento di Scienze della Comunicazione – Università di Salerno
                                       e.mail: frix@dist.unige.it


       Abstract: In the last decades the notion of common sense has been a central theme of research
within the field of the cognitive sciences. In this paper the expression common sense is used to refer to
those forms of knowledge that are common to all human beings, and therefore does not depend on
cultural factors: common sense constitutes a shared substratum to all human cognitive activities,
presumably determined by our biological nature. I distinguish between common sense ontology and
common sense forms of reasoning, and I suggest that most of the quot;errorsquot; of the common sense could be
explained in terms of their efficacy in coping with our limitations in accessing and processing relevant
knowledge in everyday situations.

       Negli ultimi decenni, nell’ambito delle scienze cognitive, il problema di cosa sia e
come sia organizzata la conoscenza di senso comune è diventato un tema centrale di
ricerca. Numerosi sono stati i convegni e i seminari, i libri e le riviste in cui si è trattato
con sempre maggiore frequenza di argomenti quali la fisica del senso comune, la
biologia del senso comune, la psicologia del senso comune, il ragionamento di senso
comune, e così via1. Nell’ambito dell’intelligenza artificiale le strutture del senso
comune sono state indagate con lo scopo di individuarne opportune formalizzazioni da
utilizzare per la realizzazione di programmi per calcolatore e di modelli
computazionali2. Negli ultimi anni quindi il senso comune è stato elevato al rango di
oggetto di indagine scientifica. E’ opportuno però in primo luogo precisare cosa si
debba intendere per senso comune in questo contesto.

1. Cosa si intende per senso comune

       L’espressione senso comune può indicare molte cose diverse. In questo intervento
la intenderò in un’accezione particolare, che spesso viene impiegata nell’ambito delle
scienze cognitive3. Secondo questa accezione, il senso comune ha a che fare con ciò che
in qualche modo è comune alle conoscenze, al bagaglio cognitivo di tutti gli esseri
umani. Il senso comune costituisce cioè una sorta di sottofondo condiviso, comune a
tutto ciò che noi in quanto umani sappiamo o conosciamo quando agiamo sul mondo.
       In particolare, il senso comune ha a che fare con tutte quelle assunzioni che gli
esseri umani fanno proprie a un livello così profondo che, normalmente, non si rendono
neppure conto di condividere. Nessuno, in condizioni normali, reputa utile o necessario
renderle esplicite, tematizzarle come conoscenze. Esse piuttosto fanno parte di quel


*
  Questo testo è una versione ridotta di un intervento presentato al convegno Il vino del mare: gli spazi del
paesaggio tra i tempi della tradizione e i tempi della conoscenza, tenutosi a Riomaggiore il 26 e 27
febbraio 1999. Tale intervento è attualmente in corso di stampa negli atti del convegno.
1
  Talvolta, in maniera equivalente, si parla anche di fisica ingenua (naïve physics), psicologia ingenua
(naïve psychology), eccetera.
2
  Si vedano ad esempio (Davis 1990; Hobbs e Moore 1985; Weld e de Kleer 1989).
3
  Per una panoramica generale su questa nozione di senso comune si veda ad esempio (Smith 1992).



Frixione                                                     1
substrato condiviso di informazioni che ci serve come base per percepire il mondo, per
muoverci in esso, per agire, per ragionare, per parlare e per comunicare tra di noi.
       I seguenti enunciati, ad esempio, rappresentano credenze che potrebbero a buon
diritto essere considerate parte del senso comune:
•    Esistono altre menti. Io non sono l’unico soggetto pensante dell’universo; esistono
     altri individui dotati di pensiero e soggettività, e in particolare sono tali tutti gli
     esseri umani.
•    Esiste una realtà esterna, la quale è data indipendentemente e al di fuori delle
     nostre menti.
•    Esiste un alto e un basso. Esiste cioè un orientamento che attiene allo spazio in
     modo intrinseco.
•    Di norma un oggetto fisico non cessa di esistere anche se esce dal raggio di azione
     dei nostri sensi.
       In un certo senso, questi enunciati asseriscono delle banalità assolute, delle cose
che sono troppo ovvie perché sembri importante prenderle in considerazione in modo
esplicito. E’ proprio in questo senso che si può affermare che esse fanno parte del senso
comune.
       Il fatto che una data credenza faccia parte del senso comune, e che quindi, in
quanto tale, sia in un certo senso sempre condivisa da ognuno, non vuol dire che, ad un
altro livello di astrazione, essa non possa essere messa in discussione. Ad esempio per la
scienza moderna, per la fisica è falso che esistano un alto e un basso assoluti. Anche i
primi due enunciati sopra riportati sono stati tal volta messi in dubbio nel corso della
storia del pensiero: certe forme di idealismo negano l’esistenza di un mondo dato
indipendentemente dalle nostre menti; un solipsista negherebbe l’esistenza di altre
menti.
       Il punto interessante però è che enunciati come questi, a prescindere dalla loro
verità o falsità, hanno la caratteristica che, sebbene a un certo livello (a un livello di
pensiero, per così dire, “astratto”) possano essere messi in discussione, pur tuttavia ad
un altro livello di pensiero (a un livello più immediato e quotidiano) continuano ad
essere accettati implicitamente da ognuno di noi. Anche quando questo tipo di credenze
vengono messe in discussione sul piano razionale, tuttavia, in un certo senso, si continua
ad accettarle e ad usarle. Tutti ormai “sappiamo” che l’alto e il basso assoluti non
esistono, ma ciascuno di noi, fisici compresi, quando ci muoviamo quotidianamente nel
mondo continuiamo a farlo basandoci fiduciosamente in una ingenua distinzione tra il
sopra e il sotto. Anche il solipsista nella vita di tutti i giorni accetta implicitamente
l'esistenza di altre menti. Ad esempio, quando cerca di convincerci della sensatezza
della sua posizione, allora di fatto non è più solipsista, perché implicitamente assume
che esista qualcun altro (e quindi una mente diversa dalla sua) da convincere della bontà
delle proprie tesi.
       Da questo punto di vista le credenze del senso comune sono in qualche senso
simili alle illusioni percettive. Vedremo nel seguito come questa analogia sia
probabilmente qualcosa di più di una semplice metafora, e come sia ricca di
conseguenze interessanti. Consideriamo ad esempio l’illusione di Ponzo. Essa è causata
da una figura come la seguente, dove due segmenti orizzontali paralleli di uguale
lunghezza sono compresi tra due segmenti convergenti.




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L’illusione consiste nel fatto che, a colpo d’occhio, i due segmenti orizzontali
sembrano di lunghezza diversa: il segmento più in alto sembra più lungo di quello che si
trova più in basso. Se li si misura si scopre che in realtà non è così, e che i due segmenti
hanno esattamente la stessa lunghezza. Ma, in un certo senso, non si riesce ad eliminare
l’illusione: si continuano a vedere i due segmenti diversi anche se si sa benissimo che
sono uguali, e che è possibile sincerarsene misurandoli. In casi come questi, l’illusione a
livello percettivo è, in un certo senso, più forte della consapevolezza razionale.
       Esiste un senso simile a questo, per cui le credenze che formano il senso comune
non possono essere messe in discussione. A livello razionale ci si può convincere che
esse sono false, ma esiste sempre un livello più immediato in cui le si accetta in modo
implicito e automatico.
       Vi sono buone ragioni per ritenere che almeno parte delle credenze che
costituiscono il senso comune siano incorporate nel nostro sistema biologico, che esse
cioè non siano apprese e determinate culturalmente, bensì siano in qualche senso
cablate, incorporate nel nostro sistema cognitivo, e quindi innate. Gli esseri umani in
quanto specie biologica sono attrezzati con un insieme di strumenti cognitivi (ad
esempio strumenti di tipo percettivo, e presumibilmente anche la facoltà del
linguaggio)4. Il senso comune probabilmente è, almeno in parte, costitutivo di questo
bagaglio cognitivo di cui disponiamo per il fatto stesso di essere umani, di appartenere
alla specie Homo sapiens.

2. Ontologia del senso comune, ragionamento del senso comune

      In quello che usualmente viene chiamato il senso comune rientrano varie
componenti diverse. In particolare, vi sono almeno due aspetti che fanno parte del senso
comune quale è stato caratterizzato più sopra:
    • da un lato c'è, per così dire, l’ontologia del senso comune;
    • da un altro lato vi sono le forme di ragionamento, i tipi di inferenza che sono
        propri del senso comune.
       Ciò che ho chiamato genericamente ontologia del senso comune ha a che fare con
l’inventario delle entità di cui secondo il senso comune è popolato l’universo. Per essa
sono rilevanti domande del tipo: che cosa esiste al mondo?, quali sono i “pezzi” che

4
    Su questi aspetti si veda ad esempio il cap. 13 di (Pinker 1994).



Frixione                                                       3
costituiscono il nostro universo? Gli enunciati che ho presentato più sopra (e cioè: esiste
un mondo esterno, esistono altre menti, esiste un alto e un basso, gli oggetti continuano
a esistere anche se noi non li vediamo) possono essere considerati pertinenti l’ontologia
del senso comune. L’ontologia del senso comune coinvolge molti tipi di entità: dai
manufatti alle specie biologiche e ai fenomeni fisici5, dalle persone alle sostanze (come
acqua, roccia o legno), dai luoghi e gli eventi agli stati mentali, sino a entità
ontologicamente “anomale” come i buchi6. E' chiaro che le risposte che il senso comune
dà alle domande di tipo ontologico si discostano molto dalle risposte che alle stesse
domande dà l’indagine scientifica: l’ontologia “ingenua” del senso comune è ben
diversa dall’ontologia che emerge dalla costruzione della scienza.
       I tipi di ragionamento, o le inferenze proprie del senso comune non vertono tanto
sugli specifici contenuti di conoscenza, quanto piuttosto sui modi in cui la conoscenza
può essere manipolata7. Il ragionamento del senso comune concerne le forme di
inferenza che, in forma più o meno esplicita, sono utilizzate nella vita quotidiana dagli
esseri umani (in particolare, da quegli esseri umani che non sono stati educati o
addestrati in maniera specifica all’uso di tecniche di ragionamento specifiche quali la
logica formale o la teoria della probabilità). Il ragionamento del senso comune si
discosta, spesso in maniera eclatante, dai canoni di razionalità sviluppati da queste
discipline normative. Tuttavia, gli schemi di ragionamento impiegati dal senso comune
non sono casuali e completamente idiosincratici. Essi presentano invece regolarità
costanti: in molti casi tutti ragioniamo più o meno nello stesso modo, seguendo schemi
precisi.
       Dunque, l’ontologia del senso comune si discosta dall’ontologia della scienza, e il
ragionamento del senso comune si discosta dai canoni della razionalità normativa quali
sono stati elaborati da discipline come la logica e la teoria della probabilità. A questo
punto diventa necessario porsi la seguente domanda: il senso comune, sia dal punto di
vista dell’ontologia che dal punto di vista delle forme di ragionamento, è corretto? La
risposta a questa domanda è: no, non sempre. Per quanto riguarda l’ontologia,
consideriamo gli enunciati visti più sopra. E’ ragionevole assumere che i primi due (cioè
esiste un mondo esterno e esistono altre menti) e l'ultimo siano veri. Il terzo invece
(esiste un alto e un basso) è presumibilmente falso. La fisica nega che esistano un alto e
un basso assoluti, oggettivi. Considerazioni analoghe valgono per le forme di
ragionamento. Alcune forme di inferenza che sono tipiche del ragionamento di senso
comune sono errate rispetto ai canoni della razionalità normativa. Rispetto a tali canoni,
gli esseri umani spesso sbagliano in maniera sistematica.



5
  Sulla fisica del senso comune si vedano ad esempio (Bozzi 1990) e gli articoli in (Weld e de Kleer
1989).
6
  In particolare sui buchi si veda (Casati e Varzi 1994).
7
  Ragionamento e ontologia del senso comune non costituiscono però due aspetti totalmente scorrelati.
Mario Piazza ad esempio (in un seminario sulla logica lineare tenutosi presso l’Università di Salerno
nell’aprile del 2000) ha sottolinenato come nel ragionamento di senso comune tipi diversi di oggetti
(quindi, domini ontologici diversi) possono richiedere forme diverse di ragionamento. In questa
prospettiva, afferma Piazza, se si intende formalizzare il ragionamento di senso comune la logica deve
essere pensata “come un coltello svizzero”, vale a dire come un insieme di strumenti diversi, di cui si
deve di volta in volta scegliere quello più adatto allo scopo specifico.



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3. Gli “errori” del senso comune

     Vediamo un esempio tra i tanti possibili di questi “errori” sistematici del senso
comune. Supponiamo che la figura qui di seguito sia un ritratto del signor Itzak
Rabinowitz.




      Supponiamo inoltre di disporre delle seguenti informazioni su Rabinowitz:

              •   egli porta sempre il capo coperto;
              •   veste di nero;
              •   non mangia né prosciutto né gamberi;
              •   di sabato non lavora e non viaggia;
              •   è circonciso.

      A questo punto, potete scegliere tra i due enunciati seguenti:

           (a) Itzak Rabinovitz è un ragioniere
           (b) Itzak Rabinovitz è un ragioniere e un ebreo ortodosso

       Su quale dei due scommettereste? Ossia, quale dei due ritenete sia più probabile?
Di fronte a una scelta di questo tipo, moltissimi soggetti senza una preparazione
specifica in teoria della probabilità tendono sistematicamente a preferire (b), tendono
cioè a ritenere che (b) sia più probabile di (a). Dal punto di vista della teoria della
probabilità questo è un grave errore. Infatti (b) ha la forma di una congiunzione, di cui
(a) è uno dei congiunti. Quindi, la probabilità di (b) è necessariamente minore o uguale
alla probabilità di (a). Inoltre la probabilità di (b) sarebbe uguale ad (a) soltanto se la
probabilità che Itzak Rabinowitz è un ebreo ortodosso fosse uguale a 1, se cioè si avesse
la certezza assoluta che Itzak Rabinowitz è un ebreo ortodosso. Ma, date le informazioni
a nostra disposizione, questo, per quanto molto verosimile, è tutt’altro che certo. Di



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conseguenza, (b) è meno probabile di (a), e quindi converrebbe comunque scommettere
su (a).
       Esistono molti altri esempi di questo genere. Nell’esempio precedente abbiamo a
che fare con un’inferenza di tipo probabilistico8. In altri casi si tratta di inferenze di tipo
deduttivo (ad esempio inferenze di tipo sillogistico)9. Dunque molti tipi di inferenza
propri del senso comune sono sbagliati, almeno rispetto ai canoni della logica o della
teoria della probabilità. Analogamente, come ho detto in precedenza, molte delle
credenze ontologiche del senso comune sono sbagliate rispetto alle conoscenze
sviluppate dalla scienza. Questo vuol dire forse che il senso comune altro non è che una
fonte di pericolosi errori? Ma se si trattasse davvero di errori “pericolosi” ci sarebbe da
domandarsi come mai ci sentiamo spinti a commetterli in maniera tanto naturale. Forse
non è un caso che in molti casi ragioniamo in maniera “sbagliata”, o che abbiamo tante
credenze “errate” sul mondo.
       Torniamo per un attimo alle illusioni percettive. Gli errori di ragionamento del
tipo di quello che ho esposto sopra da un certo punto di vista assomigliano molto alle
illusioni percettive. Tanto è vero che talvolta in casi di questo genere si parla di illusioni
cognitive. La somiglianza consiste nel fatto che anche coloro che razionalmente sono
convinti che quel modo di ragionare è errato, pure continuano a mantenere una certa
tendenza a sbagliare: è come se, non appena si abbassa la guardia, l’errore si
ripresentasse in maniera immediata e naturale. Così come nell’illusione di Ponzo, anche
se sappiamo benissimo che il segmento di sotto è lungo come quello di sopra, non
possiamo fare a meno di “vedere” il segmento di sopra più lungo. Un altro esempio di
questo tipo è il cosiddetto triangolo di Kanitsza10.




       Di fronte a un’immagine come questa i soggetti “vedono” un triangolo bianco
rivolto in alto sovrapposto a un triangolo capovolto con i contorni neri e a tre cerchi
rossi. L’illusione è talmente forte che talvolta si ha l’impressione che il triangolo bianco
in primo piano sia leggermente più chiaro dello sfondo. Tuttavia qui non c’è nessun
triangolo. L’immagine mostra soltanto tre cerchi rossi a cui manca una “fetta”, e tre V
nere. Vedere il triangolo bianco in questa immagine è un po’ come vedere il segmento
superiore più lungo nell’illusione di Ponzo: ci rendiamo conto che il triangolo non c’è,
ma non possiamo fare a meno di vederlo.

8
  Per altri esempi di questo tipo relativi all’inferenza probabilistica si veda (Piattelli Palmarini 1993).
9
  Uno studio classico sulle inferenze deduttive del senso comune e sugli quot;erroriquot; di deduzione degli esseri
umani è (Johnson-Laird 1983).
10
   Per le ricerche di Gaetano Kanisza sulla percezione visiva si vedano (Kanisza 1980, 1991).



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4. Perché “sbaglia” il senso comune?

       Nel caso di illusioni percettive come quelle citate sopra non è difficile rendersi
conto che ci sono ottime ragioni per cui noi vediamo cose che “non ci sono” (come il
triangolo di Kanisza), oppure vediamo qualcosa di “sbagliato” (come nell’illusione di
Ponzo). Il punto è che ogni qual volta il nostro sistema visivo ci consente di ricostruire
gli stati del mondo che percepiamo, esso deve risolvere un problema di una difficoltà
enorme. Consideriamo la figura seguente:




                                    B2
                                                                  A
                               B1            B3




      Il cerchio sulla destra è la rappresentazione stilizzata di un globo oculare. Sulla
retina si trova un’immagine, una certa distribuzione di attivazione delle cellule retiniche
(A), la quale è determinata dallo stimolo prossimale, ossia dalla luce che giunge
all’occhio. E’ evidente che, date le informazioni presenti sulla retina, non è possibile
ricostruire in modo univoco quale stato del mondo esterno abbia determinato la
formazione dell’immagine A. Gli stati del mondo che possono aver determinato una
certa immagine retinica sono sempre molteplici, di norma infiniti. Ad esempio,
un’immagine retinica come A può essere causata dalla presenza di un segmento
disposto come B1, oppure come B2, o ancora come B3. In questo senso il problema
principale della visione, ossia il problema di ricostruire lo stato del mondo a partire dai
dati visivi, è un problema mal posto, o un problema inverso, come direbbe un
ingegnere.
      Tuttavia quando percepiamo il mondo esterno non ci rendiamo conto dell’estrema
difficoltà del problema che il nostro sistema visivo deve risolvere. Di solito, non siamo
neppure consapevoli del fatto che i dati che giungono ai nostri sensori sono ambigui e
incompleti. Normalmente il nostro sistema percettivo ci consente di ricostruire lo stato
del mondo esterno in maniera sicura e veloce, senza che da parte nostra sia necessario
alcun tipo di sforzo. E molto raramente accade che questa ricostruzione risulti errata o
inaffidabile. Come è possibile che questo accada, data l’incompletezza dei dati di cui
disponiamo?
      La risposta consiste nel fatto che il nostro sistema percettivo incorpora molteplici
assunzioni implicite relative a quello che, in condizioni normali, è lecito aspettarsi di
trovare nel mondo. Sono tali assunzioni che, nella maggior parte dei casi, consentono di
risolvere l’ambiguità dei dati percettivi e di completarli per ricostruire a partire da essi
lo stato della realtà esterna11. Si consideri ancora una volta l’illusione di Ponzo. Si
11
     Su questi aspetti si veda ad esempio (Marr 1982).



Frixione                                                 7
immagini che i due segmenti convergenti corrispondano alla fuga prospettica di due
linee parallele (i margini di una strada, i binari della ferrovia, o i lati del pavimento di
un corridoio). Se così fosse (e se tutti i segmenti giacessero sullo stesso piano), allora
rispetto all’osservatore il segmento orizzontale che nella figura è più in alto si
troverebbe più lontano del segmento in basso. Esso dunque sarebbe più lungo dell’altro,
sebbene nell’immagine retinica i due segmenti siano di lunghezza uguale. In questo
caso, il nostro sistema percettivo sarebbe nel giusto a percepirlo più lungo. E' plausibile
quindi che l'illusione di Ponzo sia determinata da un meccanismo che, in condizioni
normali, serve per interpretare certi tipi di informazioni di tipo prospettico (in
particolare, per interpretare in termini di fuga prospettica segmenti che appaiono
convergenti nell'immagine retinica), allo scopo di consentire al nostro sistema percettivo
di ricostruire correttamente gli stati del mondo a partire dai dati prossimali. Qualcosa di
analogo potrebbe valere anche per il triangolo di Kanisza: ad esempio, l’illusione
potrebbe essere determinata da un meccanismo che, in condizioni normali, ci consente
di individuare forme parzialmente occluse e non interamente visibili, completando
percettivamente i dati incompleti di cui il nostro sistema visivo dispone.
       Dunque, presumibilmente, le illusioni percettive non sono affatto “scherzi della
natura”, bizzarrie arbitrarie e prive di senso: nella percezione visiva quei meccanismi
che in alcuni casi molto particolari ci fanno “sbagliare” sono gli stessi che nella maggior
parte dei casi “normali” ci consentono di percepire correttamente il mondo esterno. Essi
ci consentono di agire in maniera appropriata nel mondo, nonostante il fatto che il
nostro sistema cognitivo abbia un accesso sempre limitato e incompleto alle
informazioni rilevanti.
         Mutatis mutandis, considerazioni di questo genere possono essere estese anche
ad aspetti del senso comune diversi da quelli direttamente collegati alla percezione,
come ad esempio gli aspetti inferenziali, o a quelli di tipo ontologico. Ad un’analisi più
attenta le inferenze “sbagliate” del senso comune potrebbero risultare funzionali per i
fini di un agente cognitivo che ha a disposizione risorse limitate, sia dal punto di vista
delle informazioni cui può accedere, sia dal punto di vista delle risorse computazionali
di cui può disporre12. Le illusioni percettive mettono in luce meccanismi che ci fanno
“sbagliare” in situazioni di laboratorio di tipo molto particolare, ma che al tempo stesso
ci consentono di agire in maniera efficace nella stragrande maggioranza dei casi della
vita reale. Allo stesso modo, gli “errori” sistematici del ragionamento di senso comune
corrispondono probabilmente a meccanismi inferenziali che, nonostante in certi casi ci
conducano a conclusioni errate, ci consentono tuttavia di agire in maniera efficace nella
stragrande maggioranza delle situazioni “normali” (ad esempio, ci consentono di saltare
in modo affidabile alle conclusioni pur disponendo di informazione incompleta; oppure
sono tali da evitarci inferenze corrette ma troppo gravose dal punto di vista
computazionale). Conclusioni analoghe valgono anche per l’ontologia di senso comune.
La maniera in cui il senso comune categorizza gli oggetti del mondo in molti casi è
sicuramente “sbagliata” dal punto di vista della fisica, della chimica o della biologia;
essa tuttavia risulta efficiente per il nostro modo di agire e di muoverci nel mondo. In
altri termini, il ragionamento di senso comune è fondamentalmente rivolto all’agire


12
     A questo proposito si veda (Cherniak 1986).



Frixione                                           8
piuttosto che alla conoscenza teoretica. E mira all’efficacia operativa piuttosto che alla
“verità”.



Indicazioni bibliografiche


Bozzi, P. (1990). Fisica ingenua, Milano, Garzanti.
Cherniak, C. (1986), Minimal Rationality, Cambridge, MA, MIT Press.
Casati, R. e A. Varzi (1994), Holes and Other Superficialities, Cambridge, MA, MIT
      Press, tr. it. Buchi e altre superficialità, Milano, Garzanti, 1996.
Davis, E. (1990), Representations of Commonsense Knowledge, San Francisco, CA,
      Morgan Kaufmann.
Hobbs, J.R., e R.C. Moore (1985). Formal Theories of the Commonsense World, Ablex
      Publishing.
Johnson-Laird, Ph. (1983). Mental Models, Cambridge, MA, Harvard University Press,
      tr. it. Modelli mentali, Bologna, Il Mulino, 1988.
Kanisza, G. (1980). Grammatica del vedere, Bologna, Il Mulino.
Kanisza, G. (1991). Vedere e pensare, Bologna, Il Mulino.
Marr, D. (1982). Vision, New York, Freeman.
Piattelli Palmarini, M. (1993), L’illusione di sapere, Milano, Mondadori.
Pinker, S. (1994). The Language Instinct, Penguin Books, tr. it. L'istinto del linguaggio,
      Milano, Mondadori, 1997.
Smith, B. (1992). Le strutture del mondo del senso comune, Iride, 9, pp. 22-44.
Weld, D.S. e J. de Kleer (1989) (a cura di), Readings in Qualitative Reasoning about
      Physical Systems, San Francisco, CA, Morgan Kaufmann.




Frixione                                          9
APPENDICE

                        Alcune indicazioni bibliografiche
                  su scienze cognitive e intelligenza artificiale

Riporto in questa appendice alcuni strumenti bibliografici, utili come punto di partenza
per orientarsi nei settori delle scienze cognitive e dell’intelligenza artificiale.

Scienze cognitive

•   Howard Gardner La nuova scienza della mente: storia della rivoluzione cognitiva,
    Milano, Feltrinelli, 1988, 471 p., ed. originale 1985, Tit. orig.: The Mind' s New
    Science.

E’ un’ottima (anche se non recentissima) introduzione alle scienze cognitive, con
capitoli dedicati all’apporto delle diverse discipline, e un’utilissima ricostruzione storica
dell’emergere di questo settore.

•   Philip N. Johnson-Laird, La mente e il computer: introduzione alla scienza
    cognitiva, Bologna, Il Mulino, 1990, 469 p., Tit. orig.: The Computer and the Mind.
•   Bruno G. Bara, Scienza cognitiva: un approccio evolutivo alla simulazione della
    mente, Torino, Bollati Boringhieri, 1990, 372 p.

Sono introduzioni alle scienze cognitive che, rispetto al                 Gardner,    hanno
un’impostazione di tipo meno storico e più tecnico/manualistico.

•   Paul Thagard, La mente : introduzione alla scienza cognitiva, Milano, Guerini
    Studio, 1998, 196 p.
•   Patrizia Tabossi, Intelligenza naturale e intelligenza artificiale: introduzione alla
    scienza cognitiva, 1994, Bologna : Il Mulino, 208 p.

Altre due introduzioni generali alle scienze cognitive, più sintetiche dei volumi
precedenti.

•   Diego Marconi, Filosofia e scienza cognitiva, Bari, Laterza, 2001, pp. 172

Tratta dei rapporti tra filosofia e scienze cognitive.

•   Pascal Engel, Filosofia e psicologia, Torino, Einaudi, 2000, 332 pp.

Anche questo libro tratta della “svolta cognitiva” in filosofia.


Intelligenza artificiale



Frixione                                            10
•   Ernesto Burattini, Roberto Cordeschi (a cura di), Intelligenza artificiale, Roma,
    Carocci, 2001, 360 pp.

E’ una recente introduzione all’intelligenza artificiale, pensata per lettori di formazione
umanistica, con una particolare attenzione per le discipline della comunicazione.

•   Stuart J. Russell, Peter Norvig, Intelligenza artificiale: un approccio moderno,
    Torino, UTET, 1998, 1004 p. (ed. orig. 1995).
•   Nils Nilsson, Intelligenza artificiale, Apogeo, 2001

Sono due manuali tecnici disponibili in italiano, tra i più recenti e completi.

•   Danilo Fum, Intelligenza artificiale, Il Mulino, Bologna, 1994

Un manuale di impostazione tradizionale come i precedenti, ma più agile e pensato per
studenti di psicologia.

•   Luigia Carlucci Aiello, Marta Cialdea Mayer, Invito all’intelligenza artificiale,
    Franco Angeli, Milano, 1995

E’ una introduzione chiara e sintetica ai temi principali della disciplina.

•   Marcello Frixione, Logica, significato e intelligenza artificiale, Milano, Franco
    Angeli, 1994.

Tratta dei rapporti tra logica, filosofia del linguaggio e intelligenza artificiale.

•   Roberto Cordeschi, L'intelligenza artificiale, in L. Geymonat, Storia del pensiero
    filosofico e scientifico, vol. 8°, Il novecento (3), a cura di E. Bellone e C. Mangione,
    1996.

E’ una puntuale ricostruzione delle vicende storiche dell’intelligenza artificiale.

•   Roberto Cordeschi, La scoperta dell’artificiale. Psicologia, filosofia e macchine
    interno alla cibernetica, Milano, Dunod, 1998, 320 pp.

Tratta della “preistoria” dell’intelligenza artificiale: storia dei modelli cibernetici e
protocibernetici.

Infine, un utile strumento in lingua italiana per mantenersi aggiornati sugli sviluppi
delle scienze cognitive e dell’intelligenza artificiale è la rivista Sistemi intelligenti, edita
dalla casa editrice Il Mulino.




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Siti Web

      Come è facile supporre, i siti dedicati a questi temi sono innumerevoli. Mi limito
ad indicare pochissimi siti particolarmente autorevoli, che possono servire come punto
di partenza per la navigazione. Quello che segue è il sito della Società di Scienze
Cognitive:

http://www.cognitivesciencesociety.org/

In particolare, vi si trova una utile pagina di collegamenti ad altri siti:

http://www.cognitivesciencesociety.org/links.html

Questo è il sito della AAAI (si legge triple a i). E’ la Società Americana di Intelligenza
Artificiale:

http://www.aaai.org/

Nel sito si trova la pagina seguente, che è un’utilissima introduzione ai vari temi e
settori dell’IA, con numerosissimi collegamenti:

http://www.aaai.org/AITopics/aitopics.html

Molto utile è anche il sito della AI*IA, la Società Italiana per l’Intelligenza Artificiale:

http://www.di.unito.it/~aiia/




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Su senso comune, percezione e ragionamento (MARCELLO FRIXIONE)

  • 1. Su senso comune, percezione e ragionamento* MARCELLO FRIXIONE Dipartimento di Scienze della Comunicazione – Università di Salerno e.mail: frix@dist.unige.it Abstract: In the last decades the notion of common sense has been a central theme of research within the field of the cognitive sciences. In this paper the expression common sense is used to refer to those forms of knowledge that are common to all human beings, and therefore does not depend on cultural factors: common sense constitutes a shared substratum to all human cognitive activities, presumably determined by our biological nature. I distinguish between common sense ontology and common sense forms of reasoning, and I suggest that most of the quot;errorsquot; of the common sense could be explained in terms of their efficacy in coping with our limitations in accessing and processing relevant knowledge in everyday situations. Negli ultimi decenni, nell’ambito delle scienze cognitive, il problema di cosa sia e come sia organizzata la conoscenza di senso comune è diventato un tema centrale di ricerca. Numerosi sono stati i convegni e i seminari, i libri e le riviste in cui si è trattato con sempre maggiore frequenza di argomenti quali la fisica del senso comune, la biologia del senso comune, la psicologia del senso comune, il ragionamento di senso comune, e così via1. Nell’ambito dell’intelligenza artificiale le strutture del senso comune sono state indagate con lo scopo di individuarne opportune formalizzazioni da utilizzare per la realizzazione di programmi per calcolatore e di modelli computazionali2. Negli ultimi anni quindi il senso comune è stato elevato al rango di oggetto di indagine scientifica. E’ opportuno però in primo luogo precisare cosa si debba intendere per senso comune in questo contesto. 1. Cosa si intende per senso comune L’espressione senso comune può indicare molte cose diverse. In questo intervento la intenderò in un’accezione particolare, che spesso viene impiegata nell’ambito delle scienze cognitive3. Secondo questa accezione, il senso comune ha a che fare con ciò che in qualche modo è comune alle conoscenze, al bagaglio cognitivo di tutti gli esseri umani. Il senso comune costituisce cioè una sorta di sottofondo condiviso, comune a tutto ciò che noi in quanto umani sappiamo o conosciamo quando agiamo sul mondo. In particolare, il senso comune ha a che fare con tutte quelle assunzioni che gli esseri umani fanno proprie a un livello così profondo che, normalmente, non si rendono neppure conto di condividere. Nessuno, in condizioni normali, reputa utile o necessario renderle esplicite, tematizzarle come conoscenze. Esse piuttosto fanno parte di quel * Questo testo è una versione ridotta di un intervento presentato al convegno Il vino del mare: gli spazi del paesaggio tra i tempi della tradizione e i tempi della conoscenza, tenutosi a Riomaggiore il 26 e 27 febbraio 1999. Tale intervento è attualmente in corso di stampa negli atti del convegno. 1 Talvolta, in maniera equivalente, si parla anche di fisica ingenua (naïve physics), psicologia ingenua (naïve psychology), eccetera. 2 Si vedano ad esempio (Davis 1990; Hobbs e Moore 1985; Weld e de Kleer 1989). 3 Per una panoramica generale su questa nozione di senso comune si veda ad esempio (Smith 1992). Frixione 1
  • 2. substrato condiviso di informazioni che ci serve come base per percepire il mondo, per muoverci in esso, per agire, per ragionare, per parlare e per comunicare tra di noi. I seguenti enunciati, ad esempio, rappresentano credenze che potrebbero a buon diritto essere considerate parte del senso comune: • Esistono altre menti. Io non sono l’unico soggetto pensante dell’universo; esistono altri individui dotati di pensiero e soggettività, e in particolare sono tali tutti gli esseri umani. • Esiste una realtà esterna, la quale è data indipendentemente e al di fuori delle nostre menti. • Esiste un alto e un basso. Esiste cioè un orientamento che attiene allo spazio in modo intrinseco. • Di norma un oggetto fisico non cessa di esistere anche se esce dal raggio di azione dei nostri sensi. In un certo senso, questi enunciati asseriscono delle banalità assolute, delle cose che sono troppo ovvie perché sembri importante prenderle in considerazione in modo esplicito. E’ proprio in questo senso che si può affermare che esse fanno parte del senso comune. Il fatto che una data credenza faccia parte del senso comune, e che quindi, in quanto tale, sia in un certo senso sempre condivisa da ognuno, non vuol dire che, ad un altro livello di astrazione, essa non possa essere messa in discussione. Ad esempio per la scienza moderna, per la fisica è falso che esistano un alto e un basso assoluti. Anche i primi due enunciati sopra riportati sono stati tal volta messi in dubbio nel corso della storia del pensiero: certe forme di idealismo negano l’esistenza di un mondo dato indipendentemente dalle nostre menti; un solipsista negherebbe l’esistenza di altre menti. Il punto interessante però è che enunciati come questi, a prescindere dalla loro verità o falsità, hanno la caratteristica che, sebbene a un certo livello (a un livello di pensiero, per così dire, “astratto”) possano essere messi in discussione, pur tuttavia ad un altro livello di pensiero (a un livello più immediato e quotidiano) continuano ad essere accettati implicitamente da ognuno di noi. Anche quando questo tipo di credenze vengono messe in discussione sul piano razionale, tuttavia, in un certo senso, si continua ad accettarle e ad usarle. Tutti ormai “sappiamo” che l’alto e il basso assoluti non esistono, ma ciascuno di noi, fisici compresi, quando ci muoviamo quotidianamente nel mondo continuiamo a farlo basandoci fiduciosamente in una ingenua distinzione tra il sopra e il sotto. Anche il solipsista nella vita di tutti i giorni accetta implicitamente l'esistenza di altre menti. Ad esempio, quando cerca di convincerci della sensatezza della sua posizione, allora di fatto non è più solipsista, perché implicitamente assume che esista qualcun altro (e quindi una mente diversa dalla sua) da convincere della bontà delle proprie tesi. Da questo punto di vista le credenze del senso comune sono in qualche senso simili alle illusioni percettive. Vedremo nel seguito come questa analogia sia probabilmente qualcosa di più di una semplice metafora, e come sia ricca di conseguenze interessanti. Consideriamo ad esempio l’illusione di Ponzo. Essa è causata da una figura come la seguente, dove due segmenti orizzontali paralleli di uguale lunghezza sono compresi tra due segmenti convergenti. Frixione 2
  • 3. L’illusione consiste nel fatto che, a colpo d’occhio, i due segmenti orizzontali sembrano di lunghezza diversa: il segmento più in alto sembra più lungo di quello che si trova più in basso. Se li si misura si scopre che in realtà non è così, e che i due segmenti hanno esattamente la stessa lunghezza. Ma, in un certo senso, non si riesce ad eliminare l’illusione: si continuano a vedere i due segmenti diversi anche se si sa benissimo che sono uguali, e che è possibile sincerarsene misurandoli. In casi come questi, l’illusione a livello percettivo è, in un certo senso, più forte della consapevolezza razionale. Esiste un senso simile a questo, per cui le credenze che formano il senso comune non possono essere messe in discussione. A livello razionale ci si può convincere che esse sono false, ma esiste sempre un livello più immediato in cui le si accetta in modo implicito e automatico. Vi sono buone ragioni per ritenere che almeno parte delle credenze che costituiscono il senso comune siano incorporate nel nostro sistema biologico, che esse cioè non siano apprese e determinate culturalmente, bensì siano in qualche senso cablate, incorporate nel nostro sistema cognitivo, e quindi innate. Gli esseri umani in quanto specie biologica sono attrezzati con un insieme di strumenti cognitivi (ad esempio strumenti di tipo percettivo, e presumibilmente anche la facoltà del linguaggio)4. Il senso comune probabilmente è, almeno in parte, costitutivo di questo bagaglio cognitivo di cui disponiamo per il fatto stesso di essere umani, di appartenere alla specie Homo sapiens. 2. Ontologia del senso comune, ragionamento del senso comune In quello che usualmente viene chiamato il senso comune rientrano varie componenti diverse. In particolare, vi sono almeno due aspetti che fanno parte del senso comune quale è stato caratterizzato più sopra: • da un lato c'è, per così dire, l’ontologia del senso comune; • da un altro lato vi sono le forme di ragionamento, i tipi di inferenza che sono propri del senso comune. Ciò che ho chiamato genericamente ontologia del senso comune ha a che fare con l’inventario delle entità di cui secondo il senso comune è popolato l’universo. Per essa sono rilevanti domande del tipo: che cosa esiste al mondo?, quali sono i “pezzi” che 4 Su questi aspetti si veda ad esempio il cap. 13 di (Pinker 1994). Frixione 3
  • 4. costituiscono il nostro universo? Gli enunciati che ho presentato più sopra (e cioè: esiste un mondo esterno, esistono altre menti, esiste un alto e un basso, gli oggetti continuano a esistere anche se noi non li vediamo) possono essere considerati pertinenti l’ontologia del senso comune. L’ontologia del senso comune coinvolge molti tipi di entità: dai manufatti alle specie biologiche e ai fenomeni fisici5, dalle persone alle sostanze (come acqua, roccia o legno), dai luoghi e gli eventi agli stati mentali, sino a entità ontologicamente “anomale” come i buchi6. E' chiaro che le risposte che il senso comune dà alle domande di tipo ontologico si discostano molto dalle risposte che alle stesse domande dà l’indagine scientifica: l’ontologia “ingenua” del senso comune è ben diversa dall’ontologia che emerge dalla costruzione della scienza. I tipi di ragionamento, o le inferenze proprie del senso comune non vertono tanto sugli specifici contenuti di conoscenza, quanto piuttosto sui modi in cui la conoscenza può essere manipolata7. Il ragionamento del senso comune concerne le forme di inferenza che, in forma più o meno esplicita, sono utilizzate nella vita quotidiana dagli esseri umani (in particolare, da quegli esseri umani che non sono stati educati o addestrati in maniera specifica all’uso di tecniche di ragionamento specifiche quali la logica formale o la teoria della probabilità). Il ragionamento del senso comune si discosta, spesso in maniera eclatante, dai canoni di razionalità sviluppati da queste discipline normative. Tuttavia, gli schemi di ragionamento impiegati dal senso comune non sono casuali e completamente idiosincratici. Essi presentano invece regolarità costanti: in molti casi tutti ragioniamo più o meno nello stesso modo, seguendo schemi precisi. Dunque, l’ontologia del senso comune si discosta dall’ontologia della scienza, e il ragionamento del senso comune si discosta dai canoni della razionalità normativa quali sono stati elaborati da discipline come la logica e la teoria della probabilità. A questo punto diventa necessario porsi la seguente domanda: il senso comune, sia dal punto di vista dell’ontologia che dal punto di vista delle forme di ragionamento, è corretto? La risposta a questa domanda è: no, non sempre. Per quanto riguarda l’ontologia, consideriamo gli enunciati visti più sopra. E’ ragionevole assumere che i primi due (cioè esiste un mondo esterno e esistono altre menti) e l'ultimo siano veri. Il terzo invece (esiste un alto e un basso) è presumibilmente falso. La fisica nega che esistano un alto e un basso assoluti, oggettivi. Considerazioni analoghe valgono per le forme di ragionamento. Alcune forme di inferenza che sono tipiche del ragionamento di senso comune sono errate rispetto ai canoni della razionalità normativa. Rispetto a tali canoni, gli esseri umani spesso sbagliano in maniera sistematica. 5 Sulla fisica del senso comune si vedano ad esempio (Bozzi 1990) e gli articoli in (Weld e de Kleer 1989). 6 In particolare sui buchi si veda (Casati e Varzi 1994). 7 Ragionamento e ontologia del senso comune non costituiscono però due aspetti totalmente scorrelati. Mario Piazza ad esempio (in un seminario sulla logica lineare tenutosi presso l’Università di Salerno nell’aprile del 2000) ha sottolinenato come nel ragionamento di senso comune tipi diversi di oggetti (quindi, domini ontologici diversi) possono richiedere forme diverse di ragionamento. In questa prospettiva, afferma Piazza, se si intende formalizzare il ragionamento di senso comune la logica deve essere pensata “come un coltello svizzero”, vale a dire come un insieme di strumenti diversi, di cui si deve di volta in volta scegliere quello più adatto allo scopo specifico. Frixione 4
  • 5. 3. Gli “errori” del senso comune Vediamo un esempio tra i tanti possibili di questi “errori” sistematici del senso comune. Supponiamo che la figura qui di seguito sia un ritratto del signor Itzak Rabinowitz. Supponiamo inoltre di disporre delle seguenti informazioni su Rabinowitz: • egli porta sempre il capo coperto; • veste di nero; • non mangia né prosciutto né gamberi; • di sabato non lavora e non viaggia; • è circonciso. A questo punto, potete scegliere tra i due enunciati seguenti: (a) Itzak Rabinovitz è un ragioniere (b) Itzak Rabinovitz è un ragioniere e un ebreo ortodosso Su quale dei due scommettereste? Ossia, quale dei due ritenete sia più probabile? Di fronte a una scelta di questo tipo, moltissimi soggetti senza una preparazione specifica in teoria della probabilità tendono sistematicamente a preferire (b), tendono cioè a ritenere che (b) sia più probabile di (a). Dal punto di vista della teoria della probabilità questo è un grave errore. Infatti (b) ha la forma di una congiunzione, di cui (a) è uno dei congiunti. Quindi, la probabilità di (b) è necessariamente minore o uguale alla probabilità di (a). Inoltre la probabilità di (b) sarebbe uguale ad (a) soltanto se la probabilità che Itzak Rabinowitz è un ebreo ortodosso fosse uguale a 1, se cioè si avesse la certezza assoluta che Itzak Rabinowitz è un ebreo ortodosso. Ma, date le informazioni a nostra disposizione, questo, per quanto molto verosimile, è tutt’altro che certo. Di Frixione 5
  • 6. conseguenza, (b) è meno probabile di (a), e quindi converrebbe comunque scommettere su (a). Esistono molti altri esempi di questo genere. Nell’esempio precedente abbiamo a che fare con un’inferenza di tipo probabilistico8. In altri casi si tratta di inferenze di tipo deduttivo (ad esempio inferenze di tipo sillogistico)9. Dunque molti tipi di inferenza propri del senso comune sono sbagliati, almeno rispetto ai canoni della logica o della teoria della probabilità. Analogamente, come ho detto in precedenza, molte delle credenze ontologiche del senso comune sono sbagliate rispetto alle conoscenze sviluppate dalla scienza. Questo vuol dire forse che il senso comune altro non è che una fonte di pericolosi errori? Ma se si trattasse davvero di errori “pericolosi” ci sarebbe da domandarsi come mai ci sentiamo spinti a commetterli in maniera tanto naturale. Forse non è un caso che in molti casi ragioniamo in maniera “sbagliata”, o che abbiamo tante credenze “errate” sul mondo. Torniamo per un attimo alle illusioni percettive. Gli errori di ragionamento del tipo di quello che ho esposto sopra da un certo punto di vista assomigliano molto alle illusioni percettive. Tanto è vero che talvolta in casi di questo genere si parla di illusioni cognitive. La somiglianza consiste nel fatto che anche coloro che razionalmente sono convinti che quel modo di ragionare è errato, pure continuano a mantenere una certa tendenza a sbagliare: è come se, non appena si abbassa la guardia, l’errore si ripresentasse in maniera immediata e naturale. Così come nell’illusione di Ponzo, anche se sappiamo benissimo che il segmento di sotto è lungo come quello di sopra, non possiamo fare a meno di “vedere” il segmento di sopra più lungo. Un altro esempio di questo tipo è il cosiddetto triangolo di Kanitsza10. Di fronte a un’immagine come questa i soggetti “vedono” un triangolo bianco rivolto in alto sovrapposto a un triangolo capovolto con i contorni neri e a tre cerchi rossi. L’illusione è talmente forte che talvolta si ha l’impressione che il triangolo bianco in primo piano sia leggermente più chiaro dello sfondo. Tuttavia qui non c’è nessun triangolo. L’immagine mostra soltanto tre cerchi rossi a cui manca una “fetta”, e tre V nere. Vedere il triangolo bianco in questa immagine è un po’ come vedere il segmento superiore più lungo nell’illusione di Ponzo: ci rendiamo conto che il triangolo non c’è, ma non possiamo fare a meno di vederlo. 8 Per altri esempi di questo tipo relativi all’inferenza probabilistica si veda (Piattelli Palmarini 1993). 9 Uno studio classico sulle inferenze deduttive del senso comune e sugli quot;erroriquot; di deduzione degli esseri umani è (Johnson-Laird 1983). 10 Per le ricerche di Gaetano Kanisza sulla percezione visiva si vedano (Kanisza 1980, 1991). Frixione 6
  • 7. 4. Perché “sbaglia” il senso comune? Nel caso di illusioni percettive come quelle citate sopra non è difficile rendersi conto che ci sono ottime ragioni per cui noi vediamo cose che “non ci sono” (come il triangolo di Kanisza), oppure vediamo qualcosa di “sbagliato” (come nell’illusione di Ponzo). Il punto è che ogni qual volta il nostro sistema visivo ci consente di ricostruire gli stati del mondo che percepiamo, esso deve risolvere un problema di una difficoltà enorme. Consideriamo la figura seguente: B2 A B1 B3 Il cerchio sulla destra è la rappresentazione stilizzata di un globo oculare. Sulla retina si trova un’immagine, una certa distribuzione di attivazione delle cellule retiniche (A), la quale è determinata dallo stimolo prossimale, ossia dalla luce che giunge all’occhio. E’ evidente che, date le informazioni presenti sulla retina, non è possibile ricostruire in modo univoco quale stato del mondo esterno abbia determinato la formazione dell’immagine A. Gli stati del mondo che possono aver determinato una certa immagine retinica sono sempre molteplici, di norma infiniti. Ad esempio, un’immagine retinica come A può essere causata dalla presenza di un segmento disposto come B1, oppure come B2, o ancora come B3. In questo senso il problema principale della visione, ossia il problema di ricostruire lo stato del mondo a partire dai dati visivi, è un problema mal posto, o un problema inverso, come direbbe un ingegnere. Tuttavia quando percepiamo il mondo esterno non ci rendiamo conto dell’estrema difficoltà del problema che il nostro sistema visivo deve risolvere. Di solito, non siamo neppure consapevoli del fatto che i dati che giungono ai nostri sensori sono ambigui e incompleti. Normalmente il nostro sistema percettivo ci consente di ricostruire lo stato del mondo esterno in maniera sicura e veloce, senza che da parte nostra sia necessario alcun tipo di sforzo. E molto raramente accade che questa ricostruzione risulti errata o inaffidabile. Come è possibile che questo accada, data l’incompletezza dei dati di cui disponiamo? La risposta consiste nel fatto che il nostro sistema percettivo incorpora molteplici assunzioni implicite relative a quello che, in condizioni normali, è lecito aspettarsi di trovare nel mondo. Sono tali assunzioni che, nella maggior parte dei casi, consentono di risolvere l’ambiguità dei dati percettivi e di completarli per ricostruire a partire da essi lo stato della realtà esterna11. Si consideri ancora una volta l’illusione di Ponzo. Si 11 Su questi aspetti si veda ad esempio (Marr 1982). Frixione 7
  • 8. immagini che i due segmenti convergenti corrispondano alla fuga prospettica di due linee parallele (i margini di una strada, i binari della ferrovia, o i lati del pavimento di un corridoio). Se così fosse (e se tutti i segmenti giacessero sullo stesso piano), allora rispetto all’osservatore il segmento orizzontale che nella figura è più in alto si troverebbe più lontano del segmento in basso. Esso dunque sarebbe più lungo dell’altro, sebbene nell’immagine retinica i due segmenti siano di lunghezza uguale. In questo caso, il nostro sistema percettivo sarebbe nel giusto a percepirlo più lungo. E' plausibile quindi che l'illusione di Ponzo sia determinata da un meccanismo che, in condizioni normali, serve per interpretare certi tipi di informazioni di tipo prospettico (in particolare, per interpretare in termini di fuga prospettica segmenti che appaiono convergenti nell'immagine retinica), allo scopo di consentire al nostro sistema percettivo di ricostruire correttamente gli stati del mondo a partire dai dati prossimali. Qualcosa di analogo potrebbe valere anche per il triangolo di Kanisza: ad esempio, l’illusione potrebbe essere determinata da un meccanismo che, in condizioni normali, ci consente di individuare forme parzialmente occluse e non interamente visibili, completando percettivamente i dati incompleti di cui il nostro sistema visivo dispone. Dunque, presumibilmente, le illusioni percettive non sono affatto “scherzi della natura”, bizzarrie arbitrarie e prive di senso: nella percezione visiva quei meccanismi che in alcuni casi molto particolari ci fanno “sbagliare” sono gli stessi che nella maggior parte dei casi “normali” ci consentono di percepire correttamente il mondo esterno. Essi ci consentono di agire in maniera appropriata nel mondo, nonostante il fatto che il nostro sistema cognitivo abbia un accesso sempre limitato e incompleto alle informazioni rilevanti. Mutatis mutandis, considerazioni di questo genere possono essere estese anche ad aspetti del senso comune diversi da quelli direttamente collegati alla percezione, come ad esempio gli aspetti inferenziali, o a quelli di tipo ontologico. Ad un’analisi più attenta le inferenze “sbagliate” del senso comune potrebbero risultare funzionali per i fini di un agente cognitivo che ha a disposizione risorse limitate, sia dal punto di vista delle informazioni cui può accedere, sia dal punto di vista delle risorse computazionali di cui può disporre12. Le illusioni percettive mettono in luce meccanismi che ci fanno “sbagliare” in situazioni di laboratorio di tipo molto particolare, ma che al tempo stesso ci consentono di agire in maniera efficace nella stragrande maggioranza dei casi della vita reale. Allo stesso modo, gli “errori” sistematici del ragionamento di senso comune corrispondono probabilmente a meccanismi inferenziali che, nonostante in certi casi ci conducano a conclusioni errate, ci consentono tuttavia di agire in maniera efficace nella stragrande maggioranza delle situazioni “normali” (ad esempio, ci consentono di saltare in modo affidabile alle conclusioni pur disponendo di informazione incompleta; oppure sono tali da evitarci inferenze corrette ma troppo gravose dal punto di vista computazionale). Conclusioni analoghe valgono anche per l’ontologia di senso comune. La maniera in cui il senso comune categorizza gli oggetti del mondo in molti casi è sicuramente “sbagliata” dal punto di vista della fisica, della chimica o della biologia; essa tuttavia risulta efficiente per il nostro modo di agire e di muoverci nel mondo. In altri termini, il ragionamento di senso comune è fondamentalmente rivolto all’agire 12 A questo proposito si veda (Cherniak 1986). Frixione 8
  • 9. piuttosto che alla conoscenza teoretica. E mira all’efficacia operativa piuttosto che alla “verità”. Indicazioni bibliografiche Bozzi, P. (1990). Fisica ingenua, Milano, Garzanti. Cherniak, C. (1986), Minimal Rationality, Cambridge, MA, MIT Press. Casati, R. e A. Varzi (1994), Holes and Other Superficialities, Cambridge, MA, MIT Press, tr. it. Buchi e altre superficialità, Milano, Garzanti, 1996. Davis, E. (1990), Representations of Commonsense Knowledge, San Francisco, CA, Morgan Kaufmann. Hobbs, J.R., e R.C. Moore (1985). Formal Theories of the Commonsense World, Ablex Publishing. Johnson-Laird, Ph. (1983). Mental Models, Cambridge, MA, Harvard University Press, tr. it. Modelli mentali, Bologna, Il Mulino, 1988. Kanisza, G. (1980). Grammatica del vedere, Bologna, Il Mulino. Kanisza, G. (1991). Vedere e pensare, Bologna, Il Mulino. Marr, D. (1982). Vision, New York, Freeman. Piattelli Palmarini, M. (1993), L’illusione di sapere, Milano, Mondadori. Pinker, S. (1994). The Language Instinct, Penguin Books, tr. it. L'istinto del linguaggio, Milano, Mondadori, 1997. Smith, B. (1992). Le strutture del mondo del senso comune, Iride, 9, pp. 22-44. Weld, D.S. e J. de Kleer (1989) (a cura di), Readings in Qualitative Reasoning about Physical Systems, San Francisco, CA, Morgan Kaufmann. Frixione 9
  • 10. APPENDICE Alcune indicazioni bibliografiche su scienze cognitive e intelligenza artificiale Riporto in questa appendice alcuni strumenti bibliografici, utili come punto di partenza per orientarsi nei settori delle scienze cognitive e dell’intelligenza artificiale. Scienze cognitive • Howard Gardner La nuova scienza della mente: storia della rivoluzione cognitiva, Milano, Feltrinelli, 1988, 471 p., ed. originale 1985, Tit. orig.: The Mind' s New Science. E’ un’ottima (anche se non recentissima) introduzione alle scienze cognitive, con capitoli dedicati all’apporto delle diverse discipline, e un’utilissima ricostruzione storica dell’emergere di questo settore. • Philip N. Johnson-Laird, La mente e il computer: introduzione alla scienza cognitiva, Bologna, Il Mulino, 1990, 469 p., Tit. orig.: The Computer and the Mind. • Bruno G. Bara, Scienza cognitiva: un approccio evolutivo alla simulazione della mente, Torino, Bollati Boringhieri, 1990, 372 p. Sono introduzioni alle scienze cognitive che, rispetto al Gardner, hanno un’impostazione di tipo meno storico e più tecnico/manualistico. • Paul Thagard, La mente : introduzione alla scienza cognitiva, Milano, Guerini Studio, 1998, 196 p. • Patrizia Tabossi, Intelligenza naturale e intelligenza artificiale: introduzione alla scienza cognitiva, 1994, Bologna : Il Mulino, 208 p. Altre due introduzioni generali alle scienze cognitive, più sintetiche dei volumi precedenti. • Diego Marconi, Filosofia e scienza cognitiva, Bari, Laterza, 2001, pp. 172 Tratta dei rapporti tra filosofia e scienze cognitive. • Pascal Engel, Filosofia e psicologia, Torino, Einaudi, 2000, 332 pp. Anche questo libro tratta della “svolta cognitiva” in filosofia. Intelligenza artificiale Frixione 10
  • 11. Ernesto Burattini, Roberto Cordeschi (a cura di), Intelligenza artificiale, Roma, Carocci, 2001, 360 pp. E’ una recente introduzione all’intelligenza artificiale, pensata per lettori di formazione umanistica, con una particolare attenzione per le discipline della comunicazione. • Stuart J. Russell, Peter Norvig, Intelligenza artificiale: un approccio moderno, Torino, UTET, 1998, 1004 p. (ed. orig. 1995). • Nils Nilsson, Intelligenza artificiale, Apogeo, 2001 Sono due manuali tecnici disponibili in italiano, tra i più recenti e completi. • Danilo Fum, Intelligenza artificiale, Il Mulino, Bologna, 1994 Un manuale di impostazione tradizionale come i precedenti, ma più agile e pensato per studenti di psicologia. • Luigia Carlucci Aiello, Marta Cialdea Mayer, Invito all’intelligenza artificiale, Franco Angeli, Milano, 1995 E’ una introduzione chiara e sintetica ai temi principali della disciplina. • Marcello Frixione, Logica, significato e intelligenza artificiale, Milano, Franco Angeli, 1994. Tratta dei rapporti tra logica, filosofia del linguaggio e intelligenza artificiale. • Roberto Cordeschi, L'intelligenza artificiale, in L. Geymonat, Storia del pensiero filosofico e scientifico, vol. 8°, Il novecento (3), a cura di E. Bellone e C. Mangione, 1996. E’ una puntuale ricostruzione delle vicende storiche dell’intelligenza artificiale. • Roberto Cordeschi, La scoperta dell’artificiale. Psicologia, filosofia e macchine interno alla cibernetica, Milano, Dunod, 1998, 320 pp. Tratta della “preistoria” dell’intelligenza artificiale: storia dei modelli cibernetici e protocibernetici. Infine, un utile strumento in lingua italiana per mantenersi aggiornati sugli sviluppi delle scienze cognitive e dell’intelligenza artificiale è la rivista Sistemi intelligenti, edita dalla casa editrice Il Mulino. Frixione 11
  • 12. Siti Web Come è facile supporre, i siti dedicati a questi temi sono innumerevoli. Mi limito ad indicare pochissimi siti particolarmente autorevoli, che possono servire come punto di partenza per la navigazione. Quello che segue è il sito della Società di Scienze Cognitive: http://www.cognitivesciencesociety.org/ In particolare, vi si trova una utile pagina di collegamenti ad altri siti: http://www.cognitivesciencesociety.org/links.html Questo è il sito della AAAI (si legge triple a i). E’ la Società Americana di Intelligenza Artificiale: http://www.aaai.org/ Nel sito si trova la pagina seguente, che è un’utilissima introduzione ai vari temi e settori dell’IA, con numerosissimi collegamenti: http://www.aaai.org/AITopics/aitopics.html Molto utile è anche il sito della AI*IA, la Società Italiana per l’Intelligenza Artificiale: http://www.di.unito.it/~aiia/ Frixione 12