2. Quest’ anno per approfondire la conoscenza del nostro territorio
ci siamo interessati di Fonti alle Fate.
La nostra ricerca ci ha portato a conoscere meglio la Fonte e la
sua storia.
Alcuni alunni ne avevano già sentito parlare, ma non l’avevano
mai vista, né sapevano precisamente dove si trovasse.
Abbiamo scoperto anche leggende fantasiose che la riguardano e
che in realtà hanno riferimenti storici.
Questo aspetto del lavoro ha permesso agli alunni di soddisfare
tante curiosità e di avvicinarsi al mondo delle fate e delle streghe,
liberando così la fantasia.
4. DESCRIZIONE DELL’ESPERIENZA
Visita alla Fonte
Osservazione, organizzazione, selezione e classificazione del materiale raccolto
(rami, sassi, bozze di disegni, appunti, foto…)
Ricerca bibliografica
presso il Museo Diocesano di San miniato,
l’Archivio Storico Comunale e Internet
Consultazione di esperti
Rielaborazione soggettiva e oggettiva dei materiali di studio
Elaborato riassuntivo finale in forma cartacea e/o digitale
5. Il funzionamento
La fonte, costruita probabilmente tra i secoli XII e XIII, serviva in origine per l’approvvigiona-
mento idrico degli abitanti di San Miniato, i quali, non avendo la disponibilità economica per
dotarsi di pozzi o cisterne, si recavano in questo luogo per procurarsi l’acqua.
L’acqua che sgorgava in
superficie veniva raccolta in
due vasche, sistemate entro
appositi ambienti laterali e
coperti con volte a botte.
Questi bacini facevano capo
ad una stanza, dalla quale,
veniva materialmente
prelevata l’acqua, attraverso
apposite bocche,
sicuramente più di una.
Sempre dalle due grandi
vasche laterali venivano
riempite apposite vasche più
piccole, collocate anche
all’esterno.
6. Com’è
strutturata
Fonti alle Fate
Dove è contenuta
l’acqua? Da dove viene
l’acqua?
A cosa serviva
l’acqua?
L’acqua è contenuta in
due cisterne.
E’ un’acqua meteorica,
penetra nel terreno e poi
ritorna in superficie.
Veniva usata per bere e
per irrigare i campi fino a
che non è stato costruito
l’acquedotto.
7. L’aspetto attuale
• La fonte, collocata in una zona disabitata, isolata e
oggi inospitale, è composta da una struttura
costituita da elementi in laterizio (mattoni) di buona
fattura, caratterizzati da un impasto omogeneo privo
di impurità e perfettamente cotti in fornace.
• E’ intonacata negli ambienti interni con malta,
evidentemente, a legante idraulico, cioè resistente
all’acqua (a differenza, per esempio, della più famosa
“calce aerea” che si usa nell’intonaco ordinario).
• Nella sorgente vera e propria vi sono anche delle
piccole stalattiti, chiamate “spaghetti”, formate da
ingenti depositi calcarei sinonimo di grande quantità
di calcio presente nell’acqua, che nei secoli si è
depositata sulle superfici dove scorreva.
• La presenza di tutto il calcare sia dentro che fuori la
struttura lascia pensare a diversi secoli di continua
sedimentazione del minerale e dunque ad una fonte
molto antica.
12. Notizie dall’archivio storico di San Miniato
Siamo andati a cercare notizie sulla Fonte anche all'Archivio Storico del nostro Comune
e abbiamo trovato alcuni documenti interessanti.
La signora Laura ci ha mostrato due antiche cartine topografiche con le indicazioni
stradali necessarie per accedere alla struttura.
Sono vecchie e tutte ingiallite, i luoghi sono scritti in corsivo e ognuno accanto alla
scritta ha un piccolo disegno che lo identifica.
Abbiamo potuto vedere anche alcuni documenti più recenti, risalenti alla prima metà
del 1900, che testimoniano l'importanza della Fonte per l'approvvigionamento idrico
della città di San Miniato, specialmente nei momenti di maggior siccità, quando le altre
sorgenti di zona si seccavano.
Sono anche conservate nell'Archivio le analisi chimiche fatte tanti anni fa che
testimoniano la purezza e quindi l'alta qualità dell’acqua della Fonte. Altri documenti
riportano nel dettaglio i lavori di ristrutturazione fatti alla struttura nel 1932 con i
relativi costi.
C'è poi uno scambio di corrispondenza, dell'agosto 1929, tra i Vigili del Fuoco e il
Podestà dell'epoca, circa l'uso improprio dell'acqua utilizzata per il lavaggio del camion
dei pompieri, dato che nel periodo di siccità l'acqua potabile della Fonte veniva
salvaguardata.
13. Dal catasto storico regionale
Antica cartina topografica che mostra la posizione di Fonti alle Fate
19. Testo di Giuseppe Musciotto: VISITA A FONTI ALLE FATE
10 Dicembre 2013
Venerdì scorso io e i miei compagni di scuola siamo andati a visitare Fonti alle Fate.
Fonti alle Fate è una fonte molto antica, forse già esisteva al tempo degli Etruschi.
Si trova vicino al centro di San Miniato.
Per arrivarci bisogna prendere una stradina stretta e ripida in cui c’è tanta vegetazione,
in parte verde e in parte dei colori tipici dell’autunno.
Sul sentiero c’è un albero a cui ci appoggiavamo per passare.
L’erba era bagnata e l’aria umida e fredda.
In lontananza , da una parte si vedeva la rocca con la bandiera italiana issata sulla cima e
di fronte a noi gli Appennini coperti di neve.
Per arrivare alle fonti dovevamo scendere degli scalini; li abbiamo scesi piano piano
perché erano molto scivolosi.
20. Alla fine siamo giunti in una piazzetta davanti alle Fonti. C’erano due arcate chiuse e
una aperta, dove scorreva l’acqua.
All’interno di un’arcata vive da anni, al buio, una pianta grassa, senza che nessuno la
curi e questo fa pensare che l’acqua sia magica.
Sugli archi chiusi c’è sono l’erba e uno stalattite a forma di corallo che è stato formato
dall’acqua che scorre continuamente.
Il terreno intorno era bagnato perché l’acqua usciva dalla fonte aperta.
24. Fonti alle Fate
A noi l’interno della Fonte
è sembrata una grotta.
I nostri volti meravigliati
si affacciavano
su un insieme di colori strani, indefiniti
e molto sfumati.
Le stalattiti si confondevano
davanti ai nostri occhi,
con l’umida natura oscura.
26. IL BOSCO DI FONTI ALLE FATE
Ci sono:
Arbusti e alberi utili per:
• trattenere con le radici
il terreno, le piogge
troppo violente e
l’umidità dell’aria.
• produrre ossigeno.
• dare riposo agli animali.
Ci vivono:
uccelli
lombrichi
fagiani
lepri
Dal tronco, dai rami e a
volte dalle foglie si ricavano:
• legno
• fibre
• cellulosa
28. La leggenda delle fate
Vivevano entro il Castello di San Miniato, fra le tante altre che la storia ricorda, due importan-
ti famiglie: i Mangiadori e i Pallaleoni. Dal momento che ogni giorno nascevano motivi di ri-
valità e di discordia, questi non riuscivano a trovar pace fra loro, finché i Mangiadori ebbero
la peggio e dovettero abbandonare San Miniato per rifugiarsi nel vicino comune di Fucecchio.
A. Liaci
30. La leggenda delle fate
Nel 1320, in occasione della guerra che oppose Castruccio Castracani a Firenze, le due
famiglie si schierarono nelle due fazioni avverse e si trovarono una contro l’altra durante una
battaglia avvenuta nei pressi di San Miniato.
Giancarlo Pallaleoni, disceso da San Miniato alla testa dei suoi, nel buio della notte, menava
colpi dovunque vedesse muovere persone; Alamanno Mangiadori lo riconobbe dalla voce e
mosse contro di lui deciso. E si colpirono a vicenda finché entrambi, stremati e feriti, caddero
al suolo sanguinanti e senza forza; Giancarlo aveva una coscia trapassata dalla spada di
Alamanno, Alamanno gemeva per una grave ferita al petto.
31. La leggenda delle fate
Venne la luce del giorno; nessun soccorso
giungeva. Giancarlo più fiero di Alamanno
ebbe la forza di togliersi la spada dalla
coscia e di cingersi con una benda la
ferita; si sollevò e cercò di sollevare
Alamanno; lo trascinò su per la collina,
ma per breve tratto, che le forze gli
mancavano, e si diede a chiamare aiuto;
lo tormentava una terribile sete provocata
da tanto sangue perduto. E l’acqua non
era lontana; sentiva il rumore di una
sorgente. Se nessuno si fosse accorto di
loro, sarebbero morti prima di sera.
D’un tratto un rumore di gente che
cercava gli arrivò all’orecchio; rinnovò
allora i suoi richiami, e due fanciulle
bionde entrambe belle come due angeli
gli si avvicinarono. Erano Aloisa e Matel-
da, le due gemelle figlie di Ghio dei
Portigiani che vivevano in una modesta
abitazione a metà della collina.
E. Barone
33. La leggenda delle fate
Aiutarono i feriti a sollevarsi e a trascinarsi presso la vicina fonte; poi somministrarono loro l’acqua
salvatrice e presso loro rimasero finché non giunsero aiuti.
Giancarlo ed Alamanno si riconciliarono e, ritornati in salute, le sposarono; Giancarlo sposò Aloisa,
Alamanno Matelda. E da questi due matrimoni nacquero tanti figli. La cronaca narra che nove ne
avesse Giancarlo da Aloisa e undici Alamanno da Matelda. Le famiglie dei Mangiadori e dei Pallaleoni
divennero così le più potenti famiglie di San Miniato.
Le fonti, presso le quali i fatti si svolsero, furono da allora in poi chiamate “Fonti alle Fate” e anche
oggi portano questo nome.
R. Cucchiara
34. Alle acque di queste fonti venivano a dissetarsi le spose che dopo il matrimonio non
avevano figli; correva la voce che molte di queste spose dopo aver bevuto quell’acqua
avessero avuto figlioli in quantità. Si racconta di una sposa dei Ciccioni che dopo aver bevuto
quest’acqua ebbe tre figli ad un sol parto.
Durante tutto l’anno e specialmente nella stagione estiva non passava giorno che qualche
coppia di sposi, che non aveva ancora la consolazione della prole, venisse anche da lontane
contrade a dissetarsi con l’acqua fresca e cristallina delle “fonti alle fate”. La piaga dei
matrimoni senza figli aveva trovato in quelle fonti il suo farmaco risanatore.
Il potere miracoloso dell’acqua
35. La poesia che Alessio Guardini ha dedicato alla
riscoperta delle Fonti alle Fate
Giornate oziose dell'Estate
-al settembrin risveglio pronte-
giù dal mio colle mi portate
ver l'ampia piana ch'è di fronte
ma 'l selvo odor sacro alle Fate
rivela qui l'antica Fonte.
Qual favola mi raccontate?
D'antico amor... novo orizzonte!
41. Immagina di andare a Fonti alle Fate e di incontrare
una fata
Un giorno di primavera andai a Fonti alle Fate.
Attorno a me c’erano tanti fiori colorati e lucertole.
Mi sedetti all’ombra, chiusi gli occhi e mi asciugai le gocce di sudore sulla fronte.
Di colpo una fata mi apparve con il suo unicorno.
L’animale aveva il corpo bianco come la neve, occhi azzurri come il cielo, una criniera
di un giallo sbiadito e la coda marrone come il legno.
La fata era calma e aveva un carattere gentile.
I suoi capelli erano biondi, gli occhi verdognoli e le labbra rosse.
Indossava un vestito azzurro, come gli occhi dell’animale, un grande cappello rosa e
scarpe verdi come l’erba.
Le chiesi il suo nome e lei con una vocina bassa bassa mi disse: “Zoeg e tu?”. Io le
dissi che mi chiamavo Chiara, poi le feci altre domande: “Perché vivi qui?”, “Prima
dove vivevi?” ,“Quanti anni hai?”, “Quanti parenti hai?”.
Lei però non mi rispose e mi invitò a provare il suo unicorno e insieme andammo
sulla cima della Rocca.
Lei tirò fuori delle bacchette magiche e fece parlare la Rocca.
Loro, la fata e la Rocca, erano amiche e ogni sera si scambiavano delle confidenze.
Quando fu il momento di lasciarci, io la salutai e le dissi che se voleva potevamo
rivederci per conoscerci meglio.
Tornai a casa e non dissi a nessuno della fata. C. Tacchi
43. Immagina di andare a Fonti alle Fate e di incontrare
una fata
Che bella fata che ho incontrato!
Ha i capelli biondi, lisci lisci, la pelle bianca, gli occhi azzurri come l’acqua della piscina.
Ha la bacchetta luminosa come la luce del sole, il vestito bianco e le scarpette azzurre.
E’ bassa e molto magra.
Lei cavalcava un unicorno bianco con la criniera azzurra e gli zoccoli neri.
All’improvviso ha sbattuto in una roccia dura del monte, ma per fortuna non si è fatta
nulla di grave.
Io le chiedo: “Perché viaggi così?”, “Perché vivi a Fonti alle Fate?”, “Perché hai una
bacchetta magica?”.
Lei non mi risponde però ci diciamo i nostri nomi: io le dico che mi chiamo Riccardo e
lei mi dice che si chiama Vittoria.
All’improvviso sento la mia mamma che mi chiama così ci salutiamo.
Corro a casa e mi viene un dubbio: “Avrò davvero visto una fata o è stata solo la mia
fantasia?”.
R. Cucchiara
45. LA FATA DEI FIORI
Sui fiori una mattina
Mi è apparsa una fatina
Tutta di rosa vestita
Danzava su una margherita.
Quando si è accorta di essere osservata
Subito se n’è andata
E proprio dietro a un giglio
Ha trovato il suo nascondiglio.
G. Musciotto
46. LA FATA TURCHINA
Oh fata Turchina
Che volteggi sui prati la mattina!
I tuoi lunghi capelli turchini
fanno impazzire tutti i bambini.
Le tue splendidi ali colorate
Brillano anche nelle buie giornate.
Oh dolce, dolce fatina
Tu mi sei sempre vicina!
Tristan Divito
P. Lauria
47. LA NOTTE DELLA FATA
La fata della fonte
Nella notte stellata e serena
Osservò la luna piena.
Guardò con affetto le case del villaggio
Salì sul poggio
E insieme alla Rocca
Vegliò il sonno dei compaesani
E della gente di passaggio.
L. Bettini
49. LA FATA DELL’ACQUA
Oh fata, fata della Fonte
Proteggi con la tua bacchetta luminosa
Quest’acqua tanto preziosa!
Fa che rimanga sempre limpida e pura
E che tutti ne abbian cura!
50. LA MIA FATINA
La mia fatina è dolce e carina,
a volte un po’ birichina.
I suoi capelli sono gialli come il sole,
i suoi occhi come le viole,
il suo vestito è verde come una mela
e le sue ali come una vela.
A me è sempre vicina
E a volte si sente il suono della sua
campanellina.
Per me è divertente
E a volte fa ridere la gente.
Questa è la mia fatina
Che si chiama Campanellina.
Jacopo Pertici
51. ALLA FATA
Oh fata,
bionda e ben pettinata,
da dove sei arrivata?
Vivi davvero in questo prato fiorito
o sei solo nel mio pensiero smarrito?
Non capisco più il mondo
Né tutto quello che gli gira intorno…
Soldi e prepotenza
Potere e violenza
Sembra che di tutto questo
Non si possa star senza!
Ti prego mia dolce fata,
portami con te sul tuo cavallo alato
e proviamo insieme a correggere
questo mondo sbagliato!
J. Pertici
52. UN INCONTRO
A Fonti alle Fate sono andato
E una fata ho incontrato.
Una magia lei mi ha fatto,
io sono rimasto esterrefatto.
Stefano Dell’Unto
Stefano Dell’Unto
53. LA FATA
Andiamo fata, vola via
In un mondo di allegria!
Portami con te
Per giocare in un mondo divertente
Ma anche molto intelligente!
Chiara Tacchi
CIAO FATA
Ciao fata
Oggi è proprio una bella giornata!
Che facciamo di bello?
Piantiamo un alberello!?
Chiara Ferraro
54. LA FATA
Stamattina
Ho incontrato una fatina!
Gli occhietti eran verdi
Il vestitino un po’ piccolino
E azzurrino.
Le scarpette nere,
I capelli biondi biondi
…e la faccia troppo bellina!
Era in giardino
Che ballava sul ciclamino!
Riccardo Cucchiara
55. LA FATA DELLA FONTE
Oh che bella fata!
Andiamo a fare una passeggiata?!
Dai che è una bella giornata!
Oh guarda che bei fiori
Sono proprio tutti a colori!
Beviamo l’acqua, mangiamo un panino
E poi ci divertiamo con un giochino!
Nico Buggiani
T. Divito
56. LA FATA INCANTATA
La fatina si chiama Resi,
ha sguardi distesi.
La bella fatina biondina
e assai carina,
ha fatto una giratina.
Ha incontrato il dolce Francesco
mentre beveva il succo fresco.
La fatina è secchina secchina
e ha un naso piccolino
come quello di un uccellino.
La dolce fata è sempre in movimento
ed è veloce come il vento.
In inverno usa i maglioni,
dello stesso colore dei pantaloni.
Per il naso usa il fazzoletto,
per la testa il berretto.
Il suo gattone suona il trombone
tondo e arancione.
Il suo gattino
suona il violino.
Quando fa freddo la fata indossa una sciarpa
Ma lascia a casa sempre una scarpa.
G. Musciotto
T. Divito
57. La leggenda della strega Barbuccia
Un’altra testimonianza attinta dalla tradizione popolare sanminiatese è quella
rappresentata dal romanzo di Guido Pieragnoli “La Bruna di Poggighisi”. Si tratta di
un racconto ambientato nel ‘500, il periodo dell’assedio e conquista di San Miniato
da parte degli Spagnoli di Carlo V.
Edito in San Miniato, dalla Tipografia Bongi nel 1886, narra le vicissitudini
amorose e politiche che gravitano attorno alla giovane Bianca, la Bruna di
Poggighisi, contesa fra il sanminiatese Messer Goro e lo spagnolo Capitano
Ruiz. Storia, passione, giochi di potere e battaglie si intrecciano in un mix
avvincente e ricco di colpi di scena. Il tutto all’interno della quinta
scenografica rappresentata dalla Città di San Miniato.
Uno dei personaggi attorno al quale ruotano le vicende del
romanzo è la Strega Barbuccia, una sorta di chiromante
alla quale la popolazione si rivolge per conoscere il proprio
destino. E quale luogo poteva ospitare la dimora di
Barbuccia?
58. (…) In quel punto la campagna era
orrida; la china del poggio scende-
va giù a picco, sprofondando in un
ampio burrone in mezzo a una
piccola ma folta boscaglia di
acacie, che intrecciava i loro tralci
lunghi e flessuosi, formando come
un tappo verde. Oltre la sua orri-
dezza, quel luogo aveva anche una
leggenda paurosa, sicché ognuno
ne rifuggiva, e nemmeno il caccia-
tore azzardavasi per quelle parti,
quantunque sapesse che in quegli
sterpi e in quei gruppetti d’acacie
ponessero volentieri e numerose i
loro nidi le lepri e i conigli selvatici.
Erano ormai diversi anni che le paurose fiabe di spiriti e di streghe avevano fatto
abbandonare da tutti quei luoghi – vi si diceva che la notte vedevansi aggirare su quel
precipizio mille fantasmi, vi si sentivano urli di pazzi, suoni strampalati e rauchi, rumori
infernali, e a quando a quando vedevansi vagare in quella solitudine frotte di lumicini
misteriosi.
Un luogo oscuro e misterioso
L. Bettini
59. Anche di giorno, si diceva, chi vi si avventurasse a passare in quelle vicinanze si sentiva
come inseguito da un essere in grado di internarsi nella boscaglia di acacie, ove una frotta
di demoni, sotto le sembianze di fate affascinatrici, lo circondava, e, dopo avergli fatto
apparire dinanzi, in mezzo a fasci di luce, tutte le bellezze e gli incanti del Paradiso, o lo
uccidevano cibandosi poi delle sue carni, o lo cangiavano a bestia o in tronco d’albero!
Ed era voce comune in paese che quei pochi, i quali, o per spavalderia, o per altra ragione,
eransi avventurati nel luogo maledetto, non erano più ritornati.
J. Pertici
60. Il luogo di cui sopra
abbiamo parlato, e che
ancora nel suo nome –
Fonti delle Fate – ricorda
superstizioni e paure,
era, ai tempi in cui se-
guono i fatti da noi nar-
rati, frequentato fuor
dell’ordinario, e tutti,
uomini e donne, giovani
e vecchi, vi si avventura-
vano tenendo tutti la
medesima direzione, co-
me se mirassero ad una
meta comune.
E – ciò che accresceva la stranezza della cosa – il concorso di gente aumentava specialmente
sull’imbrunire, rimaneva sospeso per un’ora circa, poi riprendeva, a notte fatta in direzione
contraria, verso il paese.
Tutti, però, procedevano silenziosi, senza guardarsi nemmeno, come se fossero penitenti
reduci da un pellegrinaggio religioso. (…)
Il lettore avrà già capito di che si tratta; tutta quella gente torna dall’interrogare la strega
Barbuccia (…).
Un luogo frequentato
J. Buccolini
61. Di dove fosse venuta questa strega, e chi fosse,
a nessuno era mai riuscito di saperlo – certo è
che in brevissimo tempo essa era riuscita a
cattivarsi le simpatie della popolazione; e
questo trionfo sollecito devesi forse in gran
parte all’avere la scaltra strega cominciata la
sua carriera in San Miniato con l’assicurare gli
abitanti di esser riuscita coi suoi esorcismi a
liberare dagli spiriti il famoso burrone.
Questa cosa bastò perché tutti accorressero
intorno alla vecchia per farsi dire il futuro, per
aver contezza delle cose di quello e di quell’al-
tro, per guarire da una malattia, per avere
acque e intingoli di ogni genere per l’amore, per
l’odio, per la gelosia, per la vita e per la morte.
Barbuccia era di una bruttezza straordinaria, quasi schifosa, ed al vedersela dinanzi si provava
ribrezzo e spavento. Doveva il suo nome ad un ciuffetto di peli folti ed ispidi che le copriva tutta
la punta del mento aguzzo, e ad una lanugine di un nero sbiadito che le si stendeva a guisa di
baffi sul labbro superiore – aveva due occhietti tondi, ravvivati da un bagliore viperino, i quali
quando ti fissavano ti facevano tremare – i capelli, grigi di un grigio di cenere sporca,
cadevano giù per le spalle – gli orecchi lunghi e schiacciati, il naso camuso, dalle larghe narici
compresse e porose, che si perdeva quasi in mezzo alle due protuberanze acuminate degli
zigomi, la pelle aderente alle ossa, grinzosa, le mani lunghe, scarne, aguzze, il corpo rilasciato
e un po’ curvo davano a quella donna un aspetto dei più stomachevoli.
La strega Barbuccia
L. Bettini
62. Barbuccia, da donna tetra e fosca qual era, aveva voluto porre la sua dimora nel luogo più
orrido dei dintorni. In quella parte di campagna che abbiamo descritta, e che i Samminiatesi
ritenevano da sì lungo tempo come un luogo maledetto; fu là che la strega fondò, per così
dire, il suo palazzo, ove ogni giorno concorrevano a frotta i credenzoni, che lasciavano poi nel
grembo della megera dei bravi baiocchi. Quel palazzo era formato un’ampia grotta scavata
nella roccia del poggio. Le acacie e i platani ricoprivano totalmente quel luogo tetro e
misterioso dove non penetrava raggio di sole e donde non si scorgeva nemmeno un lembo di
cielo. Una porta di legno, grossa e tarlata, chiudeva l’ingresso della spelonca più grande, che
comunicava con l’altra per mezzo di una apertura, che meglio si potrebbe chiamare un
pertugio che una porta. (…)
Una dimora paurosa
C. Ferraro
64. Di faccia alla porta d’entrata, sopra un tavolino logoro e
tarlato ardeva una lampada a olio che mandava per
tutta la grotta una luce rossiccia e tremolante, che
accresceva terrore a quella specie di tomba; accanto al
lume un teschio di morto, tutto sconquassato, ghignava
sinistramente con le mascelle bianche e sconnesse e,
sparse sul tavolino, una quantità di bacchette di varia
lunghezza e di varii colori, bocce e fiaccole di ogni
grandezza, filtri, vasetti, un arsenale insomma da
farmacista.
In un angolo della grotta, accanto alla porta, ardeva un
braciere con entro delle lunghe spranghe di ferro
incrociate e, sorretto da queste, un grosso paiuolo in
rame entro il quale bolliva gorgogliando una strana
mistura. L’atmosfera di quell’ambiente era
assolutamente irrespirabile, pregna di vapori soffocanti
e di esalazioni varie ed acute che mozzavano
pesantemente il respiro; un fumo leggero, ma pungente,
una specie di caligine, che penetrava nelle narici e nelle
fauci fin quasi a soffocare, dava a quel luogo tutto
l’aspetto del foro di una mina da poco tempo bruciata.
Le pareti rocciose erano adornate solamente da schifosi
corpi di rettili inchiodati a pancia all’aria e davano a
quell’ambiente qualche cosa di lugubre e di
incredibilmente onirico.
L’interno della casa
65. Questa è la storia della Strega
Barbuccia, che abitava Fonti alle Fate.
La leggenda narra che nelle serate buie
e piovose risuoni ancora per le valli
sanminiatesi la sua risata stridula e
penetrante…
G. Bettocchi
66. LA STREGA BARBUCCIA
Sono una strega poco caruccia
Il mio nome è Barbuccia.
Il mio aspetto non a tutti garba
Perché sul mento, ahimè, ho la barba!
Vivo da sola in una casa polverosa
Ma di stare con la gente sono desiderosa.
Fare magie e pozioni
È per me un gioco intelligente
Ma anche molto divertente!
A volte, mescolando il paiolo, faccio degli
errori
E così spesso esce tutto a colori…e di fuori!
Quando aiuto tu vorrai
Il mio nome pronunciar dovrai
“Barbuccia”, la strega presto arriverà
E una mano subito ti darà.
J. Pertici
67. SE IO FOSSI UNA STREGA O UNO STREGONE…
Se io fossi uno stregone vorrei avere il carattere e le abitudini che ha la
strega Barbuccia, perché è gentile e fa delle pozioni per sé e da dare alla
gente, per guarire.
Il mio aspetto sarebbe di una persona qualsiasi, con la barba e con il
corpo normale. Indosserei un camice col cappuccio e delle scarpe nere. I
capelli sarebbero marroni, come i miei di adesso, le guance sarebbero
rosse, specialmente nei momenti in cui faccio le pozioni; la pelle bianca, le
mani normali. Anche il corpo lo vorrei normale, né grasso e né magro. Per
quanto riguarda l’altezza, vorrei essere alto, non basso come tutti gli
stregoni…Insomma vorrei avere un aspetto piacevole!
Immagino la mia casa con tre stanze: nella prima, cioè dove si entra,
vorrei un tavolino marrone, un letto singolo, una finestra, un lampadario
e un vaso di fiori.
La seconda stanza vorrei fosse un laboratorio, con una grossa pentola per
preparare gli intrugli magici, e una mensola con tutte le pozioni già
pronte.
Nella terza stanza terrei tante sedie, per tutte le persone che aspettano di
essere ricevute.
Vorrei riuscire a inventare la pozione della forza, che fa diventare più forti
i muscoli, la pozione del congelamento, per congelare i ladri e le persone
malvagie, la pozione del fulmine, per fulminare chi mi fa degli sgarbi.
Riccardo Cucchiara
69. SE IO FOSSI UNO STREGONE
Se io fossi uno stregone non assomiglierei alla strega Barbuccia, perché
proverei il più possibile a condurre una vita normale.
Il mio aspetto sarebbe come quello di tante altre persone.
Farei in modo che il mio volto e il mio fisico rimanessero giovanili per
sempre.
La mia casa sarebbe una villa con una piscina e un giardino immenso.
La mia casa la vorrei soltanto a un piano, con una cantina pulita dove fare
gli incantesimi e le magie; il mio lavoro sarebbe quello dello scienziato.
Mi piacerebbe inventare il modo per fabbricare tanti soldi.
Alcuni direbbero che è meglio la salute, ma se non hai i soldi non ti puoi
comprare nemmeno le medicine.
Stefano Dell’Unto
71. SE IO FOSSI UNA STREGA…
Se io fossi una strega vorrei essere buona ma non troppo.
Quando sarei arrabbiata farei degli incantesimi che potrebbero uccidere
persone e causare danni come zunami, terremoti e valanghe.
Penso che il mio aspetto e il mio corpo cambierebbero decisamente. Sì,
perché vorrei essere molto più forte e molto più alta.
Vorrei anche fare tanti incantesimi, tutti quelli possibili e immaginabili.
Vorrei avere la pelle bianca quando sono calma, rossa quando sono
arrabbiata e nera quando sono nel panico.
La mia casa sarebbe in mezzo al mare, una grandissima nave che mette
terrore a tutti, con disegnato il mio marchio: un teschio.
Questa nave potrebbe diventare anche invisibile, così potrei attaccare le
altre streghe senza farmi vedere .
Vorrei avere anche dei laboratori per fabbricare bacchette magiche e
pozioni.
Petra Lauria